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Sociolinguistica: variazione linguistica e comunità linguistica, Appunti di Sociolinguistica

Una panoramica della sociolinguistica, una sottodisciplina delle scienze linguistiche che si occupa della variazione linguistica nelle comunità sociali. Vengono esplorati i livelli di variazione linguistica, la nozione di comunità linguistica, il repertorio linguistico, il rapporto tra lingua nazionale e dialetti, le dinamiche linguistiche connesse ai mutamenti sociali, l'articolazione dell'italiano in varietà, i cambiamenti nella lingua italiana dovuti alla diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione, il ruolo della lingua nell'educazione scolastica e la discriminazione attraverso la lingua, le minoranze linguistiche e la convergenza e advergenza tra varietà linguistiche. Il documento include anche esempi di biografie e autobiografie linguistiche e di etnotesti.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 28/02/2024

Micheela00
Micheela00 🇮🇹

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Scarica Sociolinguistica: variazione linguistica e comunità linguistica e più Appunti in PDF di Sociolinguistica solo su Docsity! Sociolinguistica -A (Prof. Ilaria Fiorentini) 27/09/2022  Manuale: Berruto, Cerruti ‘Manuale di sociolinguistica’ 2015 Torino, UTET, qualsiasi edizione va bene, scelta di due capitoli o saggi dalla lista. Lezione 1 «Attorno a noi, la vita quotidiana è in ogni momento percorsa da scene linguistiche. Le persone parlano, scrivono, conversano, in ogni circostanza sono produttrici o riceventi di messaggi linguistici. Comportamenti linguistici, del tipo più diverso, dai più elementari ai più complessi, sono una parte costitutiva molto importante e pervasiva della vita sociale.» (Berruto 2004, p. 3) Siamo immersi nei comportamenti linguistici sia più elementari che più complessi, così come siamo circondati da fatti linguistici. Nel primo esempio delle slide troviamo una dislocazione (il mercatino, lo trovate), fenomeno tipico del parlato estremamente diffuso. Solitamente nello scritto queste strutture venivano evitate, per lo meno fino a poco tempo fa, mentre oggi si stanno diffondendo. Interessa la SL perché rappresenta un tratto che prima era considerato deviante dallo standard, mentre oggi ci suona di più, anche se magari non lo scriveremmo. Rappresenta un tratto informale, un tratto di cambiamento della lingua, e questa è una delle cose di cui si occupa la SL. Nel secondo esempio quel ‘dove’ è ovviamente differente da quello che si userebbe nell’italiano standard, è un tratto sub-standard, ancora molto deviante dalla norma, dove si usano altri pronomi relativi (che, la quale). Questo generalmente potrebbe essere collegato ad un certo grado d’istruzione, ma altri tratti sono più relazionati al fatto che siano cose scritte sul web, per esempio (es. è’). Esempio 3: riguarda la lingua del web. Vediamo l’uso dell’inglese, l’uso delle emoji, che possono essere tema di studio della SL. Nell’esempio con la foto dell’agenzia delle entrate vediamo le minoranze linguistiche dell’alto Adige, le minoranze linguistiche sono molto frequenti. Il paesaggio linguistico ci fa capire quali sono le lingue parlate in un determinato luogo. La punteggiatura in generale è un tratto tipico della grafia online, ma sta iniziando ad uscire nel parlato, come si vede nel cartello che abbiamo come esempio. Vediamo un estratto di una conversazione tra due ragazzi della val di Fassa (provincia di Trento). Ci accorgiamo del passaggio tra ladino e italiano, l’intenzione della ragazza era parlare ladino ma c’è stata una sorta di fusione. È possibile notare che le parole in italiano sono tutti segnali discorsivi (usati per dare una struttura al nostro parlato) come le congiunzioni. Altro tema importante sono i cosiddetti atteggiamenti linguistici, come i parlanti si pongono rispetto alle lingue parlate. Presenza del dialetto sui social: internet ha permesso di uscire dalle nicchie dove venivano parlati ed essere accessibili ad un pubblico più ampio. Possiamo dire che queste pagine Instagram fanno un’opera di recupero del dialetto. In Italia sono parlate anche le lingue parlate dai cosiddetti flussi migratori, nel corso degli anni, infatti, si sono aggiunte altre lingue. Repertorio linguistico: lingue a disposizione di un parlante o di una società e la SL si occupa proprio di analizzare questi repertori linguistici. Abbiamo visto brevemente i segni di trascrizione: /(pausa breve) : (durata prolungata della vocale) – (interruzione della parola) hh (“sospiro”, ehh). Quindi cos’hanno in comune questi esempi? Pur nella loro eterogeneità, ci mostrano:  Sono tutte manifestazioni del linguaggio verbale, fatti e scene linguistiche nonostante siano prodotti da persone diverse in contesti diversi e sono talvolta devianti dalla norma e dalla “lingua standard”.  Ci danno info su chi ha prodotto i testi (caratteristiche sociali, tipi di azioni che compiono, ecc.es. persone bilingue, persone che arrivano dal nord o dal sud) e anche sui contesti/situazioni nei quali sono stati prodotti. Ovviamente in alcuni contesti usiamo un determinato tipo di lingua e in altri no, varia anche nel corso del tempo, ovviamente. Costituiscono esempi di variazione linguistica (a) che reca (o è connessa a) un significato sociale (b). Tutti questi fatti sono esempi di variazione linguistica, che è il cuore attraverso cui si sviluppano tutti i temi che analizzeremo nel corso. «Per variazione linguistica si intende l’importante carattere delle lingue di essere mutevoli e presentarsi sotto forme diverse nei comportamenti dei parlanti» (Berruto 2011); Questa può estrinsecarsi a diversi livelli, in particolare ne abbiamo individuati tre (ci focalizziamo d più sui livelli 2 e 3): 1) Le lingue sono diverse tra di loro e lo sappiamo; a livello della generale facoltà del linguaggio verbale, «nella diversità delle varie lingue in cui si articola la capacità umana di parlare» (variazione interlinguistica); 2) Varia a seconda dei parlanti e delle situazioni; a livello di ogni singola lingua storico-naturale (come l’italiano), «nella diversità interna, entro i confini stabiliti dal suo sistema peculiare e dai modi di realizzazione che questo ammette» (variazione intralinguistica); 3) Varia a seconda del repertorio linguistico; a livello del repertorio linguistico (=insieme delle risorse linguistiche a disposizione di una comunità linguistica o di un parlante), «nella diversità dell’accesso e dell’utilizzazione da parte dei singoli parlanti delle lingue e varietà di lingua che lo costituiscono» (variazione nel repertorio) (Berruto 2011). Quindi riassumendo cosa vedremo nel corso: Quindi variazione (e mutamento  cambiamento più stabile rispetto alla variazione) è il tema principale. Questa variazione può dare vita ad un cambiamento più stabile, ovvero il mutamento. È una disciplina tutto sommato recente, in Italia arriva negli anni 60/70 ma la prima vera apparizione del termine appartiene agli anni 50. Nelle slide ci sono info un po’ più dettagliate sulle prime apparizioni di questo termine sia in Italia che all’estero. È inoltre presente una distinzione tra sociolinguistica (sostantivo) e sociolinguistico (aggettivo, che può essere utilizzato in maniera diversa, da un lato può riferirsi ai fatti, mentre da un altro può riferirsi alla SL stessa), perché presentano differenze di significato. (i) sociolinguistica: sottodisciplina delle scienze del linguaggio, con precisi oggetti di studio, problemi, categorie concettuali e metodi; (ii) sociolinguistico: aggettivo con due significati, che può riferirsi sia ai fatti che all’intersezione fra lingua e società (fatti sociolinguistici, sia disciplina che li studia (nel senso di “relativo alla sociolinguistica”, “compiuto con gli approcci e i metodi propri della sociolinguistica”). Approfondimento: le tre <<ondate>> (non obbligatorio). Eckert (2012) individua tre ondate («three waves») di analisi del trattamento del significato sociale nella variazione sociolinguistica. Nell’articolo di Eckert vengono individuate tre ondate, che sarebbero tre fasi temporali. • La prima ondata, ovvero la prima fase: metodo quantitativo per esaminare la relazione fra variabilità linguistica e macro-categorie demografiche (“socioeconomic class, sex, class, ethnicity, and age”). Questa prima ondata comincia con W. Labov, Social Stratification of English in New York City (1966); Veniva utilizzato il metodo quantitativo, c’erano queste macro-categorie demografiche e con esse si correlava il modo in cui la lingua variava. Abbiamo visto la storia del <<fourth floor>>: Studio del 1966 condotto da William Labov (Università della Pennsylvania), uno dei padri della sociolinguistica; indaga le diverse realizzazioni di /r/ nella città di New York da parte di parlanti di classi diverse (working, middle e upper); Ricerca svolta in tre diversi grandi magazzini - S. Klein per la classe operaia, Macy’s per la classe media e Saks per la classe superiore; veniva richiesto ai venditori di un prodotto che si sapeva essere al quarto piano. Una volta aver chiesto questo e ottenuta la risposta, veniva chiesto di ripeterlo, perché come sappiamo quando ripetiamo qualcosa cerchiamo di ripeterlo in modo diverso, ovviamente registrando tutto. Veniva segnato immediatamente anche le caratteristiche della persona che lo pronunciava, perché come già abbiamo detto non è importante solo il dato linguistico ma anche la persona. Nelle slide sono presenti i risultati di questa ricerca: i venditori di S. Klein tendevano a cancellare entrambe le "r" ("fou'th floo"), mentre i venditori di Saks pronunciavano entrambi i suoni; i venditori di Macy’s variavano nella loro pronuncia e molti di loro pronunciavano solo una "r". • La seconda ondata adotta un approccio più etnografico, sempre per analizzare la relazione tra la variazione linguistica con le categorie di persone. Il parlante ha quasi una volontà, è meno passivo rispetto a come veniva trattato nella prima ondata. Abbiamo quindi uno spostamento di prospettiva, ma