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L'Europa del Cinquecento: strutture politiche e diplomatiche, Schemi e mappe concettuali di Storia Moderna

Una panoramica sulla formazione delle strutture politiche e diplomatiche dell'Antico Regime europeo nel XVI secolo. Si discute della nascita dello stato moderno e si analizzano le diverse tesi storiografiche. Si parla anche della monarchia universale e della libertà degli stati cristiani. L'autore vuole mettere in luce i processi decisionali della vita politica del '500, con un focus sulle costruzioni politiche di Carlo V e Filippo II. utile per gli studenti di storia e scienze politiche.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

In vendita dal 01/11/2023

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Scarica L'Europa del Cinquecento: strutture politiche e diplomatiche e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! 1 1 L’Europa del Cinquecento • Nel XVI si formano strutture politiche e diplomatiche dell’Antico Regime europeo, ma anche nuove pratiche politiche. • C'è stato grande dibattito storiografico sulla nascita dello stato moderno nella lunga età moderna ➳ dal quale si evince un cambiamento qualitativo e quantitativo: fra XV e XVI lo stato si fa più presente, potente, accresce effettivi e fiscalità. • Abbiamo un primo filone storiografico che ha sottolineato il carattere innovatore dello stato rinascimentale, in accordo con le tesi che da Hegel a Weber vedono nell’età moderna il cuore dello sviluppo di uno stato burocratico, razionale. • Una tale definizione non poteva essere esente da critiche ➳ messa in discussione del concetto di stato moderno, a favore della nozione di rete di poteri, fatta di famiglie, clientele, alleanze e negoziazioni, mai globale. Si parla di una capacità di arbitraggio incarnata da vari soggetti: sovrano, assemblee, collegi di magistrati. • Una tesi meno critica riconosce l’esistenza di uno stato del XVI, ma ne mette in discussione centralizzazione e assolutismo. Mancano mezzi e progetti assolutistici definiti, e si devono confrontare costantemente con altri soggetti: assemblee provinciali, corporazioni cittadine, famiglie nobili, anche comunità contadine. • Il lavoro di Tallon si situa in una corrente storiografica che riconosce la crescita della realtà statuale come fenomeno importante del ‘500, pur ridiscutendone i paradigmi. La concezione dello stato del ‘500 è patrimoniale ➳ lo stato-patrimonio adotta iniziative pragmatiche, senza un disegno pianificato e si rapporta a una realtà in transizione fra feudalità e modernità. Nel secolo si afferma una inedita autorità politica e allo stesso tempo la sua contestazione. Concezione patrimoniale e nazionale si appoggiano l’una all’altra. Nel sottotitolo si fa riferimento alla nazione come comunità legata ad un territorio. • Lo stato potenzia le sue relazioni diplomatiche, ma non ne ha ancora il pieno controllo. Anche città e province, grandi nobili e comandanti possono inviare ambasciatori, concludere trattati e negoziati. • Gli umanisti europei parlarono di calata dei barbari. Era l’inizio di una lotta per l’egemonia europea e i protagonisti ne erano consapevoli. Non siamo però ancora di fronte a una dilatazione mondiale dei conflitti europei, che vedremo dal Seicento. • Nel ‘500 si parla di res publica christina: gli stati della cristianità latina. Il Turco è chiaramente escluso, minaccia, altro per eccellenza rispetto a cui la cristianità si definisce per antitesi, ma anche alleato, presente nei conflitti fra gli stati cristiani. • Il discorso politico richiama costantemente alla crociata per Costantinopoli e Gerusalemme, luogo comune della retorica diplomatica europea. Tuttavia, la cristianità è incapace di unirsi contro il Sultano. Gli interessi sono ormai altri e quando ci si coalizza contro il turco è perché fa comodo nei conflitti fra principi cristiani. Per esempio, quando Venezia è attaccata dal sultano Beyezid II, la soccorrono Luigi XII (che necessita di supporto per attaccare Milano), Ferdinando il cattolico (che vuole supporto per impadronirsi di Napoli) e papa Alessandro VI (per favorire il figlio Cesare B in Italia centrale). • Vi sono anche casi in cui c’è rapporto diplomatico fra potenze cristiane e musulmane, e alleanza ➳ Carlo V e Filippo II si alleano con la Persia VS ottomani. Alleanza celebre fra Francesco I e Solimano il Magnifico ➳ porta a un'ambasciata permanente presso la Sublime porta. • Anche la Moscovia non è considerata membro a tutti gli effetti dell’Europa. Zar e soprattutto Sultano sono minacce, incarnazioni del potere dispotico, che si contrappone alla monarchia ben regolata. 1 2 • Egemonia di un potere sulla cristianità o Monarchia come libertà di ciascuna parte? La questione è posta così dai contemporanei. Il sogno di ricostruire l’unità politica della cristianità (pace universale e conversione) è forte nel ‘500 e si manifesta nelle profezie, di cui beneficia Carlo V, ma anche i sovrani francesi da Carlo VIII a Entico IV. • Il modello di Papa cambia radicalmente durante il secolo: da papa angelico a papa vincitore di eretici e infedeli. • Anche stati di dimensioni modeste come Inghilterra e Portogallo possono aspirare a dirigere la cristianità, anche se spesso si tratta di Retorica politica. • Abbiamo il discorso sulla monarchia universale: desiderio di un’unica autorità, cristiana e pacificatrice, che legittima le imprese egemoniche. • Abbiamo il discorso difensivo: che denuncia la possibile tirannia nascosta dietro la monarchia universale. Esalta la libertà degli stati cristiani o dei paesi teatro della lotta per l’egemonia. I due discorsi sono in rapporto dialettico fra loro. • Come storici, dobbiamo osservare i cambi di registro delle grandi potenze. Re di Francia: ai tempi degli effimeri successi italiani è candidato alla monarchia universale; quando il suo regno non è più all’altezza di quello di Carlo V e Filippo II, diventa difensore della libertà cristiana. • La teorizzazione delle relazioni internazionali è ancora molto limitata e la diplomazia inizia appena a professionalizzarsi con l’istituzione delle ambascerie permanenti. Questa lenta evoluzione stravolge comunque le regole della società dei principi (formula di Lucien Bély) introducendo il concetto impersonale di Stato e Nazione. • Tallon vuole mettere in luce i processi decisionali della vita politica del ‘500. Focus iniziale sulle costruzioni politiche di Carlo V e Filippo II (allo stesso tempo aleatorie e coerenti), perché spesso incomprese e definite mostruose. È un impero fatto soprattutto di eredità e solo marginalmente di conquiste. • La monarchia Asburgica non realizza la monarchia universale, e non è certo che vi abbia aspirato. Ha fronteggiato contestazioni e rivolte, a riprova della sua capacità di adattamento alle condizioni politiche dei suoi tempi. • Il Cinquecento è un secolo che si è appassionato alla politica: La nascente scienza politica ha come tema centrale la riflessione sullo stato. Qui collochiamo Machiavelli, Jean Bodin, e Botero con il suo Della Ragion di stato, che ebbe grande fortuna. Ma anche gli stessi protagonisti della politica hanno preso la parola per giustificare le loro azioni, in opere diffuse anche attraverso la stampa. PARTE PRIMA Dalle guerre d’Italia all’impero di Carlo V ♦ Conflitto regionale che coinvolge stati europei, mediante alleanze estremamente mobili, che coinvolgono la cristianità occidentale e impediscono vittorie durevoli. L’emergere dell’Impero di Carlo V prolunga il fenomeno e crea un'opposizione tra dinastia asburgica e regno di Francia. ♦ Come si spiega la lotta per Napoli (e poi per Milano)? ➳L’Italia è considerata chiave d’Europa, ed è divisa in Stati politicamente fragili. La Francia ha pretese in Italia e nel continente ➳ l’Aragona è il suo principale avversario in Italia, che dopo l’unione con la Castiglia (1469) ha progetti di espansione nel mediterraneo. Italia e Europa 1494, fragilità degli stati italiani e ambizioni francesi Settembre 1494: Carlo VIII di Francia valica le Alpi ➳ percezione di rottura, fine della fase in cui gli stati italiani regolano tra loro le proprie contese. Nel 1454 c’era stata la Pace di Lodi, seguita dalla lega italica contro i barbari. I 40 anni successivi sono stati visti retrospettivamente come un’età dell’oro, prima dell’invasione francese. 🧿 Guicciardini, più celebre storico delle GI ➳ scrive Storia d'Italia, negli anni ‘30 del Cinquecento ➳ lo definisce un periodo di grande prosperità, in cui “gli stati non erano sottoposti ad altro imperio che de suoi medesimi”, grazie alla politica dell’equilibrio di Lorenzo il Magnifico ➳ La sua analisi è dettata dalle catastrofi del tempo, e non è da prendere alla lettera. L’invasione francese è un evento che si spiega con ➳instabilità politica, tensioni interne ed esterne agli stati italiani del secondo ‘400. Penisola nel 1490: diffusa fragilità dei poteri • Il ducato di Savoia è sotto l’influenza francese e non ha peso negli affari italiani. • Le repubbliche come Genova o Siena sono dilaniate dalle lotte delle fazioni, e accade che chiedano l’intervento di un principe straniero come arbitro pacificatore. 1 5 ➢ Ferdinando il Cattolico è il principale beneficiario dell'espulsione (Capitano Consalvo di Cordova). La dinastia aragonese di Napoli viene ristabilita, però sotto tutela della Monarchia. Ferdinando tiene a bada la nobiltà castigliana assegnando cariche e permettendole di usufruire dei profitti del regno. La partecipazione dei Re Cattolici alle guerre d'Italia li ancora a una vasta rete di alleanze europee con funzione antifrancese: le basi le aveva poste Ferdinando d’Aragona alla fine del ‘400. Non mancano comunque occasionali accordi con la Francia (pragmatismo). ➢ Anche nel caso francese gli obiettivi vengono adattati alle circostanze. Aprile 1498, Carlo VIII muore accidentalmente e sale al trono il cugino Luigi d'Orléans, discendente dei Visconti, ex duchi di Milano ➳ Diventa Luigi XII e rivendicare Milano diventa una priorità, tanto che accetterà un compromesso con l'Aragona su Napoli e si allea con i veneziani e il papa. Nel 1499 l'esercito francese prende Milano. L'anno dopo una controffensiva di Ludovico il Moro finisce con la sua cattura➳duratura dominazione francese in Lombardia. Egemonia o spartizione tra le potenze? Luigi XII e Ferdinando il Cattolico Luigi XII vince grazie alle alleanze strette con molti dei vecchi membri della Lega Santa del 1495. Fa importanti concessioni territoriali: una parte del milanese torna a Venezia, e nel 1501 il Regno di Napoli viene diviso: alla Francia va il Nord e l'Aragona si installa a Sud. Sono aggiustamenti territoriali effimeri rimessi in discussione già dal 1503, da: • Un'offensiva di Consalvo di Cordova che toglie il Regno di Napoli ai francesi, ora aragonese • Muore papa Alessandro VI e crolla il principato di Cesare B. Si crea un vuoto politico, che suscita l'intervento di Venezia, ancora intenta ad estendere il proprio dominio in Terraferma, dopo le perdite nel Mediterraneo orientale, nel conflitto con gli Ottomani. • La Serenissima si scontra con il nuovo Papa Giulio II, deciso a recuperare le terre. La tensione provocata dall'espansione Veneziana diventa il principale fattore di conflitto. • Poi ci sono le imprese militari di Giulio II, noto per voler ampliare i territori pontifici. Nel 1506 dirige personalmente l'assalto delle truppe pontificie contro le città ribelli di Perugia e Bologna (il papa terribile, riprovazione di una parte del mondo cristiano). Accanto a questi sviluppi militari, la rivalità franco-aragonese sembra attenuarsi e i due sovrani si accordano per una spartizione ➳ Luigi XII conserva Milano e domina Genova; Ferdinando il cattolico recupera tutto il Regno di Napoli. I due sovrani suggellano l’accordo incontrandosi a Savona nel 1507. Si delinea una vasta alleanza contro Venezia: Francia, Aragona, papa Giulio II e Massimiliano. Lega di Cambrai del 1508: si aggiungono l'Inghilterra, l'Ungheria e vari stati italiani. Giulio II lancia l’interdetto contro Venezia ➳ condanna religiosa Parte l’offensiva della lega contro Venezia e nel 1509 l'esercito francese sbaraglia le truppe veneziane ad Agnadello. La Serenissima resiste, forte dell'appoggio della popolazione rurale. Cambio di orientamento della politica pontificia: Le dinamiche tipiche delle guerre d’Italia gioca a favore di Venezia, quando il suo avversario più feroce, Giulio II firma con lei una pace separata che gli assicura la restituzione dei territori sottratti da Venezia allo Stato Pontificio (tra cui Rimini, Faenza, Ravenna, Cervia e altre aree dell'Emilia-Romagna e delle Marche). Venezia deve rinunciare anche a influenzare le nomine ecclesiastiche. Il dominio francese in Italia del Nord, rafforzato della Vittoria di Agnadello, è la nuova minaccia che urge contrastare. "Fuori i barbari" Il papa presentò il cambiamento di alleanze come un progetto per liberare la penisola dai barbari. Nel frattempo, gli umanisti italiani alimentavano un nazionalismo xenofobo in anticipo sui tempi, utile anche al papa per rivendicare il dominio sulla penisola, come eredità di Roma imperiale. • L'opinione pubblica si rivoltò presto contro il papa, chiamando il Re di Francia a liberare la cristianità dagli abusi romani. I nemici del papa utilizzano lo scandalo del papa guerriero e la vicenda avrà grande risonanza, divenendo motivo di discordia fra cristiani. Aneddoti: Erasmo scrive il Iulius exclusus, in cui San Pietro caccia Giulio II dal paradiso per le guerre che ha condotto. La corrente evangelica in Europa e la sua denuncia della politica pontificia, assume aspetti politici. Le truppe franco-ferraresi, quando occupano Bologna, fondono la statua in bronzo di Giulio II di Michelangelo e ne fanno un cannone di nome Giulia. • Giulio II cerca di creare una coalizione in funzione antifrancese, ma fa fatica a trovare alleati: aderiscono alla fine gli svizzeri, Venezia, Ferdinando il Cattolico e anche Massimiliano (ultimo alleato di Luigi XII) che cambia campo. • Luigi XII decide di condurre l'offensiva anche sul piano spirituale. Nel 1510 a Tours, l'assemblea della chiesa gallicana condanna la politica pontificia e sostiene il re. Nel 1511 si organizza un 1 6 concilio incaricato di giudicare ed eventualmente deporre Giulio II. Luigi XII spera così di volgere a proprio vantaggio le aspirazioni di una riforma profonda della chiesa. • Giulio II reagisce convocando un concilio a Roma e riesce a farvi aderire Ferdinando il Cattolico (alleato di Luigi XII), che ne approfitta per impadronirsi della parte sud del regno di Navarra. • La Lombardia è presa dagli svizzeri a giugno e i francesi si ritirano. I vincitori si spartiranno così le vincite: Parma e Piacenza allo Stato Pontificio. A Milano sale al potere Massimiliano Sforza sotto la tutela dei cantoni svizzeri. A Firenze tornano i Medici. • La Lega si sfalda subito dopo e il caleidoscopio delle alleanze forma ancora una volta un nuovo disegno. Il papa muore nel febbraio 1513 e gli succede Giovanni de’ Medici, Leone X, che inaugurerà una politica pontificia meno aggressiva e legata soprattutto agli interessi dei Medici. Luigi XII si allea con: Venezia; stipula una tregua con Ferdinando; con l’Inghilterra una pace, sancita dal matrimonio di Luigi XII con la sorella di Enrico VIII d’Inghilterra, Regina di Scozia, Margaret Tudor. Si apre la strada a una nuova offensiva francese in Italia. Il ritorno dei francesi e la pace universale • L'offensiva preparata da Luigi XII, dopo la sua morte è condotta dal successore Francesco I, alleato con Venezia. Forte dell'alleanza con Venezia, il giovane sovrano sconfigge le truppe svizzere. Il ducato di Milano è riconquistato. • Pace con il papa ➳ Incontro di Bologna fra Francesco I e Leone X: grazie alla vittoria, Francesco I può imporre la sua volontà. Il papa cede Parma e Piacenza alla Francia, e concede a Francesco il privilegio di nomina ai benefici maggiori nel suo regno. • I tentativi di controffensiva, come l’attacco di Massimiliano I, falliscono. • La morte di Ferdinando il Cattolico paralizza gli spagnoli e apre a una pace duratura. • Pace con Spagna e Paesi Bassi riuniti da poco sotto il dominio di Carlo d’Asburgo: Trattato di Nyon, ristabilisce lo status quo: Milano ai francesi, Napoli agli spagnoli. • Pace perpetua con i Cantoni svizzeri. Con lo scisma religioso, si asterranno dall’intervenire. • L’imperatore Massimiliano fa pace con la Francia (1516) e con Venezia (1517) ➳ che recupera i territori perduti precedentemente. • 1518: il Trattato di Londra sintetizza tutte queste paci. Regolamenta le controversie territoriali e implica un patto di non aggressione tra gli stati firmatari, che si impegnano a fornire assistenza a ogni parte vittima di un attacco. Gli Ottomani sono il bersaglio principale della cristianità pacificata. Il trattato esprime il vecchio ideale della pace di Dio tra i principi cristiani, facendo di Enrico VIII l'arbitro dei potenziali conflitti fra i contraenti (tuttavia l'Inghilterra, agli inizi del ‘500, non disponeva dei mezzi per attuare questa politica di equilibrio, che avvierà dal ‘700). Il trattato, con il suo carattere generale e quei pochi anni di pace della cristianità si imprime però nell’immaginario e nelle coscienze. • Leone X è un beneficiario di questa pace: egli associa il proprio nome a questo breve periodo senza guerre e riconquista rispetto per il trono pontificio, intaccato da Giulio II. Alcuni pensavano di trovare nel figlio di Lorenzo il Magnifico l’atteso papa angelico. • Tutta una corrente umanista, capeggiata da Erasmo da Rotterdam credeva nella possibilità di un nuovo sistema di relazioni internazionali pienamente evangelico. L'opera di Tommaso Moro, Utopia, critica la politica dei sovrani europei dal 1494, in cerca di un ordine politico radicalmente nuovo. L’opera di Erasmo, Lamento della pace, nel clima dei trattati, invita i sovrani a rimanere uniti nella pace evangelica. • Le paci tra 1516 e 1518 si spiegano anche con un certo attendismo delle potenze europee davanti alla futura successione Imperiale. Dopo la morte di Massimiliano, nel 1519, l'elezione molto contesa di Carlo d'Asburgo rimette ampiamente in discussione le speranze di pace. La difficile costituzione dell'impero di Carlo V Carlo eredita progressivamente i possedimenti dei 4 nonni, caso unico nella storia delle dinastie europee: • Lato paterno Maria di Borgogna (1482): domini borgognoni Filippo il Bello (1506): Paesi Bassi e Franca Contea Massimiliano I (1519): eredità austriaca • Lato materno Ferdinando II d’Aragona (1516): domini aragonesi e italiani. Con una sorta di colpo di stato aggiunge la Castiglia, ancora formalmente detenuta dalla madre Giovanna la Pazza, allontanata dopo la vicenda senza alcun procedimento giuridico. 