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Sintesi ''Pittura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento'', Baxandall Michael., Sintesi del corso di Storia Dell'arte

Sintesi del testo ''Pittura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento'' di Baxandall Michael.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

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Scarica Sintesi ''Pittura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento'', Baxandall Michael. e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! Pittura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento Baxandall Michael, Piccola Biblioteca Einaudi. Michael Baxandall è stato uno dei più importanti storici d’arte degli ultimi trent’anni. Il saggio è costituito dal prodotto di lezioni tenute all’Università di Londra, aventi come lo scopo di dimostrare che la storia sociale rinascimentale è pienamente rispecchiata nello stile dei quadri del tempo. Nel primo capitolo vengono analizzati contratti, lettere e libri contabili del XV secolo per estrapolarne i dati economici che stanno alla base del culto del talento artistico di chi ha capacità tecnica e abilità pittorica. Il secondo, chiarisce la relazione tra le capacità visive popolari quali predicazione e danza e lo stile del pittore e come esso riesca a farle proprie. Il terzo capitolo, suggerisce i principali termini usati dai critici d’arte nell’esaminare i dipinti dell’epoca. Nelle ultime pagine il libro ci lascia sottolineando che la storia sociale e la storia dell’arte sono strettamente connesse poiché si chiarificano a vicenda. 1) LE CONDIZIONI DEL MERCATO: Nel XV secolo la “miglior” pittura, intesa in termini di qualità, era effettuata su commissione ovvero, il cliente ordinava un prodotto, specificandone le caratteristiche ed una volta chiarite veniva stipulato un contratto legale; ciò che veniva maggiormente richiesto erano le pale d’altare e gli affreschi. Le opere già pronte, dipinte da artisti meno richiesti invece, tendevano sempre a raffigurare Madonne e cassoni nuziali. Allora come oggi il cliente pagava per il lavoro, ma i criteri che si adottavano per stabilire i prezzi avevano una profonda incidenza sullo stile dei dipinti; risultando oggi, quindi dei fossili della vita economica del Quattrocento. Per l’epoca, si può definire buon cliente Giovanni Rucellai, uomo facoltoso arricchitosi con l’usura, che credeva di dover abbellire il patrimonio monumentale pubblico per risarcire la società, di meritare di crogiolarsi nel piacere della vista di quei dipinti o di meritare di possederli. L’unica cosa che si evince da tutto questo è che nel XV secolo la pittura era considerata troppo importante per essere lasciata ai pittori, i quali non potevano esprimersi, ma solo sottostare alle scelte dell’acquirente. Alcuni dei contratti che venivano formulati all’epoca erano redatti da un vero e proprio notaio, altri erano solo promemoria, “ricordi” da tenere da entrambe le parti. Non ne esistevano di tipici, in quanto non avevano una forma fissa ma dovevano contenere tre temi principali: a) specificare ciò che il pittore doveva eseguire poiché, il soggetto da raffigurare spesse volte non poteva essere ben descritto a parole per questo al contratto si affiancava un disegno del genere di figura desiderata.; b) esplicitare i modi, tempi e termini di pagamento, in quanto la somma concordata non era rigida e se un pittore si trovava in perdita rispetto al contratto poteva cercare di rinegoziarlo; c) insistere sul fatto che il pittore utilizzasse colori di buona qualità, come oro e azzurro ultramarino (ottenuto dalla polvere di lapislazzuli orientali); questa preoccupazione proveniva dal fatto che questi erano colori di difficile impiego e costosi ed esistendo a buon mercato sostituti più economici e meno brillanti come l’azzurro d’Alemagna (carbonato di rame), i committenti non volevano avere delusioni. Non tutti però lavoravano con contratti di questo tipo, alcuni infatti, percepivano uno stipendio da dei principi come Mantegna per i marchesi Gonzaga di Mantova; egli, però, rispetto ai grandi pittori del Quattrocento, che anche lavoravano per dei principi ma pagati per le singole opere, aveva una posizione insolita, privilegiata disponendo di uno stipendio. Tornando infine