Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Sintesi il libro è una strada trottola, Sintesi del corso di Letteratura Contemporanea

Riassunto il libro è una strana trottola

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 07/01/2022

st22
st22 🇮🇹

4.7

(9)

22 documenti

1 / 22

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Sintesi il libro è una strada trottola e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Contemporanea solo su Docsity! CAPITOLO 1: IL LUPO E IL FUOCO AFFABULATORIO ORALITA’ E SCRITTURA LETTERARIA: Quando è nata la letteratura? Secondo Vladimir Nabokov (autore di Lolita), la letteratura è nata il giorno in cui il ragazzo gridò al lupo e non c'erano lupi dietro di lui. Non ha molta importanza che il ragazzo per aver mentito troppo spesso, sia stato alla fine divorato da un lupo, ma l'importante è che tra il lupo del grande prato e il lupo della grande menzogna c'è un magico intermediario: questo intermediario è l’arte della letteratura. (Il rischio di essere sbranato è dato dalla menzogna). Nabokov parla di un lupo e non di un drago ad esempio, probabilmente perchè la fantasia pura e l'immaginazione devono essere filtrate comunque dalla verosimiglianza. La letteratura è quindi invenzione, è finzione, infatti ogni grande scrittore per Nabokov è un grande imbroglione. Menzogna e bugia di una specie particolare, che si trasformano in realtà attraverso la mediazione dei lettori, i quali entrano in contatto con le invenzioni e ne vengono trasformati, contaminati. Le bugie della letteratura ci illudono di essere in possesso di quello che in realtà non abbiamo, di diventare quello che non saremo mai e di poter avvicinarci a una esistenza irraggiungibile. Nabokov parla di Neanderthal che è un passaggio evolutivo importante, ovvero il passaggio dal romanzo orale alla nascita della letteratura e quindi del romanzo scritto. Dunque la letteratura nasce quando uno degli uomini di Neanderthal fanno propria l'esperienza vissuta (caccia), costruendo su di essa un racconto primordiale che differiva dalla realtà. Mario Vargas Llosa: scrittore peruviano ancora in vita, risponde alla domanda “Cos'è e quando nasce la letteratura?” prediligendo un'origine meno romanzesca e affermando che la letteratura nasce nel momento in cui alcuni uomini, riuniti attorno al fuoco, iniziarono a raccontare delle storielle per passarsi il tempo. A raccontare era colui che aveva più esperienza e maggiore conoscenza dei suoni, catturando così l’attenzione degli altri e definendosi come personaggio autorevole. Dunque, per Vargas il fuoco è legato alla narrazione; la sua scoperta ha consentito all'uomo di trasformare il suo ambiente in un luogo dove al centro, dopo il cibo, ci fosse l’altro nutrimento fondamentale, ossia le storie da raccontare, da ascoltare, da custodire e tramandare. Il fuoco è quindi un elemento di aggregazione in cui si sviluppa l'immaginario, diventando una sorta di fuoco affabulatore e favorendo il racconto. Storie che diventano il collante della vita umana ì, perché definiscono e soprattutto legano tenacemente i gruppi, l’uomo e tra tutti l’unico animale che non può fare a meno dei racconti: per sopravvivere occorre che egli produca e consumi fantasie, invenzioni, affabulazioni. Ed è in quel momento che nasce la letteratura, in quella cerchia di esseri ancora primitivi, sostiene Vargas CACCIA-CIVILITA'- Carlo Ginzburg afferma che le origini dell’arte del narrare sono collegate alla caccia, ma la connessione tra il racconto e la caccia la coglie perfettamente Italo Calvino, sostenendo che: “il raccontare è l'operazione per cui tra i dati innumerevoli che formano il tessuto continuo delle vite umane, se ne sceglie una serie in cui si suppone un senso e un disegno, ovvero indizi e tracce di una storia con un principio e una fine.” E' in questo momento che pure ha inizio il cammino della nostra civiltà, quel lungo percorso che ci resi veramente umani. Si parla di civiltà quando l'umanità raggiunge un certo rapporto tra i simili, tra norme che regolamentano il gruppo; ciò significa che grazie a una storia e l'applicazione del nostro immaginario, l'umanità percepisce meglio se stessa. La finzione è più di un passatempo, essa si trasforma in un bisogno imprescindibile affinchè la civiltà possa procedere nel suo cammino, rinnovandosi. Per non regredire verso le barbarie dell’incomunicabilità. E' in guestelistanteguesto istante che comincia a delinearsi la figura del narratore come afferma Walter Benjamin, ossia di colui che trasmette esperienza, in un'epoca in cui gli uomini imparano dall’esperienza. NARRATORE: E’ colui che sa raccontare e intrattenere il lettore, trasmettendo anche delle esperienze in quanto attinge ad un patrimonio di memoria trasmesso oralmente. Il narratore diventa la figura fondamentale nel passaggio da uno stato tribale a una dimensione che inizia ad assomigliare a qualcosa che ha a che fare con la civiltà. NARRATORE DEMIURGO: è colui che crea: può interrompere e riprendere la narrazione a suo piacimento, domina sui propri personaggi e determina il corso delle loro vicende conducendole alla conclusione. Il narratore può essere: ® ONNISCIENTE: cioè esterno alla vicenda, si pone come un osservatore al di sopra delle parti e non adotta il punto di vista di alcun personaggio. Sa tutto del racconto e ha una posizione di dominio nella narrazione; ® AUTODIEGETICO/OMODIEGETICO: cioè presente come personaggio dell’azione, infatti si identifica col protagonista (autodiegetico) e scopre gli eventi man mano che si verificano. Dunque, il narratore è una persona saggia che preleva ciò che narra dall'esperienza propria e da quella che gli viene riferita, ed ha le sue radici nella comunità. DIFFERENZA TRA SCRITTORE E NARRATORE: SCRITTORE: è una persona reale che compone materialmente l’opera, usa un linguaggio dei giochi pirotecnici che spesso impressionano il lettore; NARRATORE: è la voce narrante, inventata dall'autore per raccontare la vicenda, e utilizza una temperatura media della scrittura. PASSAGGIO DAL MITO ALLA FIABA: La FIABA diventa la prima consigliera dell'umanità e ci informa delle prime contromisure adottate dall’umanità per liberarsi dall’incubo che il mito fa gravare sul petto: l'incubo legato a una presenza pervasiva degli dei, al fatto che essi condizionavano proprio le sorti degli uomini. Quando l’uomo inizia ad affrontare le situazioni da solo capisce che la natura in realtà non è così cattiva, bensì può entrarci in rapporto in un certo modo e si passa quindi alla fiaba. La fiaba, ad esempio, mostra per la prima volta un'immagine degli animali che aiutano il bambino: la natura non è solo assoggettata dal mito, ma si schiera più volentieri a difesa dell’uomo. E’ stato Propp a individuare le origini storiche della fiaba nelle società tribali e nei riti di iniziazione nel corso dei quali alcuni adolescenti venivano sottoposti a delle prove spesso assai rischiose per riconoscerne l'emancipazione e sancire l'allontanamento dal gruppo famigliare. Nel suo Morfologia della fiaba, Propp propone la formula di uno schema comune a tutte le fiabe, articolato in 31 funzioni che insieme compongono la storia. Una funzione indica una situazione tipica nello svolgimento della trama di una fiaba, riferendosi ai personaggi e ai loro precisi ruoli. - Danneggiamento: rappresenta una funzione di straordinaria importanza, poiché è con essa che ha inizio l’azione narrativa vera e propria, mentre le funzioni precedenti servono a prepararla. Lo schema generale delle storie indicato da Propp prevede l'equilibrio iniziale, la rottura dell'equilibrio (movente o complicazione), le peripezie dell'eroe e il ristabilimento dell'equilibrio. Se nella vita di tutti i giorni il conflitto ha una connotazione negativa, nella funzione invece lo scontro drammatico è essenziale, poichè in letteratura solo le complicazioni destano l’interesse e l’attenzione di chi ascolta o di chi legge (l'inferno