in entrambi i casi la variazione è apparentemente statica. • La terza ondata è ribattezzata come la prospettiva stilistica, emerge molto di più come il parlante costruisce la propria identità attraverso la lingua e lo “stile”. La variazione non accade per caso, ma è una parte fondamentale della lingua che non potrebbe non esistere. La variazione non solo riflette, ma costruisce anche il significato sociale. Quindi il parlante viene rimesso al centro, proprio come parte fondamentale della variazione, perché quest’ultima viene vista proprio come “spinta” per la costruzione della propria identità. La sociolinguistica in Italia Temi rilevanti:  Rapporto tra lingua nazionale e dialetti;  Dinamiche linguistiche connesse ai mutamenti sociali;  Articolazione dell’italiano in varietà secondo diversi fattori di variazione;  Cambiamenti nella lingua italiana dovuti alla diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione;  Ruolo della lingua nell’educazione scolastica e la discriminazione attraverso la lingua (tema molto sentito, c’è un lavoro di Gabriele Iannaccaro che parla del disagio che si prova quando le proprie conoscenze linguistiche sono disallineate con il resto della società);  Minoranze linguistiche (“vecchie” e “nuove”, che si riconnette in qualche modo al primo punto). La SL è una disciplina sincronica, cioè osserva i fenomeni linguistici così come si presentano agli occhi dell’osservatore, nella contemporaneità, per i dati del passato ci mancano le informazioni relative al parlante nella maggior parte dei casi, era anche impossibile registrare; quindi, sono dati mancanti di una parte fondamentale dell’analisi SL, per questo l’analisi avviene in sincronia. Nonostante ciò, negli ultimi anni si è tentato di studiare i dati del passato con una prospettiva SL, considerata quindi la SL del passato basandosi principalmente su reperti e fonti scritte, la sociolinguistica storica. Tenendo però presente che: a) l’oggetto studiato non può essere sottoposto a ricerca sul campo; b) le condizioni sociali di produzione e fruizione dei testi indagati sono spesso solo parzialmente note e non verificabili. Sociolinguistica storica: sociolinguistica che cerca di ricostruire le condizioni sociolinguistiche di un’area in un determinato periodo storico, i rapporti esistenti nel relativo repertorio linguistico e la variabilità intralinguistica come si manifesta nei testi e materiali linguistici del passato (primo passo in questa direzione: Romaine 1982). Altro aspetto preliminare: opposizioni fondamentali che la caratterizzano 1. Differenza tra linguistica interna (Studia le caratteristiche strutturali della lingua, il suo oggetto è la lingua come sistema), mentre quella esterna si occupa di tutto ciò che è esterno alla sua struttura ma rappresenta il contesto in cui essa si immerge. La sociolinguistica opera prevalentemente secondo la visuale della linguistica esterna. 2. Prospettiva o orientamento formale (formalismo: (ad es. grammatica generativa) concepisce la lingua come uno strumento che riflette il pensiero e costituisce un sistema autonomo, organizzato secondo principii propri che lo distinguono da qualunque altra capacità cognitiva umana;). Prospettiva o orientamento funzionale (funzionalismo - concepisce la lingua essenzialmente come uno strumento di comunicazione, adattato ai bisogni degli utenti, quindi strumento adattabile ai bisogni dei parlanti). Le teorie della grammatica e linguistica generativa cercano una “pretesa” per poter generalizzare, mentre la SL è tutto il contrario, appartiene alla prospettiva funzionalista, in questo caso le forme e le strutture della lingua sono determinate o condizionate. (Carattere induttivo= a partire dai dati). Queste differenti concezioni di base portano a una serie di opposizioni fondamentali: Formalismo: forme e strutture della lingua autonome, indipendenti dalla funzione; grammatica (descrizione della competenza linguistica) indipendente dall’uso e dai parlanti; nozioni e categorie discrete, ben definite; principî e regole (che colgono e spiegano i dati empirici) di carattere deduttivo; generalizzazioni categoriche che conferiscono al modello teorico una capacità predittiva forte, analoga a quella che si riscontra nelle scienze esatte e deduttive (Berruto e Cerruti 2015: 6). Funzionalismo: forme e le strutture della lingua determinate, o condizionate, dalla funzione; grammatica atteggiata in relazione ai caratteri e alle esigenze dell’uso e dei parlanti; nozioni e categorie tendenzialmente continue, sfumate (a carattere prototipico); principî e regole di carattere induttivo; generalizzazioni carattere probabilistico, preferenziale; predittività del modello debole e solo di natura statistica (Berruto e Cerruti 2015: 6).  Per sua natura la sociolinguistica condivide in generale le assunzioni della prospettiva funzionalista. Alcune importanti opposizioni si basano sulla concezione che si ha della disciplina e sul genere di fenomeni di cui ci si occupa, meno astratte rispetto alle prime: • sociolinguistica <<in senso stretto>> (che si occupa di produzioni linguistiche, studia specifici fatti e produzioni linguistiche come pronunce, parole, strutture frasali, enunciati,) e sociologia del linguaggio o della lingua (che invece guarda altro: studia la distribuzione, la collocazione, la vita e lo status dei sistemi linguistici nelle società). In entrambi i casi si guarda la lingua, nel primo caso è visto come prodotto e nell’altro si guarda alle lingue per come si comportano nella società, il cosiddetto paesaggio linguistico. Berruto dice che entrambe le due anime stanno sotto la SL in senso lato. Altre due etichette per dire cose molto simili, riferendosi in maniera più diretta alla «dimensione» dei fenomeni considerati: • Microsociolinguistica vs. macrosociolinguistica; I termini possono avere anche un altro significato: per alcuni, microsociolinguistica è lo studio di gruppi piccoli di parlanti o di singoli individui, mentre macrosociolinguistica è lo studio di fenomeni di ogni livello (dalle singole variabili all’uso delle lingue) in gruppi più o meno ampi di parlanti. (Micro: già sappiamo che è difficile studiare una piccola parte di parlanti). Seconda opposizione da questo punto di vista: • SL correlazionale o correlativa studia le correlazioni tra lingua e società ma vede i fattori sociali come variabili indipendenti, come la lingua è influenzata dalla società, si caratterizzano per il diverso rapporto posto tra i fatti linguistici e i fatti sociali. SL ‘correlazionale’ (o correlativa): studia le correlazioni fra lingua e società assumendo gli aspetti o fattori sociali come variabili indipendenti, che agiscono sui fatti linguistici, analizzati in base al loro rapporto con determinati aspetti o fattori sociali. Direzionalità: società  lingua (=come la lingua è influenzata dalla società) SL interpretativa: pone l’accento sull’interpretazione di quello che fanno o intendono fare i parlanti, che ‘costruiscono’ significati interazionali e valori sociali usando in un certo modo le risorse fornite dal sistema linguistico. Direzionalità: dalla lingua  alla società (= come la lingua influenza e determina la società e i rapporti sociali). In anni recenti, sono nati nuovi ambiti di ricerca a partire dall’interesse specifico della sociolinguistica per gli stretti rapporti esistenti tra i fatti linguistici e quelli sociali; Pur condividendone metodi e assunzioni, si sono sviluppati autonomamente e si configurano oggi come approcci a sé stanti; Tra questi troviamo la sociolinguistica percezionale, la sociolinguistica cognitiva e la sociofonetica. Sociolinguistica -A (Prof. Ilaria Fiorentini) 27/09/2022  Manuale: Berruto, Cerruti ‘Manuale di sociolinguistica’ 2015 Torino, UTET, qualsiasi edizione va bene, scelta di due capitoli o saggi dalla lista. Lezione 1 «Attorno a noi, la vita quotidiana è in ogni momento percorsa da scene linguistiche. Le persone parlano, scrivono, conversano, in ogni circostanza sono produttrici o riceventi di messaggi linguistici. Comportamenti linguistici, del tipo più diverso, dai più elementari ai più complessi, sono una parte costitutiva molto importante e pervasiva della vita sociale.» (Berruto 2004, p. 3) Siamo immersi nei comportamenti linguistici sia più elementari che più complessi, così come siamo circondati da fatti linguistici. Nel primo esempio delle slide troviamo una dislocazione (il mercatino, lo trovate), fenomeno tipico del parlato estremamente diffuso. Solitamente nello scritto queste strutture venivano evitate, per lo meno fino a poco tempo fa, mentre oggi si stanno diffondendo. Interessa la SL perché rappresenta un tratto che prima era considerato deviante dallo standard, mentre oggi ci suona di più, anche se magari non lo scriveremmo. Rappresenta un tratto informale, un tratto di cambiamento della lingua, e questa è una delle cose di cui si occupa la SL. Nel secondo esempio quel ‘dove’ è ovviamente differente da quello che si userebbe nell’italiano standard, è un tratto sub-standard, ancora molto deviante dalla norma, dove si usano altri pronomi relativi (che, la quale). Questo generalmente potrebbe essere collegato ad un certo grado d’istruzione, ma altri tratti sono più relazionati al fatto che siano cose scritte sul web, per esempio (es. è’). Esempio 3: riguarda la lingua del web. Vediamo l’uso dell’inglese, l’uso delle emoji, che possono essere tema di studio della SL. Nell’esempio con la foto dell’agenzia delle entrate vediamo le minoranze linguistiche dell’alto Adige, le minoranze linguistiche sono molto frequenti. Il paesaggio linguistico ci fa capire quali sono le lingue parlate in un determinato luogo. La punteggiatura in generale è un tratto tipico della grafia online, ma sta iniziando ad uscire nel parlato, come si vede nel cartello che abbiamo come esempio. Vediamo un estratto di una conversazione tra due ragazzi della val di Fassa (provincia di Trento). Ci accorgiamo del passaggio tra ladino e italiano, l’intenzione della ragazza era parlare ladino ma c’è stata una sorta di fusione. È possibile notare che le parole in italiano sono tutti segnali discorsivi (usati per dare una struttura al nostro parlato) come le congiunzioni. Altro tema importante sono i cosiddetti atteggiamenti linguistici, come i parlanti si pongono rispetto alle lingue parlate. Presenza del dialetto sui social: internet ha permesso di uscire dalle nicchie dove venivano parlati ed essere accessibili ad un pubblico più ampio. Possiamo dire che queste pagine Instagram fanno un’opera di recupero del dialetto. In Italia sono parlate anche le lingue parlate dai cosiddetti flussi migratori, nel corso degli anni, infatti, si sono aggiunte altre lingue. Repertorio linguistico: lingue a disposizione di un parlante o di una società e la SL si occupa proprio di analizzare questi repertori linguistici. Abbiamo visto brevemente i segni di trascrizione: /(pausa breve) : (durata prolungata della vocale) – (interruzione della parola) hh (“sospiro”, ehh). Quindi cos’hanno in comune questi esempi? Pur nella loro eterogeneità, ci mostrano:  Sono tutte manifestazioni del linguaggio verbale, fatti e scene linguistiche nonostante siano prodotti da persone diverse in contesti diversi e sono talvolta devianti dalla norma e dalla “lingua standard”.  