1 7 Nel 1519 Carlo riesce a vincere i timori degli elettori e a farsi eleggere imperatore, battendo Francesco I – prestito da parte dei Fugger. La costituzione di questo immenso Impero: • Si spiega con la coincidenza di precoci decessi: il figlio dei Re cattolici, Don Giovanni; il nipote erede portoghese, Michele della Pace, che poteva unire Castiglia e Portogallo. Il nuovo Erede di Ferdinando d’Aragona, risposatosi dopo la morte di Isabella. • Ma questo complesso di domini ha una evidente coerenza geopolitica: è figlio della rete di alleanze matrimoniali volte a contenere l’espansione francese del ‘400. L'impero di Carlo V è geneticamente antifrancese. Dopo i problemi coloniali, il Portogallo degli Aviz mantiene buoni rapporti con il nuovo imperatore ➳ politica di alleanza matrimoniale. Nel 1526 l'imperatore sposa Isabella del Portogallo e da in moglie a Giovanni III del Portogallo la propria sorella Caterina. A Oriente del nuovo blocco imperiale, gli Asburgo intrattengono la stessa diplomazia matrimoniale con gli Jagelloni. Così il fratello minore di Carlo, Ferdinando, può raccogliere l'eredità ungherese: Boemia e ciò che rimane dell'Ungheria, in parte controllata dal voivoda di Transilvania, Giovanni Szálpoyai. Questa inedita concentrazione di corone sulla stessa testa cambia le relazioni internazionali, non più caleidoscopiche. All'instabilità generale dopo Carlo VIII, segue un sistema politico dominato da una coalizione di Stati oramai fissati in un patrimonio dinastico, capace di resistere a una coalizione europea. Tuttavia, ci sono grandi difficoltà a guidare l’insieme in una stessa direzione politica. Gli inizi del regno di Carlo sono difficili in quasi tutti i possedimenti ➳ sollevamenti. Alle tensioni politiche consuete dei cambi di regno, ai disordini sociali e religiosi, si aggiunge la diffidenza suscitata nei nuovi sudditi dall'ampiezza dell'impero di cui diventano parte. • In Castiglia Carlo eredita una situazione politica molto tesa. Dopo la morte di Isabella (1504), l'incapacità di governare di sua figlia Giovanna ha suscitato le ambizioni del marito Filippo il bello e del padre Ferdinando D'Aragona, con al seguito opposte fazioni nobiliari. L’arcivescovo di Toledo Cisneros si impegna a mantenere la linea politica di Isabella ➳ espansione sulle coste del Maghreb, in continuità con la battaglia di Granada. Carlo arriva in Spagna e la sua cerchia fiamminga vuole spartirsi le cariche principali. Il suo precettore, Adriano di Utrecht, assume la carica di Grande inquisitore e il governo del Regno in assenza del sovrano ➳ Questo urta gli interessi della nobiltà castigliana e rompe tutti gli equilibri politici precedenti. Precipitosamente, impone nuove esazioni fiscali per finanziare la sua campagna per ottenere la dignità imperiale e parte per i Paesi Bassi ➳ si scatenano importanti rivolte: in Castiglia le Comunidades, e nel regno di Valencia le Germanías. Sono rivolte urbane, spesso guidate dalla piccola nobiltà. A volte divengono guerre civili (lotte interne al patriziato). Nonostante il tentativo di organizzare una Junta Santa, il fenomeno è differenziato e disunito. Una parte della nobiltà castigliana si riavvicina a Carlo, che riprendere in mano la situazione. Disfatta, ma gli agitamenti proseguono. • Sollevamenti a Palermo:1516, la rivolta nobiliare di Pietro Cardona, ha come programma politico la cacciata del viceré Hugo De Moncada e l'indebolimento del potere centrale a favore del parlamento dell'isola; si aggiungono le tradizionali rivendicazioni fiscali, contro donativo e gabelle reali. La rivolta diventa quasi una guerra civile e termina con l'elezione di un nuovo viceré, nominato da Carlo nel 1518: il conte di Monteleone, che riesce con difficoltà a ristabilire la propria autorità. Il Parlamento esita prima di giurare fedeltà al nuovo sovrano. In Sicilia abbiamo agitazioni fino agli anni ‘20, con congiunture a favore dei francesi. 1 10 l’ascesa dei patrizi urbani, speravano di impadronirsi delle terre della chiesa grazie alla rivoluzione religiosa. Alcune leghe contadine elaborarono programmi radicali di riforma sociale e religiosa. Dal 1524 la Germania meridionale e centrale si infiamma; ma le bande contadine condannate da Lutero vengono presto sconfitte da un'alleanza di principi, alcuni simpatizzanti per Lutero (come il langravio Filippo I d'Assia) e altri ostili alle sue idee (come il duca di Lorena). Lutero invoca la pace e si schiera con violenza contro le rivolte guidate da un suo vecchio sostenitore: Thomas Müntzer. • Si apre la strada per la creazione di chiese evangeliche sotto il controllo delle autorità politiche, che ne approfittano per appropriarsi dei beni ecclesiastici. • Il gran maestro dell'ordine Teutonico, Alberto di Hohenzollern, secolarizza le terre dell'ordine in Prussia e fonda un principato dinastico a proprio vantaggio. L’Assia, la Sassonia e altri principati ne seguono l’esempio. • Nelle libere città il magistrato prende progressivamente il controllo delle strutture ecclesiastiche, sostituendo il clero cattolico con pastori convertiti. Questo passaggio alla riforma può avere luogo in una relativa unanimità come a Strasburgo, o provocare tensioni come a Lubecca, dove il ricco mercante Jurgen Wullenwever approfitta del passaggio alla riforma nel 1530 per imporre un'apertura del consiglio cittadino a nuove famiglie. • Tra tutte le riforme urbane, solo quella di Münster assume una connotazione radicale: alcuni gruppi anabattisti prendono il controllo della città nel 1534 e instaurano un effimero "regno del Nuovo Tempio", che pratica la poligamia e la comunione dei beni in attesa dell'imminente Giudizio Universale. Come in precedenza, si costituisce un'alleanza di principi, che va oltre le rivalità confessionali per schiacciare nel sangue questo tentativo che spaventa l'Europa intera. Ferdinando aveva dovuto affrontare questa grave crisi negli anni ‘20, mentre il fratello si concentrava su Penisola iberica e Italia. Di fronte alle offensive di Solimano il Magnifico aveva dovuto cedere alle pressioni dei principi luterani e aveva tacitamente sospeso la condanna di Worms del 1521, in attesa di un concilio nazionale incaricato di regolare il problema religioso. • La pace con la Francia (1529) e la sconfitta dei Turchi davanti a Vienna permettevano di riprendere la politica di fermezza voluta da Carlo V. • L'unità dei protestanti, intanto, rimaneva fragile a causa delle controversie tra riformatori e soprattutto tra Lutero e Zwingli, che da Zurigo aveva diffuso la riforma nei Cantoni svizzeri. • Urgeva un intervento Imperiale ➳ dopo l’incoronazione a Bologna, l'Imperatore va di nuovo nell'impero. • La dieta di Augusta (1530), in presenza di Carlo V: per gli Stati luterani occasione di presentare una confessione di Fede (Filippo Melantone). Strasburgo e Zurigo fanno lo stesso. I teologi cattolici, guidati da Johannes Eck, presentano una Confutatio della confessione luterana. L'Imperatore reiterò l'ordine di ristabilire la vecchia religione in tutti gli stati dell'impero e restituire i beni ecclesiastici ➳ l’ordine non sortì alcun effetto, causa: situazione politica interna. I nemici di Carlo: • Gli stati protestanti dopo Augusta si organizzano politicamente e militarmente ➳ Nasce la Lega di Smalcalda. Subito contestano l'elezione di Ferdinando a re dei romani. Alcuni stati territoriali, compresi stati Cattolici come la Baviera, non volevano accettare un'evoluzione così marcata della successione Imperiale all'interno della dinastia asburgica. Forte dei precoci legami con Francia e Inghilterra, la lega di S. può imporre all'imperatore di tornare sulle decisioni di Augusta, a causa della minaccia turca. • Solimano nel 1532 ha condotto il suo esercito in Croazia, e ora risale verso Vienna. Carlo V per respingere il sultano deve costituire un immenso esercito di quasi 100 000 uomini. • 1534: la lega di Smalcalda riprende con le armi a Ferdinando il ducato di Württemberg ➳ restituito al duca Ulrico, che subito vi introduce la riforma. Ferdinando deve accettare la sconfitta, in cambio di nuovi sussidi contro i turchi. • Nel frattempo, il re di Francia conduce una politica antimperiale ➳ per recuperare il milanese tenta di ricostituire una coalizione capace di minacciare Carlo V, approfittando di tutte le tensioni interne all'Impero e di tutte le controversie che possono opporlo ad altri Stati europei ➳ La Francia trae grande vantaggio dalle tensioni provocate dal divorzio del re d'Inghilterra: durevole fonte di controversie tra Enrico VIII e Carlo V. Focus sulla crisi inglese: • Dal matrimonio di Enrico VIII con Caterina d'Aragona, zia dell'imperatore, era sopravvissuta solo una figlia, Maria ➳ successione femminile = minaccia per la giovane e contestata dinastiaTudor. 1 11 • Dal 1527 Enrico VIII cerca di ottenere dal papa l'annullamento del matrimonio, il pretesto: la regina aveva in precedenza sposato il fratello minore del re, proibito dalla Bibbia. • Clemente VII, su pressione dell'Imperatore, rifiuta la procedura, in realtà non insolita al tempo. • Re e Parlamento adottano misure antiromane. Il papa minaccia di sanzionare ogni iniziativa reale. La rottura: il nuovo arcivescovo di Canterbury Thomas Cranmer annulla il matrimonio di Enrico con Caterina (1533) e riconosce la validità di quello che il re ha contratto qualche mese prima con Anna Bolena. La nuova regina dà alla luce una figlia: Elisabetta. • L'atto di supremazia (1534) segna la rottura definitiva con Roma ➳la chiesa d'Inghilterra è posta sotto l'autorità esclusiva del re. • Enrico avrà altre 4 mogli, e solo Jeane Seymour gli darà l’atteso figlio maschio: Edoardo VI. • La crisi inglese sul lungo termine non genera solo sviluppi in ambito religioso, ma è anche una minaccia permanente per la stabilità dinastica inglese: possibile contestazione della legittimità dei figli e soprattutto delle figlie di Enrico VIII. • Inoltre, Enrico era in pessimi rapporti con Carlo V. La Francia poteva sperare di unire attorno a sé gli avversari di Carlo, ma anche Francesco I si scontrò con i nuovi antagonismi nati dalla crisi religiosa. Per riconquistare Milano, Francesco I necessitava dell’appoggio delle potenze italiane ancora indipendenti. Ma la Serenissima aveva adottato una politica di prudente neutralità, e restava solo Clemente VII, desideroso di autonomia dalla tutela Imperiale. L'incontro di Marsiglia (1533) suggellava l'alleanza tra il papa e la Francia (matrimonio tra la nipote del papa Caterina de' Medici e il secondogenito del re Enrico Duca d'Orleans). L'efficacia di questa alleanza era però limitata: dal conflitto fra Clemente VII e Enrico VIII (altro potenziale alleato della Francia). Così come i principi tedeschi protestanti. La divisione confessionale rendeva difficile l'unione di tutti gli stati tedeschi ostili all'imperatore sotto la protezione del re di Francia ➳ Contrariamente a una storiografia tradizionale, i conflitti religiosi sono un intralcio sul piano politico sia per Carlo V, che per Francesco I e il suo progetto di coalizione europea antimperiale. Allo stesso modo entrambi hanno di volta in volta messo in conto il fattore religioso nelle lore strategie politiche. Quanto all'impero Ottomano, era minaccia diretta per i possedimenti degli Asburgo e un sostegno insperato per la Francia, che fin dagli anni 20 aveva stretto contatti con Solimano o Barbarossa. Questi contatti portarono nel 1535 l'ambasciata di Jean de la forest a Istanbul e a una più stretta collaborazione militare tra il sultano e il re cristianissimo, a vantaggio della propaganda Imperiale, che denunciò senza tregua la scandalosa alleanza con l'infedele. Entrambi i sovrani ricorrono alla retorica della crociata e della difesa della fede, ma praticano di fatto una politica pragmatica, che sa approfittare tanto delle tensioni tra potenze cristiane e musulmane quanto dei conflitti interni alle due aree. La creazione di presidi spagnoli sulla costa del Maghreb è più volta a respingere l’avanzata ottomana (protettorati su città che restano musulmane), che alla conquista in nome della fede. Carlo V si dimostra abile nel conciliare il discorso tradizionale della crociata con una politica di alleanze con gli stati musulmani ostili agli ottomani. Nell'agosto del 1534 Barbarossa si era impadronito delle città, dove la dinastia Hafside manteneva buone relazioni con gli stati cristiani, e si era posta sotto la protezione di Carlo V. Carlo tenta di trovare un accordo, ma fallisce e arma un'imponente flotta e nel luglio del 1535 conquista Tunisi. Questo successo personale dell'imperatore suscita un'ondata di entusiasmo in tutta la cristianità, particolarmente in Italia. Tuttavia, il successo di Tunisi non ha niente a che fare con l'espansione della fede ed è controbilanciato dai massacri che il Barbarossa compie poco dopo a Minorca, a danno della Spagna: Ancora una volta era difficile conciliare gli interessi strategici di ciascuna delle parti dei possedimenti di Carlo V. Con gli ingressi trionfali a Palermo, a Napoli e a Roma nell'aprile del 1536, Carlo esorcizza simbolicamente il ricordo del Sacco ➳ il clima in cui si svolgono è di urgenza politica a causa della morte dell'ultimo Duca di Milano, Francesco Sforza. Si riaccende la lotta per Milano. • Il re di Francia chiede subito di recuperare il suo Ducato, che avrebbe dato al figlio minore. L'imperatore invece nomina un governatore e annettere la Lombardia. Carlo si fa scrupoli perché non ha alcun titolo per reclamare Milano, che acquisisce per conquista e non eredità; ma tanto per Milano, quanto per i Paesi Bassi, a dargli legittimità è il titolo imperiale. • 1536: Francesco I invade la Savoia, ma non riesce a spingersi fino a Milano. • Ingresso solenne a Roma e discorso di Carlo davanti al papa: elenca tutte le lagnanze contro il Re cristianissimo: dall'alleanza con i turchi e gli eretici fino al mancato rispetto del trattato di Madrid. L'imperatore rifiuta l'accusa di mirare alla monarchia universale e si atteggia a protettore della Cristianità contro gli infedeli e il loro alleato francese. 