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SOCIETÀ, CULTURA, EDUCAZIONE di ELENA BESOZZI, Appunti di Sociologia dell'Educazione

Riassunto di SOCIETÀ, CULTURA, EDUCAZIONE di ELENA BESOZZI Capitoli 1/2/3/4/5/6/7/8

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 04/08/2022

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Scarica SOCIETÀ, CULTURA, EDUCAZIONE di ELENA BESOZZI e più Appunti in PDF di Sociologia dell'Educazione solo su Docsity! 2) SOCIETÀ, CULTURA, EDUCAZIONE di ELENA BESOZZI INTRODUZIONE L’introduzione parte con ciò che scrive DURKHEIM quasi cento anni fa, ovvero che ogni società ha un sistema d’educazione che si impone sugli individui, e i soggetti non possono educare i figli come vogliono ma devono seguire delle consuetudini, dei modelli normativi dell’educazione in modo che essi, da adulti possano trovarsi in linea con gli altri coetanei. Dunque, la domanda che ci si pone è: QUAL’E’ IL MODELLO NORMATIVO DELL’EDUCAZIONE NELA NOSTRA SOCIETÀ? Alcuni autori iniziarono a dire la loro opinione: ● JEROME BRUNER (1988) —> c’è grande disagio nel definire con precisione un progetto educativo perché la società mutua troppo velocemente e non sapendo prevedere il futuro non riusciremo mai a preparare una generazione nuova adeguata alle esigenze della società. ● ZIGMUNT BAUMAN (2002) —> la crisi del progetto educativo moderno è evidente anche per egli e offre indicazioni alla filosofia e alla pedagogia circa la possibilità di uscita dall’impasse: assumere una prospettiva diversa, di un progetto educativo non tecnologico. Queste brevi considerazioni messe in esordio a un volume che aspira a trattare, da un punto di vista sociologico, le questioni educative contemporanee delineano chiaramente lo spessore del profondo cambiamento che stiamo tuttora vivendo, che ha radici lontane, nella metà del Novecento, e manifestazioni altalenanti di crisi dell'educazione, della scuola, dei sistemi di istruzione, dei ruoli educativi. La realtà sociale contemporanea sembra ereditare questo stato di crisi endogena non solo dentro i sistemi di istruzione bensì nella vita sociale nel suo complesso. In altre parole, se la modernità ha incorporato l'idea di cambiamento come suo tratto essenziale, motore dello sviluppo e del progresso, la post modernità convive con l'incertezza e con la continua esposizione alla problematizzazione, alla rimessa in discussione. Cambiano radicalmente gli scopi e le condizioni con cui delineare l'educazione. D'altro canto, ciò conferma la visione di Durkheim (1973), quando sostiene che i sistemi educativi dipendono dalla religione, organizzazioni politiche, sviluppo della scienza di quel territorio dunque è possibile individuare un progetto educativo anche nella postmodernità. La SOCIOLOGIA DELL’EDUCAZIONE quindi sarà chiamata direttamente in causa proprio dalla problematicità con la quale si presentano oggi le condizioni per la costruzione di società, appartenenza, di identità. ALESSANDRA RICCI 21 Dunque il libro si svilupperà in tre parti, la prima sviluppa il rapporto tra EDUCAZIONE - SOCIETÀ con DURHEIM e PARSONS mentre la seconda fase si parlerà di disuguaglianze sociali per l’accesso all’istruzione, nella terza fase i si focalizza su contesti e soggetti quindi famiglia, scuola, aggregazioni giovanili ecc… il volume si conclude con una discussione critica circa l’ipotesi della ‘’socializzazione leggera’’. PARTE PRIMA - IL RAPPORTO EDUCAZIONE- SOCIETÀ E LE SUE TRASFORMAZIONI Il rapporto educazione società rappresenta certo fondamentale di studio della sociologia dell’educazione in quanto disciplina scientifica. Essa come qualsiasi disciplina specialistica possiede una doppia anima, da un lato la sociologia e dall’altro studio, l’educazione. La sociologia dell’ Educazione, piuttosto che i fatti o i processi educativi, considera i legami di questi con la realtà sociale più ampia e con i diversi aspetti o dimensioni costitutivi della società stessa. Anche perché come disse DURKHEIM educazione delle nuove generazioni deve garantire un buon funzionamento della società futura. Assumendo come oggetto fondamentale di studio il rapporto educazione-società si viene condotti inevitabilmente a considerare anche le trasformazioni di questo rapporto in relazione ai cambiamenti sociali, culturali, economici che incidono profondamente sulla struttura sociale, sulle istituzioni, sui modi di relazionarsi e sugli stili di vita, e quindi anche sugli scopi e le pratiche educative. RAPPORTO SOCIETÀ ED EDUCAZIONE Alla luce dei diversi contributi dei classici della sociologia, è possibile ricostruire un modello tradizionale e i modi di concepire il rapporto tra società ed educazione, connotato nella forma della ‘’dipendenza’’ in quanto l’educazione dipende secondo DURKHEIM dalla società in quanto tale, definita in termini di “autorità morale“ che vincola e attrai a sé individui; successivamente dalla struttura economica della società (KARL MARX), successivamente dalla struttura di potere (MAX WEBER). Il moo tradizionale lascia progressivamente il posto a una crescente discontinuità tra strutture sociali e processi educativi, ben visibile a partire dalla seconda metà del 900 e la crisi dell’educazione e dei sistemi di istruzione nei paesi occidentali. Come vedremo successivamente questa crisi porterà a una nuova modalità di costruzione del rapporto Che si fonderà su una visione sistematica e dove non sarà più possibile un riscontro del rapporto educazione società e la forma della pura dipendenza piuttosto la complessità sociale, il pluralismo culturale e i processi di globalizzazione svilupperanno modalità di interconnessione e la forma dell’interdipendenza che restituirà ai soggetti nelle situazioni e nei contesti educativi un ruolo attivo nella società. ALESSANDRA RICCI 22 Dunque per ricapitolare educazione, nata inizialmente attorno alle esigenze poste dal reale, come un fuoco di attenzione privilegiata sulla scuola e su insegnanti, si trova oggi a definirsi piuttosto come una sociologia delle istituzioni e dei processi formativi, all’interno di uno scenario dell’educazione e della formazione policentrico e profondamente intrecciato con le dinamiche della comunicazione e della cultura. 1.2 LA SOCIOLOGIA DELL’EDUCAZIONE IN ITALIA La educazione nasce in Italia negli anni 60 il suo ingresso ufficiale avvenne al convegno del 1946 su “la scuola e la società italiana in trasformazione“ dove e come rivela cesareo “la scuola dell’educazione fa la sua comparsa ufficiale presentandosi con una serie di contributi di aurici e di ricerca’’ . Egli segnala infatti un ritardo nel nostro paese dovuti a problemi strutturali pedagogici e didattici Che provocavano l'obsolescenza del tradizionale equilibrio esistente tra scuola e società. Inoltre egli diceva che solo recentemente, la profonda crisi che aveva investito anche il sistema italiano aveva fatto nuovamente rinascere, tra i sociologi, l’interesse per i problemi informativi. La crisi di cui parla cesareo e quelle che hai investito la fine degli anni 70 e gli inizi degli anni 70 i paesi occidentali e si trattava di una crisi legata a profonde trasformazioni economiche, politiche e culturali, che investe anche i sistemi di istruzione i diversi paesi e riguarda soprattutto la capacità di rispondere a una domanda sociale distruzione e di formazione. Questo periodo rappresentò uno spartiacque per i processi di mutamento sociale e culturale e per la stessa riflessione sociologica ma solo con gli anni ottanta la sociologia raggiunse una relativa maturità nel nostro paese. In quanto si rivelò un impegno nell’analisi dei rapporti tra istruzione e occupazione, studi sulla mobilità sociale, ricerche sulla dispersione scolastica, abbandoni all’esame a causa dell’insuccesso, ricerche sugli insegnanti e giovani. Per quanto riguarda gli anni 90 e quelli più recenti, possiamo identificare sia carenze sia sviluppi. Per quanto riguarda le carenze di studi e ricerche possiamo nominare alunni stranieri la scuola italiana, mutamento delle condizioni di apprendimento legata alla forte esposizione va da parte delle nuove generazioni a i new media delle informazioni, mentre per quanto riguarda gli sviluppi possiamo citare le condizioni della socializzazione e dell’educazione, la scuola multiculturale e la condizione dei giovani. 1.3 QUALE OGGETTO DI STUDIO PER LA SOCIOLOGIA DELL’EDUCAZIONE ? Come abbiamo già notato, nel corso delle sue fasi di sviluppo, la sociologia dell'educazione da sociologia della scuola si trasformò progressivamente in sociologia delle istituzioni e dei processi educativi, formali e informali. ALESSANDRA RICCI 25 Per arrivare a una definizione di sociologia dell'educazione è opportuno prendere innanzitutto in considerazione la distinzione tra <<educational sociology» (sociologia educativa) e <<sociology of education>> (sociologia dell'educazione), la prima collocata all'interno degli studi pedagogici, la seconda identificata come settore di studio specifico e strettamente sociologico dei processi educativi. La distinzione, come fa osservare Cesareo (1976), è tutt'altro che banale. Infatti, una sociologia educativa è essenzialmente una teoria normativa, «articolata in una serie di imperativi riguardanti le modalità per conseguire i fini desiderati e per realizzare i programmi d'azione» e, in questa prospettiva, si pone come tecnica per risolvere i problemi scolastici e come mezzo di controllo dei processi educativi. Per contro, una sociologia dell'educazione sviluppa fondamentalmente, attraverso l'indagine empirica, «una teoria in grado di spiegare situazioni e fenomeni presenti e passati, nonché di individuare tendenze e probabili alternative». La distinzione tra questi due campi di analisi può essere ulteriormente precisata sottolineando come la sociologia educativa sia volta all'azione pratica e abbia quindi un carattere prescrittivo e normativo. Mentre la sociologia dell'educazione si caratterizzi piuttosto come disciplina volta alla conoscenza dei fenomeni educativi e si sviluppi quindi lungo la linea descrizione spiegazione-comprensione tipica della riflessione sociologica. Venendo in modo più specifico all’oggetto di studio della sociologia, possiamo far riferimento a una serie di tentativi sistematici di individualizzazione delle aree tematiche più importanti. WILBUR B. BROOKOVER, individua 4 principali aree di studio della sociologia dell’educazione: 1. ANALISI DELLE RELAZIONI DEL SISTEMA EDUCATIVO CON ALTRI ASPETTI DELLA SOCIETÀ 2. LO STUDIO DELLE RELAZIONI DENTRO LA SCUOLA 3. L’ANALISI DELL’INFLUENZA DELLA SCUOLA SUL COMPORTAMENTO E SULLA PERSONALITÀ DEI SUOI MEMBRI 4. L’INFLUENZA DELLA COMUNITÀ E DELLA DIVERSE AGENZIA DI SOCIALIZZAZIONE SULL’ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA Mentre JEAN. E. FLOYD E HALSEY elencano 4 gradi aree di interesse di questa disciplina: 1. Il compito di studiare il sistema educativo nelle sue relazioni con la più ampia struttura sociale quindi legami con il sistema di valori, economia, demografia, politica. 2. Deve studiare la struttura sociale e il funzionamento dei gruppi che costituiscono il sistema scolastico, come le scuole, l'università ecc.. ALESSANDRA RICCI 26 3. Diventano oggetto di studio le relazioni sociali riguardanti le attività educative, come ad esempio la cultura della scuola o il funzionamento della classe. 4. L’attenzione deve essere rivolta anche alle influenze educative implicite esercitate dall’ambiente sociale di riferimento studenti e insegnanti. Infine, CESAREO, descrive 5 grandi settori di indagine consolidati o in via di sviluppo. ● Il rapporto tra sistema educativo e struttura sociale. ● La riflessione sulle determinanti sociali della educabilità. ● L’analisi diretta dell’istituzione scolastica, concepita in termini di sottosistema sociale in quanto organizzazione. ● Gli insegnanti, il loro status professionale che è rapporto con gli allievi. ● Gli effetti dell’educazione scolastica, cioè l’esame della modificazione che la scuola produce attraverso l’assimilazione dei valori tipici della cultura scolastica e mediante il conseguimento degli obiettivi prefissati A conclusione delle riflessioni riguardanti lo sviluppo della sociologia dell'educazione, possiamo mettere l'accento sul fatto che l'oggetto di studio si è modificato e ampliato nel tempo, anche se rimane, quale fuoco centrale e identificatorio di questo settore della sociologia, l'analisi del rapporto educazione società, tuttavia articolato di volta in volta e arricchito da questioni o aspetti socialmente significativi e rilevanti. L'ampliamento è avvenuto e avviene soprattutto in relazione al fuoco tradizionalmente posto sull'istituzione scolastica e questo produce una situazione in larga misura nuova, quella di un confronto oltremodo necessario con settori del tutto contigui proprio all'interno dello stesso campo della sociologia. Di fatto, la sociologia dell'educazione non può non occuparsi oggi della realtà familiare, dei giovani, dell'infanzia, e in generale dei bisogni di educazione e di formazione lungo tutto l'arco della vita, e quindi anche degli adulti, delle persone anziane, ma anche dei new media, della o delle religioni, delle culture che si interfacciano su una medesima realtà sociale. 4 elementi determinanti dei processi educativi Le ricerche nuove e «diverse» prefigurano quattro elementi come determinanti per i processi educativi. 1. L'educazione rappresenta una tipica manifestazione di interazione sociale 2. Esiste sempre l'influenza di altre istituzioni sulla scuola e viceversa. 3. La scuola è un gruppo sociale organizzato 4. Che svolge delle funzioni nei riguardi della società ALESSANDRA RICCI 27 2.3 IL MODELLO CLASSICO DEL RAPPORTO EDUCAZIONE SOCIETÀ Il rapporto educazione – società fa riferimento ad alcuni principi generali: • In ogni società esiste il bisogno di educare: è un principio di universalistico. • Ogni società sviluppa un ideale educativo, cioè un modello a cui tendere. Il modello classico (basato sulla dipendenza) del rapporto educazione - società assume come principale l’idea che l’educazione sia strettamente legata alla sua società di riferimento. 