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Sintesi Manuale del film. Rondolino, Sintesi del corso di Storia Del Cinema

Documento sintetico sul libro di Rondolino.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 03/01/2022

maria-guerriero-4
maria-guerriero-4 🇮🇹

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Scarica Sintesi Manuale del film. Rondolino e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! TECNICA CINEMATOGRAFICA riassunti manuale del film Scrivere una sceneggiatura Possiamo considerare la sceneggiatura come un processo di elaborazione del racconto cinematografico che passa attraverso diversi stadi: IDEA Dietro questa parola esistono tante possibilità. E’ la carta vincente per realizzare un film. Può nascere spontaneamente in qualsiasi momento, grazie ad un particolare evento, o un ragionamento inconscio, da una parola, da un’associazione di immagini, da ricordi o esperienze. SOGGETTO È la modellazione più articolata dell’idea, ovvero un piccolo racconto, uno spunto narrativo, il breve riassunto di qualcosa che ancora non c’è ma che è probabilmente destinato a prendere forma. E solitamente contenuto in poche righe. TRATTAMENTO EF’ la fase successiva dell’elaborazione di un soggetto, in cui gli spunti narrativi del soggetto vengono sviluppati e approfonditi. La forma è ancora quella letteraria, ma ha acquistato una caratterizzazione narrativamente più definita, più funzionale alla descrizione delle varie scene in cui si articola la vicenda, con un’attenzione all’ambientazione e alla precisazione delle situazioni. SCALETTA Segna la fase del passaggio dal “momento” letterario della storia a quello della costruzione del film, ovvero una suddivisione in punti di quello che succede, diviso per scene. SCENEGGIATURA E l’interazione tra trattamento e scaletta, è uno strumento puramente tecnico, non è più uno strumento narrativo. Sono messe in ordine tutte le scene del film, descritti con cura ambienti, personaggi ed eventi, indicati con precisione i dialoghi. La sceneggiatura subisce poi un’ulteriore fase di elaborazione dando vita a quello che è comunemente chiamato il découpage tecnico. Qui le scene vengono divise in singole immagini, dette inquadrature o piani, che a loro volta sono numerate: di esse si indica il contenuto, il punto di vista della cinepresa, la presenza di eventuali movimenti di macchina ecc. Formato A4, si aggira tra le 90-100 pagine. Esiste poi la possibilità di accompagnare al testo scritto di una sceneggiatura delle immagini: story board. SPOGLIO Dove si riguarda la sceneggiatura con molta attenzione e si scrivono tutte le cose che servono per il film: costumi, location, macchine da presa, personaggi etc. Com?è scritta E’ costruita in una forma rigida. Dopo la prima pagina con i dati essenziali del film. La sceneggiatura suddivide il film in una serie di nuclei (scene), numerati in forma cronologica. La scena è una parte di film che ha un inizio e una fine, che è caratterizzata da elementi spaziali e temporali a se. Perciò se c’è un ellissi di tempo o la location cambia si passa ad un’altra scena. Nei piani sequenza invece anche se si cambia location la scena rimane la stessa, poiché non ci sono tagli di montaggio. E’ composta da 3 parti 1. Intestazione (Scritta in maiuscolo) formata da ESTERNO/INTERNO: poi dal nome simbolico in cui è girata la scena — GIORNO/NOTTE. 2. Descrizione Esattamente quello che lo spettatore vedrà. In modo oggettivo e razionale. Prende tutta la lunghezza del foglio ed è giustificata. 3. Dialogo Colonna centrale del dialogo, si può anche scrivere tra parentesi l’intenzione del personaggio. doppio spazio e inizia un’altra scena. Ci sono diversi tipi di formattazione per la sceneggiatura, si predilige quello americano. Consigli di Senesi, Come si fa un film? Si parte dal fotogramma, più fotogrammi formano un inquadratura, più inquadrature formano scene e serie di scene accomunate da qualcosa formano una sequenza, un insieme di sequenze formano un film. 3 cose da non inserire in sceneggiatura alle prime armi 1- albe e tramonti, perché durano poco 2-Uno o più bambini, sono ingestibili 3-Non troppi personaggi, no progetti corali Il cinema ha una suddivisione in atti: 3 1- un quarto di film: introdurre il contesto 30 min 2-due quarti: presentare il conflitto 60 min 3-1 altro