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La Storia come Scienza: Il Ruolo dei Fatti e dell'Interpretazione, Sintesi del corso di Metodologia della ricerca

Il ruolo dei fatti nella storia e dell'interpretazione dello storico. L'autore discute sull'influenza dei positivisti, l'importanza della scelta dei fatti da parte dello storico, la relazione tra la storia e la filosofia, e i pericoli e le possibilità della generalizzazione storica. Il testo si conclude con una riflessione sulla natura scientifica della storia.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 17/01/2024

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Scarica La Storia come Scienza: Il Ruolo dei Fatti e dell'Interpretazione e più Sintesi del corso in PDF di Metodologia della ricerca solo su Docsity! LEZIONI PRIMA: LO STORICO E I FATTI STORICI: Che cos’è la storia? Per rispondere Carr analizza due passi, tratti dalla prima e dalla seconda incarnazione della Cambridge Modern History redatta da Acton nel 1896 e da sir George Clark nel 1957. Ecco come si esprimeva Acton in una relazione del 1896 parlando dell’opera che aveva accettato di dirigere: “ la nostra generazione non è in ancora in grado di dare una storia definitva; possiamo fornire una storia tradizionale e, indicare in quale misura ci siamo allontanati da quest’ultima per avvicinarci alla meta”. Clark commentava questa fiducia di Acton nella possibilità di riuscire a scrivere un giorno la “storia definitiva” e aggiungeva: che gli storici della generazione successiva si aspettano che le loro ricerche vengano di volta in volta superate. La ricerca appare illimitata, e qualche studioso impaziente si rifugia nello scetticismo, o almeno nella teoria secondo cui, dato che ogni giudizio storico implica atteggiamenti e punti di vista individuali, tutti i giudizi si equivalgono e non esiste una verità storica “oggettiva". La frattura esistente tra Acton e sir George Clark riflette il mutamento della visione complessiva della società verificatosi nel periodo che intercorre tra le due affermazioni. Acton proclama la fede positiva, mentre George Clark riflette lo sconcerto e il confuso scetticismo. “Che cos'è la storia?”, la nostra risposta riflette, con maggiore o minor consapevolezza, la nostra situazione odierna. L'Ottocento è stato l'età d'oro dei fatti. I positivisti, desiderosi di portare acqua al mulino della tesi della storia come scienza, contribuirono con il loro influsso a questo culto dei fatti. Verso il 1830 Ranke, nella sua polemica con la storiografia moraleggiante, osservò che il compito dello storico era “quello di mostrare come le cose erano andate (wie es eigentlich gewesen). I fatti, come gli stimoli sensoriali, colpiscono l'osservatore dal'esterno, e sono indipendenti dalla coscienza. Il processo con cui essi vengono accolti è passivo: dopo aver ricevuto i dati, l'osservatore li rielabora definendo un fatto come “un dato dell'esperienza distinto dalle conclusioni che se ne possono trarre”. E questa, potremmo dire, l'immagine che il senso comune ha della storia. Lo storico trova i fatti nei documenti, nelle iscrizioni e cosi via, come i pesci sul banco del pescivendolo. Lo storico li raccoglie, li porta a casa, li cucina e li serve nel modo che preferisce. Non tutti i fatti del passato sono fatti storici, o sono trattati come tali dallo storico. Che cos'è un fatto storico? l'accuratezza è un dovere, non una virtú. Si tratta di una condizione necessaria della sua opera, non già della sua funzione essenziale. È appunto per problemi di questo tipo che lo storico può ricorrere a quelle che sono state definite “scienze ausiliarie” della storia (archeologia, cronologia, epigrafia). Questi cosiddetti fatti fondamentali, costituiscono generalmente la materia prima dello storico e non la storia vera e propria. La scelta di questi fatti fondamentali dipende non già da una qualità intrinseca dei fatti stessi, ma da una decisione a priori dello storico. Si suol dire che i fatti parlano da soli: ma ciò è, ovviamente, falso. I fatti parlano soltanto quando lo storico li fa parlare: è lui a decidere quali fatti debbano essere presi in considerazione, in quale ordine e in quale contesto. Una volta il prof Talcott Parsons definì la scienza “un sistema selettivo di orientamenti