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SINTESI - "Star" di Richard Dyer, Sintesi del corso di Storia Del Cinema

SINTESI di "Star" di Richard Dyer. In riferimento all'esame di Istituzioni di Storia del Cinema (prof. Claudio Bisoni, prof.ssa Sara Pesce)

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 21/10/2021

laura-galavotti
laura-galavotti 🇮🇹

4.8

(33)

8 documenti

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Scarica SINTESI - "Star" di Richard Dyer e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! ANALISI DEL FENOMENO DIVISTICO e STAR COME “FENOMENO SOCIALE” e IL RUOLO SOCIALE DELLE STAR. I sociologi Francesco Alberoni e Barry King hanno individuato le diverse strutture sociali necessarie alla nascita del divismo: esse non creano direttamente i “divi”, ma costituiscono il substrato socio-economico necessario alla comparsa del fenomeno. o ALBERONI: condizioni necessarie alla nascita del divismo Francesco Alberoni considera il “divismo” come un fenomeno sociale generale, non soltanto limitato all'ambito del cinema. Nella sua definizione, infatti, le “star” sono un'«élite senza potere», ossia un gruppo di persone il cui ruolo istituzionale è ridotto o nullo, ma la cui vita privata è in grado di suscitare un interesse maggiore rispetto a quella di qualsiasi altra autorità pubblica. Secondo Alberoni le condizioni basilari per la nascita del divismo sono: - La presenza di uno stato di diritto; - La presenza di una burocrazia efficiente; - La presenza di una società a struttura complessa. Questa a sua volta prevede: =» Grandi dimensioni: le star non possono conoscere tutti, ma possono essere conosciute da tutti; = Sviluppo economico superiore a quello della sopravvivenza; = Mobilità sociale: chiunque può diventare una star. Questi tre fattori garantiscono che i ruoli sociali siano ben delimitati e giudicati in base a principi specifici (es. efficienza). In questo modo, le star agiscono unicamente nel proprio ambito e il loro “carisma” non rischia di diventare significativo a livello politico. In sintesi, per Alberoni il “divismo” rappresenta un fenomeno sociale rilevante, capace di dar vita a un'élite che, da un lato, non suscita invidia o rancore - tutti possono diventare star - e, dall'altro, non ha accesso a posizioni istituzionali di potere. L’analisi di Alberoni è utile per spiegare alcuni aspetti del fenomeno divistico, come la ragione per cui, durante la Grande Depressione, le persone indigenti potessero ascoltare o leggere della vita dispendiosa dei divi senza provare risentimento. Tuttavia, essa non tiene conto del significato ideologico del fenomeno: per quanto le star non siano alla base di effetti politici diretti, esse fanno parte del mondo delle opinioni e dei valori collettivi, tanto da arrivare a condizionarli più o meno apertamente. o KING: il ruolo sociale dei divi e le condizioni necessarie allo sviluppo del “divismo” Barry _King riprende le osservazioni di Alberoni sottolineando come i divi esercitino un controllo sulla rappresentazione delle persone nella società. Le star, in tal senso, occupano una posizione privilegiata nella definizione di ruoli e tipi sociali, esercitando un'influenza diretta sul modo in cui le persone arrivano a percepirsi nel proprio contesto di vita. In seguito, King propone una serie di presupposti necessari all'affermazione del divismo: - Dal punto di vista socio-economico è necessario: = La produzione di un surplus: si producono beni in eccesso rispetto ai bisogni materiali fondamentali; =» Una penetrazione _ dell’industrializzazione nella sfera culturale, che a sua volta comporta una separazione tra un sistema d'azione indirizzato a “fini strumentali” (utilitaristico e predominante) e un sistema d'azione indirizzato a “fini espressivi” (moralistico e subordinato) =» Unrelativo incremento della mobilità sociale verso posizioni di “ruoli espressivi”, non necessariamente legati a istituzioni sacre - ossia quelle che nella società feudale costituiscono i centri di potere; - Dal punto di vista culturale è necessario: =» Un declino delle culture locali a favore di un'unica cultura di massa; = Lo sviluppo di una tecnologia di comunicazione di massa; =» L'organizzazione dell'industria cinematografica intorno alla produzione di beni e una progressiva centralizzazione del controllo sulla produzione. 1)STAR COME FENOMENO DI “PRODUZIONE” E DI “CONSUMO”: il ruolo delle forze di produzione e consumo nel modellare il divismo e le star * FENOMENO DI “PRODUZIONE” O DI “CONSUMO”? Sia Alberoni che King evidenziano la necessità di esaminare il divismo da un punto di vista ideologico, senza tuttavia spiegarne i presupposti fondamentali, ossia: le “star” sono da considerare un fenomeno di “produzione” - determinato da esigenze produttive - o un fenomeno di “consumo” -determinato dalla richiesta degli spettatori? Il problema di cosa determina cosa - “produzione” o “consumo” - è centrale in ogni analisi dei mass media ed emerge chiaramente nei resoconti sulle origini del divismo hollywoodiano. La nascita dello “star system”, infatti, ha seguito diversi passaggi: o Anonimato degli attori. Inizialmente i produttori si opponevano all'idea di indicare il nome degli interpreti sui manifesti pubblicitari dei film. Gli attori, allo stesso modo, vedendosi prigionieri di un mezzo che sottraeva loro la voce - ossia la propria principale risorsa artistica - erano ben contenti di nascondere la vergogna nell'anonimato. 2 Campagna precedente al lancio. Quando la star entra a far parte del cast di un film, la casa di produzione commissiona la stesura di una serie di articoli sulla sya vita e personalità, destinati ad essere pubblicati su settimanali a diffusione nazionale o sui supplementi domenicali dei quotidiani. Lo studio cerca poi di ottenere che la star compaia in un programma televisivo. Promozione del film. Prima e durante le riprese di un film, tutta la campagna pubblicitaria è gestita da Hollywood. Nella fase di distribuzione e promozione, invece, sono le agenzie di New York a diffondere il prodotto a livello nazionale. Il lavoro del pubblicitario, in particolare, consiste nell’adeguare il ruolo cinematografico del film allo stereotipo con cui la star viene percepita nell'immaginario comune, per poi promuoverlo con tutti i mezzi a propria disposizione. Data la precisa elaborazione di questo meccanismo, non stupisce che la star venga percepita come un “prodotto” destinato al consumo di massa. In tal senso, lo “star system” giunge a configurarsi come un processo di pura manipolazione: sia il divismo che i singoli divi, infatti, devono la loro esistenza soltanto al sistema che li ha prodotti. BOORSTIN: star come “pseudo-eventi”. Secondo Daniel Boorstin le star si qualificano come “pseudo-eventi”: esse sembrano dense di significato, ma in realtà ne sono prive. In tal senso, i divi non devono possedere un carattere forte, ma una personalità definibile e pubblicizzabile a livello nazionale. MARCUSE: la cultura tardo-capitalistica. Le conclusioni di Boorstin si avvicinano a quelle di Herbert Marcuse, che ne “L'uomo a una dimensione” analizza le caratteristiche della cultura nelle società tardo-capitalistiche. Secondo Marcuse, prima dell'avvento del capitalismo la cultura agiva “negando” la società esistente: essa tendeva a raggiungere un “Altro”, un “Assoluto” capace di contrapporsi all'ordine costituito. Nella società contemporanea, invece, la cultura è diventata “positiva”, ossia tende semplicemente a riprodurre lo status quo - l’arte, di conseguenza, risulta priva di qualsiasi valore, configurandosi come una semplice “attrazione” da luna park. Essa non afferma nuovi significati, ma ribadisce solamente l’esistente. Tale circostanza influenza anche la concezione di “star”. Per Marcuse, infatti, gli “antenati culturali” delle star sono da individuare in tutti quei personaggi un tempo considerati sovversivi, come l'artista, la prostituta, il criminale senza patria, il guerriero, il poeta-ribelle. Oggi la loro funzione si è essenzialmente modificata: personalità come la donna fatale, l’eroe nazionale o la stella del cinema, infatti, non rappresentano più modi di vita alternativi, ma giungono ad inserirsi perfettamente nell’ordine costituito, affermando così lo status quo. Contro la visione del divismo come fenomeno di pura manipolazione si possono opporre diverse obiezioni: - Non tutte le manipolazioni funzionano: vi sono molti esempi di attori che, pur ricevendo l’intero trattamento promozionale, non si sono affermati come star; - Boorstin e Marcuse non esaminano il contenuto _ dell'immagine divistica: la loro analisi, infatti, si basa sul concetto che le star siano prive di sostanza, tanto da differenziarsi solo in virtù di superficiali differenze di aspetto. Tuttavia, tali differenze assumono un'importanza cruciale in un medium visivo come il cinema. - Boorstine e Marcuse considerano la società come un vasto meccanismo in cui la consapevolezza umana non svolge alcuna funzione. Tuttavia, il motivo della manipolazione si fonda sul concetto stesso di comportamento umano: l'input fornito dai media, infatti, può produrre un certo effetto sullo spettatore, senza però intervenire direttamente sulla sua mente o sulla sua coscienza. o MODA. La “moda” può essere vista come una variante della tesi manipolatoria: essa, infatti, implica come il processo di ascesa e di caduta di una star possa essere interpretato come un problema di “apparizione” (novità) e di “uscita di scena” (cosa sorpassata). Non a caso, la moda è spesso considerata come l’ultimo livello del processo manipolatorio in virtù della sua superficialità. Ian C. Jarvie, tuttavia, suggerisce come una delle funzioni primarie di un divo sia quella di fissare una norma di bellezza, aiutando così un certo tipo di fisico a identificare e a realizzare se stesso. Visto in questa prospettiva, dunque, un cambiamento di stile fisico arriva a corrispondere a cambiamento di significato sociale. * PRODUZIONE ESTRANEA AL PROFITTO. Le motivazioni economiche e manipolatorie fin qui analizzate provengono tutte da una visione ostile al cinema, volta ad assimilare Hollywood a una qualsiasi produzione capitalistica. Da un punto di vista esterno al profitto, invece, alcuni ritengono come l'avvento delle star sia da attribuire a una proprietà intrinseca del medium cinematografico, avente a che fare con le caratteristiche del mezzo e con il talento degli stessi divi. o NATURA DEI MEZZO. Diversi fenomeni, intrinsechi alla natura del mezzo cinematografico, hanno favorito la nascita e lo sviluppo del divismo. Fondamentale fu il ruolo svolto del Primo Piano e dalla stampa popolare. - Avvento del Primo Piano. Alcuni studiosi sottolineano il ruolo del Primo Piano nella creazione del fenomeno divistico. Nel cinema delle origini, infatti, la macchina da presa non si avvicinava abbastanza per cogliere la personalità del singolo attore, impedendo così alla “star” di emergere dal gruppo. L'avvento del Primo Piano, invece, permise di concentrare lo sguardo sulla personalità dell’interprete, dando dunque inizio a un dinamico scambio psicologico tra spettatore e attore cinematografico. In questo modo, il processo divistico, già avviato dal teatro vaudeville, poté essere intensificato dall’intrinseca intimità del prodotto filmico. = BALASZ: il significato del Primo Piano. L'importanza del Primo Piano viene analizzata dal Bela Balasz da un punto di vista strettamente filosofico. Lo studioso, infatti, sottolinea come l'avvento di questa tecnica al cinema portò alla «scoperta del volto umano». La fisionomia e la mimica, in tal senso, sono le forme d’espressione più soggettive di cui l’uomo disponga, superiori anche al linguaggio, dal momento che il vocabolario e la grammatica arrivano a subire l'influsso di norme esterne e generalmente accettate. La mimica, al contrario, è una forma d’espressione indipendente da qualunque regola codificata, circostanza che la rende un vettore diretto per lo spirito umano. Balàsz considera dunque il cinema come un mezzo “trasparente”, capace di rivelare in maniera non mediata il volto e l’anima umana. Tuttavia, a ben vedere, anche la mimica dipende da convenzioni di diversa natura: cinematografiche (v. gli esperimenti di Kulesov con il montaggio, il ruolo dell’illuminazione nel sottolineare parti diverse del volto), artistiche (v. l'iconografia delle espressioni sviluppata in pittura) e culturali. - Ruolo della stampa popolare. Prima dell'avvento del cinema, la stampa popolare appariva maggiormente interessata alla vita e alla personalità di autorità politiche ed economiche, più che a quelle appartenenti al mondo della cultura e dello spettacolo. Secondo