Ci danno info su chi ha prodotto i testi (caratteristiche sociali, tipi di azioni che compiono, ecc.es. persone bilingue, persone che arrivano dal nord o dal sud) e anche sui contesti/situazioni nei quali sono stati prodotti. Ovviamente in alcuni contesti usiamo un determinato tipo di lingua e in altri no, varia anche nel corso del tempo, ovviamente. Costituiscono esempi di variazione linguistica (a) che reca (o è connessa a) un significato sociale (b). Tutti questi fatti sono esempi di variazione linguistica, che è il cuore attraverso cui si sviluppano tutti i temi che analizzeremo nel corso. «Per variazione linguistica si intende l’importante carattere delle lingue di essere mutevoli e presentarsi sotto forme diverse nei comportamenti dei parlanti» (Berruto 2011); Questa può estrinsecarsi a diversi livelli, in particolare ne abbiamo individuati tre (ci focalizziamo d più sui livelli 2 e 3): 1) Le lingue sono diverse tra di loro e lo sappiamo; a livello della generale facoltà del linguaggio verbale, «nella diversità delle varie lingue in cui si articola la capacità umana di parlare» (variazione interlinguistica); 2) Varia a seconda dei parlanti e delle situazioni; a livello di ogni singola lingua storico-naturale (come l’italiano), «nella diversità interna, entro i confini stabiliti dal suo sistema peculiare e dai modi di realizzazione che questo ammette» (variazione intralinguistica); 3) Varia a seconda del repertorio linguistico; a livello del repertorio linguistico (=insieme delle risorse linguistiche a disposizione di una comunità linguistica o di un parlante), «nella diversità dell’accesso e dell’utilizzazione da parte dei singoli parlanti delle lingue e varietà di lingua che lo costituiscono» (variazione nel repertorio) (Berruto 2011). Quindi riassumendo cosa vedremo nel corso: Quindi variazione (e mutamento  cambiamento più stabile rispetto alla variazione) è il tema principale. Questa variazione può dare vita ad un cambiamento più stabile, ovvero il mutamento. È una disciplina tutto sommato recente, in Italia arriva negli anni 60/70 ma la prima vera apparizione del termine appartiene agli anni 50. Nelle slide ci sono info un po’ più dettagliate sulle prime apparizioni di questo termine sia in Italia che all’estero. È inoltre presente una distinzione tra sociolinguistica (sostantivo) e sociolinguistico (aggettivo, che può essere utilizzato in maniera diversa, da un lato può riferirsi ai fatti, mentre da un altro può riferirsi alla SL stessa), perché presentano differenze di significato. (i) sociolinguistica: sottodisciplina delle scienze del linguaggio, con precisi oggetti di studio, problemi, categorie concettuali e metodi; (ii) sociolinguistico: aggettivo con due significati, che può riferirsi sia ai fatti che all’intersezione fra lingua e società (fatti sociolinguistici, sia disciplina che li studia (nel senso di “relativo alla sociolinguistica”, “compiuto con gli approcci e i metodi propri della sociolinguistica”). Approfondimento: le tre <<ondate>> (non obbligatorio). Eckert (2012) individua tre ondate («three waves») di analisi del trattamento del significato sociale nella variazione sociolinguistica. Nell’articolo di Eckert vengono individuate tre ondate, che sarebbero tre fasi temporali. • La prima ondata, ovvero la prima fase: metodo quantitativo per esaminare la relazione fra variabilità linguistica e macro-categorie demografiche (“socioeconomic class, sex, class, ethnicity, and age”). Questa prima ondata comincia con W. Labov, Social Stratification of English in New York City (1966); Veniva utilizzato il metodo quantitativo, c’erano queste macro-categorie demografiche e con esse si correlava il modo in cui la lingua variava. Abbiamo visto la storia del <<fourth floor>>: Studio del 1966 condotto da William Labov (Università della Pennsylvania), uno dei padri della sociolinguistica; indaga le diverse realizzazioni di /r/ nella città di New York da parte di parlanti di classi diverse (working, middle e upper); Ricerca svolta in tre diversi grandi magazzini - S. Klein per la classe operaia, Macy’s per la classe media e Saks per la classe superiore; veniva richiesto ai venditori di un prodotto che si sapeva essere al quarto piano. Una volta aver chiesto questo e ottenuta la risposta, veniva chiesto di ripeterlo, perché come sappiamo quando ripetiamo qualcosa cerchiamo di ripeterlo in modo diverso, ovviamente registrando tutto. Veniva segnato immediatamente anche le caratteristiche della persona che lo pronunciava, perché come già abbiamo detto non è importante solo il dato linguistico ma anche la persona. Nelle slide sono presenti i risultati di questa ricerca: i venditori di S. Klein tendevano a cancellare entrambe le "r" ("fou'th floo"), mentre i venditori di Saks pronunciavano entrambi i suoni; i venditori di Macy’s variavano nella loro pronuncia e molti di loro pronunciavano solo una "r". • La seconda ondata adotta un approccio più etnografico, sempre per analizzare la relazione tra la variazione linguistica con le categorie di persone. Il parlante ha quasi una volontà, è meno passivo rispetto a come veniva trattato nella prima ondata. Abbiamo quindi uno spostamento di prospettiva, ma in entrambi i casi la variazione è apparentemente statica. • La terza ondata è ribattezzata come la prospettiva stilistica, emerge molto di più come il parlante costruisce la propria identità attraverso la lingua e lo “stile”. La variazione non accade per caso, ma è una parte fondamentale della lingua che non potrebbe non esistere. La variazione non solo riflette, ma costruisce anche il significato sociale. Quindi il parlante viene rimesso al centro, proprio come parte fondamentale della variazione, perché quest’ultima viene vista proprio come “spinta” per la costruzione della propria identità. La sociolinguistica in Italia Temi rilevanti:  Rapporto tra lingua nazionale e dialetti;  Dinamiche linguistiche connesse ai mutamenti sociali;  Articolazione dell’italiano in varietà secondo diversi fattori di variazione;  Cambiamenti nella lingua italiana dovuti alla diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione;  Ruolo della lingua nell’educazione scolastica e la discriminazione attraverso la lingua (tema molto sentito, c’è un lavoro di Gabriele Iannaccaro che parla del disagio che si prova quando le proprie conoscenze linguistiche sono disallineate con il resto della società);  Minoranze linguistiche (“vecchie” e “nuove”, che si riconnette in qualche modo al primo punto). La SL è una disciplina sincronica, cioè osserva i fenomeni linguistici così come si presentano agli occhi dell’osservatore, nella contemporaneità, per i dati del passato ci mancano le informazioni relative al parlante nella maggior parte dei casi, era anche impossibile registrare; quindi, sono dati mancanti di una parte fondamentale dell’analisi SL, per questo l’analisi avviene in sincronia. Nonostante ciò, negli ultimi anni si è tentato di studiare i dati del passato con una prospettiva SL, considerata quindi la SL del passato basandosi principalmente su reperti e fonti scritte, la sociolinguistica storica. Tenendo però presente che: a) l’oggetto studiato non può essere sottoposto a ricerca sul campo; b) le condizioni sociali di produzione e fruizione dei testi indagati sono spesso solo parzialmente note e non verificabili. Sociolinguistica storica: sociolinguistica che cerca di ricostruire le condizioni sociolinguistiche di un’area in un determinato periodo storico, i rapporti esistenti nel relativo repertorio linguistico e la variabilità intralinguistica come si manifesta nei testi e materiali linguistici del passato (primo passo in questa direzione: Romaine 1982). Altro aspetto preliminare: opposizioni fondamentali che la caratterizzano 1. Differenza tra linguistica interna (Studia le caratteristiche strutturali della lingua, il suo oggetto è la lingua come sistema), mentre quella esterna si occupa di tutto ciò che è esterno alla sua struttura ma rappresenta il contesto in cui essa si immerge. La sociolinguistica opera prevalentemente secondo la visuale della linguistica esterna. 