quarto 30 min: soluzione finale, speculare all’inizio del film 45 min arriva la svolta narrativa o il colpo di scena Racconto cinematografico Causalità, spazio, il tempo sono tre elementi essenziali di ogni narrativa; gli eventi di un racconto, infatti, accadono sulla base di una certa logica consequenziale, in uno o più spazi, ma anche in un certo tempo o, come sarebbe meglio dire, attraverso certe articolazioni temporali. Un'altra caratteristica essenziale del racconto è quella inerente la sua facoltà di regolare il flusso delle informazioni diegetiche in modo da far sì che in ogni momento della storia lo spettatore possa saperne di più o di meno di ciò che sanno i personaggi. Quando parliamo dello spazio del racconto cinematografico possiamo intenderlo in due modi: come spazio della storia e come spazio del racconto. Il primo è lo spazio diegetico rappresentato da un film, i suoi luoghi e ambienti (palazzi, appartamenti, strade, montagne, mari, fiumi ecc.), il secondo è quello spazio che viene a formarsi sullo schermo attraverso il modo in cui il discorso articola lo spazio della storia. In un film si possono articolare quattro tipi fondamentali di rapporti spaziali: * Identità “ritorno dello stesso”, ovvero due riprese dello stesso spazio ma con inquadrature diverse (es. Campo lungo poi primo piano). * Contiguità “qui” Ne abbiamo l’esempio più rappresentativo nel caso della conversazione fra due personaggi in cui si alternano le immagini dell’uno e dell’altro. I due spazi sono adiacenti, congiunti fra loro, legati da un rapporto di comunicazione visiva immediata. * Prossimità “Là” si dà ogni qualvolta fra due spazi non adiacenti è possibile comunque una comunicazione visiva o sonora. Es: relazione fra due celle separata da un muro in cui i due detenuti possono comunque comunicare fra loro, oppure come quella fra due case, dirimpetto l’una all’altra, dove è possibile spiarsi vicendevolmente. * Panoramica: Si tratta di un movimento rotatorio della macchina da presa che può essere orizzontale, verticale o obliqua. * Carrellata: La macchina da presa è collocata su un supporto mobile (carrello che scorre su dei binari) e compie un movimento avanti e dietro oppure a destra sinistra o obliquo se un movimento dall’alto si parla di “Carrellata dall’alto”. * Dolly: La macchina da presa è sistemata sull’estremità di un braccio meccanico mobile sostenuto da una piattaforma. Movimenti fluidi dal basso verso l’alto. * Macchina a mano: Lo stesso operatore impugna la macchina da presa senza aiuto di strumentazione. * Steadycam: La macchina da presa è fissata sul colpo dell’operatore mediante un’intelaiatura ed isolata tramite un sistema di armonizzatori. Fotografia Luce Illuminare uno spazio non è solo dargli luce sufficiente affinché la sua rappresentazione cinematografica sia ben visibile agli occhi dello spettatore. Illuminare uno spazio — o un personaggio — è soprattutto organizzarlo, dargli una struttura, imporne un certo tipo di lettura alla quale lo spettatore non può, né deve sottrarsi. Attraverso il gioco delle luci e delle ombre, dei chiari e degli scuri e del colore, lo spazio cinematografico acquista senso, si drammatizza, diventa parte integrante e costitutiva della narrazione stessa. Le caratteristiche fondamentali della luce sono quattro: qualità, direzione, sorgente e colore. * Luce Intradiegetica: si intendono tutte quelle fonti di luce che fanno parte della messa in scena, della storia raccontata: lampadine, fuochi, candele ecc. * Luce extradiegetica: tipo di illuminazione prodotta da riflettori e superfici riflettenti che esistono solo nella realtà produttiva del film, e non nella sua diegesi, e che per questo non possono mai essere mostrati dalla macchina da presa, almeno nell’ambito del cinema classico. Colore Gioca, insieme alla luce e in stretta connessione con essa, un ruolo di primo piano nella composizione dell’immagine, nella sua articolazione significante. È noto come i colori chiari attirino lo sguardo più di quelli scuri, come i toni caldi (rosso — arancione — giallo) ci attraggano maggiormente di quanto non facciano quelli freddi (dal viola al verde). Il discorso dell’attore, la costruzione del personaggio L’attore, il cui compito precipuo è quello di garantire la rappresentazione cinematografica dell’umano. Possiamo distinguere fra