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SINTESI MANUALE DEL FILM, Dispense di Storia Del Cinema

Sintesi manuale del film di Rondolino e Tomasi.

Tipologia: Dispense

2021/2022

In vendita dal 27/06/2023

anna-villabruna
anna-villabruna 🇮🇹

4.5

(4)

17 documenti

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Scarica SINTESI MANUALE DEL FILM e più Dispense in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! 1 MANUALE DEL FILM SCENEGGIATURA E RACCONTO Prima di creare un film ci deve essere un’idea che nel cinema narrativo è la storia limitata ad un evento o situazione e a pochi personaggi. La storia è fatta per essere raccontata tramite immagini. La sceneggiatura è la descrizione più o meno precisa di una serie di eventi, personaggi e dialoghi connessi tra loro. La sceneggiatura può essere intesa come la rielaborazione del racconto cinematografico che passa attraverso quattro stadi: 1. Il soggetto è la prima manifestazione di un’idea, può essere un breve racconto, uno spunto narrativo contenuto in poche righe. Può avere un’esistenza legale e il titolare può rivendicarne i diritti. È il caso degli adattamenti tratti da racconti e romanzi. Il soggetto originale viene ampliato e il soggetto letterario viene invece contenuto e si selezionano gli elementi fondamentali per la rilettura personale dell’autore del film. 2. Il trattamento avviene per ampliare e approfondire gli spunti narrativi del soggetto, è funzionale alla descrizione delle scene in cui si articola la vicenda, ci sono dialoghi, la vicenda è ben articolata ed ha una sua progressione. 3. La scaletta segna il momento di passaggio tra momento letterario della storia a momento della costruzione del film. Il trattamento viene selezionato e scandito per tenere sotto osservazione la storia del film ed i suoi ritmi. Scaletta e trattamento danno vita alla sceneggiatura. 4. Il découpage tecnico agisce sulla sceneggiatura andando a dividere le scene in singole immagini che prendono il nome di inquadrature o piani, vengono numerate, viene individuato il contenuto, il punto di vista della cinepresa e movimenti di macchina. Si possono accompagnare delle immagini al testo scritto di una scenografia, hanno la funzione di prefigurare le inquadrature e vengono chiamate story board. A partire dagli anni Ottanta si sono fatte delle previsualizzazioni con strumenti elettronici che forniscono un’idea del risultato finale. La sceneggiatura desunta dalla copia definitiva del film non precede la lavorazione del film ma la segue. L’autore descrive in modo accurato le inquadrature e scene e consente di conoscere e studiare meglio il film. Le funzioni della sceneggiatura variano notevolmente a seconda dei momenti della storia e dei suoi autori. L’avvento del sonoro ha avuto un notevole impulso per l’arte della sceneggiatura anche se, ai tempi del muto già esistevano sceneggiatori come Mayer. Pudovkin definitiva la sceneggiatura come la precisazione di ogni particolare e la descrizione di tutti i mezzi tecnici della ripresa. Il cinema americano classico (dall’avvento del sonoro fino alla fine degli anni Cinquanta) ha dato particolare importanza alla sceneggiatura e il compito del regista era quello di rispettare le disposizioni del découpage tecnico. La Nouvelle Vague invece ha modificato il rapporto con la sceneggiatura rendendola uno strumento da ridiscutere sempre. Hitchcock invece considerava un film ben sceneggiato come un film già fatto. Bergala ha suddiviso le sceneggiature in: sceneggiatura programma che organizza la struttura drammatica pronta ad essere filmata e la sceneggiatura dispositivo che è aperta alla casualità delle riprese, è supportata dal gruppo dei Chaiers du Cinema. La sceneggiatura programma è correlata al cinema classico e lascia poca libertà di iniziativa al regista mentre la sceneggiatura dispositivo è legata al cinema moderno. Bresson si pone tra questi due casi estremi ovvero scrive in modo minuzioso le sue sceneggiature e poi le stravolge in corso di ripresa. La sceneggiatura ha delle caratteristiche: ▪ Viene elaborata attraverso diverse fasi e può subire variazioni ▪ È labile 2 ▪ Può dirsi ultimata quando il film è giunto a conclusione ed ha un'ultima possibilità di revisione con la sceneggiatura desunta dalla copia definitiva ▪ Si differenzia dalle altre forme di scrittura perché esiste per trasformarsi in altro (film) - Pasolini e Carrière-. ▪ Viene scritta e letta in rapporto alle immagini e suoni che costituiranno il film. ▪ Scrivere una sceneggiatura non significa solo porsi in problemi di resa espressiva ma anche sulla possibilità di realizzazione. ▪ Ha una funzionalità pratica di elencare attori, comparse, materiali, effetti speciali e denaro necessario oltre che essere una sorta di piano di lavoro. Il racconto può avere due significati diversi di storia e discorso. La storia è il contenuto e il concatenarsi degli eventi, ambienti e personaggi (che cosa viene narrato). Il discorso è il mezzo/il come viene narrata la vicenda. Al centro del racconto c'è la causalità, spazio e tempo. La narratività è un insieme di codici e procedure che consentono di riconoscere in un testo il racconto. Gardies propone la figura minimale (passaggio da una situazione all'altra) di equilibrio, squilibrio e riequilibrio all'interno della vicenda. Propp ha evidenziato la presenza in ogni storia di una struttura medesima e Greimas ha stabilito il modello composto da sei funzioni strutturate definite come attanti che non per forza devono essere persone ma possono essere animali, cose o qualità e possono assumere diverse delle sei figure: Il destinatore assegna ad un soggetto eroe la conquista di un oggetto di valore che il destinatario potrà usufruire. Il soggetto potrà incontrare elementi che faciliteranno il compito e quindi gli adiuvanti o che lo ostacoleranno quindi gli opponenti. In un racconto niente è insignificante ma in base alla rilevanza possono essere divise funzioni che fanno avanzare la storia e indizi che arricchiscono il racconto. Funzioni e indizi vengono divisi in due categorie: le funzioni cardinali o nuclei che fanno procedere il racconto, la catalisi quindi le azioni che ruotano attorno al nucleo ma non ne modificano la natura, indizi propriamente detti quindi una notazione su sentimenti e stati d’animo e gli informanti dall’altra quindi un’informazione esplicita sul tempo e spazio. Gli informanti apportano una conoscenza già fatta mentre gli indizi comportano un’attività di decifrazione. Un informante può anche essere un indizio, indizi, informanti e catalisi sono delle espansioni ai nuclei. La narratività è soggetta alla casualità. Ogni racconto dà vita ad un suo mondo popolato da personaggi, luoghi, tempi, rumori, musiche che rappresentano la diegesi che è una forma di cooperazione tra un racconto (elementi sparsi di un mondo) e il suo destinatario che congiunge gli elementi del racconto anche uscendo dallo spazio diegetico. La musica, ad esempio, può essere intradiegetica quando anche i personaggi la possono sentire ed è extradiegetica quando è una musica di commento rivolta allo spettatore. Il narratore è un’istanza astratta e da informazioni su personaggi, ambienti, situazioni e azioni. Può manifestarsi come un vero e proprio personaggio che si può rivolgere sia allo spettatore sia ad altri personaggi, può anche essere esterno allo spazio diegetico. Apparentemente il cinema sembra situarsi nel piano della rappresentazione perché ricorre alla presenza di attori come il teatro ma il rapporto attore-personaggio da una parte e spettatore dall’altra non è diretto come nel teatro ma è mediato dalla macchina da presa. Lo spettatore può sapere più o meno rispetto ai personaggi del racconto. La narrazione cinematografica come i romanzi costruisce il proprio operare sui principi di selezione, quindi vengono narrati solo i momenti salienti e combinazioni dove i frammenti più importanti vengono combinati non per forza seguendo l’odine cronologico (vita di Citizen Kane in Quarto potere). Per il racconto lo spazio, il tempo e la causalità sono elementi fondamentali. Lo spazio può essere inteso sia come spazio della storia (diegetico) che del racconto (si forma sullo schermo). Gaudreault e Jost ipotizzano i diversi tipi di rapporti spaziali che si instaurano in un film e da un’immagine all’altra. Ci sono quattro tipi fondamentali di rapporti spaziali: 1. Articolazione di due segmenti dello spazio diegetico in sovrapposizione parziale tra le due immagini (parete intera e focus sui quadri), -ritorno dello stesso quindi identità spaziale-. “stesso qui”. 