1 12 • Ma la guerra sembra incerta, le truppe imperiali falliscono nella tentata invasione della Provenza (in parte a causa della terra bruciata adottata dai francesi) e di Marsiglia (forte resistenza). • La Francia non può contare sui propri alleati (Inghilterra e principi tedeschi restano neutrali). Barbarossa è stato indebolito dalla disfatta di Tunisi e Solimano è assorbito dal conflitto con la Persia. In Italia la Francia non può approfittare dell'assassinio del duca di Firenze Alessandro de' Medici, poiché l'esercito degli oppositori antimedicei viene presto battuto dal giovane successore di Alessandro, Cosimo, che mantiene Firenze nell'alleanza imperiale. • Dal 1537 il conflitto tra Francesco I e Carlo V si arena e i due avversari si mostrano disposti ad accettare la mediazione del nuovo Papa Paolo III Farnese (pontifex dal 1534). 1538, a Nizza, Paolo III negozia una tregua tra i 2 sovrani. Si prospetta la possibilità di una collaborazione delle 2 principali potenze dell'epoca. • L'imperatore approfitta della nuova situazione per riprendere l'offensiva contro Solimano e i suoi alleati. Presta aiuto a Venezia. Il sostegno navale a Venezia non è coronato da successo. • L’imperatore pensa anche a una grande spedizione in Oriente, ma Maria d'Asburgo (governatrice dei Paesi Bassi) e il fratello Ferdinando si oppongono. • Nel 1538 Andrea Doria viene sconfitto dal Barbarossa al largo dell'Epiro. Minacciata anche Creta, Venezia finisce per fare pace con il sultano (1540). • Senza un grande sostegno l’imperatore opta per agire allora a favore del regno spagnolo: dirige personalmente una spedizione verso Algeri (1541). È un cocente insuccesso, poiché il maltempo disperde la flotta. • Rispetto alla crisi religiosa, l’alleanza non ha l’efficacia sperata. I negoziati tra cattolici e protestanti sono deludenti. Tra il 1540 e il 1541 gli incontri di Haguenau, Worms e Ratisbona falliscono e l’imperatore deve optare per la soluzione conciliare, che tuttavia ognuno interpreta a modo suo: Il fossato confessionale continua inesorabilmente ad allargarsi. • L'alleanza tra Carlo V e Francesco I era molto fragile, basata su un malinteso di fondo: il re di Francia sperava per questa via di recuperare Milano. Carlo soggiorna in Francia per suggellare l’accordo, ma non ne esce niente di concreto. Nel 1541 Francesco I capisce di essere stato ingannato: il suo rivale non ha alcuna intenzione di restituirgli un ducato, di cui ha accordato l'investitura al figlio Filippo. • Pretesto per il conflitto: assassinio di 2 agenti di Francesco I, da parte di 2 imperiali, al loro passaggio in Lombardia. I due agenti: Antonio Rincon, spagnolo ed ex comunero passato al servizio francese (uno dei più importanti diplomatici francesi presso il Sultano) Cesare Fregoso, genovese. La propaganda imperiale giustificò l’assassinio etichettando i 2 ambasciatori come spie e accusandoli di voler accordarsi con gli Ottomani per un attacco contro la cristianità. L'assassinio determina la rottura definitiva tra i 2 sovrani. La propaganda imperiale giustifica l’accaduto identificandoli come ribelli e spie. Francesco I ribadisce l’inviolabilità degli ambasciatori. • La Francia è isolata ➳ a parte Solimano, i suoi vecchi alleati sono passati dal lato imperiale (come Enrico VIII e i principi protestanti). • Solo l'alleanza franco-ottomana si traduce in una prima vera operazione congiunta, guidata dal Barbarossa: l'assedio di Nizza. • I pochi successi francesi non controbilanciano le difficoltà patite sulle frontiere settentrionali e orientali. L'offensiva imperiale in Champagne minaccia Parigi, costringendo Francesco I a firmare la pace di Crépy (1544). I combattimenti decisivi si svolgano ora tra Francia, Paesi Bassi e Impero e non più in Italia, che resta un campo di scontro importante, ma non costituisce più il cuore delle guerre europee. Tra monarchia universale e gestione patrimoniale La pace di Crépy: non prevedeva cessioni territoriali rilevanti, ma traduceva l'incapacità della Francia di ristabilire con le armi l'ordine europeo. Per stabilire un'alleanza duratura (incoraggiata dal conflitto fra Francia e Inghilterra) fra le due potenze occorreva regolare la contesa su Milano ➳ Il trattato propone una soluzione dinastica: un'alleanza matrimoniale del terzo figlio di Francesco I, Carlo d'Orleans, con Maria, figlia dell'imperatore, o Anna, sua nipote, che avrebbero portato in dote al Principe rispettivamente i Paesi Bassi o Milano. • Per il delfino Enrico questa cessione al fratello minore dei diritti su Milano era lesiva e protesta. Francesco I non esitò a favore gli interessi della propria primogenitura. • Ma l'Imperatore era poco desideroso di perdere uno dei due territori. • La proposta di Milano\Paesi Bassi era stata negoziata da Perrenot de Granvelle e Ferrante Gonzaga, agente fondamentale del consolidamento del dominio spagnolo in Italia. Furono accusati di fare concessioni esorbitanti ad un avversario in svantaggio. Indubbiamente avevano 1 15 Suggella l'alleanza il Trattato di Chambord (1552): promette l'assistenza francese a Maurizio Di Sassonia e i suoi alleati, che si rivoltano contro Carlo V. • Enrico si impadronisce di tre vescovati: Metz, Toul e Verdun, mentre le truppe di Maurizio Di Sassonia attaccano il sud della Germania: l’imperatore è costretto a fuggire. • Tuttavia, l'alleanza si rivela fragile; i principi tedeschi di qualunque confessione non vedono di buon occhio l'occupazione di tre vescovati, terre dell'impero. • Maurizio Di Sassonia non prosegue le ostilità e nel 1552 firma la pace di Passau con Ferdinando: l'imperatore ritornava sull'interim di Augusta. Ferdinando così si assicurava il sostegno dei Principi tedeschi per la successione all'Impero. • Una tregua relativa: continuano i disordini. La pace di Passau permetteva a Carlo V di lanciarsi in una controffensiva per riprendere Metz ai francesi. La brillante difesa del Duca di Guisa e un'epidemia di tifo posero fine all'assedio, che rappresentava un'umiliante sconfitta per l'imperatore (perse 40.000 uomini su 60.000). Nel 1553 sale al trono inglese la cugina di Carlo V, Maria Tudor. È determinata a reintrodurre il cattolicesimo e malgrado l'opposizione dei suoi sudditi a un matrimonio con uno straniero, accetta l'offerta fatta da Carlo V di sposare suo figlio, il principe Filippo. Ma queto non basta a risollevare le sorti degli Asburgo. Le condizioni del matrimonio sono drastiche: il consiglio di Maria Tudor esige il mantenimento della pace con la Francia. Il finanziamento della guerra era il problema maggiore per l'imperatore, dato che diversi stati avevano già sostenuto grossi sforzi per la guerra di Smalcalda. Napoli teme un'invasione franco-ottomana, non vuole sostenere Milano nella guerra di Parma. Comunque, dal 1551 al 1554 dovrà finanziare gli eserciti imperiali in Lombardia, al prezzo di un indebitamento massiccio. Così dovranno fare anche i Paesi Bassi. I diversi possedimenti si rivolgono allora alla Castiglia e fanno garantire i loro debiti dal tesoro Castigliano, su cui grava il principale fardello finanziario della guerra. Il sistema europeo che aveva assicurato il potere imperiale era ormai a brandelli ➳ il governo familiare aveva mostrato i propri limiti; l’alleanza matrimoniale con l'Inghilterra non permetteva di ricostituire un fronte antifrancese efficace; le diverse componenti dell'impero cercavano di far prevalere le proprie priorità strategiche a scapito degli altri fronti e manifestavano il proprio malcontento davanti al peso fiscale imposto dallo sforzo bellico. Infine, la rete dei grandi aristocratici europei al servizio dell'imperatore si riduceva drasticamente, per caduta in disgrazia, morte o cambiamento di campo ➳ Carlo V deve accettare di lasciare che Ferdinando negoziasse la pace nell'Impero, anche se disapprova eventuali concessioni agli stati protestanti. La pace di Augusta, firmata il 25 settembre 1555, dava ai principi territoriali il pieno riconoscimento della libertà di scelta tra cattolicesimo e luteranesimo (cuius regio eius religio), la confessione protestante ottiene così uno statuto legale nell'Impero. - Però i principati ecclesiastici non potevano passare nel campo avverso: ciò facilitava il mantenimento di una maggioranza cattolica nel collegio dei sette elettori che dovevano designare l'imperatore. -I sudditi che non volevano vivere sotto la legge dell'altra confessione avevano il diritto di emigrare. -L'autorità Imperiale garantiva l’equilibrio politico fra cattolici ed evangelici, che assumeva posizione neutrale, per garantire stabilità e pace nell'impero. Ferdinando e poi suo figlio Massimiliano fecero molto per il successo di questa formula di compromesso, che Carlo V non volle avallare. I fallimenti politici di Carlo: il compromesso religioso e la tregua con il regno di Francia, l’imperatore e Filippo (doppia mediazione: pontificia e inglese). Nonostante il parziale miglioramento della situazione militare, in particolare con la ripresa di Siena da parte degli Spagnoli, le condizioni della tregua con la Francia, che conservava tutte le proprie conquiste, erano dure per gli Asburgo e vennero accettate solo nel 1556, quando Carlo aveva già lasciato il potere. Concetto di fallimento è però da sfumare. La decisione dell'imperatore di abbandonare tutti i suoi titoli per ritirarsi in un monastero (Yuste in Estremadura) impressionò i contemporanei. La regia delle abdicazioni (1555\56) messa in scena a Bruxelles in favore del figlio fu molto accurata: • Rinuncia prima alla carica di gran maestro del Toson d’oro, che affida a Filippo. • Lasciava a Filippo Paesi Bassi e Franca Contea, cerimonia pubblica davanti ai rappresentanti delle province. • Infine, si dismise dalle corone spagnole, a Filippo. • Comunicato (meno solenne) per cedere l’impero al fratello Ferdinando. Il destino dei due rami della dinastia asburgica era ormai distinto, anche se Carlo manifestava chiaramente che il vero erede era suo figlio Filippo. Carlo V non era mai riuscito a sconfiggere contemporaneamente tutti i suoi nemici. Questi ultimi non erano mai riusciti a costituire una coalizione duratura. Il fallimento deve dunque essere in gran parte relativizzato: Carlo V non ha perseguito un disegno politico fisso, ma ha mantenuto aperte varie opzioni politiche. 1 16 La spartizione del suo impero era già in opera all'inizio del suo regno, quando affidò i territori austriaci al fratello Ferdinando, rendendolo potenziale successore alla corona imperiale. Solo l’insieme di Filippo però poteva pretendere di mantenere il dominio in Europa. PARTE SECONDA - L'Europa di Filippo II Le abdicazioni del 1555/56 consegnavano a Filippo un insieme politico che poteva aspirare a conservare la supremazia sull'Europa cristiana. Le scelte strategiche e politiche del nuovo sovrano nei primi anni di regno consolidarono questa supremazia: vittoria sulla Francia e si dà un vero centro politico alle terre poste sotto il suo dominio ➳ La Spagna e Madrid (anche se di Spagna come realtà politica autonoma non si poteva ancora parlare). Si apre un lungo periodo di tensioni decisamente meno acute. All'interno di questa evoluzione la politica spagnola ha svolto un ruolo chiave. In alcune aree la frattura confessionale ha avuto effetti politici molto ridotti: • In seguito alla netta vittoria di una confessione, come accade con il cattolicesimo post tridentino più intransigente in Italia e Spagna o con il luteranesimo nei regni scandinavi. • Attraverso formule durevoli di status quo e di coesistenza confessionale, come in Svizzera, nell'Impero o Polonia. Invece in Europa nordoccidentale, soprattutto in Francia e Paesi Bassi, l'indebolimento del potere politico si somma allo scontro confessionale, provocando una crisi profonda e duratura. La ripresa della guerra Il nuovo sovrano ereditava anche il conflitto con la Francia. Con la tregua di Vaucelles la Francia aveva assunto una posizione di forza, Filippo di debolezza. Papa Paolo IV (violentemente antispagnolo) ne approfitta per cacciarlo dall'Italia con l'aiuto della Francia, che rompe la recente tregua. Il conflitto inizia nel 1551. • Maria Tudor fa entrare in guerra l'Inghilterra a fianco di Filippo, suo marito. • Filippo riallaccia i rapporti con i tradizionali alleati del padre: lascia Siena, riconquistata dagli spagnoli, al duca di Firenze Cosimo de' Medici. • L'esercito inviato dalla Francia in soccorso del papa, comandato dal duca di Guisa, non è di grande aiuto, perché Filippo ha concentrato gli sforzi sulla Francia del Nord (ci arriva tramite i Paesi Bassi). • 1557, battaglia decisiva di San Quintino (Fiandre) l’esercito franco-papale viene sconfitto da quello spagnolo e contingenti savoiardi, che però non riesce a marciare su Parigi per mancanza di mezzi. L’Italia è definitivamente sotto dominazione spagnola e la Francia non vi possiede più alcun punto d’appoggio. La monarchia spagnola constata il valore dei PB. Filippo II applica una nuova strategia molto efficace: non concentrarsi sui teatri di guerra in cui la vittoria non sarà mai decisiva (es: Italia), ma far partire dai Paesi Bassi le offensive verso il cuore della Francia. La strategia risponde alla necessità di ottenere vittorie veloci, visti i costi insostenibili delle guerre. Il conflitto è stato insostenibile x tutti a livello finanziario. La Spagna ha cercato di recuperare denaro: • In Spagna, Giovanna d’Asburgo, sorella e reggente in vece di Filippo, affronta il clero che si rifiuta di pagare le tasse, non più approvate da Paolo IV ➳ Giovanna ordinerà che i versamenti riprendano, ma 9 vescovi minacceranno di cessare ogni culto. • Filippo è costretto a ordinare la confisca dei carichi preziosi delle navi di ritorno dalle Americhe. Nonostante i provvedimenti, Filippo nel 1557 è costretto alla bancarotta: rovina la finanza castigliana e incrina i legami con i banchieri tedeschi, un tempo pilastri dell’Impero di Carlo V. Il re di Spagna però può contare ancora sulla finanza genovese, che diverrà fondamentale. Filippo cerca ora di redistribuire il peso del debito dalla Castiglia agli altri domini, a discapito di Napoli e i Paesi Bassi. Anche in Francia la monarchia aumenta le tasse, mal tollerate. Nascono nuove tasse, uffici venali e vengono istituiti i tribunali civili, per reperire nuove risorse. Nelle provincie vengono inviati i maître des requetes per sovrintendere all’esazione delle imposte. Ma dopo la sconfitta di San Quintino la situazione continua a peggiorare. Enrico II evita la bancarotta ma deve sospendere o posticipare i pagamenti: il risultato per i finanzieri dunque è il medesimo. Il sovrano deve rinunciare a una condotta autoritaria dell'economia di guerra e rivolgersi all'assemblea dei notabili, che nel 1558 accetta di dargli solo 2 dei 3 milioni di ducati richiesti. Oltre alle imposte, impopolare è anche la guerra. Per capire il quadro occorre inoltre tener conto delle inquietudini religiose all'interno delle 2 monarchie cattoliche. 