conoscitivi della realtà” Lo storico è costretto a scegliere. Credere in un duro nocciolo di fatti storici esistenti oggettivamente e indipendentemente dallo storico che li interpreta, è un errore assurdo, che tuttavia è molto difficile da estirpare. Sarà l'accettazione o meno da parte di altri storici della validità e dell'importanza della tesi o dell'interpretazione. L'esser considerato o meno un fatto storico dipende, quindi, da un problema d'interpretazione. Ciò vale per ogni fatto della storia. Carr ha il sospetto che ancora oggi uno dei motivi di fascino della storia dell’antichità e del Medioevo consista nel fatto di dare l’illusione che tutti i fatti storici siano a nostra disposizione. Bury disse che “la documentazione relativa alla storia dell’antichità e del Medioevo è costellata di lacune”. Come disse Lytton Strachey “l’ignoranza è il primo requisito dello storico, ignoranza che chiarisce, sceglie e tralascia”. Lo storico dell’età moderna non gode di nessuno dei vantaggi di questa ignoranza; si trova costretto a coltivare essa da solo. Ha il duplice compto di scoprire i pochi fatti importanti e trasformarli in fatti storici. Con ciò, ci troviamo all’opposto dell’eresia 800centesca secondo cui la storia consisterebbe nell’elencare il maggior numero possibile di fatti oggettivi. Eresia che negli utlimi anni ha prodotto effetti disastrosi sugli storici dell’età moderna. Ciò che sappiamo della storia medievale è stato trascelto per noi da generazioni di cronisti legati professionalmente alle dottrine e pratiche religiose. Le morte mani di storici hanno modellato il passato. Il feticismo ottocentesco per i fatti era integrato e garantito dal feticismo per i documenti. Lo storico si avvicinava ad essi in atto riverente, con animo sotto- messo, e ne parlava in tono colmo di rispetto. Se una cosa si trova nei documenti, allora è cosi, e basta. Nessun documento à in grado di dirci di piu di quello che l'autore pensava - ciò che egli pensava che fosse accaduto, ciò che egli pensava che avrebbe dovuto accadere o sarebbe accaduto, o forse soltanto ciò che egli voleva che altri pensassero che egli pensasse, o anche semplicemente ciò che egli pensava di pensare. Prima di poter servirsi dei fatti, che siano stati trovati o no nei documenti, lo storico deve rielaborarli: l'uso che egli ne fa è, se posso dir cosí, l'elaborazione di un'elaborazione. Esempio di Gustav Stresemann, il ministro degli Esteri della repubblica di Weimar, morí nel 1929, lasciò una massa enorme di documenti che si riferivano quasi tutti all'attività compiuta nel corso di sei anni in qualità di ministro degli Esteri. Il fedele segretario Bernhard si mise al lavoro, e tre anni dopo apparvero tre grossi volumi, intitolati Stre-semanns Vermachtnis (L'eredità di Stresemann). Nel 1945 i documenti caddero nelle mani dei governi inglese e americano, che fecero fotografare il tutto e misero le copie a disposizione degli studiosi presso il Pubblic Record Office a Londra. Allorché Stresemann morí, la sua politica verso l'Europa occidentale sembrava coronata da una serie di splendidi successi - Locarno, l'ammissione della Germania alla Lega delle Nazioni, il piano Dawes e il piano Young e i prestiti americani. Non c'è, quindi, da stupirsi che essa abbia fatto la parte del leone nella scelta dei documenti operata da Bernhard. La politica di Stresemann verso l'Europa orientale, sembrava non aver conseguito alcun successo tan-gibile: pertanto, dato che una massa di documenti riguardanti negoziati conclusi con risultati insignificanti. Si poté ricorrere a criteri di scelta piú severi. Di fatto, dedicò un'attenzione ben più ansiosa e continua ai rapporti con l'Unione Sovietica, rapporti che ebbero nel complesso della sua politica estera un peso molto maggiore di quanto un lettore della silloge di Bernhard possa supporre. Poco dopo la pubblicazione Hitler sali al potere. e i volumi sparirono dalla circolazione: molte copie, furono distrutte. Nel 1935 un editore inglese pubblicò una traduzione abbreviata del lavoro di Bernhard - cioè una scelta della scelta di Bernhard. Nella prefazione “era stata tralasciata una certa massa di materiale che era sembrato di natura più effimera... e di scarso interesse per il pubblico e per "gli studiosi inglesi”. Ma il risultato di ciò e che