è amico delle storie). KIPLING: Come narra Kipling nel racconto intitolato Come fu scritta la prima lettera, gli uomini primitivi a un certo momento hanno sentito la necessità di comunicare e questa interazione tra simili si è sviluppata nelle più svariate forme di contatto e condivisione, fino ad arrivare alla scrittura. Protagonista del racconto dello scrittore inglese è la giovanissima Taffy, che appartiene a una famiglia di cavernicoli: suo padre, è in difficoltà perché ha rotto la lancia da pesca e lei vorrebbe aiutarlo. Ma dal momento che la scrittura non era ancora stata inventata, la bambina attraverso un disegno realizzato nella scorza di betulla con l'utilizzo di un dente pescecane, manda alla madre un messaggio di soccorso per mezzo di uno sconosciuto. La madre intende però i disegni diversamente, rischiando di mettere sul piede di guerra l'intera tribù, Ma alla fine il messaggio e l'invenzione di Taffy viene apprezzata e soprattutto approvata. “E’ una grande invenzione e un giorno gli uomini la chiameranno scrittura. Per ora si tratta soltanto di disegni, e i disegni non sempre sono compresi a puntino”. La scoperta del fuoco rappresenterà di certo una sorta di rivoluzione copernicana, la ruota e l’aratro consentiranno di alleviare la fatica, di accelerare lo sviluppo e la civilizzazione. Ma se l'invenzione della scrittura fosse stata il progresso tecnologico più importante della storia dell'umanità? Forse occorrerebbe dare alla scrittura il giusto peso perché grazie a essa è cambiata radicalmente la relazione tra uomo e il passato, spianando la strada alla nascita del libro e al suo ruolo fondamentale di motore della storia stessa (libro=mosaico; scrittura=tessera). descrivono mondi immaginari auspicabili come realizzazione di un ideale di razionalità, di uguaglianza e di giustizia fra gli uomini, le altre mettono in guardia contro i pericoli insiti nei tentavi di tradurre nei fatti un progetto ideato sulla sola base della razionalità. Trama Fahrenheit 451: Nel romanzo di Bradbury strani pompieri si aggirano per le vie della città impugnando lanciafiamme anziché idranti: la loro missione è quella di appiccare incendi per distruggere i libri. Montag il protagonista della storia narrata, all’inizio si mostra perfettamente convinto della missione da svolgere, ma quando assiste al sacrificio di una donna anziana, che preferisce perire nella sua casa devastata dalle fiamme invece che abbandonare i suoi libri, Montag entra in crisi. Comincia a riflettere e a interrogarsi, tanto da decidere di lasciare il lavoro e iniziare di nascosto a mettere in salvo alcuni libri. Denunciato dalla moglie e perseguitato dal suo capitano, Montag cerca riparo lungo il fiume, dove incontra alcuni uomini che per custodire il patrimonio letterario imparando a memoria i libri. Nel mondo immaginario Bradbury)che a suo tempo era rimasto impressionato dai roghi dei libri perpretati dai nazisti nelle pubbliche piazza) si registra, dunque, una strana inversione primordiale, per salvare i capolavori della scrittura immaginativa necessita ricorrere al processo di memorizzazione. | libri, più di qualsiasi altra cosa, sono stati il terrore delle dittature, il potere assoluto richiede che ogni lettura sia ufficialmente consentita. La letteratura, infatti, mette in guardia chi legge contro ogni forma di sopraffazione e di violenza: tutti i sistemi di governo che provano a tenere sotto controllo il comportamento dei loro cittadini temono la scrittura immaginativa, a tal punto da ricorrere a sistemi di censura per reprimerla. | libri diffondono insoddisfazione, dimostrano che il mondo in cui viviamo non è il migliore dei mondi possibili, che la vita immaginata dagli scrittori è molto più suggestiva e avvincente del trantran quotidiano. Vivere le vite che uno non vive diventa una fonte di ansia, uno scompenso nei confronti dell’esistenza che può diventare rivolta, atteggiamento indocile dinanzi a quanto costituito. Leggere può rendere il lettore libero e soprattutto ribelle: le biblioteche sono rifugi e luoghi di libertà, veri e propri ricettacoli di emancipazione. Ogni opera letteraria trasmette un bagaglio non indifferente di conoscenze: leggiamo ad esempio | promessi sposi e possiamo farci un'idea più precisa dell’Italia del 600, dei suoi luoghi, degli aspetti legati alla vita di ogni giorno. Un romanzo può illuminarci perché dischiude davanti ai nostri occhi una verità di cui prima non ci eravamo mai accorti, o ci fa capire veramente noi stessi e la situazione in cui ci troviamo. Dunque, la letteratura ha una funzione formativa, influisce sulla nostra crescita e formazione; ma può svolgere anche una funzione riformatrice, ogni qual volta ci fa cambiare idea e rendendo palese la nostra insoddisfazione e bisbigliandoci all'orecchio che si potrebbe fare qualcosa per cambiare. GEORGE ORWELL: Che sente l'esigenza di scrivere la Fattoria degli animali, perché con un intuito particolare capisce che era il caso di denunciare la deriva delle grandi ideologie che hanno segnato la crisi del 900, quali l'ideologia del socialismo e del comunismo. Orwell parte da un'idea giusta per cui tutti debbano avere le stesse risorse, distribuzione equa delle terre, garantendo a tutti le stesse condizioni e possibilità ma sappiamo che poi alcune ideologie possono essere piegate a un interesse perverso, che si allontanano dall’interesse della collettività. -LEONARDO SCIASCIA: Scrive un'opera intitolata Le favole della dittatura, che inizia con una citazione presa dalla “Fattoria degli animali” di Orwell. In quest'opera descrive le favole della tradizione letteraria: ad esempio la storia del Lupo e dell'agnello di Fedro, in cui il lupo rappresenta l'arroganza del potere poiché quando accusa l’agnello di sporcare l'acqua e questi sta per rispondergli, il lupo lo blocca perché sostiene di sapere già ciò che l'agnello vuole dire. DIFFERENZA TRA AGNELLO DI FEDRO E DI SCIASCIA: Nella favola di Fedro l'agnello riusciva a dire la sua opinione, in quella di Sciascia non può esprimersi perché il lupo sa già ciò che dirà: ciò significa che il potere sa già ciò che l'altro pensa. In questo modo possiamo dedurre che Scascia ha interiorizzato il pensiero di Orwell. CENSURA E ROGO DEI LIBRI: Come scrisse Voltaire in un saggio intitolato Dell'orribile pericolo della lettura. i libri “eliminano l'ignoranza custode e salvaguarda degli Stati ben organizzati”. Da qui la censura come indispensabile del potere: a partire dai primi papiri per arrivare alla carta stampata. II rituale di bruciare i libri, che in realtà era una condanna, veniva chiamato “Autodafé”: ovvero il sacrificio dell'eretico che veniva condannato al rogo. -1559: la Congregazione dell’Inquisizione Romana pubblica il primo “Indice dei libri proibiti”, un elenco di opere che la Chiesa considerava pericolose per la fede e per la morale. Quando “l'indice dei libri proibiti” esce l'ultima volta, nel 1966, contiene centinaia di opere non solo teologiche, ma anche di autori come Voltaire, Diderot, Graham Greene. SUPPORTI PER LA SCRITTURA: Perché la scrittura possa esserci occorrono i supporti adeguati: all’inizio si scrive su qualsiasi cosa, sulla pietra ad esempio o sull’argilla. Se ci spostiamo in Egitto scopriamo che si può scrivere pure su dei fogli ottenuti attraverso una particolare lavorazione delle fibre ricavate da una pianta: si tratta del papiro, un supporto costoso, su cui si può scrivere anche con inchiostri colorati. Intorno al Il secolo la pergamena sostituirà il papiro, una membrana ottenuta dalle pelli di animali (pecora, capra) depilate e fatte asciugare sotto tensione. La pergamena sarà il principale supporto per la scrittura durante il Medioevo, sostituita poi definitivamente dalla carta. CAPITOLO 2: NON C'E’ OPERA SENZA AUTORE Il secondo grande mutamento nel cammino evolutivo dell'uomo avviene quando il codice prende il posto del rotolo. Intorno al III secolo la forma codice, cioè