Leo Lowenthal, il successivo cambio di interesse avvenne in relazione a un fenomeno di più vasta portata, che portò le figure degli “eroi che creano il mondo” (o “eroi di produzione”) a essere sostituite da figure capaci di godere dei frutti del mondo (o “eroi di consumo”). o MAGIA E TALENTO. Secondo un punto di vista molto comune, le “star” diventano tali in quanto si configurano già di partenza come persone eccezionali, dotate di straordinarie capacità o di grande carisma. A tal proposito, il sociologo Ian C. Jarvie afferma come i divi si distinguano in virtù del proprio “talento”, capace di comprendere sembianze fotogeniche, abilità di recitazione, personalità, voce e portamento attraenti. Vi sono tuttavia diverse obiezioni da porre alla teoria della “magia” delle star: - Non tutti gli attori provvisti di talento o carisma assurgono al rango di “divi”. Allo stesso modo, non tutte le “star” appaiono dotate di capacità eccezionali; - Il concetto di talento è culturalmente e storicamente specifico; - Nel caso di certi divi, la separazione tra ruolo e performance può essere considerata o come una contraddizione intrinseca al testo filmico, oppure come una questione di autorialità. L'importanza economica delle star e il complesso meccanismo di costruzione dell'immagine rivela il potere delle forze di produzione nella creazione del fenomeno divistico. Queste spiegazioni, tuttavia, non sono sufficienti. È infatti necessario analizzare il divismo nel suo contesto storico, culturale e ideologico per capire dove hanno origine le idee dei produttori e le immagini dei divi stessi. Accade dunque di frequente che i ruoli e le performance interpretati da una star nel corso della sua carriera siano considerati rivelatori della personalità della star stessa. - La vita come _ “rappresentazione”. Questo processo di identificazione tra “persona” e ‘personaggio’ fu aiutato dall’affermarsi del concetto di vita come “rappresentazione”. Tale analogia risale alla filosofia platonica e si è affermata sulla base del luogo comune che la vita sia come un palcoscenico e che le persone, al pari degli attori, siano chiamate a recitarvi una parte; essa, a sua volta, risulterebbe plasmata dalle forze sociali o dagli impulsi naturali dei singoli individui. La diffusione di questa idea ha portato l’uomo a sviluppare due distinte concezioni di sé: = Un sé conoscibile e costante, distinto dai ruoli sociali che ciascuno è chiamato a interpretare; = Una rappresentazione pubblica di sé, plasmata sulla base del ruolo ricoperto nella società e delle diverse forme di comportamento che la cultura ha reso disponibili. - Scario ira “performance” e “persona” nella star. Nel caso della performance teatrale l’attore è visto rappresentare e interpretare un ruolo, e viene dunque percepito in maniera distinta dal personaggio incarnato. La star del cinema, invece, sopprime questa distinzione, tanto da generare una confusione tra l'autenticità dell'attore e l'autenticità del personaggio interpretato. Mentre in alcuni casi (v. John Wayne, Shirley Temple) la perdita di tale distinzione può radicare il personaggio come un'entità separata, in altri (v. Bette Davis, Lana Turner) lo scarto tra sé e performance entra a far parte del significato stesso della star. o SVILUPPO DEL FENOMENO DIVISTICO. Trasformazione della star da “divinità” a ‘figura d’identificazione” (avvento del sonoro, imborghesimento del cinema, processo di “deterioramento dell'eroe”) Un ulteriore approfondimento sul funzionamento ideologico del divismo emerge dal modello storico del suo sviluppo. Se nei primi anni del cinema, infatti, le star venivano percepite come divinità ed eroi, incarnazione di modi di comportamento ideali, in seguito esse si sono trasformate in “figure d’identificazione”, ossia persone comuni volte ad incarnare modi di comportamento tipici e tradizionali. La ragione di questo cambiamento è individuata da Alexander Walker nell’avvento del sonoro e da Edgar Morin nel processo di “imborghesimento” del cinema. - WALKER: l'avvento del sonoro. Secondo quando affermato da Alexander Walker, l'avvento del sonoro comportò una “perdita di illusione” nel rapporto tra pubblico e star. Una “divinità”, infatti, si suppone silenziosa e imperscrutabile: non ha bisogno di rivolgersi al pubblico, dal momento che la sua immagine è sufficiente a garantire l'adorazione. Nel momento in cui l'idolo prende la parola, tuttavia, ecco che perde il proprio statuto di eccezionalità, precipitando così nell’alveo dei comuni mortali. Walker, in breve, considera l'avvento del sonoro come il principale responsabile della de-divinizzazione delle 10 star, in quanto giunse ad implicare un significativo aumento del realismo del medium cinematografico. MORIN: processo di “imborghesimento” del cinema. Edgar Morin attribuisce la trasformazione dello statuto divistico al processo di “imborghesimento” del cinema. In particolare, egli identifica il 1930 come l’anno della svolta, rintracciando nell’avvento del sonoro soltanto uno dei fattori determinanti. Altri elementi essenziali furono l'aumento dei “temi sociali” e l’introduzione del dogma del lieto fine: =» La crescente introduzione di temi sociali nelle produzioni hollywoodiane comportò un significativo aumento del realismo del mezzo cinematografico (v. l’opera di King Vidor). =» La Grande Depressione portò Hollywood a sottomettersi al dogma del “lieto fine”: le nuove strutture ottimistiche avevano lo scopo di favorire l'evasione del pubblico, “profanizzando” tuttavia i contenuti dei film. Il cinema delle origini era uno “spettacolo popolare”, derivato dal melodramma e dai romanzi di appendice, caratterizzato da avventure straordinarie, emozioni violente ed elementi magici. La progressiva introduzione di fattori realistici, psicologici e umoristici, tuttavia, contribuì alla trasformazione in senso borghese della finzione fantastica. Allo stesso modo, le star iniziarono ad essere sempre più ordinarie nell’aspetto, oltre che dotate’ di personalità psicologicamente coerenti alla loro immagine. Pur non dismettendo completamente la propria aurea di eccezionalità, i divi giunsero così a combinare lo speciale con l'ordinario e l'ideale con il quotidiano. Nell’esposizione di Morin questa combinazione tra “ideale” e “tipizzato” è un prodotto dell'unione tra immaginazione proletaria e borghese. KLAPP e LOWENTHAI: processo di “deterioramento dell'eroe”. Un altro approccio al processo di “tipizzazione” della figura divistica è indicato dalle considerazioni Orrin Klapp e Leo Lowenthal a proposito del “deterioramento dell'eroe”, un processo scaturito dalla corruzione degli ideali borghesi. =» KLAPP e la figura contemporanea dell'eroe. Lo studio di Klapp sul “deterioramento dell'eroe” focalizza l’attenzione sui seguenti punti: l'eroe come modello non appare migliore della media e non appartiene a un posto di rilievo, mentre i valori da lui trasmessi risultano vari e contraddittori. = LOWENTHAL e l'avvento dell'eroe “passivo”. Analizzando numerose biografie di celebrità magnificate dalla stampa popolare, Lowenthal coglie un significativo spostamento d'interesse da eroi che incarnano gli ideali di una “società liberale aperta” a eroi che si adattano alle caratteristiche di una “società chiusa”. Nel corso del tempo, infatti, si è affermata la figura di un eroe “passivo”, prodotto diretto del proprio passato, il cui successo è frutto non di uno sforzo personale ma di un evento accidentale e irrazionale. 11 Lowenthal, come Klapp, scrive nel contesto dello scontento liberale, che guarda con sempre maggior preoccupazione all’erosione di valori quali l’individualismo e la libertà. Tale decadenza è dovuta allo sviluppo su larga scala della società industriale e urbana, oltre che a una crescente pressione verso il conformismo, capace di coinvolgere tanto i mass media quanto l’organizzazione politica e sociale. o STAR E STATUS QUO. Le star e il mantenimento dello status quo (funzioni di rafforzamento, seduzione e trascendenza) Così come precedentemente analizzati, gli aspetti ideologici del fenomeno divistico sembrano avere come principale funzione il mantenimento dello “status quo”. Orrin Klapp, in particolare, ritiene che le star - e altre celebrità - possano avere tre diverse relazioni in rapporto alle norme comuni: seduzione, trascendenza e rinforzo. Seduzione. Nello scenario della “seduzione” l'eroe è portato a infrangere leggi e regole comuni, ma in maniera affascinante. L’eroe seducente, dunque, assume la funzione di un maestro capace di condurre lo spettatore a sperimentare esperienze fuori dalla norma, senza tuttavia mettere in discussione i modelli tramite cui tali esperienze vengono giudicate (v. Mickey Spillane, James Bond). Trascendenza. Nel caso della “trascendenza” l'eroe produce un nuovo punto di vista, ridefinendo i modelli tramite cui l’esperienza comune deve essere giudicata. Un esempio di eroe trascendente è Jean Paul Belmondo, la cui popolarità tra gli studenti del college corrisponde alla scoperta di uno stile di vita radicalmente nuovo. Rinforzo. La funzione di “rinforzo” prevede il consolidamento dei ruoli sociali prestabiliti e l'indicazione di quali siano i migliori. =» Rafforzamento di valori minacciati. La categoria di “rinforzo” introdotta da Klapp mostra come le star contribuiscono a rafforzare, incarnandoli, i valori dominanti. Tuttavia, due studi su star individuali - dedicati rispettivamente a Will Rogers e a Shirley Temple - rivelano come le star arrivino talvolta a incorporare valori sociali in crisi, col preciso intento di riaffermarne l’importanza. - Will Rogers e il “sogno americano”. Nel proprio studio biografico, William Brown mostra come l'attore Will Rogers sia giunto a incarnare i quattro pilastri del “sogno americano” - ossia la dignità della gente comune, la democrazia come garanzia di libertà, l'importanza del duro lavoro e la fiducia nel progresso materiale - in un momento in cui tali valori sembravano messi in seria discussione. Fra infatti un'epoca in cui i piccoli proprietari terrieri assistevano un declino del proprio potere d'acquisto, mentre la società statunitense era pervasa da fenomeni di corruzione governativa, avidità finanziaria e criminalità. Dunque, nel momento in cui il sistema americano sembrava essere sul punto di subire una 12 personificazione ideale di tutte le tensioni che attraversavano la vita ideologica degli Stati Uniti nel secondo dopoguerra. e STAR COME “IMMAGINI” è e I CARATTERI DEL “DIVISMO”. Il “divismo” è l’immagine del modo in cui le star vivono. Nella maggior parte dei casi questo stile di vita giunge ad unire lo spettacolare con il quotidiano, lo straordinario con l’ordinario, tanto da apparire come una possibile declinazione dei valori fondamentali della società americana e occidentale. In tal senso, tra lo stile di vita generale e quello specifico delle star non vi sono evidenti contraddizioni, sebbene talvolta questo rapporto possa configurarsi come problematico. Un esempio su tutti è quello di Marilyn Monroe, la cui condizione di diva e l’infelicità da essa derivata giunsero a costituire un aspetto fondamentale della sua immagine tragica. Jane Fonda, invece, tentò di negoziare il proprio status di diva con l'impegno _ politico mantenendo il glamour di una star ma vivendo in un quartiere operaio, in modo da dare credibilità alle proprie idee progressiste. L'immagine generale del divismo può dunque essere considerata una variante del “sogno americano”, organizzata attorno ai temi del consumo, del successo e della normalità. A contribuire a tale costruzione sono anche aspetti come l’amore, il matrimonio e il sesso. o CONSUMO. Il concetto di “consumo vistoso” e le star come “idoli di consumo” Punto centrate de “La teoria della classe agiata” di Thorsten Veblem è il concetto di “consumo vistoso”, ossia la volontà dalle persone ricche di acquistare beni e servizi al solo scopo di esibire una differenza di status. La moda, ad esempio, dimostra la possibilità della classe agiata di accedere ai canoni del gusto, indossando abiti fatti di materiali costosi e pregiati, i cui disegni esclusivi appaiono di fatto debilitanti, rendendo impossibile l'esercizio di un qualsiasi impiego pratico. Anche altre attività, come quelle sportive o artistiche, non sono esercitate per ragioni salutistiche o istruttive, ma solo per ostentare il tempo e il denaro di cui si dispone. Questi motivi emergono chiaramente anche dallo stile di vita dei divi, costantemente magnificato dalle riviste per i fan. - Star come “idoli di consumo”. Nel suo studio sulle biografie presentate dalle riviste popolari, Leo Lowenthal afferma come tra il 1901 e il 1941 si sia verificata una