1 17 • In Francia intorno al 1555, si va costituendo una chiesa riformata sul modello ginevrino, attorno a pastori clandestini inviati da Calvino. Avrà grande seguito nelle élites: urbane, reali, nobili. La guerra è vista da queste nuove comunità religiose come una punizione divina. La politica di rigida repressione verso tali comunità si rivela inefficace e si moltiplicano incidenti e dimostrazioni di forza. Nel 1559 si riunisce a Parigi un primo sinodo delle Chiese riformate. • In Spagna il pericolo sembra assai più ridotto, ma la scoperta di comunità protestanti a Siviglia e a Valladolid inquieta il potere, che attiverà una feroce repressione (con l’approvazione di Carlo V ritirato). Soprattutto nei Paesi Bassi poi, si verifica un importante focolaio di dissidenza religiosa. Il trattato di Cateau-Cambrésis Difficoltà interne (religiose, sociali) e finanziarie spingono Filippo II e Enrico II alla pace di Cateau- Cambrésis del 1559. Filippo non poteva più contare sull’appoggio inglese: Maria Tudor era morta nel 1558, le succede Elisabetta (figlia di Enrico VIII e Anna Bolena), che resta fedele all’alleanza spagnola ma mantiene distanza. Neanche l'Impero può essere di grande aiuto, anche se i principi tedeschi reclamano la restituzione dei tre vescovati, ad opera di Enrico II. Anche la Francia è isolata in modo evidente. Il trattato di Cateau-Cambrésis ha tutte le caratteristiche dei trattati di pace firmati dopo il 1529: i due avversari cercano anzitutto una sospensione, una tregua, per poter poi riprendere meglio la lotta. La Francia deve fare la maggior parte delle concessioni: Enrico II conferma le precedenti rinunce in Italia (Milano e Napoli), dopo oltre 50 anni di sforzi per il controllo della Penisola. Restituisce la Corsica a Genova e la Savoia al Duca Emanuele Filiberto di Savoia. Enrico II tuttavia conserva i tre vescovati e Calais, il che fornisce garanzie contro la possibile offensiva da parte dell'Impero e soprattutto contro le invasioni inglesi. La Francia conserva anche il Marchesato di Saluzzo e alcune fortezze in Piemonte che lasciano aperte possibilità di nuovi interventi in Italia, tanto più che Emanuele Filiberto di Savoia sposa la sorella del re Margherita di Valois, aprendo così una prospettiva di possibile cambio di alleanza. Il trattato di Cateau-Cambresis lasciava aperta anche la possibilità di un Alleanza Cattolica tra le due monarchie mediante il matrimonio di Filippo con la figlia di Enrico II, Elisabetta di Valois - e grazie al concilio che i due sovrani si apprestavano a chiedere al papa per mettere fine alle divisioni religiose. Ma questa ipotesi non sembrava la più verosimile ai contemporanei, tanto più che la successione inglese rappresentava un possibile terreno di scontro tra i due sovrani. La corona di Elisabetta, frutto di un'unione ritenuta illegittima dalla chiesa cattolica, poteva essere contestata dalla pretendente cattolica, la più vicina all'ordine di successione: Maria Stuart, regina di Scozia e moglie del delfino di Francia. Filippo da sostegno alla nuova regina, onde evitare un'alleanza anglo-francese. Nonostante la naturale evoluzione di Elisabetta verso il protestantesimo, sola scelta possibile per garantire la sua legittimità. La pace di Cateau-Cambrésis non fu duratura, a causa dell’indebolimento della Francia ➳ profonda crisi religiosa e politica. Il regno di Francia affrontava l'emergere di una chiesa riformata, che beneficiava di potenti relazioni all'interno della nobiltà, proprio mentre l'autorità regia era compromessa (morte accidentale di Enrico II, 1559. Avvento del figlio Francesco II, di 16 anni, che lascia il governo ai Guisa). Tutto ciò sconvolge gli equilibri delle fazioni e la situazione paralizza il governo del Regno. I conflitti interni hanno la meglio su quelli esterni. L'Italia e l'Impero sono stati i soli a trarre realmente profitto da una pace europea molto relativa. Uno spazio geopolitico autonomo: il Baltico. L'emergere di una Svezia indipendente L'Europa del Nord ➳ è un’area con una propria autonomia geopolitica e suoi nodi strutturali: • A inizio ‘500 si rompe l’Unione di Kalmar, tra Danimarca, Norvegia e Svezia (risaliva a fine ‘300): La Svezia diventa indipendente, regnano i Vasa. • Scontro per il controllo dello stretto del Sund tra Lega anseatica, Danimarca, mercanti inglesi e olandesi. Vince il Re di Danimarca e impone una tassa sull’attraversamento dello stretto. • Crolla la dominazione dei cavalieri Portaspada, separatisi dai cavalieri Teutonici al momento della loro secolarizzazione nel 1525: si crea una zona di incertezza politica in Livonia ➳ cercano di approfittarne le potenze del Baltico e una nuova venuta: la Russia di Ivan IV il Terribile, ancora poco integrata nel gioco politico europeo. • Predomina la Riforma: il Baltico è un lago luterano. • Le monarchie dell'Europa del Nord, malgrado un'evoluzione verso i modelli politici occidentali, conservano le proprie specificità: monarchie principalmente elettive e nobili molto coinvolti nelle istituzioni. 1 20 preoccupato da una possibile nuova offensiva ottomana, Filippo II decide di moderare le leggi repressive verso gli eretici, tardivamente. L’esitazione di Filippo ha esacerbato le tensioni: scoppia un movimento iconoclasta nel sud dei Paesi Bassi e si diffondendosi rapidamente. All'origine: attivissimi gruppi calvinisti (radicalizzazione del conflitto). Distruzione di statue nelle chiese e profanazioni non lasciano indifferente il re cattolico. Il principe di Eboli consiglia al re di recarsi di persona nei Paesi Bassi per ristabilire l'ordine usando la clemenza; ma Filippo segue il duca d'Alba, che raccomanda una severa repressione militare. Un esercito spagnolo comandato dal duca d’Alba insorge, ottiene presto il controllo del territorio respingendo la controffensiva di Guglielmo d'Orange: la repressione può avere inizio, con l'istituzione di un Consiglio dei Torbidi, tribunale speciale incaricato di punire i crimini di rivolta ed eresia. I conti di Egmont e di Horn vengono così condannati a morte per tradimento e giustiziati (1568). Non mancano le fughe di accusati che sono riusciti a organizzarsi per sfuggire alla repressione, a cominciare da Guglielmo d'Orange, e tentano ormai lontani operazioni per mare e per terra contro l'esercito spagnolo. Antagonismi confessionali e relazioni internazionali alla fine degli anni 60 La massiccia presenza spagnola nei Paesi Bassi è vista come minaccia dai vicini e porta instabilità ➳ Se ne vedono i risultati in Francia (coesistenza confessionale fragile) ➳ Caterina de' medici rifiuta di far passare le truppe spagnole, vuole preservare il regno dai disordini dei Paesi Bassi. Il capo del partito ugonotto, il principe di Condé, si convince dell'esistenza di un complotto cattolico appoggiato dalla Spagna e tenta di sequestrare il re (sorpresa di Meaux), ma fallisce. Riprende la guerra civile. L'esercito protestante è sconfitto spesse volte (verrà ucciso Condé) ma l'esercito reale non riesce ad avere la meglio, a causa dell'abilità tattica dell’avversario Coligny e dell'appoggio del "calvinismo internazionale" (gueux: gli appartenenti al partito politico e religioso protestante che nei Paesi Bassi iniziò il movimento avverso alla dominazione spagnola). La Spagna e il papato sostengono il partito cattolico, ma non possono impedire a Caterina de' Medici di negoziare la pace di Saint Germain (1570). I protestanti francesi accettano una libertà di culto limitata e ricevono 4 piazzeforti di sicurezza, tra le quali La Rochelle. ➳ Altra importante conseguenza è il deterioramento delle relazioni anglo-spagnole. I disordini interessavano province economicamente legate all'Inghilterra, così gli interessi inglesi erano minacciati. Elisabetta aprì i porti ai gueux de mer, corsari che non davano tregua alle flotte spagnole e così permise lo sviluppo di una corsa inglese. Nel 1568 la spedizione di John Hawkins nel Mar delle Antille incontrò una ferma opposizione spagnola. Infine, il sequestro dei carichi spagnoli nei porti inglesi nello stesso anno (in particolare il sequestro delle paghe dei soldati di stanza nei Paesi Bassi), provocò la pronta risposta del duca d'Alba, che arrestò diversi mercanti inglesi presenti nella provincia ➳ne consegue la naturale rottura quinquennale dei rapporti commerciali tra le 2 potenze. Il governo elisabettiano reagì instaurando relazioni commerciali con altri porti (soprattutto Amburgo) e non contrastando le attività di corsa contro gli spagnoli. Per la Spagna la sicurezza nell'Atlantico era ormai un problema cruciale. L’incrinarsi dei rapporti anglo-spagnoli ha anche un spetto confessionale. Elisabetta considerò la rivolta dei cattolici nell’Inghilterra del Nord a favore di Maria Stuart e la bolla Regnans in excelsis fulminata da Pio V (per deporre Elisabetta) come idee di Filippo II. Si sbagliava, ma i rapporti peggiorarono. Nel 1568 scoppia la rivolta dei moriscos a Granada, figlia della politica di assimilazione forzata iniziata nel 1566. Le popolazioni moresche erano già state convertite a forza al cristianesimo nei primi del ‘500: nonostante ciò avevano conservato la loro coesione culturale e sociale. Dal 1566 però la monarchia vieta abbigliamento e lingua araba, distrugge i libri e confisca le armi, sotto una forte pressione inquisitoriale. La popolazione è esasperata: inizia la rivolta, prima nell'Albacín di Granada, presto in una zona montuosa vicina, le Alpujarras. Per oltre 2 anni i moriscos (guidati da Abén Humeya) e la monarchia spagnola (guidata da Giovanni d’Austria) si scontrano. La monarchia teme che Marocco, Algeri e l’Impero ottomano appoggino militarmente la rivolta, ma le richieste di aiuto dei moriscos sono ignorate. Giovanni d'Austria può soffocare crudelmente la ribellione (1571). La maggior parte della popolazione moresca del regno di Granada, circa 150.000 persone, venne deportata in Castiglia, con pesanti perdite umane. Da Lepanto alla successione portoghese - Fronte mediterraneo e fronte atlantico • 1570, L'impero ottomano passa all'offensiva nel Mediterraneo, invade Cipro e prende Tunisi. • Le potenze italiane più minacciate si uniscono alla monarchia spagnola in una Lega santa patrocinata da papa Pio V. • La flotta della lega è comandata dal fratellastro di Filippo II, don Giovanni d'Austria. Nel 1571 la flotta della lega sconfigge quella turca a Lepanto ➳ grande entusiasmo nell'Europa cattolica • La vittoria non ha molto seguito, poiché Filippo indirizza le forze della lega verso Tunisi. 1 21 • Venezia nel 1573 stipula una pace separata con gli ottomani, che nell’anno successivo riconquistano Tunisi. • 1578 tregua tra la monarchia e i turchi. Il Mediterraneo non costituisce più una zona di aperto conflitto, ma permane la guerra di corsa; la spagna riduce la sua flotta e sposta l'impegno verso l'Atlantico. Filippo II era reticente a impegnarsi nella Lega santa perché nei Paesi Bassi la situazione non era stabile. Il duca d'Alba controlla militarmente il territorio, il che comporta un grande impiego di risorse. Ma i gueux erano sostenuti da inglesi, ugonotti francesi e alcuni stati tedeschi. Il duca d’Alba tenta di imporre nuove imposte per svincolarsi dalle sovvenzioni spagnole, ma gli Stati generali si oppongono e al tentativo di imporle con la forza divampa la ribellione. L’insurrezione nei Paesi Bassi riprende per questo motivo, e a causa della repressione religiosa durissima. Aprile 1572, i gueux prendono il porto di Brielle, mentre Guglielmo d’Orange attacca a Sud e le province di Olanda e Zelanda si ribellano. Il conflitto dei paesi bassi vive una fase nuova: un insieme territoriale coerente è ormai controllato dai rivoltosi, che hanno un reale appoggio internazionale, contro una monarchia spagnola impegnata nel Mediterraneo. L’Inghilterra non ne vuole sapere di intervenire direttamente; le speranze dei ribelli (Gugliemo d’Orange e i suoi sostenitori) si spostano in Francia, dove le Chiese riformate desiderano aiutare i rivoltosi: si spera in Carlo IX di Francia. Così Coligny presenta un progetto di aiuti militari che va in questa direzione. Nel maggio 1572 Luigi di Nassau si impadronisce di Mons, con l’aiuto di volontari ugonotti. • La riconciliazione fra monarchia francese e partito ugonotto doveva essere sancita dal matrimonio fra la sorella del re, Margherita di Valois, e Enrico di Nassau (Navarra). • Francia e Inghilterra firmano a Blois un trattato difensivo (1572). • Coligny s'installa a corte e cerca di costituire un fronte di avversari della monarchia cattolica. • La convergenza si rompe nella notte di San Bartolomeo: alla celebrazione delle nozze tra Margherita ed Enrico di Navarra, in una Parigi ostile alla riconciliazione con gli ugonotti, segue un attentato contro l'ammiraglio Coligny. • Dopo l’attentato, massacro dei protestanti a Parigi e incarcerazione di Enrico, costretto ad abiurare la fede riformata. Il Re si prenderà le responsabilità dell’eccidio che si ripete nelle province. La minaccia di un intervento francese nei Paesi Bassi si allontana. La responsabilità dell'attentato e del massacro è oggetto di vasti dibattiti storiografici, ancora aperti per mancanza di fonti affidabili. La conseguenza della notte di San Bartolomeo sul piano internazionale è comunque innegabile: La ripresa della guerra civile preclude a lungo alla Francia la possibilità di prendere iniziative estere di rilievo. Discredito dei Valois. Lo stallo spagnolo nei Paesi Bassi e la questione portoghese La minaccia francese si allontana ma Filippo II va comunque incontro a gravi difficoltà nella guerra nei Paesi Bassi: per mare la flotta spagnola è sguarnita rispetto ai gueux de mer. La controffensiva per terra del Duca d’Alba è una spossante guerra d'assedio. 1573, il massacro di Haarlem incoraggia i ribelli a resistere. Il duca d’Alba viene sostituito da Luis de Requesens, governatore di Milano, ma la situazione non muta, devastata dall’esaurimento finanziario: Le truppe spagnole non pagate fanno ammutinamento e cresce lo stato d’anarchia. Nel settembre 1575 la corona di Castiglia è costretta a dichiarare bancarotta. La morte di Requesens l'anno successivo lascia un vuoto al comando. L'ammutinamento diviene generale e le truppe si rifanno sulla popolazione locale. Le province rimaste fedeli alla Spagna scelgono di trattare con Olanda e Zelanda. Vengono convocati gli Stati Generali di quelle province, che manifestano così di fatto la loro Indipendenza. Le province stipulano la pacificazione di Gand, che intima la partenza delle truppe spagnole e propone uno status quo religioso, con l'autorizzazione del culto calvinista solo in Olanda e Zelanda. L'unione delle province viene rafforzata dal terribile sacco di Anversa per mano delle truppe ammutinate. Nel febbraio 1577 gli Stati Generali impongono al nuovo governatore Don Giovanni d'Austria un editto perpetuo che dà loro pieni poteri nel determinare l'organizzazione politica e religiosa dei Paesi Bassi, ed esige la partenza di tutte le truppe spagnole. Grazie a una tregua col sultano e all’ottenimento di nuove risorse, Don Giovanni può riprendere in mano la situazione dopo un paio di mesi: richiama le truppe e riprende l'offensiva. Davanti a lui il fronte comune delle province ben presto si sgretola e gli Stati Generali si dividono tra i sostenitori di Guglielmo d'Orange, riconosciuto stadhouder (governatore) e i suoi avversari, così come tra calvinisti e cattolici. Il clima internazionale rimane ostile alla riconquista spagnola, che ha riscosso un primo successo a Gembloux (1578). La Francia sembra di nuovo voler intervenire nei Paesi Bassi. 1 22 Ma l’impegno nei Paesi Bassi della monarchia spagnola scema, a causa di una nuova priorità: muore durante una spedizione in Marocco il re del Portogallo, Sebastiano (disastrosa battaglia di Alcazarquivir, 1578). L'ultimo degli Aviz, il vecchio cardinale Enrico, è solo un re di transizione: il trono è vacante. Filippo, figlio di un’infanta portoghese, reclama la corona. Muore Enrico (1580), invade il Portogallo e si fa proclamare re, in cambio di precise garanzie e del mantenimento dell'autonomia portoghese. Per assicurare il nuovo dominio si installa a Lisbona per 3 anni, assenza dalla Castiglia senza precedenti. Gli scontri degli anni ottanta - Non sufficit orbis Diventando re del Portogallo Filippo II restaurava l'unità della Hispania precedente alla conquista araba, motivo di grande prestigio. Soprattutto egli univa i due soli veri imperi coloniali europei del ‘500 in una monarchia "mondiale", con interessi strategici nello spazio atlantico. Il punto di svolta della successione portoghese è accompagnato dallo sconvolgimento delle fazioni a Madrid: • Da una parte abbiamo la caduta in disgrazia del segretario di stato Antonio Pèrez, capo fila del movimento papalista erede degli ebolisti. Egli proponeva una cooperazione con gli stati cattolici e un uso moderato della potenza spagnola. • Arrestato, lascia campo libero ai sostenitori di una politica imperiale aggressiva (cardinale de Granvelle) o di una difesa intransigente degli interessi castigliani (Mateo Vàzquez). Filippo vede di mal occhio l’opposizione di Inghilterra e Francia al suo titolo di re portoghese e si sente minacciato da quest’ultima anche nei Paesi Bassi, dove aveva limitato le risorse (truppe e denaro) ad Alessandro Farnese, nuovo comandante dei PB. Alessandro era riuscito a rafforzare la posizione di Filippo identificandolo con la causa cattolica, in risposta all’offensiva calvinista sempre più intensa e violenta, specialmente nel Sud. Gand divenne una repubblica cittadina riformata, in cui il culto cattolico è proibito, focolaio di diffusione del calvinismo radicale in tutta la Fiandra. • Alessandro conclude il trattato di Aras (1579) con 3 province cattoliche del Sud (Artois, Cambrésis, Hainaut) preoccupate dalla pressione calvinista: riconoscono la sovranità di Filippo. • Le province del Nord, riunite attorno a Olanda e Zelanda, rispondono con l'Unione di Utrecht, che si avvia progressivamente verso l'indipendenza. • 1581: l'Atto dell'Aia votato dagli Stati Generali constata la vacanza del potere del principe nei Paesi Bassi, avendo Filippo disertato le proprie responsabilità di sovrano verso il suo popolo. L'Atto tuttavia è prudente. Gli Stati si rivolgono alla Francia e a Francesco d'Angiò. • 1580: il trattato di Plessis-lès Tours offre al duca d'Angiò gli ex possedimenti di Filippo II. • Francesco prende Cambrai (1581) ma non riesce ad imporre la sua autorità ai nuovi sudditi: antagonista principale è Guglielmo d'Orange, che rimane padrone della situazione. Francesco è costretto a tornare in Francia dopo il fallito tentativo di prendere Anversa (1583). • Seppur fallite, per la Spagna le imprese francesi nei Paesi Bassi erano il segno di una politica sistematicamente ostile della Francia verso la Spagna (minaccia diretta). • Per difendersi, dal 1582, la Spagna dedica nuovi fondi alla riconquista dei PB e Alessandro Farnese può riprendere progressivamente il controllo delle province del Sud. La successione francese e la guerra anglo-spagnola La Francia in realtà non aveva i mezzi per una politica espansionistica di vasta portata. • Enrico III di Francia, succeduto Carlo IX nel 1574, non era riuscito a imporre l'autorità regia nel paese in preda all’anarchia. Le tregue succedutesi con gli avversari ugonotti non venivano mai veramente rispettate. • Nel 1575 una parte dei cattolici, i malcontents, si era persino alleata ai protestanti sotto la bandiera del duca d'Angiò, per contestare lo stato del Re: la nobiltà voleva spazio. • Il re non he eredi (coppia reale sterile): è un grave problema politico, che impedisce la restaurazione di un forte potere regio. Muore il duca D'Angiò (1584), la successione francese è aperta: le donne sono escluse dalla corona e dalla trasmissione dei diritti al trono. La legge salica designa come erede Enrico di Borbone re di Navarra, capo del partito protestante. • Un re protestante è inaccettabile per la maggioranza Cattolica del regno. Si costituisce una lega cattolica all’opposizione, che racchiude città e grande nobiltà cattolica, diretta dal duca Enrico di Guisa: Si oppongono all’elezione di Enrico di Borbone, chiedono l’estirpazione dell’eresia e designano il vecchio cardinale Carlo di Borbone, unico Borbone cattolico. • Il re sotto pressione della Lega promulga l'Editto di Nemours e bandisce la religione riformata. • Enrico di Nav. organizza una resistenza efficace nel sud ovest, conta sull'appoggio dell'Europa protestante. 