2.3.1 EMILE DURKHEIM (1858 – 1917): LA SOCIETA’ COME AUTORITA’ MORALE E L’EDUCAZIONE COME REALIZZAZIONE DEL PRIMATO DELLA SOCIETA’ E’ in Durkheim che il legame di dipendenza dell’educazione dalla società appare particolarmente evidente. Il problema centrale della sua sociologia riguarda l’ordine e l’integrazione sociale. Questa centralità è strettamente legata al contesto socio politico francese di quel tempo, travagliato da lotte politiche tra repubblicani e monarchici, che porterà all’avvento della terza Repubblica, per la quale si pone in modo esplicito il compito di ristabilire un nuovo ordine politico e di rafforzare l’economia della nazione. Quella di Durkheim può quindi essere definita una teoria che spiega come sia possibile l’ordine sociale, fondandosi sulla solidarietà tra gli individui e, quindi, sulla condivisione di valori comuni. Il punto di partenza per spiegare le forme della solidarietà sociale (vincolo morale che lega l’individuo alla sua società) è la società con le sue esigenze di continuità e di stabilità. L’individuo, lasciato a se stesso, sarebbe un essere asociale ed egoista e rimarrebbe al livello degli animali, mentre il legame con la società fa di lui un uomo nuovo. Durkheim stabilisce una distinzione fondamentale tra due forme diverse di solidarietà: ● Meccanica, porta gli individui a identificarsi quasi totalmente nei valori della coscienza comune, cioè in pratiche che lasciano poco spazio alla variabilità individuale. E’ tipica della società premoderna, definita da Durkheim segmentaria, caratterizzata da una forte somiglianza e uniformità tra gli individui. ALESSANDRA RICCI 30 ● Organica, tipica della società industriale, caratterizzata da un aumento della densità della popolazione e quindi dalla specializzazione e divisione del lavoro sociale: Le diverse parti che compongono questa società, a sua volta definita organica, svolgono funzioni differenti e specifiche e sono tra loro coordinate e subordinate reciprocamente. Gli individui sono interdipendenti tra di loro. L’educazione in Durkheim rappresenta il tramite fondamentale attraverso il quale si realizza il primato della società sull’individuo. E’ lo strumento indispensabile di costruzione dell’essere sociale, di integrazione e di controllo. Ha per oggetto l’adattamento del fanciullo all’ambiente in cui vive e deve assicurare tra i cittadini una sufficiente comunità di idee. Viene quindi definita come trasmissione di norme, valori e conoscenze. E’ essenzialmente statale, in quanto Durkheim sostiene che la scuola statale sia l’unica agenzia di socializzazione preposta ad educare. Per Durkheim la società è di per se l’elemento positiva, moralizzatore, creatore dell’ordine, dell’armonia tra individui. Sostiene l’idea che a fondamento della società e della coesione sociale non vi possa essere un principio economico, soprattutto se basato su interessi individuali, bensì occorra un principio morale che fornisca sacralità al legame sociale. 2.3.2 KARL MARX (1818 – 1883): STRUTTURA ECONOMICA ED EDUCAZIONE Nell’idea marxista di educazione, al contrario di Durkheim, è rilevante lo stretto legame tra struttura economica ed educazione. C’è comunque un’analogia interessante tra Durkheim e Marx per quanto riguarda la posizione della coscienza individuale rispetto alla società o alla coscienza collettiva. In entrambi gli autori la coscienza individuale ha un’origine sociale: per Durkheim nasce e si sviluppa tramite l’azione che la società esercita sull’individuo; per Marx dipende dai modi di produzione che definiscono l’essere sociale e quindi la sua coscienza individuale. Un’ulteriore affinità tra Marx e autori classici come Weber e Simmel si riscontra riguardo il fatto che la realtà sociale è una realtà prodotta dagli uomini, che deve la sua origine e la sua configurazione esclusivamente alle attività di esseri umani concreti: la realtà è pertanto un fatto modificabile tramite l’agire. Per Marx i rapporti sociali, che sono prima di tutto rapporti economici, di produzione, si impongono agli uomini, che alla nascita trovano dei rapporti sociali determinati e necessari e, pertanto, una struttura della società costituita dalla sua base economica. Infatti una società si definisce essenzialmente per la sua struttura economica, intesa come il complesso di relazioni tra le diverse forze produttive in un determinato modello di produzione storicamente determinato; tutto il resto è sovrastrutturale: le istituzioni politiche, i modi di pensare, le ideologie, la religione sono dipendenti da una determinata organizzazione economica. Due concetti di Marx sono particolarmente importanti per chiarire il rapporto tra società ed educazione: il concetto di contraddizione e quello di alienazione. ALESSANDRA RICCI 31 La contraddizione è un elemento insito negli stessi rapporti sociali e definisce l’antagonismo esistente tra gli uomini in relazione a una determinata realtà sociale; due sono le forme di contraddizione che presenta la società capitalista: innanzitutto la contraddizione è tra le forze e i rapporti di produzione, per cui si sviluppa un contrasto di interessi e una distribuzione disuguale del lavoro e dei suoi prodotti; inoltre la contraddizione è evidente tra aumento progressivo delle ricchezze e la miseria crescente della maggioranza della popolazione. La contraddizione esistente all’interno della realtà sociale ci presenta pertanto una frattura e quindi una dicotomia tra un gruppo in posizione di controllo (nella società capitalista la borghesia) e un gruppo sotto controllo (proletariato). A questo concetto dicotomico è strettamente legato quello di alienazione secondo il quale il soggetto dell’attività perde il controllo dell’oggetto che ha prodotto, la realtà prodotta acquista così un potere di resistenza rispetto agli uomini e si contrappone a essi. Il concetto di alienazione si caratterizza soprattutto in termini negativi, come espropriazione per il soggetto della sua umanità. L’alienazione è estraneazione proprio per il fatto che l’uomo perde questo legame con il prodotto della sua attività. Anche l’educazione si realizza all’insegna della contraddizione e dell’antagonismo fra le classi, proprio perché l’educazione appartiene alla dimensione sovrastrutturale e, in quanto tale, è determinata dalla struttura sociale. Marx esprime una concezione sia negativa sia positiva dell’educazione. Infatti, da un lato si evidenzia la critica all’educazione borghese e alle condizioni disastrose dell’educazione popolare destinata agli operai; dall’altro, Marx attribuisce all’educazione un ruolo importante nel processo di emancipazione dell’uomo e della società. Per Marx occorre combattere l’educazione che conferma le posizioni e l’ideologia della classe dominante. L’educazione è uno dei mezzi di oppressione nei confronti delle classi subalterne. Sarà pertanto una nuova prassi educativa, tesa all’emancipazione, a scardinare tale modello attraverso la ricostruzione del legame tra istruzione e lavoro e tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. L’emancipazione dell’operaio, attraverso un’istruzione completa, che unisce pensiero e azione, è volta in particolar modo alla presa di coscienza dell’esistenza dei rapporti di dominio e delle contraddizioni insite nei rapporti sociali di produzione. Il rapporto tra educazione e società si caratterizza quindi per Marx in modo duplice: in chiave critica della situazione sociale esistente; in chiave propositiva, l’educazione diventa elemento significativo all’interno del processo di risoluzione dei conflitti di classe. Questo porta a concepire l’educazione come forma emancipatoria. 2.3.3 MAX WEBER (1864 – 1920): L’ISTRUZIONE TRA POTERE E PRESTIGIO Per Weber la sociologia consiste essenzialmente nello studio dell’azione sociale, intesa come quell’azione intenzionale, dotata di senso e riferita all’atteggiamento di altri individui, verso i quali l’azione stessa si orienta. L’attenzione del sociologo è quindi al comportamento del soggetto. ALESSANDRA RICCI 32 2.3.5 KARL MANNHEIM (1893 – 1947): L’EDUCAZIONE COME LIBERAZIONE DAI CONDIZIONAMENTI DELLA CULTURA Mannheim coglie l’esigenza di una riflessione che sveli l’inconscio collettivo prigioniero dei condizionamenti sociali e sottolinea il ruolo degli intellettuali, che possono mettere in evidenza i fattori irrazionali che di solito entrano nelle scelte politiche. L’educazione risulta uno strumento con cui influire sui sistemi di vita e sul modo di pensare degli individui. Centrale è quindi l’analisi del rapporto tra conoscenza e struttura sociale per definire un programma educativo che consenta all’individuo uno sviluppo completo e consapevole dei condizionamenti e degli impedimenti a forme mature di pensiero. Mannheim è convinto che ogni forma educativa sia collocabile storicamente e pertanto abbia un valore relativo al tipo di società nella quale si realizza. La società moderna porta a sottolineare l’inevitabilità di un’educazione alla democrazia. I due poli dell’educazione diventano pertanto l’adattamento da un lato e l’autonomia del soggetto dall’altro. 2.3.6 TALCOTT PARSONS (1902 – 1979): LA SOCIALIZZAZIONE COME INTEGRAZIONE DI SOCIETA’, CULTURA E PERSONALITA’ Parsons trasferisce il dibattito sociologico in ambito statunitense e porta a compimento l’impegno della sociologia classica alla comprensione della società moderna e dei problemi di integrazione che essa pone. In Parsons il rapporto tra educazione e società si presenta legato sia al suo concetto di azione sociale sia alla sua analisi dell’organizzazione della società in sottosistemi funzionali e tra loro interdipendenti. L’azione sociale è quell’ azione compiuta da un agente, in vista di un fine, in relazione ad una situazione e in base a una valutazione delle alternative presenti ed avviene all’interno di un sistema di aspettative reciproche e attraverso una complementarità degli attori: l’azione del singolo viene collocata all’interno di un sistema di interazione (azione tra ego-alter). Il punto di partenza è l’azione del soggetto agente (razionale, intenzionale), la cui integrazione nella struttura sociale avviene tramite la reciprocità (interazione). La preoccupazione di Parsons è quella di trovare gli elementi essenziali di funzionamento della società e questo lo porta a elaborare gli imperativi funzionali che trovano sistemazione in un modello generale, noto come modello AGIL che secondo Parsons può essere applicato a qualsiasi realtà sociale. Esso contiene quattro requisiti di funzionamento per qualsiasi sistema d’azione: l’adattamento all’ambiente; la definizione e il conseguimento degli scopi; l’integrazione delle sue parti; il mantenimento del modello di riferimento. Parsons individua inoltre quattro centri di integrazione o sistemi: il sistema sociale, un sistema di interazione tra ruoli e posizioni sociali; il sistema culturale che corrisponde all’insieme dei modelli culturali presenti in una data società; il sistema della personalità che fa riferimento al soggetto agente individuale; il sistema biologico riferito all’organismo vivente che realizza l’adattamento all’ambiente. Questi quattro sistemi, essendo in relazione reciproca di interdipendenza, contribuiscono al processo di integrazione generale. ALESSANDRA RICCI 35 Anche per Parsons l’educazione si configura come una funzione essenziale ai fini dell’integrazione delle nuove generazioni. Definisce il processo di socializzazione come processo di apprendimento che mette in relazione il socializzando con il sistema delle aspettative collegate a uno o più ruoli da svolgere e con il modello culturale di riferimento. L’educazione e la socializzazione attivano i legami di interdipendenza tra il sistema della personalità, della cultura e biologico. L’educazione delle nuove generazioni dipende dalla società, dalla sua organizzazione e dai suoi bisogni. Con ciò Parsons apre ad una concezione circolare dei rapporti tra sistemi. CAPITOLO 3 - PROBLEMATIZZAZIONE DEL RAPPORTO EDUCAZIONE - SOCIETA’. DISCONTINUITA’. INTERDIPENDENZA E INTERAZIONE L’attenzione è rivolta al superamento della concezione lineare del rapporto educazione – società, a partire dalla descrizione di uno scenario socioculturale in via di grande trasformazione come quello della metà del ‘900 e al riemergere della concezione conflittuale dei rapporti sociali. Si discuterà dell’impatto della svolta comunicativa nelle scienze umane e sociali nella ridefinizione di un approccio all’analisi dei processi educativi, identificabile nella forma dell’interdipendenza e dell’apprezzamento di un dualismo analitico nell’analisi dei processi educativi, ciò che apre la possibilità di valorizzare tanto la dimensione dell’interdipendenza (tra sistemi) quanto quella dell’interazione (tra i soggetti). 