2. Prospettiva o orientamento formale (formalismo: (ad es. grammatica generativa) concepisce la lingua come uno strumento che riflette il pensiero e costituisce un sistema autonomo, organizzato secondo principii propri che lo distinguono da qualunque altra capacità cognitiva umana;). Prospettiva o orientamento funzionale (funzionalismo - concepisce la lingua essenzialmente come uno strumento di comunicazione, adattato ai bisogni degli utenti, quindi strumento adattabile ai bisogni dei parlanti). Le teorie della grammatica e linguistica generativa cercano una “pretesa” per poter generalizzare, mentre la SL è tutto il contrario, appartiene alla prospettiva funzionalista, in questo caso le forme e le strutture della lingua sono determinate o condizionate. (Carattere induttivo= a partire dai dati). Queste differenti concezioni di base portano a una serie di opposizioni fondamentali: Formalismo: forme e strutture della lingua autonome, indipendenti dalla funzione; grammatica (descrizione della competenza linguistica) indipendente dall’uso e dai parlanti; nozioni e categorie discrete, ben definite; principî e regole (che colgono e spiegano i dati empirici) di carattere deduttivo; generalizzazioni categoriche che conferiscono al modello teorico una capacità predittiva forte, analoga a quella che si riscontra nelle scienze esatte e deduttive (Berruto e Cerruti 2015: 6). Funzionalismo: forme e le strutture della lingua determinate, o condizionate, dalla funzione; grammatica atteggiata in relazione ai caratteri e alle esigenze dell’uso e dei parlanti; nozioni e categorie tendenzialmente continue, sfumate (a carattere prototipico); principî e regole di carattere induttivo; generalizzazioni carattere probabilistico, preferenziale; predittività del modello debole e solo di natura statistica (Berruto e Cerruti 2015: 6).  Per sua natura la sociolinguistica condivide in generale le assunzioni della prospettiva funzionalista. Alcune importanti opposizioni si basano sulla concezione che si ha della disciplina e sul genere di fenomeni di cui ci si occupa, meno astratte rispetto alle prime: • sociolinguistica <<in senso stretto>> (che si occupa di produzioni linguistiche, studia specifici fatti e produzioni linguistiche come pronunce, parole, strutture frasali, enunciati,) e sociologia del linguaggio o della lingua (che invece guarda altro: studia la distribuzione, la collocazione, la vita e lo status dei sistemi linguistici nelle società). In entrambi i casi si guarda la lingua, nel primo caso è visto come prodotto e nell’altro si guarda alle lingue per come si comportano nella società, il cosiddetto paesaggio linguistico. Berruto dice che entrambe le due anime stanno sotto la SL in senso lato. Altre due etichette per dire cose molto simili, riferendosi in maniera più diretta alla «dimensione» dei fenomeni considerati: • Microsociolinguistica vs. macrosociolinguistica; I termini possono avere anche un altro significato: per alcuni, microsociolinguistica è lo studio di gruppi piccoli di parlanti o di singoli individui, mentre macrosociolinguistica è lo studio di fenomeni di ogni livello (dalle singole variabili all’uso delle lingue) in gruppi più o meno ampi di parlanti. (Micro: già sappiamo che è difficile studiare una piccola parte di parlanti). Seconda opposizione da questo punto di vista: • SL correlazionale o correlativa studia le correlazioni tra lingua e società ma vede i fattori sociali come variabili indipendenti, come la lingua è influenzata dalla società, si caratterizzano per il diverso rapporto posto tra i fatti linguistici e i fatti sociali. SL ‘correlazionale’ (o correlativa): studia le correlazioni fra lingua e società assumendo gli aspetti o fattori sociali come variabili indipendenti, che agiscono sui fatti linguistici, analizzati in base al loro rapporto con determinati aspetti o fattori sociali. Direzionalità: società  lingua (=come la lingua è influenzata dalla società) SL interpretativa: pone l’accento sull’interpretazione di quello che fanno o intendono fare i parlanti, che ‘costruiscono’ significati interazionali e valori sociali usando in un certo modo le risorse fornite dal sistema linguistico. Direzionalità: dalla lingua  alla società (= come la lingua influenza e determina la società e i rapporti sociali). In anni recenti, sono nati nuovi ambiti di ricerca a partire dall’interesse specifico della sociolinguistica per gli stretti rapporti esistenti tra i fatti linguistici e quelli sociali; Pur condividendone metodi e assunzioni, si sono sviluppati autonomamente e si configurano oggi come approcci a sé stanti; Tra questi troviamo la sociolinguistica percezionale, la sociolinguistica cognitiva e la sociofonetica. sull’uso ma qui ci interessa l’aspetto psicologico, quali reazioni si hanno e gli atteggiamenti dei parlanti. Lo schema mostra i rapporti fra i settori di ricerca che abbiamo menzionato (e che coinvolgono la lingua e la società), rappresentando anche la disciplina di riferimento per ciascuno di essi; Nello specifico, ricollega così le diverse discipline: o sociolinguistica in senso stretto, la dialettologia, la linguistica delle varietà  linguistica; o linguistica pragmatica, analisi della conversazione  linguistica (in parte antropologia culturale); o etnolinguistica, etnografia della comunicazione  antropologia culturale; o psicologia sociale del linguaggio  psicologia; sociologia del linguaggio  linguistica e sociologia insieme; o etnometodologia  sociologia e antropologia culturale. Abbiamo visto lo schema e la spiegazione di quanto appena detto. Lo schema mostra inoltre come l’apporto della sociologia alle diverse anime della sociolinguistica non sia quantitativamente centrale; Ciò corrisponde al fatto che nella sociolinguistica (nella stessa parola composta sociolinguistica la testa lessicale è linguistica, e socio- e il prefissoide modificante) i fatti sociali sono un ingrediente fondamentale, ma la natura dei problemi, l’impostazione della ricerca e il valore dei risultati non sono riconducibili alla sociologia (Berruto 1995: 15). L’aspetto sociologico nella SL: La sociolinguistica non si configura dunque attualmente come un aggregato di linguistica e sociologia; Piuttosto, è una prospettiva sul linguaggio nella società, una linguistica cioè che tiene conto saliente di fatti sociali; insomma, come abbiamo già detto, è «una sottodisciplina della linguistica» (Berruto 1995: 15). SL in senso lato Come già accennato, la sociolinguistica in senso lato potrebbe comprendere un po’ tutti settori sopra elencati, e si configura almeno potenzialmente come un campo ampio ed eterogeneo, «da praticare con metodi e anche fini diversi, e privo di un tratto unificatore forte che vada al di là del trattamento di fenomeni verbali in riferimento a un qualche fattore di contesto sociale» (Berruto 1995: 15); Noi prenderemo in considerazione il nucleo centrale della disciplina (sociolinguistica in stretto) insieme a quella che abbiamo chiamato sociologia del linguaggio (o delle lingue; cfr. schema). È un campo ampio ed eterogeneo, rispetto a tutte queste anime noi faremo sempre riferimento al nucleo centrale, quindi la SL in senso stretto ma anche alla così chiamata sociologia del linguaggio. Assiomi della SL Può risultare utile a questo punto riportare quella che Berruto (1995: 50-55) considera una lista minima di affermazioni fondanti da porre alla base delle ricerche sociolinguistiche; Si tratta di 16 «assiomi» (posti in forma apodittica, in quanto asserzioni che non richiedono dimostrazioni), su cui tutti i sociolinguisti dovrebbero potersi trovare d’accordo; Sono affermazioni valide a un livello basilare, e dunque utili a fondare concettualmente la sociolinguistica e porre dei confini all’interno dei quali essa possa operare. Sono 16 affermazioni che per Berruto stanno alla base della SL in generale. “Assiomi” nel senso di affermazioni che non necessitano di spiegazioni o dimostrazioni. Sono affermazioni su cui in teoria tutti i sociolinguisti siano d’accordo. Ci servono come base per fondare la ricerca sociolinguistica, dovrebbero darci delle sorte di confini. Vediamoli (non dobbiamo saperli a memoria): 1. Il sistema e le strutture linguistiche non sono direttamente osservabili, mentre l’attività linguistica è direttamente osservabile. I dati della sociolinguistica sia oggettivi ed empiricamente verificabili, sia soggettivi, non sperimentabili concretamente. La sociolinguistica deve partire dai primi, con un approccio analitico. Il sistema e le strutture linguistiche sono astratte, non possiamo osservare in maniera diretta qualcosa di astratto, mentre l’uso può essere osservato e studiato, basandosi su dati della linguistica (c’è un errore nella slide, dati della linguistica non SL) sia oggettivi che verificabili. 2. La lingua è proprietà sia individuale sia collettiva: Ogni individuo impara e mette in opera la lingua nelle interazioni con gli altri individui della comunità di cui fa parte sfruttando un potenziale mentale individuale; È necessario, dunque, un approccio anche sociale al linguaggio, per capirlo nella sua totalità. Affermazione non controversa, nel senso che la lingua la comunichiamo, ma poi ogni individuo la mette in atto, parla, in maniera diversa a livello individuale. Quindi per capire il linguaggio nella sua totalità, bisogna tenere in conto dell’individualità 3. Ogni lingua al suo interno è varia: Ogni lingua conosce differenziazioni, è diversificata negli usi dei parlanti e si articola in tante varietà di lingua (concetto che approfondiremo in seguito); La variabilità interna alle lingue si inserisce nella più ampia variabilità tra una lingua e l’altra. nessuno di noi parla sempre la stessa varietà di lingua in ogni situazione. Le lingue variano a seconda dei parlanti e di come questi la useranno nelle diverse situazioni, le lingue si articolano al loro interno in varietà differenti (ad esempio l’italiano non è unico, ma ha una serie di variazioni che si correlano a determinate caratteristiche specifiche. Ad esempio, abbiamo visto già l’italiano dei giovani, o l’italiano del web) . 4. Ogni parlante è capace di usare e usa più di una varietà di lingua (a meno che non abbia specifici disturbi del linguaggio): nessuno userà la stessa varietà di lingua in tutte le situazioni. 5. Ogni persona parla in modo almeno un po’ diverso dalle altre persone: la SL presuppone come ‘parlante ideale’ un parlante che conosce e padroneggia più o meno bene più varietà di lingua in una comunità parlante eterogenea. 