radicale trasformazione: mentre nei primi anni i soggetti delle biografie erano “idoli di produzione” - ossia persone interessanti in quanto avevano raggiunto un qualche obiettivo nella vita e risultavano utili per la società (v. banchieri, politici, artisti, uomini d’affari) -, nel periodo seguente si verificò uno spostamento d'interesse verso i cosiddetti “idoli di consumo” - ossia persone legate alla sfera del tempo libero e dell’intrattenimento, dunque estranee ai bisogni fondamentali della società. Se dunque l’analisi di Veblem è utile ad analizzare i caratteri dell'immagine divistica, l'approccio di Lowenthal ci permette di comprendere meglio il significato sociale di questa realtà; infatti, mentre 15 il “consumo vistoso” di Veblem continua a considerare la “classe agiata” come un gruppo distinto dal resto della collettività, Lowenthal dimostra come, nella società consumistica contemporanea, le star siano capaci di diventare “idoli di consumo” per tutti. Esse spenderanno senza dubbio molto più denaro del cittadino medio, ma il loro stile di vita potrà comunque essere imitato anche a livelli inferiori. o SUCCESSO. Il “mito del successo” nella costruzione dei divi e la funzione del denaro Nel proprio studio sul teatro vaudeville, Albert McLean mostra come questa forma di spettacolo si sia affermata sulla base del “mito del successo”. È proprio da questa forma d’arte, infatti, che il cinema deriva sia la realtà dello “star system” che l’importanza delle star come “simboli di successo”. Il significato generale del “mito del successo” si fonda sull’assunto che la società americana sia sufficientemente aperta da permettere a chiunque di arrivare ai suoi vertici, a prescindere della classe sociale di partenza. Nell'ambito dello “star system”, il “mito del successo” cerca di armonizzare diversi elementi contradditori, quali: - La “normalità” come caratteristica principale del divo; - La presenza di un sistema in grado di premiare il talento e la qualità; - La fortuna come scintilla in grado di avviare la carriera di una star; - La professionalità e il duro lavoro come condizioni essenziali per raggiungere e mantenere il successo. I film biografici hollywoodiani, nel registrare gli eventi capaci di condurre una star al successo, offrono allo spettatore tutti questi elementi. “AI Jonson” (1946) costituisce un esempio paradigmatico: il protagonista è un tipo comune appartenente a una comune famiglia ebraica, ma ha una voce straordinariamente bella in grado di incantare il pubblico; egli viene baciato dalla fortuna nel momento in cui si trova a sostituire un artista troppo ubriaco per salire sul palco, venendo per questo notato da due importanti impresari; Al Jonson è anche un professionista serio e giudizioso, capace di costruire la propria carriera passo per passo e affrontare sempre nuove sfide. Ciò che nel film non appare, tuttavia, è l’attività dell'apparato produttivo, costituita dal lavoro di impresari, agenti, produttori e finanziatori. Al Jonson non entra mai in contatto con questa realtà, venendo di fatto “trasportato” inconsapevolmente da tale apparato. - Funzione del denaro. Studiando i caratteri del divismo, Barry King afferma come, oltre al successo, sia fondamentale la presenza del denaro: le star, infatti, costituiscono modelli di rapida mobilità sociale in virtù del proprio compenso. Quello che guadagnano, in breve, dà loro accesso al mondo del lusso, in particolare a quell’élite definita da Mills come “café society”. ORDINARIETA’. La star come “persona ordinaria” e “figura eccezionale” Uno dei problemi principali del fenomeno divistico è la presenza di una forte contraddittorietà rispetto al motivo della star come “persona ordinaria” e 16 della star come “persona eccezionale”. A tal proposito, Violette Morin afferma come le superstar, essendo definite in virtù di caratteri superlativi, siano da considerare persone “diverse” dalla massa, dunque appartenenti a una “categoria ontologica” esclusiva. L'esempio da lei portato è quello di Elizabeth Taylor, l'attrice che più di ogni altra è stata identificata nello stereotipo della “star”, imponendosi nell'immaginario collettivo come la più ricca, la più bella, la più sposata e la più divorziata creatura del mondo. Tuttavia, il paradosso legato allo stile di vita stravagante e il successo dei divi percepiti come ordinari può essere spiegato in altri modi: - Le star possono essere considerate dal pubblico come persone normali che, in virtù del proprio stile di vita, tendono a spendere più della media, senza per questo appartenere a una categoria ontologica diversa; - La ricchezza e il successo delle star possono essere utilizzate per isolare alcune qualità umane, senza che la loro rappresentazione sia sminuita da considerazioni materiali. AMORE. L’amore come essenza del divismo e l'attrazione per i rapporti tormentati Un tema centrale in tutte le riviste per i fan è l’amore: tale interesse dipende dall’eliminazione del concetto di lavoro in ambito cinematografico e dall'idea dominante che, all’interno di un mondo privo di stringenti problemi materiali, ciò che rimanga di rilevante siano solamente le relazioni umane. Edgar Morin vede nell'amore - inteso esclusivamente come passione eterosessuale - l'essenza stessa del mito del divismo. Esso arriva ad esprimersi in forme diverse, in particolare nell’ossessione per la bellezza e nella “magia del bacio”. Per Morin, infatti, il bacio non è solamente la tecnica chiave del love-making, o il surrogato cinematografico di un rapporto sessuale vietato dalla censura: è anche il simbolo trionfante del ruolo che il volto e l’anima ricoprono nella concezione amorosa tipica del XX secolo. In tal senso, il bacio non rappresenta solo un momento di voluttà tattile, ma anche uno strumento di comunicazione e di simbiosi spirituale. L'amore, in tal senso, smette di essere una semplice questione di relazioni fisiche per diventare un'esperienza di natura metafisica. - Amore tormentato. Sebbene la concezione d'amore espressa da Morin giunga a dominare l'immaginario collettivo, ciò che emerge dall'analisi delle riviste per i fan è un’attenzione prevalente per i tormenti sentimentali delle star. L'amore, infatti, sembra non poter fiorire sotto i riflettori della pubblicità, tanto che Hollywood stessa finisce per essere incolpata della ronda senza fine di matrimoni e litigi capaci di segnare la vita dei divi. Le storie sui divorzi, in particolare, sembrano attirare l'opinione pubblica, al punto da assumere una funzione quasi didattica nell’indicare quali siano i ruoli corretti e i bisogni necessari a far funzionare la vita matrimoniale. IL SOGNO SVANITO. L’esaltazione degli aspetti negativi del fenomeno divistico “Consumo” e ‘successo’ sono senza dubbio le mote dominanti dell'immagine divistica. È tuttavia sbagliato ignorare gli elementi negativi 17 tradizionali quali l’individualismo e la libertà. Tale figura, tuttavia, può essere interpretata anche in rapporto alle contraddizioni del ruolo maschile, solitamente mascherate nei tipi sociali più tradizionali (v. cowboy, spacconi, eroi di guerra). Emblematica, in tal senso, è l’analisi condotta da Patrick McGilligan a proposito di James Cagney. = James Cagney e la figura del “duro”. McGilligan evidenza in James Cagney la presenza di tutte le connotazioni positive e negative del “duro”. - Connotazioni negative. Cagney rappresenta l'aspetto liberale degli istinti fascisti, quali l'impulso di essere in cima e di dominare le donne. In tal senso, egli incarna appieno l'etica capitalistica e individualista. - Connotazioni positive. Cagney è espressione di una fede ottimistica verso il futuro, mentre rifiuta di essere dominato dai costumi e dai canoni sociali prevalenti. L'analisi di McGilligan è utile perché supera il concetto di ambiguità tipico del “duro”, per connetterlo ad altri specifici aspetti culturali e implicazioni ideologiche. In particolare, egli sottolinea il legame di James Cagney con elementi quali l'appartenenza alla classe operaia, la mascolinità e il ruolo esercitato dalla figura materna. - Classe operaia. Il legame di Cagney con la classe operaia è evidente fin dai suoi dati biografici, dalle origini legate all’East Side irlandese di New York fino alla sua nota difesa di cause “radical”. Tuttavia, tale “durezza” fu in seguito posta al servizio di temi patriottici e destrorsi, come è evidente nella pellicola “Uno, due, tre!” (1961). - Mascolinità. Il rapporto tra tipologia del “duro” e mascolinità è ancora più problematico. McGilligan, in particolare, sottolinea come il comportamento di James Cagney si configuri sempre come «eccessivamente maschile». Tale circostanza influisce sui rapporti con donne, nella convinzione che soltanto una figura femminile altrettanto “dura” possa tenere testa al “maschio” Cagney. - Ruolo della madre. La vicinanza sullo schermo tra il “duro” Cagney e la figura materna ha la funzione di giustificare le azioni spregevoli compiute dal suo personaggio. Allo stesso tempo, la fanatica devozione tra i due ha una connotazione esplicitamente nevrotica, allo scopo di mostrare la perversione insita nel topos della famiglia americana tradizionale. - LA “PIN-UP”. L'analisi di Klapp appare particolarmente scarna in rapporto alle figure femminili. In tal senso, è interessante osservare come il tipo predominante che egli propone, ossia quello della “ pin-up” 20 (o “ragazza glamour”), sia strettamente legato alla rappresentazione mediatica. Come modello sociale la “pin-up” è caratterizzata dalla fotogenia e dalla perfezione fisica, riducendo di fatto la donna al rango di “spettacolo” e “oggetto sessuale”. Negli anni Quaranta, in particolare, l’immagine della “pin-up” viene definita con precisione canonica: =» Nell’aspetto la “pin-up” deve possedere i tratti della “sana” ragazza americana: nasino all'insù, occhi grandi, gambe lunghe, fianchi larghi, seno prosperoso e, soprattutto, un sorriso aperto e amichevole, caratterizzano da una dentatura perfetta e smagliante; =» Gli abiti e gli atteggiamenti della “pin-up” devono essere invitanti ma non seducenti, capaci di suggerire senza mai rivelare. Il corpo è evidente sotto l'abito, ma mai in dettagli esplicitamente sessuali. Giunge dunque ad instaurarsi un rapporto dialettico tra il desiderio voyeuristico del pubblico, che mira a vedere sempre di più, e l’adeguarsi dello stesso pubblico ai codici e alle leggi sociali che vietano tali rivelazioni. La carica sessuale della “pin-up” è dunque sempre latente e veicolata da simboli di diversa natura. Laura Mulvey, in tal senso, afferma come la “pin-up” rappresenti una minaccia di castrazione per lo spettatore maschile, che per essere disinnescata ha bisogno di incarnarsi in sostituti fallici, sottoforma di simboli sessuali o feticci. = Laura Mulvey suggerisce un ulteriore elemento di analisi dichiarando come l’uso della donna in qualità di “pin-up” - soprattutto in film incentrati su affascinanti star femminili - crei una tensione tra “narrazione” (lo spettatore vuole sapere cosa succede) e “spettacolo” (lo spettatore vuole fermarsi ad ammirare la bellezza della donna). Emblematiche, in tal senso, sono due pellicole come “Barbarella” o “Gli uomini preferiscono le bionde”. Sebbene tutte le star, sia maschili che femminili, siano state fotografate o utilizzate come pin-up, solo Marilyn Monroe e Jane Fonda giunsero ad incarnare tale tipo sociale in ogni suo aspetto. “TIPI” ALTERNATIVI E SOVVERSIVI. Differenza tra “anomia” e “alienazione”, caratteristiche dei “tipi sociali” alternativi (il ribelle, la donna indipendente) La maggior parte dei “tipi sociali” analizzati da Klapp possono essere visti come una rappresentazione dei valori dominanti all’interno della società. Tuttavia, esistono altre figure in grado di esprimere scontento o rifiuto nei confronti dello status quo: anch'esse trovano fondamento in una visione del mondo soggetta a norme, ma che risulta alternativa a quella dominante. Klapp definisce tali tipi sociali come “anomici”, offrendo come esempi gli eroi “beat”, i cattivi “onesti” e i pazzi. 