il libro che ha le pagine da sfogliare, rivestirà un ruolo fondamentale nella diffusione del Cristianesimo. La forma codice (che è una forma chiusa cambierà l'esperienza della lettura: la pagina diventa un'unità percettiva qualcosa che assomiglia al libro per come oggi lo conosciamo (titolo, indice e paragrafi). Le parole dunque saranno separate dagli spazi, diversamente nell'antichità era diffusa la “scriptio continua”, che non prevedeva spazi tra una parola e l’altra: né è un esempio l'incipit di un’opera di Virgilio, che racconta l'episodio di Enea e Pirone. Questo tipo di scrittura non è priva di inconvenienti: coloro che inserivano l’interpunzione nei manoscritti che ne erano privi, prima di farlo dovevano interpretare il testo e capirne il significato esatto. Quando si tratta di testi antichi il copista può essere considerato il vero artefice, grazie al quale essi sono riusciti a sopravvivere e ad arrivare a noi. Dunque, il copista è il filtro attraverso il quale passano le parole che compongono i testi, egli avverte la spinta a intervenire, a entrare nel testo, infatti chi copia un'opera è colui che l’ha capita e fatta propria meglio di ogni altro (co-autore del testo). Chi copia un testo legge e memorizza una serie di parole, se le ridetta mentalmente e le trascrive: può leggere male, può ricordarle male oppure può saltare un gruppo di parole. Se ciò malauguratamente avviene, il testo che alla fine risulta trascritto può apparire al copista che rilegge privo di senso. | cambiamenti non voluti, cioè quelli legati alla distrazione oppure alla poca competenza, si sommano a quelli voluti, ossia alle variazioni apportate per necessità, dal momento che la frase trascritta manca di significato o appare eccessivamente criptica. Grazie al ruolo dei copisti e degli amanuensi cominciano a diffondersi gli occhiali nell'antichità, poiché a furia di leggere frasi tutte attaccate perdevano la vista, infatti vedremo nel Medioevo invenzioni quali le lenti di ingrandimento, grazie alle quali la scrittura si poteva leggere in modo meno complicato. (Tutto ciò avviene nelle sale delle biblioteche, dei monasteri e delle Abazie). DIRITTI D'AUTORE: Con le prime Storie di Erodoto, considerato il fondatore della storiografia, iniziano a circolare le copie di queste opere che hanno il frontespizio, ovvero la pagina che ripete la copertina, indicando nome e cognome dell'autore, il nome dell’opera e a volte anche la data. Si comincerà a parlare dei diritti d'autore solo molto tempo dopo, facendo riferimento a John Milton (autore di Paradise Lost) e a Henry Fielding (Tom Jones). -Il primo vendette a un erede della corporazione londinese “Stationers' Company”, il diritto di fare tutte le copie che volesse del suo capolavoro. La stampa veniva considerata un servizio reso all'autore, il quale guadagnava prestigio e fama; chi stampava invece, vendendo il libro, sperava di coprire i costi e magari realizzare un guadagno. (E' evidente che questo rapporto deve essere perfezionato, perché l'editore che pubblica un libro non può limitarsi a diffondere il libro, ma deve riconoscere all'autore qualcosa in quanto ha ceduto un’opera. In questo modo iniziano a circolare i primi guadagni, cioè l'editore quando pubblicava il libro di un autore su cui voleva puntare, si sentiva in dovere di dare all'autore un anticipo delle vendite che si prefissava di vendere.) Oggi l’autore e l'editore tendono a procacciarsi il valore economico e quello culturale, ma perché questo possa accadere occorre che si formi un pubblico di lettori, disposti a spendere per il proprio svago. STRUTTURALISMO: Agli inizi degli anni '60 un movimento come lo Strutturalismo sancisce che il testo va letto e analizzato in sé, nei suoi meccanismi interni, nella sua costruzione, al di là dell’intenzione del suo autore. Nel 1968 il più grande rappresentante Roland Barthes teorizza la “morte dell’autore: a suo avviso la scrittura non fa che nascondere e obliterare l'io, di conseguenza l’autore non è più un termine di riferimento necessario, vale di più il linguaggio e la scrittura. Secondo Michel Foucault, filosofo e sociologo francese, l’opera è il frutto del sacrificio di chi la scrive e rappresenta “l'annullamento delle caratteristiche individuali”. L'autore come individualità dunque evapora, ma rimane come “funzione”, che permette di legare il testo alla cultura del suo tempo e di leggerne il senso determinato. Ma la morte dell'autore può anche significare qualcos'altro: ossia la conservazione dell'opera anche quando si è persa ormai notizia dell'autore stesso. L’opera sopravvive al suo autore, perdura nel tempo, scavalca i secoli, rinuncia all'anagrafe (l'io fenomenico) di chi l'ha concepita (io estetico) diventando un classico. (Il passaggio da io Fenomenico a lo estetico avviene quando lo scrittore inizia a tracciare segni sulla pagina. La Divina Commedia per es rappresenta il prolungamento della vita dell'autore, così come Pinocchio). INTEGRITA’ DEL TESTO MESSA A RISCHIO: Essa non è solo un problema di disattenzione (l’integrità..) degli amanuensi: la scrittura si presenta spesso sotto forme diverse, c'è la questione dell’ortografia, la muffa, le inondazioni, gli incendi. Per questo motivo si dice che la filologia ha a che fare non solo con il testo ma anche, forse soprattutto, con la sua materialità. Basti pensare alla parziale distruzione della Biblioteca d'Alessandria D'Egitto nel 47 a.C, nel corso della Guerra Civile tra Cesare e Pompe: lì era custodita la più vasta collezione di libri del mondo antico. Ma non solo nella realtà le Biblioteche vanno in fumo, esse bruciano soprattutto nella finzione letteraria: ad appiccare il fuoco, tra i primi, è stato il grande Miguel de Cervantes, piromane ossessionato. La collezione di volumi di Don Chisciotte viene messa a soqquadro, i libri passati al setaccio e processati alla stregua di eretici ostinati perché colpevoli di aver innestato, nella testa degli uomini un sacco di pericolose sciocchezze. FILOLOGIA ANCILLARE: (La filologia è ancillare (subordinata) rispetto alla letteratura perché non è indispensabile per leggere un romanzo, che dovrebbe essere una pausa tra un impegno e l’altro, però se si vuole capire a fondo un'opera abbiamo bisogno della filologia come modalità di approccio. La filologia diventa ancillare perché consente di appropriarsi, in prima battuta, del significato testuale di un’opera. A questo punto entra in scena la figura del filologo, colui il quale attraverso un metodo ricostruttivo, procede a ritroso, nel tentativo di risalire verso l'originale. Cammina all'indietro in direzione di un presunto esemplare capostipite di tutta la tradizione sopravvissuta, ossia l'archetipo. Nel passaggio dal rotolo al codice, si manifesta la prima notevole strozzatura attraverso la quale dovettero passare i testi classici. La filologia diventa a questo punto una disciplina indispensabile, dove si dedica alla cura e al restauro delle opere letterarie, mette a confronto i testimoni. Una volta ricostruito il tràdito, si passa al suo esame x stabilire se esso può coincidere o meno con l'originale. (Filologia significa amore per la verità; si rivela una disciplina fondamentale ai fini della conoscenza umanistica: rappresenta un antidoto contro lo stravolgimento dei testi, siano essi sacri o profani). VICTOR KLEMPERER : La lingua del Terzo Reich Taccuino di un filologo, intellettuale e docente universitario ebreo, scampato ai campi di sterminio solo perché marito di una tedesca ariana, analizza parole ricorrenti del vocabolario nazista per far comprendere come un regime possa condizionare, attraverso le parole, il sapere ma anche il sentire di una nazione intera. In questo modo la lingua ma anche la conoscenza vengono azzerate, addirittura svuotate e le pagine di Klemperer mettono in guardia il lettore. Il Taccuino.. vede la luce 2 anni dopo del romanzo di Orwell, nel quale l’autore nella parte finale fa riferimento alla “Neolingua”: librerie vere e proprie agli e-store virtuali. Il libro si smaterializza, evapora e insieme a esso perdono terreno anche i negozi che li vendono. Già nel 1985, prima che nascesse il web Italo Calvino si interrogava sul futuro e quindi sul destino dell'oggetto libro: egli rinnova alla fine la sua fiducia nel futuro della letteratura e asseriva che i libri hanno sempre circolato per molti secoli, prima dell'invenzione della tipografia e nei secoli futuri troveranno nuove forme per sopravvivere. Secondo Calvino, ogni nuovo mezzo di comunicazione e diffusione delle parole, delle immagini e dei suoni può riservare sviluppi creativi nuovi e nuove forme d'espressione. Dunque, una società più avanzata tecnologicamente potrà essere più ricca di stimoli, di scelte e di possibilità. Dall'invenzione della stampa all'affermazione dell'industria editoriale il passaggio è segnato da trasformazioni non macroscopiche, dal momento che il libro rimarrà tale e quale: la metamorfosi effettiva è quella del libro in prodotto. Aumentano vertiginosamente infatti i numeri dei titoli pubblicati, delle copie stampate, dei lettori raggiunti: tutto questo avrà inizio nell'800 per poi consolidarsi nel secolo successivo. IMPRESE EDITORIALI: Nascono le imprese editoriali vere e proprie: basti pensare a quella fondata dal triestino Emilio Treves a Milano nel 1861, data simbolica per la storia italiana. Inizia con la pubblicazione di IMPRESE EDITORIALI: Nascono le imprese editoriali vere e proprie: basti pensare a quella fondata dal triestino Emilio Treves a Milano nel 1861, data simbolica per la storia italiana. Inizia con la pubblicazione di opere letterarie della scapigliatura per poi aprirsi ad autori quali De Amicis: Cuore (1886) è un romanzo che diventerà un vero e proprio long seller, vende 18.000 copie in 13 giorni. Per i tipi di Treves vedono anche la luce le opere di Verga, d'Annunzio, Pirandello. L'800 è il secolo del romanzo: il libro viene a identificarsi con il romanzo, e il romanzo con la vita, le sue passioni, le pulsioni, gli slanci e le cadute. Il romanzo offre una possibilità di immedesimazione tale da inchiodare il cuore del lettore alla pagina: si può fare riferimento a Madame Bovary (1856) di Flaubert, romanzo nel quale Emma, la protagonista, crede di poter intraprendere col marito una vita in grado di soddisfare i suoi bisogni e saziare i suoi desideri, suscitati da anni di letture di romanzi. La passione sfrenata per la narrativa d’invenzione diventa uno degli elementi più singolari della modernità. La finzione letteraria è a quell'altezza cronologica il passatempo ideale, uno svago accessibile a molti. Le imprese editoriali cominciano ad avvalersi della collaborazione di figure professionali: i consulenti editoriali, i lettori di professione e i direttori di collana, che sono responsabili della selezione degli autori da allineare in una raccolta specifica di titoli riconoscibili per determinare peculiarità. Le copertine assomigliano ai volti delle persone: o ci ricordano con forza una gioia vissuta, oppure promettono un mondo felice a noi del tutto sconosciuto. Per questo motivo ci sentiamo affascinati dalle copertine dei libri: “è come se guardassimo i volti delle persone”. RIFIUTI D’AUTORE: Il mestiere dell'editore consiste sostanzialmente nel rifiutare la maggior parte delle proposte, e quindi nell’arte di scoprire, nella selva dei titoli possibili, i pochi necessari. A volte, però si scelgono opere sbagliate e si fanno sfuggire veri e propri talenti. Gli editori sono sottoposti a pressioni di vario genere come quella dell'effettiva riuscita commerciale, da cui dipende il futuro stesso dell'impresa. (Le grandi case editrici dispongono di un archivio, in cui si trovano tutti i giudizi di lettura scritti da lettori di professione che prima erano scrittori, che si mettevano a servizio degli editori x offrirne consulenze). E' possibile fare 2 riferimenti alla storia editoriale italiana: si tratta di 2 solenni bocciature, che riguardano Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Guido Morsellino. Il capolavoro di Tomasi, ossia il Gattopardo, sarà rifiutato da Elio Vittorini, dalla casa editrice Mondadori e anche dall’Einaudi. Il romanzo di Tomasi, vedrà la luce nel 1985 per i tipi di Feltrinelli, grazie all’intuito di Giorgio Bassani. Morselli: il suo romanzo Roma senza papa, vedrà la luce dopo la morte dell'autore (1974). Riguardo all'incomprensione del mondo dell'editoria nei confronti di Morselli, Manganelli sostiene che i lettori delle case editrici erano preparati a uno scrittore tradizionale, realista o allo scrittore di allucinazioni, di avventure psichedeliche, ma non lo erano per questo signore che raccontava eventi futuri, riscriveva la storia, o fantasticava istanti mai esistiti. Tra quelli che leggeranno e bocceranno le opere di Morselli, vi è anche Italo Calvino. - GIUSEPPE PONTIGIA: Lettore di casa editrice: è un racconto sul mestiere del lettore di professione che funge da apologo, xke ci fa capire come spesso si commettono errori enormi. In questo racconto troviamo l'editore che dice al suo lettore di profess di informarlo su cosa ne pensa di quei libri che stava leggendo: sulla scrivania di questo lettore, oltre i dattiloscritti proposti, va a finire la nuova traduzione del romanzo: Delitto e castigo di Dostoevskij. Il lettore di profess non se ne accorge, lo legge come proposta di un romanzo, e quando va dall'editore sostiene che quel dattiloscritto contiene aspetti interessanti ma che l’autore doveva ancora maturare. Quando l'editore sente dire ciò non riesce a comprendere, in quanto l’autore è già morto e l’opera è già un capolavoro e un classico. Dunque la storia dell’editoria è anche la storia degli errori fatti da editori, lettori di profess, direttori di collana e così via. (anche il signore degli anelli viene rifiutato dagli editori). CAPITOLO 3: SCRITTORI MAGGIORI E MINORI IL CANONE INIQUO E IL DEMONE DELL’INSUCCESSO: Il grande medievista Curtius nel 1948 scriveva che “occorre saper dimenticare molte cose, se si vuole conservare ciò che è essenziale”. Tra le molte cose dimenticate c'è però tanto da recuperare: sono troppi infatti gli autori condannati alla condizione di minori, sacrificati sull'altare del canone, in nome di un gruppo ristretto di scrittori ritenuti maggiori. Autori minori, quelli che secondo Giulio Ferroni rappresentano il tessuto connettivo della storia della letteratura, il più ampio e conflittuale universo di gusto, idee, di sensibilità entro cui si sono sviluppati i grandi classici. GENO PAMPALONI: Ha affermato che la letteratura non ha un'unità di misura oggettiva poiché le opere vivono ritorni ed oblii, e ciò è parte non trascurabile della storia della letteratura, che si intreccia con la storia del gusto e della società. Se, infatti, provassimo ad intrecciare la storia della letteratura con la storia del gusto e della società non faremmo altro che intaccare la monoliticità del canone, frutto sempre di un atteggiamento che oscilla tra l’autoritarismo e lo spirito guerresco. Seco do Harold Bloom, lo spirito guerresco è insito nelle opere che competono per entrare nel canone, che è divenuto una scelta tra testi in lotta tra loro per la sopravvivenza. Il 900 letterario sembra voler respingere a tutti i costi qualsiasi idea di regola e norma: di questo se ne era accorto Alberto Savinio, quando definiva il secolo appena trascorso come quello in cui si perpetrava la “fine dei modelli”, in cui l’uomo, sperimentava la sua disperata solitudine, trovandosi per la prima volta nella necessità di inventare tutto da sé e di agire in condizione di libertà. Dunque fine dei modelli, da intendersi come la fine dei canoni, se è vero che il canone isola valori, esempi e modelli dotati di un'autorità metastorica. La verità è che ci sono minori e minori, nella storia letteraria novecentesca: minori che sono davvero tali, e altri condannati a una subalternità