6. Le diverse varietà di lingua hanno differente status e differente prestigio: non sono socialmente equipollenti. Questo non significa che diverse lingue e varietà di lingua non abbiano pari validità strutturale, ma solo che sono impiegate in maniera diversa da parte dei parlanti 7. La quantità di conoscenze e capacità implicate dal padroneggiare una lingua è grandissima, probabilmente non delimitabile: di conseguenza, la sociolinguistica deve porsi dei limiti, individuare dei confini entro cui svolgere le sue analisi; nel caso della SL tali confini sono costituiti dalle conoscenze e capacità riguardanti l’uso sociale della lingua (la lingua immersa nella società e correlata agli eventi sociali). 8. La lingua è tipicamente plurifunzionale: come funziona e cosa facciamo della lingua all’interno della società, gli scopi dell’attività linguistica sono molteplici, e le sue funzioni formano una lista aperta (da funzioni fondamentali a funzioni meno importanti); Fra quelle fondamentali, troviamo: dare forma materiale al pensiero, comunicare idee, accrescere le conoscenze, stabilire e mantenere relazioni, agire sull’ambiente che ci circonda ecc. 9. Non tutti i livelli di analisi del sistema linguistico toccati allo stesso modo dall’influsso esterno, sociale, extralinguistico. Una possibile scala dal livello linguistico meno esposto (toccato) al più esposto ai fenomeni che riguardano il contatto linguistico: morfologia  sintassi  fonologia/fonetica  lessico  semantica  pragmatica (più esposto all’influsso esterno e sociale) Fra i livelli che costituiscono la grammatica, la fonologia sarebbe quella più esposta a recare marcatezza sociale: riconosciamo quando noi parlanti molto facilmente siamo in grado di comprendere da dove arriva l’interlocutore (dall’accento) o quantomeno percepisco se viene da nord, centro o sud. 10. Non tutte le unità di tutti i livelli di analisi variano nella stessa misura. La variabilità potenziale è massima per il lessico, alta per fonetica e pragmatica, ridotta per sintassi e morfologia. Quindi il lessico è quello che varia di più 11. Fatti e aspetti di tutti i livelli di analisi possono avere rilevanza/valore/significato sociale Questo vale dall’organizzazione generale del discorso (testualità) a tratti subsistemici (ad es. le diverse realizzazioni di uno stesso fonema). Questo per far capire la grande varietà di temi dei quali si può occupare la SL. 12. L’attività linguistica può costituire (non sempre) anche un atto di identità. Attraverso quest’atto, il parlante si definisce o si riconosce come appartenente a un certo gruppo (ad esempio attraverso certi usi della lingua online), dando anche info all’interlocutore di dove ci collochiamo all’interno della società, collocandosi in qualche misura in una posizione determinata all’interno di una società; Attraverso il comportamento linguistico, ogni parlante inoltre fornisce informazioni sulla propria «collocazione» nella società 13. Lo spazio sociolinguistico in cui ogni parlante è collocato è pluridimensionale (socialmente e linguisticamente). Si incrociano e si sommano da un lato le caratteristiche sociali: ruolo, status, caratteristiche demografiche e culturali e da una parte con diversi tipi di varietà di lingua dall’altro. Diversi fattori che si incrociano a diverse situazioni. 14. Il contenuto dei concetti e delle unità di analisi della sociolinguistica varia da società a società, da cultura a cultura. La sociolinguistica è per sua natura molto legata a specifici e singoli paesi, società, comunità, e alle differenze tra essi (relativismo sociolinguistico). Per questo noi ci concentriamo sull’italiano, perché appunto possono esserci e ci sono differenze in base ai diversi paesi e culture in cui ci collochiamo. community); Questo concetto sottintende sempre un insieme di parlanti che condividono determinati aspetti relativi alla lingua. Grazie a questo concetto possiamo tornare ad un argomento già visto: Come abbiamo detto, i parlanti rappresentano il campo d’indagine degli studi sociolinguistici, non individualmente, ma aggregati in base ad alcuni elementi (linguistici e sociali) condivisi: • sono identificati in base a una “lingua” (o varietà di lingua) comune; • costituiscono un’entità sociale (di un certo tipo, come un gruppo, uno strato sociale...); • questi gruppi interagiscono nella “lingua” all’interno di tale entità sociale.  Anche in virtù di queste caratteristiche, costituiscono una specifica comunità linguistica, come vedremo tra poco. Comunità linguistica Berruto (1995: 56) definisce in via preliminare comunità linguistica come «una comunità sociale [che] condivida determinati tratti linguistici»; Questa definizione può essere ulteriormente delimitata attraverso tre criteri: (i) lingua, (ii) aspetto socio- geografico, (iii) atteggiamenti linguistici; questi tre criteri vanno combinandosi a dare delle concezioni differenti di comunità linguistica che appunto venogno osservate tramite questi criteri. Esistono quindi diverse concezioni di comunità linguistica, definite in base parametri diversi. 1. Il primo criterio è basato sulla lingua («comunità linguistica sarà l’insieme di tutte le persone che usano una determinata lingua», Berruto 1995: 57); Si vedano a tale proposito le seguenti definizioni di comunità linguistica: «il complesso delle persone che hanno in comune come lingua materna un determinato sistema linguistico nelle sue diverse varietà dialettali, sociolettali, ecc.» (Kloss 1977; il concetto di socioletto verrà approfondito più avanti) «comunità i cui membri hanno tutti in comune almeno una varietà di lingua e le norme (quando, come e dove questa lingua debba essere usata) per il suo uso appropriato» (Fishman 1971; condivisione di lingua + norme d’uso); 2. Il secondo criterio è basato sull’aspetto socio-geografico (comunanza di lingua + comunanza di stanziamento: «comunità linguistica sarà un gruppo di persone che appartiene a una determinata entità geografico-politica e condivide la stessa lingua», Berruto 1995: 57); Questa è la concezione di Ferguson (1959), per cui la comunità linguistica è formata da tutti quelli entro i confini di un paese che parlano la stessa lingua. Non deve per forza essere un paese, può essere di diverse estensioni. 3. Un terzo criterio, sviluppato soprattutto da W. Labov, è costituito dagli atteggiamenti nei confronti di una (varietà di) lingua; In questo senso, la comunità linguistica sarebbe un gruppo di parlanti che condivide un insieme di atteggiamenti sociali nei confronti di una lingua. Gli atteggiamenti linguistici sono quelli che i parlanti nutrono per una lingua e che non vengono espressi in maniera esplicita. È tutto implicito e non direttamente osservabile. (es. non dico che non mi piace il piemontese, semplicemente pur parlandolo decido di non insegnarlo ai miei figli). Baker distingue nettamente tra atteggiamento e opinione: al contrario delle opinioni, gli atteggiamenti linguistici non sono direttamente osservabili, ma devono essere dedotti «sulla base del comportamento linguistico e comunicativo dell’individuo» (Guerini, 2008: 134), dunque dalle convinzioni dei parlanti sulla propria lingua che vengono verbalizzate e possono di conseguenza essere sottoposte ad analisi. La definizione di comunità linguistica basata sugli atteggiamenti è una delle più note in sociolinguistica; è fondata sull’assunto che gli atteggiamenti linguistici sono più stabili e meno diversificati, più omogenei, dei comportamenti linguistici; Questa definizione presenta tuttavia qualche problema dal punto di vista operativo: in primo luogo, stabilire una condivisione di atteggiamenti tale da determinare una vera e propria ‘comunità’ non è semplice; Labov (1972) ne ha formulato una versione più ricca: una comunità linguistica «sarebbe caratterizzata dalla partecipazione a un insieme di norme condivise, che si manifestano in tipi di comportamento valutativo nei confronti della lingua e in schemi di variazione uniformi comuni ai parlanti» (Berruto e Cerruti 2015: 11). Questo per quanto riguarda la comunità linguistica vista dal punto di vista strettamente SL. Ma può anche essere osservato da un punto di vista più sociale. La comunità linguistica può essere concepita anche in termini sociali;  In questo caso, le definizioni possono tirare in causa i modelli di interazione, come in Gumperz (1968), per il quale una comunità linguistica è un insieme di individui caratterizzato da interazione regolare e frequente (per mezzo di un insieme condiviso di segni verbali) e con differenze significative di uso linguistico rispetto ad altri insiemi;  Oppure possono considerare gli aspetti socioantropologici, come in Hymes (1974): una comunità linguistica è tale in quanto condivide regole per produrre e interpretare il parlare (=condivide norme linguistiche e risorse verbali). Possiamo in definitiva identificare due famiglie di criteri definitori principali per il concetto di comunità linguistica: o criteri esterni oggettivi, oggettivabili (entità socio-geografica, lingua; più correnti fra i linguisti e dai sociolinguisti); criteri interni soggettivi (atteggiamenti, sentimenti di appartenenza e di autoidentificazione; più correnti fra socio-antropologi). Mettendo insieme il tutto: nel concreto operare della sociolinguistica, una definizione di comunità linguistica abbastanza generica ma comunque utile potrebbe essere: un insieme di persone, di estensione indeterminata, che condividano un qualche grado di padronanza e di esposizione a uno stesso insieme di varietà di lingua e che siano unite da qualche forma di aggregazione socio-politica (Berruto e Cerruti 2015: 11) Così intesa, la nozione si può applicare a insiemi di individui di differente numerosità, estensione e complessità, per esempio da un piccolo comune, a una metropoli, a una regione, fino a un paese/nazione (a livello superiore la definizione può diventare problematica); Va infine sottolineato che la nozione di comunità linguistica è in parziale sovrapposizione e interagisce con altre nozioni comunemente impiegate in sociolinguistica: ‘gruppo sociale’, ‘rete sociale’ e ‘comunità di pratica’. Nozione di gruppo sociale: I gruppi sociali sono gruppi di individui che rappresentano separazioni o compartimentazioni in una società; una società è costituita da una somma di gruppi sociali; L’appartenenza a un gruppo sociale presuppone solitamente: • quando