1 25 Alla fine del XVI sec il contrasto tra un'Europa nordoccidentale dilaniata dagli interminabili conflitti francesi e olandesi, e un'Europa centrale che gode di pace e stabilità è sempre più relativo. Tuttavia è vero che in Europa centrale le tensioni religiose non sfociarono in scontri generali e le successioni, seppur difficili, non sfociano in guerre estese. Unione di Lublino (1569): il regno di Polonia è fuso con il granducato di Lituania, in un solo stato. • La dinastia degli Jagelloni, artefice di quest'unione, si estingue pochi anni dopo, con la morte di Sigismondo II Augusto. Ne conseguì una considerevole instabilità politica, pur senza mai degenerare in conflitto generale. • L'elezione di Enrico di Valois (1573) (futuro Enrico IV) non fu una soluzione duratura in quanto egli, per raccogliere l'eredità della corona francese, fuggì dal regno dopo la morte del fratello Carlo IX (1574). • L'imperatore Massimiliano II tentò di farsi eleggere al suo posto, ma la sua elezione fu contestata dal voivoda di Transilvania, e Stefano Báthory di Transilvania, sostenuto dai turchi, s'impose come re. • Alla morte di Báthory nel 1586 la casa d'Austria fa un altro tentativo e viene eletto re l'arciduca Massimiliano. La sua elezione è però contestata da Sigismondo III Vasa, che ha la meglio dopo una breve guerra. Nel 1589 gli Asburgo devono formalmente rinunciare alla Polonia. Questi conflitti non hanno mai avuto l'ampiezza della contemporanea guerra di successione francese; tuttavia, hanno avvicinato gli Asburgo d'Austria alla monarchia spagnola. La guerra turca iniziata nel 1593 accentua questo bisogno, anche se Filippo II non interviene direttamente. Così alla fine del ‘500 si elabora un asse tra i due rami degli Asburgo. Poi abbiamo il ritorno, ancora molto parziale, della Francia come potenza capace di tenere testa alla monarchia spagnola. Tuttavia, Enrico IV non può seguire fino in fondo questa politica, per mancanza di mezzi e forse di una netta volontà politica (manifesta le esitazioni degli ultimi Valois). La monarchia spagnola, sebbene ancora potente in Europa, dopo il 1598 non può più sperare di acquisire un'egemonia che negli anni Ottanta sembrava ancora possibile. 3 Poteri e forme del potere in Europa nel XVI secolo - dibattito sulla modernità degli stati del ‘500 Il dibattito che si interrogò per stabilire se gli Stati del ‘500 fossero veramente moderni o piuttosto di stampo medievale, è in gran parte superato. Inoltre, occorre tener conto della diversità delle esperienze politiche e del loro carattere talvolta provvisorio. Principi e repubbliche - La permanenza del modello repubblicano Il potere principesco è la forma più visibile, tuttavia non l’unica. Non bisogna seppellire troppo presto repubbliche e istituzioni civiche. A Firenze abbiamo il declino delle forme repubblicane a vantaggio del principato dei Medici. Il caso è considerato paradigmatico, tuttavia abbiamo esempi contrari. • Genova sperimenta dal 1528 al 1560 una forma di principato mascherato sotto la ferma direzione di Andrea Doria, che richiama la repubblica fiorentina dominata dai Medici. • Il mito politico di Venezia è diffusissimo: la saggezza delle istituzioni della Repubblica è un luogo comune nella letteratura dell'epoca, insistente sul perfetto equilibrio tra la monarchia, il doge, l'aristocrazia del Senato e la democrazia incarnata dal Gran consiglio. Nonostante alcune voci critiche, come quella di Jean Bodin, sottolineino come la Serenissima sia in realtà un'oligarchia, non cambia l'immagine di stabilità in confronto al caos delle guerre d'Italia. • I cantoni svizzeri sono un altro esempio di potere repubblicano. La gestione politica dei cantoni è nelle mani di oligarchie divise politicamente e religiosamente, ma anche capaci di prudenza e conservatorismo istituzionale, che garantiscono una stabilità invidiabile per le vicine monarchie. • Dopo molte esitazioni, le Province Unite aderiscono alla forma repubblicana (solo nel 1588). Le istituzioni della nuova repubblica vengono costituite a tappe, all'interno di equilibri complessi rivelatori dei rapporti di forza tra la casa Orange-Nassau, gli Stati generali e le province più importanti, in particolare l'Olanda, che domina la federazione delle 7 province settentrionali. Lo stadhouder in origine era una funzione unicamente provinciale, assume con Maurizio di Nassau una maggior rilevanza politica, divenendo la carica principale insieme a quella di gran pensionario della provincia d'Olanda, nominato a vita, il cui potere si estende alla Repubblica (Jan van Oldenbarnevelt fu uno dei più potenti). Il modello repubblicano resta ben presente e vivo in Europa, non incompatibile con il potere monarchico. Nell'Europa del ‘500, infatti, esistono molteplici combinazioni tra elementi repubblicani e monarchici. • Nel 1569 l'unione tra Polonia e Lituania in una monarchia elettiva è giustamente presentata come una repubblica nobiliare. 1 26 • Nei più importanti stati principeschi le città costituiscono spesso una sorta di repubbliche autonome. Esempio: A Bologna lo stato pontificio ha conservato con difficoltà la propria tutela durante le guerre d'Italia, e le élites locali gestiscono la città d'intesa con il legato papale. • Nell'impero, le città libere conservano un'indipendenza rafforzata dalla Riforma, cui hanno aderito massicciamente e che dà loro il controllo delle strutture ecclesiastiche. Mentre il potere centrale s'indebolisce, queste repubbliche passano talvolta a un'indipendenza politica di fatto. • Nella Francia delle guerre di religione il potere municipale è una delle poche istituzioni a sopravvivere e persino a rafforzarsi. Numerose città conducono una propria politica estera autonoma, ad esempio: diverse città bretoni dopo il 1589 aderiscono alla Lega chiedendo la protezione di Filippo II, ma prendono contatto anche con le potenze protestanti per preservare i propri interessi. Enrico IV è cosciente di questo tessuto municipale e tiene conto di queste repubbliche cittadine (se necessario epurate dagli elementi ostili) per riconquistare il regno. Il modello repubblicano è anzitutto un modello oligarchico e conservatore. Rispetto a monarchie con immensi bisogni fiscali, le oligarchie repubblicane danno illusione di stabilità. Tuttavia, il sistema principesco appare il più naturale e efficace alla > dei pensatori politici del tempo. Per i trattati monarcomachi il potere del principe, purché rispetti le regole di una monarchia moderata e lo spirito consiliare, resta la forma di governo ideale e la più conforme all'ordine cristiano ( nonost frattura conf). Le molteplici sfaccettature del potere sovrano Ogni principe è tale per grazia di Dio. Nonostante l’elezione divina sia ormai intesa in modi diversi in Europa, il fondamento teologico del potere politico resta invariato. La monarchia elettiva è sempre una realtà presente, soprattutto in Europa centrale. Papa e imperatore sono due sovrani eletti. • L’elezione del Papa è un meccanismo politico complesso che passa attraverso un Sacro collegio molto più numeroso rispetto ai secoli precedenti, in cui si riversano le rivalità delle grandi potenze cattoliche, il gioco politico di stati italiani e grandi famiglie romane, la lotta tra fazioni cardinalizie e il crescente ruolo della burocrazia curiale (spec. Congregazione del Sant'Uffizio). • Le elezioni imperiali sono meno complesse, con i 7 elettori stabiliti dalla Bolla d'oro del 1356 e soprattutto con un'eredità di fatto degli Asburgo, dal 1438. L’imperatore elegge il proprio successore, Re dei Romani, dunque è facilitata una tale evoluzione. L'elezione più contesa fu quella del 1519: gli Asburgo rischiarono di perdere la corona imperiale a vantaggio di Francesco I o dell'elettore di Sassonia. Edotti da quest'esperienza, per il resto del secolo, gli imperatori elessero sistematicamente l’imp mentre erano ancora in vita. L'eredità di fatto divenne la prassi. • Lo stesso processo può essere rilevato nelle altre monarchie elettive. Alcune, come la corona di Boemia, lo sono in maniera quasi fittizia, e l'elezione fornisce l'occasione per ottenere concessioni dal nuovo re. • In Danimarca il Consiglio di Stato in caso di disordini politici può contestare le azioni del sovrano e eleggerne uno nuovo. • Con l'Unione di Lublino (1569) tra Polonia e Lituania, la natura elettiva della monarchia trovò rapida applicazione quando si estingue la dinastia degli Jagelloni (morte di Sigismondo II Augusto, 1572). La monarchia elettiva nel ‘500 viveva continue negoziazioni tra il re e la nobiltà, punto di forza. L'elezione ha evitato i sanguinosi conflitti di successione verificatesi altrove. Il sistema elettivo, molto diffuso, sperimenta ovunque la tentazione di un'evoluzione verso l'ereditarietà, modello che sembra dominante. Monarchie ereditarie, con le loro varietà: • In Svezia Gustavo Vasa instaura il principio ereditario nel 1544. Altri casi però mostrano la vitalità del principio elettivo. • Monarchia Francese: la legge salica garantisce una successione maschile: le donne sono escluse dal trono e dalla trasmissione del diritto alla corona. C’è poi la legge che proibisce al sovrano di alienare il regno, eredità che deve essere trasmessa intatta al suo successore. Legge implicita della cattolicità. Tuttavia, anche nel caso di successioni regolate con precisione, possono sorgere problemi: le regole della monarchia francese si devono estendere ai principati che si sono aggiunti per unione personale o eredità? La Bretagna, che Claudia di Francia, figlia di Anna di Bretagna, porta in dote a Francesco I sfuggirebbe così alla legge salica? È quanto cerca invano di far valere Filippo II negli anni novanta per assicurarsi il ducato. Gli stessi re di Francia non sempre sembrano desiderare questa estensione naturale delle leggi fondamentali che imbrigliano il loro potere. Francesco I dispone a suo piacimento della propria eredità Milanese nei negoziati con Carlo V e non esita a proporre di cederla con tutti i diritti di sovranità a uno dei suoi figli minori. Enrico IV, grande beneficiario della stretta applicazione delle leggi fondamentali del regno, non si mostra però riluttante a unire alla Francia ciò che resta dei suoi stati della Navarra. Ma queste rimangono piccole violazioni in confronto alla grande questione posta dall'estinzione dei Valois. Al di là del fatto che la parentela di Enrico di Borbone con il ramo reale risaliva al XIII sec, la sua confessione riformata sembrava impedirgli l'accesso al trono. Il problema fu risolto solo 1 27 parzialmente dalla conversione di Enrico IV e dalla sua riconciliazione con Roma, che sembravano dare ragione a coloro che esigevano una successione cattolica. Nelle altre monarchie europee le regole di successione erano fissate meno nettamente. La primogenitura maschile era comune a tutti i principati, che però in molti casi non escludevano la possibilità di una spartizione più o meno equa dell'eredità. È ciò che accade agli Asburgo • Ferdinando, fratello minore di Carlo V, cui il nonno Ferdinando il Cattolico aveva previsto di lasciare gli stati aragonesi, riceve infine dal fratello maggiore i possedimenti austriaci. • Filippo II eredita tutti i possedimenti patrimoniali di suo padre, ma a fine regno non esita a distaccarne i Paesi Bassi per affidarli alla figlia Isabella Clara Eugenia e al genero, l'arciduca Alberto. La divisione della successione è praticata soprattutto dagli Asburgo. La possibilità per una donna di salire al trono o di trasmettere i diritti alla corona viene comunemente ammessa nelle monarchie europee, ad eccezione della Francia. Questa eventualità però è sempre temuta a causa della debolezza attribuita al potere femminile e il rischio di assoggettamento in caso di matrimonio con un principe straniero. • Enrico VIII fu spinto a risposarsi principalmente dal timore di una successione femminile: dei figli avuti da Caterina d'Aragona era sopravvissuta solo una femmina, Maria Tudor. • Malgrado i numerosi matrimoni, l'Inghilterra conobbe nel XVI secolo due regni femminili, successivi. Il giudizio formulato sul "mostruoso governo delle donne" da John Knox fu in parte modificato. Isabella la Cattolica o Elisabetta I servirono da modelli, mentre Giovanna la pazza confermò i pregiudizi misogini del tempo. Tali pregiudizi rendevano necessarie per una sovrana strategie di potere specifiche, in particolare per evitare la tutela di un marito. • Anche fra i Re cattolici non mancavano tensioni politiche. Maria Tudor impose al consorte Filippo II di Spagna condizioni draconiane per limitarne gli interventi negli affari del regno d'Inghilterra. • Elisabetta, infine, seppe giocarsi con abilità il nubilato tanto all'estero, dove la sua mano veniva promessa a seconda delle necessità delle alleanze, quanto all'interno, dove il mito della regina vergine compensò la delusione di fronte all'assenza di una successione diretta. Il potere del principe nell'Europa del XVI secolo assume sembianze più femminili: le donne che circondavano i sovrani erano spesso pienamente associate all'esercizio di quello stesso potere. Caterina de' Medici ebbe un ruolo politico importante fin dal Regno di suo marito Enrico II, che le affidò la prima reggenza. In Polonia la principessa Anna Jagellona, sorella dell'ultimo re della dinastia, non poté salire al trono dopo la morte del fratello ma ebbe un ruolo essenziale per le successioni che seguirono. Infine, l'amante del Re ha in alcune occasioni un vero e proprio ruolo politico pubblico mediante il controllo che essa esercita sul favore del sovrano (es: Diana di Poitiers sotto Enrico II). La famiglia del principe Il governo familiare è l'ideale politico di tutte le monarchie europee del ‘500, ma viene raramente raggiunto. Il primo consiglio del re è la cerchia familiare, a cui i sudditi riconoscono speciali qualità. Le reggenze vanno sempre al parente più stretto del Re minorenne, in particolare alla madre. Anche il Papato applica il governo familiare mediante il nepotismo, secondo il principio per cui il sovrano può avere fiducia solo nella propria famiglia. Questo principio è più ideale: nella maggior parte delle monarchie si crea rivalità in seno alla famiglia regnante, soprattutto da parte dei cadetti. • In Francia è tradizione che i cadetti si oppongano al sovrano (es: Enrico d'Angiò rispetto al fratello Carlo IX). Il caso francese può essere generalizzato all'insieme europeo. Maria Tudor ebbe come rivale la cugina Jane Grey, e durante il proprio regno temette la minaccia politica della sorellastra Elisabetta. Quest'ultima vide nella propria cugina e presunta erede Maria Stuart una costante avversaria. • In Svezia i figli di Gustavo Vasa entrarono in conflitto tra loro dopo la sua morte (1560). • Anche tra gli Asburgo: conflitto che oppone Carlo V e Ferdinando sulla successione imperiale. Anche il governo di un particolare territorio può condurre a forti opposizioni. Inoltre, nelle corti si sviluppano spesso cerchie attorno a familiari del re, che entrano a far parte del gioco delle fazioni. Ma è raro che queste tensioni portino ad uno scontro aperto. Leggendaria è divenuta l'opposizione di Don Carlos al padre Filippo II. Sembra che il giovane principe, cui tutti gli osservatori riconoscevano uno squilibrio mentale, avesse tentato di ordire un complotto contro suo padre, alleandosi in particolare con i ribelli dei Paesi Bassi. Imprigionato in una torre, morì nel 1568. Ci furono tensioni fra l'eroe di Lepanto, il condottiero don Giovanni d'Austria, e Filippo, che rifiutava di continuare l'offensiva nel Mediterraneo orientale dopo Lepanto. 