21 A differenza dell’alienazione - termine con cui viene spesso confusa -, l'’anomia non si fonda sulla disuguaglianza e sulle lotte tra gruppi sociali diversi. In particolare: - Una persona è “anomica” in quanto si percepisce inadatta alle norme sociali prevalenti o ritiene tali norme senza senso. Dunque, ci si sente anomici in quanto si è all’esterno della società così come è concepita. - Una persona è “alienata” in quanto gli scopi e le norme prevalenti nella società in cui vive sono dettati da gruppi diversi da quelli a cui tale persona appartiene. Dunque, ci si sente alienati in quanto si è esclusi dai gruppi dominanti della società. Vale la pena analizzare alcuni “tipi sociali” alternativi o sovversivi, valutando se essi siano “anomici” o “alienati”; dunque, se rappresentino una vera sfida allo status quo o siano semplicemente esclusi dall’ideologia dominante. - IL “RIBELLE”. Il “tipo sociale” alternativo per eccellenza è il “ribelle”. In “The Rebel Hero”, Sheila Whitaker identifica come tali diversi divi di Hollywood, associandoli a varie forme di ribellione: abbiamo, infatti, l'’immigrante (John_ Garfield), il ribelle contro la propria classe (Montgomery Clift), il ribelle del gap generazionale (Marlon Brando, James Dean), l’anti-eroe (Paul Newman, Steve McQueen) e la ribelle che fa politica (Jane Fonda). Ciò che occorre capire è se queste star incarnino davvero dei punti di vista in opposizione e con quali modalità. =» Anomia dell'eroe. Le star “ribelli” più che promuovere il proprio atteggiamento sovversivo tendono a recuperarlo. Nella maggior parte dei casi, infatti, esse rappresentano degli eroi anomici: Garfield e Fonda, ad esempio, non si ribellano in quanto appartenenti alla categoria dei migranti o delle donne, ma perché risultano inadatti ai canoni della società nel suo complesso. =» Gioventù. Il tipo sociale del “ribelle” è strettamente legato alla categoria della “gioventù”, che a sua volta esprime il concetto di ‘fase di passaggio’ e, dunque, di transitorietà dell’atteggiamento di ribellione. Pertanto, la sovversione mostrata da star come James Dean e Jane Fonda è considerata sintomatica del loro essere giovani e non di qualche altro tipo di disagio. =» Strutture sociali. Il tipo del “ribelle” appare poco connesso alle strutture fondamentali della società. Tali star, infatti, tendono a sviluppare la ribellione dei propri personaggi come un problema individuale e psicologico, non come una questione esterna: l'errore è localizzato nel personaggio stesso, non nella società in cui vive (v. “Il selvaggio”, “Una squillo per l'ispettore Klute”). Nei casi in cui il problema risulta esterno all’eroe, esso viene solitamente individuato nell’incapacità di qualcuno di essere 22 ambiguità sessuale. Tale connotazione può essere frutto di diversi elementi: una caratteristica fisica particolare (v. le spalle ampie di Greta Garbo, l'altezza di Katherine Hepburn, la camminata altera di Bette Davis), il tipo di abbigliamento o il ruolo interpretato (v. Marlene Dietrich in cravatta bianca e frac, Greta Garbo nel ruolo della mascolina Regina Cristina, Eleanor Powell in cilindro e frac, etc.). Tale elemento di ambiguità potrebbe essere considerato come un ulteriore esempio dell’incapacità del cinema di rappresentare l'elemento femminile; tuttavia, diversi studi sul cinema in rapporto all’omosessualità hanno dato rilievo ad aspetti diversi. - Lesbismo. Caroline Sheldon considera tutte queste star come un’indiretta espressione di lesbismo, intendendo questo termine non in maniera strettamente sessuale, ma dal punto di vista dell’identificazione femminile. Si tratta infatti di donne impenetrabili per gli uomini, riservate e allo stesso passionali, dure ma anche genuinamente tenere. A tal proposito, se il lesbismo può essere utilizzato in senso erotico per solleticare il piacere dei maschi eterosessuali, è anche in grado di essere impiegato per sovvertire questa dinamica, qualora si associ a elementi di alterità e di non- domesticità della figura femminile. - Sovvertimento dei ruoli sessuali. Il travestitismo e il gioco dei sessi possono essere utilizzati per mostrare come i ruoli sessuali siano appunto dei “ruoli”, e non aspetti di tipo innato o istintivo. Ciò è particolarmente evidente nel fenomeno del “camp”: concentrando l'attenzione sull'aspetto esteriore, il “camp” connota i ruoli sessuali come un fattore superficiale e stilistico, arrivando così a metterli in ridicolo. Tale aspetto è particolarmente evidente nel lavoro di Bette Davis, la più “manierata” tra le dive indipendenti: l’affettazione dei suoi gesti e della sua recitazione, infatti, ha lo scopo di mostrare come il comportamento non sia altro che un codice sociale, denunciando così l’artificiosità delle aspettative che gli uomini proiettano sulle donne (v. “Figlia del Vento”, “Piccole volpi”, “Eva contro Eva”). 2)STAR COME _ “IMMAGINI SPECIFICHE”. Costruzione dell'immagine di una star e analisi della figura divistica di Jane Fonda e COSTRUZIONE DELL'«[IMMAGINE DIVISTICA». Le star incarnano diversi “tipi sociali”, ma le immagini divistiche appaiono sempre più articolate dei singoli “tipi”. I “tipi” sono dunque la base su cui viene eretta l’immagine complessiva della star, deducibile da una miriade di testi mediatici. L'immagine divistica è dunque creata da “testi mediatici” di natura differente, raggruppabili in quattro categorie principali: promozione, pubblicità, film e critica. 25 o PROMOZIONE. Per “promozione” si intendono tutti i testi mediatici prodotti al fine di plasmare intenzionalmente l’immagine di una determinata star. Essi comprendono: - Materiali riguardanti direttamente la star in questione (v. opuscoli e biografie, pubblicità dei fanclub - solitamente controllati dalle case di produzione -, servizi fotografici, apparizioni pubbliche); - Materiali che promuovono l’immagine della star in un determinato film (v. tabelloni pubblicitari, trailer, annunci su riviste, etc.). Talvolta la promozione di un film può intenzionalmente tradire il contenuto della pellicola a favore della promozione dell'immagine del divo - per esempio, i tentativi di Marlon Brando di emanciparsi dall’immagine di Stanley Kowalski di “Un tram che si chiama desiderio” si scontrarono con la volontà dei produttori di pubblicizzare i suoi film successivi sempre in rapporto a tale ruolo. L'attività di promozione è forse la più schietta tra tutte quelle che contribuiscono a creare l’immagine divistica, in quanto è la più diretta, deliberata e consapevole. PUBBLICITA. La “pubblicità” si distingue dalla “promozione” in quanto non rappresenta un atto intenzionale volto alla costruzione dell'immagine divistica: essa afferisce al gossip e alla cronaca, e consiste in ciò che la stampa scopre o in ciò che la star si lascia sfuggire. Sebbene la maggior parte di queste pubblicazioni vengano controllate dallo studio o dall’agente della star, vi sono alcuni di casi di effettiva autenticità: si tratta degli “scandali” (v. lo stupro compiuto da “Fatty” Arbuckle, il figlio illegittimo di Ingrid Bergman e Roberto Rossellini, l'accusa per droga di Robert Mitchum, il crollo per alcolismo di Judy Garland, etc.). Gli scandali, in tal senso, possono danneggiare permanentemente la carriera di un divo (v. Arbuckle), oppure fornirgli nuove prospettive (v. Mitchum, Taylor). che Hollywood vuole proporre, appare al pubblico come più “autentica”. Infatti, essa è spesso considerata come una via di accesso privilegiata alla “vera persona” della star. FILM. I film occupano un posto distinto e privilegiato per la costruzione dell'immagine divistica. Tuttavia, sebbene la star possa essere vista come un “prodotto cinematografico”, essa è anche una figura dotata di significati sociali generali che, in alcuni casi, possono sopravanzare la sua stessa dimensione filmica. Ad esempio, le morti premature di Montgomery Clift, James Dean, Marilyn Monroe e Judy Garland, così come il ritiro dalle scene di Greta Garbo, risultano spesso più significativi dei film di cui hanno fatto parte. - Il concetto di “veicolo”. È importante considerare il fattore filmico in relazione al concetto di “veicolo”. La storia di un film, infatti, può essere scritta su misura per una determinata star, oppure può essere modificata per preservare una certa immagine divistica. Il “veicolo”, dunque, può fornire un personaggio del tipo solitamente associato a una star (es. “dumb blonde” per Marilyn Monore, personaggi 26 malinconici e romantici per Greta Garbo); un contesto stabilito o generico legato a una star (es. i film western per John Wayne); l'opportunità per la star di mettere in scena un proprio numero. In tal senso, si possono distinguere diversi tipi di “veicoli”: * Veicoli della continuità iconografica: esaltano il modo in cui una star è vestita, truccata e pettinata, oppure i manierismi della sua recitazione; * Veicoli dello stile visivo: si connotano per il modo in cui la star è illuminata, fotografata o inquadrata; *» Veicoli della struttura: si connotano per il ruolo ricoperto dalla star nell’intreccio o per il ruolo simbolico che essa assume nel film. o CRITICA. Con il termine “critica” si intende l'insieme di giudizi e di interpretazioni avanzati da critici e studiosi nel corso della carriera di una star. A questo vanno aggiunti i profili radiofonici o televisivi, e tutti i materiali elaborati dopo la morte o il ritiro dalle scene della star. Critiche e commenti ricoprono una strana posizione in rapporto all'immagine divistica: si tratta di prodotti mediatici, parte integrante della macchina cinematografica, eppure realizzati più in funzione del pubblico che dell'industria stessa. Questo scarto tra la costruzione promozionale della figura di una star e il ruolo della critica nel plasmare l’«opinione pubblica» è effettivo, ed è capace di dar conto della complessità e della “polisemia” dell'immagine divistica. e UN'IMMAGINE SPECIFICA: JANE FONDA. È sbagliato pensare che i testi mediatici si combinino cumulativamente a produrre un'immagine complessiva, oppure che costituiscano momenti isolati della carriera di una star. L'immagine divistica, infatti, è solita presentarsi come una “polisemia strutturata”, dotata di una propria “totalità complessiva” e di una “dimensione cronologica”. o Totalità complessiva. L'immagine divistica si presenta come una totalità complessiva strutturata sulla base dei diversi testi mediatici. In tal senso: - I vari elementi di significazione possono rafforzarsi a vicenda. Emblematica, in tal senso, è l’immagine di John Wayne, capace di unire in sé una serie di fattori volti a legittimare un certo modo di essere uomo nella società americana - si veda la prestanza fisica e l'impressione di maschile indipendenza, l'associazione con il West e il sostegno accordato alle politiche di destra. - I vari elementi di significazione possono appare in contraddizione o in opposizione tra loro. L'immagine divistica viene dunque concepita per mascherare tali differenze, oppure per tenerle costantemente in tensione. In condizioni particolarmente estreme, queste contraddizioni possono mandare in frantumi la figura pubblica di un divo (v. Marilyn Monroe nell'ultima parte della sua carriera). o Dimensione temporale. Le immagini _ divistiche hanno una dimensione temporale, che le porta a cambiare e a svilupparsi nel corso del tempo. Se per Jane Fonda tale evoluzione è stata connotata da una serie di scarti, per un'attrice come Marlene Dietrich, invece, 27 acquisendo le nozioni del “Metodo” all’Actors’ Studio di New York. In tal senso, la bravura di Jane Fonda come attrice è dettata da quattro fattori specifici: - Jane Fonda sviluppò le proprie capacità attoriali a teatro, da sempre considerato il test di recitazione più “autentico”; - Lo spettro dei ruoli interpretati la spinsero a mettersi alla prova alternativamente con il melodramma (v. “Anime sporche”, “La calda preda”, “Non si uccidono così anche i cavalli”) e la commedia (v. “In punta di piedi”, “Una domenica a New York”, “Tutti i mercoledì”); - Ad eccezione di “Cat Ballou”, Jane Fonda si misurò con il genere della “commedia sexy americana” - si tratta di un genere comico associato, nel cinema, all'ultima fase della carriera di Doris Day e, nel teatro, alle opere di Neil Simon, una quelle quali, “A piedi nudi nel parco”, fu interpretata da Fonda nel 1967. In tutti questi film, a detta dei critici, Jane Fonda dimostrò una grande capacità di “timing”, un'abilità essenziale per qualunque attore voglia misurarsi con la commedia. - La conferma definitiva delle capacità attoriali di Jane Fonda provenne dalle due nomination agli Oscar per “Non si uccidono così anche i cavalli” (1969) e “Una squillo per l'ispettore Klute” (1971), co come dalle vittorie al New York Film Critics Award per entrambi i ruoli. Jane Fonda confermò la propria abilità recitativa per tutto il resto della sua carriera, misurandosi con personaggi non canonici e con film appartenenti alla corrente della “New Hollyood”. Dal punto di vista della recitazione, questo stile dà molto rilievo alla costruzione dei caratteri all'interno di una struttura narrativa slegata, la cui interpretazione è legata ad elementi naturalistici come discorsi interrotti, esitazioni, mormorii, tic e altre tecniche utilizzate per conferire un aspetto di “improvvisazione” alla