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Sintesi L'Università in Europa dall'Umanesimo ai Lumi, Sintesi del corso di Storia Moderna

Sintesi completa del volume "L'Università in Europa dall'Umanesimo ai Lumi", di Gian Paolo Brizzi; Jacques Verger

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 30/10/2021

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Scarica Sintesi L'Università in Europa dall'Umanesimo ai Lumi e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! L'università in Europa dall'’Umanesimo ai Lumi. Sintesi Nel Quattrocento e nella seconda metà del secolo successivo il rapporto che si stabilì fra scuole universitarie e umanesimo fu influenzato dal carattere sovranazionale e intrinseco della cultura umanistica che operò come forza centrifuga, incentivando la circolazione di scolari e maestri. Altra spinta fondamentale fu data dalla stampa tipografica che, fornendo in tempi brevissimi rispetto all’epoche precedenti i libri, accelerò i ritmi della trasmissione culturale e ne dilatò i confini. Le scuole italiane furono il volano del rinnovamento culturale, trovandosi direttamente inserite nel centro della cultura umanistica. Le università della penisola costituirono quindi, sia pure con un’intensità diversa l’una dall’altra, il punto di approdo della peregrinatio academica. La più intensa circolazione degli intellettuali incentivò quindi lo scambio delle esperienze scientifiche e la diffusione di nuovi metodi di ricerca. Le cattedre universitarie diventano mezzo di divulgazione delle nuove tendenze intellettuali, i fautori del nuovo indirizzo delineano strategie educative rispettose degli ideali civili. Nei loro confronti l’establishment accademico espresse spesso cautela o, ancor più, diffidenza e sospetto giacché essi non rispettavano i confini delle loro discipline, erano abituati a manipolare le parole e avrebbero potuto un giorno applicare queste arti ai testi dei Padri della Chiesa o alle Sacre Scritture. L’antagonismo che si stabilisce tra umanesimo e la cultura scolastica, riassunto nel sarcastico giudizio che Juan Luis Vives riserva alle scuole della Sorbona (“una vecchia in pieno delirio di senilità”), suscita la reazione del conservatorismo accademico, deciso ad ostacolare il sovvertimento che il movimento umanistico introduce nello statuto e nella didattica delle discipline tradizionali e che guarda con sospetto all’introduzione, nel recinto degli Studi pubblici, del greco, dell’ebraico, delle scienze naturali, delle matematiche, fisiche sperimentali, scienze mediche in generale. Le università erano rimaste istituzioni tipicamente medievali con tradizioni intellettuali e istituzionali forti: erano ancorate alla lectio, alla quaestio e alla disputatio, ciò spiega l’atteggiamento conservatore che spesso emerge di fronte alle innovazioni introdotte dagli umanisti nella vita culturale. Anche per queste ragioni è frequente che il baricentro umanistico si insediasse all’esterno degli Studi pubblici ad esempio nei convitti universitari, nei collegi, promossi proprio per recepire in termini di maggiore libertà il nuovo indirizzo culturale o nelle numerosissime accademie, sia letterarie che scientifiche, che si qualificarono come il fulcro della ricerca d'avanguardia. Questa congiuntura della vita intellettuale modificò la geografia dei grandi centri di insegnamento: accanto alle università tradizionali (Parigi, Bologna, Salamanca, Oxford e Cambridge) se ne affermarono di nuove o aumentò il credito di altre meno famose come la scuola medica di Montpellier o lo studio di Padova. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 1 Importanti carriere scientifiche hanno rapporti solo occasionali con l’ambiente universitario: Copernico, Cartesio vivono ai margini dell’università e ciò parrebbe confermare l’ipotesi che una parte considerevole della vita intellettuale del XVI e XVII secolo non sia riconducibile nel perimetro degli Studi pubblici. A tale proposito va detto però che fra l’insegnante e la ricerca vi era tradizionalmente una separazione, restando il primo affidato a norme e consuetudine didattiche prescritte, mentre la ricerca si svolgeva all’esterno delle scuole universitarie. La doppia veste di docenti universitari e di accademici, comune a molti uomini di scienza, costituiva di per sé un efficace canale di comunicazione fra ricerca scientifica e insegnamento universitario. In generale la didattica universitaria assorbì molto lentamente le conquiste del pensiero scientifico: in molte scuole Galeno continuerà a costituire la pietra angolare per la formazione dei medici, rifiutando le innovazioni propugnate da Paracelso o le idee di Harvey sul cuore e la circolazione sanguigna, mentre nella formazione dei giuristi l’insegnamento dei diritti moderni stentò a penetrare all’interno delle università. L’arcaismo di una certa didattica universitaria fu avvertito e denunciato dai contemporanei ed è su queste denunce che si è spesso fondato il giudizio degli storiografi per decretare il declino delle università connotate da uno stato di decadenza durante tutta l’età moderna. Si tratta di un giudizio che la storiografia più recente ha rivisto e corretto. Bisogna infatti considerare che in alcuni luoghi si verificò una triplicazione delle sedi universitarie: in Spagna tra il 1471 e il 1620 furono create 28 nuove sedi, nei territori dell'Impero ove la frattura religiosa incentivò notevolmente la fondazione di nuove università, vuoi sul versante cattolico (ruolo della Compagnia di Gesù), vuoi su quello protestante (tra il 1527 e il 1650 ne furono create 18). Furono fondate nelle colonie spagnole a Mexico e Lima nel 1551 e anche in quelle inglesi (Harvard 1638). La moltiplicazione delle sedi presenta anche un problema di investimento economico; dopo le esauste finanze pontificie, ora sono chiamati in causa il potere politico, i sovrani delle grandi monarchie, i signori territoriali, gli stati cittadini, la cui politica scolastica, finanziata attraverso risorse fiscali ma anche ricorrendo alla secolarizzazione dei patrimoni ecclesiastici, indirizza il mecenatismo e la carità privata, riversano su università, collegi o ginnasi pubblici, le risorse di patrimoni cospicui. Chi osserva oggi gli splendidi edifici ancora esistenti eretti nel 5-600 per le scuole universitarie - dall’Archiginnasio di Bologna all’imponente chiesa della Sorbona - è indotto a riflettere sul ruolo culturale e sociale assegnato all’università in tale epoca. Trattatisti, teorici dell’educazione, prestarono una crescente attenzione al problema della formazione intellettuale, destinando particolare cura all’istruzione pre-universitaria, rafforzando con ciò la tendenza di L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 2 È in questo conteso che maturano mutamenti spirituali che influenzano profondamente la storia della cultura europea e che si riverberano poi nell’organizzazione della didattica, dei metodi di insegnamento, piani di studio. Con il passaggio dalla cultura dell’età barocca a quella dell’illuminismo, l’evoluzione culturale produsse effetti contrastanti nel campo delle istituzioni culturali e didattiche che oscillarono tra la difesa delle strutture esistenti e il loro radicale mutamento. Continuità e cambiamento apparivano come i due poli dello sviluppo dell’università e queste opposte tendenze, che porteranno del XIX secolo al superamento delle vecchie strutture accademiche, favorirono la dispersione dell’insegnamento in istituti esterni all’università che proponevano curricula innovativi, come le scuole tecniche per ingegneri, quelle per veterinari o le accademie militari. Questo fenomeno si era già manifestato nell'epoca precedente ma fu verso la fine del XVII secolo che queste esperienze raggiunsero l’apice, indebolendo gravemente l’offerta didattica delle università. La staticità dei curricula universitari, l'incapacità di accogliere nuove discipline fecero precipitare la crisi dell’istituzione universitaria. Nel XVIII secolo l’università è afflitta da un progressivo degrado del proprio prestigio intellettuale, si dimostra incapace a reperire le sollecitazioni della congiuntura culturale, subisce la comparsa sulla scena di una nuova figura di intellettuale che rifiuta gli schemi del conformismo didattico e rivendica maggiore indipendenza. Questo giudizio negativo, pecca però di anacronismo poiché il compito primario assegnato alle università resta quello di sempre: fornire e cioè le conoscenze di base di determinate competenze professionali che appaiono peraltro immutabili. Le università d’antico regime paio avvolte in un bozzolo che, nella maggior parte dei casi, ostacola la domanda di rinnovamento: sulla rivendicata libertas philosophandi prevale l’attenzione a non entrare in urto con i principi sanciti dall’autorità politica ed ecclesiastica, si pensi per l’Italia al conflitto fra scienza e fede suscitato dal “caso Galilei” e alla successiva espulsione dall’università di Pisa della corrente materialistica e atomistica filogalileiana, o all’ostracismo opposti dai docenti di diritto delle università francesi ad ogni teoria che mettesse in discussione l’ideologia monarchica e assolutista. Conformismo politico e religioso quindi che riguarda più l’istituzione che non gli uomini che vi operano: questi, sono talvolta protagonisti del progresso scientifico e svolgono la loro opera anche in quelle che appaiono le istituzioni rivali, le accademie, fulcro della ricerca scientifica. In un contesto ove i meccanismi di promozione sociale sono messi in discussione come elementi turbativi della struttura della società, le università conformano il proprio operato in funzione di tali obiettivi che restano immutati finché non viene ridisegnato l’assetto sociale del mondo delle professioni. Il crescente costo degli studi e l'abbandono dei meccanismi compensativi a favore degli studenti poveri da un lato, la L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 5 scelta di istituti elitari da parte degli studenti nobili dall’altro, restringono sensibilmente la fascia sociale dell’utenza. Ciò spiega il graduale depauperamento delle presenze studentesche, nella maggior parte dei casi, subiscono un crollo fra la metà del XVII secolo e la fine del settecento (le immatricolazioni ad Oxford e Cambridge e si riducono del 50% circa del 65% circa nelle università olandesi).non significa necessariamente un abbassamento del livello generale distruzione, ma è piuttosto la risultante della dispersione dell’utenza in una molteplicità di istituti esterni alle università e si combina con il fenomeno della saturazione degli uffici, con il carattere ereditario che prevale nelle professioni liberali ed anche negli uffici ecclesiastici. Un discorso a parte merita la Francia ove invece la popolazione studentesca un incremento: un fenomeno da ricondurre soprattutto ad una persistente pressione sociale per le competenze di tipo universitario, che riporta le facoltà di diritto soprattutto quelle di medicina, le più aperti alle innovazioni (si pensi ad esempio al caso di Montpellier). Questo ripiegamento dell’università su se stessa spiega le critiche che si riservano su questa istituzione e il giudizio storiografico corrente; tuttavia sono evidenti segnali di cambiamento. Nel XVIII secolo cominciano a comparire con frequenza sempre maggiori manuali universitari nelle diverse lingue nazionali. È anche il periodo in cui le donne si affacciano, per la prima volta, nelle aule universitarie, suscitando reazioni contrastanti. I casi registrati restano esemplari ed alimentano una ricca aneddotica. Padova vanta la prima donna laureata, Elena Cornaro Piscopia, a Bologna sono celebrate Maria Vittoria Delfini Dosi e Laura Bassi, che sale in cattedra come docente. Ben presto su queste aperture prevale il misoginismo che continua a permeare le istituzioni universitarie e si dovette anttendere l’età napoleonica e il XIX secolo peri primi significativi mutamenti legislativi nel campo dell’istruzione femminile. Più incisive sono le innovazioni introdotte dall'esterno, quelle promosse dei sovrani riformatori.tra gli indirizzi comuni e diversi piani di riforma possiamo cogliere una chiara volontà di intervenire sui curricula, arricchendo l’offerta didattica con inclusione di nuove discipline che riflettono gli sviluppi in corso nel settore delle cerca scientifica (farmacologia, etnologia, chimica, chimica medica, fisiologia, chirurgia, lingua orientali, storia del diritto, fisica sperimentale ecc.) - anche se talvolta l’innovazione didattica viene come sterilizzata assegnando al nuovo insegnamento il carattere di corso libero, complementare, ed in generale l’innovazione riguarda più le facoltà di medicina che non quelle di diritto - attraverso la creazione di nuove strutture didattiche (biblioteche, osservatori astronomici, giardini botanici, teatri anatomici, collezioni scientifiche) L’attenzione dei riformatori si incentra anche su maggior rigore nella selezione del personale docente, regolare svolgimento dei corsi, controllo delle frequenze studentesche, verifica del profilo negli studi, prescrizione di esami di ammissione all’università. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 6 Se dal Rinascimento in poi il conformismo politico e religioso delle università e la loro partecipazione attiva alla costruzione dello Stato confessionale avevano regolato la natura del rapporto che intercorreva con il potere politico, ora si vogliono trasformate le università in istituzioni pubbliche, istituzioni dello Stato. UNIVERSITÀ E UMANESIMO Il Concilio di Costanza rappresentò un momento decisivo per lo sviluppo della nuova filologia e della retorica oltre le Alpi italiane. Il dibattito religioso e le necessità diplomatiche del momento si trovano connesse con le questioni letterarie: la riorganizzazione del cristianesimo passa attraverso la consulenza preziosa degli esperti intendenti dei testi originali latini e greci da poco tempo tornati alla luce. La riscoperta di questi testi favorisce la nascita di una fitta rete di scambi culturali tra i membri degli alti gradi ecclesiastici e i letterati di professione che avvengono principalmente in un arco temporale di appena 15 anni. Tra tutti questi scambi è sicuramente di grande rilevanza quello tra Leonardo Bruni e il duca Gloucester. Leonardo Bruni era una figura nota non soltanto in Italia ma anche all’estero grazie alla sua versione dell’Etica aristotelica. Tale celebrità culturale sarebbe giunta alle orecchie del duca Gloucester tramite i delegati di ritorno dal Concilio di Costanza. Il duca ammira il Bruni al punto tale da contattarlo e chiedergli di tradurre per lui la Politica aristotelica, oltre ad invitarlo presso la sua corte per avvalersene come segretario. Leonardo Bruni accetta di dedicarsi all’opera, ma rifiuta garbatamente il ruolo di segretario offertogli. Potremmo definire, in virtù di questa vicenda, il duca Gloucester come uno dei primi principi mecenati europei. In notevole anticipo rispetto ai rampolli principeschi italiani votati alle humanae litterae sotto la guida di pedagoghi già ad alta specializzazione umanistica, come Leonello d’Este o i più giovani Visconti; su Gloucester l’etica intellettualistico-retorica dei nuovi dotti inaugurata dal Petrarca viene sperimenta in via diretta, con il suo consenso, e per lo più per il tramite di carteggi innescata dalle richieste di libri e di produzioni con dedica. Se è vero che un simile quadro storico riconducibile indirettamente al rapporto delle humanae litterae con l’università, giacché, come accadrà spesso in tutta Europa fino al secolo successivo nel riassetto umanistico di università esistenti e soprattutto nella fondazione di nuove, la pedagogia esercitata sui principi promuove ben presto un nuovo volto delle scuole di loro giurisdizione, è tuttavia altrettanto vero che la prospettiva disegnata enfatizza la posizione extra se non addirittura antiuniversitaria dell’innovazione umanistica. Interessante è notare come l’innovazione umanistica avvenga fuori dalle aule universitarie. Ma quando e dove comincia davvero l’innovazione umanistica? Sicuramente possiamo collocare l’evento nella nostra penisola durante il XIV secolo e collegare ad esso il famoso nome di Francesco Petrarca. La L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 7 viaggiatore in Oriente nonché con l’attività del collezionista e mercante di libri Giovanni Aurispa, daranno frutti di particolare rilevanza e e indirizzo. Da un canto la buona formazione linguistica acquisita dal Guarino al seguito di Manuele Crisolora dà frutto nelle traduzioni in latino di Plutarco e Isocrate, autori fra i più utili sul versante della pedagogia principesca. Dall'altro, l’impulso filologico si fa tramite, con l’interesse per Plinio il Vecchio, Strabone, i testi greci d’area medica, per un accelerato aggiornamento degli studi naturalistici e cosmografici, che poi rimarranno ricco appannaggio della scuola Ferarrese fra Copernico e Leoniceno. Il capitolo dell’introduzione dei classici greci è collegato invece con una più cosciente istituzionalizzazione scolastica sull’apprendimento linguistico di base e sulle forme adeguate di traduzione e commento dei testi. Inoltre non si deve dimenticare il grande operato del cardinale Niceno, che si impegnò affinché il patrimonio di libri ed idee conservato a Bisanzio ormai sconfitta non andasse perduto. Lasciò a Venezia la sua biblioteca, per farne luogo di pubblica conservazione e studio di una civiltà minacciata da un ritorno di barbarie. Alla metà del XV secolo il panorama universitario-umanistico all’interno dei confini italiani risulta essere molto variegato e vivace, non solo per quanto riguarda la retorica e la didattica grammaticale latina e greca, ma anche in alcuni aspetti degli insegnamenti medici e naturalistico-matematici investiti dal recupero degli auctores antiqui. Accanto al riassetto in direzione umanistica funzionano a pieno ritmo luoghi paralleli accademico- cortigiani che elaborano e trasmettono cultura e determinano a loro volta apprendistato culturale, e anche forme nuove e diverse di occupazione pedagogica. La diffusione della struttura duale si constata, oltre che nella realtà ferrarese e nelle strategia veneta volta a valorizzare cenacoli aristocratici e cancellereschi a Venezia in equilibrio con l’alto livello universitario padovano, nella decisione medica di spostare a Pisa il polo universitario fiorentino per segnalare la probabile scala di valori antiscolastica laurenziana, e invece nella cura di Niccolò V per lo Studium Urbis, complementare a una politica di complessivo rilancio artistico-culturale, cortigiano, bibliotecario, urbanistico della capitale papale. Mentre per i secoli XIII e XIV possiamo parlare di umanisti della prima generazione, a partire dal XV secolo possiamo parlare di umanisti della seconda generazione. Sono questi ultimi a mantenere fra loro scambi epistolari dove si aggiornano sulle scoperte, permettendo alla cultura occidentale la riscoperta di autori e opere fino a quel momento sconosciuti. È grazie a loro che in Francia si radicano gli auctores antiqui negli spazi universitari tradizionali, o che in Germania fanno ritorno giovani intellettuali che L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 10 diffondono l’Umanesimo, grazie al fatto che dalla penisola italiana portano con loro copie dei testi petrarcheschi e dei classici. LE UNIVERSITÀ ITALIANE Nel 1796 un solerte funzionario napoleonico comunicava con stupore ai superiori che a Bologna sopravviveva ancora l’universitas scholarium. La sorpresa derivava dall’aver trovato ancora in vita una realtà che si riteneva definitivamente sepolta nel passato, dal constatare la sopravvivenza di uno spezzone di medioevo che pareva aver superato indenne anche le riforme del secolo dei Lumi. Si trattava di uno stupore di maniera, volto a reclamare l'urgenza di un intervento di riforma su un'istituzione che contava ormai più di sei secoli di vita: ben poche erano le tracce della matrice medievale dell’università alla fine del XVIII secolo. La modernizzazione dell’istituzione universitaria aveva avuto un primo avvio già a. Partire dalla fine del XIV secolo con mutamenti profondi sulle strutture fondamentali delle scuole universitarie, sulla condizione dei maestri e degli scolari, sui metodi didattici e sullo statuto scientifico delle discipline insegnate. Sul piano delle dell’elaborazione culturale era il momento delle humanae litterae degli studia humanitatis, dell’affermarsi di quel grande movimento spirituale, l’umanesimo, che ebbe una patria certa, l’Italia, e luoghi di elaborazione molteplici. Gli effetti sul piano formale dell’organizzazione didattica maturarono lentamente, bisognerà in generale attendere la fine del Quattrocento per coglierne i segni, ma gli Studi pubblici italiani svolsero un ruolo non secondario sia come sedi di elaborazione del nuovo movimento culturale sia per la sua diffusione negli altri Paesi europei. Le università nell’età del Rinascimento Come detto in precedenza le università italiane non restarono estranee alla cultura umanistica del Rinascimento, furono gli aspetti sul piano formale dell’organizzazione didattica che maturarono più lentamente. Il magistero culturale esercitato dagli umanisti all’interno delle scuole universitarie impresse al movimento una dinamica accelerata. Le aule di uno Studio pubblico creavano la possibilità di intessere una fitta rete di rapporti, di rilanciare attraverso gli allievi il proprio magistero in varie contrade europee: condizione non comparabile con quella di una privata adunanza di studiosi, di un’accademia. Si pensi alla breve permanenza fiorentina dello studioso bizantino Manuele Crisolora. Il suo insegnamento pubblico non durò più di tre anni nel corso dei quali redasse una grammatica che, per più di un secolo, costituì il testo fondamentale per l’insegnamento e l'apprendimento della lingua greca nell’intera Europa; L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 11 tradusse in latino la Repubblica di Platone, ma soprattutto richiamo allievi quali Guarino Guarini, Leonardo Bruni, che protrassero e diffusero la sua lezione. Gli strumenti conoscitivi e metodologici che appartenevano all’elaborazione culturale degli umanisti non determinarono solo una moltiplicazione delle discipline insegnate, una maggiore presenza di cattedre di letteratura latina o greca ma misero in discussione l’assetto stesso delle discipline accademiche. Anche quando l’insegnamento degli umanisti non sconfinava decisamente nell’ambito delle discipline filosofiche, la loro attività investiva comunque le altre materie attraverso l’intenso lavoro storico-filologico condotto sui testi greci e latini di carattere giuridico, medico, scientifico. Tutto ciò produsse un progressivo sovvertimento del sapere tradizionale che, partendo dalle humanae litterae, giunse a coinvolgere anche i capisaldi delle discipline accademiche. Insegnamenti medici rafforzarono la propria autonomia; la filosofia della natura concorre ad arricchire la formazione del medico; lo sperimentalismo connota l’opera degli anatomisti bolognesi e padovani. La diffusione dell’umanesimo nelle università italiane fu favorita dalla minore influenza della scolastica rispetto alle università francesi e inglesi. I rapporti che gli umanisti stabilirono con i centri del potere, con le corti, segnarono in modo profondo i caratteri del Rinascimento italiano contribuendo a delineare un nuovo statuto dell’intellettuale, diverso da quello che tradizionalmente operava nelle università. L’Accademia neo-platonica raccolta attorno a Marsilio Ficino costituisce certo l’esempio più illustre che fece delle corti italiane un modello al quale guardarono con ammirato stupore I sovrani dell’intera Europa; il mecenatismo di Cosimo e del nipote Lorenzo era un modo per legittimare l’esercizio stesso del potere: la dittatura culturale esercitata attraverso Ficino, Pico della Mirandola, Angelo Poliziano o al folta schiera di artisti raccolti a Firenze, da Donatello a Botticelli, da Brunelleschi a Michelangelo, era parte integrante dell’arte della politica. Se a Firenze I frutti migliori dell’umanesimo crebbero all’esterno delle aule universitarie-e forse ciò contribuì a determinare il trasferimento allo studio di Pisa della maggior parte dell’insegnamenti che qui erano prima professati - altrove, come a Padova, Bologna oppure Ferrara, troviamo le presenza più qualificate nelle aule degli Studi pubblici. AI di là delle differenze l’umanesimo impresse un vivace movimento a tutte le zone del sapere e questa svolta culturale lasciò un’orma profonda nell’assetto delle discipline universitarie. Se vogliamo stabilire un prima e un poi nel rapporto fra l’umanesimo e le università, questo può essere individuato proprio nel riconoscimento formale che venne concesso a quelle discipline che avevano date voce all’umanesimo. Il caso di Catania, dove il privilegio pontificio che legittimava la creazione del nuovo Studio generale, accordato nel 1444, rifletteva già il nuovo equilibrio che si era stabilito fra i vecchi e i nuovi insegnamenti: L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 12 ottenesse il primo provvedimento protezionistico con il quale assicurava il suo monopolio nella zona e fosse facilitato il trasferimento e la permanenza degli studenti. I provvedimenti furono resi ancor più rigorosi in funzione antigesuitica nel 1611 per evitare che i sudditi frequentassero le scuole della Compagnia di Gesù dopo l’espulsione di questa dai territori della Repubblica (1606). La legislazione protezionistica di Venezia, che ritroviamo poi applicata ad altri Studi italiani e che divenne un tratto comune alla politica universitaria dei sovrani europei, si accompagna al mutamento del ruolo che lo Studio pubblico era chiamato ad assolvere all’interno degli apparati statuali, al rafforzamento dei legami di interdipendenza fra gli organismi universitari e la società, al passaggio dello Studio da una dimensione municipale ad una statale-territoriale. È all'evoluzione di un siffatto processo che bisogna pensare per comprendere le successive scelte del governo veneziano che ebbero come obiettivo la sostituzione della magistratura di Studio municipale (i tractatores) con una magistratura veneziana. Per sottolineare lo stretto rapporto tra governo e università, in seguito alla crisi della Lega di Cambrai il governo veneziano istituì i Riformatori dello Studio, cui erano attribuite diverse competenze: censura preventiva della stampa, conferma delle elezioni alle cattedre minori, il controllo sul commercio librario, ecc. Diversamente da Bologna a Padova non si era compiuta quella chiusura del reclutamento dottorale che nella città felsinea aveva ristretto la scelta dei lettori ai soli bolognesi. Il governo veneziano aveva ostacolato l’introduzione di ogni automatismo e privilegio a favore dei dottori padovani anche per contrastare la crescita politica dell’oligarchia urbana, alla quale i dottori appartenevano od erano assimilabili. Ragioni quindi di opportunità politica che avevano trovato un riscontro nella rivolta anti- veneziana del 1509, durante la quale numerosi dottori si erano esposti. Non era però infrequente il caso che i lettori forestieri chiamati a Padova si integrassero nella società urbana. Ciò può avere favorito alla lunga un rafforzamento di questo corpo all’interno della città, ma né essi né i membri dei Sacri collegi padovani (i collegi professionali cioè) rafforzarono la proprio autonomia, come era riuscito ai colleghi bolognesi, grazie sopratutto alle mansioni finanziare ed economiche che questi esercitavano attraverso il controllo dei dazi. Il governo veneziano si avvalse anche della componente studentesca. Pure per questo le università studentesche padovane ebbero una maggiore longevità rispetto a quelle bolognesi: anche qui, nel corso del Cinquecento, si rafforzò il ruolo della nationes, ma ciò non comportò la scomparsa della massima magistratura studentesca (due rettori, uno per i legisti e uno per gli artisti, cioè filosofi e medici, continuarono ad essere eletti). La loro partecipazione alle scelte che riguardavano l’attività didattica si protrasse a lungo: all’inizio del XV secolo erano ancora queste che proponevano i nominativi tra cui venivano scelti i lettori, ma un secolo L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 15 dopo questa prassi appare già imbrigliata, a vantaggio di una maggiore indipendenza dei maestri dagli scolari e di un controllo più serrato del governo veneziano sulle stesse università. Le magistrature degli studenti continuarono però ad esercitare un ruolo attivo all’interno dello Studio per tutto il XVI secolo, tanto che nel 1591, quando insorse la contesa fra lo Studio pubblico e il Collegio padovano dei gesuiti, trasformato in un vero e proprio “Antistudio”, furono i rettori che, interpretando i sentimenti della componente studentesca, protestarono contro la violazione degli statuti e dei privilegi dello Studio, contro l’offesa che i gesuiti portavano alla dignità e all’onore delle scuole. Accanto a questo repertorio emersero poi preoccupazioni che riguardavano il contenuto delle lezioni e il metodo didattico, una materia alla quale gli studenti erano particolarmente attenti. In quell’occasione gli studenti si trovarono, più di molti loro maestri, al fianco del Senato veneziano che, riconosciuta la fondatezza delle accuse, sentenziò la chiusura del collegio gesuitico. Tuttavia anche a Padova l’autonomia studentesca perse però progressivamente terreno a favore di un generale accentramento da parte dei Riformatori e a causa del progressivo trasferimento del baricentro dello studio dalla figura dello studente a quella del maestro. La scelta del Palazzo del Bo come sede comune a tutte le scuole universitarie, decretata dal Senato nel 1645, non rispondeva solo ad una necessità organizzativa, ma doveva rendere visibile il carattere pubblico dello Studio e delle attività che vi erano esercitate e la loro armonizzazione alla politica culturale delle Serenissima. Da Pavia a Catania Come detto in precedenza nel corso del Quattro-Cinquecento il potere politico dilatò la sua giurisdizione sulle attività degli Studi. Innanzitutto sono mutate le condizioni stesse della loro nascita: mentre prima lo Studio era il risultato dell’aggregazione spontanea di studenti o della secessione di studenti e maestri da un altro Studio, adesso la nascita di uno Studio è una scelta meditata dai poteri pubblici. Napoli e Roma sono diverse da Studi come Bologna e Padova poiché fondate dai rispettivi sovrani, l’imperatore Federico II e papa Bonifacio VIII. A Napoli il rettore dello studio, un professore scelto dal sovrano o da un suo delegato, e affiancato da un governatore o prefetto, anche egli espressione del potere politico, un equilibrio che non mutò significativamente nel passaggio di Napoli dagli Hohenstaufen agli Angioini e quindi agli aragonesi e solo nel corso del XVI secolo, in età spagnola, si allentò la pressione del governo centrale sullo Studio. La Sapienza romana, appare, fino dalla metà del 400, assoggettata all’autorità del sovrano pontefice che si riserva la nomina del rettore mentre il ruolo del Senato di Roma è circoscritto alla proposta di una rosa di L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 16 candidati al cui interno il Papa designa la magistratura che governa lo studio.fra gli stessi collegi dottorali prevale poi quello degli avvocati concistoriali, espressione anche esso degli interessi della Curia. Se al prestigio dello Studio cittadino avevano affidato una parte considerevole della propria immagine alcune città comunali, anche i governi signorili e i sovrani degli Stati regionali assicurarono di far progredire l’istituzione universitaria dilatando la propria influenza su quella e ciò non sempre giovò alla stabilità e alla crescita del loro livello qualitativo, poiché questo processo si situa in una fase della vita politica italiana estremamente tormentata. Lo Studio di Pavia nei primi due secoli della sua attività passo dalla signoria dei Visconti a quella degli sforza, poi sotto il dominio francese e infine sotto quello spagnolo e, in generale, la sorte che toccò a molti studi italiani non fu meno travagliata. Il carattere dei rapporti che si istituiscono fra lo studio e il potere politico costituisce quindi un elemento non trascurabile nel determinare le sorti di uno Studio pubblico. L’intervento del potere centrale diventa sempre più spesso necessario nella fase stessa della fondazione: dapprima come mediatore degli istanza rivolta al pontefice o all'imperatore per legittimare le attività del nuovo studio poi, in un momento successivo tali atti saranno assorbiti nella sfera giurisdizionale di ciascuno Stato. Pavia: fondata da Gian Galeazzo Visconti dopo aver ottenuto dall’imperatore e dal papa i privilegi necessari alla fondazione dello Studio; Ferrara da Alberto d’Este; Torino da Luigi di Savoia; Catania da Alfonso d’Aragona. Allo stesso modo i signori potevano decretare la fine dello Studio, come quando Lorenzo de’ Medici ordinò la soppressione dello Studio fiorentino. Insomma nel corso del 400-500 il potere politico dilata la sua giurisdizione sulle attività dello studio: è un processo complesso non riconducibile alla medesima dinamica, non solo perché la moltiplicazione degli Stati regionali rendeva impossibile una politica scolastica omogenea, ma per il diverso equilibrio esistente fra le varie parti in causa. Quasi ovunque, sia pur con modalità e tempi diversi, muta la condizione dello studente, obbedendo ad un processo evolutivo che ne riduce la condizione a quella di utenti di un pubblico servizio. Ciò avviene gradualmente. A Pavia fin dal XV secolo il governo ducale aveva sottratto al rettore-studente ogni giurisdizione criminale e ne aveva fortemente limitato la giurisdizione civile, svuotando di significato l’incarico che sopravvisse stentatamente fino alla fine del XVI secolo per poi scomparire. A Siena Ferdinando I svuotò di ogni reale potere la carica rettorale. Per quanto riguarda l’altro polo della vita accademica, i collegi dottorali (composti solitamente dai dottori originari del luogo, avevano precise competenze e rappresentavano il nucleo più stabile dello Studio L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 17 piena applicazione quelle nuove strategie educative che miravano a coniugare la buona istruzione coni buoni costumi. Caratteri di una crisi La riproduzione delle competenze dei maestri era stata l’obiettivo primario delle antiche scuole universitarie: la promozione al dottorato era, innanzitutto, abilitazione all’insegnamento, un mutamento di condizione, da studente al maestro, che lo stesso cerimoniale che accompagnava l’esame voleva rendere esplicito. Ciò non significa che le aule universitarie non provvedessero a preparare medici, avvocati, giudici, anzi la medicina è il diritto, proprio in virtù della loro frequente esito professionale, erano state chiamate “scienze lucrative”: “i ricchi e i benestanti si danno ad imparare il diritto e i poveri la medicina perché queste sono le scienze che portano denari e onori”, scriveva già nel XIII secolo Boncompagno da Signa. L’esercizio dell’insegnamento restava comunque l’obiettivo più ambito, quello che assicurava maggior prestigio sociale. Fra medioevo ed età moderna invece il punto di equilibrio tra università e società si sposta sempre più all’esterno delle aule universitarie come frutto di una serie di fattori concomitanti: una maggior pressione esercitata dal potere politico, l'evoluzione stessa della figura intellettuale, la moltiplicazione dei luoghi del sapere all’esterno degli Studi, la maggiore influenza esercitata dai collegi professionali, una crescente domanda di accademizzazione di nuove professioni. Il confronto con la realtà esterna produce esiti differenziati: da un lato sono proprio le università che costituiscono la parte più dinamica di quella penetrazione ideologica della società che accompagna il processo di confessionalizzazione ad esempio la Riforma protestante ha la sua genesi nelle aule universitarie. Altrove, come nel caso italiano, questa evoluzione è frustrata dalla prevalenza della componente corporativa che frena l’evoluzione della vita accademica, determinando il progressivo isolamento dell’università e la sua lenta decadenza come baricentro della vita culturale e scientifica; una tendenza che sarà corretta in parte solo con le riforme settecentesche. Ciò non significa E il processo di modernizzazione delle strutture universitarie nel corso della prima età moderna non registra alcun progresso in Italia, ma in generale ciò avviene all’esterno delle grandi università, in sedi periferiche.ok, per essere compreso, va inserito nel quadro generale dei mutamenti introdotti dalle nuove fondazioni universitarie nella prima età moderna. La forte spinta propulsiva alla creazione di nuove sedi universitarie, manifestatasi nel corso del trecento, appare fortemente attenuata nel secolo successivo: fra le nuove fondazioni, solo Torino (1404) e Catania (1444) assumeranno gradualmente un assetto stabile, mentre a Venezia 1470 il privilegio di creare uno studio generale non ebbe esiti e il Gymnasium venetum di Padova mantenne il monopolio L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 20 dell’insegnamento universitario per tutto il territorio della Repubblica. Unica traccia di questa volontà fu l’esercizio dello ius doctorandi esercitata dal Collegio medico veneziano. Nel corso del cinquecento durante i primi decenni del seicento le nuove fondazioni si infittiscono e scelta cade ora su centri periferici, ora sulle nuove captali degli stati regionali. Macerata (1540), Fermo (1585), Messina (1548), Mondovì (1560), Cagliari e Sassari, fondate all’inizio del Seicento, ma interessa anche le capitali degli stati minori come Urbino (1546), Parma (la rifondazione dello Studio risale al 1600), Mantova (1625), Modena (1685). Perché non appare il frutto di spinte contraddittorie: i primi segni si una volontà di modernizzazione delle strutture universitarie si accompagnano vistosi segnali di debolezza. Altrove si manifesta una precisa volontà del principe di intervenire nel settore dell’istruzione superiore per operare il controllo diretto sui processi di formazione dei quadri burocratici e amministrativi, sulla formazione della classe dirigente, trasformando le università in una ben ordinata funzione dello Stato, oppure sostenendo le istituzioni scolastiche dei nuovi ordini religiosi - gesuiti - delineando un modello di università che i provvedimenti di riforma del XVIII secolo riprenderanno in più punti. Università e Gesuiti nell’età confessionale Il collegio dei gesuiti è una comunità di maestri e studenti con attività di insegnamento rivolte anche ad un’utenza esterna: esso si regge su una forma organizzativa simile a quella dei collegi universitari parigini (non a caso il primo nucleo della Compagnia era composto da ex-studenti dello studio di Parigi), priva di riscontri nella tradizione universitaria italiana, ove università studentesche, collegi dottorali, oligarchie cittadine avevano contrastato ogni rafforzamento dei collegi universitari. La tradizionale struttura corporativa era superata da una forma di governo fortemente centralizzata: le funzioni generali di governo spettavano al preposito generale che collegava funzioni esecutive e di controllo ai superiori provinciali, mentre all’interno di ciascun collegio le sovrintendenza e il coordinamento delle attività didattiche erano ripartite fra il rettore e il prefetto degli studi. Ogni funzione della vita accademica dipendeva da questa struttura fortemente gerarchizzata. La rete dei collegi gesuitici superava la frantumazione territoriale della Penisola e consentiva loro di sposare risorse umane e intellettuali al di qua e al di là dei confini dei singoli Stati assecondando le esigenze del momento; il loro delle loro scuole trasse vantaggio dalla debolezza del sistema scolastico tradizionale e dall’assenza di un’organica politica scolastica. Le innovazioni introdotte sotto il profilo didattico, compendiate in quell’insieme di regole pratiche in cui si articola la Ratio studiorum, furono: gradualità nell’insegnamento, scandita secondo stadi di difficoltà, dal corso grammaticale-retorico alla logica, fisica, matematica, metafisica fino alle discipline teologiche; ruolo L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 21 ben distinto e autonomo assegnato all’educazione letteraria, suddivisione minuziosa delle attività quotidiane nelle diverse fasi della lezione, dello studio, dell’interrogazione, della ripetizione, degli esercizi scritti; uso sapiente dello spirito competitivo e dell’emulazione. Il consenso riscontrato dalle loro scuole fu immediato e dopo 20 anni di attività essi contavano in Italia 23 collegi nei quali erano impegnati più di 80 maestri; ma fu nel secolo successivo che si ebbe la grande espansione: fra il 1560 e il 1660 maestri e collegi ebbero un incremento che superò il 400%. Gli insediamenti della Compagnia furono il frutto di una somma di circostanze favorevoli, ma è anche possibile riconoscere a favore delle città-capitali degli antichi Stati italiani e dei centri della vita culturale. Fin dall’inizio della loro attività i gesuiti avevano sviluppato un intenso apostolato fra maestri e studenti degli studi pubblici, con risultati apprezzabili: frequente era infatti la presenza di lettori di prestigio nelle loro congregazioni e non mancavano manifestazioni di aperto sostegno loro favore non mancavano però coloro che intravedevano nelle progressive fortune delle loro scuole un potenziale condizionamento della propria libertà di insegnamento, un ridimensionamento dei propri privilegi. Si poteva al più accettare che i Collegi della compagnia diventassero una sorta di “seminario degli Studi pubblici”, liberando le università dalla parte meno qualificata dell’insegnamento. Quando però si passa a alle discipline del corso filosofico e teologico l'atteggiamento mutava radicalmente. A Messina, prima sede italiana di un collegio gesuitico, il modello organizzativo del collegio incontrò la decisa opposizione del Consiglio cittadino. Nel 1548, Paolo III, accogliendo una richiesta della città, aveva conferito il privilegio di studio generale, introducendo però alcune norme che ne rivoluzionarono l’organizzazione tradizionale: la figura del rettore dello studio, che assolveva anche le funzioni di cancelliere, coincideva con quella del rettore del collegio dei gesuiti, la cui nomina spettava al preposito generale della Compagnia. A quest’ultimo era riconosciuto il diritto di formulare e riformare statuti e regolamenti per il buon funzionamento dell’università, di determinare il numero degli insegnamenti. La bolla di Paolo III dava vita ad una vera e propria università gesuitica, sconvolgendo la tradizionale gerarchia delle discipline accademiche, con un forte ridimensionato del ruolo della facoltà di diritto a vantaggio delle discipline filosofiche e teologiche. La decisa reazione dei consiglieri messinesi, che costrinse i gesuiti ad accettare un ridimensionamento del loro ruolo all’interno dello Studio, anticipava il forte antagonismo che il collegio dei gesuiti avrebbe incontrato nel confronto con gli Studi già operanti. Il caso più clamoroso fu certamente quello del Collegio di Padova. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 22 Vittorio Amedeo II furono concepite ed attuate all’interno di un rafforzamento complessivo dello Stato contro i privilegi locali, ecclesiastici e nobiliari; d’altra parte le intenzioni principesche non furono particolarmente contrastate dai patriziati urbani che, non avevano mai dato vita a corpi potenti come i “nobili” collegi di medicina e giurisperiti delle città dell’Italia padana. Cervello di tutta l’operazione fu, per il periodo 1720-27, il siciliano Francesco d’Aguirre che attuò una riforma istituzionale, chiamando docenti dall’estero riuscendo a creare un valido centro di studi. Fin dal 1721 era stato istallato nell’ateneo un laboratorio di fisica sperimentale. L'impegno statale a favore di una maggiore diffusione delle teorie scientifiche recenti riuscì ad incidere profondamente attraverso la creazione di una rete capillare di Collegi delle province. Vi insegnarono personaggi prestigiosi conoscitori del pensiero filosofico-scientifico moderno. Fu anche per merito di costoro se in Piemonte, dagli anni quaranta in poi, i nomi di Galileo, Newton e l’eco di esperienze scientifiche recenti non furono più una novità. Compito istituzionale del collegio era quello di mantenere gratuitamente agli studi cento giovani bisognosi scelti proporzionalmente da tutte le province in base a talento, povertà e buoni costumi: fu coì promossa tutta una serie di professioni minori che allora stava acquisendo dignità. Il collegio si situava in tal modo all’interno del complessivo progetto del sovrano volto a dare nuovo impulso all’arena torinese, riguadagnando allo Stato il conferimento dei titoli e, attraverso esso, il controllo dell’accesso alle professioni; giocò quindi un importante ruolo come cane di promozione sociale mediante l’accesso ai gradi universitari. Caratteristica peculiare del collegio era la laicizzazione dei fini: il fondatore non si poneva più l’obiettivo di perpetuare il proprio nome o di guadagnare salvezza eterna ma di formare giovani per il servizio dello Stato. Il collegio fu anche lo strumento tramite il quale poterono essere ridefinite alcune figure professionali, come i chirurghi, gli architetti, gli ingegneri, i geometri che poterono rivendicare l’importanza del loro ruolo. Un analogo sforzo di ricomposizione e promozione di figure professionali coinvolse anche gli insegnanti grazie alla riforma del corso di belle lettere. Nel 1737 fu costituito il collegio come organo di difesa e rappresentanza professionale suddiviso in tre classi: una di filosofia, per gli studenti che avrebbero proseguito il corso di studi, una di matematica per architetti, misuratori e agrimensori; una di belle lettere per i docenti. I gradi del magistero delle arti avevano un duplice valore, di abilitazione non solo agli studi di diritto e teologia ma anche all’insegnamento nelle scuole regie e a certe condizioni nell’università. Nel Collegio delle province vi erano anche giovani che si dedicavano a studi scientifici di matematica e fisica, pur se nella definizione di professionalità tecniche il collegio non resse al confronto con le Reali L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 25 Scuole teoriche e pratiche d'artiglieria e fortificazioni, fondate nel 1739 da Carlo Emanuele III, dopo che la guerra di successione austriaca aveva fatto emergere i limiti dell’artiglieria sabauda. Per l’ingegneria e l’architettura militare erano già state fondate nel 1739 le Reali Scuole, il cui grande elemento di novità, oltre agli insegnanti interni, alla disciplina ferrea, fu anche e soprattutto la ricerca, grazie alla quale le scuole acquisirono fama e prestigio in tutta Europa, a scapito dell’università. Da queste esperienze e dalle riflessioni portate avanti su di esse, maturò il progetto di quella che, nel 1783, sarebbe stata la reale ‘Accademia delle scienze’, componente centrale del dispotismo illuminato di Vittorio Amedeo III. All’interno dell’Accademia si svilupparono i dibattiti sulla conservazione dei granai, sul fenomeno della mendicità in presenza di crisi economiche, le ricerche sull’arte della tintoria, il dibattuto sui palloni aerostatici e sul mesmerismo, le analisi statistiche e demografiche, gli studi sulla produzione di polveri da sparo, sull’ammodernamento tecnologico dell’industria tessile e siderurgica. La riforma nella Lombardia austriaca: lo Studio di Pavia e le Scuole milanesi Nel Settecento al nuovo governo austriaco appariva infondata la pretesa dei collegi di monopolizzare dottorati e abilitazioni; essi, come anche le scuole degli ordini religiosi, furono visti come ostacoli alla politica di recupero della giurisdizione regia avviata dalle autorità viennesi e milanesi. Nel 1765 furono emanate dal governo le direttive per la riforma degli Studi lombardi. Tra di esse la più importante era quella relativa alla restituzione dell’università regia del monopolio dei gradi scientifici; tuttavia si indicavano anche le scienze irrinunciabili per le nuove competenze richieste nell’impiego al servizio dello Stato: vi era il diritto pubblico ecclesiastico, le scienze camerali cioè l’economia politica ed anche le discipline tecnico-scientifiche delle ‘matematiche miste’ indicate come ‘meccanica e astronomia’. Nel 1766 fu istituita una nuova Giunta degli Studi (esautorando il Senato), in cui non era ammesso nessun membro del patriziato, furono sospesi i privilegi di laurea e di abilitazione dei collegi professionali cittadini e fu aperta la matricola universitaria a chiunque volesse iscriversi; fu creata una struttura pubblica per la divulgazione delle nuove scienze. Lo Studio di Pavia e le Scuole palatine di Milano furono poste sotto il diretto controllo del governo. Primo obiettivo delle riforme era, secondo le intenzioni di Vienna, quello di accentuare il ruolo dell’università come unico centro di formazione del giurista. Attraverso l’abolizione di tutti quei centri che nella Lombardia austriaca potevano porsi in concorrenza con l’università, fu raggiunta l’uniformità di principi, dottrine e metodo. Con le riforme di Maria Teresa la laurea all’università di Pavia divenne il titolo preferenziale per l’accesso a qualsiasi carriera amministrativa. Nel 1770 Giuseppe II ordinava la chiusura delle facoltà filosofiche dei regolari, vietando ai loro Studi di arrogarsi la qualificazione di pubblici. Veniva così attuata la laicizzazione dei corsi della facoltà filosofica la condizione per ogni riforma generale degli studi scientifici. Gli insegnamenti filosofici-teologici L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 26 sarebbero cessati solo dal 1772. Nel 1786, con la nuova ondata delle riforme giuseppine, i monopoli collegiali sarebbero stati definitivamente soppressi e la tradizione corporativa decisamente interrotta. La riforma universitaria riguardò anche le professioni mediche. Negli anni 1769-74 fu creata una nuova facoltà filosofica regia contrapposta a quelle dei soppressi collegi dei gesuiti. Botanica, scienze naturali, fisica e chimica assumevano nella preparazione generale del medico un ruolo preponderante contro la logica e la metafisica. Nel 1774 venne redatto un nuovo Regolamento della professione medica e nel 1783 l’università assunse il pieno controllo dell’internato ospedaliero e delle abilitazioni creando una figura professionale del tutto nuova, quella del medico chirurgo, che univa alla preparazione teorica la pratica delle dissezioni e la capacità di eseguire operazioni. La riforma delle università di Parma, di Modena e di quelle del Granducato di Toscana A soluzioni simili a quelle di Pavia approdò la ristrutturazione dell’università promossa a Parma da Guillame Leon Du Tillot con lo scopo di uniformare tutte le istituzioni culturali e scolastiche esistenti al fine di rafforzare lo stato. Tutti gli studenti dovevano frequentare le scuole pubbliche dello stato e gli studi fisico-matematici erano preminenti rispetto alla filosofia tradizionale. Pavia ispirò anche le riforme volute a Modena da Francesco III d’Este. Lo Studio pubblico di San Carlo fu sostituito dall’università suddivisa in quattro classi con ventinove cattedre complessive. Nel 1772 la direzione dell’università fu affidata al magistrato degli Studi, composto da consiglieri di Stato e presidenti delle facoltà, che doveva vigilare non solo sul buon andamento degli studi ma anche sui collegi professionali dei medici, degli avvocati e dei notai. Fu sostituito poi dal dicastero degli riformatori degli Studi. Una politica analoga fu seguita negli anni 1770-80 dal Granduca Leopoldo di Toscana. Nel 1788 fu concentrato nella Soprintendenza generale di Firenze il controllo di tutte le scuole pubbliche del granducato e furono allontanati i religiosi dalle strutture educative. La nomina degli insegnati fu riservata al Granduca. I casi descritti da Torino alla Toscana mostrano come le riforme delle università riuscirono nelle città in cui i collegi furono esautorati dai loro membri che diventarono semplici sudditi subordinati a un solo sovrano. Altrove si dovettero aspettare le riforme napoleoniche. Lo Studio di Napoli tra Celestino Galiani e Antonio Genovesi Nei primi anni cinquanta del settecento Napoli fu un centro di elaborazione culturale di primaria importanza in Italia. Celestino Galiani si occupò di riformare il sistema scolastico, ottenendo nel 1731 L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 27 A Padova L’ingresso dei francesi nell’aprile 1797 significò la caduta della plurisecolare dominazione veneziana. L’università fu anche qui chiusa per evitare che gli studenti favorissero un’insurrezione giacobina. Venne attivata una commissione municipale per l’università composta da Melchiorre Cesarotti e da Stratico. Il Cesarotti tenne conto dell’esperienza del pensiero pedagogico dei lumi, avanzando una critica radicale della gestione veneziana dello Studio. Veniva affermato il diritto di tutti gli uomini alla cultura; la necessità del controllo dell’intero sistema scolastico da parte dello Stato e di una solida istruzione elementare che riconoscesse la centralità dell’italiano e delle scienze come premessa necessaria agli studi universitari.l’università doveva essere fonte viva perenne di conoscenze scientifiche. Con il piano di riforma il Cesarotti voleva far recuperare all’università il ritardo che la separava dall'Accademia patavina. L’università doveva occuparsi anche di quelle professioni che dipendevano dalle scienze fisico- matematiche. Doveva essere usata la lingua italiana; la didattica doveva uniformarsi a quella in rigore nell’accademia. Molte di queste proposte furono in realtà perdenti. Durante l’età giacobina e napoleonica la politica dei governi nei confronti dell’università fu caratterizzata da una forte propensione a centralizzare, semplificare e omologare tra di loro i diversi atenei italiani. I residui del potere clericale furono del tutto eliminati: i vescovi furono estromessi dalle università ed una sorte analoga toccò alle discipline teologiche e canonistiche. Caddero anche le ultime sopravvivenze di potere studentesco. I collegi professionali, che erano riusciti a superare quasi ovunque il triennio rivoluzionario, furono completamente aboliti. Molte università della Padania e dell’Italia centrale furono soppresse e al loro posto furono istituite scuole speciali. Nel Regno d’Italia rimasero tre università nazionali, Bologna, Padova e Pavia, mentre nell’Italia francese Torino, Genova, Pisa e Roma diventarono “accademie”. LE UNIVERSITÀ FRANCESI Nella Francia moderna le università appaiono in principio un’eredità del Medioevo. Tra il 1500 e il 1650 viene fondata una sola nuova università all’interno del Regno, quella di Reims, istituita nel 1548 con una bolla pontificia, sollecitata dal cardinale arcivescovo Carlo di Lorena. Le altre quindici erano tutte di origine medievale. Alcune risalivano al XIII sec (Parigi, Montpellier, Tolosa, Orleans), altre al XIV (Avignone enclave pontificia, Orange in realtà principati autonomi) o al XV (Bordeaux e Nantes). Le più importanti erano tuttavia quelle fondate nel XIII secolo. Le altre offrivano già l’immagine di istituzioni dal raggio d’azione sopratutto locale ed erano sottomesse ai poteri politici, sia locali che centrali. Almeno in teoria erano presenti in ogni università le quattro facoltà tradizionali (la facoltà di arti liberali e le facoltà superiori di teologia, diritto e medicina); nelle più importanti gli studenti si ripartivano in nazioni L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 30 secondo la regione di provenienza. I funzionari eletti alla gestione degli affari universitari - il rettore, i promotori, i decani — si rifacevano alle origini stesse dell’istituzione come anche i metodi d’insegnamento (letture e dispute), i programmi impartiti e le procedure d’esame e i riti di conferimento del grado accademico. Come nel medioevo le università possedevano pochissimi edifici propri, e l’aspetto più visibile della presenza universitarie nelle città era rappresentato dai collegi, grandi o piccoli, erano molto spesso numerosi: una decina Tolosa, più di 50 a Parigi. Almeno i più importanti collegi possedevano una cappella, una biblioteca e sale per le lezioni o le riunioni. Gli studenti formavano una massa giovane e turbolenta, i cui privilegi, sebbene ridimensionati dopo la metà del XV secolo dall’autorità reale, garantivano riparo dalla brutalità degli ufficiali giudiziari e dalle requisizioni dei collettori d’imposta. Il possesso di armi, molto diffuso sebbene ufficialmente proibito, fomentava risse, violenze sessuali, schiamazzi notturni. Anche all’interno dei più rigorosi collegi le distrazioni non mancavano, ad esempio i borsisti potevano allestire piccole rappresentazioni teatrali. I primi decenni del XVI secolo rappresentano un’epoca di crescita economica e demografica e di pace interna. Non si possiedono che poche cifre per questo periodo, ma si nota una significativa crescita del numero degli studenti, forse meno spettacolare che in altri Pesi ma non meno evidente. A Parigi, dal 1600 1800 nuovi studenti affluivano ogni anno alla facoltà d’arti. L'Università di medicina di Montpellier, da sempre molto elitaria, evidentemente accoglieva contingenti di gran lunga meno numerosi, anche se dal 1506-9 al 1545-49 la media annuale delle immatricolazioni passa da 39 e 59. La sfida dei tempi nuovi All’inizio del XVI secolo le università francesi sono state costrette ad affrontare una doppia sfida. La prima fu quella del controllo politico. L'autonomia universitaria, nel senso medievale del termine, era morta alla fine del XV secolo. Nel 1498-99 il re Luigi XII ridusse la competenza giudiziaria dell’Università di Parigi, limitando il godimento dei suoi privilegi ai solo studenti regolarmente iscritti e unicamente per la durata dei loro studi. In provincia i parlamenti divennero lo strumento della volontà reale. Quello di Tolosa aveva preso in mano il controllo dell’amministrazione e del regolamento dell’università locale dal 1480. Quello di Normandia lo imiterà nel 1521. Le amministrazioni cittadine non sono da meno, in quanto dispongono di un certo agio finanziario che permette di provvedere all’insufficienza delle risorse delle singole università. Queste pagano così alcuni docenti e restaurano i collegi. Ma tale sostegno non è disinteressato. Ciò non significò che tutti i privilegi universitari, in particolare quelli personali dei docenti e gli studenti, scomparvero. Il re infatti continuò a favorire la loro carriera aprendo ai laureati l’accesso alle alte funzioni L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 31 ecclesiastiche e cviili. Il concordato di Bologna nel 1516 riserva così ai laureati, oltre a un terzo dei benefici ecclesiastici del regno, le parrocchie urbane e un certo numero di prebende canonicali. Ma l’esercizio dei privilegi era ormai strettamente controllato e va visto come una manifestazione di benevolenza del sovrano, sempre e comunque revocabile. La sfida maggiore a cui hanno dovuto rispondere le università francesi all’inizio del XVI secolo è stata di ordine intellettuale. Si immagina talvolta che si sia verificata al tempo una radicale rottura tra l’insegnamento universitario, strettamente medievale, scolastico, molto disorganizzato e il movimento delle nuove idee, cioè l’umanesimo di origine italiana, incentrato sulla letteratura latina e greca e su una visione rinnovata, più ottimistica, dell’uomo, della società, della religione. L’umanesimo avrebbe poi generato delle nuove concezioni educative, simboleggiata da Erasmo e da lui illustrate negli Adagi e nei Colloqui. Le cose appaiono meno semplici sul piani sia intellettuale che sociale. È infatti difficile redigere un bilancio globale o formulare delle conclusioni nette. La nuova dottrina umanistica che dall’Italia si andava espandendo in tutta Europa non si impose in blocco nelle università francesi, vi penetrò in maniera progressiva e frammentaria. Potevano esserci insegnanti, nonostante i colleghi conservatori, pronti a rinnovare l’insegnamento della loro disciplina attraverso gli apporti dell’umanesimo conseguendo un grande successo tra gli studenti. Altre volte poteva succedere che un intero collegio per volontà di un rettore illuminato diventasse centro di nuove idee come il collegio del cardinale Lemoine o il Collège de la Marche. L’umanesimo progredì anche grazie all’azione di gruppi informali che si incontravano in modo amichevole al di fuori delle attività didattiche; i ferventi sostenitori delle nuove idee vi discutevano liberamente e con passione; si pensi a Rabelais e ai suoi amici Rondelet e Saporta al tempo dei loro studi di medicina a Montpellier. Molto presto, in questi colloqui tra umanisti, la lettura dei primi scritti luterani venne ad aggiungersi a quella dei classici o dei trattati di Erasmo. Nell’aprirsi alla modernità, le università di provincia non sono state da meno, quando le oligarchie municipali hanno accettato di pagarne il prezzo. Nel 1517-18 la municipalità di Avignone offrì un salario regale a due illustri giuristi italiani, Andrea Alciato e Sannazaro di Ripa, il cui insegnamento, fondato sulla nuova filologia e una esatta conoscenza della storia antica, sconvolgerà lo studio del diritto romano. L’operazione si dimostrò vantaggiosa e vale sullo studium avignonese una reputazione internazionale. La migliore testimonianza della penetrazione dell’umanesimo nell'ambiente universitario francese fu la ripresa vigorosa della peregrinatio academica. La maggior parte degli studenti proveniva da aree di reclutamento locale più o meno vaste ma le principali università francesi attiravano anche gli studenti L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 32 insegnamento (quello del collegio, sostituito nel XIX secolo dal liceo) e un ambito “superiore”, quello delle facoltà universitarie (teologia, diritto, medicina). Il medioevo pur riservando alla facoltà di arti uno statuto propedeutico, non aveva veramente avuto coscienza di una tale divisione. Come si sia verificata nella Francia del XVI secolo questa nuova suddivisione del campo educativo. Prima di parlare di questo fenomeno, conviene considerare il caso molto particolare del Collège des Lecteurs Royaux, antenato dell’attuale Collège de France, fondato dal re Francesco I nel 1530. Il desiderio del re e dei suoi consiglieri, tre quali in primo piano Guillaume Budé, era di stabilire a Parigi l'equivalente del Collegio trilingue di Lovanio, un’istituzione di prestigio che avrebbe fatto la gloria del re. Quando il collegio dei lettori reali potè essere aperto, L’università, teologia in testa, rifiutò di integrarlo impedendogli così di concedere degli attestati; la dotazione finanziaria inoltre fu modesta; il re si assumeva, più o meno generosamente, il carico dei salari dei lettori, ma nessun edificio venne loro assegnato prima del XVII secolo. Malgrado ciò fu davvero questo grande centro di insegnamento umanistico, sottratto alle pesantezza del conservatorismo universitario; una certa tolleranza religiosa vi fu mantenuta. Le discipline praticate dei primi selettori (greco, ebraico, matematica) vennero ben presto ad aggiungersi il latino, le lingue dentali, la fisica, la medicina; sebbene marginale il collegio dei lettori reali aveva acquisito un prestigio e una tradizione di indipendenza mai smentite. È opportuno ricordare che il collegio è un’istituzione di origine medievale. A partire dal XIII secolo furono creati nelle principali città universitarie dei collegi che in partenza erano alloggi per borsisti, cioè studenti poveri. A poco a poco qualche collegio si dotò di un insegnamento autonomo e assunse propri docenti. Il Collège de Navarre, fondato a Parigi nel 1304, fu il primo a spingersi in questa direzione. Questa evoluzione accelerò nel XV secolo per generalizzarsi, quantomeno a Parigi, nel XVI. Gli insegnamenti superiori (teologia, diritto, medicina) non furono mai del tutto preda dei collegi a discapito delle facoltà. Ma diversa fu la sorte per l’insegnamento delle arti. Non soltanto i principali collegi dove si praticavano queste discipline assicurarono un insegnamento completo di logica e filosofia, ma istituirono anche un corso di grammatica (decisamente mal praticato nella facoltà fino a quel momento) presto seguito, sotto le pressioni dei docenti umanisti, da un corso di retorica o di “umanità” greco-latina. Il cursus classico del collegio di pieno esercizio era così stabilito: grammatica - umanità - filosofia. Seconda innovazione, si dovettero, secondo un modello avviato nelle scuole olandesi dai Fratelli della vita comune e introdotto a Parigi da Jan Standonck, ripartire gli allievi in classi successive. A seconda dell’importanza dei collegi se ne contavano da 6 a 8, 3 o 4 in grammatica, 1 o 2 in discipline umanistiche, 1 o 2 in filosofia; l’età degli allievi si scaglionava tra i 12 e i 20 anni. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 35 Il successo dei collegi comportò la rovina delle facoltà d’arti e delle loro antiche scuole. A Parigi furono definitivamente chiuse nel 1542. In queste condizioni, non si poteva evidentemente riservare più l’accesso ai collegi alla piccola minoranza dei vecchi borsisti. Apparvero cosi nuove categorie di allievi: uditori liberi, esterni e non alloggiati nel collegio (soprannominati ‘rondoni’, ospiti paganti, spesso agiati, che osservi una disciplina meno severa). Questo sistema Parigino ebbe un grande successo; permise il rinnovo umanistico dell’insegnamento universitario delle arti e l'emancipazione dei collegi in rapporto alle autorità universitarie. I collegi non sfuggirono tuttavia, dalla metà del XVI secolo, a una prima crisi. Questa caduta è stata così forte anche perché il XVI secolo ha visto la moltiplicazione dei collegi non universitari. Alle prese con difficoltà finanziarie crescenti, le città non erano più in grado di sostenerli economicamente. In molte regioni, il proselitismo dei riformati ne fece il campo di scontri religiosi. Molti docenti di formazione umanistica si convertirono al protestantesimo. Da parte cattolica il problema fu rivoluzionato dall’apparizione dei gesuiti. Il primo collegio gesuita francese fu quello di Billom in Alvernia (1556); aumentarono a 12 nel 1572, a 70 nel 1640. A questa data, a completare la rete dei collegi gesuitici, compaiono due nuovi ordini insegnanti, i dottrinari e gli oratoriani. Per le città prive di risorse economiche e quindi incapaci di sopportare il carico dei collegi, per le famiglie liete all’idea di vedersi proporre un insegnamento gratuito conforme al modello umanista del modus Parisiensis, per i vescovi preoccupati dal progresso dell’eresia, i gesuiti arrivarono al momento giusto. Le cose si guastarono laddove i gesuiti vollero farsi integrare dalle università esistenti. Il difficile rapporto tra Gesuiti e Università Peri gesuiti l’integrazione nelle università era il mezzo per offrire ai propri allievi gli attestati universitari ed era anche la speranza di aggiungere alle loro classi di retorica e di filosofia delle scuole di teologia che avrebbero permesso loro di formare dei dottori di teologia e di spingerli ai benefici maggiori (vescovati) e di affermare così il loro ruolo di ordine militante della riconquista cattolica. In Francia questa politica si scontrava con un gallicanesimo largamente diffuso nelle élite del Paese. Le stesse università vedevano di malocchio questi intrusi, che minacciavano di rovinare completamente ciò che restava delle facoltà d’artei e di insinuarsi in quelle di teologia. Anche i parlamenti, baluardi del gallicanesimo, erano ostili agli stessi vescovi che non provavano tutti un ugual entusiasmo di fronte al nuovo ordine, sospettato di privilegiare in tutto per tutto la volontà romana. Quanto al governo reale, la sua politica fu abbastanza mutevole a seconda delle circostanze; il cardinale Richelieu ne lascerà la vera L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 36 spiegazione nel suo ‘Testamento politico’ (verso il 1636): “è più ragionevole che le università e i gesuiti insegnino a gara, affinché lo spirito di emulazione stimoli la loro virtù”. Nello scontro tra gesuiti e università, la fase nevralgica fu giocata evidentemente a Parigi. A dispetto di ripetuti tentativi, i gesuiti non riuscirono mai ad ottenere l'integrazione alla facoltà darti del loro collegio parigino, detto Collège de Clermont (fondato nel 1564). E furono anche provvisoriamente espulsi dalla capitale, grazie agli sforzi congiunti di università di università e parlamento, tra il 1594 e il 1603. Nulla cambiò al ritorno. Per ottenere degli attestati i loro allievi dovevano, alla fine dei corsi, immatricolarsi per un anno in uno dei vecchi collegi delle facoltà d'arti. In provincia, le relazioni furono spesso meno tese come ad Avignone. Molto rare furono tuttavia le università francesi che accettarono di integrare un collegio gesuita come a Bourges (1636) e di Poitiers (1642). Per i gesuiti, la soluzione sarebbe potuta essere quella di ottenere la trasformazione di qualcuno dei loro colleghi in università. Cercarono di fare così per quello di La Flèche, vasto istituto fondato nel 1603 com l’appoggio del re Enrico IV, ma senza successo. Trattando dello sviluppo dei collegi, abbiamo raggiunto i primi anni del XVII secolo, momento in cui la nuova istituzione sembra essere ormai ben salda. Per tornare alle università propriamente dette, sempre più identificabili, in pratica con le tre facoltà superiori di teologia, diritto e medicina, bisogna risalire una po’ indietro nel tempo. Le Università durante le guerre di religione La “bella età” del Rinascimento trionfante si chiude in Francia a metà del XV secolo. Il deterioramento della situazione economica generale l'incremento dei pericoli esterni costituiscono un quadro ormai meno favorevole alla generosità del mecenatismo principesco urbano come alla libera circolazione degli uomini. Ma la cosa più grave si verifica quando si giunge alla definitiva frattura religiosa. La crisi economica e l’acuirsi degli antagonismi confessionali che sfociarono dopo il 1560 in guerra civile. Con molte riprese, segna tutta una generazione, fino alla fine del secolo. Gli orrori si moltiplicano, culminando nel massacro di San Bartolomeo (23-24 agosto 1572). La violenza diventa quotidiana, i particolarismi regionali alzano la testa, frazioni, partiti e leghe si oppongono tra loro. Dall'assassinio del duca di Guisa (1588), all’incoronazione di Enrico IV (1594) e all’editto di Nantes (1598), la pace tarda a tornare. Che cosa divengono, in questo tribolato contesto, le università? In molti casi la curva degli effettivi affonda. A Parigi il numero delle lauree in arti rilasciate si dimezzò, a Montpellier la media delle immatricolazioni precipitò da 59 nel decennio 1540-49 a 11 (1580-89), la mobilità studentesca subì un rallentamento infatti sia gli studenti protestanti che quelli cattolici esitavano ad andare nelle università francesi; l’insicurezza delle vie di comunicazioni si aggiunge all’intolleranza religiosa per scoraggiare la L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 37 Nel XVII era sempre più netto il solco tra l’insegnamento diffuso nelle università e il movimento vivo delle scienze e delle idee rispetto al XVI secolo. Tra i sapienti e filosofi francesi del tempo, alcuni, come Cartesio sono brevemente passati dall'università, mentre altri, come Pascal, sono restati in disparte, ma nessuno vi ha a lungo insegnato. Le nuove teorie e trattati nascevano nel Collegio dei lettori reali, nelle accademie, nei salotti, nei circoli dei sapienti. Non è che gli universitari siano stati, negli stessi anni, impermeabili a ogni sorta di rinnovamento, ma i programmi universitari restavano dominati dalle autorità medievali e non si adattavano alle novità del tempo. L’aristotelismo, cristianizzato da Tommaso d’Aquino e completato quella dopo il XVI secolo da qualche aggancio a Platone, continuava a dominare l'insegnamento della filosofia, della fisica e della fisiologia. Lelio centrismo di Copernico cominciava appena ad avere il diritto di cittadinanza intorno al 1650 e Cartesio era ancora sconosciuto nei collegi e nelle università. Nelle facoltà di medicina il corpus ippocratico e i principi biologici di Aristotele visti da Galeno continuavano a fornire la base della teoria medica. Per più di trent'anni costituivano un ostacolo alla ricezione delle idee di Harvey sul ruolo del cuore nella circolazione sanguigna (De motu cordis, 1628). Notiamo comunque che almeno a Montpellier e, con qualche ritardo, a Parigi, dei progressi incontestabili si sono fatti nel senso di una maggiore praticità di insegnamento: un teatro anatomico viene costruito a Montpellier nel 1566, un altro a Parigi nel 1617; lezioni di chirurgia e di botanica sono attivate per gli studenti di medicina; Montpellier, un orto botanico è creato nel 1593. Ma questi apprezzabili progressi non toccarono, bisogna dirlo, le altre facoltà di medicina francesi. Con effettivi scheletri e mezzi miserabili, esse continuarono a dispensare un insegnamento passabilmente retrogrado. Nelle facoltà di diritto e di teologia non si escludeva del tutto l'interesse per la modernità ma il controllo reale lasciava poco spazio al dibattito delle idee. Più che mai erano le funzioni di certificazione sociale di riproduzione delle élites che continuavano a giustificare agli occhi del principe come a quelli delle classi dirigenti l’esistenza delle università. Gli attestati universitari rimanevano passaporti indispensabili per le carriere più brillanti nell’ambito del clero, della magistratura o delle professioni liberali (medici o uomini di legge). L'eredità e la venalità degli uffici escludevano sempre più dagli studi superiori i figli degli agricoltori (anche agiati), degli artigiani e anche dei commercianti. La preoccupazione principale degli studenti e delle famiglie diventò l'ottenimento delle certificazioni in tempi brevi e con minima spesa poiché la vera cultura, quella dell’ ‘uomo onesto’ come quella del professionista, si acquisiva altrove. Periodicamente alcuni docenti inviavano alle autorità memoriali contenenti le loro lamentatele o l'indisciplina degli studenti, eccezioni furono Parigi e Tolosa che per la loro nomea riuscirono a preservare la durata degli studi e la serietà degli esami. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 40 Nel 1629, l'ordinanza reale detta “codice Michaud”, mentre proibisce ai sudditi del re di recarsi a studiare nelle università straniere (si trattava in pratica di spezzare le migrazioni ugonotte), cerca di abolire le "nazione" studentesche, alle quali si imputavano i disordini dell'indisciplina, e di richiamare le università al rispetto degli statuti. Non sembra aver avuto grande efficacia; si dovrà attendere il regno di Luigi XIV per vedere riforme più energiche essere finalmente applicate. Ma fermandosi alla situazione prodottasi alla metà del XVII secolo possiamo affermare che le università francesi nel XVII secolo non erano in totale decadenza e la loro utilità sociale non era assolutamente contestata ma non erano più il luogo della passione e dell’innovazione intellettuale. La rete delle università e dei collegi Nel 1650 il regno di Francia (compreso l’enclave pontificio di Avignone e il principato d'Orange, che verrà annesso nel 1702) contava sedici università. Tra il 1650 e il 1789 vennero fondati solo quattro nuovi istituti. Nel 1789 si raggiunge un totale di 24 centri universitari. Il bilancio delle nuove fondazioni è nel complesso, molto modesto, tanto più che queste ultime creazioni diedro vita a istituti d'importanza secondaria. In altri termini, nella Francia di Luigi XIV e Luigi XV le università continuavano a rappresentare un’identità medievale e ciò risultava anche dalla localizzazione degli atenei che si trovavano nelle antiche capitali religiose o amministrative mentre nessuna università era stata creata nelle città più popolate e attive del regno (Marsiglia, Lione, Rouen, Lille) il cui sviluppo era recente. Medievale era anche la vita stessa in quelle università. I riti, gli abiti, la lingua (dal latino) erano ancora quelli del medioevo, o al più del XVI secolo. La distinzione delle facoltà (arti, medicina, diritto, teologia), la gerarchia dei gradi (baccalaureato, licenza, dottorato), la denominazione delle cariche universitarie (cancelliere, rettore, decano), tutto ciò sembrava perpetuarsi immutato da secoli. Non ci si deve tuttavia lasciarsi ingannare da questo apparente conservatorismo. A partire dal Rinascimento, nonostante la forte impronta conservatrice, le università avevano in larga parte saputo rispondere alle aspettative e ai nuovi bisogni della società e dello Stato monarchico. Esse ormai differivano dalle università medievali in 2 punti essenziali. Innanzi tutto, per quella che si potrebbe definire da quasi scomparsa delle facoltà di arti a vantaggio dei collegi. Mutazione fondamentale che ebbe luogo nel XVI secolo. Da allora, l’insegnamento delle discipline propedeutiche derivate dall’antico trivium, e cioè la logica e la filosofia, non si praticava più nelle scuole delle facoltà d’arti, ma nelle ultime classi dei collegi d’insegnamento o ‘collèges de plein exercice’. Quando avevano sede in città universitarie, questi collegi potevano essere integrati al locale ateneo, il che permetteva agli allievi, al termine degli studi, di ottenere i tradizionali diplomi universitari di baccelliere e di maitre ès-arts; a tal fine venivano costituite delle commissioni d’esami e, in pratica, l’esistenza delle facoltà d’arti si riduceva a L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 41 questa funzione. Ma la grande maggioranza dei ‘collèges de plein exercice (nel 1789 se ne contavano 171) non era annessa a un’università, o perché i collegi avevano sede in una città non universitaria o perché le università avevano rifiutato di integrarli. Ora, tranne per il fatto che soltanto i primi erano autorizzati a conferire lauree ès arts, collegi universitari e collegi non universitari impartivano esattamente lo stesso insegnamento. Si trattava di collegi dove vi allievi seguivano un corso completo di studi. Il corso comprendeva tre o quattro anni di "grammatica" (cioè di latino), un anno di retorica, uno di studi umanistici e uno o due anni di filosofia.inoltre, anche se la maggioranza degli allievi era esterna, una considerevole minoranza vive in regime di internato; per loro, quindi, il collegio non era soltanto il luogo dell'istruzione, ma anche dell'educazione morale e religiosa. I legami tra Università il collegio non erano stati tutti rispettati, ma si trattava di due mondi sempre più separati; si può pertanto affermare che, nella Francia del XVII e del XVIII secolo, le università stricto sensu erano sempre più riconducibili alle tre facoltà di medicina, di diritto e di teologia, che peraltro non esistevano in tutti gli atenei. Istituzioni dell’Ancien Régime Un altro tratto distintivo delle università francesi del periodo 1650-1789 è costituito dal fatto che esse erano ormai istituzioni ben integrate nel sistema amministrativo della monarchia assoluta. A dire il vero, l'assoggettamento delle università ai poteri laici, urbani e sopratutto principeschi, risaliva alla fine del Medioevo. A partire da allora, i re di Francia, da Carlo VII a Francesco I, avevano ridotto notevolmente l’antica autonomia universitaria. Allentatasi nel periodo delle guerre di religione, questa tutela era stata ristabilita da Enrico IV e da Richelieu, il governo di Luigi XIV completerà quest’opera. Il problema più serio era quello delle facoltà di diritto; il ripristino del loro controllo andò di pari passo con uno sforzo generale di riorganizzazione delle cariche pubbliche e della giustizia reale. Nell'aprile 1679 le facoltà di diritto vennero riorganizzate attraverso una riforma preparata da Colbert che si articolava in 3 punti essenziali. Oltre a istituire una cattedra di diritto romano a Parigi, si creò anche una cattedra del "diritto francese contenuto nelle nostre ordinanze e nei costumi” in tutte le facoltà del regno; questa materia sarebbe stata insegnata lingua francese non più in latino, ma professori che non sarebbero necessariamente stati i dottori ma che avrebbero acquisito una solida esperienza grazie ad almeno 10 anni di pratica in qualità di magistrato o di avvocato. Questi docenti ebbero però qualche difficoltà a imporsi ai loro colleghi romanisti, ma tale nuovo insegnamento sembra incontrare molto successo presso gli studenti. In seguito, si decise che L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 42 sopprimeva i “collèges de plein exercice e le facoltà di teologia, di medicina, di arti e di diritto su tutto il territorio della Repubblica”, data al 15 settembre 1793, il loro funzionamento era completamente disorganizzato fin dall’inizio stesso della Rivoluzione, nel 1789-90. Ciò potrebbe significare, come spesso si pensava un tempo, che forse la Rivoluzione non fece altro che dare il colpo di grazia a facoltà moribonde, a istituzioni fossilizzate, da tempo prove di qualsiasi utilità sociale e influsso cultuale? Le ricerche più recenti inducono a mitigare fortemente questo giudizio. Le popolazioni studentesche Una ricca documentazione ci consente di conoscere le popolazioni studentesche della Francia di Luigi XIV e XV con molta più precisione che nelle epoche anteriori. Rispetto al passato il cambiamento più visibile è la nazionalizzazione del reclutamento geografico delle università. Ormai gli studenti francesi, tranne alcuni protestanti, non andavano più a compiere gli studi universitari al di fuori dei confini del regno e gli stranieri iscritti negli atenei francesi non erano molto numerosi. A Parigi nel XVIII secolo la percentuale degli stranieri oscillava tra il 2% e il 4%, nella facoltà di medicina di Montpellier dove la percentuale di stranieri all’inizio del XVI secolo era del 37% arriva al 3,6% alla vigilia della Rivoluzione. Piccole comunità di studenti stranieri sono ancora presenti qui e là per ragioni particolari o locali. Numerosi medici inglesi, scozzesi o irlandesi si laurearono nel corso del XVIII secolo a Reims, università reputata compiacente nei riguardi dei candidati di passaggio; in questa professione, dove apparentemente sopravviveva l’uso della peregrinatio sul continente, Reims era soltanto una tappa nei complessi circuiti che passavo anche per Leida, Parigi o Padova, la cui reputazione scientifica era notevolmente superiore. Nella maggior parte degli atenei il reclutamento era diventato essenzialmente regionale o addirittura locale, esercitandosi spesso in un raggio inferiore ai cento chilometri. L’unica eccezione era l’università di Parigi, nel caso della facoltà di teologia il 40% degli studenti proveniva dal centro e dal sud del paese. Molto vasto era anche il raggio d’influenza dell’università di Tolosa e di Montpellier, quasi la metà dei medici francesi era uscita da questa facoltà, il che significava che i suoi iscritti non provenivano soltanto dalla metà meridionale del regno, ma anche, e in misura significativa, dalle regioni a nord della Loira. Per quanto concerne la frequentazione dei corsi, globalmente le cifre non erano elevate, in media un ragazzo tra i 19 e i 22 anni su 200 frequentava l’università, una percentuale dello 0,55%. La maggior parte delle università dovevano contrada 300 a 400 iscritti, quelle di Montpellier e Tolosa da 600 a 700, soltanto Parigi raggiungeva i 1300-1500 iscritti; in tutto il regno potevano esserci da 3000 a 4000 studenti di diritto, altrettanti di teologia, un po’ più di 600 studenti di medicina. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 45 Degne di nota più che i valori globali sono le evoluzioni rintracciabili negli elenchi delle matricole e dei laureati tra XVII e XVIII secolo, dove traspaiono tendenze nette ma divergenti a seconda della disciplina considerata. Iniziamo con il prendere in esame le facoltà di diritto e di medicina- la congiuntura del XVII secolo è di difficile ricostruzione. Sembra esserci stato sia un progresso continuo ma lento (ad esempio Avignone), sia un massimo raggiunto verso la metà del secolo e seguito da un reflusso più o meno evidente (ad es Tolosa o Montpellier); ma nel complesso, nessun movimento di vasta portata, niente che potesse ricordare la ‘rivoluzione scolare’ messa in luce nell’Inghilterra elisabettiana e post-elisabettiana da Lawrence Stone; rispetto ad altri paesi europei, la Francia del XVII secolo restava sotto-secolarizzata. Il XVIII secolo presenta un volto completamente diverso. Ci sono sì alcune università (Bourges, Poitiers) che offrono l’immagine di una stagnazione prolungata; citiamo pure l'università di Orléans, che perde ogni influsso culturale all’estero, e dove il numero degli iscritti scende da 133 nel decennio 1690-99 a 34 nel 1780-89. Ma l’andamento generale è completamente diverso, caratterizzato da una lenta crescita dal 1700 al 1760 circa, seguita da uno sviluppo spettacolare negli ultimi trent'anni dell’Ancien Régime. Nelle undici facoltà di diritto delle quali s'è conservata una documentazione completa si passa, per quanto riguarda i baccalaureati, dai 100 del 1680-89 ai 176 del 1780-89, la crescita è significativa anche per quanto riguarda la facoltà di medicina di Montpellier. Nel XVIII secolo le università francesi, almeno per quanto concerne le facoltà di diritto e di medicina ì, presentano un quadro completamente diverso da quello esistente in altri Paesi: non una lunga inerzia, ma al contrario un dinamismo che si accentua in modo sorprendente con l’ultima generazione del secolo. Alle soglie della Rivoluzione, le università francesi immettevano ogni anno sul mercato del lavoro circa 1200 baccellieri in diritto (contro i 680 del secolo precedente) e 160 dottori in medicina (contro 75). Questo trend era in opposizione rispetto agli altri paesi di antico regime nello stesso periodo. Nel caso dei medici, la Francia stava soltanto mettendosi alla pari con gli altri Paesi dopo un ritardo secolare. Ma la crescita è stata talmente rapida da non passare inosservata nemmeno agli stessi contemporanei, per molti dei quali fu fonte di inquietudini. Moltiplicando i letterati, suscitandone l’ambizione senza dissipare i loro timori per l'avvenire, le università dell’Ancien Régime hanno certamente contribuito a innescare la dinamica sociale che sfocerà nella Riv. Diversa l’evoluzione della facoltà di teologia. Nel XVII questa vide una crescita regolare per poi subire dal 1760 una brusca inversione, questa caduta fu conseguenza del declino delle vocazioni religiose e della rapida “decristianizzazione” della Francia prerivoluzionaria. Le università rispecchiano i profondi mutamenti della società francese. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 46 Il reclutamento sociale delle università è più difficile da stabilire di quanto siano il reclutamento geografico o l'evoluzione degli effettivi. A tutt'oggi disponiamo soltanto di studi ambito locale, riguardanti soprattutto le università della Francia dell'est (Pont-à-Mousson/Nancy, Digione) ed è forse imprudente generalizzarne le conclusioni. Due tratti generali sembrano comunque emergere da questi studi. Il primo è la progressiva chiusura sociale delle facoltà ‘professionali’ di diritto e di medicina. Gruppi presenti in queste facoltà in misura limitata ma ancora significativa nel XVI e anche alla fine del XVII secolo erano praticamente scomparsi alla vigilia della Rivoluzione: si trattava da una parte della nobiltà di spada e dall’altra degli studenti di origine ‘popolare’, anche agiata (figli di contadini e di artigiani), che ormai, insieme, non rappresentavano nemmeno il 10% del totale degli iscritti. I figli dei ‘borghesi’ e dei commercianti sembrano aumentare nel corso del XVIII secolo, pur costituendo ancora una minoranza, presumibilmente dal 10 al 20% del totale. La grande maggioranza degli studenti di diritto e di medicina era costituita dai rampolli di funzionari e liberi professionisti, i figli dei parlamentari erano spesso attirati dalla prestigiosa facoltà di Parigi, i figli dei giudici e degli avvocati frequentavano le aule delle facoltà di provincia per rivestire le cariche o continuare i mestieri dei padri; ad essi si aggiungevano numerosi figli di semplici praticanti di diritto o di scrittura pubblica, procuratori e notai, per i quali gli studi e le lauree rappresentavano la speranza di elevarsi al mondo delle cariche pubbliche e della giustizia. La situazione sembra molto simile nelle facoltà di medicina. I figli dei medici assicuravano la continuità delle dinastie, mentre i figli dei chirurghi e dei farmacisti frequentavano le facoltà dalla quale i loro padri erano stati scartati nella speranza di accedere ai livelli più alti delle professioni mediche. Gli studi teologia erano rimasti più democratici probabilmente per l'assenza di eredità nella funzione, le facilitazioni offerte coni collegi e i seminari; i contadini costituivano un terzo degli iscritti. Per la fine del XVIII secolo alcuni istituti parigini erano diventati veri e propri vescovi: il collegio della Sorbona e soprattutto il seminario di Saint-Sulpice (da dove nel 1789 uscì 1’85% dei prelati francesi), frequentati sopratutto dai rampolli dell’aristocrazia. Nel complesso, l’analisi della popolazione studentesca francese alla dine dell’ Ancien Régime rivela che le università davano ancora prova di un certo dinamismo. Almeno per alcuni gruppi, gli studi e le lauree continuavano a rappresentare una solida speranza di riuscita o perfino di promozione sociale. Questa fiducia si estendeva anche al contesto stesso degli insegnamenti offerti dalle università? Si riconosceva ancora loro un ruolo attivo e formativo sul piano intellettuale? Fabbriche di diplomi o luoghi di sapere? Questa vecchia questione diventerà pressante alla fine dell’Ancien Régime. Orami soltanto nelle facoltà di teologia gli studenti si limitavano spesso a immatricolarsi - il che era sufficiente per consentire loro di postulare certi diritti - senza in seguito superare esami. Il diploma era diventato l’obiettivo primario degli L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 47 Queste misure isolate non potevano salvare il quadro di generale sfacelo del sistema educativo francese nella seconda metà del XVIII. Inoltre, tale decadimento era sempre meno tollerato dall'opinione pubblica. La domanda sociale cresceva, come segnala l'aumento degli iscritti e dei diplomi conferiti, ma le istituzioni esistenti non erano più in grado di soddisfare le aspirazioni di una popolazione che cercava un'educazione migliore per i propri figli. D’altra parte la filosofia dei Lumi poneva in modo prioritario l'accento sui problemi educativi, nei quali essa vedeva una delle principali vie del progresso e della civilizzazione. "Enciclopedia", pubblicata nel 1751 al 1765, dedica un gran numero di voci, in genere molto critiche, proprio a questi problemi. È evidente il divario tra i programmi tradizionali dei collegi te le facoltà e il "sistema delle conoscenze umane”: alle discipline della ‘ragione’ (filosofia e scienze) essi volevano affiancare quelle della ‘Ìmemoria’ (storia sociale e naturale) e dell’immaginazione (arte e poesia). Nel 1762 J.J Rousseau pubblicò ‘1’Emilio’, il polemico manifesto delle nuove idee sull’infanzia e sull’educazione. Nel 1776 Diderot pubblicò a sua volta il ‘Piano dell’università per i governanti di Russia’ dedicato alla zarina Caterina II, ma che affrontava anche la situazione francese. Tra il 1760 e il 1789 in Francia vennero pubblicati 161 libri dedicati ai problemi dell’educazione. L’avvenimento che catalizzò questa riflessione fu l’espulsione dei gesuiti nel 172 in seguito a un lungo conflitto con il governo del re. Bisogna sostituire circa 1250 docenti; alcuni piccoli collegi vennero chiusi, altri, in mancanza di meglio, vennero affidati a nuove congregazioni religiose di insegnanti. Nella maggior parte dei casi vennero amministrati, con maggiore o minor fortuna, da notabili locali. A seguito di ciò vennero esposti molti progetti per una riforma globale dell’educazione in Francia che concordavano su alcuni punti: gli insegnanti dovevano essere laici, bisognava dare più spazio alle discipline moderne e imporre una struttura uniforme in tutto il regno. L’impronta di questi progetti è facilmente rintracciabile nel Plan d’une Université di Diderot o nel voluminoso “rapporto sulla riforma dell’istruzione pubblica”, che l’ex enciclopedista Condorcet presenterà il 20 aprile 1792 all’ Assemblea legislativa. Molti elementi saranno poi ritrovati anche nell’Università imperiale istituita da Napoleone nel 1806. Ma nell’immediato sortirono poco effetto poiché il re non ebbe il coraggio politico di imporli cedendo alle proteste del clero, che non accettava che sacerdoti fossero allontanati dall'insegnamento, e al corporativismo delle stesse università. Il documento che l'università di Parigi redasse a questo proposito nel 1762, su sollecitazione del parlamento, e significativo. Essa si rifiutava categoricamente di modernizzare i programmi, di sacrificare le discipline tradizionali e di abbandonare l'antico monopolio medievale della collazione dei gradi. La memoria dell'Università di Parigi illustra alla perfezione il blocco istituzionale che investiva le università L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 50 francese alla vigilia della rivoluzione. Diderot scrisse nel 1776: "Carlo Magno fonda la nostra povera università; la fondò gotica, ed essa è rimasta gotica”. È una formula evidentemente caricaturale, ma conoscendo la forza dell'epiteto ‘gotico’, che nel dizionario dei lumi è sinonimo di barbarie medievale e di oscurantismo, si comprende perché per i rivoluzionari lettori di Diderot le università francese 1789 fossero irriformabili. Esse dovevano scomparire insieme al vecchio ordine del quale erano parte integrante e del quale avevano per quasi sei secoli, nel bene e nel male, espresso la cultura e l’ideologia. UNIVERSITÀ E COLLEGI NELLE ISOLE BRITANNICHE Le influenze dell’Umanesimo ad Oxford e Cambridge Nei secoli XVI e XVII Oxford e Cambridge subirono una radicale trasformazione diventando più note sul piano nazionale. La filosofia scolastica medioevale fu pervasa da nuove correnti umanistiche. Il numero dei collegi universitari ed essi divennero i reali centri del potere nelle università, crebbe anche il numero degli studenti con conseguenti mutamenti nella composizione sociale del corpo studentesco. Nel XV secolo Oxford era probabilmente più avanti di Cambridge per quanto riguarda l’affermarsi dell’umanesimo rinascimentale, questo grazie al patrocinio del duca Humphrey di Gloucester e segni di interesse verso queste nuove idee umanistiche si manifestarono dalla metà del secolo in poi. Lo sviluppo dell’umanesimo ad Oxford e Cambridge è dovuto in larga parte a Lady Margaret Beaufort che fu la principale mecenate di entrambe le università; madre di Enrico VII, una figura politicamente influente presso la corte reale dopo che nel 1485 il figlio era salito al trono, ma anche estrammente devota e grande protettrice dei principi religiosi ed educativi. Durante il regno del figlio fu la principale mecenate di entrambe le università, in particolare Cambridge, dove il suo operato fu incoraggiato e diretto dal suo cappellano e confessore John Fisher, vescovi di Rochester e rettore dell’università. Per aiutare a migliorare la formazione teologica del clero negli anni 1502-03 istituì in entrambe la cattedra in teologia per migliorare la formazione teologica del clero, e riconosceva un ruolo importante alla predicazione. Entro il 1520 entrambe le università ebbero pubblici lettorati in greco e matematica. Nel 1540 la Corona creò nuove cattedre, note come regie, per medicina, teologia, diritto civile, ebraico e greco. È chiaro che entrambe le università furono fortemente influenzate dall’umanesimo, almeno in maniera informale, a partire dal 1530. I fondatori di biblioteche private dal XVI secolo in poi dimostrarono un forte interesse per le opere di contenuto umanistico, come testi classici, opere di moderni umanisti e grammatiche greche. Le biblioteche dei collegi tendevano ad essere più conservatrici, facendo affidamento su donazioni, e, quando dovevano scegliere, dano la preferenza a testi di uso comune. All’interno del corso ufficiale di arti liberali l’equilibrio tra le materie del trivio cambiò. Ci fu un mutamento di tendenza dalla logica verso la retorica e la grammatica con un maggiore approfondimento della letteratura classica. In seguito, l’umanesimo venne formalmente aggiunto al programma; inoltre lo statuto della facoltà di Cambridge del 1570 obbligò a studiare gli autori umanisti. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 51 L’importanza dei Collegi In termini istituzionali, l’evoluzione più significativa manifestatasi nelle due università inglesi nei secoli XVI e XVII riguardò il numero e l’importanza crescente dei collegi. Nel tardo medioevo la maggior parte degli studenti viveva in pensioni (ad Oxford chiamate halls, a Cambridge hostels). I pochi collegi che allora esistevano erano in gran parte riservati ad un piccolo numero di laureati che studiavano per ottenere un titolo superiore, a differenza delle pensioni i collegi possedevano terre, ottenute come donazioni all’atto della loro fondazione e qualche volta elargite successivamente da parte di benefattori. Il regolare e talvolta considerevole introito proveniente dalle proprietà fornì ai collegi una sicura base finanziaria, mentre le Halley continuarono a dipendere interamente dagli affitti degli studenti. Dalla metà del XV secolo in poi il numero dei collegi crebbe costantemente. C’erano 10 collegi ad Oxford nel 1500, altri 8 furono costruiti prima del 1642. A Cambridge ce n’erano 6 nel 1440, ne vennero costruiti altri 4 nel XV sec. Le halls non erano in grado di competere con i nuovi collegi e così scomparvero rapidamente dalla scena. Nel 1505 c’erano circa 52 halls ad Oxford nel 1537 ne erano sopravvissute solo 8. Numerose erano le ragioni per cui i genitori preferivano mandare i loro figli nei collegi. Si pensava che le pensioni fossero turbolente, mentre i collegi potevano garantire disciplina e istruzioni migliori. I collegi inoltre concedevano borse di studio che alleggerivano il carico finanziario dei genitori. Le dimensioni dei college erano molto variabili. Il più grande collegio di Cambridge, il Trinity aveva 440 membri, i due più piccoli contavano 56 membri. L'organizzazione edilizia mantenne il vecchio stile monastico ma la rapida espansione che si verificò tra XVI e XVII obbligò i collegi ad aumentare il numero degli alloggi. I collegi divennero il centro dell’insegnamento, essi provvidero ad organizzare le lezioni, discussioni di tesi ed esercitazioni accademiche. Gli studenti ricevevano lezioni individuali dai precettori assegnati dai loro collegi. Queste attività dovevano integrare le lezioni universitarie e le ordinarie discussioni. Gli studenti che intendevano ottenere un diploma dovevano seguire anche le esercitazioni universitarie richieste pertanto queste rimasero fondamentali, ma l’importanza delle lezioni universitarie in genere cominciò a diminuire e la non frequenza fu un fatto abituale. L’invenzione della stampa rese più facile lo studio privato. I piani di studio giunti fino a noi, scritti dagli insegnanti per i loro studenti, comportavano il ricorso ad un gran numero di testi stampati e di commentari. In questo periodo i libri stampati erano molto costosi, ma erano comunque acquistati in quantità. Ad entrambe le università fu concesso di stampare. In seguito venne poi stabilito che i precettori avessero la piena responsabilità dello sviluppo morale, intellettuale e religioso degli studenti. Ricevevano direttive dai genitori riguardo al genere di istruzione che L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 52 collegio, come conferenzieri, decani o predicatori ed in particolare intascando tasse da cui gli studenti di cui essi erano precettori. Questa fu una delle cause della crescente competizione per l'ottenimento di una cattedra. L’età degli insegnanti era vicina a quella dei loro studenti, generalmente ottenevano una cattedra prima dei 25 anni, cioè prima di laurearsi, e la durata media della cattedra era dai 6 ai 14 anni; venivano viste soprattutto come primo passo verso una carriera ecclesiastica alternativa come poteva essere l’insegnamento privato o diventare procuratori, scrivani, impiegati d’ufficio. Altri maestri si spostavano subito dopo aver lasciato la loro cattedra. A partire dalla Riforma, ai preti inglesi fu permesso di sposarsi, ma un decreto di Elisabetta I, del 1561, ripeti che maestri di collegio dovevano rimanere celibi e questa regola rimase in uso fino alla metà del XIX secolo.direttori di collegio levassero questa restrizione, sebbene non potessero portare le mogli a vivere con loro nel collegio. La popolazione universitaria a Oxford e Cambridge Oxford e Cambridge crebbero rapidamente dal regno della regina Elisabetta in poi. Nella metà del XV secolo la popolazione universitaria di Cambridge era costituita da circa 1300 persone quella di Oxford circa 1700. Ci fu un’ulteriore espansione fino alla metà del XVI secolo quando il prevaricante potere politico e religioso causò un declino del numero in entrambe le università. La percentuale della popolazione maschile dell’Inghilterra e del Galles che frequentava l’università nei primi anni del XVII era del 2%, più alta di ogni altra epoca fino alla prima guerra mondiale. Gli studenti di Cambridge venivano principalmente dal nord e dall’est, quelli di Oxford dalle aree più popolose del sud e dell’ovest ed erano pochissimi gli studenti stranieri. Alcuni collegi posero un limite al numero degli studenti appartenenti dalla stessa contea per evitare la formazione di fazioni regionali, altri fecero l’opposto sviluppando stretti legami con alcune località. Nello scegliere un collegio per i propri figli, i genitori si basavano su informazioni avute da persone che si conoscevano: parenti, amici, ecclesiastici o rettori di scuole. I precettori del collegio tendevano ad accettare quegli studenti che provenivano dalla propria regione, attraverso personali raccomandazioni. Spesso si trovava più di una generazione della stessa famiglia che aveva frequentato il medesimo collegio. La composizione sociale del corpo studentesco subì un profondo mutamento per l’arrivo di un numero crescente di ospiti paganti. Nel XV secolo si erano registrati ben pochi studenti delle classi sociali più agiate, ma negli ultimi vent'anni del XVI il 46% degli studenti di Oxford apparteneva alla piccola ed alta nobiltà; a Cambridge nel XVII la metà degli studenti erano della piccola nobiltà o figli di professionisti. L’istruzione aveva certamente valore per la piccola nobiltà impegnata nei governi locali e assunse un ruolo più importante sotto i Tudor. Le distinzioni di ceto presenti nella società si riflettevano all’interno L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 55 della comunità studentesca, le distinzioni erano ben visibili nelle sale da pranzo dove gli studenti cenavano in tavoli separati, secondo le rispettive appartenenze sociali che erano esplicitate anche attraverso l’abbigliamento. Non era necessario aver raggiunto una certa età per andare all’università, nel XVII la media dei nuovi studenti era circa di 17 anni. Il programma degli studi e le attività extra scolastiche Come nel medioevo il corso di arti liberali rappresentava la parte più importante del programma universitario, la base per proseguire verso studi superiori. Gli studenti che miravano alla carriera ecclesiastica necessitavano della laurea, gli studenti laici davano meno valore al titolo di studio. Il piano di studi di arti era uguale per tutti ma gli studenti facoltosi che non volevano ottenere il titolo avevano una grande libertà nella scelta delle materie, i precettori adattavano i corsi ai differenti soggetti. Questi corsi comprendevano solitamente le scienze naturali, la storia classica e moderna, la letteratura classica inglese, lingue moderne alla geografia. La morale pratica veniva insegnata più volentieri dell'etica formale, e nei loro studi religiosi gli studenti laici leggevano le Sacre Scritture e opere devozionali piuttosto che testi teologici. Al di fuori dei collegi si trovavano liberi precettori che insegnavano materi non curate dai collegi, come alcune lingue moderne. Scherma, danza equitazione, è importante per i giovani gentiluomini. L'abilità nel suonare uno strumento musicale divenne a sua volta molto comune. Forte era la tradizione teatrale in entrambe le università, ispirata agli ideali umanistici che consideravano il dramma come un'anticamera per lo studio della retorica. Lo statuto e alcuni collegi richiedeva la regolare rappresentazione dei drammi che erano allestiti in qualche caso scritti dei membri del collegio. Comunque questa tradizione comincia a declinare durante gli anni tra il 1620 e il 1640 e volse al termine allo scoppio della guerra civile. Ci si aspettava che gli studenti si studiassero regolarmente durante la giornata dalle 6 alle 22 interrompendo solo per i pasti e per gli esercizi religiosi; non abbiamo però modo di sapere quanti seguissero una routine così rigida. Come sport era praticato il tennis, il tiro con l’arco, la caccia e le bocce; i dadi e il gioco d'azzardo erano visti come poco rispettabili. Indisciplina e punizioni L’indisciplina degli studenti consisteva nell’assenza a lezioni, sermoni e funzioni religiose, nel gioco d’azzardo, nel frequentare prostitute, nel vandalismo, l’ubriachezza costituiva il principale problema disciplinare. La crescente presenza di studenti ricchi accrebbe la gravità del problema. Molti collegi avevano un sistema graduato di punizioni che partivano con avvertimenti, poi multe, sospensioni e infine l’espulsione che era molto rara. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 56 La presenza dei precettori aiutava a frenare indisciplina, comunque era molto difficile per il precettore-che provenivano solitamente da una classe sociale più bassa dei loro allievi-inculcare in essi il rispetto della disciplina. I reati sessuali sono meno documentati, ma furono anch'essi causa di grande preoccupazione per le autorità. Alcuni collegi proibirono ad ogni inserviente di sesso femminile sotto i 50 anni di entrare. Un altro timore dei precettori era che i loro allievi appartenenti alle classi più alte potessero sposare ragazze della città e di classe sociale inferiore. Oxford e Cambridge tra Riforma e Puritanesimo Dal 1530 le due università furono intimamente coinvolte in molte dispute e negli importanti mutamenti religiosi che seguirono l’avvento del protestantesimo in Inghilterra e l’inizio della Riforma. Dal 1530 infatti l'Inghilterra ripudiò l’autorità del papato ed istituì una chiesa nazionale che aveva il re come suo capo supremo. Le origini di questo cambiamento si trovano nella determinazione della sua prima moglie, Caterina d'Aragona, un atto che il Papa non avrebbe mai permesso. La corona chiesa di entrambe le università di illustrare il loro punto di vista sulla validità del matrimonio del re. Cambridge prudentemente prese le parti di Enrico, sebbene il cancelliere dell'università, John Fisher, fosse giustiziato nel 1535 per aver rifiutato di accettare la supremazia della Corona sulla Chiesa. Oxford non seppe decidersi sul divorzio, ritardò la sua risposta e confermò il suo assenso soltanto dopo che furono esercitate pressioni da parte della Corona. L’Atto di Supremazia dl 1534 diede alla monarchia il pieno potere di intervenire nelle università per assicurare l’ortodossia religiosa e il buon governo. Furono esercitati interventi in entrambe le università per imporre un impegno di obbedienza alle disposizioni politiche ed ecclesiastiche. Da questo momento in poi le due università furono in balia delle decisioni dei sovrani oscillando passando a incoraggiare il protestantesimo durante il regno di Edoardo VI (1547-53) al cattolicesimo sotto la regina Maria (1553-58). Con Enrico VI il protestantesimo fu incoraggiato vigorosamente da entrambe le università furono sottoposte ad accurata ispezioni, ancora una volta con il principale fine politico di consolidare l'assenso alle supremazie della Corona sulla Chiesa. Vennero assegnate cattedre reali di teologia a eminenti protestanti stranieri. Sotto la regina Maria, il cattolicesimo divenne nuovamente religione di Stato, molti collegi universitari accolsero benevolmente questo ritorno, specialmente ad Oxford, che rapidamente riesumare vecchie pratiche religiose, ma parecchie extra-alunni andarono in esilio durante il suo regno, incluso un certo numero di insegnanti ancora in carica o in pensione. Con l’ascesa al trono di Elisabetta I nel 1558 venne ristabilito il protestantesimo come religione di stato e la supremazia della corona sulla chiesa inglese. La maggior parte dei membri dell’università aderì al nuovo L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 57 Dopo aver lasciato l’università molti studenti ricchi proseguivano gli studi negli Inns of Court a Londra che provvedevano all’insegnamento del diritto consuetudinario, che avrebbe avuto Grande importanza per la loro futura professione dei proprietari terrieri e mercanti, essi d'altra parte consideravano tale tirocinio come una sorta di complemento del proprio ciclo di formazione studiavano anche altre materie, come lingue straniere, storia, astronomia e matematica, apprendendo inoltre le tecniche della danza e della scherma. Il numero annuale delle iscrizioni quadruplicò tra il 1500 e il 1600. Molto importante fu anche il Gresham College di Londra fondato nel 1596 che prevedeva lezioni di teologia, diritto civile, medicina, retorica, astronomia e medicina. Non occorrevano richieste formali di ammissione e il collegio non conferiva titoli. Inoltre ci si affidava spesso anche ai precettori privati. Col passare del tempo furono fatti progetti per istituire università in altre città dell’Inghilterra, specialmente in aree molto lontane da Oxford e Cambridge. L’unico tentativo che andò a buon fine ebbe luogo in America nel 1636 con la fondazione del collegio di Harvard, da esuli puritani. Per quanto riguarda la Scozia tre università furono fondate nel XV secolo: St Andrews (1411), Glasgow (1451) e King's College di Aberdeen (1495). Erano più piccole di quelle inglesi. Queste già verso la metà del XVI secolo affrontarono un momento di crisi ma si ripresero grazie al rettore dell’università di Glasgow, Andrew Melville che cerco di promuovere il protestantesimo riformando le situazioni di diversità e modificando la distribuzione dei fondi a favore di queste (influenza idea di Pietro Ramo, ‘ramismo’). Due università furono fondate in seguito: Edimburgo (1583) e Marischal College (1593). In Irlanda venne fondato il Trinity College a Dublino nel 1592, era destinato ad eliminare il bisogno di studiare all'estero e dare la possibilità di seguire un seminario protestante non Irlanda prevalentemente cattolica. Modellato sulla falsariga di Cambridge, e soffrì classici corsi di arti liberali con norme e culti religiosi protestanti. Le influenze puritane e ramiste furono marcate al Trinity nei suoi primi anni, ma il collegio era relativamente piccolo ed aveva risorse finanziarie limitate; di conseguenza, in questo periodo, esso non raggiunse uno standard accademico molto alto. Il governo delle università inglesi Nel 1660, con la restaurazione della monarchia, re Carlo II Stuart salì sul treno dei suoi tre regni: l’Inghilterra (e il Galles), la Scozia e l'Irlanda. L'Inghilterra, più vasta, più ricca e più potente dominava gli altri ed ospitava le due maggiori università, Oxford e Cambridge. Caratteristiche del tutto diverse da queste avevano le quattro università scozzesi che riflettevano le diverse tradizioni culturali intellettuali della nazione scozzese è un'università in Irlanda, a Dublino, fondata dall'Inghilterra per rendere più efficace il controllo sulla prima colonia inglese. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 60 Come ebbero spesso modo di notare i visitatori stranieri, le due università di Oxford e di Cambridge erano molto simili.esistevano per promuovere la cultura e la religione della Chiesa nazionale d'Inghilterra. La maggior parte dei docenti, i cosiddetti ‘dons’, era costituita da ecclesiastici e gli studenti dovevano dichiarare di accettare la dottrina della Chiesa anglicana.ciascuna università inviava due rappresentanti al parlamento, come le città che vi erano rappresentate, e aveva una parte attiva nel processo politico britannico. Per quanto riguarda l’organizzazione delle università a capo c’era un cancelliere eletto dai docenti, da lui la comunità universitaria si aspettava che convincesse il governo ad agire nel loro interesse e farle ottenere benefici. Tra i più ambiti vi erano i posti nella chiesa d’Inghilterra, quelli di cappellano della famiglia reale e i vescovati per i rettori. In cambio il governo esigeva un impegno impegnativo da parte del cancelliere che doveva garantire la fedeltà politica dell’università. La gestione degli affari correnti era nelle mani del vice-cancelliere che era responsabile dell’amministrazione, delle finanze e della corrispondenza con il governo. Dopo i cambiamenti introdotti da Elisabetta I e i primi re Stuart le università si trasformarono in organismi oligarchici e vice-cancellieri cominciarono a spartire i poteri effettivi con i rettori dei collegi e delle halls collaborando con loro. Il più importante funzionario permanente era il ‘registrar’ (o segretario amministrativo), egli era responsabile dell’apposizione del sigillo ai documenti e della conservazione di tutti i verbali dei principali organi dell’università. Un'altra importante figura era quella del ‘proctor’ che aveva mansioni molto varie: presiedeva agli esami, alle cerimonie di laurea, alle riunioni ma le loro funzioni più importanti erano di tipo disciplinare, dovevano pattugliare le strade e erano custodi del comportamento morale degli studenti. I docenti tenevano assemblee il cui accordo era necessario per ogni decisione importante. Oxford aveva due organismi: la ‘congregation’, formata dai docenti più giovani, e la ‘convocation’, quella più importante, composta da tutti dottori dell’università. A Cambridge c’era soltanto un organo, il Senato diviso in due camere: la Regent House che comprendeva i maestri con meno di cinque anni di carriera, e la Non Regent House che comprendeva i docenti più anziani. Il potere era limitato al Caput Senatus, composto da una ristretta oligarchia. I Collegi a Oxford e Cambridge La maggior parte della vita accademica attorno ai collegi, le comunità in cui studenti e docenti vivevano e lavoravano, ciascun di solito avendo a disposizione i due stanze. I collegi erano raccolti in ciascuna città universitaria, tuttavia essi erano istituzioni autonomi, nelle quali l'architettura esprimeva il modo di rinchiudersi in sé e di escludere il mondo esterno. Molti collegi erano circondati da alte mura, le entrate L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 6l erano sbarrate da massicci cancelli chiusi di notte. Il loro disegno derivava in ultime stanza dal castello la cui forma sopravviveva nelle costruzioni e cortili, mentre le torri rimanevano come elementi decorativi. All'interno del collegio il locale più importante era la ‘hall’, dove la vita della comunità veniva celebrata in cene che avevano il duplice carattere di cerimonia e di svago. I membri più anziani dei collegi si chiamavano ‘fellows’: si trattava di laureati scelti da chi era già fellow; questi non dovevano sposarsi ed erano tenuti a rispettare certi obblighi di residenza e di insegnamento che divennero sempre meno impegnativi tra il 1650 e il 1800. Il rettore di un collegio aveva molti compiti importanti e presiedeva il collegio dei fellows, la cui maggioranza era importante per l’approvazione dei progetti. Il potere di un rettore poteva trasformare un collegio se usato con abilità. Tuttavia non sempre il suo potere era visto di buon occhio dai fellows, che finivano per scontrarsi non solo col rettore ma anche tra loro stessi. Le lite alle volte erano talmente spettacolari da attirare l’attenzione dell’intera società. Esempio emblematico è sicuramente Richard Bentley, era il classicista più in vista della sua generazione in Inghilterra addirittura l'unico che avesse una fame europea. Bentley venne nominato master del Trinity nel 1700: uomo di indubbia cultura, ma arrogante come pochi, al punto tale che durante una lite una volta dovette intervenire per mediare l’arcivescovo di Canterbury. Le liti di Bentley riguardavano soprattutto l'amministrazione delle proprietà del collegio. Gli studenti e il curriculum Dal 1660 iniziò per le due università un secolo di declino delle iscrizioni, malgrado l'aumento spettacolare della popolazione britannica. I genitori inglesi e gallesi erano sempre meno inclini a mandare i loro figli nelle università inglesi. I dissidenti e i cattolici romani ne erano esclusi e il loro carattere così clericale era sgradito anche alle famiglie anglicane. Le università scozzesi e le nuove accademie del XVIII secolo offrivano un’istruzione meno costosa e più moderna che Oxford e Cambridge rifiutavano di imitare. I genitori non tenevano in gran conto l’istruzione superiore, oppure preferivano mandare i figli in viaggio nel continente europeo. I ragazzi poveri avevano difficoltà ad acquisire la cultura classica necessaria per ottenere una borsa di studio, poiché le antiche scuole elementari erano decadute dopo il 1660. Gli insegnamenti e gli esami continuavano a mantenere il loro stampo medievale ed erano poco aperti alle innovazioni. Il corso di studi per Bachelor of Arts (B.A.), aveva durata nominale di 4 anni, ma spesso in pratica durava anche meno. In teoria era dominato dalla filosofia naturale, dalla logica e dalla retorica, che implicavano lo studio delle lingue e dei testi classici; benché dovesse molto sviluppi apportati in epoca rinascimentale, il curriculum aveva origini medievali. Anche gli esami di laurea erano di tipo medievale con discussioni in latino. Nel 1660 le idee aristoteliche erano ancora presenti, ma vennero pian piano L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 62 Il giuramento richiedeva soltanto una promessa di lealtà, non una dichiarazione nella quale venivano riconosciuti Guglielmo e Maria come sovrani legittimi. Questo permetteva ai docenti di giurare lealtà ai governanti de facto pur continuando a ritenere Giacomo II re de jure, e mantenendo così i propri principi e i propri posti. Guglielmo III che era calvinista voleva cambiare la liturgia e la dottrina della Chiesa d’Inghilterra in modo che i protestanti non conformisti potessero essere convinti ad aderirvi; questo piano chiamato Comprensione, era stato tracciato con l’aiuto di alcuni latitudinari formatisi a Cambridge; l’opposizione fu capeggiata da alcuni docenti di Oxford. La chiesa d’Inghilterra nel suo insieme respinse i piani di comprensione nel novembre del 1689. Il desiderio di Guglielmo fu accolto in parlamento solo in condizioni limitate. I sostenitori della posizione e dei privilegi della Chiesa d’Inghilterra furono chiamati ‘Tories’. Durante il regno di Guglielmo e Maria, e della regina Anna (figlia di Giacomo II) i Tories non approvarono la libertà di culto, d'insegnamento e di stampa concessa ai non conformisti. Essi auspicavano alla rigida applicazione dei testi e delle decisioni delle corporazioni. Oxford fu un centro particolarmente attivo del movimento Tory. Anche a Cambridge erano presenti ma erano sempre stati meno impegnati nel sostenere i privilegi anglicani; erano invece più numerosi i ‘Whigs’: uomini che avevano il senso dell’unità del protestantesimo ed erano favorevoli alla tolleranza dei confronti dei non conformisti. Per la maggior parte del periodo tra 1689 e il 1714, il potere al governo rimase nelle mani di uomini politici che consideravano le opinioni di Oxford troppo estremiste; l'Inghilterra era in guerra con la Francia e la tolleranza religiosa era necessaria. Alcuni Tories erano ‘giacobiti’, desiderosi cioè di restaurare sul trono Giacomo II o suo giglio e il governo li temeva. Perciò Oxford, che durante il regno di Carlo II aveva goduto dei favori del governo, cadde in disgrazia, mentre Cambridge era apprezzata come università Whig. Le Università e la supremazia Whig (1714-60) Nell'agosto del 1714 alla regina Anna succedette Giorgio I, il primo sovrano della dinastia degli Hannover. A Cambridge ci furono alcune manifestazioni gli studenti a favore del pretendente giacobita, Giacomo II, all'università nel suo insieme diede il benvenuto al nuovo re. Oxford invece, il sostegno a favore dei giacobiti era esteso. I Whigs desideravano assicurarsi la lealtà delle università nel 1717 discussero un piano che prevedeva cambiamenti importanti. Lo Stato avrebbe dovuto assumere il diritto di nominare sia i follows sia i borsisti in tutti i posti vacanti dei collegi e delle università. In questo modo coloro che erano sospetti di simpatie giacobite potevano essere esclusi. I cambiamenti avrebbero prodotto un’ enorme interferenza con i diritti di proprietà che per il popolo inglese erano sacri. Il progetto fu abbandonato, ma ci rivela tuttavia quale fosse la portata dei sospetti dei Whigs. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 65 Fino a dopo il 1750 le due università si differenziarono nei loro rapporti con il governo. Giorgio I e Giorgio Il fecero affidamento sui Whigs quali difensori della loro dinastia mentre diffidarono dei Tories considerandoli potenziali giacobiti. Le Università, l’illuminismo e la Rivoluzione Nel regno di Giorgio III (1760-1820) le due università divennero molto simili nei loro atteggiamenti nei confronti del governo e nel modo in cui il governo le considerò. Dopo il 1750 il sostegno per gli Stuart pretendente al trono si attenuò notevolmente in tutta l'Inghilterra, Oxford compresa; la dinastia degli Hannover fu accettata ormai da tutti gli inglesi patriottici, Giorgio III nominò come ministri sia Tories sia Whigs e Oxford non fu più guardata con sospetto. Le università si resero conto che dovevano affrontare problemi e pericoli comuni: rivelarono quindi una capacità di reazione comune. Le posizioni dell’illuminismo rappresentarono una minaccia al monopolio del potere anglicano e le università risposero con una forte chiusura. L'idea che la verità potesse essere trovata più facilmente ricorrendo ad argomentazioni razionali e che le differenze dottrinarie fra le sette cristiane fossero poco importanti portò a giustificare la tolleranza e ad attaccare il monopolio anglicano. Per tutto il XVIII secolo possiamo definire le due università come i bastioni del patriottismo britannico, ebbero un atteggiamento conservatore e furono molto critiche nei confronti del libero pensiero. Ad esempio il poeta e allora studente Percy Bysshe Shelley venne espulso per aver diffuso un opuscolo di propaganda atea. Gli illuministi trovarono nella società inglese le caratteristiche tanto auspicate per il loro paese e la loro realizzazione, tuttavia ad Oxford e Cambridge quest'avventura intellettuale quasi non prese piede. Non potrà mai essere sottolineata abbastanza la gravità dell’esclusione di cattolici romani, non conformisti e illuministi. L'empirismo di John Lock è alla base di gran parte del pensiero illuminista, come dimostra il riconoscimento tributato al filosofo inglese da Voltaire. Le sue idee non potevano essere ignorate presero il posto dei residui dell'aristotelismo nei curricula universitari. Ma per quanto fossero sovversive in mano a Voltaire o ai rivoluzionari americani degli anni 1770, Oxford e a Cambridge quelle furono filtrate da menti preparate ad adattarle all'ordine costituito. Dopo Lock, la ricerca originale fu ben poca cosa nell'università, e, con poche eccezioni, i filosofi di una certa statura del XVIII secolo non vennero da queste uni. Oxford e Cambridge avevano un timore reverenziale per Newton e rimasero attaccati al ragionamento geometrico da lui preferito fino al XIX secolo: non vennero accolte invece le tecniche algebriche (o L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 66 analitiche) più snelle, elaborate dal suo contemporaneo Leibniz e perfezionata sul finire del XVIII secolo da scienziati continentali quali d’ Alambert e Laplace. Oxford e Cambridge diedero un contributo molto limitato all’illuminismo, anche a causa dell’esclusione dei non conformisti e dei cattolici romani dopo la restaurazione del 1660; erano entrambe private dello stimolo del dissenso. Le due università si distinsero per gli studi classici e la teologia per tutto il periodo dal 1660 al 1800. Il Trinity College a Dublino. Le università Scozzesi Nelle università scozzesi invece dal 1700 insegnanti e universitari potevano professare fedi fino ad allora proibite; questa maggiore tolleranza fece si che in Scozia si diffondessero le idee illuministe. La Scozia ha infatti dato un importante contributo all’illuminismo europeo e alcuni dei maggiori pensatori scozzesi sono stati insegnanti universitari come il filosofo Thomas Raid, Adam Ferguson uno dei fondatori della sociologia e Adam Smith autore della ‘Ricchezza delle Nazioni’ un’opera che gettò le basi dell’economia moderna e che ancora punto di riferimento per la teoria del libero mercato. Gli studi erano vari ma non approfonditi, le classi venivano esaminate oralmente molto spesso, i corsi attiravano comunque pochi studenti. L’inglese divenne lingua d’insegnamento. Era comunque raro che gli studenti portassero a termine gli studi e si laureassero: emblematico il caso di Walter Scott che frequento diverse classi ma non si laureò mai. Ciascuna delle 4 università scozzesi attirava poi studenti dal territorio circostante, anche se molti venivano dalle isole britanniche. Infatti in Scozia non vi erano esclusioni su base religiosa e, in virtù di ciò, mancavano gli esami di religione. Il Trinity college di Dublino fu un bastione della chiesa anglicana in Irlanda e la grande maggioranza dei suoi ecclesiastici studiò in questo collegio. Fu progettato per essere simile a un collegio di Cambridge. Gli insegnanti venivano detti fellows e dovevano essere membri della chiesa nazionale, nonché celibi. La maggior parte di loro doveva essere costituita da ecclesiastici. Il potere era nelle mani del rettore e di sette fellows anziani i quali si dividevano gran parte della ricchezza del collegio. Nel 1660 il curriculum era molto simile a quello di Oxford e Cambridge e somigliava a un corso medievale. Le materie insegnate e su cui si basavano gli esami per il B.A comprendevano teologia, filosofia, logica, storia, scienza e matematica benché l’importanza maggiore venisse data al greco e al latino. Studiavano qui i membri dell’aristocrazia irlandese, della piccola nobiltà e delle classi professionali. Un buon numero di iscritti era costituito dai figli di ecclesiastici. Sul finire del XVII secolo ebbe tra i 300 e i 400 studenti. Nel 1800 arrivarono a 900. LE UNIVERSITÀ SPAGNOLE E PORTOGHESI L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 67 limitare la stampa di quei libri che il consiglio avesse reputato superflui, o comunque di importanza secondaria. Una cappa di piombo veniva così a gravare sulla vita intellettuale spagnola. L'origine dell'atteggiamento assunto dal potere regio e da ricercarsi essenzialmente nel concilio di Trento e nell’interpretazione che la Spagna diede alla Controriforma. La volontà di difendersi dall’eresia protestante portò a censurare qualsiasi nuova tendenza; la chiesa e il tribunale dell’inquisizione diedero manforte in questa impresa controllando anche la circolazione dei libri e istituendo molto processi: decisivi, nell'istaurare questo clima di oppressione, furono quelli intentati nel 1557 dall'inquisitore generale Fernando de Valdés contro i nuclei riformati di Siviglia e Valladolid. Anche le università ebbero subire gli eccessi dell'ortodossia. Alcuni insegnanti di Alcalà, per es, vennero guardi con sospetto. Grammatica e umanesimo La rinascita umanistica, il latino e il greco assunti come chiave del sapere, giunse in Spagna dall’Italia. La presenza di grandi umanisti italiani, quali Pietro Martire d’ Anghiera e Lucio Marino Siculo, che soggiornarono a Salamanca, promosse questo rinnovamento culturale. Essi erano stati chiamati da ecclesiastici illuminati per educare l’aristocrazia, che era esclusivamente occupata nell’esercizio delle armi. Tramite la ricezione, questi nuovi studi non è però però da parte dell'aristocrazia spagnola l'accoglienza sperata. Essi trovarono invece terreno fertile nelle università, ed è frequente il caso di cattedre di grammatica e retorica affidate a umanisti italiani. Alcalà costituì uno dei maggiori centri di irradiazione dell’umanesimo spagnolo come anche l’università di Salamanca che istituì corsi di grammatica per migliorare l’insegnamento del latino e il colegio trilingue nel quale allo studio del latino veniva affiancato quello dell’ebraico e del greco. Parallelamente all'affermarsi dell'umanesimo, si diffuse in Spagna l'opera di Juan Luis Vive e di Erasmo. Il primo, nato a Valencia da famiglia ebrea, lasciò ben presto la Spagna per studiare a Parigi e a Lovanio e stabilitisi da ultimo a Bruges. Ricusò l’invito ad insegnare ad Alcalà, temendo le persecuzioni del Sant'Uffizio che già aveva messo al rogo suo padre e bruciato i resti della madre. La sua ortodossia lo rendeva comunque accettato dalla cultura controriformistica: I suoi scritti furono molto diffusi e apprezzati, e vennero anche largamente utilizzati nell'insegnamento della grammatica. Quanto ad Erasmo, che di Vives fu amico e corrispondente, egli era visto non soltanto come il grande umanista del Nord, curatore della versione greca del Nuovo Testamento e traduttore della Bibbia, ma anche come l’apostolo di una nuova religione che recuperava le autentiche radici del messaggio cristiano. Neppure Erasmo volle insegnare ad Alcalà. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 70 Ma l’impulso dell’umanesimo nelle università finì alla lunga per esaurirsi. Le cause vanno ricercate in una ritrosia allo studio della grammatica che veniva considerata una disciplina minore e remunerata meno di altri insegnamenti. I docenti di grammatica erano addirittura sospettati di eresia per possibili affinità coni filologi luterani. Lorenzo Palmireno lamenta il fatto che i ciceroniani vengano chiamati luterani. Il latino era indiscutibilmente la lingua dei dotti, ma non veniva considerato come quella chiave d'accesso al sapere che concepivano gli umanisti. Inoltre l'avvento dei gesuiti contribuì ad inaridire questo genere di studi. I collegi gesuitici si moltiplicarono in tutta la Spagna e il Portogallo con lo scopo di educare gli strati più alti della popolazione ed entrando in concorrenza con le università e le scuole di grammatica. All'inizio del seicento malgrado l'opposizione del primo università, questo Ordine fondò a Madrid il collegio imperiale al quale, sebbene non fosse abilitato a rilasciare diplomi, fece capo l'educazione di tutta la corte. Queste istituzioni entravano in concorrenza con le università e le scuole di grammatica; spesso si giunse ad accordi sulla cui base questo insegnamento fondamentale veniva, dalle municipalità e persino da certe università come Saragozza, acceduto i gesuiti. Buona parte della sapere umanistico rimaneva così concentrato nelle loro mani. Un'ordinanza di Filippo IV nel 1623 giunse a sopprimere ovunque le scuole di grammatica, tranne che nelle città più importanti (quelle cioè governate da un ‘corregidor’, che era un sindaco di noia regia, e dotate di un reddito superiore a 300 ducati). Filosofia, Teologia e Diritto Per quanto riguarda le materie d’insegnamento la scolastica aveva assunto nell’ultimo scorcio del medioevo un indirizzo nominalista che tramontò in fretta per tornare alla scolastica aristotelica che del resto era più in linea con il ritorno più generale all’ortodossia voluto dalla Riforma. Nella cultura del XVI secolo la disciplina tenuta in maggior considerazione è la teologia. Nelle facoltà di diritto civile e canonico ci si continuò a basare, come in epoca medievale, sui testi di Giustiniano e del Corpus iuris canonici; si commentavano le institutiones, il digesto, le decretali, la formazione dei futuri giuristi aveva quindi un carattere principalmente teorico, dal momento che alle leggi e alle procedure in vigore veniva riservato minimo spazio. Coloro che intendevano abbracciare la carriera forense erano tenuti a far pratica di diritto reale presso avvocati addetti ai tribunali, alle corti e ai consigli, e a sostenere quindi un esame dinanzi a questi organismi. L’ambito giuridico fu appena toccato dal rinnovamento umanistico, propugnato da Juan Luis Vives, che esortava a una miglior conoscenza del latino e dell'antichità, e predicava equità e giustizia in opposizione ai cavilli della casistica. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 71 Tantomeno furono accolte le nuove teorie politiche, quelle di Jean Bodin e di Niccolò Machiavelli, che vennero immediatamente poste all’indice e refutate da una schiera di dotti e di storici. Questo fu un grave danno, anche perché la maggior parte degli studenti si iscriveva proprio alle facoltà di diritto. Questo avveniva naturalmente, la cui facoltà di leggere da sempre prestigiosa, e ancor più a Valladolid, dove gli studi giuridici erano molto sviluppati per la presenza in questa città di un altro tribunale. Si spiega così come la facoltà di diritto, insieme a quella di teologia, fosse quella che in quasi tutte le università godesse del maggior numero di cattedre e delle migliori retribuzioni.ciò nonostante, i docenti di diritto, appartenessero oppure no ai colegios mayores, concepivano in genere l’insegnamento come punto di partenza per mete più elevate, quali i tribunali e le alte corti. Facevano carriera più velocemente coloro che potevano vantare cattedre ad Alcalà, Valladolid o Salamanca. Un altro sbocco era costituito dai tribunali delle Indie e da gli organismi amministrativi dei territori italiani, benché questi fossero solitamente riservati a chi proveniva dal Collegio San Clemente di Bologna. Matematica, Astronomia e Medicina L’ambito delle scienze naturali, se si esclude la medicina, non compì molti progressi. Gli studi di Lépez Pinero e Navarro Brotòns ci consentono oggi di tracciare un panorama del loro sviluppo. La riscoperta di Euclide si deve alla facoltà d’arti, mentre la lettura delle teorie di Copernico era raccomandata in poche università e non divennero effettivamente materia d’insegnamento. Poiché il sistema di Tolomeo e Sacrobosco andava ancora per la maggiore, gli studi di Copernico non divennero materia effettiva di insegnamento e furono tutt’al più utilizzati per rettificare le tavole astronomiche o il calcolo delle effemeridi. E senza dubbio nella medicina che vennero compiuti i progressi più notevoli. Anche questa disciplina risentì infatti dell'influsso dell'umanesimo, poiché, se fino all'inizio del 500 ci si era basata essenzialmente sui commentatori arabi, ora si mira al recupero e alla lettura di prima mano dei testi di Ippocrate e Galeno. Andrés Laguna, che ebbe contatti con l’Università di Alcalà, studiò a Parigi e viaggiò per tutta Europa; le sue traduzioni di Discoride e Galeno e la sua epitome di quest’ultimo furono ampiamente apprezzate. Questa nuova tendenza ebbe largo seguito presso tutte le università spagnole. Un altro capitolo del rinnovamento della medicina che per l'uomo in Spagna in questo periodo fu rappresentato dall'introduzione dell'anatomia di Andrea Vesalio. Questi soggiornò presso la corte di Filippo Il tra il 1559 e il 1564. Inoltre la scoperta e lo studio della circolazione polmone si deve all’aragonese Michele Serveto nel 1546. Egli pubblicò i risultati delle sue indagini nel 1553, in un'opera a carattere teologico, la ‘Christianismi restitutio’, che gli valse l’accusa di eresia e la condanna al rogo per ordine di Calvino. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 72 I primi monarchi della nuova dinastia adottarono altre strade per la diffusione dell’insegnamento e delle scienze. Le conoscenze tecniche, soprattutto quelle legate all’esercito, subirono un forte impulso. Fu fondata una scuola per guardiamarina, una di ingegneria, un centro di insegnamento per artiglieri. Nacquero tre scuole di chirurgia a Cadice, Barcellona e Madrid. Alla fondazione di questi centri si accompagnò la nascita di altre istituzioni come i giardini botanici, i gabinetti di storia naturale e i laboratori di chimica. Furono fondate dal sovrano l'accademia linguistica, quella storica. Giuseppe I e le riforme di Pombal Il Portogallo sotto il ferreo controllo del marchese di Pombal, fu il primo paese a promuovere la riforma dell’insegnamento pubblico, ponendosi come obiettivo l'introduzione di nuove conoscenze e tecniche. Il primo passo fu l’espulsione dei gesuiti nel 1759, che consentì di liberare molte aule ed edifici e modificare l’insegnamento tradizionale delle scienze. La vera riforma ebbe inizio nel 1770 (parallelamente alla Spagna) con la designazione di Francesco de Lemos quale rettore riformatore a Coimbra e la creazione di due commissioni: ‘la reale commissione censoria’ che aveva il compito di controllare i testi d’insegnamento e ‘la commissione per l’approvvigionamento letterario’ che si era impegnata a riformare l’università di Coimbra. Nel 1772 apparvero i risultati del lavoro svolto dalla commissione, gli Estatutos da Universidade de Coimbra che contenevano la modernizzazione auspicata. Nello stesso anno Pombal ispezionava l’università e avvivava i principali istituti, l'ospedale, la sala anatomica, i laboratori, il giardino botanico e i gabinetti di storia naturale. Le riforme subirono un arresto quando morto il re, Pombal scomparve dalla scena politica. Con l’ascesa al potere di José de Seabra da Sylva, sebbene non condividesse le idee di Pombal, protesse le scienze e alcuni docenti, e ordinò che fossero redatti buoni manuali la cui pubblicazione fosse affidata alla stamperia dell’università. Ma la situazione disastrosa con cui si apre il XIX secolo non consente alle novità introdotte di produrre risultati concreti. Carlo III e il periodo riformista spagnolo Anche in Spagna le riforme furono realizzate grazie all’influenza di alcuni personaggi politici, protetti dalla benevolenza del re, ad esempio i fiscali del consiglio di Castiglia Campomanes e Floridablanca. Nel 1767 per prima cosa furono espulsi i gesuiti, i loro edifici, le biblioteche e le collezioni furono utilizzati per le nuove istituzioni. Fu attaccato il monopolio del potere dei collegi maggiori. Nel 1771 furono riformati e nel 1777 furono pubblicate le nuove costituzioni: trasformati in semplici alloggi per studenti, essi persero il carattere di università che avevano avuto precedentemente. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 75 Dopo queste innovazioni, sembrava che il consiglio avesse intenzione di promuovere una riforma totale del sistema educativo, cosa che in Portogallo risultava più semplice, essendoci un unica università, quella di Coimbra; in Spagna, per diverse ragioni, le riforme non furono tanto facili. Del resto, la Corona non voleva sopprimere interamente il potere di un’istituzione fedele al vecchio regime; forse le difficoltà incontrate da Filippo V con Cervera - sia con l'istituzione con il papato-sconsigliavano una riforma totale. Ad ogni modo, i consiglieri non ci penserò a un completo corto, sebbene la loro volontà riformista fosse evidente. Così nel 1769 nacque la figura del "direttore di università", con la quale il consiglio continuava ad essere presente nelle decisioni riguardanti l'ateneo: ad ogni membro del consiglio era affidata la responsabilità di una delle istituzioni. Nel gennaio del 1770 il re stabilì le norme generali che regolavano il conferimento dei diplomi universitari. Il sistema d’insegnamento doveva essere uniformato; il baccellierato era essenziale perché consentiva l’esercizio delle professioni. Il sistema di riforma partiva dalla riforma dei piani di studi che venne effettuato dalle università stesse. Le misure adottate risultarono simili e in questo modo si riuscì a introdurre la riforma auspicata. Gli studi di grammatica ebbero una certa ripresa; la facoltà di arti e filosofia ottenne notevoli miglioramenti in quanto s’intuì l’importanza che poteva ricoprire come passaggio propedeutico alle facoltà maggiori, si cercò di creare per ogni facoltà principale dei corsi di studi preparatori. Anche il metodo d’insegnamento doveva essere ammodernato: si abbandonò il metodo sillogistico e la lettura dei testi classici. Uno dei punti principali della riforma illuminata fu l’introduzione di libri di testo, brevi, moderni, semplici e concisi che compendiavano tutto il sapere relativo a una determinata disciplina. Un altro punto fu l’accurata selezione dei docenti; furono introdotti tribunali formati da dottori atti a designare i docenti, che emettevano un giudizio da sottoporre al consiglio di Castiglia. Anche le strutture didattiche migliorarono in quanto cominciò ad affermarsi un sapere pratico; vennero creati laboratori, ospedali, sale anatomiche, biblioteche e gabinetti di scienza naturale. Per quanto riguarda lo studio della medicina svolta importante fu l’introduzione nel 1772 a Coimbra, nel 1776 a Granada e nel 1786 a Valenza di sale dove venivano ricoverati i malati e in cui i docenti potevano fare lezione dal vivo, a poco a poco tale pratica venne introdotta in tutte le facoltà. Il maestro passava di letto in letto seguito dai suoi discepoli; si indagava sui sintomi, si diagnosticava la malattia e si stabiliva la cura. Venne infatti privilegiato l'aspetto pratico su quello teorico. Inoltre si introdussero testi di medicina redatti da autori moderni. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 76 Le riforme di Carlo III non ebbero vita facile: una maggiore qualità presupponeva maggiori controlli. I riformisti intendevano riservare le università pochi, timorosi che queste potessero produrre un numero eccessivo di professionisti, in particolare di avvocati: i programmi dunque dovevano essere più severi e più ridotto il numero degli atenei. Le principali università castigliane, ad ogni modo, non raggiunsero le vette dell'età dell'oro; furono piuttosto le università periferiche - Valenza, Saragozza e Siviglia - a registrare il maggior incremento di iscritti, forse per il fatto che si era perso l'abitudine di andare a studiare a Salamanca o ad Alcalà de Henares, e perché nelle grandi città c'era una forte domanda di medici avvocati. Il numero degli studenti aumento quindi nelle facoltà di medicina e giurisprudenza, mentre calò in quelle di diritto canonico e teologia, sebbene in misura minore per quest'ultima. Dopo la morte di Carlo III, avvenuta nel dicembre 1788, le riforme subirono una battuta d'arresto. Non solo era venuto a mancare lo stimolo del sovrano, ma la rivoluzione francese aveva suscitato nelle corone europee una grande paura di perdere il potere.soltanto alla fine del secolo si sarebbe prodotto un importante cambiamento nel sistema insegnamento, in particolare nelle facoltà di medicina e dopo nella giurisprudenza. Nella prima È beh luogo un tentativo di unificazione degli studi di medicina e di chirurgia. A questo scopo fu nominata una commissione di riunificazione delle facoltà che, nel 1799, prese le redini di questa riforma, sopprimendo insegnamento della medicina nelle università, con l'eccezione di Salamanca, e lasciando i colleghi il compito di formare medici chirurghi. Tale riforma rimase in vigore soltanto due anni, trascorsi quali il potere di formare i medici puri ritornò alle università, mentre la formazione di chirurghi rimaneva prerogativa dei collegi. Perché le tue scienze vengano definitivamente riunificata bisognerà aspettare altri trent'anni. Così, il controllo sulla formazione dei medici torno alla "protomedicato", commissione esaminatrice che aveva preceduto alla formazione dei medici, mentre gli aspiranti chirurghi dovettero superare l'esame di una nuova commissione di protochirurghi costituita per l'occasione. I giuristi furono più fortunati; nel 1802 ottennero infatti un'importante riforma dell'insegnamento della giurisprudenza, rivolta alla formazione pratica degli avvocati, che dovevano avere una buona conoscenza del diritto reale spagnola e superare un periodo di praticantato prima di poter esercitare. Grammatica e Arte, Medicina Forse la riforma più importante dell’insegnamento riguardò i suoi contenuti e la forma di comunicazione. La produzione di nuovi testi è il carattere pratico del nuovo indirizzo scientifico avevano avuto un particolare impatto in quelle facoltà che fino ad allora avevano goduto di minore considerazione all'interno dell'università. Anche gli studi di grammatica conobbero una certa ripresa. Si riuscì a superare l'influenza che la compagnia di Gesù aveva esercitato nelle aule di grammatica e si cercò di migliorare lo studio delle L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 77 Dove stavano le motivazioni per una così attiva politica universitaria? Esse derivavano meno dalla coscienza di un deficit di istruzione che da complesse aspirazioni dei signori territoriali che ne furono fondatori: aspirazioni dettate dall’ambizione politica e dal sentimento religioso. La cura dei sudditi rientrava tra le virtù del principe. Dal tardo XV secolo la tendenza ad affidare posizioni guida nella Chiesa e nello Stato ad esperti formati giuridicamente e teologicamente fu sempre più frequente. La figura del consigliere dotto e dell'educatore del principe di formazione umanistica, sempre più spesso di origine borghese, incrinò la posizione di monopolio detenuto fino ad allora dal chierico di corte e si affermò come nuova figura sociale accanto alla nobiltà di sangue. L’idea che la scienza nobilita cominciò a concretizzarsi. Certo, l’antichissima tensione tra arma et litterae, cioè la resistenza della nobiltà di spada nei confronti della cultura scritta clerical-scolastica, continuò a farsi sentire; principe litterati come nel XIV secolo Carlo IV, Massimiliano I intorno al 1500, Federico il Saggio (fondatore dell’università di Wittenberg), o infine Gioacchino I di Brandeburgo (fondatore dell’università di Francoforte sull’Oder), furono per il momento delle eccezioni. Ma si tesero dei fili per una rete di rapporti di tipo diverso tra la cultura di corte e la cultura scritta dotta. Lo si poteva capire tra l’altro dai tours cavallereschi compiuti dai principi ereditari delle famiglie regnanti durante i quali si visitavano non solo corti straniere ma anche famose università, o anche dal crescente numero di nobili che intraprendevano gli studi universitari, per lo più senza portali a termine. D'altra parte non deve indurre a sopravvalutare la mobilità sociale nell’acro rigidamente strutturata società per ceti o a trasferire ai primi tempi dell’università concezioni some quelle moderne di studio legato alla professione e di impegno alla produttività. Elementi di continuità istituzionale con il Medioevo La figura giuridica delle università tedesche era caratterizzata intorno al 1600 da quattro elementi fondamentali: 1) La loro caratterizzazione come università territoriali; nella misura in cui i fondatori - fossero essi autorità secolari, religiose o cittadine - consolidarono gli Studi generali con proprietà immobiliari ed esclusero secessioni secondo la tradizione medievale - si rafforzò il loro radicamento nel contesto sociale. In ciò la situazione tedesca si differenziò strutturalmente da quella italiana o francese. Relativamente a dotazione, sorveglianza, conferma degli statuti, chiamata e remunerazione degli insegnanti, i fondatori delle università tedesche seguirono il modello dell’ “università di Stato” creata da Federico II nel 1224 a Napoli. 2) Nontutto però si ispirava al modello napoletano. Vi erano dei buoni motivi per cui i signori territoriali e le università si orientarono piuttosto ai modelli di Bologna e Parigi: attraverso la loro fama ci si poteva riallacciare alla teoria storico-universale della translatio artium dai greci e dai romani fino al L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 80 3) 4) presente, per la loro origine corporativa poteva essere interpretata come autogenesi della universitas magistrorum et scholarium. Nel passaggio dall'improvvisazione corporativa alla stabilità istituzionale di una "corporazione fondata", l'università regionale tedesca conservò, più lungo che le università degli Stati vicini, un'eredità sostanziale—> Era fondamentale la legittimazione della fondazione da parte di un potere universale. Su questo punto convergevano interessi vari. Per professori e studenti la concessione in blocco dell'accresciuto tesoro di privilegi del ceto accademico stava alla base della loro autocomprendersi come corporazione protetta. Per il fondatore la legittimazione universale significava non solo dare maggior prestigio al proprio nome in quanto mecenate delle scienze, ma anche tutelare concreti interessi nella cornice della struttura imperiale che si tendeva tra i due poli costituzionali dell’imperatore e dell’impero. È però dalla struttura costituzionale dell'impero che si capisce perché le università, per quanto studi generali privilegiati anche dall'imperatore (e/o dal Papa), non siano diventate istituzioni nazionali; esse rimasero regionali. La struttura costituzionale dell’Impero impedì la formazione di una università centrale sul modello dell’antica parens scientiarum, Parigi. La forma giuridica delle università tedesche si è evoluta abbastanza omogeneamente fino all’inizio del XVI secolo e si è conservata, nella sostanza, fino alla fine del Sacro Romano impero (1806). Le modifiche rispetto ai precursori medievali si profilarono definitivamente verso il 1600: a) Il concilio, da assemblea dell’universitas (totalità dei membri) si restrinse a rappresentanza dei professori insegnanti con esclusione degli studenti dal diritto di elezione del rettore. L'assunzione dell'ufficio da parte di un vice rettore, usanza che si diffuse in quasi tutte le università dell'impero. b) Il rettore divideva la competenza giurisdizionale con il cancelliere, figura presa in prestito dal modello francese e che coincideva per lo più con il vescovo diocesano, come rappresentante della sorveglianza ecclesiastica e a cui di norma spettava la giurisdizione penale e il conferimento nominale della licenza. c) Le facoltà come organi collegiali di orientamento scientifico soppiantarono le nationes come elementi portanti della corporazione: la tenace conservazione a Vienna e a Lipsia delle “nazioni” come principio organizzativo rimase un’eccezione. La situazione culturale alla vigilia della Riforma L’atmosfera scientifica nelle università era determinata all’inizio del XVI secolo dalla presenza di tre movimenti, radicalmente diversi per provenienza-di carattere religioso, intellettuale e pedagogico- di cui non è difficile intravedere l'intrecci: a) la disputa scolastica tra le correnti dell’aristotelismo affondava le radici nella critica dei filosofi del XIV secolo alle autorità della scolastica, ed ebbe come effetto una differenziazione dei metodi d’insegnamento. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA gl b) l’umanesimo che fece il suo ingresso dall’Italia attraverso le Alpi (mirava alla riforma tramite gli studia humanitatis e volgeva la sua critica al barbaro latino volgare e scolastico del medioevo). All'inizio si creò una contrapposizione tra umanesimo di impostazione scolastica più forte che in Italia, a causa tra l'altro dell'arroganza dei "poeti vaganti”. Tra il 1490 e il 1520 si ebbe la marcia trionfale delle bonae artes, delle renscentes litterae all’interno e all’esterno delle università. Umanisti privi di prebende, andarono volentieri a servizio come educatori di principi. Presso le corti o ai margini delle università sorsero, sull’orma del movimento italiano delle accademie, circoli dotti. c) Erasmo da Rotterdam—> il suo ideale della necessità di tenere strettamente congiunte l’educazione globale del singolo e la sua formazione influenzò in modo determinante le scuole e i collegi pre- universitari dell’Europa occidentale. Rappresenta al meglio la cosiddetta Devotio moderna. Martin Lutero come teologo all’università Le origini della riforma sono da ricercarsi all’interno dell’università. Essa prese forma nell’attività di Lutero come teologo all’università di Wittenberg (dottore nel 1512) mentre studiava il testo biblico per le lezioni e le prediche. Le prime manifestazioni di te riformatrici a partire dal 1516-17, in occasione di dibattiti in lettere inviate al suo maestro, avevano per tema principale la riforma della teologia universitaria, in particolare la sua depurazione dell’aristotelismo. Presto però in connessione con la disputa sulle indulgenze, allorché Lutero nel 1517 dispose le predicazioni di Tetzel con le sue 95 tesi, la critica della scolastica si inasprì fino a diventare critica del papa e ella Chiesa: “perché una simile tirannia papale non ci sarebbe se non avesse ricevuto così tanto aiuto dalle università”. Le scuole superiori aprivano a Lutero sempre più come opera del diavolo, come "le porte dell’inferno". La Riforma prese il suo avvio dall'università, allorché Lutero annunciò le sue tesi e le appese alla chiesa del castello per portarle a conoscenza dell'opinione pubblica accademica. Egli le difese nel 1518-19 in occasione di dispute ad Heidelberg e a Lipsia. Nel successivo corso degli eventi dal processo per eresia basato su perizie universitarie, attraverso il bando papale e fino alla dieta di Worms del 1521 - la pubblicistica di Lutero si armò per attaccare la struttura ecclesiastica. Egli abbandonò l’accademia dal 1520. La stampa contribuì ad accelerare la sua popolarità. Lutero si conquistò le simpatie e gli aiuti delle cerchie umanistiche, tra cui quelle di Giorgio Spalatino, consigliere del principe elettore Federico III il Saggio e organizzatore della riforma dell’università di Wittenberg del 1518. L'alleanza fu comunque di breve durata, in quanto la visione di Lutero contrastava con quella cristiana. La Dieta imperiale di Spira del 1626 e la fondazione della prima università protestante L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 82 La pace di Augusta si riflesse sul settore dell’istruzione in senso duplice: da un lato rendeva sempre più stretto il rapporto tra autorità territoriale e università, dall’altro si legava sempre più alla confessionalizzazione. Le università, culle della riforma dal punto di vista teologico e intellettuale, acquisirono un peso tanto maggiore discussione per le dottrine di fede, quanto più perso l'uso d’efficacia i colloqui religiosi. La scuola in tutti i suoi gradi divenne lo strumento più importante per la formazione dei parroci, degli insegnanti, dei funzionari in genere per l’educazione dei sudditi alla lealtà, comprendente ora anche la fede, nei confronti della casa regnante. Per la prima volta le autorità di governo presero ad occuparsi con maggiore intensità dell’istruzione pre-universitaria. Un ruolo particolare giocarono le borse di studio, soprattutto per i futuri teologi. L'altra conseguenza della pace religiosa di Augusta fu il progressivo processo di delimitazione dottrinale delle confessioni. Se per la Chiesa cattolica fu il concilio di Trento 1545-63 a riformulare i principi fondamentali della dottrina della fede e della costituzione ecclesiastica, all'interno della nuova chiesa la confessionealizzazione conobbe uno sviluppo dinamico e-in mancanza di una comune autorità superiore responsabile - differenziato, in cui furono le università e i loro teologi ad assumere il ruolo guida di garanti dell’ortodossia nel loro rispettivo territorio. Nonostante il paragrafo della legge imperiale del 1555 che le escludeva, anche le correnti riformate delle città tedesco-settentrionali e svizzere riuscirono ad imporsi con sempre maggior forza. Ciò avvenne in Germania con il favore di due circostanze: le tensioni all’interno del campo protestante e il passaggio dal Palatinato elettorale al calvinismo. Dopo la morte di Lutero (1546) l’atteggiamento irenistico di Melantone non poter più evitare la scissione sopratutto nella dottrina eucaristica. Dopo la morte di questi (1560) la frattura tar ortodossi e ‘filippisti’ si approfondì ulteriormente; questi ultimi, che in parte avevano i propri seguaci tra giuristi, medici, letterati di formazione umanistica furono combattuti come ‘criptocalvinisti’, in certi luoghi fino a venire espulsi o imprigionati. Il processo di confessionalizzazione si ripercuoteva anche in ambiente universitario. Della condizione dell’università della prima età moderna infatti non faceva parte solo il vincolo alla confessione del signore territoriale; cambiamenti confessionali delle autorità del governo portavano con sé rottura della continuità e licenziamenti come ad esempio a Heidelberg che nel XVI e XVII secolo passò ripetutamente da luteranesimo al calvinismo. La diffusione di influssi riformati nell’Impero tedesco fu favorita dal fatto che il principe elettore Federico III (1559-76) condusse al calvinismo l’università di Heidelberg. L’effettivo di 16 università, esistenti fino al 1506 a partire dalla Riforma fu quasi triplicato. —> tra il 1527 e il 1650 furono fondate 18 università, fino al 1800 nel Sacro Romano Impero della Nazione tedesca ne furono fondate altre 10. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 85 Tipologia delle Scuole superiori Riforma e confessionalismo hanno impegnato grandi energie nella politica scolastica; si trattava di superare, con l’aiuto delle scuole, la fase di crisi. Era necessario istruire i riformatori. La maggiore attenzione prestata dagli Stati principeschi o cittadini all’ammaestramento della giusta fede dei loro sudditi produsse un boom di fondazioni e la moltiplicazione dei tipi di scuole. Accanto al modello tradizionale di università con quattro facoltà, fecero la loro apparizione anche altre scuole particolari senza però aspirare a raggiungere o ottenere il pieno status di università. In queste scuole si possono individuare 3 tipi dominanti: le semi-università, i gymnasia illustria e le accademie cavalleresche. Semiuniversitas fu denominato il Ginnasio di Strasburgo in occasione del conferimento nel 1566 del privilegio con cui fu elevato di grado attraverso la concessione di un diritto di addottorare limitato alle facoltà di arti. Un privilegio simile fu conferito poco più tardi alla scuola della città imperiale di Norimberga. Entrambe godettero di alta considerazione grazie alla liberalità confessionale nell’orientamento delle chiamate dei docenti, politica che permise loro di fungere da punta di penetrazione della giurisprudenza umanistica europeo-occidentale accogliendo i suoi eminenti rappresentanti. Il modello prevalso nelle città imperiali restò senza seguito. E tuttavia il suo fondamento, il Ginnasio di Strasburgo di Johannes Sturm del 1538, influenzò sostanzialmente lo sviluppo dei ‘gymnasia illustria’, la cui denominazione eufemistica si riferiva per lo più alla pretesa fama o la titolarità principesca, come nel caso delle scuole principesche o territoriali della Sassonia. Per quanto riguarda i ginnasi illustri caratteristica distintiva era la combinazione della scuola particolare, chiusa e strutturata in classi, come collegio o convitto, detta anche schola privata, affiancata da lezioni pubbliche tenute da docenti specialisti di discipline accademiche. La loro dotazione poteva oscillare, a seconda della disponibilità dei fondatori, da un livello più modesto come a Zurigo, alle facoltà come a Brema e Strasburgo. Come ulteriore alternativa alla fine del XVI secolo si costituirono le accademie cavalleresche, chiamate collegia illustria o collegia nobilium, Se a partire dalla Riforma in poi lo Stato nella sua politica di promozione degli studi si era concentrato in un primo momento principalmente sulla formazione di teologi, è però possibile d’altra parte rivelare anche un aumento dell’interesse per gli studi da parte della nobilità. A partire da circa il 1600, a spingere verso la creazione di istituti di istruzione adeguati al rango della nobilità concorsero più fattori: l’ideale del gentiluomo proveniente dalla Francia, l’esigenza di un rinnovamento morale ed intellettuale della nobiltà, la volontà della nobiltà territoriale ad una qualificazione personale. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 86 Il Collegium illustre aperto a Tubinga nel 1594 funse da modello al movimento delle accademie nobiliari che iniziò dopo la guerra dei Trent’anni, fino al XVIII erano presenti circa 30 accademie cavalleresche. Esse si presentavano come scuole superiori alternative per l’istruzione di un ceto, senza il disprezzato sistema degli esami, con piani d'insegnamento che - con lingue moderne, storia, matematica, statistica, geografia, architettura, diritto - si orientavano ai bisogni pratici del mutato momento politico-sociale. Nel medesimo periodo da rettori di scuole di origine borghese, si levarono grida di riforma contro la zavorra della speculazione scolastica e del sapere libresco universitario, invocando “cose non parole”. Attraverso le accademie nobiliari, parallelamente quindi ai movimenti borghesi di riforma dell’istruzione passavano importanti canali di fondazione delle scuole reali dell’età moderna, mentre nelle università la nuova disciplina del diritto pubblico imperiale veniva coltivata con sempre maggior cura attirando la nobiltà. Le università nella guerra Nel decennio precedente lo scoppio della guerra dei Trent'anni - proprio come prima della Riforma - le immatricolazioni nelle università toccarono l’apice, giungendo a quasi il doppio rispetto a quelle di un secolo prima. Lo studio aveva acquisito prestigio sociale confermando come fossero state superate positivamente le sfide lanciate dalla Riforma. Gli avvenimenti bellici, accompagnati da nuove epidemie di peste, interruppero questo trend a causa del repentino calo demografico. Alcune università furono trasferite o chiuse. Bilancio e prospettive La pace di Westfalia del 1648 diede il via alla ricostruzione, che consolidò le università fino all’inizio del nuovo secolo. Vi furono alcune innovazioni strettamente collegate al placarsi delle lotte confessionali. La giurisprudenza comincio a intaccare il predominio della teologia e ad assumere, unità alle discipline storiche e accanto all’astronomia e alla matematica, una funzione guida nella gerarchia delle scienze. In particolare il diritto pubblico, come anche il diritto naturale delle genti, che si impiantò per la prima volta ad Heidelberg con la chiamata di Samuel Pufendorf nel 1661, furono considerate discipline ‘eleganti’ e ‘moderne’. Accanto ad esse continuarono la loro avanzata le Realia per le quali alcuni stimoli prevennero dal duca Ernesto il Pio e dal suo piccolo ‘Stato modello’ di Gotha; da citare a questo proposito sono in particolare la riforma dell’università di Jena. Con la pace del 1648 si impose un allentamento nell’applicazione rigida del principio confessionale. Con la fondazione nel 1652 della società dotta degli scienziati naturali, le accademie scientifiche rivendicarono il compito della ricerca; le università conobbero sempre più la pressione concorrenziale di accademie che rivendicarono asse il compito dell'invenzione, della ricerca, rispetto alle università come luoghi di insegnamento. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 87 nello Stato e nella Chiesa che per la storia culturale e scientifica. Le università tedesche con la loro evoluzione rifletto tutti i mutamenti politici e spirituali della vecchia Europa. La nascita del primo Stato moderno Il primo Stato moderno si affermò nel segno dell'assolutismo che, come forma di governo, conobbe certamente tratti ambivalenti, soprattutto in Germania. Ciò si avvertì anche nella storia dell'università e fu fenomeno gravido di conseguenze. Nell'impero romano germanico l'assolutismo si sviluppò inizialmente in condizioni diverse da quello dello Stato francese monistico di Luigi XIV (1634-1715) e dei suoi successori o, nel polo parlamentare opposto, dell’Inghilterra, dove la Gloriosa Rivoluzione del 1688 pose fine all’assolutismo. In Germania non si e venne un riassetto monarchico né parlamentare della struttura dell’impero. La pace di Westfalia avevo piuttosto sancito giuridicamente l'agglomerato di innumerevoli aree con un diverso sistema giuridico evolutosi sotto il tetto comune del dualismo dei poteri dell’imperatore e dei ceti imperiali. Soltanto a questi ultimi spettava uno ius territoriale tam in ecclesiasticis quam in politicis, mentre l'Impero nel suo insieme conservava un assetto giuridico arcaico. Il passaggio da forme di governo feudali a forme assolutistiche, con gli attributi dell'esercito permanente nonché di una brillante cultura di corte e imitazioni Versailles, si compì soprattutto nei territori di ampia estensione, ad esempio nel Brandeburgo-Prussia, nel Palatinato, in Sassonia, in Baviera, negli Stati asburgici. Mentre la libertà degli Stati imperiali escluse un regime assoluto ai vertici dell'impero, l'altro canto la sovranità imperiale garantiti con i propri privilegi (ad esempio elevamento di rango, assegnazione di feudi, baliato della Chiesa) la protezione dalle ambizioni dei piccoli grandi signori territoriali e la garanzia di libertà corporative. Questa struttura federativa dell'impero con la pluralità di confessioni di corporazioni costituì nella vecchia Europa un modello singolare di coesistenza di forme eterogenei di vita politica. Nel suo periodo di corte l’assolutismo tedesco non fu mai un sistema di potere a senso unico, ma racchiudeva in sé fattori sia modernizzanti che conservatori. L’assolutismo dei signori territoriali tedeschi potremmo definirlo un prodotto della libertà tedesca, che permise una politica autonoma nel settore religioso e nel settore scolastico. La politica universitaria dell’assolutismo di corte Sulle generazioni che sopravvissero al 1648 gravarono catastrofici danni di guerra. Numerose università dovettero cominciare da capo. Le università tedesche furono tutte interessante da alcune tendenze di fondo. Dopo la pace di Westfalia non iniziò un periodo aureo di pace, anzi non si interruppero i conflitti e le università vennero occupate, saccheggiate e sperimentarono il disinteresse dei loro sovrani. Lo sviluppo dello Stato in senso assolutista ebbe delle ripercussioni sulle università. Le attività didattiche cominciarono L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 90 ad essere controllate non solo riguardo all’ortodossia ma anche relativamente ai contenuti dell’insegnamento. La crescente ingerenza dello Stato si manifestò anche nell’intervento dei principi nella politica delle nomine che minò ulteriormente il tradizionale principio di autocooptazione delle università. La complessità dei compiti governativi richiese in misura crescente personale specializzato che divenne il vero e proprio depositario del potere statale. Gli uffici governativi e della società di corte si aristocraticizzarono. Inoltre lo stato assolutista intensificò a diversi livelli l’interazione tra l’influenza delle scienze e il nuovo orientamento dell’insegnamento universitario. Si ebbe un passaggio per unire teoria e pratica. Università e confessioni Le università fondate dopo il 1648 sorsero all’insegna della politica di tolleranza dei principi soprattutto nelle zone riformate e protestanti. Esempio: Carlo Ludovico del Palatinato fondò l’università di Heidelberg come avamposto della pace religiosa, e fu imitato dal Grande principe elettore con la creazione dell’università di Duisburg. Il principe concesse la libertà d'insegnamento con l’obiettivo di creare un’università universale, quale asilo degli studiosi perseguitati di ogni fede. Quando in Francia venne abrogato l’Editto di Nantes e in Germania venne approvato l’editto di tolleranza, il Grande principe elettore autorizzò l’insediamento nel territorio di circa 20.000 ugonotti. I profughi furono ben accolti in quanto diedero slancio alle attività industriali e commerciali e ricoprirono anche il ruolo di docenti di scienze cavalleresche. Per quanto concerne il rapporto tra confessione ed università nei territori cattolici dell’Impero, tutte le università fondata dal 1648 sino al primo trentennio del XVIII secolo operavano ancora all'insegna della tradizione ininterrotta della riforma cattolica. Fin quando le facoltà di filosofia e di teologia dell'Università cattolica e furono rette dei gesuiti, i conflitti che opponevano, nelle fondazioni ecclesiastiche, i capitoli del Duomo i gesuiti o le divergenze di questi con le facoltà laiche sui contenuti dell'insegnamento e metodi didattici furono all'ordine del giorno. Dopo il 1648 la situazione delle università cattoliche fu condizionata dalle conseguenze della guerra. La crisi della coscienza europea: una rivoluzione? L’anno 1648 non costituisce una cesura nella vita culturale, bensì l’inizio della rigenerazione di tutti i settori dell’attività umana dopo la guerra. La crisi scaturì dal Rinascimento ed in essa presero forma pressoché tutte le idee che si concretizzarono poi nella Rivoluzione francese. La ‘crisi della coscienza europea’ si compì in condizioni sociali diverse da un paese all'altro. È tedesca il mutamento della concezione scientifica del mondo raramente e origine nelle università. Reagisci possono L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 91 collocarsi nell'erudizione scolastico-umanistica, nella cultura sociale delle città-stato italiane, nonché nell’humus religioso delle scuole scuole ecclesiastiche dell’Europa occidentale. Nella maggior parte dei casi però i pionieri del mutamento spirituale nell'Europa occidentale non furono professori universitari ma studiosi privati. Per dare una valutazione del ruolo dell'università tedesca il processo di rinnovamento culturale bisogna richiamare nostra attenzione su alcuni fatti. L'apertura all'Illuminismo, in quanto superamento della scolastica tradizionale, viene tuttora valutata sulla base dei termini in cui fu recepito il messaggio di Cartesio. Per quanto riguarda l'università tedesche questo avvenne soprattutto attraverso i Paesi Bassi, per molti anni il paese il tipo di Cartesio, per cui le prime università che vennero a contatto con questa dottrina furono le università riformate che subivano l'influenza di Leida. Un primo esempio è costituito dall’università di Herborn. L’essenza e lo sviluppo dell’illuminismo tedesco si differenziarono a più livelli dall’illuminismo dei Paesi dell'Europa occidentale e meridionale. 4 sono le caratteristiche che possiamo evidenziare. a) mancavano in Germania i presupposti sociali generali grazie ai quali in Francia ed Inghilterra si era sviluppato l'Illuminismo inteso come fenomeno sociale. b) L’illuminismo in Germania non fu un fenomeno omogeneo, ma si differenzia secondo le aree confessionali, le condizioni territoriali, sociali e spirituali. La maggior parte delle città imperiali fu coinvolta dalla riforma. Cittadini mandarono i figli alle università protestanti dalle quali uscirono in seguito personaggi ragguardevoli per la divulgazione della cultura illuministica, quali editori stampatori. Nei territori cattolici della Germania meridionale dell'Austria, cultura e scienza erano plasmate nei conventi. Dopo l'inizio del XVIII secolo gli ordini monastici, in concorrenza con la scolastica dei gesuiti, si trasformarono in società scientifiche ed erudite. Le diverse concezioni sulla funzione della tradizione e dell’autorità modificarono i postulati confessionali dell’illuminismo. c) Vi furono anche differenze nei modi e nei canali attraverso i quali nuovi messaggi culturali furono recepiti dall'università, in virtù delle aree di influenza. L'impatto con nuovi messaggi culturali poteva avvenire mediante contatti di singoli con personalità straniere di spicco. Presso l'Università i nuovi messaggi culturali venivano recepiti maggiormente nell'ambito di scambi intrauniversitari. Le moderne università protestanti Halle, Gottinga ed Erlangen sono considerati i primi centri dell’illuminismo in Germania. Essi surclassarono la cosmopolita Lipsia che rimasta roccaforte della teologia neoscolastica-luterana e non offriva spazio ad innovazioni quali l’illuminismo. Caratteristiche dell’illuminismo universitario tedesco: L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 92 In seguito a causa delle guerre con la Francia rivoluzionaria cominciò la “morte di massa” delle università tedesche; tra il 1792 e il 1818 furono soppresse 9 università protestanti. Il declino della costituzione imperiale segnò il passaggio delle università alla giurisdizione degli Stati provinciali. LE UNIVERSITÀ NORDICHE I Nel XV secolo parecchie università videro la luce nel territorio germanico. Verso la metà del secolo con la fondazione dell'Università di Rostock (1419) e di Greifswald (1456), questa istituzione, tipica dell’insegnamento superiore in Europa, raggiunse le coste del Mar Baltico. Le università tedesche riflettevano la grande fioritura culturale commerciale delle regioni nordiche la loro creazione contribuì alla diffusione degli studi universitari nelle Europa settentrionale Danimarca, Norvegia (Islanda) e Svezia (compresa la Finlandia che allora faceva parte di tale regno).Sebbene gli studenti scandinavi frequentassero regolarmente le università nel resto d'Europa, ora per loro l’accesso all’università divenne più agevole. Le università di Uppsala e Copenaghen La naturale concorrenza con le città della Lega Anseatica indusse i regni di Danimarca e di Svezia a creare proprie università: già nel 1419, Enrico di Pomerania, sovrano di tutti i Paesi nordici, ottenne dal papa il privilegio di fondare una piccola università. Nel 1477 fu creata l’università di Uppsala in Svezia e nel 1479 quella di Copenaghen: si trattava però di università con un’offerta didattica ridotta e con strutture di modeste proporzioni e pertanto la maggior parte degli studenti scandinavi continuò a frequentare gli studi in Germania. Come conseguenza della diffusione della Riforma luterana nei paesi scandinavi sia Uppsala che Copenaghen interruppero momentaneamente la propria attività. A partire dal secondo decennio del Seicento l’università di Uppsala divenne un’importante sede per la formazione del clero e contemporaneamente si qualificò come sede privilegiata dell’educazione dei giovani nobili, differenziandosi con quanto avveniva nella maggior parte dei paesi ove il baricentro dell’educazione nobiliare si era stabilito all’interno delle accademie cavalleresche. La Danimarca ebbe uno sviluppo differente da quello svedese per quanto riguarda la formazione dei giovani nobili, concentrata soprattutto nell’accademia dei cavalieri fondata nell’antica scuola monastica di Soro nel 1643 secondo il modello del Collegium Illustre di Tubinga. Mentre l’università di Copenaghen godeva del tradizionale privilegium exclusivum all’interno dei territori del regno di Danimarca e di Norvegia, nel ducato di Holstein fu invece permesso fondare nel 1665 una nuova università, quella di Kiel. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 95 L’università di Uppsala fu dotata nel 1625 di una propria sede. Si contavano contemporaneamente più di mille studenti: un numero considerevole anche in rapporto ai numeri sul continente. Durante il regno della regina Cristina furono avviati i lavori per un grandioso palazzo universitario su 6 piani, ma per ragioni economiche i lavori furono sospesi. Inizialmente anche Gustavo Adolfo intendeva dotare l’università di Uppsala del privilegium exclusivum, ma nello stesso periodo fu creato un sistema in virtù del quale ogni diocesi doveva avere un ginnasio, cui affidare innanzitutto la formazione del clero. L’arcidiocesi di Uppsala fu invece dotata di un’academia. Anche nelle diocesi di Tartu e Turku i ginnasi ebbero lo statuto di academiae e da allora in poi esse poterono ricevere studenti da tutto il regno e ebbero il diritto di conferire titoli accademici. Le nuove accademie non ebbero edifici propri. L’espansione del Regno di Svezia L’epoca di Gustavo II Adolfo e della regina Cristina (1610-fine anni 50) fu l’era della grande espansione militare del regno di Svezia. Tale espressione fu accompagnata da un serio tentativo di innalzare il livello amministrativo e culturale del paese. Le università da parte loro ebbero l’importante compito di formare il clero e la nobiltà ed europeizzare così il regno. Questo periodo fu caratterizzato dalla ricezione del diritto romano e da un grande processo di assimilazione della cultura umanistica olandese, accompagnato dallo studio del latino, del francese e dell’italiano e da un interesse per le arti e per i costumi continentali. Nelle università si insegnarono, soprattutto ai giovani nobili, la scherma e la danza. Le università furono aperte però anche ai figli di contadini e artigiani. Molti eruditi stranieri furono invitati presso le università, tra cui lo stesso Cartesio, su invito diretto della regina Cristina. Dal continente, però, non giunsero solo gli eruditi, ma anche le usanze studentesche come le prevaricazioni degli studenti anziani sulle matricole. L’espansione del regno di Svezia ebbe fine nel 1600: il Paese restò da allora sulla difensiva e alla fine della lunga guerra russo-svedese (1700-21) perse una parte notevole del suo territorio, soprattutto all’est. L’università di Tartu, già precedentemente in difficoltà e trasferita a Pernau, smise di funzionare in seguito all’occupazione russa dell’Estonia e della Livonia (1710). I docenti dell’Università di Turku cercarono rifugio a Stoccolma, ma l’università fu riaperta nel 1722 senza che la tradizione fosse stata interrotta. La seconda metà del XVII secolo vide affermarsi l’ortodossia luterana e la censura divenne più rigorosa. Anche le università furono sottomesse al generale disciplinamento imposto al Paese. La mentalità di censura non poté tuttavia impedire la diffusione di nuove idee scientifiche, così la dottrina di Cartesio divenne oggetto di discussioni appassionate anche presso le università del regno di Svezia. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 96 Rinnovamento e modernizzazione Verso la metà del XVIII secolo, una forte tendenza alla modernizzazione si sviluppò sia in Danimarca che in Svezia. Questi regni vogliono rafforzare la propria potenza all'insegna della razionalità e perseguendo un'espansione economica simile a quella della Prussia della Russia; tale atmosfera influì sulla politica educativa in quanto si vuole rendere più efficace il sistema generale degli studi nonché dare maggior peso agli studi economici e pratici. Nel 1732 l’università ebbe un nuovo ordinamento: fu legata più strettamente al sistema regio assolutista, le condizioni di ammissione per gli studenti furono rese molto più severe, il lavoro dei docenti fu controllato e furono assunti molti professori stranieri, soprattutto tedeschi. Per quanto riguardava gli esami di giurisprudenza all’inizio l’università di Copenaghen riuscì ad impedire che questi si svolgessero anche presso l'Accademia di Soro, ma il divieto fu poi rimosso. Tuttavia essendo l’accademia frequentata da pochi, chiuse nel 1793. In Svezia la politica riformista della metà del XVIII secolo fu strettamente legata all’affermazione della concezione scientifica utilitaristica. La Reale Accademia delle Scienze a Stoccolma, fondata da Linneo del 1739, diventò il centro di questa corrente di idee. Punto di forza dell’Accademia a partire dalla fine del XVIII secolo fu lo studio della chimica; essa fu disciplina portante anche nei centri di Uppsala e Turku. I giardini botanici e i laboratori chimici furono fra le strutture più notevoli dei nuovi edifici universitari. L’insegnamento e lo studio della medicina invece ebbero a lungo un ruolo secondario nei paesi nordici; per avere un diploma in medicina ci si recava all’estero, di solito in Olanda. Fu soltanto verso la metà del XVIII secolo che furono fondate le prime cliniche universitarie per esercitazioni e che si cominciarono ad organizzare esami di medicina. Lo sviluppo dell’apparato statale e la modernizzazione dell’amministrazione, influenzarono, a loro volta, la didattica nel settore degli studi giuridici. Il nuovo spirito stava soppiantando il carattere paternalistico ed ecclesiastico che aveva condizionato fino ad allora lo sviluppo sociale. Nell’ambito delle facoltà filosofiche venne data crescente importanza alle scienze naturali. Il clima ideologico e l'insegnamento universitario della fine del secolo furono tuttavia dominati da un ritorno alle scienze umanistiche. Il nuovo sovrano, Gustavo III, riconosceva una grandissima importanza all’Europa continentale nel campo della cultura. Egli viaggiò in Francia e Italia e non soltanto vi acquistò statue autentiche, ma incoraggiò anche le ricerche archeologiche. Conseguentemente alle guerre napoleoniche i due originali regni scandinavi si divisero in quattro stati. La Norvegia non tardò a sviluppare una propria università creata nel 1811 nell’odierna Oslo. L'UNIVERSITÀ IN EUROPA 97
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