3.1 LA ROTTURA DEL LEGAME DI DIPENDENZA. CONSENSO, CONFLITTO E POLICENTRISMO FORMATIVO Fino alla metà del secolo scorso, la descrizione e l’interpretazione dei processi sociali, e quindi anche di quello educativo, avviene secondo un’ottica funzionalista, con un’idea dell’integrazione come processo di adattamento del soggetto alla realtà sociale. La concezione di dipendenza dell’educazione dalla società trova una sua rilevanza empirica nella posizione che la scuola è andata assumendo nella società industriale, una posizione sempre più di rilievo, fino a una vera e propria monopolizzazione dei processi formativi. Di conseguenza fin verso il 1970 è prevalso un sistema formativo decisamente scuolacentrico. Tra la fine degli anni ’50 e gli inizi degli anni ’60, la prospettiva teorica consensualista della dipendenza appare sempre meno in grado di spiegare i fenomeni che avvengono in una società dinamica e complessa. La rottura del legame diretto tra educazione e società avviene infatti a fronte dei mutamenti socioculturali che riguardano tutti gli ambiti. Fino alla fine degli anni ’50, la scuola si presenta come un’istituzione in grado di rispondere alle aspettative sociali e la sua importanza si fa sempre più evidente nel ciclo di vita degli individui. Anche in Italia, e in modo evidente dagli anni ’50, si assiste a una crescente domanda di istruzione. L’incremento dei tassi di scolarizzazione e del conseguimento di titoli di studio contribuisce a mettere in crisi il legame tra scuola e sbocchi occupazionali, a far perdere valore alle credenziali educative. La crisi si fa evidente anche all’interno dell’istituzione scolastica, investita da un numero sempre crescente di compiti, ma sempre meno in grado di farvi fronte. ALESSANDRA RICCI 36 La crisi che ha investito i sistemi d’istruzione dei paesi occidentali ha contribuito pertanto a una messa in discussione del cosiddetto modello formativo scuolacentrico. Si fa quindi strada un’ottica nuova, definita policentrismo formativo che riporta in luce l’esistenza di una pluralità di agenzie e di occasioni formative. L’idea di policentrismo formativo contiene in sé la rottura di una sinergia e di una perfetta coerenza tra scuola e realtà sociale. L’idea di policentrismo formativo che attraversa la seconda metà degli anni ’90 metterà chiaramente in luce “il problema della costruzione di relazioni tra i diversi poli del processo e quindi tra sedi, occasioni, attori della formazione”. E’ in questa prospettiva che, negli anni più recenti, si fa strada l’idea di rete o di network e di sistema formativo integrato come immagine di un coordinamento non gerarchizzato. La concezione policentrica della formazione richiama a sua volta l’emergere del pluralismo colturale legato ai processi di differenziazione del sociale. Esso evidenzia l’aumento dei gradi di autonomia a livello micro (dei singoli soggetti) e a livello macro (delle diverse parti della società), senza peraltro il riferimento a un centro unificante regolatore di significati. Tutto ciò accentua la separazione tra sfere della vita individuale (pluricollocazione). Da questo quadro emerge una conflittualità estesa alle diverse parti della società. A metà del ‘900 riemerge con forza la categoria del conflitto come dimensione costitutiva della società, sviluppando una critica al paradigma funzionalista. Le critiche al funzionalismo possono essere essenzialmente riassunte in una denuncia del fatto che la sociologia ha perso il suo ruolo fondamentale, che è un ruolo di svelamento delle strutture e dei condizionamenti latenti, piuttosto che una messa a punto di schemi e teorie, che allontanano dall’esame diretto dei fenomeni sociali. Soprattutto il funzionalismo ha operato una (falsa) convergenza di approcci che erano e rimangono fondamentalmente eterogenei. Negli anni ’70 sono ormai chiaramente visibili sia la frammentazione del paradigma classico, sia la proliferazione di approcci e teorie. Infatti la critica al funzionalismo riporta alla luce punti di vista e approcci diversi, come quello marxista e quello weberiano che partono entrambi dall’assunto della contrapposizione fra i gruppi sociali, piuttosto che dalla loro sinergia, da elementi quindi conflittualistici piuttosto che solidaristici. Con riferimento sia alla dimensione del conflitto, sia alla nuova centralità del soggetto, si può dire che emerga la distanza tra individuo e società di riferimento, che introduce una tensione tra il sistema e l’attore, dove invece la sociologia classica aveva costruito un principio di continuità. Ritroviamo qui l’impostazione data da Simmel all’analisi del rapporto tra soggettività e realtà oggettiva in termini di discontinuità. E’ soprattutto la messa a tema della crisi dei sistemi di istruzione che evidenzia la discontinuità nei rapporti tra società e d educazione. In questo modo, alla sociologia dell’educazione, viene maggiormente riconosciuto un ruolo significativo nella comprensione della realtà sociale e delle sue contraddizioni. Sul versante della scuola, parlare di autonomia rispetto alla società significa riconoscere ai singoli istituti scolastici un ruolo attivo nel proporre e modificare i fini e le funzioni dell’educazione. Si pensi, per esempio, ai modelli educativi alternativi proposti tra gli anni ’60 e ’70 in Italia, come la scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani o ai movimenti antiautoritari, nati spesso all’interno della scuola. ALESSANDRA RICCI 37 3.3 LA SVOLTA COMUNICATIVA Gli sviluppi dell’approccio conflittualista mostrano sia la rilevanza del conflitto nelle società moderne sia la sua trasformazione. D’altro canto possiamo osservare come il dibattito per un superamento dell’opposizione tra consenso e conflitto orienti la riflessione sociologica verso un apprezzamento sempre più ampio sia della riflessione sul funzionamento sistemico della società (livello macro) sia sull’analisi dell’agire nella vita quotidiana (livello micro). All’interno del dibattito micro-macro, possiamo porre attenzione a quella che può essere definita la svolta comunicativa nell’analisi dei processi sociali. Si tratta di un passaggio di grande rilevanza che possiamo leggere come convergenza di tanti approcci diversi verso un “nuovo” paradigma che afferma che la società è comunicazione. E’ un orientamento che ha prevalso dagli anni ’90 in poi. La base comunicativa finisce con il creare un terreno comune ai diversi approcci contemporanei, tanto da diventare categoria interpretativa e rappresentativa della società complessa. La svolta comunicativa si concretizza in tutta una serie di contributi eterogenei tra loro. La distinzione più usuale è quella tra approccio sistemico e approccio interazionista-comunicativo e quindi in qualche misura tra lettura micro e macro della società. ALESSANDRA RICCI 40 PARTE SECONDA - PROCESSI E PROBLEMI FONDAMENTALI IN SOCIOLOGIA DELL’EDUCAZIONE La socializzazione è tipicamente quel processo che costruisce il legame tra il soggetto e la sua società di appartenenza. Socializzazione e identità rappresentano i temi forti di analisi nel campo della sociologia dell’educazione (cap.4), in quanto concernono direttamente l’integrazione sociale e lo sviluppo quindi delle forme della socialità e delle competenze sociali necessarie al conseguimento della coesione sociale. Nel capitolo 5 verrà affrontato il tema delle disuguaglianze di fronte all’istruzione, mettendo in luce i dilemmi che i sistemi scolastici hanno dovuto affrontare nel tempo, il legame che si viene a stabilire tra istruzione e possibilità di mobilità sociale così come la crisi del legame istruzione-disoccupazione. CAPITOLO 4 - SOCIALIZZAZIONE, IDENTITÀ, INTEGRAZIONE 4.1 SOCIALIZZAZIONE ED EDUCAZIONE In ogni società esiste la necessità di socializzare le nuove generazioni, cioè di far loro acquisire valori, norme, atteggiamenti e comportamenti generalmente condivisi dal gruppo sociale di appartenenza. In primo piano vi è il fatto che la società ha necessità di integrare le nuove generazioni ed esprime quindi aspettative a riguardo del processo di socializzazione che consente progressivamente l’inculturazione (processo di appropriazione del patrimonio culturale e dei tratti distintivi della cultura di riferimento) e l’inclusione. D’altra parte, sul versante dell’individuo, esiste il bisogno di appartenenza, di identificazione con gruppi o categorie sociali in modo tale da costruire la propria identità sociale e di sviluppare un sentimento di appartenenza. Parlando di socializzazione, ritroviamo due poli che al contempo si incontrano e si scontrano: la società e l’insieme di aspettative da un lato; dall’altro l’individuo e i suoi bisogni di appartenenza, ma anche di autonomia e di distinzione rispetto al gruppo. Prima di entrare nel merito del processo di socializzazione, occorre tuttavia trattare della distinzione tra educazione e socializzazione. La discriminante che va introdotta riguarda la distinzione tra livello formale e informale dei processi educativi. Quando si parla di livello formale si intende sottolineare l’intenzionalità e la progettualità del processo educativo, che si riscontrano per esempio quando si parla di educazione familiare o di educazione scolastica: la scuola infatti può essere ritenuta l’istituzione formale per eccellenza. Il livello informale descrive invece tutte quelle relazioni sociali che producono un effetto educativo o socializzante senza che questo sia intenzionalmente previsto o atteso in modo esplicito dai partecipanti a quella situazione. E' il caso, per esempio, dell’aggregazione giovanile in gruppi spontanei. ALESSANDRA RICCI 41 Cesareo ha evidenziato una distinzione ancora più netta tra educazione e socializzazione. Per educazione egli intende infatti “l’insieme dei soli aspetti formalizzati e istituzionalizzati della socializzazione”; inoltre l’educazione implica sempre un rapporto, non necessariamente asimmetrico, tra chi insegna e chi apprende. La socializzazione rappresenta invece un concetto più ampio, in quanto comprende “tutto quanto attivamente o passivamente concorre all’inserimento di un individuo nei gruppi sociali.’’ Il concetto di socializzazione ha una valenza forte in quanto indica il portare il soggetto in società. Il passaggio da una socializzazione sostanzialmente informale a un processo di socializzazione articolato, nel quale buona parte della sua realizzazione è affidata a specifiche istituzioni come la scuola, si verifica quando “il patrimonio culturale da trasmettere diventa vasto e la complesso e la divisione del lavoro all’interno della società richiede individui addestrati sempre meglio per svolgere determinati ruoli lavorativi, per i quali è necessaria una preparazione specifica. 4.2 MODELLI DI SOCIALIZZAZIONE (no lezione) La socializzazione è un processo che si realizza nel corso dell’intera esistenza dell’individuo, e questo a maggior ragione nella società contemporanea dove di frequente è richiesto all’individuo di apprendere molteplici ruoli o di adattarsi a nuove situazioni che implicano una messa in discussione dei comportamenti appresi e una risocializzazione a un diverso sistema di aspettative, che comporta una forte rielaborazione da parte del soggetto. Nell’analisi del processo di socializzazione, possiamo individuare approcci teorici diversi che si distinguono per il significato che assume al loro interno la questione dell’integrazione sociale. Si possono individuare tre concezioni della socializzazione, strettamente legate anche ai diversi modi di intendere il rapporto educazione società: la concezione funzionalista-integrazionista, quella conflittualista e quella interazionista-comunicativa. Queste tre concezioni vengono formulate in forma di modelli. 4.2.1 IL MODELLO FUNZIONALISTA - INTEGRAZIONALISTA (no lezione) La concezione funzionalista della socializzazione ha le sue radici nell’idea durkheimiana dell’educazione, intesa come “il mezzo per il quale la società rinnova le condizioni della propria esistenza”. La stabilità e continuità della società rappresentano pertanto il fine ultimo dell’educazione. Durkheim sottolinea che “l’uomo che l’educazione deve realizzare un noi, è l’uomo come la società vuole che sia”. L’educazione viene pertanto definita da Durkheim come quell’azione esercitata dalle generazioni adulte su quelle che non sono ancora mature per la vita sociale. A monte di questa concezione normativa dell’educazione, ci sono alcuni presupposti fondamentali: ● L’idea dell’uomo egoistico che, se lasciato allo stato di natura, sarebbe un essere asociale, mentre il legame con la società consente all’individuo la sua piena umanizzazione ed emancipazione; ALESSANDRA RICCI 42 All’interno di questa matrice critica si suole distinguere tra teorici della riproduzione sociale, per i quali si tratta di rimettere in discussione il rapporto tra struttura e sovrastruttura, e teorici della riproduzione culturale che portano l’analisi del dominio direttamente nel campo della cultura e quindi giungono a problematizzare il rapporto esistente tra cultura familiare e cultura scolastica. Nell’ambito di una lettura conflittualista della società e dei rapporti sociali si sviluppa un filone che rimanda direttamente a Weber. Il conflitto è quindi una modalità delle relazioni sociali. Un ulteriore aspetto che emerge dall’analisi dei teorici neomarxisti della riproduzione sociale e culturale, è quello dell’ideale emancipatorio: le classi subalterne devono potersi riscattare da questo doppio legame sociale e culturale. Tuttavia tale emancipazione risulta piuttosto utopica, innanzitutto perché concepita per lo più come emancipazione collettiva; inoltre, tutte le analisi tendono a descrivere una situazione bloccata, dove l’assoggettamento risulta essere totale e quindi l’opposizione praticamente impossibile. Affinchè sia realizzata una liberazione dal dominio e dalla coercizione occorrerebbe riconoscere all’istruzione un ruolo positivo nel far conseguire una presa di coscienza alla classe operaia. Soltanto in questo modo si possono avere le basi per il cambiamento sociale. Habermas sosteneva che per una teoria della socializzazione occorresse tenere conto dell’agire del soggetto in rapporto agli altri e quindi di come egli interiorizza e fa propri i requisiti e le pressioni alla conformità di ruolo o, in quale misura, se ne distanzia mediante un’elaborazione personale e quindi un’interpretazione dell’agire di ruolo che può sviluppare meccanismi di difesa o anche di trasgressività e devianza. Habermas sottolinea l’importanza del linguaggio e della competenza comunicativa, che vengono coltivati nel corso della socializzazione; importante è anche la famiglia che definisce gli schemi interpretativi della realtà all’interno dei quali operare. 