1 30 • Negli anni 20 Carlo V si appoggia principalmente al suo cancelliere, Mercurio Gattinara, che voleva sviluppare un'amministrazione politica unica attorno al sovrano per la gestione del suo immenso impero. Dopo la morte di Gattinara nel 1530, la segreteria pontificia viene divisa tra Nicolas Perrenot de Granvelle, originario della Franca Contea, e il castigliano Francisco de los Cobos, che dominano gli anni 30 e 40. • In Inghilterra il primo segretario ad assumere un ruolo di primo piano è Thoma Cromwell, primi anni 30. Sotto Elisabetta, William Cecil è il principale ministro della regina, carica di grande importanza. Ma non tutti i segretari di Stato escono dall'ombra. Molti non lasciano traccia dei loro interventi, nonostante abbiano influenzato le decisioni dei sovrani. Nel ‘500 la struttura del potere centrale diviene più complessa e burocratizzata in tutti gli Stati europei. La funzione di ogni carica, però, evolve anzitutto in relazione al peso politico di chi la detiene e al favore che egli ottiene dal principe. L'instabilità politica resta all'ordine del giorno, i colpi di scena dall'esito tragico sono frequenti. Il principe è il primo a servirsi della violenza politica per sbarazzarsi di ministri o consiglieri ormai scomodi. Così egli rende manifesto che il potere centrale rimane concentrato unicamente nella sua persona. Così Francesco I durante il suo lungo regno fa cadere in disgrazia due connestabili, Carlo di Borbone e Anne de Montmorency. I processi politici e i coup de majesté contro i servitori più vicini al sovrano, continuano a segnare la vita politica in tutta l'Europa della seconda metà del Cinquecento. Coup de majesté: ordine o atto brutale dettato dal Re per sottomettere con la forza l'inizio dell’opposizione, la rivolta o la rivolta contro di lui, ripristinando la sua autorità. Autorità delegata, assemblee rappresentative e corpi intermedi La crescita dei poteri degli Stati passava per una maggior presenza di rappresentanti dell’autorità centrale nel loro territorio. Ma l’apparato statale era ancora debole lontano dalla corte\capitale, contava pochi funzionari. Perciò lo stato si appoggia alle strutture di potere ereditate dalla fine del Medioevo, come le signorie. In una provincia francese il rappresentante del re è anzitutto il governatore, di famiglia prestigiosa, costruisce una propria rete di potere e trasforma la provincia in un patrimonio dinastico. Celebre in Francia il caso dei Montmorency, che governano la provincia di Linguadoca per oltre un secolo, dal 1524 al 1632, quasi ininterrottamente. Durante le guerre di religione i governatori diventano più indipendenti rispetto al potere centrale, all’interno di un sistema ancora poco strutturato. L’amministrazione signorile progredisce di pari passo con lo Stato centrale in molti paesi e si inscrive al suo interno. I principi controllano che l’autorità feudale sia concepita come delega statale. Un'evoluzione simile non manca di resistenze da parte di una nobiltà feudale abituata all’indipendenza. In Spagna, circa metà popolazione è sottoposta al regime signorile. Qui i grandi casati dispongono di un'amministrazione simile a quella dello stato regio. Nominano nelle città a loro sottoposte gli alcades mayores, amministratori e giudici; riscuotono parte delle imposte; adottando la pratica della venalità degli uffici (lucro). Negli Stati della chiesa abbiamo la restaurazione del potere pontificio, che le potenti baronie mal sopportano. Le guerre d'Italia avevano permesso alle baronie di condurre all'occasione una politica indipendente. Nel 1526, ad esempio, i Colonna, alleati dell’imperatore, saccheggiarono i palazzi del Vaticano. Da sottolineare anche il contrasto tra Ascanio Colonna e papa Paolo III, ricomposto solo dopo violenti scontri. Da questi scontri e riappacificazioni prese piede la politica delle altre famiglie baronali romane che cooperarono con il pontefice. Il papa non aveva intenzione di sovvertire un quadro feudale in cui la sua famiglia era spesso ben inserita. Egli intendeva semplicemente fissare le regole della sua autonomia. La classica opposizione Stato moderno-feudalità è da sfumare, in quanto a conflitti e competizioni si alternano processi di compromesso che permettono il procedere delle due strutture: la persistenza di quella signorile e il progredire del potere sovrano. Il compromesso talvolta può essere anche più favorevole ai signori. Anche le istituzioni municipali sono potenti intermediari del potere centrale, che le sottopone a controlli. • Nella Terraferma veneziana, per esempio, i patrizi locali gestiscono istituzioni municipali sotto la sorveglianza di un podestà nominato dalla Repubblica. • I Paesi Bassi, altra terra in cui le libertà cittadine hanno una solida tradizione, vedono passare progressivamente i consigli municipali sotto l'autorità del sovrano, che da inizio‘500 cerca d'imporre loro la nomina degli scabini (giudici). Anche questa evoluzione non avviene in modo uniforme e incontra resistenze e limitazioni. Le rivolte urbane sono l'occasione per l'autorità di limitare un'autonomia che è spesso sinonimo di opposizione, soprattutto in materia fiscale. Per esempio, l'opposizione costante di Gand, che nel 1539 passa a rivolta aperta, costringendo Carlo V a intervenire militarmente, eliminando i suoi privilegi municipali. Abbiamo nel secolo molti altri esempi simili. 1 31 • Come quello quasi contemporaneo di Perugia, che insorge contro la nuova tassa sul sale imposta da papa Paolo III, nel 1540. La ribellione viene schiacciata dall'esercito pontificio e vengono prese le solite misure repressive: perdita delle libertà civiche, distruzione delle mura e erezione di un'imponente fortezza con una guarnigione pontificia, la Rocca Paolina, a dominare la città. In sintesi: -Le autonomie municipali vengano ridotte o soppresse (con forza o persuasione) -I consigli cittadini passano sotto il controllo del principe (direttamente o indirettamente) -Tuttavia, i patriziati urbani mantengono il predominio, appoggiandosi al potere centrale. Poi abbiamo le assemblee rappresentative, sottoposte ad un processo d’istituzionalizzazione che investe tutto lo Stato. Sono in apparente opposizione all’assolutismo. In realtà esse hanno spesso contribuito alla costituzione del potere centrale attraverso compromessi e negoziazioni da indagare. Il principio di rappresentanza resta concepito per ordini (clero, nobiltà, città), che possono avere diverse combinazioni: clero e nobiltà non possono sedervi; la nobiltà è divisa in più categorie e non tutte possono votare (caso della Corte di Castiglia). Anche i metodi di designazione possono variare: vanno dall’elezione al seggio di diritto. Possono essere permanenti, convocate dal sovrano o convocate periodicamente. Nell’impero: Le diete imperiali sono state accusate dalla storiografia tradizionale di aver impedito l'emergere di un potere imperiale forte. Al contrario, invece, le diete sono state in grado di negoziare con l'imperatore la creazione di nuove istituzioni federali che hanno dato maggior coerenza al Sacro Romano Impero. La creazione di una camera di giustizia imperiale, autonoma dal potere imperiale, garantisce l'abolizione della giustizia privata. Nel 1512 la divisione dell'impero in circoli territoriali con competenza militare, giuridica e fiscale è un ulteriore esempio di riforma nata dalla collaborazione dell'imperatore con la dieta. Sotto Carlo V, il progredire dell'unificazione giuridica fu segnato soprattutto dalla Constitutio criminalis Carolina ratificata dalla dieta di Ratisbona (1532), codice di procedura penale valido per tutto l'impero. Sotto Ferdinando e i suoi successori la dieta divenne un luogo per risolvere i conflitti confessionali che si rivelò relativamente efficace durante mezzo secolo, non senza fallimenti. Gli storici accusano le assemblee rappresentative di aver ostacolato la crescita della fiscalità, aggravando ineguaglianze e sprechi. In realtà questo ruolo va ridimensionato e relativizzato. I conflitti sono numerosi e raramente il potere centrale vede le sue richieste pienamente soddisfatte. Ma in un contesto in cui la riscossione delle tasse è incerta, le assemblee rappresentative sono per il potere centrale una garanzia. Quando le assemblee gestiscono direttamente la riscossione lo fanno con una regolarità e puntualità, che le amministrazioni fiscali centrali non ottengono. Es. Dei regni della corona d'Aragona è sempre stato sottolineato lo scarso contributo alle spese della monarchia Cattolica. Uno studio recente ha però dimostrato che garantivano al re entrate regolari, e una gestione esemplare della restituzione del debito. In Inghilterra e in Francia va sottolineata la difficoltà dei principi ad accettare l’obbligo di negoziare costantemente con tali assemblee. La Francia è un caso particolare, in cui le assemblee vengono convocate sempre più raramente e sempre meno relativamente a questioni fiscali. A differenza del contesto nazionale, gli Stati provinciali gestiscono con grande efficienza la raccolta dei contributi, disponendo talvolta di un ufficio permanente. Ma la monarchia ha scelto di non estendere questa modalità a livello nazionale. Questa eccezione si spiega con lo sviluppo di alternative alle assemblee rappresentative, che sostengono il potere centrale: • Il Parlamento di Parigi ➳ contrariamente ai suoi omonimi inglesi, siciliani o napoletani non è un'assemblea rappresentativa, ma una corte sovrana di giustizia. È guardiano delle leggi fondamentali del regno e si ritaglia un ruolo di rimostranza (protesta) nei confronti della politica regia. • Le assemblee dei notabili ➳ altro sostituto degli Stati generali. Possono sanzionare le innovazioni fiscali della monarchia, in un quadro più flessibile: scelti d'ufficio dal re, i notabili possono ratificare gravi decisioni politiche (es. nel 1560 abbandono politica di repressione religiosa). Si pronunciano soprattutto su misure fiscali urgenti, come quelle per finanziare lo sforzo bellico nel 1558. • Assemblee dell'ordine del clero ➳ Dal 1561 la monarchia concede al clero di organizzare le proprie assemblee, che dal 1580 divengono progressivamente regolari. In origine si trattava di votare un sussidio al re (aiuto in denaro) e di gestirne la raccolta, ma il clero trasforma l'assemblea in un organismo di regolazione interna degli affari ecclesiastici e di pressione sul potere regio. Nel corso del ‘500 i vari poteri centrali cercano sempre più di aggregare tali organismi intermedi, determinando un rafforzamento ma anche una parallela fragilità interna. I motori della crescita dello Stato - Giustizia e riforme 1 32 ➳Prima età moderna: la maggior parte degli Stati desidera riappropriarsi dell'amministrazione della giustizia o almeno affermare che gli altri soggetti che la esercitano lo fanno esclusivamente in quanto loro delegati. Nel S R Impero la giustizia è oggetto di un sottile equilibrio tra Stati territoriali (con propri tribunali e leggi) e imperatore (diritto imperiale) che vuole prevalere. ➳È ancora all'ordine del giorno la lotta contro vendette private e giustizie personali, con esiti diversi. • Nell'impero lo sradicamento delle guerre private è un successo delle istituzioni federali. • In Spagna il monopolio regio della giustizia rimane fragile e minacciato. • In Irlanda, Enrico VIII impone la sostituzione delle pratiche tradizionali di compensazione e vendetta con tribunali sul modello inglese, ma con la crisi della monarchia inglese negli anni 50, i lords irlandesi fanno ritorno alle guerre private. Abbiamo regresso netto della giustizia privata e un ricorso sempre più massiccio ai tribunali. • In Francia, i parlamenti sommersi dai processi d'appello, Enrico II per risolvere il problema ne 1522 creò una giurisdizione d'appello intermedia, i présidiaux, che prevedevano nuove cariche venali, la cui vendita avrebbe arricchito il tesoro regio (ragioni anche fiscali). Alla stratificazione delle giurisdizioni si aggiunge poi la molteplicità delle forme di diritto. • Anzitutto il diritto canonico: si applica a ogni cristiano ma per alcune materie può contraddire le legislazioni laiche. Nei paesi passati alla Riforma la contraddizione tra diritto canonico e legislazione civile è più sfumata perché il magistrato legifera anche in materia ecclesiastica. • Anche le legislazioni laiche sono varie: il diritto romano non viene riconosciuto ovunque e l'università di Parigi rifiuta di insegnarlo, in quanto diritto imperiale. La sua influenza rimane tuttavia rilevante. • In genere sono fissati i diritti consuetudinari ed è definita la loro applicazione, fornendo allo Stato uno strumento di intervento sulla vita sociale (come avvenne in Francia). La maggior parte degli Stati evolve verso forme di unificazione. Enrico VIII, per esempio, impone la common law in tutti i suoi possedimenti, sopprimendo i diritti particolari delle marche del Nord e del Galles, e tentando anche d'imporre la fine delle consuetudini gaeliche in Irlanda. Non tutti gli Stati vogliono o possono spingersi a tanto, ma ovunque s'impone il principio della preminenza della legislazione reale. Passa in primo piano la funzione di legislatore del sovrano. Dopo secoli di crisi, la riforma è attesa da tutti i settori della società. Per riforma si intende un ritorno a un antico stato di purezza, e non un progresso. Il concetto non è esente da connotazioni escatologiche. Dalle leggi suntuarie, tanto numerose quanto inefficaci, alla regolamentazione dell'assistenza ai poveri; dalla repressione di blasfemia e prostituzione, gli Stati estendono la propria azione a nuovi campi: riprendono e amplificano ciò che sino ad allora competeva alla sfera municipale, ecclesiastica o privata. Lo stato assume una funzione moralizzatrice. L’esito è fallimentare. Rapporti Stato-Chiesa ➳ la richiesta di riforme permette allo stato di gestire a proprio vantaggio la crisi religiosa del primo ‘500. La Riforma protestante, nelle sue diverse varianti, affida al magistrato il compito di riformare la Chiesa. Calvino è più reticente di Lutero davanti al potere temporale, ne riconosce tuttavia il ruolo privilegiato nella correzione dei costumi e nella sorveglianza sul buon funzionamento della Chiesa. Il ruolo decisivo degli Stati nell’elaborazione confessionale delle due Riforme ha prodotto la tesi storiografica della confessionalizzazione, sviluppata da storici tedeschi ➳ la crisi religiosa avrebbe prodotto una collaborazione fra le Chiese e i poteri politici, al fine di imporre alle popolazioni assoggettate un ordine sociale molto più restrittivo. La tesi può essere sfumata ➳ poiché la pretesa degli Stati di assumere la guida religiosa e morale dei loro popoli non risale alla crisi religiosa e soprattutto, il potere politico conserva sempre l'autorità ultima per decidere sulle modalità di applicazione della riforma religiosa. Guerra e fiscalità Il sovrano del rinascimento è ancora un sovrano guerriero, il suo carisma è legato