a causa della disattenzione di certi critici, il contesto storico in cui le opere in questione hanno visto la luce, la predisposizione personale degli autori all’eremitaggio fisico e spirituale. (Il 600 è presidiato da Gian Battista Marino: il suo esempio conduce alla creazione del movimento del marinismo, in cui ispira altri scrittori a scrivere poesie col suo stesso stile, ma purtroppo non ha lo stesso spazio che viene dedicato agli altri scrittori nei libri scolastici. Spesso l'esclusione di un autore, considerato come minore, ha dietro una spiegazione diversa: cioè alcuni autori vengono marginalizzati non tanto xk minori, bensì xk diversi e magari possono diventare “pericolosi”). Nell'ambito degli scrittori secondari, un caso molto particolare: quello di certi autori che non avrebbero voluto rimanere minori, come hanno spiegato Flaiano, Calvino e Pirandello. Calvino, ad es, aveva confidato a Guido Fink che da giovane la sua aspirazione era diventare uno “scrittore minore”, perché erano sempre quelli detti minori, che gli piacevano di più, e poi aggiunse che questo criterio era già sbagliato, perché presuppone che esistano dei “maggiori”. MANGANELLI: Sostiene che l'insuccesso è una bestia nera x chi pratica la scrittura creativa, ed è ambiguo perché non sappiamo mai immediatamente che cosa significhi, se la cecità che comporta venga da eccesso o da assenza di luce. (Il canone si forma grazie agli specialisti della letteratura, ai critici o lettori di prof. Gli autori che noi studiamo a scuola sono contemplati dal canone scolastico, cioè quegli autori che si pensa non si possano studiare x garantire una formazione più completa possibile. Il perbenismo scolastico a volte censura gli argomenti e gli autori xk vengono definiti poco formativi e dunque poco scolastici, infatti, spesso i libri scolastici sono costruiti sulla base della falsificazione, della menzogna che porta ad escludere autori che sono invece da prendere in considerazione. Un canone non è solo un insieme di titoli, opere letterarie o autori, ma attraverso il canone è possibile farsi un'idea della nostra appartenenza a un'identità nazionale. Il canone solitamente x definizione è rigido e monolitico, e a volte può risultare iniquo xk sacrifica autori che potrebbero stare accanto a quelli canonici e aiutarci a comprendere certe cose. Oscar Wild sosteneva che occorre togliere il necessario e lasciare il superfluo, xk a volte ciò che consideriamo poco importante può rivelarsi fondamentale. Ci sono autori che sembrerebbero x definizione “anti-canonici”, come ad es Tozzi che è uno scrittore inospitale e sgradevole x il lettore. Gli scrittori vengono definiti tali quando escon dagli schemi del canone, e non seguono le linee guida x scrivere versi. CAPITOLO 4: PAGINE TRASPARENTI, SCRITTURE INVISIBILI IN DIFESA DEL CANONE MONOLINGUISTICO: Secondo Gianfranco Contini (critico e filologo del 900), dal 300 in poi, gli scrittori fanno muovere la scrittura immaginativa: quella del plurilinguismo e quella del monolinguismo. Plurilinguismo: si intende la compresenza di più registri linguistici in un unico testo, una vera e propria varietà del linguaggio. Dante si comporta come un grande fotografo, che se ne va in giro per il mondo e osserva tutto, mettendo a fuoco persone, fermando sulla pellicola linguistica anche gli stati d'animo. La sua pronuncia di volta in volta può essere lirica, drammatica, epica, in quanto egli distorce la lingua di cui dispone, per ottenere gli effetti sperati. (Dante veniva definito come “scrittore onomaturgico” poiché laddove non trovava una parola la inventava lui, in quanto il volgare era una lingua non ancora definita). Monolinguismo: tendenza che fa capo a Petrarca (poeta canonizzato da Pietro Bembo, in quale censurava la lingua di Dante), poeta monocromo dal momento che la sua pronuncia non affronta aspetti molteplici della realtà, ma preferisce limitare la sua visione e meditare su se stesso. E' Laura, la donna amata, il punto di vista attraverso il quale passa il mondo interno, ella è il suo punto di arrivo, in essa tutto coincide e tutto si chiude. Da Dante a Petrarca dunque si snodano queste 2 possibilità linguistiche e stilistiche, attraversando tutta quanta la storia letteraria italiana sino ai nostri giorni. (Entrambi utilizzano il volgare, lingua del 200 e inizio 300). Il modello del pluri, da Contini privilegiato, si è imposto nella storia della critica quale paradigma vincente: in nome di una scrittura che attinge alle lingue più diverse, tocca i livelli diversi dell'esperienza, puntando alla varietà dei toni e dei registri stilistici. Di conseguenza, al monolinguismo si è guardato come una soluzione troppo misurata, costante nel suo diagramma, avvitata su se stessa e superficiale. Ma una pagina trasparente o una scrittura invisibile, non sono sempre sinonimi di incapacità linguistica, di ristretta visione del mondo e delle cose. AI contrario: quando un autore riesce a fare della sua pronuncia una sorta di vetro attraverso il quale osservare i fatti che accadono, trasformando la propria penna in una finestra sul cortile del mondo, solo allora si verifica il prodigio inatteso. Questo consente di tracciare un nuovo paesaggio letterario e di proporre un canone iniquo, rispetto a quello che oggi va per la maggiore. Il canone iniquo cui si vuol dar forma si muove in direzione contraria rispetto all’espressionismo continianio e dunque si propone un canone iniquo contro il plurilinguismo e a favore di un certo monolinguismo. Si, perché c'è mono e mono, ed è quello che cerca di spiegare Pasolini: quello in cui è possibile inserire Calvino e quello che si può ricondurre a Cassola o Flaiano. In Calvino la semplicità era più che altro “rassicurante semplicismo” e la sua trasparenza alla fine si risolve, quasi sempre, in monotonia, in tonalità uniforme e grigia, che vuole nascondere qualcosa, sotterrando emozioni e allontanando certe vertigini. (Zona grigia: Secondo Levi è la zona in cui si può scendere a compromessi, una zona di confusione, etica e ideologica, ma è anche legata al rapporto tra scrittori maggiori e minori). SCRITTORI DELLA NOSTALGIA LINGUISTICA: Si trovano a un livello più prossimo alla linea media del monolinguismo, troviamo scrittori che possono essere chiamati della nostalgia (linguistica) come Cassola e Bassani. Essi mescolano allo stile sublimis, una lingua parlata come lingua dei padri (borghesi), un italiano che presenta una normalità poetica. Pasolini passa poi a Soldati: il rapporto di Soldati con quell'italiano medio, per esempio, è di accettazione fondamentale di esso in quanto lingua dell’800. Pasolini accenna a Moravia, che disprezza la lingua borghese, da una parte, mentre dall'altro ha una sorta di rispetto infantile e scolastico per la lingua come per un meccanismo normalmente funzionante. In difesa della pronuncia piana, cristallina, della scrittura letteraria di quegli autori che non hanno compromesso la loro lingua col serbatoio dialettale, Carlo Cassola afferma che: il dialetto è una lingua viva, al contrario della lingua quest’ultima, accanto a Cuore e Pinocchio, rappresenta uno dei massimi prodotti della società italiana del secondo ‘800. CAPITOLO 6: IL GRUPPO HA SEMPRE UN FONDO DI STUPIDITA’ CONTRO LE AVANGUARDIE: Il 900 è il secolo delle avanguardie. Il futurismo nasce il 20 febbraio 1909, quando Marinetti pubblica a Parigi, su “Le Figarò”, il primo Manifesto: che fa trasparire chiaramente la vocazione cosmopolita del movimento. NEOAVANGUARDIA: Nota anche col nome di Gruppo 63, proprio perché in quell’anno si solidifica ufficialmente nei locali dell'hotel Zagarellla, a pochi chilometri da Palermo. L'avanguardia, vecchia o nuova, svolge una funzione anticipatrice e rivelatrice: si comporta come un reparto avanzato e proiettato in direzione del nuovo, volgendo le spalle ai classici e alla tradizione. Alla propaganda incalzante (Manifesto), non fa però seguito una produzione