4.2.3 IL MODELLO INTERAZIONISTA - COMUNICATIVO (no lezione) L’approccio interazionista – comunicativo trova le sue prime radici in Simmel per poi avere uno sviluppo attraverso la psicologia sociale e i lavori sociologici della Scuola di Chicago. Mentre i due approcci precedenti, quello funzionalista e quello conflittualista, assumono rispettivamente la concezione di società come conformità ed equilibrio il primo e come conflitto e dominio il secondo, l’approccio interazionista-comunicativo trova il suo fondamento nell’assunto che la società è intersoggettività e comunicazione. Il punto di partenza della prospettiva interazionista è che l’uomo costruisce attivamente la realtà sociale. La costruzione della realtà è una tipica manifestazione umana, legata alla capacità di produrre simboli, cioè di rappresentarsi gli oggetti della realtà attraverso segni che stanno al posto degli oggetti concreti. Alla capacità di produrre simboli si associa l’attribuzione, da parte degli individui, di significato. L’interazionismo simbolico assume come unità d’analisi, non il comportamento del singolo individuo, bensì l’interazione. ALESSANDRA RICCI 45 I principali filoni dell’approccio interazionista sono: uno, sviluppato da Blumer che enfatizza gli aspetti microsociali di analisi dell’interazione, sottolineando come i significati siano soggettivi; l’altro, che fa capo a Kuhn, il quale invece interpreta l’interazione sociale soprattutto nei suoi legami con la struttura sociale. Con Berger e Luckmann lo studio del processo di socializzazione assume come dato di partenza la realtà della vita quotidiana. Nel corso della socializzazione primaria, il bambino interiorizza questa realtà di senso comune in forma di tipizzazioni, cioè di modelli utili per l’agire. Questa conoscenza viene interiorizzata tramite identificazione ed imitazione. E’ grazie all’identificazione con le persone che gli stanno intorno, che il bambino diventa capace di identificare se stesso. L’io è quindi un’entità riflessa, che riflette gli atteggiamenti degli altri nei suoi confronti. Nel corso della socializzazione secondaria avviene una problematizzazione di questa prima esperienza della realtà, che in ogni caso rimane in ciascuno di noi come la prima vera visione del mondo. Questo può comportare anche una crisi importante, proprio per il fatto di dover riconoscere che il mondo dei propri genitori non è l’unico esistente. E’ quindi a partire da questa realtà di senso comune che si evidenziano la costruttività della realtà sociale e l’importanza della comunicazione: il soggetto mostra la capacità non solo di assumere le forme oggettivate interiorizzandole, bensì anche di conservarle o trasformarle. Ed è soprattutto nel corso della socializzazione primaria che il bambino acquisisce la capacità di agire sul piano cognitivo ed emozionale. In questo modello interazionista-comunicativo è la socializzazione secondaria a costituire la parte strategica che dà il via alla considerazione del soggetto come riflessivo e capace di distanziamento. Qui siamo in presenza di una discontinuità con l’identità costruita nella prima parte di vita del soggetto. La discontinuità è resa possibile nella misura in cui il soggetto si apre al mondo e alle sue possibilità. Ciò è particolarmente possibile nella società contemporanea nella quale il soggetto in crescita e successivamente in età adulta è continuamente esposto a esperienze anche molto diversificate tra loro, a volte contrastanti. Il processo di socializzazione può essere definito anche come il progressivo strutturarsi dell’identità personale e sociale del soggetto. I tre approcci allo studio della socializzazione mettono in evidenza il problema relativo alle modalità di assunzione della realtà esterna: tanto nel funzionalismo quanto nel conflittualismo così come nell’interazionismo simbolico, quarta realtà è inizialmente “data”, imposta al soggetto, ma l’interazionismo colloca questo apprendimento in una prospettiva comunicativa, intersoggettiva. L’enfasi sull’intersoggettività e sulla comunicazione significa riconoscere al soggetto una capacità di condivisione, di rielaborazione e di trasformazione della realtà e quindi di costruzione di nuovi significati da mettere in comune. La realtà oggettiva ha pertanto una forza di penetrazione del soggetto, il quale inizialmente la coglie comunica, ma contemporaneamente sviluppa questa capacità riflessiva, che lo porta a considerare la realtà esterna non più come l’unica visione del mondo. ALESSANDRA RICCI 46 4.3 PERSONALITÀ E IDENTITÀ L’identità è un tema tipicamente moderno che nasce dai processi di differenziazione sociale e dalla progressiva crescita di distanza tra l’individuo e il suo totale riconoscimento nella società a cui appartiene. 4.3.1 TIPI DI PERSONALITÀ E SOCIALIZZAZIONE Nel corso della socializzazione primaria, gli agenti di socializzazione concorrono alla formazione di quella che Parsons definisce personalità fondamentale (o personalità di base), che si struttura attraverso l’interiorizzazione dei valori espressi da coloro che socializzano il bambino. Gli agenti di socializzazione, al contempo, prestano attenzione in modo più o meno consapevole a un tipo di personalità generale, ritenuta diffusa e quindi anche in larga misura condivisa. In questo caso si parla di personalità modale e cioè del tipo di personalità che si incontra con maggiore frequenza in un dato sistema sociale. Durante la socializzazione primaria prende forma la struttura fondamentale della personalità del bambino. Habermas sottolinea l’importanza della prima infanzia per la struttura stessa della personalità dell’adulto. Molti autori prestano attenzione a una differenziazione interna nel corso della formazione della singola personalità in relazione con alcuni fattori fondamentali, come il sesso, la classe sociale d’appartenenza dei genitori (o status), i ruoli che questi rappresentano. Il rapporto che intercorre tra personalità di base e personalità modale è stato oggetto di approfondimento in diverse discipline. La personalità modale rappresenta il tipo più congruente di nell’ambito della struttura sociale. Nel corso della formazione della personalità di base avviene un continuo riferimento a questo tipo modale apprezzato socialmente, e quindi la singola personalità concreta tenderà ad assumere i tratti di questo tipo generale. La personalità risulta quindi al contempo definita ma non totalmente strutturata dall’ambiente sociale. Essa è in grado di selezionare valori e norme, così che vengono assunti in modo diverso; inoltre, la personalità rappresenta anche un fattore di resistenza tanto ai condizionamenti quanto al mutamento; infine, la personalità stessa può essere a sua volta fattore di mutamento. Un’analisi della personalità non può quindi prescindere dall’esame delle determinanti sociali che spingono verso l’assunzione di atteggiamenti e comportamenti congeniali alla società. Altre volte invece, la variabilità personale appare legata a motivazioni e aspirazioni individuali, che tendono a contrastare le spinte sociali verso la conformità. La formazione dei diversi tipi di personalità va posta in relazione con le richieste e le aspettative dei diversi gruppi sociali, che esprimono attese di uniformità. Riesman distingue tre tipi di personalità a seconda di che cosa li guida e li definisce: l’uomo diretto dalla tradizione assume i modelli culturali tradizionali tipici del Medioevo; l’uomo autodiretto, tipico del periodo rinascimentale, possiede una salda personalità formatasi attraverso processi di interiorizzazione nel corso dell’infanzia che lo rendono sicuro e stabile. ALESSANDRA RICCI 47 L’identità svolge quindi la funzione di mantenimento del modello, cioè di quei valori fondamentali interiorizzati dal soggetto. 2. Il modello conflittualista della socializzazione sviluppa essenzialmente una concezione sociale e collettiva dell’identità. In relazione alla quale il soggetto ricava la sua identità personale, di natura più relazionale (identità per l’altro) che non biografica (identità per sé). Lo sviluppo di un’identità personale è subordinato alla strutturazione di un’identificazione sociale basata su posizioni sociali e status. Ciò mette in evidenza lo sviluppo di identità settoriali e oppositive, separate secondo la linea del potere, della ricchezza, dell’appartenenza di classe. Viene quindi in luce il tentativo da parte di una qualche forma di identità di dominare, manipolare l’identità altrui, oppure l’oppositività che si viene a creare da parte di chi viene marginalizzato. L’identità si gioca quando all’interno dello spazio sociale o per ridurre le disuguaglianze o per realizzarle come discriminante del successo e della realizzazione personale. 3. Il modello interazionista-fenomenologico-comunicativo di socializzazione trova ampio spazio nell’interazionismo simbolico. L’identità si costruisce in modo dinamico all’interno di processi comunicativi; nell’identità si individua una possibilità di trasformazione e rielaborazione dei modelli e delle regole dell’interazione. Siamo lontani dalla concezione parsoniana di un’identità stabile alla quale si contrappone quindi, un’identità aperta, molteplice e continuamente ricostruita. In questa prospettiva la diversità rappresenta una risorsa che continua ad alimentare il processo di identificazione, è una ricchezza per il costituirsi e il crescere del sé. 4.9 IDENTITÀ, LIBERTÀ, RESPONSABILITÀ NELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA L’approccio funzionalista alla socializzazione, e in particolare modo quello parsoniano, è stato sottoposto a molte critiche, tra le quali la più incisiva è riferita proprio al tema della devianza e del controllo sociale. Parsons riteneva che la socializzazione corrispondesse a un processo strettamente legato a quello del controllo sociale: si tratta di due classi di meccanismi diversi (quello della socializzazione riguarda il sistema della personalità, mentre quello del controllo riguarda il sistema sociale), ma al contempo tra loro connessi attraverso reciproche relazioni sistematiche. L’impianto complessivo della socializzazione per Parsons si articola quindi attorno all’asse conformità/deviazione, con un’enfasi sulla conformità, che comporta il considerare i comportamenti non conformi immediatamente come patologici o come irrilevanti. Berger e Luckmann sostengono che una socializzazione totalmente riuscita è impossibile e quindi delineano un continuum di gradazioni di livelli diversi di riuscita della socializzazione e concepiscono le riuscite parziali non immediatamente come deviazione e quindi stato patologico, bensì legate a condizioni diverse della socializzazione. ALESSANDRA RICCI 50 L’interazionismo simbolico, così come alcuni approcci conflittualisti, propendono per un’impostazione diversa dello studio della devianza e del controllo sociale, proprio perché non assumono come criterio unico di riferimento quello della conformità e quindi non hanno una visione ultra-socializzata dell’uomo. L’assunto dell’ultra- socializzazione è infatti il rilievo critico più importante mosso al modello funzionalista della socializzazione in quanto viene trascurato il rapporto di alterità tra società e individuo, cioè il fatto che l’individuo non si esaurisce e annulla nella società che lo plasma, bensì è anche altro rispetto alla società ed è in grado di contribuire in modo attivo alla sua costruzione.La devianza è collocata in modo dinamico all’interno delle relazioni sociali e il controllo sociale si lega direttamente alle forme di devianza in quanto entrambi hanno carattere di processualità poiché implicano fasi diversificate. Berger e Luckmann sottolineano come sarebbe sbagliato far coincidere il com portamento deviante con un comportamento non conformista. Il non conformismo è ribellione, in quanto porta gli uomini fuori dalla struttura sociale che li circonda, spingendoli a cercare di creare un struttura sociale nuova. Quindi il non conformismo prevede una contestazione aperta delle idee della società mentre il deviante solitamente agisce di nascosto. Anche il non conformismo produce reazioni sociali proprio perché viene proposta una nuova definizione della realtà, tali reazioni potranno essere di accettazione o di rifiuto, ma non comportano in genere una sanzione formale. Il non conformismo porta quindi al mutamento sociale. CAPITOLO 5 - DISUGUAGLIANZE E DIFFERENZE NEI PROCESSI EDUCATIVI 5. GENESI DELLE DISUGUAGLIANZE IN EDUCAZIONE L'uguaglianza delle opportunità di fronte all’istruzione è uno dei temi centrali nell'ambito delle riflessioni e della ricerca in sociologia dell’educazione. La scolarizzazione di massa in Italia si avvia negli anni cinquanta dove si renderà visibile il problema delle disuguaglianze e dell’influenza delle stratificazione sociale sull’accesso, permanenza e la riuscita degli studi. Dunque, dal 1950 si passa da un’istruzione riservata solo all’elite a un’offerta formativa per tutti grazie all'articolo 34, in quanto l’istruzione assume un significato sociale come risorsa di sviluppo e strumento per l’integrazione sociale. Come osserva Alessandro Cavalli, sono proprio le condizioni della scuola di massa, a livello medio e medio-superiore, che rendono per la prima volta possibile l’esperienza della disuguaglianza sociale. paradossalmente, più una scuola è di élite, meno visibile è la disuguaglianza: solo quando la scuola diventa di massa, è visibile. Parlare di disuguaglianze delle opportunità significa sviluppare un’analisi delle disuguaglianze che si rendono visibili all’interno della scuola, ma che sono collegate ampiamente anche al di fuori di essa: è soprattutto alla luce delle teorie della riproduzione sociale e culturale nell’ambito degli approcci conflittualisti che, occupano un posto centrale in queste riflessioni sulla diseuguale distribuzione della ‘risorsa istruzione’ e sull’istruzione come strumento di dominio e coercizione. ALESSANDRA RICCI 51 Più in generale, la questione delle disuguaglianze nel campo dell’istruzione trova collocazione nella spiegazione dei legami che intercorrono tra stratificazione e possibilità di ‘conseguimento di status’ con una centralità quindi della questione della mobilità sociale. La riflessione sull'uguaglianza delle opportunità educative porta oggi alla necessità di sviluppare ulteriormente l'analisi del legame che intercorre tra diversità e disuguaglianza, un legame che si è fatto complesso nel tempo, soprattutto in relazione alle trasformazioni nella composizione della popolazione scolastica, che è diventata progressivamente sempre più eterogenea portando all'interno della scuola tutta una serie di differenze, riferite sia all’ appartenenza di classe o di ceto, sia ad altri aspetti della differenziazione, come il genere o l’appartenenza etnica. 