alla prodezza militare e perciò deve fare esperienza fisica del combattimento. L'incapacità di combattere è uno degli argomenti addotti contro il governo delle donne, e sovrane come Elisabetta devono dimostrarsi capaci nello spirito di quelle imprese belliche precluse al loro corpo (discorso di Tilbury di Elisabetta, 1588). La guerra è il principale vettore della crescita statale, che richiede uno sforzo logistico sempre più complesso. Dal XV è necessario mantenere truppe permanenti anche in pace e per assicurarsi un rapido reclutamento di mercenari se ne sovvenzionano regolarmente i fornitori: alcuni principi e Stati fanno fortuna così, come i Cantoni svizzeri. La maggior competenza richiesta al mercenario (spec usare nuove 1 35 possedimenti, o l'efficace semplicità simbolica dei gigli di Francia). In risalto è il tema dell’antichità, con la creazione di “genealogie incredibili” che tentano di far risalire il più lontano possibile il carattere illustre della casata: Le origini troiane di dinastia e nazione francese. In Inghilterra si rivendicano come capostipiti Bruto e Costantino, richiamando a mito imperiale e indipendenza. I Tudor puntano sulla leggenda arturiana, che ne valorizza l’origine gallese. I regni più recenti inventano dinastie immaginare che collocano nell’antichità. Tali genealogie spesso suscitano riflessioni ironiche e parodie, come il Gargantua e Pantagruele di Rabelais. La competizione passa anche per l’accumulazione dei servizi resi alla fede, come dimostrano gli appellativi “re cristianissimo” per la Francia, “re cattolico” per la Spagna e “difensore della fede” per l’Inghilterra ricevuto da Leone X. • Alla Francia era invidiato il potere taumaturgico del re e la presenza di un santo (San Luigi) come predecessore. Enrico XVIII cercò di fargli concorrenza chiedendo al papa la canonizzazione di Enrico VI, processo che fu interrotto dallo scisma anglicano. • Il deficit sacro della Spagna spiega la pressione di Filippo II sul papa per la ripresa delle canonizzazioni a suo favore. La ricerca di sacralità porta al diffondersi dei santuari dinastici sul modello di Saint-Denis, adattato ad ogni dinastia. In Spagna il palazzo monastero dell’Escorial accoglie i resti dei re di Spagna e da Filippo II raccoglie le reliquie della corona spagnola (le dinastie s’impossessano del culto delle reliquie per rafforzare il prestigio). Altro argomento dei sovrani sono i combattimenti per la fede, che giustificherebbero il rango rivendicato. I francesi richiamano le crociate, gli spagnoli le continue guerre contro l’Islam e l’espansione del cristianesimo nel nuovo mondo. Alle giustificazioni religiose e storiche si aggiunge l’argomento della potenza politica. Sociabilità e solidarietà tra principi - La famiglia dei principi europei La società dei principi del ‘500 non manca di regole. All’assenza di un diritto internazionale ovviano il “diritto delle genti”, il codice cavalleresco e i rapporti familiari tra le casate europee, determinati per molto tempo dall’endogamia dei principi, che ha intessuto per molto tempo veri legami di parentela tra la maggior parte delle grandi dinastie europee. A questi si aggiungono altri modi di legare famiglie: la scelta dei padrini e delle madrine. Questi legami favoriscono il rimescolamento dinastico, che si può vedere nella circolazione dell’onomastica dei principi. Il matrimonio è uno degli oggetti principali della diplomazia. I piccoli principi e principesse sono promessi gli uni agli altri nel fitto mercato matrimoniale. È frequente il vedovato, che rimette in moto la speculazione matrimoniale (le principesse in particolare sono quasi sempre costrette a contrarre nuove nozze). Le maggiori alleanze o paci prevedono un matrimonio, a garanzia del suo rispetto, ma poteva trasformarsi in futuro in fonte di conflitti, in occasione di successioni contese. Il negoziato matrimoniale deve anche tenere conto delle condizioni del mercato e del numero di principi e principesse disponibili. Perciò non sono rari i matrimoni con ranghi inferiori, legati alla penuria di partiti o a necessità contingenti. Per i principi di rango inferiore il matrimonio con dinastie superiori serviva ad entrare nella grande politica. Anche i rami cadetti e le maggiori famiglie aristocratiche partecipavano a questo gioco matrimoniale (come i Guisa, i Toledo e i Medici). I matrimoni spesso dovevano passare per l’approvazione romana, in quanto matrimoni tra consanguinei, ma il papa raramente si opponeva ed era flessibile anche nell’annullamento. La divisione confessionale rese il papa inflessibile sui matrimoni interconfessionali e rese anche difficili le trattative per questi matrimoni. L’impatto della frattura non si riverberò sull’insieme dei legami familiari tra dinastie di diversa confessione, che mantenevano legami di sociabilità principesca fintantoché le successioni non erano coinvolte. Gli incontri tra principi La sociabilità principesca (tendenza dei principi a vivere in società) cementa la società dei principi e nella prima metà del secolo dà luogo a fastosi incontri tra sovrani. La necessità di alleanze, tregue e paci offrono molte occasioni di incontro, anche se raramente i sovrani negoziano direttamente tra loro. L’incontro ha il compito di rendere pubblica l’intesa tra i sovrani e partecipa dell’ideale rinascimentale del principe accessibile, buon amico, che condivide i valori nobiliari ed ha origine nella concezione della politica come simpatia personale, capacità di seduzione. Gli incontri hanno una brusca fine nella seconda metà del secolo (solo Caterina de’ Medici tenta di organizzare incontri, essendo nostalgica delle consuetudini rinascimentali). La sparizione delle conferenze ai vertici tra principi rivela l’evoluzione della concezione del sovrano, spiegabile con la sedentarizzazione e la complicazione dell’etichetta, che rende difficile l’espressione della bonarietà familiare precedente (comunque è presente la nostalgia per i rapporti diretti e semplici tra familiari). I negoziati sono eseguiti 1 36 dagli ambasciatori. La sparizione dei contatti non pone fine alla concezione comune della famiglia europea, che diviene più astratta e rimangono valide le norme del codice cavalleresco. L’instabilità religiosa porta i principi a fare fronte unito di fronte alle possibili sollevazioni popolari e la prudenza politica porta a trattare con riguardo i propri corrispettivi. Il mantenimento dell’etica politica comune è reso possibile grazie a nuovi tipi di relazione, come quelle diplomatiche stabili. La rivoluzione degli ambasciatori permanenti - Nascita di una nuova pratica diplomatica Le ambasciate permanenti determinano un radicale cambiamento nei rapporti tra gli Stati europei. Gli ambasciatori mettono ogni sovrano sotto il costante controllo da parte di tutti gli altri principi, attraverso corrispondenze. • Nascono in Italia: La diffusione della diplomazia permanente deriva dagli stati principeschi italiani. Anzitutto dai duchi di Milano o dai Medici. La Repubblica di Venezia, cui a torto è spesso attribuita questa innovazione, si è limitata a seguire il modello dei signori italiani (ma conservando alla funzione di ambasciatore il carattere di carica civica). Quanto agli ambasciatori milanesi o fiorentini, erano legati al loro signore soprattutto da un rapporto personale. Una qualche istituzionalizzazione della funzione è inevitabile, ma egli rimane anzitutto un uomo scelto personalmente dal signore, al servizio del suo potere. • L'origine italiana della diplomazia permanente è ancora evidente XVI secolo (i principi italiani hanno molti più rappresentanti all'estero, per esempio, rispetto alla Germania) poiché nella seconda metà del secolo la diffusione fuori d'Italia di questa pratica si era scontrata con una certa diffidenza dei poteri d'Oltralpe. Per esempio, Luigi XI rifiuta al duca di Milano, suo alleato, la possibilità di avere un inviato permanente alla sua corte, non ritenendolo un segno d'amicizia. • Nel ‘500 l'ambasciatore permanente resta "un'onorevole spia", ma a poco a poco i pregiudizi nei confronti di tale pratica cadono. • La conversione dei diversi Stati europei al modello italiano risale alla prima metà del ‘500. • Ferdinando d'Aragona fu il pioniere e i suoi ambasciatori permanenti rappresentarono un'importante chiave del successo delle coalizioni antifrancesi da lui promosse. • Anche l'imperatore Massimiliano I volle sviluppare una rete di sedi diplomatiche, ma la mancanza di denaro impedì la realizzazione del progetto. • Enrico VII aveva un'attivissima ambasciata permanente a Roma. Ma fu solo nel 1505 che l'Inghilterra inviò un ambasciatore residente in Spagna. • I papi sono gli ultimi a preoccuparsi di avere rappresentanti permanenti presso i grandi paesi europei. Solo a partire da Leone X viene messa in opera una rete di nunzi, completata sotto il pontificato di Clemente VII. Tale relativo ritardo si deve al fatto che il papato ha da lungo tempo agenti permanenti nei diversi paesi della Cristianità, soprattutto fiscali, come i collettori apostolici che possono svolgere anche un ruolo politico (come il lucchese Silvestro Dario in Inghilterra). • Anche il re di Francia tarda, a causa del suo relativo isolamento in Europa dal 1494, ma anche con la sua preferenza a servirsi di persone di fiducia locali stipendiate. Incrementa i suoi ambasciatori nella prima metà del ‘500, quando passa da 1 ambasciata estera a 12. I francesi avevano potuto rendersi conto a proprie spese dei vantaggi della nuova pratica diplomatica fin dagli inizi della rivalità di Carlo V, che beneficiava della rete messa in opera dal nonno Ferdinando. La superiorità della diplomazia si nota nella corsa all'alleanza con l'Inghilterra nel 1520. L'imperatore era stato ben servito e informato, mentre Francesco I all'epoca non disponeva di ambasciatori residenti in Inghilterra. È significativo che sia proprio il disastro di Pavia a far cambiare le pratiche diplomatiche francesi, con l'incremento delle ambasciate permanenti. Lo sviluppo di questa nuova pratica diplomatica non è progressivo: non riesce infatti a imporsi a pieno come norma nel XVI secolo. Le reticenze perdurano per tutto il secolo e possono condurre certi Stati a ridurre le loro rappresentanze estere e gli inviati presso il loro principe. La mancanza di reciprocità può limitarne lo sviluppo: un sovrano può trovare umiliante mantenere un ambasciatore presso un altro principe quando quest'ultimo non si degna di fare lo stesso. La confessionalizzazione è un'altra importante causa dell'arretramento delle rappresentanze permanenti nella seconda metà del secolo: periodo nel quale la Francia è uno dei rari Stati a mantenere rappresentanze diplomatiche in tutti i paesi, cattolici, protestanti, turchi. L'influenza di questo fattore però non va troppo marcata, è un fenomeno in gran parte temporaneo. Inoltre, i sovrani più rigidi nell'impegno confessionale sono capaci, quando spinti dai loro interessi, di mantenere ambasciatori nei paesi avversi. Ambasciatori e vita di corte L’istituzionalizzazione delle ambasciate permanenti modifica la pratica del potere, il sovrano è sotto occhi stranieri (dispacci quasi quotidiani). Ne consegue una “psicologizzazione” della vita politica europea, in cui il temperamento dei principi, le loro debolezze e qualità, vengono scrutati per tentare di prevedere loro 1 37 scelte e reazioni. La leggerezza di Francesco I, le depressioni di Carlo V, il carattere chiuso di Enrico II o di Filippo II sono oggetto di lunghe digressioni nelle varie corrispondenze. Aumenta il fasto di corte (sfarzosità): avere un ambasciatore è per un sovrano l'occasione per provare la sua gloria e sottolineare mediante gesti precisi il suo grado di amicizia con la potenza che glielo invia. L’ambasciatore è l’inviato di un principe/governo presso un altro principe/governo e solo in casi estremi questo assume ruoli differenti. Il vecchio principio dell'immunità diplomatica è riconosciuto, ma restando vago e facilmente aggirabile. Il caso cinquecentesco più noto è quello dell'assassinio nel 1541 dei due agenti francesi inviati presso il sultano, Rincon e Fregoso, al momento del loro passaggio nel Milanese. Francesco I accusò Carlo V di aver violato il principio dell'immunità diplomatica, ma gli imperiali ribatterono che Rincon era spagnolo e che i due agenti erano più spie che diplomatici. Può accadere anche che il sovrano ospitante minacci l’immunità dell'ambasciatore. 1511, il nunzio papale in Inghilterra, Girolamo Buonvisi, che segretamente passava informazioni ai francesi, venne arrestato e rinchiuso nella Torre senza che papa Giulio II, tradito tanto quanto Enrico VIII, protesti. • Accade raramente che l'immunità dell'ambasciatore venga messa in discussione. Nella maggior parte dei casi la cosa è legata a problemi finanziari, quando i creditori di un diplomatico lo minacciano di intraprendere un'azione giudiziaria. • Di frequente i sovrani ospitanti tentano di violare il segreto della corrispondenza. Gli stati tendono a limitare l'immunità del diplomatico alla sua persona e non all'intero personale dell'ambasciata. L’ambasciatore è una figura essenziale della nuova società di corte rinascimentale, e ne condivide i codici sociali. Così la maggior parte degli scritti sull’etica dell’ambasciatore, applicano alla sua funzione i principi della nuova società cortigiana, promuovendo una figura positiva: buone maniere, affidabilità, candore. Figura agli antipodi dell’ambasciatore spia, che insiste sulla fiducia (per etica ed efficacia). A partire dal Rinascimento la diplomazia culturale assume considerevole importanza. La sua origine è chiaramente italiana e gli stati della penisola la praticano su grande scala fin dalla seconda metà del ‘500. Es: La pace tra Lorenzo il Magnifico e Papa Sisto IV si traduce nell'invio dei più grandi artisti Fiorentini (fra cui Sandro Botticelli), per decorare la Cappella Sistina nel 1481. Gli stati italiani, attraverso il controllo della diplomazia culturale, diffondono in tutta Europa i canoni dell’arte italiana. Nel 1530, per corteggiare Carlo V, Federico Gonzaga gli fa dono di molti dipinti in particolare i ritratti di Tiziano. Ma non viene utilizzata a solo la pittura. Nel 1567 Cosimo de' medici manda il suo compositore Alessandro Striscione nell'Impero, in Francia e in Inghilterra con lo scopo di ottenere un appoggio alle sue pratiche per ricevere un titolo reale\granducale. La diplomazia culturale contribuisce più alla circolazione dei modelli artistici che alla pacificazione dei conflitti internazionali, ma il suo ruolo non può essere sottovalutato. Il personale diplomatico • La scelta dell'ambasciatore spetta al principe e non risponde agli abituali criteri di attribuzione delle cariche in antico regime (d’ufficio o commissione). • Solo Venezia continua a nominare ambasciatori con un mandato preciso e limitato sul modello di una magistratura. Il comportamento dell’ambasciatore è codificato da una severa legislazione, che fa restituire al suo ritorno tutti i regali ricevuti in missione, che la repubblica può poi riassegnare. • Altrove l'ambasciatore, che rappresenterà il principe, è uomo del sovrano. La preminenza del legame personale spiega perché numerosi principi scelgano ambasciatori stranieri; solo Venezia, ancora una volta, fa eccezione e non impiega stranieri per rappresentarla. • L'Italia fornisce il più alto numero di diplomatici, poiché i sudditi degli stati italiani avevano già l'abitudine a passare dal servizio di una corte ad un'altra. Così numerosi italiani possono rappresentare l'imperatore o il re di Francia, più raramente la Spagna. Se alcuni grandi nobili possono essere incaricati di ambasciate straordinarie, la funzione di ambasciatore permanente invece è riservata ai cadetti. Es: Il ramo cadetto dei Guzmaàn fornisce con il conte di Olivares un ambasciatore a Roma sotto Sisto V. • In Francia le ambasciate permanenti sono invece affidate a membri della noblesse, grandi famiglie dell'amministrazione monarchica (come l'Aubespine). Fin da subito la diplomazia si trasforma in un affare di famiglia: molti fratelli o cugini esercitano contemporaneamente cariche diplomatiche o si succedono l'un l'altro, passaggio spesso facilitato da una formazione pratica che consisteva nel seguire il parente in un'ambasciata. Anche gli ecclesiastici costituiscono una parte del personale diplomatico, seppure con la tendenza a diminuire nel corso del secolo. I poteri temporali possono infatti