letteraria di rilievo, capace di far proprie le esigenze espresse dagli animatori del movimento. A proposito dell’avversione nei confronti del passato e del serbatoio della tradizione espressa dal movimento avanguardista, Leonardo Sciascia si espresse duramente in un articolo pubblicato sul “Corriere della Sera”, intitolato Ele arti vogliono divertirsi: “Uno dei paradossi delle avanguardie è quello che alla prima, fondamentale dichiarazione di non avere antenati e di essere figli di nessuno, fanno più o meno immediatamente seguire una ricerca frenetica di paternità e di genealogia”. L'insofferenza per l'avanguardia letteraria era probabilmente dettata dalla sua formazione, segnata fortemente dalla prosa della tradizione sette-ottocentesca, francese, russa e inglese. Secondo Scascia, infatti, la grandezza di Picasso non sta, nell’avanguardia ma nella tradizione: egli non guardò all’avvenire ma al passato, a quel che era stato fatto e che lui, non poteva più fare. (Poteva soltanto disgregare, scomporre, deformare). L'innovazione vera, per Sciascia, non può non tener conto della tradizione: prendere posizione contro la tradizione significa, per gli avanguardisti, muoversi in direzione contraria rispetto alla chiarezza. GOFFREDO PARISE: Considerava la scrittura come “servizio pubblico” e sosteneva che non è difficile scrivere chiaro, e soprattutto naturale. Tutto dipende dalla forza del sentimento che ti spinge a comunicare con gli altri uomini, e poi dall'uso della parola detta o scritta. Per portare avanti queste battaglie ha sempre fatto leva, l'avanguardia, sul numero: le ragioni del gruppo contro quelle dei singoli. A questo proposito Alfonso Berardelli scriveva che chi entra a far parte di una compagine diventa più forte e più sicuro di sé: infatti i moderni gruppi di avanguardia si comportano come guide politiche di quello che dovrebbe o potrebbe essere un movimento artistico di massa. Pasolini sostiene che i letterati d'avanguardia si presentano per l’unica cosa che essi sono e che vogliono essere: ossia dei vecchi piccoli borghesi, riuniti secondo la tradizione del gruppo. Dal canto suo Umberto Eco ha affermato che nel senso organizzativo del termine, il gruppo non è mai esistito; si è trattato piuttosto di una comunità. UMBERTO ECO: Ha illustrato la distinzione tra sperimentalismo, che “gioca sull'opera singola, da cui chiunque potrà estrapolare una poetica”, e avanguardia che invece gioca sul gruppo di opere o di non- opere, alcuna delle quali non sono che meri esempi di poetica. CAPITOLO 7: LIBERARSI DELLA PROPRIA IDENTITA’ LA LETTERATURA NEI PANNI DEGLI ALTRI: La scrittura immaginativa non può che guardare allo straniero, anche solo per stigmattizare la diversità, per arricchirsi e per comprendere meglio le radici dell'identità di chi è in gioco. Da qui la difficoltà di affrontare il rapporto tra letteratura e l’altro (il diverso), ma si potrebbe che questo avvicinamento comincia a prendere forma da 2 racconti: Strano caso del dottor Jekyll e Mr. Hyde di Stevenson e della Metamorfosi di Kafka. Siamo di fronte a 2 casi estremi, in cui l'appuntamento con il nemico, con lo straniero, avviene di volta in volta all’interno del protagonista della storia. Da un lato, c'è il dottor Jekyll che si sveglia accorgendosi che la mano poggiata sul lenzuolo non è la sua, ma quella pelosa di Mr. Hyde; dall'altra, troviamo Gregorio Samsa che si desta da sogni agitati trovandosi trasformato, in un enorme insetto immondo. Si potrebbe a questo punto dire che le cose più terribili, le avventure meno immaginabili, possono cogliere chiunque nel posto più rassicurante. Kafka e Stevenson ci portano a indagare le ragioni del doppio, che in letteratura annuncia una particolare epifania del diverso, come se fosse l'estraneo che ciascuno di noi cova dentro. L'oggetto di questo discorso, vuole avviare una ricognizione del rapporto tra la scrittura creativa e l’alterità: in questo caso, possiamo fare riferimento all'autore contemporaneo Pamuk il quale scriveva che “lo scrittore che si chiude in una stanza con i suoi libri e intraprende un viaggio dentro se stesso scoprirà l'abilità di raccontare la propria storia come se fosse la storia di un altro e la storia di un altro come se fosse la propria”. Pamuk sostiene che è possibile scrivere romanzi immaginando i personaggi in situazioni simili alle nostre, poichè i meravigliosi meccanismi dell’arte del romanzo servono allo scrittore per offrire a tutta l'umanità la propria storia come se fosse la storia di un estraneo. Ecco, l’arte del romanzo è il talento di raccontare la propria storia come se fosse la storia degli altri. GLI ALTRI DIVENTANO “NOI” E NOI “GLI ALTRI: La storia del romanzo è la storia di una liberazione: mettendoci nei panni degli altri, usando l'immaginazione per liberarci della nostra identità, liberiamo noi stessi. (Romanzo: il tentativo di liberarsi della propria identità). DANIEL DEFOE: Nel suo romanzo Robinson Crusoe, ad un certo punto il protagonista registra la presenza di un estraneo, scorgendo con sorpresa un'orma sull’isola deserta. L'incontro con lo straniero, col diverso, con l’altro sconvolge la serenità di Robinson e fa crollare le sue certezze. La natura di questo incontro sconvolgente l'ha spiegato Marcel Schwob nelle Porte del sogno: si tratta di uno degli incidenti più terrificanti della letteratura ALBERT CAMUS: Il titolo del suo romanzo Lo straniero, il titolo allude alla condizione di estraneità nei confronti di sè stesso provata dal protagonista e si adatta al modo in cui gli arabi vengono rappresentati: con la loro identità trasparente, meglio volutamente ignorata. La presenza degli stranieri è quasi sempre una presenza che minaccia gli equilibri, e altera i rapporti di forza; sono da temere, perché gli stranieri hanno un loro codice comportamentale, le loro credenze, e soprattutto la loro lingua, che spesso risulta incomprensibile. Per i greci, infatti, i barbari erano gli stranieri che non sapevano parlare la lingua greca e, con l’arrivo dei persiani, la parola barbaro acquista immediatamente un significato negativo, si fa sinonimo di incivile, di selvaggio e di arretrato. UOMO DELLA FOLA (POE): In questo romanzo Poe mostra che il diverso, l'altro, l'estraneo, può far paura pur non appartenendo a una stirpe diversa: può essere uno qualunque che passa per la strada in mezzo a tanta altra gente. Lo sconosciuto provoca nella voce narrata curiosità e insieme attrazione e rigetto: è una sorta di condanna metafisica che grava sullo sconosciuto, specie quando questi mostra delle peculiarità tali da farlo apparire unico. Si sente calamitato da quell’individuo, dalla straordinarietà della sua fisionomia e dal modo in cui veste e cammina. Quando la diversità è così marcata, mette in moto i meccanismi della paura e del pregiudizio, e addirittura si può diffidare dell'altro, anche se non ha un'entità certa. Si può temere uno sconosciuto, senza nemmeno averlo visto. TODOROV: Secondo egli, i romanzi non ci forniscono una nuova forma di sapere, ma una nuova capacità di comunicare con esseri diversi da noi. Ma attenzione: tutto questo può accadere solo se si rinuncia, una volta per tutte, agli sterili giochi formali, agli egocentrismi, solo se si torna a leggere i testi per capire meglio noi stessi, il nostro rapporto col mondo ma soprattutto con gli altri. (Anche Cesare Pavese pensa questo). CAPITOLO 8: AVERE UN POCO DI MISERICORDIA LETTERATURA DELLA COMPASSIONE E DELLA COMPRENSIONE: L'irrompere della misericordia porta inquietudine e scompiglio, quasi sempre apre le porte allo scandalo, come afferma il curato di campagna del romanzo di Bernanos (Diario di un curato di campagna) “c'è un tempo per la misericordia e un tempo per la giustizia”. Misericordia da un lato, giustizia dall'altro: i due estremi che non si toccano. GUIDO MORSELLI: Autore di Roma senza papa, sostiene che la problematica è da ricondurre alla vera unica urgenza, ovvero Dio e il