5 Esiste anche la focalizzazione spettatoriale (quando non c’è focalizzazione) che conferisce allo stesso un sapere maggiore a quello dei personaggi (film di Hitchcock). Il cinema post-moderno è caratterizzato dall’esigenza di racconti ben costruiti e comprensibili a tutti (signore degli anelli, 2001), il racconto e l’audiovisivo sono il segno di una realtà inaccessibile alla comprensione. È il caso di Matrix che si appoggia all’immediatezza della sensazione bruta, scene d’azione ripetitive non solo sul piano visivo ma anche musicale, narrativo e dialogato. È cruciale la presenza di un oggetto di valore esplicito che viene comunicato il prima possibile allo spettatore, per poi fare in modo che il film si possa concentrare su una narrazione più complessa che si allontana dall’asse principale. La narrazione si ramifica (Pulp Fiction) anche a causa della necessità dello spettatore oramai abituato a media non lineari, mondi che non si concludono in un solo film ma che necessitano un sequel. Il cinema ha una propria intertestualità (citazioni in altri film). Negli anni Novanta e Duemila è stata riscoperta la tecnica del ralenti, diffuso nel cinema d’avanguardia e negli anni Sessanta. Il cinema contemporaneo invece è caratterizzato dall’attrazione spettacolare e drammatica. Il racconto seriale: La dimensione seriale garantisce il dispiegarsi delle storie lungo molteplici episodi e stagioni, genera un’attenzione costante e ripetuta oltre che un legame affettivo con i personaggi. Dalle serie tv americane emerge la paura come costante fra i sentimenti nell’epoca della globalizzazione, in qualche modo viene denunciata la debolezza americana. Gli elementi fondamentali dello storytelling sono: ▪ Personaggi: fanno affezionare il pubblico che in qualche modo vi si può riconoscere. Negli anni Sessanta si è sviluppato il genere sci-fi che univa il progresso della scienza con l’avventura è il caso di Star Trek (narrazioni aliene, guerre atomiche), lo spettatore poteva trovare sfogo alle proprie angosce. Nel Sessantotto l’instabilità politica genera il bisogno di eroi (Tenente Colombo, Batman), si presta maggiore attenzione alla psicologia dei personaggi che acquisiscono un passato, sentimenti e angosce. Negli anni Settanta con e rivendicazioni femministe fanno comparsa le eroine femminili (Wonder Woman), negli anni Ottanta le detective e eroine del quotidiano, negli anni Novanta ci sono adolescenti con i loro drammi e con l’ottica distorta del giovane. Lost (2004-2004) ha rivoluzionato l’idea di serialità, i personaggi hanno acquisito sfaccettature più pronunciate, non servono più forti colpi di scena ma è necessario invogliare lo spettatore a scoprire la personalità di un antieroe in continua evoluzione. I personaggi dei telefilm si sono evoluti da tipi a individui. Si è passati da scene girate in interni degli anni Settanta e Ottanta all’atmosfera inquietante e sovrannaturale a luoghi fiabeschi e fantasiosi. ▪ Eventi: le serie tv si rivolgono ad un pubblico potenzialmente distratto, per questo la storia deve essere semplice e coinvolgente andando a recuperare anche i principi aristotelici, la vicenda ruota attorno ad un personaggio contrastato da un antagonista per giungere poi ad una conclusione segnata da un cambiamento assoluto e irreversibile. Ci possono essere narrazioni seriali di tipo orizzontale quando la vicenda non inizia e non finisce con il singolo episodio (Story Act), l’obiettivo è quello di trasportare i personaggi e mostrare l’evoluzione fisica e/o psicologica, e narrazioni a trama verticale che prevede la narrazione episodica che inizia e finisca con la stessa nel giro di quaranta minuti circa (Signora in Giallo). La serialità ha preso forma nel Settecento/Ottocento con il feuilletton, le sue strategie già si trovano nel cinema degli anni Dieci con Grandon, primo utilizzatore della tecnica del cliffhanger, un cilmax interrotto alla fine della puntata. La serie è qualcosa di estremamente mutabile, il piacere dello spettatore sta nel vedere una nuova storia ma anche di un meccanismo seriale, dagli anni Ottanta le serie iniziano a non nascondere più i suoi mezzi al fine di renderlo uno stile identificativo, questione analoga per montaggio e grafica. Twin Peaks iniziata nel 1990 e curata da Lynch (showrunner). Gli anni Novanta saranno fondamentali per gli USA per la valorizzazione del “drama” e gli autori di serie 6 televisive usciranno dall’anonimato, alcuni registi cinematografici cureranno episodi o serie, è il caso di Tarantino (CSI e E.R.). Le serie sono presentate per essere guardate come si legge un romanzo, è il fenomeno de binge- watching (Netflix, stagioni intere) al quale si contrappone lo slow watching. ▪ Tempo: oltre al tempo di storia e racconto esiste la dimensione ulteriore del tempo dello schermo, ovvero il tempo di fruizione del prodotto come la visione in dosi massicce anziché avere l’impegno di rispettare gli appuntamenti settimanali. ▪ Spazio Lo showrunner è il compromesso tra il concetto letterale di autore e quello industriale di produzione. Controlla l’intero processo produttivo di un telefilm, cura aspetti creativi, organizzativi e industriali. È attivo anche nell’ambito delle web series, delle storie a episodi concepite per la rete, realizza anche spin off di film, telefilm e videogiochi. Lo sceneggiatore: Lo sceneggiatore cinematografico è colui che scrive il film da solo o in collaborazione e realizza il primo momento di un processo. Lo sceneggiatore che scrive per il cinema è condizionato dal linguaggio cinematografico, deve confrontarsi con l’invenzione della storia e con le modalità e possibilità cinematografiche per la narrazione. Il percorso ideativo e realizzativo parte dal soggetto, da una sceneggiatura scritta in discorso indiretto, alla scaletta dove il trattamento viene diviso scena per scena, ad una sceneggiatura vera e propria, ad una sceneggiatura tecnica che scompone gli episodi narrativi in inquadrature diverse. Viene fatto anche lo storyboard dove ogni inquadratura viene descritta, pianificata e studiata. Il soggettista è colui che scrive il soggetto del film, gli script doctors nel cinema americano hanno la funzione di risolvere i problemi specifici della struttura. Nel cinema statunitense lo sceneggiatore viene scelto dal produttore mentre in quello europeo dal regista. Attorno al 1910 nascono i primi Story Departments ovvero degli uffici dove venivano stese le sceneggiature. Nello Studio System gli sceneggiatori lavorano sotto contratto e con orari da ufficio, nel cinema europeo invece lo sceneggiatore è sempre stato uno stretto collaboratore del regista. Nel cinema sovietico il tema era l’elemento più rilevante, per Pudovkin il lavoro di sceneggiatura non si esauriva con l’intreccio e con la sua visualizzazione ma anche nella ricerca di volti, gesti ed elementi capaci di raccontare la vicenda, per il cinema sovietico il montaggio e la sceneggiatura sono fondamentali. Kammerspiel e naturalismo si sono fusi nell’Espressionismo grazie a registi come Mayer e Harbou. Nello studio system lo sceneggiatore si è specializzato sempre di più e per contrastare le difficoltà del lavoro durante la Grande Depressione è nata la Screen Writers Guild al fine di adottare il sistema per i credits. Negli anni Cinquanta il cinema americano cambiò a causa dell’avvento della televisione, le grandi case di produzione diventarono delle multinazionali dello spettacolo e venne meno la distinzione rigida del sistema dei generi, della catena di montaggio e dei contratti pluriennali. Nel neorealismo italiano gli sceneggiatori erano soliti a lavorare in gruppo al fine di raggiungere un risultato corale e prediligevano il frammento e l’episodio. Tra XX e XXI secolo il cinema americano si colloca in una nuova dimensione politica e tecnologica, hanno iniziato a prevalere sequel, saghe e tornano di moda i comic movies e cinema fantastico. L’INQUADRATURA Un film è fatto di immagini in movimento che prendono il nome di inquadrature. L’inquadratura è l’unità di base del discorso filmico, viene definita come una rappresentazione in continuità di un certo spazio per un certo tempo. Le inquadrature si differenziano per la durata, talvolta molto breve oppure più lunga. Spesso inquadratura e piano vengono definiti come la stessa cosa anche se, con il termine 7 inquadratura si definisce l’immagine cinematografica racchiusa da una cornice e con piano si parla della porzione di spazio inquadrato e alle modalità della sua organizzazione e composizione. Un’altra caratteristica dell’immagine filmica è la sua bidimensionalità anche se grazie alla prospettiva possiamo trarre la dimensione della profondità. L’inquadratura è il risultato di due scelte tra profilmico collegato alla messinscena e al piano filmico che è il piano discorsivo ovvero i modi in cui vengono rappresentati gli elementi profilmici (campo e fuori campo, angolazione della macchina da pesa). Nel piano fisso manca completamente ogni movimento filmico, nel primo piano non c’è distanza tra macchina da presa e soggetto e nel piano sequenza si rifiuta categoricamente il montaggio ed è un criterio di ordine narrativo. Nel cinema classico il film era diviso in