diffidare di una possibile doppia fedeltà, 1 40 La rinascita della cultura antica riporta in auge il servizio dello Stato come prima attività dell’uomo di cultura. Si impone il luogo comune della cultura umanista necessaria all’uomo di Stato, al quale si piega anche chi non ha molto a che fare con le lettere. Gli Stati del XVI secolo riescono a trovare il personale, di cui si fa sempre più uso, grazie alla crescita degli effettivi universitari (dalla seconda metà del ‘400) e delle università stesse. Nel 1500 in Europa esistono 63 università, 21 delle quali fondate dopo il 1450. Le Riforme capiscono l’importanza di fornire un insegnamento di qualità, e si impegnano in questo senso (collegi e università). Il mondo religioso risponde anch’esso con le accademie protestanti, i collegi gesuiti e gli istituti uni fortemente impegnati a livello confessionale. Ma è poco studiata la connessione fra lo sviluppo universitario e quello di stato e concezione politica. Per gran parte degli studenti lo sbocco naturale allo studio è il servizio nello Stato. Tra le università si sviluppano gerarchie internazionali e nazionali. Bologna e Parigi, le istituzioni più antiche, mantengono il primato, subito dietro viene l’università di Padova, che segna maggiormente le élites politiche del secolo e insegna ispirandosi a una interpretazione razionalistica di Aristotele. Di questa impostazione di studi andrebbe studiato l’impatto. Tra i più celebri padovani si può citare Michel de L'Hospital, la cui politica di concordia fu forse dovuta alla sua formazione. L’uni di Padova si dimostra capace di superare la frattura confessionale e il tentativo di dominio cattolico, grazie alle autorità veneziane che le fanno eludere l’obbligo di professione di fede cattolica, quella che i papi del secondo ‘500 tentano di imporre a chi la frequenta. Il collegio gesuitico è creato per farle concorrenza, ma non riesce a ridurne l’influenza. In Spagna la proibizione di studiare all’estero è motivata da protezionismo universitario che mira a sviluppare istituti per la formazione di uomini di Stato. Anche in Castiglia c’è fermento. Qui sorgono 6 colegios mayores che aprono agli studenti le carriere statali più prestigiose. Si studia in primis il diritto, ma anche filosofia e teologia. Qui si formano i leterados che fanno funzionare gli apparati della monarchia: la loro invasione ai vertici infastidirà presto i nobili, che si sentono destinati a servire il principe per diritto di nascita. Su questo si dibatte e ci si scontra: molti sostengono che governare gli uomini non è una questione di tecnica, ma di virtù non acquisibili con l'educazione. Questi argomenti avranno avuto sicuramente effetto su società fondate anzitutto sul principio ereditario, così questo sarà uno degli elementi che freneranno la tecnicizzazione della vita politica europea nel XVI secolo. Governare attraverso le scritture: pratiche politiche Nel Rinascimento si sviluppa la cultura dello scritto. Dal XV in Italia il governo epistolare e l’uso politico della scrittura erano diffusi; nel XVI divengono pratiche egemoni in Europa. Un esempio è la memoria redatta da Carlo V prima della battaglia di Pavia (1525). Qui egli indica ai suoi consiglieri più stretti e alla zia Margherita d’Austria le strade possibili in caso di sconfitta, come un matrimonio per rinsaldare l’alleanza col suo eterno rivale. Il matrimonio con l’infanta di Portogallo Isabella avrebbe portato denaro dalla dote e dalle imposte straordinarie. In realtà, Pavia fu forse la più grande vittoria di Carlo contro Francesco I. Ma il carattere eccezionale del documento non risiede in contenuto o circostanze, quanto nel fatto che si tratta di una delle prime testimonianze della mediazione attraverso la scrittura dell'assunzione di decisioni politiche. L'imperatore ha avuto la necessità di mettere su carta riflessioni, dubbi, e decisioni prossime: nel ‘500 non si trattava ancora di una pratica diffusa, e Carlo ne è un pioniere, continuando a scrivere per tutta la durata del suo regno. Nel secondo ‘500 l'uso introspettivo dello scritto politico si diffonde: i protagonisti della politica redassero sempre più memorie, che rimanevano manoscritte o venivano diffuse a stampa. Il loro modello erano le memorie di Philippe de Commynes, pubblicate dal 1524. Testimone della lotta tra Luigi XI e Carlo il Temerario, poi delle guerre d'Italia, Commynes abbellisce il suo racconto con considerazioni politiche molto pragmatiche, che hanno dato vita a tipi umani diversi: l'astuto Luigi XI, il collerico Carlo il Temerario, che hanno alimentato la cultura politica del XVI secolo europeo. Anche la corrispondenza politica è sempre più usata. Quella di Caterina de'Medici è piena di tratti personali, di riflessioni intime sulla situazione del momento. Filippo II si è meritato il nome di "rey papelero", re delle scartoffie, per la cura minuziosa che dedicava al disbrigo di memoriali e lettere che riceveva quotidianamente: egli aveva capito che per mezzo delle "carte" poteva "guidare il mondo". La corrispondenza politica tra centro e periferia ha gli stessi problemi di quella destinata all’estero: l’accumulazione impedisce di trattare le informazioni e a volte i funzionari reali sono lasciati senza info per mesi. Governare attraverso le scritture: pratiche amministrative e raccolta di informazioni Alle informazioni fiscali e giuridiche di cui si disponeva già nel Medioevo, si aggiungono sempre più rapporti e memoriali, contenenti informazioni generali. La necessità di archiviare i documenti statali si impone con divari cronologici: precocità mediterranea e ritardo soprattutto in Francia. 1 41 Già da lungo tempo negli stati italiani si era imposto l'obbligo per gli ambasciatori di riconsegnare tutti i loro scritti al ritorno della missione. Filippo II lo stabilì all'inizio del suo regno. Gli ambasciatori veneziani prima di partire in missione consultano le relazioni dei loro predecessori, e non è certo che facessero così anche ambasciatori di altri stati. La cartografia, esempio di pratica di raccolta di informazioni, si sviluppa al servizio di principi e stati. La sua funzione militare è antica, ma è accresciuta dall’importanza delle carte marittime. La carta utilizzata a fini strategici è sempre più diffusa e i principi ricorrono sempre più alle scuole cartografiche italiane, fiamminghe e portoghesi. L’interesse geografico è ridestato dall’espansione coloniale e dall’importanza della guerra navale. Il potere politico fa anche un uso civile della cartografia, espressione del desiderio di dominare lo spazio. Consiste nel conoscere il territorio per tentare di controllarne le evoluzioni, a costo di scontrarsi con la propria impotenza. • Enrico II vuol far disegnare una pianta esatta di Parigi, per controllarne l'espansione urbana. • Nei Paesi Bassi, Carlo V e poi Filippo II usano l’eccellente scuola fiamminga per ottenere carte complessive delle province, ma anche piante di varie città (cartografo Jacob van Deventer). • Al professore Pedro Esquivel viene affidata la realizzazione di una carta generale dei regni iberici, che produce 21 gigantesche carte conservate nell'Escorial, precisissime per l'epoca, cui si aggiunge dopo il 1580 una carta del Portogallo. Uno strumento utilizzato furono las Relaciones topografica: questionari molto precisi inviati alle comunità castigliane. ESISTE UNO STATO DEL RINASCIMMENTO? Pensare la politica, pensare il potere politico La riflessione sulla politica, alimentata da tradizione greca e teologia cristiana poi, si arricchisce di una nuova riflessione basata sulla pratica del potere, analizzata nei suoi metodi, obiettivi e mezzi. Machiavelli svela brutalmente il funzionamento della vita politica e diviene l'incarnazione di un cinismo presentato come distruttore di ogni morale pubblica. Questo chiaramente al tempo spaventa. Il pensiero dell'autore del Principe (scritto nel 1513 ma pubblicato postumo nel 1532) è però ben più complesso. Il suo repubblicanesimo è fuor di dubbio. È la crisi delle strutture contemporanee, percepita come irrimediabile, che sollecita Machiavelli. La scienza politica, dunque, nasce dalla debolezza dello Stato, dalla paura del suo sgretolamento, sulla quale si interroga. Guerre d'Italia e sconvolgimenti da queste provocati hanno suscitato le riflessioni di Machiavelli e Guicciardini sul potere, centrate principalmente sulla spiegazione razionale dei rapporti di forza politici. La politica diviene scienza della prudenza, che consiste nella “ragion di Stato” (concetto assente in Macchiavelli), elaborato da Jean Bodin, che fissa il quadro dell'esercizio ideale del potere, all'interno del quale si può teorizzare la ragion di Stato: il decisore politico può compiere un illecito al fine di garantire sopravvivenza e sicurezza dello stato. È Giovanni Botero a rendere popolare il concetto nel suo Della Ragion di Stato (1589), nel quale condanna le grandi monarchie incapaci di durare, ed elogia lo stato di medie dimensioni, più facile da governare e conservare. Botero consiglia prudenza e segretezza, ed esalta una concezione molto conservatrice del potere politico, che deve mantenere ognuno nel proprio rango, all'interno e all'esterno dello Stato. L’opera infonde pessimismo generale. Invece di porre la politica al di sopra delle leggi morali, la ragion di Stato diventa un freno ai vizi di principe e società. I disastri della guerra hanno però generato anche un altro tipo di discorso, stavolta profetico, che pretende di decifrare i segni dei tempi. Concomitanti e opposte, analisi profetica e metodo razionale sono presenti assieme anche in altri contesti, come le guerre di religione o le crisi della fine del regno di Filippo II. Nell’ultimo caso il pensiero politico gesuita propone un modello di monarchia moderata, ma vi sono anche testimonianze che annunciano la fine della Spagna, per permetterne poi la rinascita. Lo sviluppo della scienza politica ha contribuito a quello di strategie politiche a lungo termine? Geoffrey Parker risponde affermativamente: Filippo II seguì espliciti principi di difesa del suo patrimonio e di conservazione della fede cattolica nei suoi Stati. La crescente burocratizzazione della monarchia è inseparabile da questa volontà del sovrano di una visione strategica a lungo termine. Per molte ragioni però questa grande strategia sarà comunque un fallimento: non riesce a tenere conto di tutti gli handicap geopolitici dell'immenso impero spagnolo; Filippo II non riesce a integrare l'elemento finanziario; con l'esercizio solitario del potere ha rallentato l'esecuzione dei suoi piani e perso una visione globale delle questioni internazionali. Alcune obiezioni alla dimostrazione di Parker: la politica francese prudente sembra dettata più dall'urgenza degli avvenimenti, che da un disegno precostituito. Se grande strategia c'è stata, si è spesso scontrata con sfortunate contingenze e la casualità dei fatti. Monarchie composite, Stato misto, sovranità limitata 1 42 La messa in discussione storiografica del mito dello Stato moderno centralizzato può essere racchiusa in un articolo di John Elliot: secondo la sua tesi la maggior parte degli Stati europei sarebbero stati compositi e la centralizzazione è stata l’eccezione, più che la regola. Porta come esempi la monarchia Asburgo, e l’unione fra Danimarca e Norvegia. Ma anche gli esempi utilizzati per elaborare il concetto di stato centralizzato, Francia e Inghilterra, sono più compositi di quanto si pensi: Provenza e Bretagna hanno identità proprie all’interno del contesto francese; Gelles (assorbito amministrativamente) e soprattutto Irlanda conservano nel contesto inglese personalità e autonomia. La comunità storica è rimasta convinta da questa tesi e ha perciò adottato il termine “monarchia composita”, da usare tuttavia con attenzione, per non trarne una visione idealizzata dei rapporti di forza in seno alle monarchie. Per esempio, nella monarchia di Filippo II il peso della Castiglia è schiacciante. La Danimarca è dominante nell'unione con la Norvegia, e il regno d'Irlanda creato da Enrico VIII non ha reale autonomia politica, rispetto all'Inghilterra. In più, certe province francesi godono di statuti particolari, ma non giungono però ad autonomie forti (la monarchia francese non è una giustapposizione di ducati e contee). Le monarchie composite hanno un centro che sovrasta le periferie e il termine si applica bene agli insiemi politici grandi, meno agli stati di piccole dimensioni. Domini contigui o meno. Lo Stato pontificio è un mosaico di componenti dagli statuti molto vari, ma nel corso del secolo, i papi lo fanno evolvere verso una forma unitaria. Gli altri stati territoriali italiani hanno una coerenza molto più evidente: Venezia conserva il sistema di una città-stato che domina su un vasto territorio di città soggette, la Toscana crea la propria unità nella fusione delle proprie componenti. Nell'Impero gli Stati territoriali cercano quella stessa unità politica, in particolare preservando la loro integrità territoriale. La monarchia composita si declina in varie espressioni, che non escludono centralizzazione e rapporti asimmetrici centro-periferia. Spesso è anche presente una volontà di coesione e uniformazione. Colpisce degli Stati del XVI secolo il loro carattere misto, nella coesistenza di forme di potere politico gerarchizzate ma con ampia autonomia. Comunità, città, province, nobiltà e clero rendono la sovranità rivendicata dal re limitata. Questa caratteristica si riverbera nei rapporti con l’estero, dove grandi famiglie nobiliari (come i Guisa, che dispongono di una rete politica europea, una vera diplomazia parallela) o province possono condurre una propria politica estera: l’esercizio della sovranità è dunque limitato per gli Stati, che non hanno il monopolio dell'azione diplomatica, per quanto vi aspirino sempre più. Occorre notare che è solamente a partire dagli anni 60 che tale rete viene percepita dal potere regio come concorrente. Insomma l’esercizio della sovranità statale deriva dalla sua capacità di coordinare le varie iniziative delle comunità che regge. Le identità collettive: percezioni e costruzioni • Il termine “nazione” nel ‘500 ha il senso ereditato dal Medioevo e designa ogni comunità che si distingue in riferimento a un territorio (nazione fiorentina e nazione piccarda...) e si usa negli ambienti che si strutturano in funzione delle loro origini geografiche (mercati stranieri impiantati in una città o studenti di una università). • Il riferimento geografico però non corrisponde per forza a strutture politiche autonome, unità culturali o linguistiche. L’identità collettiva può essere individuata da caratteristiche sociali e luoghi comuni psicologici. In ambiente italiano è forte la volontà di riferirsi al glorioso passato dell'Impero Romano, ma Jean Bodin rifiuta la nozione di translatio imperii, sottolineando come sia falso che l'impero germanico sia l'erede diretto di quello romano. L’umanesimo fa fiorire la concezione identitaria della storia come genealogia della comunità, in cui si rivelano virtù e destino. Le storie nazionali si propongono come costruzione erudita della nazione e articolano locale e nazionale (inventato a volte, come in Spagna e Italia). Le cronache locali dei regni iberici si rifanno alla Hispania romana e al regno visigotico per affermare l’appartenenza a un insieme più vasto, unito da un comune passato, utilizzato per dare senso a un legame politico presente, fragile. Le dinastie si fanno portatrici dell’identità collettiva nazionale. Così si spiega l’ostilità verso le dinastie straniere, ma non è rara la naturalizzazione di dinastie estere (es. gli Asburgo in Spagna). La nazione è concepita anche come comunità di fede, e le Chiese nazionali sono vettore di un’identità collettiva, grazie alla capillarità senza uguali della loro struttura. In questo ambito abbiamo miti di fondazione apostolica, che esaltano la filiazione diretta della chiesa dal Salvatore e dai discepoli. La Riforma ha consolidato in alcuni casi la coesione di Paesi protestanti. Il timore del ritorno del papismo imposto dallo straniero ha contribuito in modo rilevante alla costruzione del sentimento nazionale inglese o svedese. In ogni caso, se il ‘500 non ha molto a che vedere con l'era dei nazionalismi di massa, ha però conosciuto manifestazioni spettacolari di adesione a un'unità nazionale, spesso contro un nemico immaginario o reale.
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