male, dunque al contrasto apparentemente insanabile tra la realtà del male e la realtà di Dio. Il mistero della fede non è una “tenebra uguale e compatta”, in verità “zone di luce e zone di ombra si contrappongono e si alternano”. NATALIA GINZBURG: Nel suo romanzo Sul credere e non credere in Dio, l'autrice accosta la parola “tenebra” a Dio e scrive che chi crede, le rare volte che pensa Dio ha l'impressione di spalancare gli occhi su una tenebra totalmente fredda e deserta, dove il mondo ruota e ronza come un insetto dormente del suo inutile sonno. Si muove nel suo saggio attorno alla questione delle questioni, scrivendo che “ chi crede non ha le idee chiare riguardo al bene e al male, esattamente come chi non crede. Entrambi guardano il bene e il male serpeggiare e inseguirsi in una trama così sottile e confusa, che a fissarla vengono le vertigini”. Poi appare la sagoma di Giobbe, il quale afferma che è come se Dio volesse sperimentare la pazienza dell’uomo e in qualche modo arricchire la sua anima di dolore. Quasi sempre in letteratura l'epifania della misericordia necessita di uno scenario caratterizzato dal dolore e dallo strazio del corpo. Insomma, l'uomo è destinato a soffrire, il corpo è un fardello patologico, ogni respiro è una fitta. “Soffro, dunque sono”, scriveva Morselli. - Ombre fuggevoli: la Ginzburg parla di ombre fuggevoli come segni di una cicatrice: gli uomini possono ripensare alle proprie azioni e sentirne magari il rimorso o la necessità di cambiare idea. Più la cicatrice è profonda più è visibile, al contrario piè superficiale meno è visibile. “Bisogna ricavare che, se Dio esiste, si trova sempre negli istanti e nei luoghi dove uno abbandona il peso plumbeo del proprio essere, quando cioè guarda se stesso come se fosse un altro; guarda il suo prossimo come il suo prossimo: e guarda Dio come Dio”. La Ginzburg, scrittrice che della comprensione e compassione ha fatto una sorta di lanterna cieca per inabissarsi nei meandri dell’uomo, per illuminare non solo le ragioni del credere e non credere, ma anche la dinamica dei sentimenti umani, mai perdendo di vista l’altro da sé. 1 Rapporti umani: in questo scritto di ella, ad un certo punto si legge: Come amare il nostro prossimo, che ci disprezza e non si lascia amare? E come amare noi stessi, spregevoli e pesanti e tetri come siamo? Ma può esserci per l'autrice, un breve momento in cui è possibile trovare un equilibrio alla nostra vita oscillante, un momento segreto in cui osservare il prossimo con uno sguardo sempre giusto e libero. | rapporti umani, i sentimenti umani per la Ginzburg si devono riscoprire e reinventare ogni giorno, occorre ritornare a quel momento segreto, ossia all'istante e all'ombra fuggevole. DOSTOEVSKIJ: “La misericordia è la più importante e forse l’unica legge di vita di tutta l'umanità”. Misericordia da intendere come “amore che trabocca”, come se fosse un’inondazione, un fiume che invade i secoli. Questa sarebbe la vera immagine di Dio, che si riversa sugli uomini. Turoldo prova a recuperare al vocabolario cristiano un termine (misericordia), ormai sempre più snaturato da coloro che pensano sia finito il tempo della carità, e ti assalgono con la loro esigenza di giustizia. Secondo Turoldo, la prima e vera giustizia è amare, “altrimenti tu non salvi l'uomo ma lo distruggi”. “Più vuoi la giustizia più dovresti cercare l’amore”, scriveva il poeta religioso. EMILE CIORAN: Dalla parte opposta troviamo il ribelle Emile Cioran, il quale scriveva che la pietà e la consolazione non solo non servono a niente, ma sono anche offensive. “E poi, come compatire l’altro quando soffriamo infinitamente noi stessi”. L'epilogo di questa pagina di Cioran è una pietra tombale: in questo mondo, nessuno è mai morto per la sofferenza altrui. L'altro non è solo da riferire all'uomo, perché l’altro è la “vita vivente”. ANNA MARIA ORTESE: A questo proposito, l'autrice di Il mare non bagna Napoli scriveva che se è giusto che la vita vivente sia dunque considerata “con rispetto e compassione”, uomini e animali sono per la Bibbia ugualmente anime viventi; La Ortese non comprende” che cosa significhi la parola uomo quando essa non esprime quella capacità entire anche il dolore o il diritto di qualsiasi vivente. Ella si chiede per à quale ragione la Chiesa si ostina a credere che gli animali possano e debbano sopportare tutto: “miriadi di agnelli sgozzati venerdì o sabato santo, i macelli, gli allevamenti”. L'autrice scrive che in certi casi si dovrebbe avere vergogna di pronunciare con reverenza la parola uomo, perché con reverenza va pronunciata solo la parola compassione, rispetto e soccorso della vita. questa una bella storia; con una avvincente peripezia, da tener desta l'attenzione fino all'ultimo minuto; e una storia a lieto fine, che sempre il gran pubblico richiede dell’arte. Ed era una storia di mare, storia di piraterie in quegli oceani remoti. Italo Calvino cerca in qualche modo di riscrivere il capolavoro di Stevenson; nel suo romanzo Il sentiero dei nidi di ragno: lo fa mettendo al centro delle vicende narrate un bambino, come il protagonista dell'Isola. Il sentiero dei nidi di ragno è un romanzo d'avventura. Calvino preferiva la prima parte del romanzo, quella in cui il meccanismo dell’avventura non è ancora scattato, quella in cui regna l'attesa. Nelle pagine di Steve l'arte di raccontare coi mezzi più semplici tocca a una delle sue più alte vette mondiali, e il fatto che si usino ingredienti narrativi logori (il vestiario, il portamento e le mutilazioni dei pirati) non fa mai perdere quel sapore genuino d'Inghilterra tra mare e campagna che circola per ogni pagina. In realtà i mezzi narrativi di Stevenson erano già stati additati da Marcel Schwob, che in un saggio scrisse: Ma perché il racconto stesso possiede quella particolare intensità che non ci permette di posare un libro di Stevenson nel momento in cui l'abbiamo preso in mano? Credo che il segreto di questo potere sia stato trasmesso da Daniel Defoe a Edgar Poe e consiste essenzialmente nell’applicazione ei mezzi più semplici e reali ai soggetti più complessi. L'illusione di realtà nasce dal fatto che gli oggetti che ci vengono presentati sono quelli di tutti i giorni; la forza dell’impressione deriva dal fatto che i rapporti tra questi oggetti familiari sono improvvisamente modificati. Qui Schwob va oltre Calvino, affrontando il problema dell'illusione di realtà che caratterizza certe pagine di Stevenson. Il realismo di Steve è perfettamente irreale, e proprio per questo onnipotente. L'onnipotenza della prosa di egli, quella dell'Isola del tesoro per intenderci, deriva dalla sua genesi ludica. Giocando con il figliastro in un giorno di pioggia di fine estate nel 1881, Stevenson casualmente disegnò un'isola e cominciò a fantasticare. In tal modo nasce, per gioco, L'isola del tesoro: mai come in questo caso, il divertimento dell'autore coincide con quello del lettore. L’opera si può definire perfetta come un gioco da ragazzi ben giocato. Talmente perfetta, da indurre Sciascia a scrivere una specie di dichiarazione d'amore. L’Isola del tesoro, era una lettura, che era quanto di più si poteva assomigliare alla felicità. Stevenson nel saggio dal titolo La casa ideale sognò tra le meraviglie della sua casa uno spazio in soffitta per le battaglie dei soldatini di piombo. Nella casa di uno scrittore, dunque, uno spezio per il gioco va considerato. Divertimento che però non esclude la paura: aveva ragione Nabokov quando scriveva che un libro va letto con la spina dorsale. Un libro è un catalizzatore di brividi. Il contenitore col doppio fondo di avventure e imprevisti. Ha scritto sempre Marcel Schwob: “I due incidenti più terrificanti della letteratura sono la scoperta da parte di Robinson dell'impronta di un piede sconosciuto nell'isola e lo stupore di Jekyll, nello scrivere che la sua mano, al risveglio, poggiata sul lenzuolo del letto, è diventata la mano pelosa di