scene e sequenze mentre il cinema moderno ha fondato la sua estetica nell’uso del piano sequenza, un’unica inquadratura che può dare vita a diversi quadri differenti tra loro. Il formato di un’inquadratura è basato sul rapporto tra altezza e larghezza, salvo eccezioni varia da 1,33 e 2,55, il formato è definito come aspect-ratio. A patire dai fratelli Lumière fino agli anni Cinquanta e Sessanta il formato considerato standard era 1,33. Quando venne messo in discussione i parametri erano compresi tra 1:2,35 e 1:2,55 (Cinemascope), le inquadrature erano più ricche e composte anche da diversi punti focali. Il formato 1:2,35 ha avuto successo fino ai giorni nostri ma il formato più in uso al momento è 1:1,85. Con il termine montaggio si intende l’operazione che mette in relazione ed unisce due inquadrature, scene o sequenze sulla base di un progetto estetico. La scenografia è la modificazione o creazione di un ambiente in funzione della ripresa cinematografica e di realizzazione del film. Deriva dall’ambito teatrale. Ogni inquadratura di un film rappresenta un aspetto particolare della scenografia madre. Attraverso il montaggio la sceneggiatura madre viene frazionata in una successione di piani con una sequenza temporale che la percorre in base all’ordine del regista e che lo spettatore deve seguire. L’ambiente può avere un ruolo significativo per la definizione fisica e psicologica dei personaggi. Certi generi cinematografici impongono l’uso di scenografie come nel caso dei musical. Spesso si ricorre alla ricostruzione di uno spazio in studio sia per motivi economici ma anche per avere il controllo assoluto della messa in scena. Martin ha notato tre modi per concepire un ambiente: 1. Realista: come nel caso del neorealismo italiano, viene riportata una realtà storica e sociale precisa. 2. Impressionista: quando l’ambiente viene scelto e modificato a partire dalla dominante psicologica dell’azione, è tipico dell’avanguardia francese (Delluc, Gance). 3. Espressionista o artificiale: l’ambiente non è funzionale alla dominante psicologica dell’azione, è uno spazio deformato e visibilmente artificiale, ha una funzione simbolica (Il gabinetto del dottor Caligari). La sequenza del comizio elettorale in Citizen Kane in Quarto Potere di Welles mette in relazione spazio e personaggio. Il personaggio è segnato da forti elementi in contrasto tra loro, è un uomo in grado di determinare le scelte politiche del suo paese ma è ancora imprigionato negli avvenimenti della propria infanzia. La contraddizione è resa visibile attraverso il manifesto elettorale che sovrasta la sua immagine, idea del grande/piccolo dove il piccolo simboleggia un’idea politica fatta di raggiri ai suoi elettori. Davanti al comiziante non ci sono personaggi veri ma fondali dipinti. La sequenza del comizio elettorale in Citizen Kane può essere confrontata con il film Marnie di Hitchcock, la protagonista ha vissuto momenti drammatici nella sua infanzia, gli ambienti della rappresentazione sono molto stilizzati. Anche il film Lanterne Rosse di Yimou del 1991 è importante per le relazioni tra spazio e figura. La vicenda è quasi interamente girata all’interno del palazzo dove la protagonista va a vivere come 10 In via col vento di Fleming (1939), la scena del giuramento di Rossella O’Hara vede un utilizzo particolare della luce. Quando la donna esce di casa il suo volto tinto dal colore arancione mette in rilievo i suoi sentimenti di dolore. Mossa dalla fame si china a terra addentando una radice, viene ripresa in controluce al fine di mettere in risalto il suo fisico scavato, le viene tolta l’umanità. Dopo il giuramento guidato dal movimento della macchina da presa che ne fa aumentare la solennità, Rossella sembra riprendere l’umanità e la luce non l’abbruttisce più. Due esempi efficaci dell’utilizzo della luce nel cinema post-moderno sono i film: Donne sull’orlo una crisi di nervi (Almodovar, 1988) e Ubriaco d’amore (Anderson, 2002). In Donne sull’orlo una crisi di nervi vi è un uso del contrasto tra colori molto vivaci, in Ubriaco d’amore il colore è un elemento ricorrente ed identificativo per ogni singolo personaggio. Macchine da presa, videocamere digitali, obiettivi e formati della pellicola: Senza l’invenzione della macchina da presa il cinema non sarebbe mai esistito. Il compito della macchina da presa è quello di far scorrere la pellicola al proprio interno, l’impressione dei singoli fotogrammi va di solito ad una velocità standard di 24 fotogrammi al secondo. Una componente fondamentale della mdp è l’obiettivo dotato di lenti che si differenziano per la loro lunghezza focale e quindi la distanza tra il centro ottico della lente e il piano della pellicola, la lente standard è quella tra i 35-55mm, vi si oppongono i grandangoli (ampie porzioni di spazio, profondità alle immagini), usati nelle riprese di Quarto potere ad esempio e i teleobiettivi (con una lunghezza focale dai 75 mm fino ai 250) accentuano la piattezza e bidimensionalità del piano, danno vita a inquadrature sgranate ed è nato sotto il cinema documentario. Nel cinema contemporaneo, a partire dagli anni Settanta e nel cinema postmoderno hanno dimostrato duttilità nell’utilizzo degli obiettivi al fine di ottenere una maggiore spettacolarità a sfavore del realismo percettivo. Il formato standard di una pellicola è rimasto sempre lo stesso, ovvero il 35 mm che Edison e Dickson avevano usato per il loro Kinetoscopio che nel 1909 è stato definito come formato standard. Negli anni Cinquanta e Sessanta la diffusione degli schermi panoramici con 70 o 65 mm consentì la registrazione di grandi film di spettacolo e con costi esorbitanti. L’avvento delle videocamere digitali invece hanno portato registi come Lucas a realizzare un episodio di Star Wars interamente in digitale e in Alta Definizione. L’uso di videocamere digitali permette la riduzione dei costi e riprese, la sua leggerezza ha contribuito a cogliere la spontaneità della vita. Il direttore della fotografia: Il direttore della fotografia ha il compito di garantire la coerenza figurativa dell’immagine, il suo è il secondo ruolo più importante dopo quello del regista. Talvolta il reparto fotografia può essere composto da sole quattro persone: il direttore della fotografia anche operatore, assistente operatore, elettricista e macchinista. Viene consultato dallo scenografo per la progettazione degli ambienti da ricostruire nei teatri di prosa, esigenze spaziali, scelta dei colori, con il costumista collabora per scelte cromatiche dell’abbigliamento. I primi operatori cinematografici (ex fotografi di reportage o viaggio) hanno compiuto importanti lavori sulla luce specialmente nell’ambito dell’Espressionismo tedesco. Grazie ai kolossal storici (Intolerance, Cabiria) la figura si è andata sempre più affermando. Con l’assegnazione del premio Oscar per la fotografia venne riconosciuto il ruolo del direttore della fotografia. Negli anni Trenta a Hollywood si diffuse un tipo di illuminazione che ridusse al minimo le zione d’ombra a favore di una luce diffusa e piena e con l’introduzione del colore, il primo premio Oscar per la fotografia a colori venne assegnato a Rennahan e Haller per Via col vento. 11 Per il colore in Italia si aspetta il 1952 (Totò). Dopo i kolossal degli anni Quaranta e Cinquanta la Nouvelle Vague iniziò ad utilizzare operatori attivi nel campo del reportage, si ritorna al contatto con la macchina da presa da parte del direttore della fotografia (contrariamente a Hollywood). Il cinema digitale esisteva già prima del Duemila, dal 2009 in poi è diventato sempre più importante. Si ricordano direttori della fotografia come Toland che vinse l’Oscar per Quarto Potere e Storaro, Oscar per Apocalypse Now. La centralità in un film del personaggio è correlata alla centralità del suo interprete, ovvero l’attore. A differenza di quello che accade a teatro, l’attore cinematografico non recita davanti ad un pubblico ma davanti a una cinepresa e lo spettatore cinematografico non ha davanti a sé una figura fisica ma una sua immagine. Manca di fatto il rapporto attore e pubblico, contrariamente alla performance di teatro che si ripete sempre diversa, la performance cinematografica rimane sempre uguale. Il discorso dell’attore (maniera e modi di impersonare il personaggio), deve confrontarsi non solo con codici di matrice teatrale ma anche con codici cinematografici come i movimenti di macchina, scala dei piani e montaggio. L’espressività del volto dell’attore cinematografico a più potenziale rispetto al volto dell’attore teatrale. Il montaggio determina la frammentazione della recitazione cinematografica sia per lo spettatore che per l’attore che deve recitare spesso in modo discontinuo. La recitazione fisica dell’attore di teatro deve essere molto più ampia per essere percepita anche dagli spettatori delle ultime file, mentre per il cinema, queste difficoltà sono superate grazie alla ripresa e alla procedura del montaggio. Le possibilità di recitazione cinematografica riguardano: ▪ Il rapport tra attore e personaggio: ci sono due diverse concezioni come (1) l’attore deve possedere un repertorio di gesti, movimenti ed espressioni che consentano di rappresentare dall’esterno i personaggi e (2) il metodo di Stanislawskij adottato nella Actors’ Studio nella seconda metà degli anni Quaranta, gli attori rivivono il personaggio nei loro panni. ▪ All’identificazione dello spettatore con il personaggio si contrappone lo straniamento brechtiano che consente una visione più distaccata dello spettatore che può dunque avere una visione critica dei personaggi e della narrazione. È presente nel cinema di Jean-Luc Godard e nel cinema italiano degli anni Sessanta-Settanta. Vi sono tre grandi suddivisioni del discorso attoriale: 1. Recitazione naturalistica: gestualità e vocalità verosimili, 2. Recitazione sovraccarica: gesti e voci sono accentuate (Actors’ Studio), 3. Recitazione minimalista: sobrietà di gesti ed espressioni (Bresson e Ozu). 