performance. L'attività politica. L'attività politica esercitata da Jane Fonda giunse a complicare ulteriormente la sua immagine divistica. I mass media americani, in particolare, segnalarono l'impegno dell’attrice rispetto ai quattro temi principali del radicalismo: - La discriminazione dei nativi americani (v. il viaggio per l'occupazione di Alcatraz nel 1969); - L’oppressione razziale degli afroamericani (v. il legame con Huey Newton delle Pantere Nere); - L’anti-militarismo, in particolare nei confronti della guerra in Vietnam (v. la partecipazione al movimento GI e il conseguente arresto nel 1969); - La causa femminista. In seguito, Jane Fonda iniziò a dimostrare il proprio impegno politico tramite la scelta dei ruoli da interpretare: in “Crepa padrone, tutto va bene”, ad esempio, la vediamo nei panni di una giornalista sessantottina, mentre in “Tornando a casa” è un'infermiera che assiste i soldati feriti in Vietnam. “Una squillo per l'ispettore Klute”, invece, è considerato particolarmente rilevante dal punto di vista femminista, del momento che il tema della 30 prostituzione viene utilizzato come metafora del trattamento della donna in generale. Il significato dell'attività politica di Jane Fonda venne interpretato sempre in merito alla sua figura e non rispetto alle questioni affrontate. Così la visita dell’attrice ad Alcatraz non diede rilievo alla battaglia dei nativi americani, ma pose il problema del suo radicalismo bianco. Il ruolo del “privilegio bianco”. Jane Fonda, come star e come “rivoluzionaria”, mise in scena il problema del “privilegio bianco” in rapporto a battaglie condotte da non bianchi e non privilegiati. Con il film documentario “Letter to Jane” (1974), in particolare, Jean-Luc Godard e Jean-Pierre Morin | i giunsero a sostenere come la * politica dell'attrice fosse imbevuta di valori americani reazionari, fondando questa accusa sull'analisi semiotica di una fotografia tratta da “Vietnam Journey”. In questa immagine ad essere messa in rilievo è l’espressione di Fonda nei confronti del suo interlocutore vietnamita, una smorfia che Godard e Morin identificano come tipica dell’attrice in merito a questioni politiche. I due autori la definiscono «l’espressione di un'espressione», appositamente presa in prestito dal marchio di fabbrica del New Deal rooseveltiano. Jane Fonda e il femminismo. Anche le opinioni delle femministe su Jane Fonda si rivelarono altrettanto problematiche. L'attrice, infatti, venne vista conciliare gli scopi del movimento delle donne mostrando un comportamento “accettabile” e “normale”, ossia strettamente eterosessuale. In tal senso, l’immagine di Fonda non è definibile come “omofobica”, ma senza dubbio ha caratteri “non-omosessuali”, circostanza che, insieme alle sue origini familiari e alla sua abilità di attrice, fecero percepire il suo impegno politico come ordinario. 3)STAR COME “SEGNI”. Definizione di “personaggio romanzesco” e la sua evoluzione del cinema, rapporto tra immagine divistica e personaggio interpretato, la costruzione del personaggio cinematografico * IL CONCETTO DI “PERSONAGGIO”. Tutte le opere di fiction presentano dei “personaggi”, ossia degli esseri di finzione - umani, animali o fantastici - chiamati a sostenere o a subire gli eventi della trama. Il modo in cui i “personaggi” vengono interpretati è cambiato notevolmente nel corso della storia della narrativa, come dimostrato da Ian Watt in “The Rise of the Novel”. o La specificità storico-culturale del “personaggio”. lan Watt sostiene come il genere del romanzo sia nato in coincidenza a un cambiamento epocale del pensiero occidentale, segnando un momento di radicale rottura 31 rispetto alle modalità narrative precedenti. Dal punto di vista della costruzione dei caratteri, in particolare, il romanzo punta sulla “particolarizzazione” dei personaggi - in altre parole, la narrativa non si trova più a mettere in scena “tipi umani generali”, volti ad incarnare determinati concetti morali o intellettuali, ma “persone particolari” raffigurate in situazioni altrettanto specifiche. La volontà del romanziere di presentare il personaggio come “individuo particolare” è espressa innanzitutto dall’assegnazione un nome: in precedenza, infatti, ai protagonisti di un racconto venivano attribuite denominazioni storiche o tipiche, capaci di collocarli nel contesto di un più ampio spettro di attese, principalmente derivate dalla letteratura precedente. Anche altri aspetti del romanzo, come la rappresentazione del tempo e dello spazio, sono correlati al concetto romanzesco di personaggio. In particolare, la consapevolezza del tempo e della sua evoluzione si lega allo sviluppo del carattere nel corso del tempo, mentre l’attenzione alla particolarità dello spazio consente all'autore di esaminare le interazioni tra il personaggio e l’ambiente circostante. - Star, personaggi e società borghese. Il romanzo è considerato come la forma narrativa borghese per eccellenza. È dunque necessario esaminare in quale misura le immagini delle star e dei personaggi cinematografici appartengano a questa categoria. = Evoluzione del personaggio _ teatrale. Le star, prima di diventare un elemento tipico del cinema, sono nate come aspetto caratteristico del teatro borghese. L’imporsi delle star in ambito teatrale avviene a partire dal XVIII secolo: in questa fase, infatti, il teatro inizia a configurarsi come un'impresa economica capace di generare profitti - dunque non più dipendente dal mecenatismo - e come una professione rispettabile - in precedenza, gli attori itineranti erano considerati poco più che farabutti e vagabondi. Questi fattori portarono a un radicale cambiamento nella concezione del lavoro attoriale. In precedenza, infatti, gli attori venivano considerati come interpreti di ruoli prestabiliti, tanto da essere completamente identificati nel personaggio da loro raffigurato (v. Commedia dell'Arte). Le prime star teatrali, invece, pur continuando a rappresentare personaggi familiari (soprattutto shakespeariani), iniziarono a promuovere se stessi in opposizione al ruolo interpretato. Il sentito naturalismo che essi introdussero era un mezzo per affermare sia il personaggio che la propria personalità, cosicché il pubblico avrebbe ricordato l’Amleto di Kean, il Macbeth di Kemble, lo Shylock di Irving, etc. = Evoluzione del personaggio cinematografico. Anche la storia del divismo cinematografico vede il passaggio dalla star come “ideale” alla star come “rappresentazione” della vita ordinaria, una trasformazione che di fatto ricalca quella della narrazione romanzesca. Se il cinema delle origini, infatti, era prevalentemente incentrato su figure eroiche ed emblematiche, volte a rappresentare valori e ideali ben definiti, la successiva evoluzione porta all’affermarsi di 32 - IDENTITÀ DISTINTA. I personaggi romanzeschi devono dimostrare di avere un'esistenza e un'identità distinta rispetto a ciò che dicono o fanno. - CONSISTENZA. Il concetto di “consistenza” di un personaggio è particolarmente delicato. Il fatto che un personaggio sia “distinto” comporta l’assunzione che i suoi cambiamenti debbano avvenire all’interno di una personalità coerente. In breve, la figura romanzesca deve mostrare di possedere un “io stabile”, dunque un sé distinto, isolato e unico. Kenneth Burke propone la nozione di “forma ripetitiva” come mezzo per garantire coerenza alla costruzione di un personaggio “a tutto tondo”: si tratta, infatti, di adottare un modello formale fisso e percepibile sotto gli apparenti cambiamenti del personaggio, suscettibile dunque di essere riprodotto all'infinito. Anche il concetto di “posizionamento” può essere utile: esso implica che l’autore, attraverso l'utilizzo di varie tecniche (v. ironia, gerarchizzazione dei discorsi, etc.), leghi tutte le sfaccettature di un personaggio a uno o più elementi considerati essenziali. - IDENTIFICAZIONE. La concezione borghese del romanzo si lega alla presenza di personaggi unici e individualizzati, ma non tanto “eccezionali” da non essere compresi dal lettore. IÌ personaggi romanzeschi, dunque, devono configurarsi come “figure d’identificazione”, ossia figure rispetto alle quali il lettore può provare comprensione e familiarità. È chiaro che tale identificazione giunge a dipendere da una corrispondenza tra i tratti del personaggio e una serie di segni noti e comprensibili all’interno di una determinata cultura. o Rapporto tra “personaggio romanzesco” e “immagine divistica”. Le “immagini divistiche” sono personaggi costruiti sulla base di un insieme di testi mediatici. Esse possono configurarsi come “tipi sociali” ben definiti; ma anche presentare caratteristiche tipiche della forma romanzesca. Da questo punto di vista, le immagini dei divi corrispondono sotto molti aspetti alla concezione del “personaggio romanzesco”: sono “particolari” e “interessanti”, ovvero presentano tratti di pienezza e individualità rispetto ad altri esseri umani. Allo stesso modo, sono “autonome” e l’esistenza nel mondo reale garantisce loro di possedere un’“identità indipendente”. Altri aspetti, invece, appaiono più problematici. - “Cambiamento” e “consistenza” nelle star. Le categorie di “tutto tondo”, “sviluppo” e ‘consistenza’ possono essere considerate complessivamente, in quanto riguardando la natura del “cambiamento” dell'immagine divistica. La figura di una star può rimanere sempre uguale a se stessa e acquisire da tale immutabilità un forte carisma (v. Cary Grant, Bette Davis). Qualche altra immagine divistica, invece, è portata a cambiare nel corso del tempo (v. Joan Crawford, Jane Fonda) o perlomeno ad “approfondirsi” (v. John Wayne, Marilyn Monroe). Tutto questo lavora nella direzione della “consistenza”. 35 La nozione di “consistenza” in ambito divistico può andare oltre a quanto indicato rispetto al personaggio romanzesco, dal momento che, nel caso delle star del cinema, la “somiglianza” diventa l'aspetto più importante. Poiché i divi appaiono in storie e in situazioni sempre diverse, infatti, essi devono presentarsi necessariamente come “riconoscibili”, in modo da favorire il processo di identificazione del pubblico. - Interiorità. Accedere all’interiorità dei divi risulta particolarmente problematico, soprattutto perché essi interpretano ruoli sempre diversi. In tal senso, le interviste e gli articoli dedicati vengono interpretati come un’autorizzazione a entrare nella loro dimensione privata. Si tratta comunque di elementi che mancano di precisione e di dettaglio, essendo privi dell'autorità con cui il romanziere giunge a comunicarci la “verità” su un personaggio. - Motivazione. Rispetto alle immagini divistiche si tende a mostrare come l'ambizione e il successo si trovino alla base di ogni loro azione. Tuttavia, occorre considerare molti altri fattori, come la fortuna o il funzionamento complessivo del sistema. Ciò che emerge da questa disamina è come le star siano in primo luogo delle “figure d’identificazione”, un aspetto che esse acquisiscono in virtù del proprio rapporto con i “tipi sociali”. La relazione tra star e “tipo” può essere interpretata in termini di trascendenza, massimizzazione, inflessione e resistenza. - Trascendenza. Le grandi star sono in grado di “trascendere” il tipo a cui appartengono e affermarsi completamente come individui. - Massimizzazione. Le star spesso incarnano, in termini di riferimenti contemporanei, il massimo grado di determinate qualità (v. età, bellezza, forza, etc.). Il concetto di “tipo” massimizzato ci dice qualcosa su un divo come John Wayne, considerato l’«uomo del West» per eccellenza. Tuttavia, si tratta solo una tendenza: persino una figura come quella di John Wayne, infatti, presenta contraddizioni e debolezze che contrastano con la sua “massimizzazione”. ue - Inflessione. Il concetto di “inflessione” indica come una star possa essere considerata rappresentativa di un certo “tipo sociale”, ma anche arrivare a distanziarsene fino ad essere percepita come una sua “variazione individuale”. Basta prendere d’esempio le diversificazioni presenti in figure archetipe come quella del cowboy (da William S. Hart a John Wayne) o di Dracula (da Max von Schreck a Christopher Lee). La “variazione”, in tal senso, può essere “minima” e aggiungere solo qualche caratteristica superficiale al “tipo”, oppure può essere “radicale” e trasformarlo completamente (si veda il graduale accento sull’«attrazione» esercitata dalla figura del vampiro, presente nella fonte letteraria ma inizialmente eliminata nelle versioni cinematografiche). L’introduzione di nuove caratteristiche, tuttavia, può essere rischiosa sia per l'inserimento di elementi ambigui - si veda l'attrazione omoerotica nutrita dalla regina