ai contratti nel corso del secolo il ruolo in primo piano dei colori preziosi lasca il posto alla richiesta sempre maggiore di abilità pittorica. In generale in tutta l’Europa occidentale dell’epoca vi era la tendenza ad una sorta di limitazione selettiva dell’ostentazione; era evidente negli abiti, non più sfarzosi, sgargianti od ostinatamente dorati come nella pittura che aveva sostituito con il largo uso di colori preziosi, l’abilità tecnica del pittore. A metà secolo, cambiarono anche i modi ed i termini di pagamento delle opere commissionate ai grandi artisti, infatti, attribuivano, per qualunque tipo di prodotto e all’ interno di ciascuna bottega, un valore notevolmente diverso al tempo del maestro rispetto a quello degli assistenti ed i materiali utilizzati venivano forniti a parte. In aggiunta, tanto più l’ampiezza dell’intervento del maestro era grande tanto maggiore sarebbe stato l’onere finale e il lustro per il cliente. Nel 1490, in conclusione l’individualità dell’artista diventava sempre più significativa così come l’atteggiamento del pubblico nel considerarli come tali, rispetto agli inizi del secolo. Esistono alcune descrizioni del Quattrocento relative alla qualità dei pittori ma sono relativamente poche per rappresentare un’opinione collettiva, anche se è degno di nota un promemoria inviato al duca di Milano da parte del suo agente a Firenze, relativo a quattro pittori che lì andavano per la maggiore, ovvero Botticelli, Filippino Lippi, Perugino e Ghirlandaio. Da questa nota si evince che il confronto, deludente, tra i quattro artisti è tra concorrenti e che i pittori vengono definiti più che per le loro abilità per la loro diversità di carattere. 2) L’OCCHIO DEL QUATTROCENTO: L’uomo del quattrocento si impegnava a fondo nel guardare un dipinto. Sapeva che in un buon dipinto ci doveva essere abilità e spesso era convinto che il dare un giudizio fosse compito del fruitore colto, come dice il più famoso trattato del Quattrocento sull’ educazione De ingenuis morbus di Pier Paolo Vergerio 1404. Alcuni degli strumenti mentali con cui un uomo organizza la sua esperienza visiva possono variare, e buona parte di questi strumenti sono relativi al dato culturale, nel senso che sono determinati dall’ambiente sociale che ha influito sulla sua esperienza. Il fruitore deve utilizzare nella lettura di un dipinto le capacità visive di cui dispone, e dato che di queste sono pochissime di solito quelle specifiche della pittura, egli è incline a usare quelle capacità che sono più apprezzate dalla società in cui vive. La maggior parte dei dipinti del XV secolo sono religiosi, creati con fini istituzionali a cui fornivano il contributo di una specifica attività intellettuale e spirituale. Questi dipinti avevano un triplice scopo: - istruire gli incolti, i quali erano a conoscenza solo di certi libri; - mistero dell’incarnazione e dei santi come sono nella nostra memoria e come si presentano ogni giorno ai nostri occhi; - al fine di eccitare il sentimento di devozione, che è eccitato dalla vista più efficacemente di quanto lo sia dall’udito. Trasformare queste tre ragioni i istruzioni rivolte al fruitore, equivale a usare i dipinti come stimoli accessibili che inducono l’uomo a meditare sulla Bibbia e sulle vite dei santi. Se le considerano rivolte al pittore, presuppongono cioè che il dipinto debba raccontare una storia in modo chiaro per la gente semplice, in modo indimenticabile per chi stenta a ricordare ed utilizzando tutte le emozioni che la vista può suscitare. Naturalmente, non poteva essere così semplice, vi erano degli abusi sia nelle reazioni del pubblico di fronte al dipinto, sia nel modo in cui i dipinti stessi venivano fatti. L’idolatria rappresentava una preoccupazione costante per la teologia: la gente semplice poteva facilmente confondere le immagini delle divinità ed adorarle (es. episodio della Vita di sant’ Antonio di Padova di Sicco Polentone, 1476). Per quanto riguarda i dipinti, poi, la Chiesa si rendeva conto che talvolta c’erano degli errori che andavano contro la teologia: soggetti con implicazioni eretiche, frivoli, indecorosi, il Cristo veniva mostrato mentre imparava a leggere etc. Per il pittore la traduzione in immagini di storie sacre era un compito professionale, le visualizzazioni del pittore erano esteriori, quelle