la politica di Streseman verso l'Europa orientale, assumeva proporzioni ancora minori. Eppure si può affermare che è Sutton a rappresentare l’autentica voce di Streseman. Se i documenti fossero stati distrutti nel 1945 sotto un bombardamento, e le copie superstiti della silloge di Bernhard fossero scomparse, l'autenticità e la attendibilità dei volumi curati da Sutton non sarebbero mai state messe in discussione. Riteniamoci fortunati di poter consultare i documenti autentici della recente storia d’Europa. Che cosa ci dicono i documenti? Essi contengono i resoconti di qualche centinaio di conversazioni avute da Stresemann con l'ambasciatore sovietico a Berlino. In essi risulta avere la parte del leone nelle conversazioni e le sue argomentazioni appaiono sempre chiare e stringenti, mentre quelle dei suoi interlocutori appaiono generalmente povere, confuse e poco convincenti. I documenti non ci dicono che cosa avvenne, ma unicamente che cosa Stresemann pensava fosse avvenuto, o che cosa egli voleva che gli altri pensassero fosse avvenuto. Non fu Sutton o Bernhard, ma lo stesso Stresemann a cominciare la scelta. Naturalmente, i fatti e i documenti sono indispensabili allo storico: tuttavia non bisogna farsene dei feticci. dell'indifferenza di quasi tutti gli storici dell'Ottocento nei confronti della filosofia della storia. Il termine fu inventato da Voltaire, e da allora fu usato con significati molto diversi. Per gli intellettuali dell'Europa occidentale l'Ottocento fu un 'età piacevole, permeata di sicurezza e di ottimismo. I fatti erano, in complesso, soddisfacenti; di conseguenza, si era ben poco propensi a porsi o a rispondere a domande imbarazzanti riguardo ad essi. Ranke aveva una fid nel fatto che la divina provvidenza si sarebbe presa cura del senso della storia se egli si fosse preso cura dei fatti. Nel 1931 il prof Butterfield notava che “gli storici hanno riflettuto scarsamente sulla natura delle cose e perfino sulla natura del lavoro oggetto di ricerca”. Gli storici inglesi rifiutarono di scendere su questo terreno, perché credevano, non già che la storia fosse priva di significato, ma che questo fosse ovvio e chiaro di per sé. I fatti della storia costituivano una dimostrazione del fatto supremo, e cioè dell'esistenza di un'evaluzione benefica e apparentemente illimitata verso mete sempre piú elevate. La prima sfida alla teoria del primato e dell'autonomia dei fatti nella storia parti, nel periodo 1880-1900, dalla Germania. Prima della fine dell’800 vi erano in Inghilterra una prosperità e fiducia troppo grandi perché qualcuno prestasse attenzione agli eretici che attaccavano il 1. In primo luogo, si afferma che la storia ha a che fare con l'individuale e il particolare, e la scienza con il generale e l'universale. Questa concezione risale, si può dire, a Aristotele. Da allora, una legione di studiosi, fino a Collingwood* compreso, hanno operato una distinzione analoga tra la scienza e la storia. La famosa frase di Hobbes: “Non c'è nulla al mondo che sia universale tranne i nomi, giacché ognuna delle cose nominate è individuale e singolare”. Ciò vale certamente per le scienze naturali: due formazioni geologiche, due animali della stessa specie, due atomi non sono certo identici. L'uso stesso della lingua obbliga lo storico, come lo scienziato, alla generalizzazione. La guerra del Peloponneso e la seconda guerra mondiale furono molto diverse tra loro, ed entrambe uniche e irripetibili: eppure lo storico parla in entrambi i casi di guerre. Gibbon defini tanto l'affermarsi del cristianesimo che la nascita dell'Islam “rivoluzioni”, comprese due eventi irripetibili sotto il segno di un'unica generalizzazione. In realtà, lo storico non ha a che fare con ciò che è irripetibile, ma con ciò che, nell'irripetibile, ha un carattere generale. Nel decennio 1920-30 le discussioni che si svolgevano tra gli storici sulle cause della guerra del 1914, partivano dal presupposto che essa fosse stata provocata dagli errori dei diplomatici o dalla divisione del mondo in stati sovrani plurinazionali. Nel decennio 1930-40 le stesse discussioni partivano dal presupposto che la guerra fosse stata provocata dalle rivalità tra le potenze capitalistiche e tutte queste discussioni implicavano delle generalizzazioni sulle cause della guerra