4. Attore replicante: discoro, gesti e movimenti sono imparati a memoria, sono da copione, 5. Attore creativo: la recitazione parte da un canovaccio per dare poi spazio all’improvvisazione. L’uso del primo piano consente all’attore molto spazio, il long take e il piano sequenza implicano il rifiuto del montaggio e fanno in modo che l’attore abbia più autonomia espressiva. Il rapporto tra discorso del regista e dell’attore riguarda anche l’ambito della prossemica, ovvero la collocazione delle diverse figure nello spazio delle inquadrature. Ci sono rapporti di vicinanza e di lontananza, centralità e marginalità come nel caso di Griffith e Porter che collocano ai margini delle inquadrature i personaggi che sono ai margini della società. Il cinema classico ha dato particolare importanza ai protagonisti, l’attore è al centro della composizione cinematografica. Esiste la componente divistica dell’attore: il divo è un attore ma si differenzia da questo per la sua immagine semiotica che impone sui personaggi. 12 L’utilizzo dei divi in un film, come sostiene Dyer può avere tre diverse possibilità: (1) riproporre i suoi tratti caratterizzanti, (2) selezionare alcuni tratti caratterizzanti o (3) costruire un’immagine opposta a quella data fino a quel momento. L’abbigliamento in un film ha spesso la funzione di stabilire lo status sociale dei personaggi, inclinazioni morali e scelte di vita. Il costume cinematografico è derivato dal costume teatrale ma si differenzia per due ragioni: 1. Nel cinema i cambiamenti di abbigliamento sono molto più frequenti che a teatro; 2. Si possono evidenziarne dei dettagli che hanno una funzione espressiva per la trama. L’attore e il digitale: L’avvento del digitale e del set virtuale ha inciso sul lavoro dell’attore, viene costretto a recitare in spazi vuoti, deve usare oggetti che in realtà non tiene in mano e interagire con personaggi che non esistono fisicamente. In un set virtuale la performance cinematografica si avvicina al momento delle prove di uno spettacolo teatrale. L'avvento del digitale può aver abbruttito la recitazione ma al tempo stesso ha consentito maggior tempo per le riprese, costi più bassi e maggiore possibilità di improvvisazione, la leggerezza delle videocamere digitali consentono con più facilità le riprese a spalla oltre a dare vita a piani più ravvicinati. Esiste anche l'attore digitale, modellizzazione della Computer Graphic. L'abbigliamento può anche definire il rapporto che intercorre tra due o più personaggi, è il caso di Quadro potere, dove nel diverbio tra Kane e Leland non si vedono solo loro contrapposti ma anche il loro abbigliamento. Il make-up è anch'esso di origine teatrale. Deve essere diviso in make-up naturale quando c'è ma non si vede, serve per nascondere imperfezioni ed era di prassi nel cinema hollywoodiano e artificiale, il modello risiede nell'Espressionismo e si può ritrovare in Burton e Deep. Il cinema delle origini si caratterizzava per lo spazio filmico simile a quello teatrale, lo spettatore era seduto in una posizione ideale, al centro. I film erano formati da un'unica inquadratura, la cinepresa era fissa e le immagini avevano uno spazio compreso tra metà e due terzi della verticale dell'inquadratura. I film erano creati sul grado zero del linguaggio cinematografico: viene fatto solo quello che è essenziale per l'esistenza del film. Per scala dei piani si intende la possibilità di ogni inquadratura di rappresentare un elemento profilmico con una maggiore o minore distanza. • Campo lunghissimo: spazio molto esteso, ha funzione descrittiva, si ritrova nel genere western. • Campo lungo: ampie proporzioni ma personaggi e azioni sono più riconoscibili rispetto al campo lunghissimo, l’ambiente è predominante ed è usato da registi come Mitzoguchi e Antonioni al posto dei piani più ravvicinati. Comporta nello spettatore un rapporto meno partecipato. • Campo medio: stabilisce una mediazione tra ambiente e figura umana (un terzo o metà della verticale), è una visione abbastanza simile a quella dello spettatore teatrale. 15 immaginario che tocca il problema dell’essere esterno rispetto alla sequenza o inquadratura. Il fuori campo della sequenza è quello, ad esempio, di una ripresa in spazio interno che però resta collegato con l’esterno a causa di suoni o presenze. Il fuori campo classico si definisce come lo spazio della produzione occupato dalla troupe e dalle macchine necessarie alla produzione, è una sort di fuori campo proibito. Nel film M- il mostro di Düsseldorf di Fritz Lang del 1931 viene fatto un uso particolare del fuori campo espressivo. Il film si apre con un’inquadratura dall’alto di un gruppo di bambini che cantano una filastrocca con funzione di introdurre il personaggio del Mostro. Interviene una donna che sgrida i bambini, non devono cantare la cantilena, subito la donna si ritira all’interno e lo spazio rimane inquadrato, è un doppio fuori campo che verte sui bambini e sull’interno del palazzo. La donna suona ad una porta chiusa, si crea un nuovo fuori campo che crea ansia nello spettatore. Entra in campo un’altra donna che viene evidenziata dal movimento in avanti della macchina da presa, segno dell’importanza che rivestirà nel corso della narrazione. Il film resta con la donna che ha ricevuto la biancheria, c’è un fuori campo sul suono dell’orologio a cucù accompagnato da un sorriso rassicurane della donna. Quando la bambina esce da scuola si instaura un legame tra questa scena e tra la donna che la attende a casa. Elsie viene quasi investita da una macchina proveniente da fuori campo, simboleggia che per lei la minaccia del mostro arriva proprio dall’esterno. Il film torna poi sulla donna in attesa della figlia (montaggio alternato), si torna alla bambina che lungo il marciapiede si trova davanti ad una colonna per l’affissione dei manifesti e tra questi se ne nota uno che prevede una taglia per la cattura del Mostro, Elsie vi fa sbattere contro la palla più volte (lei è fuori campo), si scorge la palla che viene sovrastata dall’ombra che si presume essere quella del Mostro, se prima la palla non era sovrastata dall’ombra, poi viene sovrastata completamente. Si ritorna alla madre, sentiamo dal fuori campo (suono off) dei passi salire il pianerottolo, si crea un sentimento di speranza che diventa poi delusione. Compare di nuovo Elsie al fianco del mostro che viene confinato all’interno dell’immagine ma ripreso di spalle, si torna alla madre che sente rumore alla porta, di nuovo speranza portata questa volta dal postino, viene fatto un fuori campo nella tromba delle scale deserta accompagnata dal suono off della voce della madre che chiama la bambina. Una volta rientrata la donna guarda l’orologio, seguono tre inquadrature della tromba della scala, del sottotetto dove è stesa la biancheria e del posto a tavola vuoto di Elsie, sono accompagnati dal suono off della madre che chiama la bambina. Gli eventi vengono raccontati dal punto di vista affettivo della madre. L’aggressione alla bambina è confinata nel non visibile e rappresentato dalla palla dispersa e dal palloncino impigliato nei tralici, avviene in altro spazio e in altro tempo. Queste omissioni rappresentano la società che evita di raccontare quello che di scandaloso succede. Il cinema classico considerava lo schermo come un mascherino rettangolare, era un cinema del fuori campo, la realtà era dissimulata. Il cinema del campo invece supera questo limite e vede lo schermo come una finestra, è un cinema dove tutto si vede. Esistono delle inquadrature definite soggettive che occupano nel corso della narrazione filmica uno statuto particolare, esprimono un punto di vista che non è solo quello dell’istanza narrante ma è quello di un personaggio. Tra 1900 e 1906 si sono sviluppati i film dove i personaggi guardavano