condividiamo un comune stanziamento territoriale ( = concrete possibilità di interazioni fra gli individui); • una condivisione di esperienze, valori e aspettative; • l’esistenza di norme esplicite o implicite di comportamento. Notiamo che non c’è la lingua, quindi è un concetto non strettamente legato alla lingua. Infatti, possiamo intendere come gruppi sociali anche altre entità, ad esempio una famiglia. Esistono definizioni più o meno strette della nozione, che coprono entità di estensione molto diversa; Si possono intendere piccoli gruppi in cui i rapporti fra i membri sono molto stretti, con ruoli interdipendenti, interazioni continue norme di comportamento più prestabilite (ad es., la famiglia), ma anche gruppi molto larghi, in cui i rapporti e le interazioni fra i membri sono meno diretti e la condivisione di norme di comportamento, aspettative e obiettivi è più debole (ad es., una collettività religiosa o un partito politico). Nozione di rete sociale: La nozione di rete (o reticolo) sociale (social network) è stata mutuata dall’antropologia sociale (è utilizzata anche in sociologia); in sociolinguistica è diventata importante come correttivo e integrazione, se non come sostituto, del concetto di stratificazione per classi sociali (nozione che vedremo nella prossima lezione); Nel senso socio-antropologico, la rete sociale è costituita dall’insieme dei legami (ties) che vi sono fra una persona di riferimento (EGO) e tutte le persone con cui questa si trova ad avere rapporti (frequenti od occasionali) (Berruto e Cerruti 2015: 38); Questa nozione, che collega la macrosociolinguistica con la microsociolinguistica, è molto connessa con quella di comunità linguistica; quest’ultima può per certi aspetti essere concepita come una somma, o un prodotto, di tante reti sociali. Nozione di comunità di pratica: Dalla nozione di rete sociale va tenuta distinta un’altra nozione la cui rilevanza è stata dimostrata da ricerche relativamente recenti (cfr. Eckert e Wenger 2005): comunità di pratica (community of practice); Nozione sviluppata dall’antropologia cognitiva, con la quale si intende un gruppo di individui che si trovano a svolgere assieme una particolare attività con un determinato scopo (ad es. mestiere, professione), o semplicemente un gruppo di persone che si trovano ad essere assieme impegnati a raggiungere un obiettivo che esige la partecipazione comune (classe scolastica, squadra di calcio, ecc.); Nelle indagini sociolinguistiche ci permette di cogliere condivisioni di comportamenti e dinamiche di diffusione di abitudini linguistiche, varianti, innovazioni, altrimenti difficilmente spiegabili. Oggi, un esempio di comunità di pratica possono essere le comunità online, ovvero network di individui interconnessi che intrattengono comunicazioni regolari in uno spazio virtuale; I membri di queste comunità spesso condividono un interesse o uno scopo, sviluppando relazioni e, inoltre, un set di norme interazionali e linguistiche comuni; si vanno dunque a formare delle vere e proprie comunità di pratica. Di conseguenza, si verifica tra gli utenti una tendenza a modellare la propria lingua su quella del gruppo con cui si desidera essere identificati, in tal modo partecipando e cooperando alla costruzione del significato [NB: approfondiremo la questione trattando le lingue del web]. • Nelle varietà meridionali, è un connettivo esclusivo: viene quindi interpretato come “potremmo prendere un caffè INVECE DI un aperitivo, INVECE DI...” Italiano regionale Le diverse varietà diatopiche di italiano sono raggruppate sotto la nozione di italiano regionale (come vedremo anche più avanti; Un forte fattore di differenziazione regionale è costituito dal lessico; Le parole riferite agli stessi concetti che variano da zona a zona sono definite geosinonimi; (es. brioche/cornetto/pasta/croissant per indicare la brioche). Le dimensioni della variazione sociolinguistica La variazione diastratica Una delle tre dimensioni fondamentali di variazione; Ogni dimensione rappresenta l’esplicitazione di uno degli assiomi basilari relativi alla manifestazione della variazione linguistica; Un primo assunto può essere: ‘la lingua varia attraverso la stratificazione sociale’ (v. assioma 3)  variazione diastratica (comprende fenomeni linguistici in correlazione con la collocazione e l’identità sociale dei parlanti). Perché questo interessa alla SL? Il comportamento linguistico è un tipo di comportamento sociale  qualunque fattore dotato di rilevanza sociale e qualunque variabile sociale possono avere riflessi sulla lingua; È dunque necessario isolare alcune classi particolarmente rilevanti, che correlano in modo significativo con fatti linguistici e che, per questo motivo, vanno tenute presenti nella ricerca sociolinguistica. Variabili sociali Sono chiamate ‘variabili sociali indipendenti’ (chiamate anche ‘variabili sociolinguistiche’, etichetta potenzialmente equivoca con la nozione di variabile sociolinguistica come unità minima della variazione sociolinguistica, che vedremo. Quindi noi le chiameremo sociali.) le categorie e i fattori sociali relativi alla collocazione del parlante nella società, suscettibili di correlare con il comportamento linguistico, con la variazione linguistica e con le varietà di lingua del parlante; Le principali sono: stratificazione sociale; appartenenza di gruppo sociale; età e più generalmente la fascia generazionale; sesso (genere); collocazione spaziale e luogo di abitazione e provenienza. Nozione preliminare importante: in generale, tutte le variabili sociali interagiscono assieme nelle correlazioni con i fatti linguistici, e si sommano nel condizionare il comportamento linguistico; di conseguenza, spesso è complicato valutare il peso dell’influenza di ciascuna variabile isolatamente; Va anche sottolineato, per quanto en passant, che con la diffusione della comunicazione digitale è diventato un potenziale fattore di differenze linguistiche anche il fatto di essere utenti del web, fattore a sua volta interconnesso con molte delle variabili sociali che vedremo. Vediamoli singolarmente: • Stratificazione sociale: Il primo fattore solitamente preso in considerazione nelle indagini sociolinguistiche correlazionali è lo strato sociale (la cui definizione pone problemi metodologici);In generale, diversi aspetti della stratificazione sociale intervengono a condizionare fortemente le prestazioni linguistiche degli individui e l’accesso alle varietà del repertorio. Lo strato (o classe) sociale implica una classificazione della società tramite raggruppamenti gerarchici di individui; Questo tipo di classificazione non è privo di risvolti sociologici e ideologici, e le metodologie applicate per la classificazione sono molteplici, e variano solitamente al variare della società analizzata; insomma non è facile stabilirlo. Fattori come reddito, tipo di lavoro svolto (dipendente, libero professionista, imprenditore), così come anche il livello d’istruzione possono concorrere alla creazione di scaglioni sociali gerarchicamente ordinati da cui poi ricavare la dimensione diastratica della variazione linguistica. Con ‘stratificazione sociale’ ci si riferisce alla suddivisione di una società in classi o strati sociali; rappresenta notoriamente una nozione multifattoriale e problematica, in particolare nelle società contemporanee; La «vecchia» nozione di classe (‘strato sociale contraddistinto da una particolare condizione socio- economica’) è ormai difficile da definire; Le differenziazioni in classi tradizionalmente adottate (alta borghesia, piccola borghesia, ceto operaio, proletariato, ecc.) hanno al giorno d’oggi perso consistenza. Viste questa difficoltà, nella ricerca sociolinguistica si tende a considerare come indicatore della stratificazione sociale (i) un fattore o criterio oggettivamente misurabile, o (ii) una somma calibrata di più fattori o criteri; Fra i criteri per definire la posizione dei parlanti nella stratificazione sociale, i principali sono di tre tipi: economici, educativi, antropologico-culturali. (1) Criteri economici: reddito, tipo di occupazione, professione, risorse materiali a disposizione; Sfera occupazionale (lavoro svolto): Tra i criteri economici, troviamo l’attività svolta («sfera occupazionale»); Il criterio è adottato, per esempio, nello studio di Francescato/Solari Francescato (1994: 33), con la divisione in due macroclassi, “attività professionali” e “attività non professionali”, comprendenti la prima cinque raggruppamenti (“1. operaio non specializzato, contadino, colf 2. operaio specializzato, artigiano, impiegato di bassa qualifica, militare 3. commerciante, esercente […] 4. Impiegati, insegnanti, infermieri diplomati 5. professionisti, imprenditori”) e la seconda quattro (“1. casalinghe 2. studenti 3. disoccupati 4. pensionati”) generalmente questo criterio è poco utilizzato. (2) Criteri educativi: scolarizzazione e grado di istruzione (titolo di studio), accesso e fruizione di beni culturali (ad es. quanti libri hai a casa, quanto leggi il giornale ecc.) (quelli educativi sono i criteri più frequenti); Grado di istruzione: Un altro criterio molto usato nella ricerca sociolinguistica di ambito italiano. (titolo di studio); Ad esempio, Lo Piparo (1990), in un’indagine sull’uso di italiano e dialetto in Sicilia, utilizza per la stratificazione sociale solo questo parametro, suddiviso in cinque categorie: “nessuno, elementare, media, diploma, laurea”. (3) Criteri antropologico-culturali: modelli di comportamento e stile di vita, abitudini di consumo, valori di riferimento e aspirazioni sociali. • Gruppo sociale: Rispetto a strato/classe sociale, un’etichetta meno problematica è quella di gruppo sociale (abbiamo già incontrato questa nozione nella scorsa lezione), che non implica una gerarchia; Un gruppo sociale è, come detto, un gruppo di individui che rappresenta una separazione o compartimentazione in una società; presuppone una componente geografica, la condivisione dello stanziamento in un dato territorio limitato, e la conseguente esistenza di collegamenti diretti (effettivi o almeno virtuali) tra i membri. Socioletto: L’appartenenza a un gruppo e i corrispondenti valori di identità possono trovare manifestazione simbolica in comportamenti linguistici particolari, che diventano contrassegno e garanzia dell’appartenenza a un gruppo; Le varietà di lingua (concetto che approfondiremo nelle prossime lezioni) espressione di un determinato gruppo sociale sono chiamate ‘socioletti’ (ingl. sociolects). Il socioletto è dunque la varietà usata in modo predominante da un determinato raggruppamento all’interno della comunità linguistica; Solitamente le varietà sociolettali associate alle classi socialmente più elevate (classi ricche nelle società capitalistiche, oppure nobiltà e clero nella società medievale etc.) sono valutate positivamente dall’intera comunità linguistica e tendono a produrre un atteggiamento positivo e comportamenti imitative (hanno più prestigio) ad esempio il “piuttosto che” nato a Milano e che si è propagato in alter zone essendo Milano vista positivamente; le varietà sociolettali “basse”, invece, associate a classi o gruppi socialmente svantaggiati o “subalterni”, tendono ad essere stigmatizzate e usate per scopi ludici. In generale, il comportamento linguistico di un parlante può cambiare, anche di molto, a seconda che ci si rivolga ad appartenenti al proprio gruppo o a persone esterne al gruppo; In sociolinguistica ci si riferisce a tale opposizione come modello di comportamento in-group (come ci comportiamo a livello linguistico nel nostro gruppo) opposto a modello di comportamento out-group; Tipicamente, si definisce la lingua utilizzata in-group come we-code (poiché è considerata simbolo e garanzia dell’appartenenza e dell’identità del gruppo), vs. they-code, ‘lingua degli altri’ (coloro che non fanno parte del gruppo). Approfondimento we-code/they-code Tale distinzione spesso molto sentita nelle comunità bilingui, dove tendenzialmente il we-code coinciderebbe con la lingua minoritaria, tipica di un gruppo specifico, mentre il they-code sarebbe la lingua usata dalla maggioranza dei parlanti (Gumperz 1982); Analizzando dati raccolti nella comunità giamaicana di Londra, Sebba e Wootton (1998) hanno tuttavia sottolineato come in realtà non si possa decidere a priori quale della varietà presenti in un repertorio linguistico sia we-code (legata a un’identità in-group) e quale they-code (identità out- group), ma vada deciso solo attraverso l’analisi delle funzioni che le varietà ricoprono nelle diverse interazioni. Lingue speciali Sempre legato alla variazione diastratica, abbiamo le cosiddette lingue speciali. Un carattere linguistico saliente delle varietà tipicamente di gruppo è l’utilizzo di unità lessicali specifiche, ottenute (i) attraverso la risemantizzazione di lessemi già esistenti, o (ii) con la creazione di nuovi lessemi; Questo è particolarmente evidente nelle cosiddette lingue speciali, o sottocodici; Berruto (2012: 178) distingue in particolare: 1. Lingue speciali in senso stretto: ad esempio la lingua della medicina (ha una terminologia con una struttura determinata da campi extralinguistici, es i suffisi -ite come laringite ecc, o -osi ad esempio lordosi ecc); i sottocodici veri e propri, contrassegnati da un lessico particolare ed eventualmente da tratti di morfosintassi e testualità caratteristica; 2. Lingue speciali in senso lato: ad esempio i baby talk, la lingua semolificata che si parla ai bambini, o la foreing talk ovvero quella semlificata per gli stranieri; non hanno un lessico specialistico ma sono comunque strettamente legate a una determinata area di impiego; sono caratterizzate da scelte lessicali specifiche; (legato anche a argomenti) politico-culturali a proposito di questioni quali l’ineguaglianza fra i sessi, la discriminazione sociale delle donne, la presenza del ‘sessismo’ nella lingua. È stata fatta un indagine sul linguaggio inclusivo: • L’analisi si basa su dati raccolti mediante un questionario sociolinguistico somministrato a ottobre 2021 a 428 partecipanti di diverso genere, età e titolo di studio; Il questionario mirava ad indagare le conoscenze effettive dei rispondenti relativamente al dibattito sul linguaggio inclusivo, richiedendo di esplicitare un’opinione a riguardo. • I risultati: 1. «Hai mai sentito parlare di “linguaggio inclusivo?”» Risposte positive: 79,3%; di questa percentuale il 67,4% ha un’età compresa tra i 18 e i 25 anni 2. «Sai cos’è lo schwa?» Risposte positive: 59,7%; il 73,12% ha un’età compresa tra i 18 e i 25 anni 3. «Sapevi che questi simboli (*; ǝ; u) sono stati proposti per rappresentare nell'italiano parlato e scritto le identità di genere non binario?» Risposte positive: 67,9%; il 77,8% dei partecipanti ha un’età compresa tra i 18 e 25 anni. • Età: la maggiore informazione relativamente al linguaggio inclusivo riguarda le persone più giovani e di conseguenza più esposte ai contesti nei quali la «sperimentazione linguistica» ha luogo; i dati dimostrano che sono proprio i giovani a fare più largo uso dei simboli per opacizzare le desinenze di genere in italiano (78%); Istruzione: il 54% delle persone in possesso di una laurea triennale o specialistica o di un master universitario si sono rivelate informate in merito al linguaggio inclusivo; il dibattito, da un punto di vista diastratico, si è diffuso attraverso tutti i livelli della società e non è esclusivo delle persone che possiedono un elevato grado di scolarizzazione. Esempio: Questo esempio ci dimostra che in un certo modo c’è ancora poca conoscenza sull’argomento, non essendosi mai definita Maria Sole non binaria, l’uso di shwa e arteristi non è necessario, non bisognava inserire queste cose nell’articolo. Anche il fatto che ci sia guardata/guardato non ha senso, perché è vero che arbitro è al maschile ma essend lei femmina bastava mettere “guardata”. Il genere negli studi sociolinguistici Molti studi sociolinguistici hanno mostrato come la variabile di genere abbia un ruolo fondamentale nelle scelte di codice e nei meccanismi di innovazione linguistica; Non esistono ovviamente caratteri “universali” che contraddistinguono gli usi linguistici maschili e femminili: si tratta sempre di fenomeni di variazione che vanno calati ALL’INTERNO di una determinata comunità, insieme agli altri fattori che già abbiamo visto come l’età ecc.; [N.B.: va tenuto conto che si tratta di studi condotti in società occidentali] Variazione di genere Non sembrerebbero esistere specifiche varietà di lingua femminili o maschili, cioè non parlo cosi perché sono donna o perché sono uomo, ci sono altri fattori; Le differenze nel comportamento linguistico di uomini e donne sono mediate, più che dal sesso/genere, dallo status dei parlanti e dalla loro collocazione nella società in base ad altre variabili (ad es. stratificazione sociale);Tuttavia, l’uso della lingua risulta all’osservazione per alcuni aspetti diverso al variare del genere  variazione di genere Fra le generalizzazioni che sono state fatte a proposito del peso di questa variabile, troviamo: (i) la maggiore tendenza/sensibilità delle donne verso le forme e varietà di prestigio, standard o conservative: Ciò significherebbe, in generale e a parità di altre condizioni, che gli uomini tenderebbero a usare forme ‘basse’, stigmatizzate, socialmente sfavorite, mentre le donne sarebbero più attente a evitare tali forme (linguaggio più elevato, alto); in altre parole, le donne tenderebbero a usare più degli uomini forme alte, e meno degli uomini forme basse  sociolinguistic gender pattern (Fasold 1990; cfr. e ne parla anche Labov 2000). Il prestigio linguistico Introduciamo qui a questo proposito un concetto definito su base sociale molto rilevante per l’interpretazione dei fatti sociolinguistici, ovvero quello di prestigio; In generale, si riferisce alla valutazione sociale positiva attribuita a un qualche oggetto, fenomeno, fatto sociale; tale valore positivo si manifesta nella proprietà di essere un oggetto o comportamento degno di imitazione; Dipende dalla valutazione di tratti personali o sociali ritenuti desiderabili dai membri di una società (successo, ricchezza, immagine, ecc.);Il contrario di prestigio è ‘stigma’ ( = una varietà stigmatizzata assume una sanzione sociale negativa, non accettazione sociale di un oggetto, come una volta erano i dialetti per esempio). (ii) apparentemente le donne hanno l’uso preferenziale di certe sfere semantiche e lessicali (per es., per quel che riguarda le donne, i diminutivi) (Berruto 1995: 84); I dati empirici risultano comunque contraddittori anche riguardo a queste due generalizzazioni; Si tratta al massimo di differenze di frequenza, di preferenze lessicali, molto soggette a stereotipi e condizionamenti socioculturali, che non permettono di configurare varietà di lingua propriamente maschili o femminili. Genere e stili conversazionali Sembrerebbero invece più nette le differenze relative ai presupposti pragmatici su cui si basano gli stili conversazionali; A livello pragmatico, sembrerebbe che le donne tendano ad adottare un modello di interazione verbale basato sulla politeness (‘cortesia’) per salvaguardare la cosiddetta “faccia dell’interlocutore” che può essere positiva (desiderio delle persone di essere apprezzate) oppure negativa, interessato agli aspetti relazionali dell’interazione (Berruto 1995: 84), laddove gli uomini tenderebbero verso un modello incentrato sulla comunicazione referenziale, direttiva e pratica. Il genere nella ricerca sociolinguistica Nelle ricerche sociolinguistiche, dunque, la variabile sesso/genere del parlante correla spesso male con la variazione linguistica; Questo fattore risulta poco (se non per nulla) significativo come fattore determinante (o almeno influenzante) nelle scelte linguistiche dei/delle parlanti. Ultimo fattore:  Luogo di nascita e residenza: Un ultimo importante fattore demografico tenuto in considerazione nella ricerca sociolinguistica è il luogo di nascita e di residenza/abitazione; Entrambi sono spesso rilevanti per le correlazioni con il comportamento linguistico dei parlanti, così come, più in