e lo storico si serve continuamente di generalizzazioni per saggiare di fatti di cui dispone. Colui che legge un libro di storia è, come colui che lo scrive, un generalizzatore cronico, che applica le osservazioni dello storico ad altri contesti storici che gli sono familiari - o magari al tempo in cui vive. Affermare che le generalizzazioni sono estranee all'attività dello storico, è una sciocchezza: la storia si nutre di generalizzazioni. Come afferma Elton “ciò che distingue lo storico dal mero raccoglitore di fatti storici, è l'uso di generalizzazioni”. Tuttavia non bisogna supporre che la general consenta di costruire grandi schemi storiografici in cui sia possibile inserire i singoli eventi. La storia studia la relazione che intercorre tra l’individuale e irripetibile e il generale. Se siete uno storico, vi è impossibile separare i due elementi, o accentuare l'uno a scapito dell'altro, cosi come non potete separare i fatti dall'interpretazione. Carr si concentra sui rapporti tra storia e sociologia. Attualmente la sociologia si trova a dover fronteggiare 2 pericoli: il pericolo di diventare iperteoretica e quello di diventare ipermpirica. Il primo è il pericolo di disperdersi in generalizzazioni astratte e senza senso sulla società in generale. Questo pericolo è aggravato da coloro che assegnano alla sociologia come compito quello di operare generalizzazioni sulla base degli eventi individuali catalogati dalla storia. L’altro pericolo è divenuto oggi attuale. Se la sociologia vuol diventare fecondo campo di studio, deve, prendere in esame il rapporto tra individuale e generale; essa deve anche diventare dinamica, cioè studiare le trasformazioni e lo sviluppo della società. Più la storia diventerà sociologica e la sociologia storica, tanto meglio sarà per entrambe. 2. Il problema della generalizzazione è strettamente legato al secondo dei problemi che abbiamo posto: le lezioni della storia. L'aspetto piú importante della generalizzazione è che grazie ad essa cerchiamo di imparare dalla storia, applicando le lezioni tratte da un gruppo di eventi a un altro gruppo di eventi: allorché generalizziamo cerchiamo, piú o meno consapevolmente, di giungere a ciò. Coloro che respingono la generalizzazione e insistono sul fatto sono anche coloro che negano che si possa imparare qualcosa dalla storia. Nel 1919 Carr si trovava alla conferenza della pace di Parigi, in qualità di membro subalternò della delegazione inglese. Tutti i membri della delegazione credevano nella possibilità di far tesoro delle lezioni del congresso di Vienna. Un certo capitano Webster scrisse un saggio per dirci in che cosa consistevano queste lezioni e a Carr ne sono rimaste in mente 2: la prima che era pericoloso trascurare il principio di autodeterminazione nell’atto di tracciare la carta geografia dell’Europa; la seconda che era pericolo gettare nel cestino della carta straccia dei documenti segreti, il cui contenuto sarebbe stato comprato dai servizi segreti di un’altra delegazione. Imparare dalla storia non è mai un processo unilaterale. Imparare a intendere il presente alla luce del passato significa anche imparare a intendere il passato alla luce del presente. La funzione della storia è di promuovere una più profonda comprensione del passato e del presente alla luce delle loro reciproche interrelazioni; 3. Il terzo punto riguarda la funzione della previsione nella storia. Si suol dire che dalla storia non si possono trarre lezioni, poiché la storia, a differenza della scienza, non è in grado di prevedere il futuro. Gli scienziati non sono più inclini come in passato a parlare di leggi naturali. Le cosiddette leggi scientifiche che influiscono sulla nostra vita quotidiana sono in realtà affermazioni di carattere tendenziale, riguardanti ciò che accadrà in condizioni immutate o nelle condizioni create in laboratorio. Gli scienziati non pretendono di prevedere ciò che avverrà nei casi concreti. Ma ciò non significa che queste leggi siano inutili, o che abbiano una minore attività teorica. Si dice che le teorie fisiche moderne considerino unicamente le probabilità del verificarsi di determinati eventi. Lo lo storico è portato a generalizzare, e nel far ciò, egli fornisce all'azione futura indicazioni di carattere generale che, pur non essendo previsioni