due modalità d’interpretazione del personaggio: quella dell’attore «replicante», che manda giù a memoria una parte, i suoi movimenti, gesti e battute, e li riproduce nel corso della propria performance davanti alla macchina da presa, e quella, invece, dell’attore «creativo» che, al contrario, recita a partire da un canovaccio, da una serie di più o meno generiche indicazioni, affidando una certa parte del proprio lavoro all’improvvisazione. Caratterizzazione e costruzione dei personaggi la scelta dei personaggi è importante per coinvolgere lo spettatore. Vanno caratterizzati, sfaccettati, dargli un punto debole e anche uno più forte. Ricercare la tridimensionalità caratteriale. Per caratterizzare al meglio la natura del personaggio nel cinema si usano i costumi e il make up. All’abbigliamento è spesso assegnato il compito di stabilire lo status sociale di un personaggio, insieme alle sue inclinazioni morali, scelte di vita, atteggiamenti verso il mondo. L’abbigliamento può anche definire il rapporto che si viene a instaurare fra due o più personaggi. Esempio: In una scena di Quarto potere (Citizen Kane, Orson Welles, 1941), il diverbio tra Kane (Orson Welles) e Leland (Joseph Cotten), che porterà il secondo a lasciare la redazione del giornale diretto dal primo, passa anche attraverso la contrapposizione visiva tra due modi di vestire i personaggi. Sebbene l’abbigliamento di entrambi rinvii a uno status sociale indubbiamente alto, Kane è a capo scoperto, con la cravatta, in maniche di camicia, e un gilet e dei pantaloni a righe; al contrario, Leland è col cappello in testa, senza cravatta, un pastrano che gli copre la camicia, e che invece di essere a righe è puntinato. È chiaro come i codici vestiari contribuiscano così, visivamente, a definire con più evidenza la contrapposizione drammatica qui in gioco. Il montaggio Tecnicamente il montaggio è quell’operazione che consiste nell’unire la fine di un’inquadratura con l’inizio della successiva. Per lo spettatore quest’operazione si traduce in quello che possiamo definire l’effetto montaggio, ovvero il passaggio da un’immagine A a un’immagine B. Il montaggio è così, innanzitutto, un mettere in relazione (funzione connettiva) due o più elementi fra loro. Le origini: * George Meliès fu fra i primi a scoprire le possibilità del montaggio, anche se ancora inteso nella forma del montaggio trucco. Si tratta, ovviamente, di un uso elementare del montaggio, dove lo stacco — cioè il momento del passaggio da un’immagine all’altra — è accuratamente nascosto, per garantire la meraviglia di un’imprevista trasformazione (quella ad esempio, assai frequente in Méliès, di un uomo in un diavolo). Come lui stesso racconta, si trovava un giorno a fare delle riprese in Place de l’Opéra, quando la sua macchina da presa si interruppe bruscamente, per poi riprendere poco dopo il suo lavoro. Sviluppando il negativo, Méliès si trovò di fronte a qualcosa di sensazionale: l’omnibus che stava riprendendo si era improvvisamente trasformato in un carro funebre. Nasce così, attraverso un effetto di montaggio in macchina, operato durante la ripresa, il trucco dell’arresto e della sostituzione, che diverrà la base di tutto il cinema fantastico di Méliès. * Lo stadio successivo avvenne con il passaggio dai film a una sola inquadratura o ripresa, a quelli a più inquadrature o riprese. Il montaggio c’è, ma è ancora al suo grado zero, limitato cioè al passaggio da un luogo a un altro luogo. Cosa ancora manca è l’idea, fondante il montaggio stesso, della frantumazione in più inquadrature di uno stesso spazio (idea che invece possiamo trovare in Graandma reading’s glass 1900). Con The Kiss in the Tunnel (1899), il regista inglese George Albert Smith realizza, ad esempio, un film che si apre con l’immagine, vista da una locomotiva in movimento, di una galleria che si avvicina; prosegue con quella di due amanti che, in uno scompartimento del treno, approfittano del buio e si scambiano un bacio; e termina, di nuovo dalla prospettiva della locomotiva, con un’inquadratura dell’avvicinarsi del treno alla fine del tunnel. A unire queste tre inquadrature ci sono due evidenti stacchi di montaggio, che determinano un doppio movimento nello spazio, prima da un esterno a un interno, e poi viceversa. * Il cinema hollywoodiano inizia a dar forma non solo