all’interno di qualcosa, sono i Keyhole film. La struttura base di come si costruisce una soggettiva è: 1. Punto 2. Sguardo 3. Transizione 4. Posizione della macchina da presa 5. Oggetto 6. Consapevolezza della ripresa del personaggio La soggettiva parte da un’inquadratura oggettiva che rappresenta il punto di vista dell’istanza narrante. Alla soggettiva vengono affiancate le semisoggettive che rappresentano lo sguardo di un personaggio ma non ne rispettano a pieno la posizione, accade quando la macchina da presa è più vicina o lontana dall’oggetto rispetto a quanto lo è il personaggio e le false soggettive che sono inquadrature che si rivelano inquadrature oggettive, il soggetto può farsi oggetto e l’osservatore può 16 farsi osservato. È importante definire l’identificazione (dello spettatore) quando si trattano le inquadrature soggettive: l’identificazione si divide in primaria quando l’identificazione avviene tra l’occhio della mdp e lo spettatore e secondaria quando lo spettatore si identifica con i personaggi. Secondo Hitchcock per far si che le inquadrature soggettive e oggettive funzionino devono essere alternate tra loro. Se nell’inquadratura oggettiva vediamo i segni delle emozioni sul volto del personaggio con l’inquadratura soggettiva siamo calati all’interno del personaggio e viviamo quello che in lui suscita sentimenti. Le inquadrature soggettive possono avere un sintagma aperto quando si (A) alterna l’oggettiva del personaggio che guarda e la (B) soggettiva di chi/cosa è guardato, un sintagma chiuso quando si ripete lo schema ABA e a sintagma chiuso rovesciato quando A e B vengono invertiti, il sintagma soggettivo differito quando tra A e B si inseriscono altre inquadrature che ritardano l’enunciazione della soggettiva (ACDB). Analizzando Pyscho, Marion dopo avere rubato un’ingente somma di denaro è in fuga, la sequenza si apre con un campo medio dell’auto in sosta della donna che si era fermata a riposare, in primo piano sulla sinistra e verso il basso vi è un cespuglio che è mosso dal vento, segno della tensione visiva. Un poliziotto scorge l’auto, fa svegliare la donna, l’uomo ha tratti scultorei e degli occhiali che impediscono di vedergli gli occhi, non si capisce cosa prova, sembra la proiezione dei fantasmi della donna. Tra i due sguardi c’è conflitto, da una parte quello vulnerabile e trasparente di Marion e dall’altra quello ermetico del poliziotto. Il resto della sequenza ruota attorno all’alternanza di tredici inquadrature totali, in rapporto oggettive-soggettive. Il volto della donna che guarda è un’oggettiva, allo spettatore non viene concesso di vedere ciò che lei vede (soggettiva). La narrazione viene filtrata attraverso il personaggio di Marion. Un esempio di film girato interamente con inquadrature soggettive è Una donna nel lago di Montgomery (1943), la mancanza delle oggettive del volto del personaggio ha causato nello spettatore l’allontanamento dalla narrazione. Sguardo dinamico: Il cinema degli anni Novanta e Duemila ha fatto un forte uso dell’inquadratura soggettiva, si è diffusa anche l’idea di girare un film affidandolo esclusivamente allo sguardo di una videocamera azionata da un personaggio (horror, catastrofico, bellico), in questi film la soggettiva viene accompagnata da ampi movimenti a mano di macchina da presa che generano riprese mosse -soggettiva meccanica o vuota- perché dietro non vi è l’occhio umano. A determinare la dinamicità del filmico ci sono i movimenti di macchina. Un’inquadratura dinamica è un’inquadratura che si articola in più quadri nei quali cambia la durata, l’altezza e angolazione della mdp e distanza nei confronti dei soggetti rappresentati. Quando il cinema nasce è un prodotto statico fatto di inquadrature fisse. Nei primi anni del 1900 si diffusero le panoramiche e le carrellate con il compito di seguire il personaggio nei suoi movimenti. I principali movimenti di macchina sono: ▪ La panoramica: la cinepresa è fissata su un cavalletto, ruota sul proprio asse in senso orizzontale o verticale. Esistono panoramiche dall’alto verso il basso, alto, destra, sinistra e raramente obliqua, talvolta viene fatta la panoramica a 360° che esprime un punto di vista soggettivo, a schiaffo quando il movimento è brusco e legato a un effetto sorpresa. ▪ La carrellata: la cinepresa è collocata su un carrello che corre sui binari o macchina gommata, la mdp si sposta nel suo insieme. I movimenti possono essere a destra, sinistra, obliqui, circolari, misti, avanti e indietro. Se il movimento di macchina è rapportato a quello del personaggio si tratta di carrello laterale, quando sarà parallelo al personaggio da seguire e lo riprenderà di profilo di carrello a precedere e quando lo segue arretrando o avanzando e ritraendolo di spalle di carrello a seguire. ▪ Il travelling: si indicano i movimenti di macchina più complessi che uniscono possibilità dinamiche delle panoramiche a quelle dei carrelli di far scendere e salire la mdp. Vengono realizzati con gru e dolly. Esempio è anche la steady cam degli anni Settanta che prevedeva 17 un telaio da indossare per l’operatore che conferiva una perfetta stabilità alla mdp. Anche la louma, fissata ad una gru consente movimenti in ogni direzione. ▪ La macchina a mano o spalla: la ripresa procede per sbalzi e scossoni, divenne comune negli anni Cinquanta con il cinema verité, la macchina a mano è stata usata da Pasolini e Truffaut e negli anni Novanta e Duemila ha avuto una riscoperta. La carrellata ottica vede la staticità della mdp ma un cambiamento della lunghezza focale dell’obiettivo chiamato zoom. La differenza tra carrello e zoom è che con il movimento di macchina vero e proprio gli oggetti statici guadagnano volume e solidità mentre con lo zoom si ottiene una rappresentazione più appiattita e artificiale. Lo zoom ha iniziato a diffondersi con il cinema degli anni Sessanta. La dinamicità di un’inquadratura può riguardare sia il movimento filmico che profilmico. Si parla di movimenti subordinati quando seguono la traiettoria di un personaggio o oggetto in movimento, mantengono costante distanza, angolazione e velocità e movimenti liberi quando i movimenti prescindono dai movimenti profilmici e la mdp si muove autonomamente nello spazio. Altra modalità dei movimenti di macchina subordinati è la reinquadratura quindi brevi movimenti della mdp che hanno il compito di mantenere l’equilibrio e la centralità del piano nonostante gli spostamenti profilmici. I movimenti di macchina riguardano la dimensione di spazio e tempo. Per quanto riguarda la dimensione spaziale i movimenti si possono suddividere sulla base della loro estensione, una panoramica può ruotare di pochi o 360°, una cartella può muoversi su uno spazio ristretto ma anche su dimensioni più estese. Sul piano temporale si tiene conto della durata e della velocità. I movimenti possono essere distinti in continui (inquadrature dinamiche dall'inizio alla fine) e interrotti (i movimenti si possono interrompere). Le funzioni espressive dei movimenti di macchina sono: ▪ Funzione descrittiva: definizione di ambienti e caratteristiche principali ▪ Reversibilità tra campo e fuori campo ▪ Funzione connettiva tra elementi profilmici ▪ Valenza cognitiva: rivelano allo spettatore qualcosa che prima era celato ▪ Funzione selettiva: evidenziazione di qualcosa partendo dal contesto in cui è inserita ▪ Funzione estensiva: inserisce un elemento particolare in un contesto che può attribuirgli un senso ▪ Funzione tensiva: correlata alla velocità, serve per creare attesa ▪ Funzione affettiva: desiderio e brama/sentimenti del personaggio ▪ Funzione estetica: riferita specialmente ai travelling che puntano alla valorizzazione artistica ▪ Funzione semantica: definizione del senso della situazione che rappresenta, talvolta può esprimere un commento da parte di istanza narrante e autore come nel film La folla di Vidor. I movimenti di macchina servono per inserire lo spettatore nella realtà rappresentata al fine di fargliela vivere in prima persona come in Full metal jacket di Kubrick e dove i movimenti sembrano doppiare i sentimenti di terrore dei personaggi. Il cinema contemporaneo, postmoderno e digitale ha dato impulso all'uso di movimenti della mdp e alla sua dinamicità, è il caso ad esempio di travelling virtuosistici, di movimenti liberi che non sono associati a coerenza tra forma e contenuto. L'inquadratura multipla, sdoppiata in due o più immagini ha avuto un impulso forte con il cinema digitale ma è stato usato in tutta la storia del cinema. L'esempio più lampante è Napoleon di Abel Gance del 1927. La frammentazione dello schermo in due o più immagini è chiamata split-screen che riporta la riduzione del montaggio che non alterna le immagini ma le propone assieme. Lo split-screen divenne molto popolare negli anni Sessanta e Settanta e nel cinema sperimentale con Andy Warhol (Chelsea Girls), negli anni Duemila è stato usato da Tarantino in Kill Bill e Jackie Brown. Una diversa forma di inquadratura multipla è quella che mostra diversi monitor in azione all'interno di uno stesso piano, spesso due spazi e due tempi diversi convergono nella stessa inquadratura. 