particolareggiate, sono pur tuttavia valide e utili. Ma lo storico non può prevedere eventi particolari, in quanto il particolare ha un carattere di assoluta singoIarità, in cui entra un elemento casuale. La gente non si aspetta che lo storico preveda che una rivoluzione scoppierà in Ruritania il mese prossimo. Il tipo di conclusione che la gente cercherà di trarre, in parte da una conoscenza particolareggiata della Ruritania, e in parte dallo studio della sua storia, è questo: la situazione della Ruritania è tale che è probabile che nell'immediato futuro vi scoppi una rivoluzione. Questa conclusione può essere accompagnata da previsioni, basate in parte sull'analogia con altre rivoluzioni, sull'atteggiamento che è presumibile che adottino i vari strati della popolazione. La previsione, può divenire realtà soltanto qualora si verifichino eventi particolari, intrinsecamente imprevedibili. L'uomo è, in ogni senso, l'entità naturale piú complessa tra quelle a noi note, e non c'è da stupirsi se lo studio del suo comportamento implica difficoltà assolutamente diverse da quelle che si presentano al fisico. Ciò che Carr voleva dimostrare era che i fini e i metodi dello storico e del fisico non presentano diversità sostanziali; 4. Il quarto punto introduce nella discussione un argomento di ben maggiore portata a favore di quanti intendono tracciare una linea di separazione tra le scienze sociali e le scienze naturali. Nelle scienze sociali -si afferma- il soggetto e l'oggetto della ricerca sono della stessa natura e agiscono reciprocamente l'uno sull'altro. Gli esseri umani, sono destinati ad essere studiati da altri esseri umani. Il sociologo, l'economista o lo storico devono analizzare dei tipi di comportamento umano in cui la volontà è attivamente presente, e accertare perché gli esseri umani che sono oggetto del loro studio decisero di agire come agirono. Il punto di vista dello storico entra a far parte di ognuna delle sue osservazioni; la relatività è parte integrante della storia. Come affermò Karl Mannheim “anche le categorie che raccolgono e organizzano le varie esperienze variano a seconda della posizione sociale dell’osservatore”. È vero anche che il processo di osservazione influisce e modifica ciò che viene osservato. Ciò avviene in due modi opposti. Gli esseri umani, possono essere messi in guardia anti. cipatamente dalla previsione di conseguenze sfavorevoli, ed essere indotti pertanto a modificare adeguatamente il loro comportamento, cosicché la previsione, per quanto basata su un'analisi corretta, si smentisce da sé. Uno dei motivi per cui è raro che la storia si ripeta tra coloro che sono dotati di consapevolezza storica, è che le dramatis personae durante la 2 rappresentazione conoscono già il denouement della prima, e questa consapevolezza influisce sulle azioni. L’unica cosa che si può dire con certezza sui rapporti è che l’interazione tra osservatore è oggetto osservato, tra storico e fatti che studia è ininterrotta e varia sempre: il che è una caratteristica specifica della storia e delle scienze sociali. Carr osserva che negli ultimi anni alcuni fisici hanno parlato della loro disciplina in termini che sembrerebbero suggerire l'esistenza di analogie ancora piú impressionanti tra l'universo dei fisici e il mondo degli storici. In primo luogo, si afferma che i risultati che essi ottengono implicano un principio di incertezza o di indeterminazione. In secondo luogo, si afferma che nella fisica moderna la misurazione delle distanze spaziali e degli scarti temporali dipende dal moto dell'”osservatore”. Nella fisica moderna ogni misurazione è soggetta a variazioni sostanziali, derivanti dall'impossibilità di stabilire un rapporto costante tra l'“osservatore” e ciò che viene osservato: nel risultato finale dell'osservazione entrano pertanto sia l’'”osservatore” sia ciò che viene osservato - tanto il soggetto che l'oggetto. Ma, se queste descrizioni potrebbero essere riferite, ai rapporti esistenti tra lo storico e l'oggetto delle sue osservazioni, l'essenza di questi rapporti non è minimamente paragonabile alla natura dei rapporti tra il fisico e l'universo. Le teorie gnoseologiche classiche, presupponevano una separazione tra il soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto. Era il grande periodo