al proprio modo di produzione, ma anche ai suoi modelli di narrazione e montaggio. Aumentano sempre di piùi tagli fra le scene e al loro interno, per dare ritmo e arricchire la psicologia dei personaggi (1917).Un regista come David Wark Griffith costituisce il caso più evidente e significativo di una tale evoluzione; con lui il montaggio raggiunge la prima tappa della sua maturità. Griffith dimostrò che la macchina da presa poteva avere una parte attiva nella narrazione. Spezzando un avvenimento in brevi frammenti, ciascuno ripreso dalla posizione più adatta, si poteva modificare l’importanza delle singole inquadrature, controllando così l’intensità drammatica dei fatti man mano che la narrazione progrediva. (Nascita di una nazione). Transizioni Esistono diversi tipi di transizione da un’inquadratura all’altra, effetti che fanno parte del discorso filmico : Lo stacco: ovvero il passaggio diretto e immediato da un piano a quello successivo. La dissolvenza: usata in particolare per evidenziare i passaggi fra una scena e un’altra e indicare così l’esistenza di un’ellisse o salto temporale. * dissolvenza d’apertura (l’immagine appare progressivamente a partire dal nero dello schermo). *. in chiusura (l’immagine scompare progressivamente sino a diventare nera). * incrociata (l’immagine che scompare e quella che compare si sovrappongono per alcuni istanti sullo schermo). Iris: dove un foro circolare si apre o si chiude intorno a una parte dell’immagine, caduta in disuso. Tendina: dove la nuova immagine si sostituisce alla precedente facendola scorrere via dallo schermo. Caduta in disuso. Piani d’ambientazione Sono invece un tipo di figura che si colloca a livello della storia. Si intende per piano d’ambientazione quel tipo di inquadratura prettamente descrittiva che avvia una scena col compito di introdurne i caratteri ambientali, di consentire cioè allo spettatore di conoscere — o riconoscere — il luogo in cui sta per svolgersi una determinata sequenza. Esso inoltre svolge un ruolo essenziale nell’introdurre dei momenti di pausa nella narrazione, nel dare ad essa il suo “giusto” respiro, nel permettere allo spettatore di passare non troppo bruscamente da una scena a quella successiva. Spazio Dal punto di vista spaziale il montaggio ha cioè assunto la funzione di articolare lo spazio diegetico in diverse unità, stabilendo tra queste delle connessioni secondo un certo progetto narrativo. Un qualsiasi ambiente potrà così essere scomposto da un insieme di inquadrature che ci daranno di esso una serie di prospettive organizzate secondo le possibilità della similarità, della differenza e dello sviluppo. Esisterà quindi un ambiente — spazio diegetico — e una rappresentazione di questo ambiente attraverso una successione di inquadrature. 1. A un piano d’insieme dell’ambiente in questione seguono una serie di inquadrature che lo frammentano e che in qualche modo sono comprese nel piano originario. È un tipo di rappresentazione dello spazio che tende alla chiarezza espositiva e che, come vedremo, è tipica del cinema classico. 2. Lo spazio d’insieme è costruito attraverso una serie di inquadrature parziali che ce ne mostrano sempre e solo una parte e mai la sua globalità. Se nel caso precedente l’intero era scomposto dal montaggio, qui è il montaggio delle parti a comporre l’intero. In entrambi i casi siamo di fronte a quel gioco di segmentazione dello spazio, assente nel cinema dei Lumière, a cui ci si riferisce con il termine découpage. Tempo Un discorso analogo lo possiamo fare per l’asse temporale. Il montaggio ha qui il compito di selezionare quei momenti della storia narrata che hanno un’importanza maggiore di altri e di confinare questi ultimi nel vuoto delle ellissi. E evidente così che il montaggio è uno strumento fondamentale attraverso cui l’istanza narrante costruisce il proprio racconto, conferendogli Oltre al decupage classico esistono altre teorie e pratiche di montaggio, ovviamente l’esistenza di più modalità o forme di montaggio non implica che esse si escludano a vicenda ma, al contrario possono armoniosamente coesistere nell’ambito di uno stesso effetto di montaggio. Eccone alcuni esempi: * Il montaggio connotativo Il cosiddetto montaggio ejzenstejniano, poiché teorizzato da Ejzenstejn. Il montaggio connotativo è il montaggio che interpreta, aggiunge