Cristina (Greta Garbo) verso la propria dama di compagnia, in netto contrasto con la tradizione che 36 rappresenta il ruolo regale in rapporto all’asessualità o a un’eterosessualità manipolatoria -, sia per la rivelazione di contraddizioni insite al “tipo sociale” stesso - si veda l'archetipo del “duro” a cui Clint Eastwood fornisce i tratti del maschio fascista e taciturno. - Resistenza. Talvolta l’immagine divistica arriva a stravolgere completamente il “tipo sociale” a cui appartiene; in questi casi, la battaglia della star per affermare la propria individualità diventa una caratteristica centrale della sua immagine. Tale “resistenza” può manifestare anche l'oppressione esercitata dal “tipo” - il caso più emblematico è la “ribellione” di Marilyn Monroe in rapporto alla sua figura di “dumb blonde”. o Rapporto tra “personaggio romanzesco” e “personaggio cinematografico”. A questo punto occorre chiedersi se anche il personaggio cinematografico sia conforme alla nozione di “personaggio romanzesco”. I personaggi come appaiono nei film sono certamente ure “particolari”, con caratteristiche e problemi “interessanti” - in tal senso, non ne vediamo la creazione e sembrano possedere una “vita propria”. A volte appaiono più prevedibili rispetto a una costruzione “a tutto tondo”, ma l'andamento narrativo dei film li costringe comunque a svilupparsi, a sperimentare una “svolta” o a rivelare qualche caratteristica inaspettata. Fattori come l'«interiorità» o ’l«identità distinta» sono difficili da esprimere all’interno di un prodotto visivo, sebbene esistano dei mezzi per metterle in scena (es. voice over). I personaggi cinematografici, infine, puntano ad avere una certa “consistenza”, sebbene questo aspetto possa essere sacrificato a vantaggio di una narrazione più concisa e dinamica. - BRAUDY: cinema, personaggi e qualità romanzesche. Come nel caso delle immagini divistiche, così i personaggi cinematografici tendono alla costruzione romanzesca senza riuscire a raggiungerla pienamente. Il problema delle “insoddisfacenti” qualità romanzesche della caratterizzazione cinematografica si trova alla base dell'analisi condotta da Leo Braudy in “The World in a Frame”. Braudy rileva come la caratterizzazione nei film riguardi non tanto il ruolo in sé, quanto il modo in cui le persone si percepiscono all’interno di determinati ruoli. In tal senso, l’enfasi tipicamente teatrale sull'importanza della posizione sociale viene sostituita da fattori quali l'autenticità dei sentimenti e l'integrità dell'essere umano. Braudy passa poi a distinguere tre tipi fondamentali di caratterizzazione del personaggio cinematografico: il “doppio”, il “personaggio teatrale” e la sintesi di questi due. d =» “Doppio” e “personaggio teatrale”. Î primi due tipi di caratterizzazione del personaggio cinematografico, ossia il “doppio” e il “personaggio teatrale”, si basano sulla fondamentale distinzione tra “film chiusi” e “film aperti”: - Film “aperti” e “personaggio teatrale”. Nei “film aperti” il personaggio è solo temporaneamente chiuso 37 secondo i principi del materialismo storico. A_proposito del “personaggio” questo comportava: - Il rifiuto della teoria del “tipaz”, ossia la volontà di distribuire le parti agli attori in virtù del loro “aspetto giusto”; - Il rifiuto della costruzione psicologica “a tutto tondo”, a favore di personaggi visti come un insieme contradditorio di motivazioni e interessi conflittuali. Tali figure vengono elaborate dall'autore come una massa frastagliata di aspetti discontinui, tale da presentare allo spettatore anche tratti non pertinenti o distorti; - La volontà di “mostrare” un personaggio piuttosto che incarnarlo: l'attore brechtiano ha dunque modo di uscire dal proprio ruolo, commentandolo dall'esterno o recitandolo in maniera differente. In tal senso, l’«uscita dal personaggio» non intende comprometterne la realtà, bensì offrire al pubblico la possibilità di vedere tale figura in una nuova luce, analizzandone anche il significato storico-politico. La possibilità di utilizzare le star in modo brechtiano si lega all’eventualità che esse incarnino determinati valori sociali, i quali, se interpretati in maniera adeguata, potrebbero demolire i presupposti psicologici dell'immagine divistica. In tal senso, la “star” come identità non cesserebbe di esistere, ma la sua natura risulterebbe modificata, emergendo come un “insieme contradditorio”. Esempi di questo genere possono essere individuati nell'attività di alcuni comici (v. fratelli Marx, Jerry Lewis), oppure nell'uso che Godard fa di Marina Vlady in “Due o tre cose che so di lei”. e LA COSTRUZIONE DEL “PERSONAGGIO CINEMATOGRAFICO”. La personalità di un personaggio cinematografico raramente si rivela tramite una singola inquadratura, ma deve essere costruita dai registi e dagli spettatori lungo tutto il corso del film. Tale costruzione si concretizza tramite diversi “segni”, ovvero: conoscenza pregressa dello spettatore, nome, aspetto, correlativi oggettivi, parole del personaggio, parole di altri, gestualità, azione, struttura e messa in scena. o CONOSCENZA PREGRESSA. Lo spettatore può approcciarsi a un film con alcune conoscenze pregresse sul personaggio, che possono derivare da: - Familiarità con la storia. Molti film sono tratti da libri, spettacoli teatrali o storie tradizionali; pertanto, gli spettatori potrebbero nutrire determinate aspettative sul personaggio in virtù della conoscenza di tali fonti - si veda il caso di Rhett Butler e di “Via col vento”; - Personaggi familiari. Certi personaggi appaiono ricorrentemente nella storia del cinema, venendo interpretati da attori diversi (v. Sherlock Holmes, Tarzan, Dracula). In altri casi, il film rappresenta personaggi biografici o realmente esistiti. 40 - Promozione. Pubblicità, manifesti e articoli legati alla promozione di un film possono creare delle aspettative nei confronti di un personaggio. - Aspettative legate alla star o al genere. Le aspettative dello spettatore nei confronti di un determinato personaggio possono essere legate all'immagine divistica dell'attore che lo interpreta o alle caratteristiche del genere cinematografico in cui compare (v. John Wayne e i film western). - Critica. Commenti di critici e recensori possono indurre lo spettatore a interpretare un personaggio secondo determinati punti di vista. o NOME. Sebbene nei film i nomi non hanno la funzione di “fissare” i caratteri di un personaggio come nei “morality play” o nelle commedie, essi possono suggerire alcuni tratti della sua personalità, ad esempio determinati aspetti materiali (v. la classe sociale e lo sfondo etnico di Stanley Kowalski e Blanche Dubois in “Un tram che si chiama desiderio”) o psicologici (v. le dure consonanti di Kowalski e le vocali aperte di Dubois). I nomi possono essere anche correlati all'identità: in “Fermata d’autobus” il personaggio di Marilyn Monroe sceglie il soprannome di “Cherie” per incrementare il suo fascino, mentre Charlotte Vale (Bette Davis) in “Perdutamente tua” si fa chiamare “Camille” dalle persone che ama più profondamente. o ASPETTO. L'aspetto di un personaggio può esprimere la sua personalità con vari gradi di precisione. Esso può essere analizzato secondo le categorie di fisiognomia, abbigliamento e immagine della star. - Fisiognomia. Possiamo collocare lo studio della “fisiognomia” secondo l'appartenenza etnica o le grandi opposizioni culturali di maschile-femminile, vecchio-giovane, bello-brutto, sensibile-rozzo, etc. Ci sono inoltre tipi di facce o di strutture fisiche considerati caratteristici di determinati gruppi sociali (v. uomini d'affari, intellettuali, nobili, madri, lesbiche, etc.). - Abbigliamento. Gli abiti e altri aspetti come l’acconciatura e gli accessori possono essere codificati culturalmente, oppure possono essere indicativi di una determinata personalità - ad esempio, l'abbigliamento indossato da Robert Redford in “Come eravamo” lo individua per periodo storico, gruppo d'età, classe e professione; allo stesso tempo, indica elementi caratteristici della sua figura, sia stereotipati (“all American Boy”) che relativamente personalizzati (v. vestiti puliti e dall'aspetto caldo, confortevoli ma non sciatti, etc.). I vestiti di un personaggio possono essere analizzati anche relativamente al problema dell'identità - in “Perdutamente tua”, ad esempio, Charlotte Vale manifesta la propria evoluzione attraverso lo stile d’abbigliamento, passando dagli abiti imposti dalla madre (modesti e senza forma) a quelli tipici della donna glamour, per poi esprimere la propria identità tramite una sintesi tra i due. o CORRELATIVI OGGETTIVI. In un medium visivo come il cinema elementi quali la scenografia e il montaggio possono essere utilizzati in qualità di 41 correlativi oggettivi”, al fine di enfatizzare determinati aspetti del personaggio. - L'ambiente in cui vive e si muove un personaggio può rivelare caratteristiche fondamentali in merito alla sua personalità (v. la stanza di Bree in “Una squillo per l'ispettore Klute”); - Il montaggio può indicare aspetti fondamentali del personaggio tramite una particolare associazione d'immagini (v. “Ottobre” e l'associazione di Karensky con il pavone meccanico). - Un personaggio può essere associato a un elemento particolare o a un animale - si veda l’uso degli uccelli da preda associati alla figura di Norman Bates in “Psycho”. Inoltre, la personalità di un personaggio può essere rivelata a partire dall’atteggiamento che egli manifesta nei confronti di determinati oggetti - un esempio emblematico è dato dal diverso modo in cui James Stewart e John Wayne impugnano la pistola ne “L'uomo che uccise Liberty Valance” (il goffo penzolare dell'arma nelle mani di Stewart è contrapposto all’elegante posizione di Wayne al momento di esplodere il colpo). o PAROLE e MODI DI ESPRIMERSI. Le parole di un personaggio possono essere indicative della sua personalità, sia direttamente (cosa un personaggio dice di sé) sia indirettamente (cosa un personaggio “tradisce” di sé). Un esempio particolare del primo caso riguarda l'utilizzo del voice over, sia come voce del narratore che come mezzo per esprimere pensieri interiori, ai quali siamo più disposti a credere in quanto ci basiamo sulla fiducia nella verità del “privato”. Ciò che altri dicono sul personaggio e il modo in cui lo dicono è altrettanto indicativo della personalità del personaggio in questione. o GESTUALITA. Il vocabolario della gestualità può essere letto secondo codici formali (riconosciuti in base a determinate norme sociali) o informali (di natura involontaria). Entrambi possono essere assunti come indicativi della personalità e del temperamento di un personaggio: i “formali” riconoscono la dimensione sociale della personalità, mentre gli “informali” sono considerati un accesso privilegiato al vero Io del personaggio (es. l'atteggiamento da “dura” assunto da Bree/Jane Fonda nei confronti di Klute/Donald Sutherland al loro primo incontro, tradito dalle sue smorfie e dai movimenti nervosi delle dita). o AZIONE. L'azione si riferisce a ciò che il personaggio fa in una determinata situazione. Una regola empirica per distinguere l’azione dalla gestualità è considerare l’azione come qualcosa che favorisce il procedere del racconto e il dispiegarsi dell’intreccio (v. Bree che non lascia entrare Klute nella sua stanza). o STRUTTURA. Il concetto di “azione” implica il problema dell'intreccio, uno dei più familiari tipi di struttura che un film può adottare. Nel personaggio, tuttavia, il ruolo della struttura può andare ben oltre l'intreccio, il che ci obbliga ad analizzare diversi tipi di struttura in rapporto alla funzione del personaggio. 