5.1 LA PRODUZIONE DELLE DISUGUAGLIANZE SOCIALI L'uguaglianza delle opportunità di fronte all'istruzione emerge come problema e quindi arriva all'attenzione della riflessione sociologica dal momento in cui l'istruzione si configura come un’esigenza espressa dal mercato del lavoro e da gruppi sempre più ampi di popolazione. L'istruzione diventa dunque un requisito ritenuto necessario e quindi un bene ambito. Pertanto il numero di persone che desiderano accedere al sistema d’istruzione e conseguire un titolo di studio diventa sempre più elevato. Si sviluppa quello che viene definito <credenzialismo>, ovvero il monopolio dell' accesso alle professioni più remunerative e che hanno le maggiori opportunità economiche. Per poter discutere delle diverse idee di uguaglianza delle opportunità di fronte alle soluzione è necessario partire da una definizione seppur generale di disuguaglianza: SCHIZZEROTTO la definisce come: <<Disparità oggettive e sistematiche nelle possibilità di influenzare i comportamenti altrui e nelle condizioni in materiali e immateriali di vita >>. PAOLO CERI invece: << Le disuguaglianze sociali consistono nel trattamento differenziale attribuito a individui e a gruppi in quanto tali o in quanto ricoprono determinate posizioni - ruoli in base alla definizione e valutazione sociale di caratteristiche loro o ad essi imputate, considerate quali diversità o differenze socialmente rilevanti >> Qui si coglie un aspetto importante in quanto ogni differenza diventa ineguaglianza dal momento in cui è tradotta in termini di vantaggi e di svantaggi rispetto a una scala di valutazione. ALESSANDRA RICCI 52 In generale, possiamo affermare che, per il funzionalismo, l'uguaglianza delle opportunità di fronte all'istruzione si realizza in relazione a ‘’uguali opportunità di accesso’’, Mentre per i teorici del conflitto, l'uguaglianza delle opportunità sarebbe realizzata se tutti avessero ‘’uguali possibilità di riuscita’’; il che non avviene perché sul successo scolastico pesano enormemente i fattori ha ascritti quindi l'origine familiare e il background culturale di ogni singolo allievo. La scuola si configura pertanto, invece che come canale di promozione individuale e di mobilità sociale, come istruzione finalizzata alla produzione culturale e sociale. UGUAGLIANZA DELLE OPPORTUITA’ E’ uno dei temi centrali nelle riflessioni sociologiche. La scolarizzazione di massa dunque, ha reso visibile il problema delle disuguaglianze e l’influenza della stratificazione sociale. Si notò che anche con uguali opportunità di accesso del funzionalismo e uguali opportunità di riuscita del conflittualismo, le disuguaglianze rimanevano tali, così nacquero e presero forma altre teorie tra cui la ‘DEPRIVAZIONE CULTURALE’ dove i giovani delle classi sociali inferiori rendevano meno negli studi a causa della mancanza di valori e capacità linguistiche dalla famiglia. Dunque una scuola che non riconosce le disuguaglianze di partenza degli allievi produce le gerarchie esistenti e perpetua le disuguaglianze sociali. RILEVANZA DEL CAPITALE CULTURALE, ECONOMICO E SOCIALE CAPITALE ECONOMICO CAPITALE CULTURALE CAPITALE SOCIALE I beni materiali immediatamente e direttamente convertibili in denaro e che possono essere istituzionalizzati sotto forma di diritti di proprietà (BOURDIEU) I beni simbolici trasmessi dalle agenzie educative, primis la famiglia, che co-determinano la possibilità per un soggetto di avere successo nel collocarsi in una gerarchia sociale (BESOZZI) Insieme di relazioni che un attore, sia individuo che gruppo, possiede e può mobilitare per promuovere i propri scopi o interessi (BOURDIEU) Tutte le risorse materiali finanziarie, proprietà di terreni o immobili che potrebbero essere utilizzati per acquistare o mantenere condizioni di vita migliori. Le buone maniere, lo stile di vita, il buon gusto, nonché le informazioni e le conoscenze generate dall'appartenenza a un determinato gruppo sociale. La frequentazione, e contatti, e rapporti interpersonali che arricchiscono le possibilità di conoscenza, di informazioni e di posizionamento ALESSANDRA RICCI 55 BOUDON E LA TEORIA DELLA SCELTA Contro il rigido condizionamento dell’eredità culturale (di Bourdieu): - I fenomeni sociali sono ANCHE CONSEGUENZA DELL’AGIRE INDIVIDUALE (che non è solo un agire dentro i ruoli sociali) - Il soggetto compie delle SCELTE - ITER SCOLASTICO = sequenza di decisioni prese dal soggetto su base individuale ma senza sottovalutare il peso dei condizionamenti familiari - Un individuo di una classe sociale più bassa tende ad avere un più basso livello di scolarità sulla base del conseguente CALCOLO COSTI-BENEFICI dell’investimento nell’istruzione 5.3 I DILEMMI DEI SISTEMI DI ISTRUZIONE TRA ACCESSO, SELEZIONE E RIUSCITA Possiamo ricostruire tre dilemmi tra loro collegati che hanno accompagnato le vicende dei sistemi di istruzione e del sistema scolastico italiano in particolare. Il primo è il dilemma selezione/socializzazione, il secondo è il dilemma uguaglianza/ selezione e il terzo è il dilemma uguaglianza/differenza. Fino agli anni sessanta ci si è trovati ad affrontare il problema dell'accesso e quindi delle caratteristiche che doveva possedere l’utenza del sistema scolastico ai suoi vari livelli. Si trattava quindi di dover scegliere se privilegiare il ruolo di socializzazione della scuola e quindi accogliere il massimo numero possibile di allievi, in modo da garantirsi l'integrazione delle nuove generazioni, oppure quello di operare una forte selezione in funzione della formazione della futura classe dirigente. In Italia si registrano notevoli oscillazioni riguardo a queste due alternative. Il provvedimento legislativo che sancisce formalmente una maggiore apertura del sistema scolastico italiano è l'istituzione della scuola media unica e obbligatoria, che segna a tutti gli effetti il passaggio da una scuola d'elite a una scuola di massa. La scuola di massa fa esplodere il problema dell'uguaglianza delle opportunità di fronte all'istruzione come opportunità di riuscita: il dilemma che si pone ora è quello tra selezione e uguaglianza delle opportunità con riferimento alla legge di marzo 2003 su riordino del sistema scolastico italiano, si possono trovare posizioni contrastanti sulla questione delle finalità e delle funzioni della scuola di base e della scuola secondaria di I e II grado con contrapposizione tra coloro che vorrebbero anticipare il più possibile le scelte e quindi la selezione degli studenti che posseggono le caratteristiche per proseguire negli studi e quelli invece che propendono per procrastinare il più possibile questo momento, ritenendo che sia comunque importante fornire a tutti una solida formazione di base. Nel corso degli anni sessanta l'attenzione si sposta su una problematizzazione dell'uguaglianza delle opportunità intesa come riuscita ed è in quegli anni che emerge il concetto di diritto allo studio come diritto all'istruzione e alla formazione. 5.4 LE DETERMINANTI DELLA RIUSCITA SCOLASTICA L'uguaglianza delle opportunità di riuscita scolastica si orienta in modo sempre più evidente verso l'analisi del legame tra selezione e origine sociale. Molte ricerche sociologiche vengono condotte per cercare di capire quale sia il legame tra origine sociale e riuscita scolastica, perchè i fatti dimostravano che molti giovani appartenenti alle classi meno agiate, e con buone capacità di apprendimento, non continuavano gli studi e la loro riuscita scolastica era spesso a un livello inferiore rispetto alle loro possibilità. ALESSANDRA RICCI 56 Sempre in quegli anni, in ambito inglese, alcuni sociologi dell’educazione, elaborano la teoria della deprivazione culturale. Essi rilevano che i giovani provenienti dalle classi sociali inferiori hanno un basso rendimento negli studi, perché la famiglia non fornisce loro nè i valori, né le capacità linguistiche necessarie e neppure gli orientamenti che la scuola invece richiede. Un particolare aspetto di questa deprivazione culturale concerne il linguaggio. Si deve all’inglese Bernstein l'elaborazione di un contributo sulle relazioni esistenti tra linguaggio e riuscita scolastica. Esiste una netta differenza tra linguaggio formale, tipico degli appartenenti agli strati sociali medi e superiori, e linguaggio pubblico, tipico invece degli appartenenti agli strati sociali inferiori. Per quanto riguarda l'origine sociale, dagli anni 60 in avanti appare sempre più evidente come la riuscita scolastica sia strettamente legata a orientamenti positivi verso la scuola, a una valorizzazione dell'apprendimento scolastico da parte delle famiglie e, in particolare, a motivazioni forti verso il successo. Anche Parsons metteva in luce questo need for achievement (bisogno di successo), un orientamento acquisitivo, che la scuola apprezza, ma che viene sviluppato nel corso della socializzazione primaria, e quindi essenzialmente in ambito familiare. Alla famiglia viene quindi riconosciuto il compito dell'organizzazione della motivazione individuale, orientata secondo il principio dell’acquisitività, cioè secondo una spinta ad apprendere culturalmente all'interno di un contesto di relazioni sociali. La socializzazione scolastica mette quindi l'accento su questa motivazione all'apprendimento. L’achievement risulta essere una categoria discriminante messa in atto dalla scuola per promuovere l'apprendimento degli allievi premiando le loro prestazioni e, quindi, differenziandoli a vari livelli di riuscita che, in futuro corrisponderanno a una distribuzione diversificata di ruoli e di posizioni sociali. Due sono le componenti fondamentali dell’achievement: la prima costituita dall' apprendimento cognitivo delle informazioni e degli schemi di riferimento associati alla conoscenza e alla competenza tecnologica; la seconda componente è morale e fa riferimento al comportamento e alla capacità di sottostare alla disciplina scolastica, alle sue regole di buona educazione. Parsons nota come, nella scuola elementare, queste due componenti in realtà non siano differenziate. I migliori achievers nella scuola elementare sono sia gli allievi intelligenti sia gli allievi più responsabili. Se, per Parsons, questa distinzione degli allievi costituisce un fatto positivo, in quanto la scuola, trova orientamenti e attitudini degli individui, ai fini della differenziazione dei futuri ruoli occupazionali adulti, altri autori mettono invece in evidenza come la selezione scolastica operi a favore di chi è già avvantaggiato. Alla teoria della deprivazione culturale e all'ottimismo ugualitario della teoria funzionalista, dagli anni 70, si contrappongono un insieme di teorizzazioni, che comprendono la teoria della differenziazione culturale e i teorici della riproduzione sociale e culturale. E’ in particolar modo dai teorici della riproduzione culturale che provengono molti stimoli a riflettere sul peso dell'ambiente sociale e culturale d'origine sulla riuscita scolastica. I lavori di Bourdieu e del suo gruppo in Francia hanno avuto una profonda influenza. Bourdieu e Passeron individuano due concetti fondamentali, quello di capitale culturale e quello di ethos di classe, per dimostrare come la scuola non riconosca le disuguaglianze di partenza degli allievi e in questo modo non faccia altro che riprodurre le gerarchie sociali esistenti. ALESSANDRA RICCI 57 Alla luce dei dati di ricerca si possono delineare alcuni tratti ricorrenti del fenomeno nella scuola secondaria di primo grado e che mantengono tutt'ora una loro significatività: - La percentuale di abbandoni più elevati si registrava in prima e seconda media ed è in seconda che di solito avveniva l'abbandono in concomitanza con l'assolvimento formale dell'obbligo scolastico al compimento del quattordicesimo anno d'età; - Il fenomeno dell'abbandono tocca, anche oggi, più i maschi delle femmine i quali hanno maggiori possibilità di inserimento lavorativo; - Ragazzi e ragazze intervistati hanno spesso un curricolo caratterizzato da un marcato insuccesso; - La situazione socio-culturale familiare di questi ragazzi denota spesso una povertà culturale con carenze anche a livello di scolarizzazione dei genitori. alla povertà culturale, Spesso si associa anche una povertà materiale, per cui la famiglia ritiene di aver bisogno del ragazzo come sostegno economico e spesso della ragazza come aiuto in casa; - Riguardo le motivazioni all'abbandono le ricerche mettono in evidenza un prevalere del interiorizzazione da parte dei ragazzi della propria inadeguatezza, che si assumono quindi quasi completamente la responsabilità dell'insuccesso scolastico e sfiducia circa le proprie possibilità; - Gli insegnanti tendevano spesso a collocare le cause dell'insuccesso nel ragazzo, nella sua famiglia o ancora nell'insufficienza delle strutture scolastiche. L'esame dei dati sugli abbandoni nella scuola secondaria di II grado mostra un quadro diverso degli andamenti dagli anni 70 agli anni 2000. Infatti, si nota un aumento negli anni 80, una riduzione nella seconda metà degli anni 90, per poi cogliere una ripresa negli anni più recenti. L'abbandono nel corso degli ultimi studi, così come bocciature e ripetenze, presentano una diversificazione territoriale; ma anche rispetto al genere l'insuccesso scolastico è più elevato tra i maschi che non tra le femmine. Questa disomogeneità delle carriere scolastiche tra maschi e femmine si ripercuote anche nei percorsi successivi, nei tassi di passaggio all'università o nel conseguimento della laurea. La differenza dei percorsi maschili e femminili è da porre in relazione con gli orientamenti e i comportamenti nei confronti della scuola e dell'istruzione. Inoltre, occorre tener conto anche del fatto che per le ragazze l'accesso generalizzato all'istruzione secondaria superiore rappresenta un fenomeno relativamente recente e ciò comporta un impegno più elevato per rimanere dentro al sistema d'istruzione.Un’ ulteriore differenza di rilievo sì coglie anche rispetto ai diversi indirizzi della scuola secondaria superiore, con un tasso di insuccesso molto più elevato negli istituti