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Baxandall: Pittura e Esperienze Sociali nell'Italia del Quattrocento, Sintesi del corso di Storia Dell'arte

Questo saggio di michael baxandall, basato su lezioni tenute all'università di londra, esplora il legame tra storia dell'arte e storia sociale, con particolare riferimento alla pittura in italia del quattrocento. Il saggio illustra come l'istruzione, la matematica e la commissione di opere d'arte erano legate alla società e alla economia del tempo, e come i pittori utilizzassero simboli e codici per arricchire il loro lavoro.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 12/01/2022

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ester-je 🇮🇹

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Scarica Baxandall: Pittura e Esperienze Sociali nell'Italia del Quattrocento e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! Pittura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento Michael Baxandall fu uno storico d’arte statunitense; egli, per primo, individuò un forte legame tra storia dell’arte e storia sociale. Il saggio è il prodotto di alcune lezioni tenute presso l’Università di Londra, con lo scopo di dimostrare quanto sopra detto. Il suo metodo appare molto chiaro: egli compie un excursus della figura del pittore del Quattrocento, per dimostrarne finalità economiche e artistiche, esaltandone il prestigio all’interno della società. Nella Firenze del Quattrocento, l'istruzione, impartita in scuole laiche o private, poteva essere distinta in due gradi: a partire dall’età di sei-sette anni si frequentava una scuola elementare o “botteguzza”, dove si imparava a leggere, scrivere e si apprendevano alcune nozioni base di corrispondenza commerciale. All’interno dell'istruzione di secondo grado, invece, all’età di dieci-undici anni, ci si concentrava su nozioni più impegnative e, soprattutto, sulla matematica, ritenuta fondamentale per qualsiasi tipo di mestiere futuro. C'è da considerare che le nozioni matematiche acquisite erano di natura perlopiù commerciale, strutturate sulle esigenze del mercante; tuttavia, anche in pittura si faceva ricorso a tali nozioni, come la misurazione, i concetti geometrici e l'attitudine ad esercitarli, in quanto rende più acuta la sensibilità visiva di un uomo di fronte alla realtà di un volume. Lo strumento aritmetico universale usato dai mercanti italiani colti, durante il Rinascimento, era la regola del tre - anche nota come regola aurea o chiave del mercante - che esprime una proporzione geometrica: il primo termine sta al terzo come il secondo sta al quarto. Attraverso la regola del tre, Leonardo arriverà a una sequenza, che si diffonderà anche in musica. Procedendo nel percorso di inquadramento del pittore nella società, all’interno del primo capitolo egli ricerca i dati economici che stanno dietro la commissione di opere artistiche: il cliente ordinava un prodotto, specificandone le caratteristiche, per poi procedere a stipulare un contratto, con una retribuzione che, il più delle volte, era abbastanza flessibile. Molto spesso, però, all’interno dei contratti, ciò che non era soggetto a flessibilità era la materia prima: infatti, il cliente faceva spesso richiesta esplicita dell'uso dell’azzurro oltremarino, perché colore di un certo peso economico. A partire dal 1490, cambia il modo di concepire il lavoro dell'artista; il suo compenso viene stabilito non più soltanto per la validità delle materie prime, quanto per la fatica e il tempo del suo lavoro. Insomma, saranno finalmente riconosciuti al maestro i meriti che gli spettavano. Messa in chiaro la figura del maestro, l’autore chiarisce la totale soggettività nell’osservazione di un’opera artistica, spesso basata su strumenti distinti dal grado culturale del singolo. Perlopiù, primeggiano nel XV secolo i dipinti religiosi, che tentano di istruire gli incolti sul sentimento di devozione, creando stimoli che inducono l’uomo a meditare sulla Bibbia. Appare chiaro e immediato che il pittore faticasse, il più delle volte, a rappresentare delle immagini che potessero coinciliare le volontà dei numerosi credenti, per cui era pratica diffusa cercare di andare oltre il dipinto: il Zardino de Oration descrive degli esercizi spirituali individuali, volti a rendere più intensa e immediata l'immaginazione. C'erano ovviamente delle eccezioni, ad esempio per il Cristo, che lasciava meno spazio all’immaginazione personale, dato che nel Quattrocento si credeva di possedere una testimonianza visiva del suo aspetto. Si instaura, dunque, una capacità di vedere oltre il dipinto, riscontrando nei gesti e nei movimenti richiami diretti all'anima. Numerose fonti, a riguardo, ci offrono delle preziose indicazioni: esistevano Predicatori e i Monaci votati al silenzio, i quali possedevano un registro di segni, da utilizzare nel periodo di osservanza del silenzio. Così come i Predicatori, i pittori sfruttavano quel registro di segni per arricchire di un valore simbolico il loro prodotto. | gesti e i movimenti del corpo, tuttavia, non sono gli unici caratteri che elevano il dipinto; esisteva anche un codice di colori, ognuno dei quali manifestava una caratteristica ben distinta: il bianco simboleggiava la purezza, il rosso la carità e il nero l’umiltà. Nelle ultime riflessioni che compongono il testo preso in esame, si ritiene necessario comprendere la percezione che, nel XV secolo, si aveva dei pittori più celebri. L’elenco più distaccato e più ricco di informazioni generali si trova nel componimento poetico di un pittore che lavorò a Urbino, Giovanni Santi, padre di Raffaello Sanzio, nonchè pittore eclettico e molto preciso. Altra importante figura, che ci fornisce preziose informazioni sull’intricato periodo artistico del Quattrocento, è Cristoforo Landino, studioso di latino e filosofo platonico, nonchè traduttore della Naturalis Historia di Plinio. Così, quando nel 1480 Landino si trovò a descrivere gli artisti del suo tempo, ci si aspettava di ritrovare un'impronta diretta di Plinio: egli non usò i suoi termini, bensì il suo metodo. Landino fece uso di metafore, termini ricavati dalla bottega degli artisti, non così tecnici da essere sconosciuti al lettore comune.
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