42 intimi del personaggio, i quali possono essere rivelati solo tramite l'utilizzo di un intervento narrativo o di un monologo interiore. =» Soggettiva. Un’'inquadratura “soggettiva” permette allo spettatore di vedere con gli occhi del personaggio. Generalmente queste inquadrature non fanno molto di più che mostrare ciò che il personaggio sta guardando, un'informazione di per sé poco significativa. Vi sono però due eccezioni: - La Soggettiva mostra che il personaggio sta guardando qualcosa di inaspettato: tale circostanza può implicare una distrazione o un momento di autentica rivelazione. - La Soggettiva ci mostra non soltanto cosa il personaggio vede, ma come lo vede (v. l'inquadratura sghemba su Cary Grant per esprimere i postumi della sbornia di Ingrid Bergman in “Notorious”). - Recitazione. La recitazione di un attore può rivelare moltissime informazioni sull’interiorità del personaggio - si veda, ad esempio, l'abilità di Bette Davis di comunicare con i movimenti degli occhi il fatto che il suo personaggio sta mentendo, oppure l'apparente spontaneità delle emozioni espressa dalle interpretazioni di Judy Garland. o POSIZIONAMENTO. Quasi tutte le forme narrative tendono a situare il pubblico in relazione al personaggio, portandolo ad esprimere un giudizio nei suoi confronti in base a una serie di valori o posizioni culturali/ideologiche. Il giudizio di uno spettatore può dipendere da cu alcune opinioni stereotipate o dalla valutazione di aspetti di “autenticità”. - Opinioni stereotipate. Lo spettatore può essere portatore di opinioni stereotipate sul personaggio o sul gruppo sociale a cui appartiene. Questo giudizio risulta diverso nel caso in cui lo spettatore consideri le proprie idee come immodificabili, oppure arrivi ad apprezzare i personaggi che rompono con il proprio stereotipo, arrivando per questo a considerarli più individualizzati e dunque più “reali”. - Situazioni di autenticità. Il posizionamento dello spettatore può variare nel caso in cui il personaggio venga percepito come particolarmente autentico o sincero. Nella nostra cultura, le categorie di “trasparenza” e di “autenticità” si collegano a momenti di espressione privata o “non controllata”. In altre parole, le persone vengono percepite come “se stesse” nel momento in cui si trovano in circostanze intime o quando si lasciando andare a un libero flusso di pensieri e sentimenti. Questi presupposti culturali “penetrano” nei film attraverso l'utilizzo della messa in scena, del montaggio e della recitazione. Un esempio è dato dall'analisi delle protagoniste di “Eva contro Eva”: Margo (Bette Davis) è una celebre attrice teatrale, mentre Eve (Anne Baxter) è una sua ammiratrice devota, determinata a inserirsi nella vita della sua beniamina per poi usurparne il posto. Margo, a sua volta, è scissa tra 45 l'attaccamento al suo status di star e il desiderio di avere una relazione stabile con un uomo. Il film cerca di collocare lo spettatore in mezzo a questi sentimenti opposti, al fine di farglieli percepire come reali e legittimi, portandolo a parteggiare per l'una o l’altra parte. Un'ulteriore complicazione emerge se analizziamo le due protagoniste dal punto di vista iconografico: Margo, infatti, appare inizialmente come una donna “mostruosa”, dura e maligna, un'impressione avvalorata dalla prima inquadratura che la ritrae con il volto impiastricciato di crema; Eve, al contrario, viene presentata come una ragazza dolce e fidata, dai bei lineamenti e dall'aspetto modesto. Questo contrasto arriverà a ribaltarsi nel corso della pellicola, nel momento in cui Eve si rivelerà come un’arrivista subdola e spietata, mentre Margo emergerà in virtù della propria vulnerabilità. o GERARCHIA DI DISCORSI. Colin MacCabe ritiene che l'operazione formale alla base di quello che egli definisce come il «classico testo realistico» consiste nel sistemare i diversi discorsi del testo (es. la costruzione dei personaggi) in una posizione di dipendenza dalla narrazione degli eventi. In breve, è tramite la conoscenza fornita dalla narrazione che possiamo separare i discorsi dei vari personaggi e confrontarli con quanto ci è stato in precedenza rivelato. MacCabe illustra la sua ipotesi utilizzando una scena di “Una squillo per l'ispettore Klute”: il “discorso soggettivo” di Bree (Jane Fonda) nel suo colloquio con la psicanalista, infatti, può essere valutato in rapporto alla verità fornita dal dipanarsi della storia. In tal senso, l’ultima inquadratura del film confuta il giudizio della protagonista, confermando allo spettatore come, sebbene Bree sia pessimista, ella giungerà davvero a “sistemarsi”. o IDENTIFICAZIONE CON IA STAR. Il fenomeno dell’identificazione spettatore/star può influenzare profondamente il modo in cui il pubblico si rapporta a un determinato personaggio. A proposito di “Ultimo tango a Parigi”, Kaplan ritiene come lo scopo del film sia quello di criticare i due tipi dominanti di stile cinematografico - ossia il cinema classico anni Cinquanta e la Nouvelle Vague -, così come lo stile recitativo e i valori a essi associati - rispettivamente il dominio e l'angoscia del “duro” alla Hemingway e la permissività delle donne chic e moderne. Tuttavia, poiché il ruolo di protagonista è ricoperto da un divo amatissimo come Marlon Brando, lo spettatore è portato ad avvicinarsi al suo personaggio in maniera positiva e a ritenere le sue azioni completamente legittime, rovesciando così le vere intenzioni del film. * STAR COME “PERSONAGGI CINEMATOGRAFICI”. L'immagine divistica può essere utilizzata nella costruzione di un ‘personaggio cinematografico in tre modi diversi: “uso selettivo”, “adesione perfetta” e “adesione problematica”. o USO SELETTIVO. Il film, attraverso l’uso dei segni del personaggio e del linguaggio cinematografico, può evidenziare alcune caratteristiche della star e ignorarne altre, ponendo così l’immagine divistica al servizio del personaggio interpretato. 46 Un esempio è l’uso dell’illuminazione in relazione alla figura di Robert Redford. In “Come eravamo” e “Butch Cassidy’ Redford rappresenta il centro erotico/romantico della storia: la sua figura è dunque illuminata di spalle al fine di ricreare il caldo splendore tipico del cinema classico hollywoodiano. In “Tutti gli uomini del presidente”, invece, ad emergere è il lato politico di Redford, mentre l'aspetto erotico-romantico risulta ininfluente; di conseguenza, l'attore appare illuminato con la tecnica “low key”, elaborata negli anni Quaranta al fine di trasmettere un'impressione di realtà e autenticità. ADESIONE PERFETTA. L’«adesione perfetta» si verifica quando tutti gli aspetti dell'immagine divistica giungono a adattarsi ai tratti del personaggio. Ciò accade nel caso di figure già note allo spettatore (v. Clark Gable nel ruolo di Rhett Butler), oppure nei casi in cui un personaggio viene scritto e sviluppato appositamente per un attore (v. i cowboy interpretati da John Wayne). Alcuni critici della teoria autoriale hanno considerato il problema dell’«adesione perfetta» dal punto di vista della scelta dell’interprete. Secondo quanto affermato da Braudy, infatti, il regista saggio, riconoscendo il contributo che un attore può dare alla caratterizzazione di un personaggio, usa il casting per creare significato in maniera non strutturata. Un esempio può essere l’utilizzo che Alfred Hitchcock fa della figura di Cary Grant - Grant, infatti, si presenta spesso come un attore in grado di cogliere il lato comico in una situazione drammatica; Hitchcock, dunque, decide di utilizzarlo in film dai toni prevalentemente leggeri come “Caccia al ladro” o “Intrigo internazionale”, ponendolo come garanzia che tutto si risolverà per il meglio. ADESIONE PROBLEMATICA. Sebbene vi siano numerosi esempi di “uso selettivo” dell'immagine divistica o di “adesione perfetta” tra attore e personaggio, molto spesso la natura fortemente significante delle star arriva a contrastare con la caratterizzazione del personaggio. Nei casi in cui la contraddizione emerge da tutti i punti, il problema si pone in termini di contrasto tra due serie di segni: quelli del divo e quelli del personaggio interpretato. Uno degli esempi più eloquenti è la scelta di Marilyn Monroe per interpretare il ruolo di Lorelei Lee ne “Gli uomini preferiscono le bionde”. Tutto nella sceneggiatura del film e nelle interpretazioni degli altri personaggi contribuisce a presentare Lorelei come una donna cinica _e avida, capace di utilizzare il proprio sex appeal per intrappolare uomini ricchi e creduloni. Tuttavia, il principale fascino dell'immagine divistica di Marilyn Monroe risiede nella sua ingenuità: ella è consapevole della propria bellezza, ma risulta comunque innocente, dal momento che utilizza tale qualità in termini narcisistici, dunque più per se stessa che per gli uomini. Questa circostanza porta a una forte separazione tra l’immagine della diva “Monroe” e quella del personaggio “Lorelei”, che arrivano a coincidere solo in tre aspetti: nello straordinario impatto della loro fisicità, nel modo infantile di comportarsi e nella consuetudine per le espressioni argute. 47 comprendere un alto numero di programmi di successo (es. soap opera, interviste e spettacoli informali, come quello di Fibber e Molly McGee, registrati mentre parlavano durante la colazione). Le modalità di performance sviluppate dalla radio erano caratterizzate da tre fattori: = Immediatezza domestica (la radio era considerata come un altro componente della famiglia); =» Personaggi riconoscibili, sia come “tipi” individui; =» Presentazione di persone semplici e ordinarie, intente a recitare “se stesse”. che come singoli Con l'avvento del cinema sonoro e dello star system, sempre più attori iniziarono a interpretare “se stessi”, adottando atteggiamenti espressivi capaci di rifarsi alla normale interazione quotidiana. Questo stile performativo, definito come “stile radiofonico” o “stile dello studio hollywoodiano”, determinò il pregiudizio relativo all’'interpretazione cinematografica come “non recitazione”. James E. Scott definisce lo “stile dello studio hollywoodiano” come una combinazione di aspetti stereotipati e discorsi personalizzati. Una star, infatti, tende a sviluppare nel corso della propria carriera una serie di manierismi e gesti caratteristici, arrivando così a personalizzare in modo riconoscibile la propria performance. Stile “teatrale”. Con l'avvento del sonoro molti attori furono reclutati dal teatro “convenzionale”. Nella maggior parte dei casi essi decisero di abbandonare lo stile “teatrale” a favore di quello “radiofonico”, ma alcuni continuarono a fare riferimento alla loro precedente esperienza (v. Paul Muni, Bette Davis, Katherine Hepburn). Convenzionalmente lo stile “teatrale” si colloca al polo opposto rispetto a quello “radiofonico”: l'interprete, infatti, è portato a nascondersi dietro al personaggio, non a interpretare se stesso. In tal senso, nelle modalità stabilite da Broadway e dal teatro di repertorio inglese, “recitare” significa interpretare il proprio ruolo in maniera sempre diversa. Secondo l'approccio alla performance di Diderot- Coquelin, tale differenza viene acquisita tramite l'osservazione naturalistica o il riferimento alle convenzioni: =» Attenzione al dettaglio. Lo stile “teatrale” è caratterizzato da una meticolosa attenzione al dettaglio. Questo implica una resa “naturalistica” del contesto a cui il personaggio appartiene (v. maniera, classe sociale, accento etnico) e una costruzione della performance attraverso l'accumulo di particolari tipici. » Estetica della coerenza. Lo stile “teatrale” implica un'estetica della coerenza particolarmente consapevole: ogni segno della performance, infatti, deve essere motivato e rilevante per l'intreccio. =» Espressione verbale. Lo stile “teatrale” riconosce grande importanza all'espressione verbale e alla sua fluidità: gli attori, 50 infatti, parlano a lungo e con grande auto-consapevolezza, riflettendo sulle proprie azioni e su ogni possibile implicazione. *» Distacco attore-personaggio. Lo stile “teatrale” di caratterizza per il distacco tra attore e personaggio. In tal senso, se l'interprete tende a sovraccaricare la propria performance di manierismi eccessivi può arrivare a compromettere il processo d’identificazione dello spettatore. Il “Metodo”. Con il termine “Metodo” si fa riferimento alla tecnica di recitazione insegnata dall’Actors’ Studio di New_ York. Concepito come una rivisitazione degli insegnamenti di Konstantin Stanislavskij, il “Metodo” prevede che l’attore basi la propria performance sull'esperienza personale, identificandosi provvisoriamente con il personaggio interpretato. Come lo stile melodrammatico, il Metodo privilegia la dimensione emotiva su qualsiasi altro aspetto del personaggio - tuttavia, mentre il melodramma tende a trasformare le emozioni in “categorie morali”, il Metodo le ancora a determinati aspetti psicanalitici, facendo riferimento a disturbi della personalità o a sentimenti di rimozione e angoscia. In conseguenza di ciò, la performance si configura in maniera “ridondante”. = Marlon Brando come Stanley Kowalski. L’interpretazione che Marlon Brando mette in scena in “Un tram che si chiama desiderio” possiede tutti gli elementi caratteristi del Metodo, ovvero: la riduzione della performance a una data psicologia “essenziale” l'accumulazione di ridondanti segni performativi e l'accento sulle crude passioni dell'essere umano. Marlon Brando, infatti, costruisce la parte di Stanley Kowalski principalmente attorno alla sua aggressività animalesca. Tale indole si manifesta in maniera bonaria (v. l’incessante grattarsi della schiena e del ventre che ricorda un cane che scaccia le pulci) oppure completamente distruttiva, circostanza evidenziata dall’uso bocca e della mascella (v. Stanley mastica e ingoia il cibo in maniera fisicamente percepibile). Questi due aspetti della personalità di Kowalski si uniscono nella scena in cui lo vediamo rovistare nel baule di Blanche, le sue mani come artigli intenti a frugare furiosamente tra i gioielli e gli abiti della donna. Questa sequenza, apparentemente irrilevante, prepara lo spettatore al momento in cui Kowalski arriverà ad annientare Blanche stessa, violentandola e provocandone l’irreversibile crollo psicologico. Secondo Scott, le tecniche del Metodo si adattano sia ad attori che si presentano sempre uguali ad ogni film (v. Marlon Brando), sia ad attori che tendono a mettere da parte la propria personalità per identificarsi completamente nel personaggio (v. Rod Steiger). In entrambi i casi, il “Metodo” è in grado di conferire alla performance un marchio di tale autenticità da far sembrare tutti gli altri stili come artificiali o ampollosi. 