20 posizionamento della macchina oltre la linea immaginaria che congiunge i due personaggi. L’uso dello spazio a 180° comporta l’esistenza di altri tre tipi di raccordi: ▪ Raccordo di posizione: i personaggi mantengono la stessa posizione in entrambe le inquadrature ▪ Raccordo di direzione: quando un personaggio esce di campo deve uscire a destra e se ritorna deve entrare a sinistra nell’inquadratura successiva ▪ Raccordo di direzione di sguardi: la mdp deve essere posizionata in modo che i personaggi sembrino rivolti uno verso l’altro. Lo spazio deve essere rappresentato chiaramente e non devono esserci elementi che creano confusione, talvolta per avere maggiore concentrazione sui personaggi e non sull’ambiente si ricorre all’effetto sfocato (effetto flou). Lo scavalcamento di campo era possibile per due accorgimenti principali: il posizionamento della mdp avanti la linea consentita e l’utilizzo degli inserti. Se ad esempio in un piano si vede una diligenza e degli indiani inquadrati frontalmente correre verso lo schermo (ripresa in linea) nell’altro si vedrà il volto di uno dei passeggeri della diligenza (inserto) e il piano successivo mostrerà gli indiani e la diligenza correre da destra a sinistra. L’articolazione spaziale del découpage classico trova due figure fondamentali nel campo contro campo e nel passaggio da piani di insieme a piani ravvicinati e di nuovo piani di insieme. Alla forma del découpage classico si possono aggiungere altre tre tipologie di montaggio: ▪ Montaggio connotativo: è un montaggio con tratto dominante volto alla costruzione del significato. Ejzenstejn ha trovato l’elemento costitutivo del montaggio nella sua costruzione del senso. Ha avuto particolare influenza l’effetto Kulesov che dimostra chiaramente come l’associazione di due immagini può produrre un senso diverso da quello che ognuna ha presa singolarmente. Per Ejzenstejn il cinema non può limitarsi a produrre il reale ma deve interpretarlo, per lui il montaggio è la produzione di un significato. Alla base del montaggio ejzenstejniano c’è il conflitto tra due inquadrature e può essere un conflitto delle masse, degli spazi, direzioni grafiche, piani, volumi. In Ottobre ad esempio utilizza il suo montaggio intellettuale per creare nuovi concetti e nuove visioni. Per lui il montaggio è un salto di qualità della composizione interna dell’inquadratura e ha un ruolo centrale anche per i rapporti audio visivi. Se il découpage classico prevede un montaggio basato sulla continuità, il montaggio ejzenstejniano prevede tutta la sua evidenza come elemento significante. In Ottobre la sequenza del pavone meccanico e dell’ingresso di Kerenskij al trono degli zar prevede l’intervento del montaggio in quattro diversi modi: ▪ Montaggio sul corpo di Kerenskij che mostra solo delle parti del suo corpo ▪ Montaggio che unisce il focus sul suo corpo all’ambiente circostante, dall’uomo emergono burocrazia, esercito e tradizione. ▪ Viene messo in azione il pavone meccanico proprio nel momento dell’entrata nella sala di Kerenskij che simboleggia il suo pavoneggiarsi, il pavone è simbolo di una natura extradiegetica che si rivela essere l’istanza narrante. ▪ Il montaggio agisce sul piano temporale, la porta si apre sulla sala del trono degli zar, l’apertura della porta viene ripetuta in quattro inquadrature, è un atto privo di verosimiglianza. In Ottobre non c’è una successione dei piani in modo logico e verosimigliante ma in modo libero e arbitrario dettato dalla volontà di significati. 2001: Odissea nello spazio di Kubrick si apre sul modello classico dell’avvicinamento progressivo attraverso il passaggio da campo lungo alla figura intera che mette in risalto il personaggio (scimmione), le sequenze vengono accompagnate dalla musica di Strauss, vengono fatte inquadrature dal basso dello scimmione che sbatte un osso a terra, lo slow motion, l’inno del super uomo e le angolazioni conferiscono un’enfasi quasi solenne, vi è un’estensione temporale dovuta alle immagini rallentate. L’osso per lo scimmione rappresenta il mezzo per poter sovrastare le altre razze. Il montaggio porta al monolite, che è un totem, un simbolo del divino, di ciò che è sopra alla scimmia. 21 Per la scimmia l’osso rappresenta un’evoluzione, l’immagine finale rappresenta l’evoluzione fino a chissà cosa dell’uomo. Quando lo scimmione sta per gettare in alto l’osso viene fatta un’ellissi temporale che ritrae nello spazio una navicella che rimanda alle fattezze dell’osso. ▪ Montaggio formale: è un modello che si impone per la sua natura grafica e ritmico. La funzione del montaggio in questo caso può avere valenza narrativa, semantica ed estetica. La funzione estetica del montaggio è quella che tende a porre in primo piano degli effetti di tipo formale attraverso l’accostamento di immagini che instaurano un rapporto di volumi, superfici etc. Ha trovato massimo rigoglio con il cinema d’avanguardia degli anni Venti e nel cinema giapponese con Ozu il quale rifiuta l’utilizzo del campo contro campo e quando due personaggi dialogano tra loro guardano nella stessa direzione. Le inquadrature più che succedersi sembrano sovrapporsi fra loro in un gioco di somiglianze. In Psycho, la chiusura della scena dell’omicidio di Marion apre quella della rimozione del cadavere. La macchina da presa segue lo scorrere dell’acqua mista al sangue fino a quando fa mulinello attorno al foro della vasca, a chiudere l’immagine c’è la compresenza di un elemento statico e uno dinamico che con una dissolvenza porta all’occhio di Marion. ▪ Montaggio discontinuo: è un montaggio che nega apertamente i modelli della continuità hollywoodiana e mira a dar vita a forme di discontinuità spaziale e di violazione dei 180°. Registi come Tati e Ozu ricorrono alla visione dello spazio a 360°, tendono a girare attorno ai personaggi, si crea spaesamento ma al tempo stesso nulla impedisce di seguire la narrazione. Un altro modo per dare discontinuità è il jump cut (falso raccordo, montaggio a salti) da cui nascono almeno due diverse forme di raccordi irregolari: ▪ Successione di due o più inquadrature di uno stesso personaggio troppo simili tra loro sul piano di distanza e/o angolazione ▪ Successione di inquadrature incentrate su uno stesso personaggio che viene mostrato mentre cambia posizione ma senza transizioni nel passaggio da un’inquadratura all’altra. Il Jump Cut viene utilizzato da Godard e nel cinema della modernità, in una sequenza di Fino all’ultimo respiro, i due protagonisti conversano in un tragitto in auto. Vengono fatte 15 inquadrature della donna ripresa di spalle. Anche Hitchcock in Psycho ricorre al Jump Cut nella scena dell’omicidio di Marion: viene mostrata da due coppie di immagini troppo poco differenziate sul piano di distanza e angolazione, vi ha fatto ricorso per ottenere una maggiore suspense. Nella scena vera e propria dell’omicidio Hitchcock ricorre a un montaggio che alterna inquadrature ad una velocità di meno di un secondo. Il Jump Cut può essere riconducibile a logiche di antillusionismo ma anche per creare effetti comici. Un’altra soluzione adottata è quella di fare ricorso a inserti non diegetici che interrompono la regolare e continua successione delle inquadrature, spesso sono allusioni metaforiche come il pavone di Ejzenstejn o i manifesti pubblicitari e giornali di Godard. Il montaggio discontinuo può anche riguardare le modalità temporali del racconto circa l’ordine degli eventi e la frequenza nella narrazione. Anche la durata può essere manipolata: viene impiegata la tecnica dell’estensione (Ottobre) oppure la sovrapposizione temporale o overlapping editing dove la seconda inquadratura non inizia quando finisce la prima ma inizia poco prima (primi film di Truffaut). Una delle differenze più rilevanti tra cinema contemporaneo e cinema del passato è la sua velocità, le inquadrature più brevi e il moltiplicarsi degli stacchi. La rapidità nel cinema hollywoodiano si deve ai film di azione del cinema hongkongese. Bazin ha dato vita ad un’altra concezione del montaggio che si oppone ai modelli di découpage classico e montaggio ejzenstejniano. Apparentemente appaiono due modelli opposti ma se vi si presta attenzione si nota che hanno delle somiglianze nel rapporto con lo spettatore, il modello classico tende a selezionare gli aspetti più importanti mentre il modello ejzensejniano costruisce il senso di quello che rappresenta. In entrambi i casi lo spettatore si trova davanti a qualcosa di prettamente definito e prestabilito. Bazin parla di montaggio proibito ogni volta che l’essenziale di un avvenimento dipende dalla presenza simultanea di due o