Ms. Hyde.” Si tratta di un sentimento di mistero insormontabile. Poco prima di morire, Stevenson era sceso in cantina a prendere una bottiglia di borgogna, l'aveva stappata in cucina e aveva gridato alla moglie: “Che mi succede? E' cambiata la mia faccia?” E cadde sul pavimento. Un vaso sanguigno era scoppiato nel suo cervello e in un paio d'ore era finito tutto. C'è un curioso collegamento tematico tra quest'ultimo episodio della vita di Stevenson e le fatali trasformazioni del suo mirabile libro. Il cerchio si chiude e tutti i conti tornano. CAPITOLO 11: LE PAROLE CHE ATTRAVERSANO I CONFINI CENTRALITA’ E MARGINALITA’ DELLE LETTERATURA COMPARATA: Le letterature nazionali non significano più molto, si avvicina l'epoca di una letteratura universale. Alla fine del 18esimo secolo, vide la luce un’idea di letteratura comparata (comparatistica) ancora embrionale. Si trattò di una sorta di reazione contro quella nuova categoria chiamata nazione. Nazione intesa come un concetto limitato, poiché implicante uno spazio geografico preciso, una religione, una razza, un linguaggio, una cultura e una letteratura. Tutto ciò in pratica comportava il riconoscimento e la convinzione della superiorità della propria letteratura sulle altre. Fu proprio in questo periodo che, in seguito alla crisi dell'eurocentrismo, alla tensione tra locale e universale, cominciò a circolare il termine letteratura comparata (disciplina che studia i rapporti tra letterature in diverse lingue), erroneamente confuso però con quello di Weltliteratur, la letteratura del mondo. Entrambe le espressioni venivano utilizzate sinonimicamente, ma implicavano fenomeni diversi. La Weltliteratur, dunque, veniva banalmente intesa come un corpus unitario e stabile di capolavori letterari provenienti dai più eterogenei ambiti culturali. In realtà le varie letterature nazionali, secondo Goethe, sarebbero il prodotto di abilità umane comuni e perciò avrebbero dei tratti che si collegano l’una all'altra attraverso un reticolo di complicate relazioni. La comparatistica, designa più di un approccio indicativo di qualsiasi analisi o studio che superi i limiti di una letteratura nazionale; più una metodologia dello studio comparato delle letterature del mondo che attraversa frontiere, supera confini. La comparazione tra letterature è un processo pre-disciplinare, interdisciplinare e transnazionale. Nel primo caso è un'operazione mentale che consiste tra 2 o più elementi, dirigendosi verso l’investigazione sia delle similitudini che delle differenze. Implica un modo di riferirsi all’Altro, decentrando il proprio Sé attraverso la continua interrogazione delle proprie certezze. L’interdisciplinarietà è una modalità di ricerca di gruppi o individui che integra informazioni, dati, tecniche, concetti e teorie da 2 o più discipline. Il suo obiettivo consiste nel raggiungere una visione d'insieme. La letteratura comparata, è sia la più naturale che la più costruita delle attività intellettuali. Non c'è un testo nella storia che sia veramente autosufficiente. Il confronto non si verifica solo dopo l'evento nella mente dello studioso, ma anche già durante il processo di composizione nella mente dello scrittore. L'intertestualità (Joyce che incorpora la struttura omerica di di composizione nella mente dello scrittore. itertestualità (Joyce che incorpora la struttura omerica dell’Odissea nel suo Ulisse), è un'altra forma di confronto, in cui il significato emerge dall'interazione tra i testi. Tutti i testi, sono costruiti attraverso “l’assorbimento e la trasformazione di un testo in un altro”. Ogni pezzo di scrittura è, anzi “si costruisce come un mosaico di citazioni”. Nell'era multimediale l'intertestualità si è evoluta in un termine più diffuso e metaforico che comprende qualsiasi tipo di riferimento da un testo all’altro. Come modello per la letteratura comparata, l’intertestualità offre una tela più ampia di influenza, poiché mette in evidenza la relazione di un lavoro con un altro e i modi con cui apprendiamo il senso di questa relazione attraverso i quadri preesistenti. La transnazionalità implica un approccio che sconfina le strutture delle nazioni, implicando una rete di interrelazioni sociali e testuali. Il transnazionalismo funziona come monito contro il confronto, contro la sua complicità coloniale e la tendenza ad applicare i pregiudizi nazionali a livello internazionale. Connesso a ciò è l'interesse per le forme di multilinguismo. La letteratura tende a ridurre regioni e continenti in una lingua dominante. La ricerca comparatistica si spinge oltre la semplice bipartizione tra lingue nazionali e straniere, locali e coloniali, nonché di tenere conto sia dei testi scritti che di quelli orali. Guardare la letteratura in modo comparatistico è rendersi conto di quanto può essere appreso guardando oltre l'orizzonte della propria tradizione. In un'epoca segnata dalla migrazione, dal rifugio del monolinguismo e nel monoculturalismo dall'altro, l'agenda interculturale della letteratura comparata è diventata sempre più centrale per il futuro degli studi umanistici. Fare letteratura comparata significa affermare che aree specifiche della letteratura globale meritano attenzione. La sua unica ortodossia è la diversità, il tentativo di incorporare altre prospettive rispetto alla propria. La letteratura comparata si è frammentata in una gamma di discipline concorrenti; tra cui gli studi culturali, il postcolonialismo, le letterature migranti e della diaspora, la traduttologia. Gli studi culturali costituiscono un settore disciplinare eterogeneo e con molti aspetti. Essi videro la loro comparsa in Inghilterra quale risultato di una società bisognosa di un senso di cultura sempre più ampio. Nell'era dell’appiattimento delle gerarchie culturali, un testo può essere designato in più modi. Il suo status non dipende infatti dalle sue qualità ma gli viene assegnato dal modo in cui e attraverso cui viene percepito. La lunga marcia del postcolonialismo cominciò a prendere campo in seguito alla dissoluzione dei maggiori im peri europei, quali: Africa, Asia, America latina in cui le potenze in ritirata hanno lasciato un'eredità culturale contestata. Il classico problema del postcolonialismo è quello dell'autonomia, nel senso morale e culturale oltre che politico. Il ritiro di un potere imperiale lascia dietro di sè una mescolanza disordinata di costume locale e “mimica” coloniale, una situazione che si aggiunge, naturalmente, al semplice fatto di dover scrivere in una lingua importata. Non c'è dubbio che il medium distorca inevitabilmente il messaggio. Da un punto di vista comparatistico tutto ciò risulta naturalmente affascinante. L'identità di una nazione, la sua cultura e ovviamente la sua letteratura non dipendono dalla storia del precoloniale, ma dalla resistenza materiale e intellettuale di un popolo contro il dominio coloniale. Rivendicando la conoscenza dell'Oriente, gli europei implicitamente affermano la loro autorità su di esso. Come modello di letteratura comparata, l'’orientalismo critica così l'idea stessa di confronto in quanto basata su un palese squilibrio. La emersione di nuove fisionomie cuturali dimostra come le storie e le culture, rifiutando ogni tipo di segregazione, si intromettano costantemente nel presente, per reclamare altre forme di scambio. La letteratura comparata del XXI secolo attinge a tutte queste discipline e ad altro ancora. La comparatistica presuppone sempre un momento di confronto, e allo stesso tempo è centrale e marginale; è centrale perché si basa su quasi tutte le discipline umanistiche; è marginale perché non è legata a nessuna singola tradizione e rischia quindi di essere ignorata da ognuna di esse. In un mondo definito dalla globalizzazione e dai suoi scontenti, in una accademia definita sempre più da una maggiore interdisciplinarietà, il confronto sembra essere diventato ineludibile.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved