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La Transizione Alimentare dal Medioevo alla Prima Età Moderna: Consumo, Cibo e Società, Sintesi del corso di Storia Culturale dell'Europa

La transizione dal medioevo alla prima età moderna, con un focus sulle differenze nella alimentazione e il consumo di prodotti alimentari. Si parla della differenza tra l'alimentazione romana e quella dei barbari, l'importanza dell'agricoltura e della selvaggina, la diffusione del cristianesimo e la nuova centralità del grano. Vengono anche discusse le tensioni sociali generate dalla disponibilità di carne e il ruolo della nobiltà e dei canonici. La logica del profitto e la produzione di cereali per l'esportazione vengono introdotti nel XII secolo.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 01/02/2022

marina-potassa
marina-potassa 🇮🇹

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Scarica La Transizione Alimentare dal Medioevo alla Prima Età Moderna: Consumo, Cibo e Società e più Sintesi del corso in PDF di Storia Culturale dell'Europa solo su Docsity! LA FAME E L’ABBONDANZA Dal III al VI secolo l’alimentazione europea subì grossi cambiamenti, causati dal crollo dell’Impero Romano, dalle carestie, dalle pestilenze, dai conflitti e decadere dell’agricoltura. L’uomo medievale e della prima età moderna dovette fare i conti con la fame ed ingegnarsi per trovare delle soluzioni di sopravvivenza, si parla di differenziazione del consumo di prodotti alimentari. Molti storici riportano episodi terrificanti di uomini che si cibarono di carcasse umane o erbacce ma la realtà fu molto diversa e si può ricercare una normalità. I Romani come i Greci apprezzavano tutto ciò fosse frutto del lavoro umano, da qui anche l’idea ci città e ager da contrappore a quella di saltur cioè di natura vergine e incontaminata. La civiltà risiedeva proprio in tutto ciò che poteva essere costruito, ciò che era artificiale e frutto degli uomini. Da qui si capisce bene come l’alimentazione romana fosse incentrata sull’agricoltura e i prodotti lavorati dagli uomini come OLIVO VINO GRANO, elementi fondamentali a cui si accosta una leggera consumazione di carne di pecora e pesce per le località marittime. Contrariamente i barbari vivendo in un territorio differente la loro principale fonte d’alimentazione derivava dalla selvaggina delle foreste (anche allevamento, maiali mucche) e dai frutti raccolti, consumavano birra e latte come bevande; usavano burro e lardo non olio. Ciò non vuol dire che non usassero grano ma in modo diverso non lavorato ed è proprio nella lavorazione che i romani vedevano il valore di laboriosità e civiltà. Dal III sec. In poi le due alimentazioni entrano in stretto contatto andandosi a modificare. Analizzando le abitudini alimentari e ciò che gli uni pensavano degli altri si può risalire alle ideologie e ai valori delle comunità. Dalla caduta dell’Impero e con l’affermarsi dei capi germanici cambiano anche le abitudini alimentari, questo perché la forza e il potere politico determina anche ripercussioni culturali. Non stupisce quindi che si passi dal disprezzo per la selvaggina all’adulazione come piatto principale. Il medico Antimo si sofferma a lungo sulle proprietà del maiale e sulle diverse modalità di preparazione. Vengono rivalutati anche i boschi che saranno contati in base alla quantità di maiali selvaggi che possono accogliere. La carne diventa il cibo dei potenti, simbolo di grandezza e di forza perché è proprio dai suoi nutrienti che deriva l’energia per combattere. I capi germanici paragonavano l’atto di non mangiare carne ad un’umiliazione, ad una privazione. Il primato del pane è messo in discussione ma la conversione della popolazione Europea in cristiani diede nuova centralità all’uso del grano simbolo della carne del signore. La storia del primo medioevo è piena di rimandi simbolici al pane e al vino come corpo e sangue di Cristo, visione integrata dall’alimentazione tipica romana. Anche l’olio ebbe fortuna visto che era usato nelle unzioni ecc. gli stessi abati coltivavano nei monasteri colture di grano e olio e vino. Ci fu un’integrazione fra i due popoli che presto si convertirono al cristianesimo, ampia era anche la diffusione di carne e birra che potevano essere consumate entro una certa quantità giornaliera (concilio di Aix IX). Potremmo parlare di modello alimentare romano barbarico. Anche le modalità di stare a tavola sono differenti. Per la cultura romana-cristiana è importante la moderazione, non eccedere. Per i barbari era importante mangiare molto e abbuffarsi segno di virilità paragonabile agli animali come lupi e orsi che infatti erano simboli molto usati e raffigurati. (aneddoto di Carlo Magno). Anche nel mondo ecclesiastico del Nord Europa si riscontra un’esagerazione nella nutrizione, il sinodo Laterano del 1059 definì le porzioni dei canonici di Aquisgrana pantagrueliche e adatte per la ghiottoneria dei ciclopi. Tuttavia, la pratica dell’astensione e della privazione cristiana dominò a lungo, vista da opporre ai valori dei potenti guerrieri, miglior via per la salvezza risultava essere l’astensione dalla carne. Il modello romano e quello barbarico non di rado si scontravano come nel caso di sovrani di origine germanica ma che si ritrovavano a governare in territori romani e quindi a doverne prendere abitudini culinarie. Il caso ci è fornito da Carlo Magno che nelle descrizioni di Eginardo appare come un mangiatore moderato ma se leggiamo bene ci rendiamo conto che eccedeva spesso, soprattutto nel consumo di carne arrosto. Fu così che l’importanza dell’agricoltura si unì a quella delle foreste, quando si parlava di carestie queste erano sia agricole che boschiere. Furono accetti cibi come carne di selvaggina, frutti selvatici, formaggi e pesce insieme agli ortaggi già diffusi nei territori romani. Tuttavia, questa integrazione fu accolta principalmente dalle classi nobiliari e dai canonici, la popolazione restò a lungo legata alle tradizioni, sia per una questione simbolica-religiosa sia perché risultava dispendioso nutrirsi di cibi costosi. Differenza fra il pane: pane bianco di frumento era destinato per lo più ai signori e sovrani, perché più complesso da coltivare e rendeva meno. Al popolo era destinato il pane nero frutto della coltivazione di FARRO, SEGALE, ORZO ecc., che erano decisamente più resistenti. Plinio parla della segale come di un cereale che nasce ovunque e rende moltissimo. Tra l’altro il pane mangiato dal popolo quasi mai era lievitato o cotto al forno, si trattava più che altro di focacce cotte nella cenere. Alto era invece il consumo di zuppe e polente, dove era possibile usare questi tipi di cereali. Zuppe di legumi ed orzo insaporite con il lardo. Stesso discorso per la carne, fresca per i ricchi; essiccata o sotto sale per i poveri. Altra differenza tra pane fresco e raffermo. SALE importante. Lotta tra disboscamento da parte di monaci soprattutto e cultura barbarica che apprezzava la natura selvaggia. Fatto sta che l’aumento demografico dal VIII sec., in poi impose l’uso di terreni incolti per soddisfare la domanda. Dal IX sec in poi si diffonde la pratica della coltura dei cereali usando territori boschivi. Carattere della coltivazione estensivo che portava all'allargamento delle superfici coltivate (dal XI sec in poi si inizia a diffondere anche quello intensivo). Propter necessitatem (inventario di Bobbio): la motivazione è da imputate al crescere della popolazione e delle domanda e l'insieme di carestie che afflissero l'Europa dal VIII al XI sec. (26 carestie) legate alle condizioni meteorologiche. La soluzione era da trovare nella nascita di una cultura agraria. Legate al consumo di grano sono molte malattie. Ovviamente i cereali erano preferiti alla carne per la conservazione. Episodi di cannibalismo. Dal XII Sec inizia una differenziazione alimentare sulle tavole dei ceti contadini e più umili.  La carne che prima era un bene di lusso, seppur limitata la caccia, inizia a comparire sulle tavole degli europei, meno selvaggina più pollame. In molti ne raccomandano la consumazione come Abelardo ecc.  Inizia una vera e proria corsa alla deforestazione: appropriazione signorile dei diritti d'uso sull'incolto. Ciò genera una tensione sociale elevata, hai contadini viene chiesto di più e tolto spazio per la libera coltivazione o per la caccia, tutto è limitato e regolamentato in base ai signori locali o sovrani come in UK e Francia.  Come nell'alto medioevo così nel basso il pane bianco resterà un prodotto alimentare di lusso consumato per lo più da nobili , proprietari terrieri e cittadini. I contadini dovevano invece pagare attraverso il frumento i loro padroni e per il resto la produzione di frumento (come in sud Italia) era destinata ai cittadini che potevano acquistarlo nei mercati. I contadini continuarono a mangiare pane nero prodotto da altri cereali più economici e resistenti come farro, orzo ecc, molto diffuse erano anche zuppe, legumi e castagne. Tanto era pregiato che venne paragonato al pepe e al vino. Nei momenti di maggior carestia è noto come si producesse pane dall'impasto con verdure o argilla o terra, abitudine che si perse nel tempo.  La gestione della produzione del frumento era in mano alle città (politica annonaria), che stabiliva come lavorare il terreno, quanto dovessero lavorare i contadini, i guadagni, i dazi, gestivano i mercati. Ciò perché appunto il frumento era diventato uno status symbol e un bene primario nelle tavole dei cittadini, da ciò derivava anche l'ordine pubblico. Capitava che in momenti di carestia si consumassero altri cereali o i prezzi salissero e ciò rendeva le città molto dipendenti dalle campagne e dal mercato d'esportazione. Dal XII sec inizia la LOGICA DEL PROFITTO, non si produceva solo per sgamare i cittadini ma anche per guadagnare sull'esportazione del frumento bene di lusso. I contadini furono rivalutati in quest'ottica.  A posteriori sul XII sec si parla di risorgimento del Duecento perché lo sviluppo economico, l'estensione dei terreni coltivati, le migliorie nell'agricoltura, il commercio, l'assenza di carestie porta benefici sia nelle tavole dei cittadini che dei rurali.  Nello stesso periodo inizia a cambiare la visione del nobile potente che si abbuffa a tavola e lascia spazio ad un'idea di rinnovata eleganza, buone maniere all'insegna di un nobile comportamento. Il netta fra i due modi di mangiare. L’olio, seppur di bassa qualità, era usato nei giorni di magra anche in Europa del nord ma con la riforma il burro ha la meglio anche nel condimento di insalate e vediamo la nascita delle salse al burro. Sappiamo come le élite influenzino i gusti e i cambiamenti, anche per questo si iniziò ad usare più spesso il burro, mentre le spezie iniziarono a scomparire perché già ampiamente diffuse e non più bene di lusso. Iniziò a comparire lo zucchero dal Trecento, prima con impego farmaceutico (confetti speziati a fine pasto per digerire) poi nella cucina di dolci. Soprattutto la Francia si distinse nella NUOVA CUCINA. Prima era più ampiamente usato il miele come dolcificante. Soprattutto nel Cinque-Seicento assistiamo ad un rapido affermarsi dell’uso dello zucchero dimostrato anche dalle nuove colture in America di canna da zucchero. Passerà da essere bene di lusso a prodotto comune sulle tavole degli europei vicino a pane, olio e vino. Il consumo di vino e bevande alcoliche è stato sempre molto elevato sia per la sete (si mangiavano molti prodotti sotto sale) sia per l’apporto calorico in mancanza di una sana dieta. Si pensava avesse anche doti terapeutiche. Se ne consumava più di un litro pro capite al giorno, la birra anche il triplo. Il vino era anche diluito nell’acqua non potabile, usato come antisettico. In ultimo il consumo del vino era legato anche ad un aspetto ludico si beveva insieme per divertirsi. La morale cristiana ha cercato sempre di dissuadere i cristiani dal consumo eccessivo ma il vino era anche un elemento simbolo nella cultura ecclesiastica. Ingresso di NUOVE DROGHE in Europa nel tardo Cinquecento e Seicento: caffè, the, distillati e cioccolata. Sono queste le bevande che rapidamente sostituiranno l’abuso di vino e birra. I distillati erano già diffusi, come l’acquavite; iniziano a differenziarsi grazie a nuovi distillati e radici: nasce il rum, il whisky, il gin e il ratafià. Il caffè scoperto nel Trecento dall’Africa e coltivato in Medio Oriente si diffuse un paio di sec dopo grazie ai mercanti veneti. Iniziarono a nascere nuove coltivazioni per assicurarsi il monopolio diretto e rispondere all’alta richiesta cittadina (Inghilterra, Italia e soprattutto Francia). L’idea del caffè si assocerà presto a valori come la produttività, libertà, razionalità, valori illuministi e borghesi. Il caffè è una bevanda che mantiene lucidi e svegli. Inizialmente bene di lusso ma già a fine Settecento è un prodotto di massa. Il the si diffuse con leggero ritardo, in particolar modo in Olanda e Inghilterra vista la produzione diretta con le Indie. Incentivarono l’uso del the che soppiantò il caffè, se ne bevevano circa 100 tazze al giorno. Il cioccolato invece resterà a lungo un prodotto di nicchia dei più ricchi, in Italia e Spagna soprattutto. Anzi, diventa simbolo della ricchezza e mollezza dell’aristocrazia. SETTECENTO impennata demografica a fine secolo: 195 milioni di abitanti. Nonostante la crescita della popolazione le condizioni alimentari peggiorano causa carestie e aumento della domanda. Inizia la RIVOLUZIONE AGRICOLA, vengono trovate nuove tecniche di coltivazione più redditizie. Inoltre, tornano in auge alcuni vecchi amici come il RISO, GRANO SARACENO, MAIS, PATATA. Alcuni nuovi altri già sentiti tornano ad essere ampiamente coltivati per la loro produttività e prezzo. Sono prodotti che andranno a caratterizzare la classe popolare. Si può parlare di uno stato di malnutrizione diffusa con cui si facevano i conti tutti i giorni. Vengono usati questi nuovi prodotti perché molto resistenti e più produttivi a parità di terreno coltivabile, rendevano di più. L’ingresso è dovuto alla povertà e carestie e all’esigenza di far fronte al problema. Più che una modifica dovuta all’impatto con l’America si può parlare di una conseguenza dettata da problematiche interne all’Europa. In ogni caso questi prodotti sono adattati, TRADOTTI al sistema alimentare locali, avvicinati a cibi che si conoscevano già, il mais alla polenta per esempio. Il consumo di mais inizialmente era portato avanti privatamente dai contadini, in seguito i proprietari capirono quanto potesse fruttare ed iniziò una coltivazione aperta del mais alla quale si opposero non di rado i contadini che così andavano ad opporsi ad un embrionale sistema di sfruttamento capitalistico. Dall’alto consumo di mais si arrivò a malattie come la pellagra risolte solo nel Novecento. La forbice sociale frumento-mais si acuisce sempre più. Per quanto riguarda la patata si diffonde nelle stesse modalità, come prodotto di consumo di massa per i contadini nel momento in cui i proprietari capiscono che può essere vantaggioso coltivarla. Cresce sottoterra e resiste anche a condizioni avverse. Tuttavia, non di rado incontra resistenze nel popolo. Perché le modalità di utilizzo inizialmente non sono ottimali (è vista come sostituto di cereali per il pane). In seguito conobbe una diffusione anche nei ceti alti, durante l’Ottocento era presente nei ricettari destinati ai nobili grazie ai suoi molteplici usi. Le diete, soprattutto dei poveri, erano basate sul monofagismo che non aiutava a livello fisiologico e nei momenti di carestia di patate intere regioni si spopolavano. PASTA: già nel Duecento ci sono attestazioni della sua diffusione nella variante fresca, quella essiccata pare si sia diffusa a posteriori forse da un’usanza araba o siciliana o ligure. Sono queste ultime due le regioni che iniziano a produrre ed esportare pasta essiccata in tutta Italia. Resta difficile capire se fosse un cibo per ricchi o poveri. È probabile che, come il pane, fosse consumata fresca dai ceti alti e secca (proprio per la lunga conservazione) dai popolani. Nel Cinquecento era ancora considerata una pietanza di più, superflua rispetto al pane nonostante il forte consumo nel Sud Italia. Nel Seicento in seguito a carestie di carne si iniziò a diffondere più capillarmente, visto che riempiva, era meno costosa e dava un apporto calorico alto. Proprio grazie alla coltivazione di semola di grano duro e quindi alla pasta la popolazione del sud non soffrì mai così tanto di malnutrizione da mais o patata rispetto al nord. Su l finire del Settecento inizio Ottocento si assiste ad un aumento della popolazione che porta ad un aumento della domanda e ad una nuova crisi produttiva; carestie, monofagismo, malattie ecc. mais e patate sono i protagonisti nelle pance contadine. Come in altri periodi storici si tende a giustificare la cattiva alimentazione dei contadini come questione di gusto di classe, come se non potessero che apprezzare vegetali e patata e zuppe. In realtà sappiamo che ciò è un pregiudizio, visto che i contadini non avrebbero potuto permettersi una dieta diversa. Nascono luoghi comuni e stereotipi. Sempre nel Settecento il modo di mangiare opulento e ricco di carne cambia di nuovo all’insegna di nuovi valori illuministi di leggerezza equilibrio e contrasto con una classe dirigenziale precedente dedita ad ingozzarsi. LA RIVOLUZIONE Nel corso dell’Ottocento assistiamo ad un cambiano sul piano qualitativo e quantitativo del consumo di cereali e mais ecc. il pane viene ricavato dal frumento grazie alle innovazioni nella coltura e nella macinazione quindi si diffonderà quello BIANCO per tutti, come anche lo zucchero e il riso, il bianco era associato al lusso e ala ricchezza contro il nero che era però anche più nutriente. Ci fu anche un proporzionamento quantitativo: meno cereali più carne. È anche il secolo della democratizzazione del cibo, tutti possono mangiare quel che vogliono senza distinzione in base al ceto. Ovvio che la qualità sarà diversa. Il consumo di carne aumenta in tutte le classi sociali, grazie a scoperte tecnologiche come macchina a vapore, ferrovie per il trasporto e sistemi di conservazione in scatola e di refrigerazione. La carne è così importata ad un costo più basso e tutti possono comprarla=logica capitalista. Processo di DELOCALIZZAZIONE ALIMENTARE il cibo viene esportato ed importato con facilità grazie ai mezzi di trasporto e migliorie nella conservazione è stato possibile mettere fine al capitolo della fame e delle carestie. Il problema è che genera povertà in altri paesi che basano la loro intera economia sulla produzione di pochissimi alimenti, come in America Latina per la carne. Altro carattere è l’uniformità alimentare, il cibo è uguale ovunque perde il carattere locale. Caratterizzazione urbana del modello alimentare. Non di rado si parla di nostalgia della campagna, di cibi e profumi rustici. Abbiamo perso la stagionalità: altra causa della produzione globalizzata. Tuttavia, c’è stata una lunga ricerca per arrivare a questa situazione, il paradiso terrestre che si sognava dava frutti e cibi tutto l’anno a volontà, e non è questo che abbiamo realizzato? Il potersi cibare quando si vuole di ciò che si vuole, differenziando i prodotti in tavola. In ultimo l’idea estetica associata ai corpi era quella dell’abbondanza; il grasso animale e vegetale era destinato per lo più ai ricchi da qui l’accostamento della bellezza al corpo grasso, grasso era bello, in salute e ricco. Per molto tempo l’estetica ha seguito questa idea. Nel Settecento si inizia ad affermare un’altra idea in opposizione all’antica nobiltà, quella portata avanti dalla nuova borghesia di un corpo più magro, una dieta più leggera e una maggior laboriosità. Ma è nel finire del Novecento che l’idea estetica di corpo magro si è davvero diffusa, con il pericolo e la paura dell’eccesso. Si è passati da troppo poco a di tutto e di più.
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