più fattori dell’azione, nel caso del cinema classico si tratta in 22 particolare di campo contro campo e montaggio alternato. Secondo Bazin la rappresentazione del mondo deve avvenire secondo il rispetto fotografico spazio-temporale ed avviene con le modalità della profondità di campo e del piano sequenza. Un’immagine in profondità di campo prevede che tutti gli elementi rappresentati siano perfettamente a fuoco. Per messa in scena in profondità si intende la disposizione di oggetti e personaggi su più piani che tra loro interagiscono. Il ricorso all’effetto flou deve essere interpretato come il trasferimento della credibilità dalla rappresentazione filmica a quello dell’immagine e del racconto. Nel corso degli anni Trenta pochi registi utilizzavano la profondità di campo, tra di loro Renoir e Mitzoguchi, si riafferma con Quarto potere nel 1941. Il cinema in 3D: La profondità di campo è stata supportata dal cinema in tre dimensioni, uno degli obiettivi del cinema postmoderno è la totale immersione dello spettatore nel film attraverso la realizzazione 3D. Il 3D però non è un’invenzione del cinema digitale ma è sempre esistito e si può far risalire la sua nascita con la visione stereoscopica di Wheatstone nel 1938. Nel 1954 la visione tridimensionale è consentita dall’uso di occhialini appositi, negli anni Settanta e Ottanta vi fu un nuovo ritorno al cinema 3D. Strettamente legato alla profondità di campo c’è il piano sequenza, un piano che da solo svolge tutte le funzioni di una sequenza o scena, rappresenta un evento o una serie di eventi in autonomia nel contesto narrativo, è l’equivalente di una somma di inquadrature. Anche il piano sequenza si caratterizza per il suo rifiuto del montaggio. Il piano sequenza a livello temporale e la profondità di campo a livello spaziale rappresentano la messa in discussione della centralità che il montaggio aveva avuto fino agli anni Venti e Trenta. In Europa si usa il termine piano sequenza mentre negli USA si usa il termine long-take, si intendono le inquadrature che esibiscono il rifiuto del montaggio. Con il montaggio in continuità (1905-1916) le inquadrature diventano sempre più brevi, raddoppiano poi la durata media di 5 secondi con l’avvento del sonoro. L’inquadratura di un film a découpage classico ha un solo significato mentre un long-take o un piano sequenza può averne diversi. In Fino all’ultimo respiro, come in Quarto potere sono presenti ampi movimenti di macchina e di personaggi, il piano sequenza nella sua continuità spazio-temporale determina, secondo Bazin, un maggiore realismo, lo spazio non viene più rappresentato in blocchi ma viene rappresentato nel suo insieme ed è compito degli spettatori compiere un proprio montaggio. Alle osservazioni di Bazin possono essere rivolte due critiche: (1) la realtà e la sua rappresentazione non possono essere confuse, il cinema vi si può solo avvicinare e (2) non sempre profondità di campo e piano sequenza danno la stessa importanza a ciò che rappresentano, il montaggio può continuare ad esistere e si tratta di un montaggio interno che si costruisce non tra il rapporto tra inquadrature ma all’interno del piano stesso, ci possono essere comunque delle frammentazioni interne che si sostituiscono ai veri cambiamenti di piano. In Quarto potere c’è l’inquadratura in profondità dove si vedono i genitori di Kane affidarlo ad un banchiere affinché lo porti in città. Si vede Kane giocare in cortile sotto alla neve, dietro ad un movimento di macchina ci sta la madre che guarda il figlio dalla finestra. L’inquadratura si sviluppa in tre modi: in profondità il bambino che gioca all’aperto, in mezzo il padre e in primo piano la madre e il futuro tutore, in questo caso sta allo spettatore la scelta di cosa osservare. Ogni livello è composto dalla presenza di almeno una o due figure. La voce ed i suoni sono essenziali perché indirizzano lo spettatore verso un tipo di découpage. Un’altra inquadratura sviluppata in profondità al fine di renderne la drammaticità è la scena del tentato avvelenamento della moglie di Kane strutturata in un’unica inquadratura. Anche qui si può scegliere se guardare l’uomo, la donna, il complesso della scena o il sonnifero (montaggio interno). Nel cinema delle Nouvelle Vagues ci sono esempi di piani sequenza e long take che non impongono nulla allo sguardo dello spettatore. Si tratta ad esempio della scena di dialogo tra i due personaggi in Fino all’ultimo respiro, il dialogo viene ripreso con una lunga carrellata e senza stacchi, la macchina segue, precede i personaggi e si passa da figure intere a mezze 25 riguarda i racconti del mistero dove si tiene nascosta l’origine e fonte del suono al fine di creare tensione e suspense. Si può parlare di ritmo sonoro partendo da velocità e regolarità degli intervalli. La velocità è determinata dalla durata degli intervalli (intervallo breve, ritmo veloce). La regolarità incide sulla coincidenza o meno delle durate, se le durate coincidono il ritmo è regolare. Il ritmo visivo e sonoro viene adattato l’uno all’altro specie nei musical e film di animazione. Il cambiamento di ritmo può preludere a determinati sviluppi drammatici o connotare una realtà interiore dei personaggi. Quando si parla di punto di vista ci si riferisce a due dimensioni, una dimensione oggettiva legata al punto di vista spaziale della mdp e una soggettiva che riguarda gli aspetti narrativi. Il punto di ascolto invece è legato alla direzione dei suoni, dal volume che differenzia i suoni in lontani e vicini. Il rapporto tra scala visiva e sonora può dare contrasto o coincidenza. Si può mettere in parallelo il termine di auricolarizzazione con l’ocularizzazione. L’auricolarizzazione si divide in interna quando è un suono diegetico ad un personaggio, può a sua volta dividersi in primaria quando il suono assume una dimensione soggettiva come nel caso del dialogo tra due personaggi, la voce di quello che parla si affievolisce perché chi l’ascolta si è distratto ed esterna quando i suoni dei film sono legati in modo particolare al personaggio ma al tempo stesso non sono per lui dotati di particolare significato (traffico della città). L’auricolarizzazione interna viene costruita con suoni diegetici mentre quella esterna con suoni extradiegetici. La parola al cinema è stata trasmessa fin dalle origini del cinema attraverso l’uso poco diffuso del narratore e delle didascalie. Commentatori e didascalie avevano la stessa funzione ovvero di informare lo spettatore dei dati essenziali alla comprensione del racconto. La vera rivoluzione del sonoro non è stata quella di introdurre la lingua nel film ma di produrla sotto forma di registrazione sonora. Il commentatore pronuncia parole in simultanea con l'immagine anche se vi era un margine di improvvisazione che con le didascalie scompare. La voce rispetto a tutti gli altri suoni viene staccata e messa in evidenza, musiche e rumori sono un semplice accompagnamento. Chion distingue tre tipi di parola presenti nel cinema: ▪ La parola teatro: caratterizzata dalla sua totale intellegibilità e dall’essere emanata dai personaggi può assumere funzione informativa, drammatica e psicologica. ▪ La parola testo: intellegibile quanto la parola teatro ma cambia la fonte di emissione ovvero la voce del narratore. ▪ La parola enunciazione: che può essere di personaggi o narratori ma viene meno la totale voi intellegibilità, non tutto quello che è detto è interamente capibile e correlato al centro dell'azione. Viene utilizzata nella scena finale della dolce vita di Fellini, Marcello non riesce a udire la voce di Paolina. Molti film vengono girati in presa diretta ovvero la registrazione sonora è simultanea alla ripresa visiva e spesso accade che i rumori d'ambiente limitino l'intelligibilità delle parole. La parola può sostituirsi alle immagini e la sua analisi deve dipendere da caratteri formali come la qualità sonora, la materialità timbrica ed intonazione. Ci possono essere tre casi di quantità di informazioni enunciate dalle parole: ▪ La parola dice più delle immagini ▪ La parola dice quello che dicono le immagini ▪ La parola dice meno di quello che dicono le immagini La qualità delle informazioni riportate dalla parola può essere: ▪ Immagini e parole dicono le stesse cose ▪ Immagini e parole dicono due cose diverse Alle parole è affidato il compito di ridurre le ambiguità delle immagini. La musica è presente dalla nascita del cinema nel 1895, era presente quando nel 1927 c’è stato il passaggio al sonoro, tra musica e immagini ci sono delle relazioni. Negli anni Dieci vengono pubblicati i primi repertori musicali standardizzati in base ai quali una musica poteva adattarsi a un determinato sentimento. Negli anni Venti si profila un nuovo rapporto tra immagini e musica in 26 particolare con il cinema d’avanguardia che le accomuna secondo una logica ritmica. La percezione della musica per film