di nascita e sviluppo della scienza, e queste teorie subirono l’influsso delle concezioni dei pionieri. L’uomo era posto controllo il mondo è l’ottava contro di esso perché difficile da comprendere. Oggi lo scienziato non tende più a pensare alle forze della natura come a qualcosa contro cui lottare, ma come qualcosa con cui cooperare per raggiungere i propri scopi. I filosofi hanno cominciato a metterle in discussione (teorie gnose) e a riconoscere che il processo della conoscenza implica un certo grado di interrelazione e interdipendenza tra i 2 termini; 5. Come ultimo punto Carr esamina la concezione secondo cui la storia, essendo intimamente legata a problemi religiosi o morali, si distingue per questo motivo dalla scienza in generale, e forse anche dalle altre scienze sociali. Riguardo al rapporto tra storia e religione. Analogamente, si è affermato talvolta che uno storico serio può credere in un Dio che abbia ordinato e impresso un significato al corso complessivo della storia, quantunque non gli sia lecito credere in un Dio come quello del Vecchio Testamento, che interviene per fare strage degli amalechiti, o imbroglia il calendario prolungando le ore di luce a vantaggio dell'esercito di Giosuè. Cosí, non gliè lecito ricorrere a Dio come spiegazione di singoli eventi storici. In un libro padre d’Arcy ha tentato di fare questa distinzione: “uno studioso non deve risolvere ogni problema storico ricorrendo al dito di Dio”. Karl Barth proclamò un’assoluta separazione tra la storia divina e quella umana, affidando quest’ultima al braccio secolare. Il professor Butterfield parla di storia “tecnica”; è l'unico cipo di storia che io o voi riusciremo mai a scrivere. Egli si riserba il diritto di credere in una storia esoterica o provvidenziale. Uomini come Berdjaev, Niebuhr e Maritain intendono salvare il carattere autonomo della storia, ma insistono sul fatto che il fine o la meta della storia sono posti al di fuori di essa. Per Carr è difficile conciliare l'autonomia della storia con la fede in una forza sovrastorica da cui dipendano il significato e l'importanza della storia. Il rapporto tra storia e morale è piú complicato. Oggi non c'è bisogno di insistere sul fatto che allo storico non si chiede di esprimere giudizi morali sulla vita privata dei personaggi della sua storia. Il punto di vista dello storico non è quello del moralista. Ma lo storico non deve mettersi a lanciare giudizi morali sulla vita privata degli individui che compaiono nei suoi libri: ha ben altro da fare. La difficoltà più serie sorge a proposito del problema dei giudizi morali sulle azioni pubbliche. In una lettera a Creighton, Acton dichiarò che “nell’ inflessibilità del giudizio morale consiste il segreto dell’autorevolezza, dignità e utilità della Storia”. Coloro che si affannano a far giustizia sono concordamente riconosciuti manchevoli di senso storico”. È questa secondo Carr la maggiore che si presentano allo storico dell'età contemporanea. Passiamo al problema dei giudizi morali emessi nei confronti di eventi, istituzioni o ordinamenti politici del passato. Sono questi i giudizi che importano allo storico. Lo storico francese Lefebvre, nel tentativo di scagionare la Rivol francese dalla responsabilità dei disastri e dei massacri delle guerre napoleoniche, attribuì queste ultime “alla dittatura di un generale”. I giudizi morali positivi sugli individui possono essere deformanti e errati dei giudizi morali negativi. Lo storico non giudicherà il singolo proprietario di schiavi, ma ciò che gli impedirà di condannare una società fondata sulla schiavitù. Come abbiamo visto, i fatti storici presuppongono un certo grado d’interpretazione e le interpretazioni storiche implicano sempre un giudizio morale. La storia è movimento, e il movimento implica un confronto. E questo il motivo per cui gli storici tendono a esprimere i loro giudizi morali in termini di carattere comparativo, come “progressivo” e “reazionario”, anziché in termini rigidamente assoluti come “buono” e “cattivo»: si tratta di tentativi di definire società o fenomeni storici diversi, non già in rapporto a un qualche criterio assoluto, ma nel loro rapporto reciproco. Inoltre, allorché esaminiamo questi valori sedicenti assoluti, ci
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