del pubblico interiori. La mente del pubblico non era una tabula rasa su cui si poteva imprimere la rappresentazione che il pittore dava dei personaggi o di una storia. L’esperienza quattrocentesca di un dipinto non si limitava soltanto ad esso, ma comprendeva anche il processo di visualizzazione che il fruitore aveva precedentemente operato sull’ argomento raffigurato sul dipinto stesso (è importante sapere che c’è un manuale per giovani fanciulle Zardino de Oration, 1454 che spiega l’esigenza delle rappresentazioni interiori e il ruolo nell’atto della preghiera). Una meditazione che visualizzi così dettagliatamente le storie da arrivare quasi ad ambientarle nella propria città e a utilizzare come personaggi i propri conoscenti. Il pittore non poteva competere con la rappresentazione DE DELICIIS SENSIBILIBUS PARADISI di Rimbertino è un resoconto su questi argomenti: maggiore bellezza delle cose viste, maggiore acutezza del senso della vista e una infinita varietà di oggetti da osservare. La maggiore bellezza sta in 3 particolari: luce più intensa, colore più chiaro, e migliore proporzione; la maggiore acutezza della visione comprende una maggiore capacità di fare distinzioni tra una forma o un colore e un altro e la capacità di vedere sia a grande distanza che attraverso i corpi. L esperienza terrena che si poteva avvicinare di più a ciò era forse quella che si serviva di una rigida convenzione prospettica applicata a un disegno geometrico, come accade nel disegno di Piero della Francesca della parte esterna di un pozzo. Il principio della prospettiva lineare in uso è: la visione segue delle linee rette e le linee parallele che vanno in tutte le direzioni sembrano incontrarsi all’ infinito in un unico punto di fuga. 3) DIPINTI E CATEGORIE: Le abitudini sociali più immediatamente connesse alla percezione dei dipinti sono quelle visive. La maggior parte delle abitudini visive di una società non viene registrata in documenti scritti. Dal tipo di fonti disponibili emerge un pubblico personificato dal mercante che andava in chiesa e danzava. Nel 400 all’ interno delle categorie che pagavano i pittori nessuno era esente da questi elementi. Quali erano i pittori che spiccavano sulla massa? Del 300 CIMABUE GIOTTO e i suoi allievi il 400 non produsse uno schema altrettanto netto, possiamo prenderne spunto dall’ elenco di SANTI padre di RAFFAELLO in un suo componimento poetico in rima sulla vita del suo datore di lavoro il duca di Urbino: FIRENZE: Beato Angelico 1387/1455, Paolo Uccello 1396/1475, Pesellino 1422/1457, Filippo Lippi 1406/1469, Domenico Veneziano morto 1461, Andrea del Castagno 1423/1457, Ghirlandaio 1449/1494 Antonio e Piero Pollaiuolo 32/98-41/96, Botticelli 1455/510, Leonardo 452/519, Lippi 457/507. OLANDA: Rogier weyden 400/464, Eyck 441. MARCHE: Piero della Francesca 410/492, Melozzo da Forlì 438/494, Cosimo Tura 425/495, Ercole de Roberti 448/496 UMBRIA: Perugino 445/523, Signorelli 450/523. VENEZIA –ROMA: Gentile da Fabriano 370/427, Pisanello 395/455. PADOVA-MANTOVA: Mantegna 431/506 VENEZIA: Antonello da Messina 430/479, Gentile Bellini 430/516, Giovanni Bellini 429/507 Cristoforo Landino era uno studioso di latino ed uno studioso platonico, uno studente della lingua volgare, un docente dell’Università di Firenze e scrittore di lettere pubbliche. Altri due elementi lo mettevano in grado di pronunciarsi sui pittori: l’amicizia con Alberti ed era il traduttore della Naturalis Historia di Plinio. Egli disse su Masaccio, Filippo Lippi, Andrea del Castagno e il Beato Angelico (si veda pagina 113). Masaccio era considerato l’imitatore della natura, esponente del rilievo – Gran rilievo universale e Rilievo delle Figure – con stile puro (disadorno ed essenziale); i suoi affreschi vengono definiti “buon fresco” o autentico affresco dipinti quasi interamente su intonaco fresco, definito anche abile pittore e prospettico. Filippo Lippi, invece, viene definito come grazioso, ornato, varietà (inteso come utilizzatore di svariati colori e figure), compositivo e colorire (stendere il colore). Andrea del Castagno, poi, è stato considerato come disegnatore, amatore delle difficoltà e degli scorci e pronto. Infine, il Beato Angelico è definito con aggettivi come vezzoso e devoto.
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