qualcosa alla scena, mediante il quale due inquadrature unite l'una all'altra acquistano un significato diverso, o un senso diverso, da quello che produrrebbero prese singolarmente. * Il montaggio discontinuo Veniamo ora a un’ultima categoria di montaggio che rifiuta i codici della continuità hollywoodiana e individuiamone alcune modalità di rappresentazione che, sia sul piano dello spazio sia su quello del tempo, testimoniano la possibilità di raccontare una storia trasgredendo le regole della continuità classica. Un evidente modo di dar vita a forme di discontinuità spaziale è quello della violazione del sistema a 180°. Un secondo, e più frequente, modo di dar vita a forme di discontinuità è rappresentato da quello che gli americani chiamano jump cut e che in italiano viene spesso definito come falso raccordo o montaggio a salti. Dietro queste espressioni si nascondono almeno due diverse forme di raccordi “irregolari” strettamente interrelati fra loro. Jump cut: mette in successione due o più inquadrature di uno stesso personaggio troppo simili l’unaall’altra sul piano della distanza e/o dell’angolazione, e che non rispetta così quella convenzione del cinema classico che vuole che due inquadrature consecutive su uno stesso soggetto debbano essere sufficientemente differenziate, in modo da rendere così giustificato il passaggio dall’una all’altra. Oppure lavora sul tempo, è quella propria a una successione di inquadrature, sempre su uno stesso personaggio, che, divise da brevi intervalli di tempo, ce lo mostrano in posizioni che cambiano di netto, senza transizione, nel passaggio da un’inquadratura a un’altra (prima seduto, poi in piedi, oppure con la testa, prima, girata da una parte e, poi, dall’altra), laddove il cinema classico avrebbe inserito, fra le due inquadrature, un’immagine diversa, di qualcos'altro, in modo tale da “permettere” al soggetto di cambiare, nel frattempo, la sua posizione. Si tratta di due soluzione di montaggio “sporche”, “irregolari” e “sgrammaticate”, che, anziché lavorare sull’attenuazione degli stacchi, li esplicitano e li rendono evidenti, costringendo lo spettatore a rendersi conto di trovarsi davanti a un film. Il montaggio discontinuo può anche riguardare modalità temporali del racconto come quelle contenenti l’ordine (degli eventi) e la loro frequenza (il numero di volte in cui sono rappresentati). Un altro tipo di estensione è quello della sovrapposizione temporale, o overlapping editing, in cui l’inquadratura B non inizia laddove finisce A, ma un po’ prima. In questo modo il piano B ripete l’ultima parte del movimento rappresentato in A. In alcuni film del primo Truffaut sono presenti, in più di una circostanza, simili esempi di estensione temporale. Possiamo notare inoltre come lo stesso uso di inserti non-diegetici possa determinare, nel suo sospendere l’azione per poi riprenderla là dove era stata lasciata, un effetto di estensione temporale. * Il montaggio formale Tende a porre in primo piano degli effetti di tipo formale, attraverso l'accostamento di immagini che instaurano fra loro un rapporto di volumi, superfici, linee, punti, al di là della concreta natura degli elementi rappresentati. Ovviamente, il fatto che il montaggio formale non sia per sua natura in conflitto con quello connotativo è evidente. Nel cinema d’avanguardia degli anni Venti il montaggio formale ha trovato proprio uno dei suoi momenti di massima intensità (ma anche nei lavori audiovisivi odierni, soprattutto nell’ambito degli spot pubblicitari o nei videoclip). * Il montaggio proibito: profondità di campo e piano sequenza Tocca al critico e teorico francese André Bazin (teorico della Nouvelle Vague) a dar vita, in sede teorica, a un’altra concezione del montaggio, e per certi aspetti a una sua negazione, che si oppone ai modelli forti sin qui esaminati, in particolare quelli del découpage classico e del montaggio ejzenstejniano. Che sembrano si antitetici, ma che in realtà hanno degli elementi in comune: la manipolazione della realtà a servizio dello spettatore. Bazin invece propone un montaggio estremamente realistico, attraverso l’uso della profondità di campo e del piano sequenza. profondità di campo: è un’immagine in cui tutti gli elementi rappresentati, sia quelli in primo piano che quelli di sfondo, sono perfettamente a fuoco. Essa sarà maggiore quanto più distanziati saranno lo sfondo e il primo piano e quanto più quest’ultimo sarà vicino all’obiettivo. Per messa in scena in profondità si intende, di conseguenza, la disposizione di oggetti e personaggi su più piani e il loro reciproco interagire. Il piano sequenza: è un piano che da solo svolge le funzioni di una sequenza o scena. E’ assimilabile al long take ovvero una tecnica cinematografica che consiste di un'inquadratura di lunga durata che ha lo scopo di eliminare, o almeno limitare, l'uso del montaggio cinematografico. In questo modo è lo spettatore a creare il suo decupage, scegliendo su quale azione porre la propria attenzione. Il montatore Il lavoro del montatore, prima della diffusione delle apparecchiature digitali, consisteva nella giunzione alla moviola di segmenti di pellicola impressionata, in modo da comporre una successione di inquadrature che restituissero il senso desiderato dal regista. Dopo lunghi decenni di tale pratica, il passaggio al digitale non ha comunque modificato la struttura del lavoro, che si articola in tre fasi principali: — selezione del materiale filmico; — unione; — composizione. Il montaggio tradizionale prevedeva l’uso della moviola, una macchina da proiezione munita di un tavolo di montaggio che permetteva di vedere la pellicola positiva, chiamata “scena”, e di ascoltare una o due colonne sonore. Con l’avvento del digitale i montatori usano sofisticati software che permettono un montaggio veloce e intuitivo. Il suono Il cantante di jazz (The Jazz Singer). Il successo internazionale del film fu tale da aprire senza ombra d’incertezze la strada al sonoro. Nel volgere di un breve periodo, vennero realizzati nuovi progressi tecnici, come l’alleggerimento degli strumenti di registrazione e la possibilità di ricorrere alla presa sonora in un una fase successiva a quella della riprese vere e proprie, che consentirono al cinema sonoro di affinare le proprie possibilità espressive tanto da non aver più nulla da invidiare a quello muto. È così con la fine degli anni Venti che nasce quella che propriamente si chiama la colonna sonora di un film, che non è formata da soli brani musicali, bensì da tutte e tre le materie d’espressione su cui si articola il suono: parole, rumori e musiche. Il suono ha una funzione di unificazione del montaggio grazie alla continuità sonora. Una volta selezionati, i suoni vengono combinati fra loro dando vita a un vero e proprio montaggio sonoro. Qui il volume di ogni singolo suono acquista un’importanza particolare. Suono intradiegetico: Tutti i suoni che appartengono al profilmico, es. Rumore del campanello di casa, band che suona in un locale (suono in). Può essere a sua volta suddiviso in suono in campo e suono fuori campo. Nel primo caso la fonte sonora è all’interno dell’inquadratura, nel secondo è al di fuori di essa. (suono off) Suono extradiegetico: Tutti quei suoni che sono stati post-prodotti e che non appartengono all’ambiente profilmico, es. Colonna sonora, voce narrante. (suono over) Suono e tempo Una prima ed essenziale distinzione che dobbiamo fare a riguardo dei rapporti fra suono e tempo è quella che concerne la differenza fra suono simultaneo e non simultaneo. Suono simultaneo: la più facilmente riscontrabile, è quella che si realizza quando il sonoro e l’immagine si danno in uno stesso tempo narrativo. Due personaggi parlano in una stanza e noi udiamo le parole che si stanno dicendo in quel preciso momento. Suono non simultaneo: è costituito da quell’effetto sonoro che anticipa o segue le immagini che noi stiamo vedendo in un dato momento. Un personaggio narra un evento passato e mentre continuiamo a sentire le parole che in quel momento egli pronuncia, noi vediamo le immagini dell’evento evocato: le parole sono così al presente e le immagini al passato. Oppure ecco che sentiamo un personaggio ricordare ciò che qualcuno gli ha in precedenza detto. Il ritmo Il ritmo è un’altra questione centrale dei rapporti fra suono e tempo. Si può parlare di ritmo sonoro a partire dalle sue due componenti chiave: la velocità e la regolarità degli intervalli. * La velocità è determinata dalla durata degli intervalli: se l’intervallo è breve, il suono avrà un ritmo veloce; se è lungo, avrà un ritmo lento.
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