51 e LO STILE DI RAPPRESENTAZIONE DELLA STAR. Solitamente una star manifesta uno stile di recitazione riconoscibile, capace di permeare tutte le sue performance. Analizzare un'immagine divistica significa dunque evidenziare gli aspetti ricorrenti del suo lavoro e indagare il loro significato simbolico. o Montaggio e messa in scena. Mentre il discorso critico comune tende a concentrarsi sui significati del lavoro attoriale, un'importante tradizione teorica arriva a negare qualsiasi valore alla performance. - KULESOV: l’importanza del montaggio. Secondo Lev _Kulesov, il montaggio ha un ruolo fondamentale nel determinare il significato dei gesti e delle espressioni del volto. Con una tecnica di montaggio adeguata, infatti, qualsiasi azione compiuta dall'attore potrà essere interpretata nel modo voluto dal montatore, dal momento che lo spettatore sarà portato a completare la sequenza in base a quanto indicato dalle inquadrature immediatamente precedenti o successive. - BETTETTI: la prevalenza dei “segni visivi”. Gianfranco Bettetti sostiene la prevalenza dei “segni visivi” rispetto a quelli “verbali” in ambito cinematografico: la bidimensionalità dello schermo e il ruolo del personaggio all’interno della diegesi, infatti, rendono l'attore solo uno strumento nelle mani del regista. L'esempio più famoso a sostegno di questa tesi è l'inquadratura finale de “La Regina Cristina”, in cui vediamo la protagonista in piedi presso la prua della nave subito dopo la morte del suo amante. Ella guarda fisso davanti a sé e la sua espressione può essere interpretata in molti modi: rassegnazione, malinconia, sentimento profondo, etc. È noto, tuttavia, come il regista, Rouben Mamoulian, chiese a Greta Garbo di girare la scena senza pensare a nulla: il significato dell'espressione dell’attrice, dunque, può essere desunto solo in virtù della sua posizione all’interno dell’intreccio. Un caso come quello presentato da “La regina Cristina”, tuttavia, rappresenta un'eccezione alla regola. Anche Kulesov, infatti, nonostante definisse gli attori come “modelli” o “mannequin”, considerava la loro azione come uno dei principali elementi dell’espressione filmica, tanto da dedicare numerosi scritti alle tecniche di recitazione. o Il film come un tutto. I “segni di performance” possono trarre grande significato da ciò che lo spettatore conosce riguardo al personaggio o a una determina situazione. Secondo Robin Wood la performance può essere interpretata in due modi: - Considerando il film come parte di un insieme di opere simili (es. genere cinematografico, lavoro di un regista, etc.); - Considerano il film come un insieme discreto, significante nella sua particolare combinazione di codici e subordinato alla visione del regista. Particolarmente significativa, in tal senso, risulta l’analisi della performance di Bette Davis in due scene di “Piccole Volpi” (“The Little Foxes”, 1941) di William Wyler. 52 o AUTORE AZIENDALE. Questo modello indica le organizzazioni produttive e le strutture sociali come veri “autori” del film - il concetto di “autorialità” può dunque fare riferimento ai singoli studios, a Hollywood nel suo insieme o, addirittura, a sovrastrutture dominanti come l'economia capitalista o la società patriarcale. In tal senso, il personale che lavora al film giunge a farsi carico dei significati e dei valori delle più ampie realtà di cui fa parte, senza modularle o alterarle in modo significativo. Tali concetti di “autorialità” pongono un problema in merito al rapporto che arriva a instaurarsi tra “testo” e “autore”. Tradizionalmente, il testo di un’opera è stato considerato come la massima “espressione” delle idee, dei sentimenti e della personalità del suo autore; da tempo, tuttavia, tale formula è stata confutata, in virtù della semplice constatazione che, in molti casi, l’autore non assomiglia affatto a ciò che produce. Sono dunque state proposte altre soluzioni, comprese le nozioni di testo come espressione dell’«inconscio» oppure della «personalità artistica» dell’autore. In tutti i casi, tuttavia, la “teoria dell'espressione” implica che vi sia una totale trasparenza tra artefice e artefatto, una circostanza che raramente si verifica, in quanto l’espressione individuale può concretizzarsi solo in virtù di linguaggi e codici più generali. Di conseguenza, il rapporto tra “autore” e “opera” deve essere inteso sulla base di queste sovrastrutture, così come del modo caratteristico con cui l'artista giunge a manipolarle. e STAR COME AUTORI. La “teoria dell'autore” può essere vista e riproposta in riferimento agli attori: in determinate circostanze, infatti, un interprete può arrivare a influenzare un film tanto quanto uno scrittore, un regista o un produttore. Se un attore è responsabile solo della recitazione, ma non è coinvolto in nessun'altra decisione artistica, allora è giusto considerarlo alla stregua di un'icona semi-passiva, ossia un simbolo manipolato da sceneggiatori e registi. Nel caso in cui l'interprete arrivi invece a influenzare il lavoro di produzione, imponendo alcune limitazioni sulla base della propria persona artistica, ecco che può essere considerato come un “autore” a tutti gli effetti. In tal senso, è importante distinguere tra la nozione di “autorialità dell'immagine divistica” e quella di “autorialità dei film”. o Autorialità dell'immagine divistica. Nel caso della propria immagine e performance, un attore può arrivare a controllarla completamente (v. Fred Astaire, Joan Crawford) o a contribuirvi in maniera parziale (v. Marlene Dietrich, Robert Mitchum). Allo stesso modo, l'interprete può imporsi come parte di un gruppo (v. John Wayne) o come una voce disparata tra le altre (v. Marilyn Monroe, Marlon Brando). Nei casi più estremi l’immagine divistica appare come un prodotto del tutto artificiale, frutto delle manipolazioni dello studio e della macchina hollywoodiana (v. Lana Turner). o Autorialità del film. I casi in cui un film può essere interamente attribuito alla volontà artistica di un attore sono molto rari - gli esempi più noti sono quelli de “La regina Cristina” (Greta Garbo), “Alice non abita iù qui” (Ellen Burstyn) ed “È nata una stella” (Barbra Streisand). Occorre poi aggiungere tutte quelle pellicole in cui le star dirigono e scrivono per se stesse (v. Charlie Chaplin, Buster Keaton, John Wayne, Clint Eastwood, etc.). 55 AI di là di questi casi estremi, è più comune che la star collabori insieme ad altre personalità alla costruzione dei propri film o della propria immagine divistica. Un esempio particolare è quello di Greta Garbo. - Il caso di Greta Garbo. Secondo l’analisi di Alexander Walker, la costruzione dell'immagine divistica di Greta Garbo fu un lavoro di gruppo, a cui la stessa attrice partecipò attivamente contribuendo con alcune caratteristiche fondamentali, quali l'aspetto fisico (il bel viso femminile unito a un corpo robusto e mascolino) e la sua indole pessimista. Essenziale, tuttavia, fu il ruolo svolto dai registi e dalla casa di produzione. » Registi. Walker indica Mauritz Stiller e William Daniels come figure chiave nella costruzione dell'immagine divistica di Greta Garbo. Stiller fu il regista che la scoprì in Svezia e che giunse a plasmare il suo stile interpretativo, attribuendole lo pseudonimo di “Garbo” ossia “ninfa dei boschi”. Daniels, invece, fu il direttore delle luci di quasi tutti i film sonori interpretati dalla diva, contribuendo in maniera fondamentale alla promozione della sua immagine sullo schermo. =» Casa di produzione. La costruzione dell'immagine divistica di Greta Garbo avvenne all’interno delle elaborate strutture produttive della MGM. In tal senso, i producers si rivelarono abili nell'includere le caratteristiche dominanti della diva all’interno delle storie da lei interpretate. Walker, in particolare, considera Greta Garbo come il tentativo della MGM di conciliare l'intesa sessualità della flapper con la «continua lotta per l'onore della ragazza alla Lillian Gish». e RAPPORTO TRA LE STAR E GLI AUTORI. Un regista è portato a adattare la familiare personalità di un attore ai propri interessi e modelli caratteristici. Questa operazione può avvenire già a livello di casting (v. l'impiego che Hitchcock fa di Cary Grant o di James Stewart), ma più spesso accade che l’autore si trovi a dover organizzare o sfruttare in modo creativo un modello già preconfezionato. In tal senso, un'immagine divistica può suggerire determinate possibilità al regista (v. l'utilizzo di James Stewart da parte di Alfred Hitchcock, John Ford o Otto Preminger), oppure il regista può utilizzare in modo peculiare una star per esprimere il proprio “modello autoriale” (v. l’uso che Nicholas Ray fa di Humphrey Bogart, Robert Mitchum, James Cagney e Charlton Heston). o Scambio attore/regista. L'idea di uno scambio reciproco tra star e regista permea molta della critica autoriale. In tal senso, non è necessario rilevare una corrispondenza perfetta tra immagine divistica e stile di regia, in quanto anche una radicale separazione tra le due implica importanti risvolti a livello ideologico. Un esempio significativo riguarda Marilyn Monroe e Howard Hawks ne “Gli uomini preferiscono le bionde”. Il personaggio di Lorelei, così come concepito originariamente da Anita Loos, utilizza intenzionalmente la propria femminilità per conquistare status e ricchezza. Nei film di Hawks figure di questo genere vengono presentate in chiave fortemente negativa: ciò accade anche a Lorelei, sottoposta a momenti di pura umiliazione (v. la scena in cui rimane intrappolata nell’oblò) o di parodia (v. l’interpretazione fattane da Jane Russel nella scena del tribunale). In questo contesto, la costruzione che Marilyn 56 Monroe fa della figura di Lorelei - interpretata come una figura femminile sensuale ma innocente - contrasta con la visione di Hawks, mettendola sostanzialmente in crisi. Il divo come “complesso significante”. La maggior parte degli studi sul rapporto star/regista concepisce l’immagine divistica come un “complesso significante”, analizzandola in rapporto alla sua adattabilità rispetto agli interessi o all'approccio dominante dell'autore. I film realizzati da Marlene Dietrich con Josef von Sternberg sono spesso interpretatati in questo modo - la diva, in particolare, viene vista come un puro veicolo delle fantasie sessuali e delle preoccupazioni formaliste del regista. Ad un'analisi più attenta, tuttavia, vediamo come la stessa Dietrich si imponga come elemento significante, resistendo allo stereotipo al quale è stata assegnata. Secondo queste considerazioni, i film Dietrich/Sternberg possono essere intrepretati secondo l'unione e la disunione di due “voci” autoriali. Altri autori hanno visto nell'opera di Sternberg l’espressione della relazione erotico ed emotiva nutrita dal regista nei confronti della sua diva. Laura Mulvey, in particolare, sostiene come tale interpretazione sia sostenuta da un fattore formale, ossia dall'assenza o dalla subordinazione di un protagonista maschile in grado di rappresentare lo sguardo dello spettatore - in tal senso, da “Shangai Express” fino a “Capriccio spagnolo”, Sternberg sembra voler insistere sui temi dell’impotenza dell’uomo nei confronti della crudeltà della donna. Tuttavia, se accettiamo il motivo della “resistenza” rappresentato dall'immagine di Dietrich, possiamo pensare come il deterioramento dell'istanza maschile sia provocato dalla riluttanza della diva a sottomettersi alla volontà altrui. In tal senso, i film della coppia possono essere interpretati alla luce della complessa relazione che unisce attrice e regista, e non solo come una semplice combinazione di “voci”. 57
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