può riguardare un rapporto di partecipazione o distanza rispetto agli avvenimenti della narrazione. La musica ha dato vita alla figura del leitmotiv ovvero un tema melodico ricorrente associato ad un’immagine e/o personaggio (M. Il mostro di Düsseldorf) e dell’avvio o interruzione forzata quando la musica si avvia o cessa improvvisamente al fine di accentuare la drammaticità dell’evento. La musica si distingue in intradiegetica nel caso di musica prodotta da fonti sonore presenti nella storia, ha funzione informativa ed indiziaria ed extradiegetica nel caso della musica di commento che ha funzione di portavoce dell’istanza narrante. I rumori sono stati essenziali e presenti a partire dal cinema classico anche se sono stati sottovalutati, con l’avvento del dolby è stato possibile portare rumori meglio definibili e riconducibili specialmente al cinema di fantasia, fantascienza, azione e inseguimento. Nel cinema sonoro la prima funzione del rumore è quella di rendere credibile l’ambiente rappresentato. In Playtime di Tati, il protagonista del film è Hulot, è legato ai personaggi comici di Keaton e Chaplin perché si ritrova a vivere nella società moderna di cui è parte ma alla quale non riesce ad integrarsi, è la società del rumore e del disagio. Il film fa sentire allo spettatore quello che il protagonista sente e più di quello che egli vede. Il film che più ha contribuito al successo del multicanale Dolby Stereo è stato Guerre Stellari di Lucas, il sistema è stato via via perfezionato, sono stati introdotti canali surround intesi come una sorta di muro del suono che si pone alle spalle dello spettatore e del subwoofer che consentono effetti a bassa frequenza che causano delle vibrazioni. Il Dolby Stereo si è evoluto in Dolby Digital Surround Ex e compete con modelli simili come l’SDDS e DTS che trasmette il suono attraverso dei dischi. Il sistema attualmente più diffuso nelle sale è il Dolby Digital, le sale ora sono concepite come un’estensione degli studi di registrazione in grado di riprodurre in modo fedele le tecniche espressive e stilistiche adottate per la produzione. L’importanza del suono nel cinema contemporaneo ha portato alla nascita di una nuova figura professionale del sound designer che progetta, controlla e dirige l’impianto sonoro del film. Altre figure coinvolte nella gestione del suono sono il fonico di presa diretta (responsabile delle riprese sonore), il microfonista (responsabile della collocazione dei microfoni sul set), il doppiatore (opera sul dialogo e sulle carenze del suono in presa diretta), il rumorista (rumori sul set), fonico di doppiaggio (responsabile delle riprese in sala e lavoro dei doppiatori) e fonico di missaggio (miscelare i suoni sul set). L’ANALISI DEL FILM L’analisi dei film inizia a svilupparsi dalla seconda metà degli anni Sessanta ed hanno raggiunto risultati nell’ambito della teoria del cinema ma anche nei confronti di altre materie collegate. Di fatto non esiste un metodo universale per l’analisi anche se tutte partono da un oggetto primario che è il testo filmico. L’analisi aderisce al discorso filmico ed è attenta al funzionamento significante del film, si può condurre un’analisi formale oppure se si punta a dare maggiore importanza al significato e alla sua natura ideologica. Per l’analisi è importante partire da delle ipotesi che si andranno ad affermare o ribaltare nel corso del lavoro. L’utopia dell’analisi esaustiva predilige lo studio del frammento di un film piuttosto che il suo intero al fine di avere maggiore precisione. È importante utilizzare la copia originale del film sottoposta a diverse visioni. Per l’analisi vengono usati strumenti descrittivi come la sceneggiatura desunta (descrizione finale delle inquadrature nel risultato finale), la segmentazione (suddivisione del film nelle sequenze che lo articolano), la descrizione della singola inquadratura, l’utilizzo di tavole e grafici, strumenti citazionali che sono un prelievo dal corpo del film, la possibilità di riprodurre un singolo fotogramma o più fotogrammi è una citazione letterale del film ma anche la negazione del suo movimento e durata. La riproduzione della banda sonora va rapportata all’uso di immagini. Gli strumenti documentari riguardano i dati anteriori alla distribuzione del film (budget, piano id produzione) o posteriori (incassi, pubblicità). Analizzare un film comporta sempre la procedura di scomposizione, analisi delle parti e ricomposizione. Sono stati condotti tre tipi di analisi: 27 ▪ Analisi di Bellour su una breve scena di Il grande sonno di Hawks (1946), vengono tratti tre codici propri del linguaggio cinematografico: variazione scalare dei piani, movimento/staticità delle inquadrature e angolo di ripresa e altri tre codici non prettamente propri del linguaggio cinematografico come la presenza di uno o due personaggi, il loro parlare o meno e la durata delle inquadrature. A questi si aggiungono due codici narrativi che sono l’isolamento di due battute di dialogo e due di azione. ▪ Analisi di Browne rivolta a dodici inquadrature di Ombre rosse che provvede con l’individuazione del modo con cui il montaggio articola lo spazio diegetico e del funzionamento degli sguardi dei personaggi. Le inquadrature prese in considerazione mettono in risalto la contrapposizione tra due gruppi opposti, da una parte Ringo e Dallas come gli impuri e dall’altra Lucy e gli altri come puri. Il momento di conflitto inizia quando Ringo invita Dallas a sedersi vicino a Lucy. La prima e la dodicesima inquadratura sono dei piani più ampi dei precedenti e sono ripresi da un punto di vista diverso. Il primo mostra solo il gruppo di Lucy e l’ultimo è un campo totale su tutti i personaggi. Il gioco di sguardi è rilevante, Lucy e il suo gruppo guardano fuori campo in modo più insistente e marcato rispetto a quanto facciano Ringo e Dallas. Le inquadrature che riguardano Lucy e il suo gruppo sono dei nobody soht mentre quelli che riguardano Ringo e Dallas sono degli sguardi descritti. ▪ Analisi di Ropars in due scene di Quarto potere al fine di mettere in risalto l’istanza narrante. L’analisi parte dalla volontà di un giornalista di svelare l’ultimo mistero della vita di Kane ovvero il motivo dietro al quale ci sta Rosebud come ultima parola pronunciata prima di morire. Il giornalista incontra una serie di personaggi che hanno conosciuto Kane e si rivelano essere dei narratori diegetici che però sono inutili per svelare il mistero. Il mistero viene svelato nell’epilogo del film dall’istanza narrante. Il prologo è composto da venti piani, all’undicesimo c’è la cesura tra interno ed esterno, vengono ripetuti elementi, linee e momenti simili ma diversi tra loro per enfatizzare la drammaticità. Il punto di luminosità mette in evidenza come gli spazi del castello vengano narrati piuttosto che descritti. Il secondo momento del prologo riporta i movimenti diegetici della parola Rosebud: una boccetta di vetro cade a rallentatore, simula la neve, un'infermiera copre il volto di Kane. La boccia di vetro rappresenta un’infanzia mancata e trascurata, riporta alla scena del protagonista giovane che gioca sulla neve. L’istanza narrante rivela poi che Rosebud è il nome scritto sulla slitta dove Kane giocava. Nel corso degli anni Novanta l’analisi del film ha consolidato il suo ruolo all’interno di possibili contesti sul cinema, è diventata alla portata di tutti grazie alla tecnologia e ai media. L’analisi del film ora si rapporta con altri saperi e vi è in stretto rapporto circa i significati che può avere. I saperi però non si impongono sul testo ma si diventano uno strumento di verifica che riflette la consapevolezza della molteplicità d significati che possono essere assunti dal film. Secondo Casetti l’analisi di un film può/deve collocare il testo in tre ambiti: ambito delle produzioni filmiche, nicchia a cui si rivolge e inserirsi all’interno di discorsi sociali. In questo periodo si è affermata la definizione di post analisi, è dunque impossibile pensare ad un film come testo autonomo e autosufficiente, viene collocato in una rete di discorsi mediatici, tv, social, videogiochi etc. per questo si ricorre al termine di rimediazione (rappresentazione di un media attraverso un altro media) e intermedialità (trasferimento sui media di forme e contenuti). Nessun’analisi può prevaricare le caratteristiche formali (messa in scena, linguaggio cinematografico). Il regista: Il ruolo del regista è accompagnato da altri professionisti come l’assistente alla regia che fa in modo che si possano realizzare le riprese e la segretaria di edizione che registra i ciak e la lista dei piani girati. Nel cinema delle origini il regista è lo stesso operatore della mdp, con il cinema hollywoodiano si inserisce la figura del regista nei titoli di testa. Negli anni Venti con la crescita dell’industria e
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