tecnici e professionali e nell'istruzione artistica rispetto ai licei e, naturalmente, al loro interno con una diversificazione tra maschi e femmine. Molte ricerche confermano come la scelta della scuola secondaria superiore e quindi anche la conseguente riuscita scolastica siano da porre in relazione all'origine sociale. nel caso dell' abbandono nella scuola secondaria superiore lo status sociale d'origine risulta importante, ma meno determinante, in quanto assumono maggiore incidenza fattori legati proprio al processo di scelta dello studente, come la demotivazione verso lo studio e la disaffezione verso l'ambiente scolastico, il desiderio di rendersi indipendente a livello economico la maturazione di un rifiuto verso la scuola. ALESSANDRA RICCI 60 Il terzo periodo riguarda l'ultimo decennio degli anni 90 e i primi quindici anni del 2000, dove l'accento è posto sempre di più sulla questione del successo formativo e sulla qualità in termini di efficacia del sistema di istruzione e formazione. Questa attenzione trova ampio riscontro nella definizione di un diritto-dovere alla formazione esteso fino ai 18 anni di età, che viene messo a tema alla fine degli anni 90. Il tema che viene posto in primo piano è quello del successo formativo considerato all'interno della qualità dell'Istruzione o formazione ricevuta, che presta attenzione al pieno sviluppo delle potenzialità dell'individuo. Il successo formativo non riguarda soltanto in senso stretto la riuscita scolastica, bensì tutto ciò che consente lo sviluppo di doti e capacità. In questa prospettiva acquista valore il cosiddetto apprendimento non formale che avviene fuori dalla scuola, così come quello informale, tipico della vita quotidiana. Va sottolineato come l'analisi della dispersione scolastica si sposti decisamente ai livelli più alti della scolarizzazione, quello del conseguimento di un diploma. Gli early school leavers o ESL (cioè coloro che lasciano precocemente il corso di studi prima del suo compimento) non sono più solo e soltanto ragazzi e ragazze della scuola media o dentro la fascia d'età dell'obbligo, bensì coloro che lasciano gli studi prima del conseguimento di un diploma di scuola secondaria di II grado. Il rapporto all'UNESCO della Commissione internazionale sull'educazione per il XXI secolo mette il centro l'educazione quale motore per la convivenza democratica e la coesione sociale, per lo sviluppo economico in dimensione mondiale, per lo sviluppo umano e personale. La lotta alla “mortalità scolastica” diventa pertanto un imperativo fondamentale. Si fa sempre più acuta la necessità di valorizzare al massimo tutto il potenziale di capitale umano per far fronte alle sfide poste da una società sempre più globalizzata e competitiva. Diventano pertanto importanti alcuni aspetti di controllo e gestione dei sistemi di istruzione e formazione sul piano europeo e nazionale. Si sviluppa quindi una comparazione sistematica e la necessaria valutazione dei sistemi educativi attraverso prove standardizzate come quelle OCSE/PISA, o sul piano nazionale, le prove INVALSI. Queste comparazioni fanno sempre emergere a più riprese il ritardo dell'Italia rispetto agli altri paesi, ma al contempo, anche un miglioramento progressivo in questi ultimi anni. 5.5.2 L’ISTRUZIONE COME RISORSA E IL PROBLEMA DELLE “FASCE DEBOLI” Il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2003 ha posto per l’Europa l’obiettivo di “diventare l’economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo”. Sono stati successivamente fissati i nuovi obiettivi strategici: 1. Estendere la frequenza prescolare ad almeno il 95% dei bambini tra i 4 anni e l’inizio della scolarità dell’obbligatoria; 2. Contenere la dispersione scolastica e l’abbandono precoce degli studi nei giovani tra i 18 e i 25 anni; 3. Ridurre la fascia di quindicenni che hanno insufficienti competenze in lettura, matematica, scienze; 4. Espandere l’istruzione terziaria; 5. Ampliare la lifelong education per gli adulti. ALESSANDRA RICCI 61 Si sottolinea come stiano emergendo andamenti positivi anche se esistono differenze significative tra i vari Stati membri. In generale la dispersione scolastica è in declino. Proprio per la rilevanza che ha assunto in questi ultimi anni la questione della formazione e del successo formativo, diventa importante fermare l’attenzione sui fattori che influenzano le decisioni scolastiche individuali. Nella società contemporanea, l'istruzione e la formazione si configurano essenzialmente come bene o risorsa fondamentale sia per i soggetti che la posseggono e che intendono conseguire una buona posizione sociale sia per la società, che considera cruciale la disponibilità di capitale umano istruito per lo sviluppo dei processi di modernizzazione. L’istruzione assume quindi, a tutti gli effetti, il carattere di bene di investimento. Tuttavia, malgrado questo bene se oggi formalmente accessibile a tutti, la sua acquisizione dipende dalla situazione personale e soprattutto dalla collocazione sociale, economica e culturale. Un fattore importante nella decisione di investire in istruzione è costituito dalle risorse personali, quali doti e motivazioni. A sua volta, la carriera scolastica regolare influisce decisamente nella scelta di proseguire negli studi e nell'orientamento verso un determinato tipo di curricolo. Anche l'appartenenza di genere può presentarsi come differenza di rendimento e di percorso. Un secondo complesso di elementi è costituito dal background culturale è dalle risorse economiche familiari. L'influenza delle classi di origine è assai consistente quando si tratta di stabilire se proseguire o meno gli studi dopo il conseguimento della licenza media ed è soprattutto il titolo di studio del padre a influire sulla scelta. L'origine sociale influenza non solo il grado di scolarizzazione, bensì anche il tipo di percorso formativo scelto dai giovani. Un terzo insieme di fattori che interagisce con le scelte individuali è legato a condizioni esogene al soggetto, quali la collocazione territoriale e le condizioni del mercato del lavoro locale, che rinforzano o deprimono la decisione di investire in istruzione. Un dato di rilievo specifico del contesto italiano è dato dalla debole redditività dei titoli di studio elevati, per cui i salari da lavoro dipendente dei diplomati e dei laureati si rivelano spesso prossimi a quelle dei lavoratori con scolarità dell'obbligo. Di conseguenza, molti individui provenienti dalle classi sociali inferiori e dagli strati meno colti delle classi medie trovano più vantaggioso presentarsi sul mercato del lavoro con bassi livelli di istruzione e svolgere lavori poco qualificati, anziché imbarcarsi in un lungo periodo di studi che non consente di trovare prontamente un'occupazione né di ottenere stipendi elevati. ALESSANDRA RICCI 62 L'approccio istituzionale allo studio della famiglia è stato messo in crisi a cavallo degli anni settanta, quando tutte le istituzioni, compresa la famiglia, hanno subito un duro attacco da parte dei movimenti antiautoritari e anti-istituzionali. È proprio in quegli anni che emerge una critica alla famiglia "borghese", all'autorità della famiglia ritenuta una riproduzione della struttura autoritaria più ampia della società, e alla condizione della donna, subordinata ed emarginata sia in famiglia sia all'interno del mercato del lavoro (Saraceno, 1976; Balbo, 1976). Gli anni settanta sono, anche per la famiglia, un periodo spartiacque, che genera la rottura con schemi e modelli precedenti e fa emergere ipotesi alternative. Nello studio della famiglia, a quello istituzionale si tende a sostituire un approccio centrato sull'analisi delle relazioni interpersonali e sui processi di scambio. Più che il legame con la società si valorizza quindi la famiglia sul piano delle interazioni, «la famiglia perde il suo carattere istituzionale per trasformarsi in pura companionship (comunità di amicizia), basata esclusivamente sull'affetto e sul mutuo consenso maturato giorno dopo giorno» All'interno di una considerazione dello sviluppo della famiglia, occorre pertanto distinguere fra una storicità della famiglia, per cui essa assume caratteristiche diverse nelle varie epoche e invece sviluppo lineare di progressiva contrazione quanti-qualitativa della famiglia stessa, fino all'ipotesi di una sua dissoluzione.Tale passaggio è segnato dalla dissoluzione della famiglia patriarcale, connessa al procedere dell'urbanesimo e dell' industrializzazione, e questo comporta un allentamento dei vincoli di parentela quali fonti esclusive di obbligazioni e di moralità. Con l'avvento della società industriale, così come avviene per l'individuo che raggiunge un livello sempre più elevato di autoconsapevolezza, anche per la famiglia si registra un processo di progressiva 'soggettivizzazione", riscontrabile in una trasformazione dei rapporti interpersonali tra marito e moglie e tra genitori e figli. Inoltre, in concomitanza con questo processo, si rileva «una polarizzazione del momento privato di contro a quello pubblico, mentre nel contesto premo- derno la famiglia è sempre stata, almeno nel suo modello dominante, al contempo un fatto "privato-collettivo-pubblico". Questo processo di progressiva soggettivizzazione e costituzione di una dimensione di privatizzazione della famiglia corrisponde alla nascita e allo sviluppo del modello di famiglia borghese, nel quale mostra la forza di questo modello proprio nella compattezza attorno a un ethos e a una cura tanto dei legami interni quanto di quelli con l'esterno: il modello di famiglia borghese corrisponde al contempo a un processo di razionalizzazione della vita familiare e a uno sviluppo del processo di individualizzazione e quindi di valorizzazione del singolo al suo interno (ivi, pp. 164-5). L'autore sottolinea come la famiglia borghese - per questa sua compattezza con la quale si presenta in forma anche "rivoluzionaria" rispetto ai modelli consolidatisi fino al Settecento - sia stata il motore della modernizzazione e punto di riferimento per gli altri strati sociali e per la stessa realtà scolastica che si veniva costituendo. I valori che contraddistinguono la famiglia borghese sono infatti, da un lato, una particolare enfasi sulla dimensione etica e normativa, dall’altro un’attenzione specifica alla cura e alla crescita di bambini, con una centralità nel ruolo della donna nella costruzione di un equilibrio tra individualismo e responsabilità sociale. 6.2 TIPI E MODELLI DI FAMIGLIA La comparazione di realtà storiche diverse ci presenta vari modelli di famiglia, con differenze sia sul piano strutturale e quantitativo, circa per esempio il numero di componenti dell’unità familiare, sia riguardo alle funzioni svolte dalla famiglia e alla distinzione dei ruoli al suo interno, per lo svolgimento di tali funzioni. ALESSANDRA RICCI 65 6.2.1. LE FUNZIONI DELLA FAMIGLIA Secondo Parsons e Bales, nella società industriale il ruolo della famiglia nucleare si specializza. Due sono in sostanza le funzioni specialistiche riconosciute per la famiglia moderna: la socializzazione primaria dei figli e la stabilizzazione delle personalità adulte. si tratta di funzioni che riguardano soprattutto l'ambito della personalità e, in particolare, gli aspetti psicologici e affettivi. Inoltre la famiglia determina la posizione del figlio, sia per quanto riguarda la collocazione gerarchica all'interno del nucleo familiare, sia per quanto riguarda lo status ascritto, cioè la posizione sociale occupata all'interno della stratificazione sociale. Tuttavia, rimane evidente che la realizzazione del figlio, in termini di raggiungimento di una posizione sociale e occupazionale, è da porre in relazione con una serie di ruoli che non sono più ascritti, bensì devono essere acquisiti. In questa direzione la famiglia deve gettare le basi. Per il funzionalismo la famiglia riveste un ruolo primario, funzionale alla società moderna, che richiede equilibrio emotivo da un lato e, dall'altro, liberando da vincoli di parentela o di comunità, una disponibilità da parte del soggetto alla mobilità e al cambiamento e lo sviluppo di un atteggiamento verso l’acquisitività (achievement). Sulla riduzione delle funzioni della famiglia il dibattito si è fatto acceso soprattutto negli anni 70, a cavallo della crisi che investe la famiglia e della quale si parla sempre più come di un prodotto storico in via di dissoluzione. Lo svuotamento progressivo di funzioni segnerebbe pertanto il declino della famiglia, soprattutto come istituzione e luogo di riproduzione della società e dei suoi rapporti di dominio. E’ questa, in tutta evidenza, la posizione critica del marxismo e del neo marxismo. Dagli anni 80 però si registra una sua rivalutazione e quindi un riconoscimento delle funzioni che svolge. Inoltre appare necessario superare l'analisi sociologica della famiglia che la considera solo funzionale al sistema sociale. Donati sottolineava come la solidarietà familiare fosse la risultante di vari livelli di realtà, a cui corrispondono specifiche funzioni sociali. Tali livelli possono essere ordinati come segue: livello biologico (funzioni sociali di riproduzione), livello psicologico (di maturazione della personalità), livello economico (cooperazione nei problemi adattivi), livello sociale (assunzione dei ruoli familiari e sociali), livello culturale (funzioni di integrazione culturale e simbolica). Ciò corrisponde a una rivalutazione delle funzioni svolte dalla famiglia in chiave multifunzionale. 6.2.2. STRUTTURA E RUOLI DELLA FAMIGLIA Per quanto riguarda la struttura e organizzazione interna della famiglia si può osservare nel tempo una modificazione nei ruoli svolti dai diversi componenti. La società premoderna non conosce la famiglia nucleare isolata dalla parentela ed è proprio quest'ultima pertanto che definisce i compiti e le funzioni, in base a un'autorità di tipo patriarcale, che stabilisce una linea di demarcazione secondo il sesso e secondo l'età, per cui l'autorità è esercitata essenzialmente dai maschi anziani, anche se la donna, pur subordinata, detiene parte del potere legato alla gestione domestica. E’ con la società industriale che si trasformano sia la struttura sia le funzioni della famiglia. Il modello prevalente è quello della famiglia nucleare isolata, nella quale, innanzitutto, il ruolo lavorativo si separa dal ruolo familiare. ALESSANDRA RICCI 66 Questo tipo di famiglia si struttura attorno alla coppia e in genere su due sole generazioni, quella dei genitori e quella dei figli. Parsons studia in modo particolare la famiglia nucleare isolata, tipica del ceto medio urbano americano. La famiglia risulta essere in sostanza un sistema organizzato su quattro tipi fondamentali di ruolo, differenziati l'uno dall'altro secondo la generazione (adulti/ bambini) e secondo il sesso (maschi/femmine) o genere. Questo comporta sia una chiara distinzione sia una complementarietà tra i ruoli. Il modello di famiglia nucleare, che si riscontra nelle società occidentali contemporanee, si viene affiancando quello di famiglia simmetrica. Questo modello si caratterizza per un progressivo spostamento verso la condivisione e l'intercambiabilità di ruolo. In questa trasformazione si possono cogliere i profondi cambiamenti nel rapporto uomo-donna. La famiglia simmetrica si presenta con una diversa strutturazione interna dei ruoli, legata in particolar modo all'evoluzione di quello femminile e al lavoro sempre più frequente della donna al di fuori dell'ambito domestico. Si tratta di processi che portano sia l'uomo che la donna a rendere maggiormente flessibile il ruolo di coniuge e di genitore. Diventa centrale il rapporto di coppia con una richiesta di continua negoziazione all'interno del patto coniugale. La famiglia parsonsiana, nucleare è fondata sulla distinzione e sulla complementarietà dei ruoli, e la famiglia simmetrica, nella quale i ruoli diventano intercambiabili, sono da considerarsi due modelli “ideal-tipici” ma la famiglia italiana risulta sempre meno omogenea rispetto al modello consolidatosi nella società industriale e cioè quello nucleare. Pertanto, siamo in presenza di più forme di famiglia relativamente alla sua composizione: dalla famiglia monopersonale (composta da un unico componente) alla famiglia nucleare tradizionale (genitori e figli), alla famiglia allargata ad altre componenti, fino alla famiglia “ricostruita” dallo scioglimento di altre famiglie a seguito di separazioni e divorzi e, infine, le cosiddette “famiglie di fatto”, fondate su un'unione libera, non sancita dal legame matrimoniale. La famiglia tradizionale composta dalla coppia coniugata con figli non è più il modello dominante, aumentano invece le nuove forme familiari. Le variazioni della struttura familiare Inter Corte nell'ultimo decennio sono evidenti anche in relazione alla presenza straniera. Un aspetto di rilievo nell'analisi del mutamento della famiglia riguarda il calo della fecondità. Per quanto riguarda separazioni e divorzi, che indicano l'instabilità coniugale, il numero di separazioni è aumentato. 6.2.3. CICLO DI VITA E SOCIALIZZAZIONE FAMILIARE La rilevanza della famiglia è data innanzitutto dal fatto che essa costituisce il gruppo primario di riferimento. Parsons e Bales hanno delineato un modello di processo di sviluppo che si articola in una socializzazione in quattro fasi mutuate dai lavori di Freud sullo sviluppo psico- sessuale: - La fase dipendenza orale, che corrisponde all'identità madre-bambino; - La fase anale e dell'attaccamento amoroso, in cui si realizza la differenziazione dell'oggetto genitore da sè; - La fase di epica a cui segue la fase della latenza, Nel corso delle quali si realizza un’ integrazione nel sistema dei ruoli familiari; - La fase della genitalità, che porta al conseguimento di una maturità psicosessuale e corrisponde al periodo dell'adolescenza. ALESSANDRA RICCI 67 Riesman, in aperta polemica con Parsons, negli anni 50, metteva a sua volta in evidenza come il tipo di personalità che si andava affermando in una società in fase di declino era l’eterodiretto. Pertanto, mentre nella fase della direzione interiorizzata, che porta alla formazione di personalità autodirette, i genitori esercitano il loro ruolo in modo diretto è costante, nella fase dell'eterodirezione, i genitori, sempre più incerti nel modo di educare i figli, Si rivolgono al consiglio di altri contemporanei e trasmettono al figlio la loro ansietà. Eh sì non si sentono più superiori al bambino. Riesman descrive questa transizione come passaggio “dalla morale al morale”, cioè da un'educazione orientata all'assunzione di responsabilità e consapevolezza, a un'educazione improntata a cogliere l'opinione e l'approvazione degli altri, che “ diventa quasi l'unico bene di questa situazione”. Strzyz parla di appiattimento della situazione edipica tradizionale per cui il risultato sarebbe una personalità narcisistica, incapace di stabilire rapporti con le persone. Negli anni più recenti, si assiste ad un dibattito sull'importanza delle figure parentali e sulle ricadute di una loro assenza sul processo di crescita dei figli. Esistono infatti alcuni segnali di inversione di tendenza, nella direzione di una riappropriazione dei ruoli genitoriali, ma è anche la stessa socializzazione, a realizzarsi all'insegna di nuove modalità, che indicano il superamento di una visione puramente gerarchica e autoritaria. In alcune ricerche effettuate negli anni 80 a Milano e in Emilia Romagna, si evidenziava come i padri non accettassero più un ruolo secondario. Occorre tuttavia sottolineare come, nelle situazioni più problematiche, come separazione, divorzio o casi di tossicodipendenza dei figli, si verifichi una maggiore debolezza della figura paterna. Più in generale, possiamo quindi concludere che, in presenza di situazioni familiari non regolare, si possano generare difficoltà rilevanti nella socializzazione dei figli e soprattutto nel conseguimento di una loro identità personale, per la quale, un ruolo importante i processi di identificazione e quindi la presenza di due figure genitoriali, che consentano di distinguere i ruoli adulti e in specifico ruoli sessuali differenziati. Tuttavia, le ricerche sulla socializzazione in bambini che hanno vissuto l'esperienza di famiglie ricostituite e quindi una pluralità di riferimenti genitoriali, sono abbastanza contrastanti: alcuni sottolineano la problematicità della crescita e la debolezza dei processi identificatori, altri invece la ricchezza relazionale e quindi la capacità di adattamento che i figli di queste coppie divise e poi ricostituite sviluppano. Nei processi educativi familiari, si profilano in questi ultimi anni due ambiti importanti di analisi: quello riferibile alla diversità tra i generi (tra maschi e femmine) e quello relativo alla diversità dentro i generi. Un'indagine in Lombardia, ha fatto emergere differenze significative nei percorsi di crescita tra maschi e femmine per quanto concerne le relazioni familiari o amicali, l’esperienza scolastica, l'uso del tempo libero e dei media. In particolare, le differenze più vistose tra maschi e femmine emergono nell'analisi dei riferimenti valoriali e normativi che documentano un diverso modo di elaborare la propria immagine e collocazione sociale. Isabella Crespi, nel corso di un lavoro di indagine sulla socializzazione familiare, analizza, come avvengono la comunicazione in famiglia e la trasmissione dei modelli di genere tra genitori e figli. ALESSANDRA RICCI 70 Si possono cogliere per lo meno tre stili diversi a volte anche praticati all’interno della medesima realtà familiare in situazioni differenti: - Stile indifferenziato, che ritiene la differenza non legata al genere bensì a scelte e percorsi individuali; - Stile parzialmente indifferenziato, applicato soprattutto sulle regole (l’abbigliamento, le uscite); - Stile differenziato, che mette in luce una differenza nei compiti, nei ruoli e nelle opportunità per i due sessi. Queste diversità di stili ben documentano la pluralizzazione dei riferimenti sociali e culturali e quindi la differenziazione di orientamenti e atteggiamenti degli agenti educativi. Crespi studia anche l'intreccio relazionale tra i generi ed entro i generi. Le difficoltà maggiori si evidenziano tra padre e figlia, poiché questo rapporto risulta il meno elaborato. Anche in una più recente ricerca sulla trasmissione dei valori tra i giovani, l'attenzione è rivolta all'analisi dei rapporti familiari, allo stile educativo e al grado di condivisione di valori di riferimento, trovando conferma tra i giovani di una buona sintonia con i propri genitori. Essi mostrano anche un’adesione forte al modello di famiglia trasmesso dai genitori. Si può rilevare il ruolo essenziale e anche a volte decisivo che la socializzazione familiare riveste, in quanto, in negativo, si possono avere numerosi riscontri di quanto giochi, nel destino di un soggetto, la povertà di risorse, di stimoli, di opportunità di crescita e di sviluppo legata a carenze nella situazione familiare. A questo proposito, meritano uno spazio di riflessione, concetti come quelli di Capitale sociale e capitale culturale. Bourdieu definisce il capitale sociale come l’insieme delle relazioni che un attore possiede e può attivare per promuovere i propri scopi o interessi. Putnam opera una distinzione tra capitale sociale bonding, che fa riferimento ai legami che si sviluppano all’interno di un gruppo e capitale sociale bridging, che invece si riferisce a tutti quei legami e vincoli esterni al gruppo, consentendone una sua collocazione sociale più ampia. Proprio questa analisi di varie modalità dei legami attraverso cui si sviluppa il capitale sociale familiare ha portato all'individuazione di una tipologia di famiglie molto interessante che mostra come un capitale sociale forte rappresenti un potenziale notevole per la crescita dei figli, mentre ad una famiglia con debole capitale sociale corrisponda una situazione di altrettanta vulnerabilità nei percorsi di vita dei figli. Anche il concetto di capitale culturale rappresenta una risorsa fondamentale della famiglia, in quanto fa riferimento a quell'insieme di beni simbolici che costruiscono l’habitus del soggetto e gli consentono un suo modo di presentarsi nel mondo e di muoversi nello spazio sociale. Il capitale culturale familiare si è rivelato uno degli aspetti cruciali nelle scelte e nelle traiettorie di vita dei giovani, confermando la sua caratteristica di produrre un “posizionamento” all'interno del sistema di stratificazione sociale, ma anche di costituirsi in quanto vera e propria chance di vita. ALESSANDRA RICCI 71 STILE EDUCATIVO SECONDO MODELLI APPROCCIO FUNZIONALISTA Genitori = modelli e agenti di controllo, hanno ruoli diversi, ovvero la madre più espressiva e il padre più strutturale, ma insieme hanno l'obiettivo di costruire personalità integrate e auto dirette. APPROCCIO COMUNICATIVO Il centro è sul soggetto, ci sono aspetti positivi come: autostima, la capacità di interagire con altri fuori dalla famiglia e aspetti negativi come: individualizzazione, stile permissivo. CAPITOLO 7 - LA ‘TRASMISSIONE’ DELLA CULTURA: LA SCUOLA E GLI INSEGNANTI La scuola è un insieme complesso di relazioni, processi organizzativi, aspettative collettive e modificazioni culturali. Ha l’obiettivo: - L’apprendimento della dimensione cognitiva - Acquisizione dei comportamenti che la società auspica La scuola è la Seconda Agenzia dopo la Famiglia, importante per la sua centralità nella società industriale e per i processi di modernizzazione. Le sue funzioni principali sono: quella di socializzazione e quella di selezione, le trasformazioni della scolarità in Italia, la decisa caratterizzazione in chiave multiculturale della popolazione scolastica, il problema della riuscita degli alunni stranieri, la figura dell’insegnante in quanto agente principale di socializzazione ed educazione. 7.1 LA SCUOLA COME ISTITUZIONE CULTURALE La scuola è definita un'istituzione formale, in quanto destinata in modo specifico è intenzionale alla trasmissione della cultura e quindi all'educazione e istruzione delle nuove generazioni. Ciò che avviene a scuola è tuttavia solo una parte dell'educazione generale che il soggetto riceve nei suoi vari contesti di esperienza. Brint opera una netta distinzione tra educazione e istruzione. Nelle scuole l'attivita' si organizza e si realizza su diversi fronti, da quello più propriamente definibile come istruzione, quale insieme di contenuti, saperi organizzati in sequenze curricolari e didattiche, a quello definibile come educazione, che fa riferimento alla dimensione dei comportamenti, atteggiamenti ed elaborazione di significati; inoltre, la scuola viene qui considerata come agenzia di socializzazione, cioè luogo di esperienza della relazionalità e intersoggettività. Il riferimento è quindi ad una realtà complessa, all'interno della quale esiste un processo di esplicitazione tanto degli obiettivi di apprendimento (dimensione cognitiva) da raggiungere quanto dei comportamenti apprezzati (dimensione normativa). In quanto istituzione, la scuola svolge funzioni importanti per la società: - Quella economica, quale contesto che promuove un innalzamento del livello di istruzione della popolazione e quindi consente lo sviluppo di una nazione, - Quella sociale, di formazione del cittadino alla convivenza civile e di collocazione nelle diverse posizioni sociali in relazione alle competenze acquisite, ALESSANDRA RICCI 72 Sempre di più la selezione viene fatta in termini oggettivi di intelligenza e di livelli di conoscenza. Ma è soprattutto Parsons a sviluppare lo studio della selezione nella scuola, individuando il parametro fondamentale che la governa e cioè l’achievement, in base al quale si sviluppa gradualmente una differenziazione strutturale all'interno della classe scolastica. L’enfasi sull' uguaglianza delle opportunità sposta il dibattito dalla questione degli accessi all'analisi degli esiti scolastici. Sono soprattutto i teorici del conflitto a mettere l'accento sulla necessità di considerare i meccanismi che governano il funzionamento della scuola e quindi i processi di apprendimento e le possibilità di riuscita. Ancora una volta è il concetto di habitus utilizzato da Bourdieu risultare efficace nel mostrare come ciò che sta fuori dalla scuola sia oltremodo importante per ciò che avviene al suo interno. L’EVOLUZIONE DELL’INSEGNANTE CONTEMPORANEO ELEMENTI TRADIZIONALI ELEMENTI INNOVATIVI Saperi consolidati Saperi circolanti Competenze legate all’insegnamento Nuove competenze (programmazione, gestione) Metodi tradizionali di insegnamento Nuove didattiche Modalità tradizionali di apprendimento Nuovi processi della mente Relazionalità circoscritta (classe, insegnanti, genitori) Nuove relazionalità (intero/esterno, territorio, istituzioni) TRASFORMAZIONE ANCHE SIMBOLICA VERSO UNA FIGURA AD ALTA RIFLESSIVITA’: Autoconsapevolezza, continua ridiscussione delle conoscenze, dei comportamenti, delle strategie. DILEMMI DELL'INSEGNANTE CONTEMPORANEO - Contrapposizione tra selezione e socializzazione (ACCESSO) - Dicotomia uguaglianza o selezione (ESITO) - Tensione tra STANDARDIZZAZIONE e PERSONALIZZAZIONE sulla base delle differenza degli studenti (genere, etnia, salute ecc..) - Mediazione TRA TRADIZIONE e INNOVAZIONE (chiusura e apertura rispetto all’esterno, ICT, multiculturalità ec..). ALESSANDRA RICCI 75 CAPITOLO 8 - LA SOCIALIZZAZIONE INFORMALE: GIOVANI, GRUPPO DEI PARI ED ESPERIENZA MEDIALE Le due agenzie di socializzazione, famiglia e scuola, presentano un carattere istituzionale, nel senso che trovano nella società una legittimazione specifica che le riconosce in quanto agenzie finalizzate all’educazione. Siamo all’interno di quella dimensione formale dell’educazione, che sviluppa un processo di socializzazione intenzionale e finalizzato, tra agenti di socializzazione e socializzandi. Tra socializzazione ed educazione oltre al livello formale, Dunque, un policentrismo formativo (famiglia + scuola + pari ) troviamo anche in livello INFORMALE, che costringe a dilatare il concetto di educazione anche a questi livelli di informalità o, a definire la socializzazione come un processo sia formale sia informale. Dunque, non intenzionale, non finalizzata a posizioni o privilegi e flessibile riguardo gli attori coinvolti, i modi e i tempi. Si configurano come contesti socializzativi, tanto agenzie quanto il circolo ricreativo, l’associazione sportiva, l’oratorio ecc… Con il riconoscimento del gruppo dei pari come equi-rilevante oltrepassiamo il concetto di modello scuolacentrico. A questo punti, è indispensabile una distinzione tra sociologia mediata e non mediata o immediata. La socializzazione mediata sviluppa una prospettiva ‘’Essenzialmente integrativa dell’individuo nel contesto dei valori dati, supportato dalle istituzioni, si spiega il ruolo della mediazione sociale e della trasmissione dell'eredità culturale ‘’ ovvero valori trasmessi e dati dalla famiglia e altre figure. Per quanto riguarda la socializzazione Im-mediata, il soggetto è protagonista del coinvolgimento. Scompare la funzione di guida dell’adulto in vista di uno scopo a lui noto e meno al socializzando. 8.1 CONDIZIONE GIOVANILE E SOCIALIZZAZIONE INFORMALE L’adolescenza e l’età giovanile, costruiscono nella società moderna occidentali, una fase autonoma e significativa per sé, della quale i soggetti che vi appartengono hanno anche piena autoconsapevolezza come gruppo di età. Dopo la ‘’scoperta dell’infanzia’’ dalla metà del Novecento possiamo parlare di un’emersione sociale vistosa dell'adolescenza. L’attenzione viene rivolta alle trasformazioni dei rapporti intergenerazionali, con particolare riguardo a come è cambiata la rappresentazione dei giovani da parte degli adulti e al gruppo dei pari come ambito di socializzazione importante per la costruzione di identità,di appartenenza e regolazione. 8.1.1 DALLA SCOPERTA DELL'ADOLESCENZA AL PROLUNGAMENTO DELLA GIOVINEZZA. Così come per l'infanzia, anche la "scoperta dell'adolescenza" avviene in concomitanza con processi sociali e culturali che ne favoriscono la visibilità in quanto fase della vita: si tratta, in particolare, dei processi di industrializzazione e di scolarizzazione ed è soprattutto questo se- condo processo, innescato in larga misura dalle esigenze di istruzione e qualificazione delle società moderne, che contribuisce a sviluppare un periodo della vita - quello dell'adolescenza - con suoi precisi scopi e compiti di sviluppo. ALESSANDRA RICCI 76 La dilatazione complessiva del periodo della crescita, che vede aggiungersi all'infanzia e all'adolescenza un'ulteriore fase, quella della giovinezza, produce una nuova interpretazione del corso di vita. In termini di rappresentazioni sociali, proprio per il fatto che ogni società concepisce e costruisce un modello di "carriera di vita'. Nelle società moderne occidentali in generale si produce un apprezzamento positivo del tempo assegnato alla crescita, all'interno del quale si distinguono fasi o periodi (infanzia, preadolescenza, adolescenza, giovinezza), ma in modo sempre più fluido. Dalla metà del secolo scorso si iniziò a parlare di dilatazione ad oltranza del periodo della crescita, con un progressivo spostamento in avanti dell'ingresso nella vita adulta legato in larga misura alla dilatazione del tempo della formazione. Questo ha conseguenze importanti a vari livelli, sia macro, quindi sul piano della società nel suo complesso, sia micro, cioè nelle varie vite dei singoli soggetti. La realtà degli adolescenti e dei giovani si presenta oggi molto eterogenea per condizioni e possibilità di vita, atteggiamenti, comportamenti e orientamenti. 8.1.2 GIOVANI E GENERAZIONE ADULTE Il fatto di vivere una lunga stagione di moratoria sociale, di sospensione, ma al contempo di poter sviluppare progetti e fare tante possibili esperienze in vari campi produce profondo modificazioni nei rapporti tra giovani e adulti. Il rapporto giovani adulti si è realizzato e tuttora si esprime attorno a due concezioni opposte ma compresenti: da un lato, i giovani rappresentano il futuro, e sono quindi considerati una risorsa su cui investire e pertanto vanno educati, formati alla vita sociale adulta; dall'altro, i giovani rappresentano un potenziale pericolo di deviazione o rottura della continuità sociale per la carica spesso innovativa e trasgressiva che accompagna questa fase della vita. Queste due diverse concezioni sui giovani sollecitano un ulteriore riflessione: considerare i giovani una risorsa da educare e formare significa avere la visione della fase giovanile come di un processo che porta alla condizione adulta; considerarli un potenziale innovativo significa riconoscere la realtà di una condizione diversa da quella adulta, in qualche modo anche autonoma e in grado di elaborare stili di vita diversi. Volendo riassumere le trasformazioni del rapporto giovani-adulti, si possono individuare alcune categorie che qualificano sia la rappresentazione della gioventù e del rapporto intergenerazionale sia i modi di considerare la devianza e la trasgressività giovanile. I passaggi più significativi, dopo la comparsa della gioventù negli anni 50, sono dati dalla caduta della continuità e della conformità tipiche di quegli anni e quindi dalla successiva ribellione che sfocia, spesso in forma collettiva, nello scontro aperto fra generazioni, fino alla grande scomparsa di forme di contrapposizione e quindi il delinearsi della condizione giovanile come realtà sempre più empatica con la realtà adulta. Si tratta di una vera e propria parabola che va dal massimo della visibilità e della contrapposizione a una nuova e diversa invisibilità negli anni più recenti. Le nuove forme di invisibilità giovanile contemporanee mettono proprio in luce una sorta di convivenza pacifica di mondi separati. ALESSANDRA RICCI 77 2. Sul finire degli anni novanta e con il nuovo millenio il compito di individuazione di una cultura giovanile e di comprensione di una realtà sempre più diversa e separata da quella degli adulti, si rivela oltremodo arduo proprio perché sembra via via scomparire lo stesso oggetto di studio - la condizione giovanile - mentre i giovani continuano a esistere, a esplorare possibili forme di identificazione e modalità di costruzione dei loro percorsi di vita. I percorsi di costruzione dell'identità enfatizzano la personalizzazione e l'autorealizzazione più che il conseguimento di mete sociali predefinite, che a loro volta risultano sempre più evanescenti. Un dato interessante è costituito dall’ emergere di un nuovo tipo di giovane adulto che invece di esprimere come in passato un’urgenza radicale di autonomia, resa evidente dall’ uscita precoce da casa, tende a prolungare la sua presenza all’interno della famiglia. E’ quindi necessario, per cogliere la realtà giovanile contemporanea, entrare nelle stesse contraddizioni che i giovani assumono. Prendiamo l’esempio del riferimento ad una gerarchia di valori: nell’ultimo decennio, essa mostra in primo piano la famiglia, l’amicizia, l’amore e quindi l’asse affettivo-relazionale. I giovani risultano “familisti convinti” in tutte le ricerche recenti. Tuttavia, per il loro futuro non vedono necessariamente, e soprattutto le ragazze, la famiglia e i figli come fonte esclusiva di realizzazione. La famiglia e le relazioni amicali sono quindi un bene-rifugio per il presente piuttosto che parte integrante di una dimensione progettuale. I giovani manifestano in questo modo sia un grado elevato di incertezza verso il proprio futuro sia la capacità di reggere le situazioni di disorientamento e di esposizione al rischio del presente in cui vivono. In un'indagine nazionale recente si trova conferma dell'esistenza di modalità anche molto diverse di costruzione di sè e del proprio percorso di vita. E’ possibile considerare una tipologia articolata in tre grandi gruppi di soggetti: acquisitivo, disimpegnato, svantaggiato. Il tipo acquisitivo è collocabile in una dimensione attiva e propositiva, con un impegno attorno alla rielaborazione delle proprie scelte esistenziali, caratterizzato quindi da un'agenzia esplicita anche se modulata in 4 modi diversi tra di loro: con un’evidente incertezza e dipendenza nel primo tipo, una sicurezza e un'autonomia manifesta nel secondo tipo, di tipo altruistico nel terzo tipo, un’enfasi sulla propria radicale individuazione nel quarto tipo, con anche molti tratti di isolamento. Per contro, il tipo disimpegnato, mostra chiaramente un'esposizione al rischio di demotivazione, ma anche di devianza. L'ultimo tipo, definibile come svantaggiato presenta evidenti situazioni di povertà materiale e sociale, che conduce a vivere situazioni di marginalità e di conseguenza anche una dipendenza forte dalle condizioni di vita e dagli adulti, con poco spazio per l'elaborazione di una autonoma scelta di vita. A fronte di una “costellazione di adolescenze” si colgono, comunque, nella realtà giovanile contemporanea, alcuni tratti unificanti, fra tutti il prevalere dell’orientamento al principio di relazione piuttosto che al principio di prestazione: si tratta di un bisogno di relazione, di esistere più che di fare, che mette in evidenza la centralità dell'identità e della sua costruzione. ALESSANDRA RICCI 80 Uno degli ambiti più significativi per esprimere questi bisogni relazionali è costituito dalle diverse forme di aggregazione spontanee e quindi più specificamente dal gruppo dei pari. 8.1.4 IL GRUPPO DEI PARI COME AGENZIA DI SOCIALIZZAZIONE ORIZZONTALE Il gruppo dei pari come aggregazione spontanea tra coetanei e quindi luogo di socializzazione orizzontale arriva piuttosto tardi all’attenzione dei sociologi e questo per almeno due motivi. Innanzitutto i primi studi considerano questa forma di aggregazione per lo più in termini funzionali, cioè come realtà che completa il processo di socializzazione di famiglia e scuola, che quindi normalmente non sostituisce, bensì integra e completa questo processo. La sostituzione si realizza soltanto in presenza di forme di aggregazione deviante, quali le gangs. Il secondo motivo è legato al fatto che l'età adolescenziale e la visibilità della condizione giovanile, risultano essere una scoperta recente, che avviene in concomitanza con le trasformazioni socio-economiche e culturali che portano per esempio a un aumento degli anni di colonizzazione e quindi a un prolungamento sempre più esteso degli anni destinati alla crescita. I gruppi giovanili acquistano importanza crescente anche in relazione al progressivo indebolimento delle tradizionali agenzie di socializzazione. Il gruppo dei pari si è quindi trasformato profondamente nei suoi scopi e nelle sue modalità: da gruppo in funzione di una posizione decisa e di rifiuto della società adulta a gruppo per lo più spontaneo e informale, finalizzato allo stare insieme per sperimentare un'esperienza relazionale diversa e autonoma, libera dai ritmi e dalle regole della convivenza familiare. Esistono quindi due modi di organizzazione e gestione del proprio tempo libero diversi: le femmine hanno una cerchia più ristretta di amici, ma curano di più le relazioni. Siamo di fronte ad un modo intimistico-riflessivo tipicamente femminile e un modo ludico-evasivo tipicamente maschile. Per quanto riguarda la funzione dei pari, in generale esso esprime un bisogno di stare insieme, di appartenenza e socialità, fornendo occasioni per sperimentare forme di identità provvisorie, che possono essere abbandonate senza per questo subire sanzioni o conseguenze. G. Lutte sottolineava come il gruppo dei pari svolge diverse funzioni nell'adolescenza: ● Procura uno status simbolico autonomo; ● Fornisce una stima di sè e una sicurezza basata sull' accettazione reciproca e garantisce appoggio nel processo di emancipazione dai genitori e dagli adulti; ● Il gruppo è anche luogo di apprendimento dei modi di rapportarsi agli altri al di fuori della famiglia; ● Il gruppo rinforza le discriminazioni tra le classi sociali e tra i sessi, in quanto di solito vige una separazione tra i gruppi proprio in base allo status d'appartenenza e al sesso; per contro, nei gruppi misti, la funzione del gruppo è anche quella di sviluppare la transizione verso l'eterosessualità. ALESSANDRA RICCI 81
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