generale, la collocazione spaziale dei parlanti nel territorio proprio a una comunità linguistica e l’ambiente in cui si vive. Com’è ovvio e come abbiamo detto, la lingua riflette ampiamente diverse provenienze regionali; Inoltre, anche in uno stesso ambito geografico, risiedere in grandi città o in piccoli centri o in campagna (conducendo la propria vita quindi in diverse strutture sociali) può influenzare considerevolmente le scelte linguistiche e la struttura del repertorio linguistico individuale. Le dimensioni della variazione sociolinguistica La variazione diafasica Tutti i fattori visti fin’ora riguardano i parlanti, ora parliamo di fattori che riguardano il contesto comunicativo. • Fattori situazionali: Un altro gruppo di fattori suscettibili di correlare con l’uso dei parlanti e il comportamento linguistico è relativo al contesto in cui si attua la comunicazione linguistica; Le classi di situazioni sono un’importante categoria ‘sociale’ non riferita ai parlanti ma correlante, a volte in maniera decisiva, con gli usi della lingua; Cfr. «assioma» 4: nessuno userà la stessa varietà di lingua in tutte le situazioni. La dimensione diafasica riguarda la variazione negli usi linguistici dei parlanti in base alle diverse condizioni esterne in cui si realizza la comunicazione (in base alla situazione in cui si trovano); Riguarda le differenze nei comportamenti linguistici in base al grado di formalità della comunicazione e al rapporto tra i parlanti; In termini generali, si parla di situazione comunicativa, che comprende tutti i fattori extralinguistici presenti in un determinato momento che possono condizionare le scelte e i comportamenti linguistici dei parlanti. Con situazione comunicativa si intende «l’insieme di circostanze (concrete e astratte, quindi tutti i fattori comunicativi) in cui avviene un evento di comunicazione linguistica» (Berruto 1995: 72). Ogni elemento costitutivo di una situazione comunicativa può influenzare l’utilizzo delle varietà di lingua e il comportamento linguistico; Cfr. la lista dei componenti di un evento linguistico di Hymes (1979): l’occasione, la scena e l’ambiente, i partecipanti, gli scopi relativi alla società e ai partecipanti, le sfere di attività e argomenti, la ‘chiave’ in cui va inteso l’evento, i canali e gli strumenti di comunicazione, le conoscenze e norme sociali, le regole di interazione e interpretazione. (non è da studiare bene questo modello, solo infarinatura generale) Modello SPEAKING (Hymes 1979) (ii) i registri sono caratterizzati a tutti i livelli di analisi: in generale, rispetto a un registro formale, un registro informale avrà una pronuncia più veloce e meno accurata (ci mangiamo di più le parole), una sintassi meno elaborata e poco pianificata (ripetizioni, anacoluti ecc), un lessico più generico. Variazione di sottocodice e variazione di registro Variazione di sottocodice e variazione di registro sono indipendenti; è possibile operare scelte linguistiche più o meno formali all’interno di uno stesso sottocodice: (1) estragga il costituente rematico e lo ponga al margine sinistro dell’enunciato (2) tira fuori il costituente rematico e mettilo alla sinistra dell’enunciato. Entrambi gli esempi: sottocodice della linguistica, con termini tecnici (costituente, rematico ed enunciato). Tuttavia, es. (1): è più formale rispetto al (2), per scelte lessicali (estrarre, porre; al margine sinistro), allocutivo di cortesia (la variazione di registro è connessa, in quanto basata sul tenore, anche alle manifestazioni della cortesia linguistica). Lezione 7 11/10 Dominio Data la forte connotazione individuale della nozione di situazione, per cui ogni situazione è unica e irripetibile, gli studiosi si sono orientati verso la nozione di classi di situazioni; Viene così introdotto il concetto di dominio, che rappresenta una categoria di situazioni comunicative internamente coerente, raggruppate intorno allo stesso campo d’esperienza, che condividono in tutto o in parte un nucleo di necessità e obiettivi. I domini tradizionali sono categorizzazioni empiriche che incontriamo quotidianamente nella vita individuale: - famiglia - amici - Lavoro - Istruzione - Religione - sfera pubblica La nozione di dominio ha un valore più descrittivo che teorico, ma risulta particolarmente rilevante per descrivere i rapporti fra gli usi delle diverse lingue in particolare in situazioni di plurilinguismo e in generale nella tipologia dei repertori. Internet come dominio Negli ultimi anni, ha assunto caratteristiche di un dominio a sé la comunicazione online, nel web, via Internet; La diffusione della comunicazione mediata dalla tecnologia digitale (fino a poco tempo fa veniva definita comunicazione mediata dal computer, CMC) nelle sue varie forme ha portato a una serie di usi della lingua che mettono in crisi aspetti della bipartizione tradizionale fra lingua scritta e lingua parlata (come vedremo parlando di variazione diamesica e di lingue del web). La dimensione diafasica può quindi riguardare oggetti di dimensione diversa, da una prospettiva più “sociale”, o macro-sociolinguistica (i domini) ad una prospettiva più “linguistica”, o micro-sociolinguistica (gli eventi linguistici e gli atti linguistici). La situazione comunicativa rappresenta il punto centrale di questa sequenza di oggetti di studio (Berruto 1995: 79). Esempi Caratteristiche riconducibili a variazione diafasica (esempio 1): (1) debbo : verbo appartenente a «un registro elevato rispetto al mezzo di comunicazione che è informale, ovvero la piattaforma di WhatsApp; è particolare, in quanto forma alta, mentre una conversazione su WhatsApp «normalmente presuppone una certa informalità e un registro basso»; una forma «di solito usata in contesti formali o letterari, dunque non conforme a quelle che sono le caratteristiche tipiche dei messaggi e del linguaggio del web» (2) altre caratteristiche : uso della punteggiatura, e in particolare del punto esclamativo, «di solito utilizzato in contesti di confidenza», fa dedurre che si tratta «di un messaggio inviato in un rapporto semi formale». Rapporto tra diastratia e diafasia Abbiamo per ora preso in considerazione la dimensione diastratica e quella diafasica, che intergiscono tra loro inevitabilmente. Attraverso queste dimensioni si osserva lo spazio di variazione negli usi linguistici di una determinata comunità di parlanti in base alla strutturazione sociale interna e alle situazioni comunicative in cui avvengono le interazioni; La dimensione diastratica e quella diafasica (che si innestano su quella diatopica, che di base c’è sempre) intrattengono tra loro rapporti non sempre definibili (quale e se c’è una delle due dimensioni che prevale sull’altra) in maniera chiara; in linea di principio, in ogni caso, «la seconda dimensione di variazione a intervenire è quella diastratica, e sulla caratterizzazione fornita in primis dalla diatopia e poi dalla diastratia si inserisce infine l’ulteriore caratterizzazione diafasica» (Berruto 2011). Quindi prima diatopia, poi diastratia e poi diafasia: cioè prima come parliamo a seconda di dove veniamo, a seconda di chi siamo e a seconda della situazione in cui in cui ci troviamo. Le dimensioni di variazione non agiscono in maniera isolata, ma interagiscono tra di loro in vario modo; Per quanto riguarda il rapporto fra diastratia e diafasia, le due dimensioni frequentemente si sovrappongono; ciò si spiega constatando che (data una certa varietà diatopica, quindi sempre tenendo in considerzione questa varietà) esistono tre insiemi di tratti sociolinguisticamente marcati (cfr. Berruto 2011): (a) tratti marcati diastraticamente ma non diafasicamente (ad es. che compaiono in parlanti colti, al contrario, incolti, ma che non variano per registro, quindi anche se si trovano in certe situa formali non cambiano); (b) tratti marcati diafasicamente ma non diastraticamente (variano per registro indipendentemente dal grado di istruzione, in genersle siamo tutti in grado di dare del lei a prescindere del grado di istruzione); (c) tratti marcati come genericamente substandard ( = bassi, che possono comparire sia in varietà diastratiche basse sia in varietà diafasiche non sorvegliate, es. “a me mi piace” sappiamo che non si dice, ma al di la delle caratteristiche socio-anagrafiche del parlante può comunque essere presente). Un aspetto da tenere a mente è che i fatti linguistici associati a varietà diastratiche e diafasiche hanno una posizione ben diversa nella coscienza del parlante: (d) Le varietà diastratiche sono legate a caratteristiche socio-demografiche del parlante: non sono controllate in modo cosciente dal parlante stesso, anche se può esserne consapevole, ma rappresentano le uniche varietà a cui abbia accesso (ad es. italiano popolare); (e) Le varietà diafasiche sono invece legate a scelte consapevoli del parlante, il quale non è solo cosciente di tali fenomeni di variazione (quantomeno implicitamente), ma li controlla, al punto tale di realizzarli o meno a seconda della situazione comunicativa, del rapporto con l’interlocutore e delle sue specifiche intenzioni comunicative. La consapevolezza del parlante Quello che contraddistingue la variazione diafasica è quindi la capacità del parlante di attivare determinate varianti a propria scelta (scelta che spesso è implicita): • in base all’interlocutore (ad es. adottando un codice comune, ad esempio posso decidere di parlare inglese con uno che parla inglese) • in base al rapporto tra i parlanti (ad es. adottando forme di cortesia per parlare con sconosciuti, col datore di lavoro ecc.) • in base al contesto (ad es. usando un registro più colloquiale al bar e uno più formale a lavoro, anche se si parla con le stesse persone) • in base alle intenzioni comunicative (ad es. utilizzando una determinata varietà a fini ironici). La variazione diamesica – diamesia La dimensione diamesica riguarda la variazione negli usi linguistici in base al mezzo usato (parlato vs. scritto). Soprattutto in tempi recenti, la diamesia non riguarda una contrapposizione binaria tra scritto e parlato, ma tutto lo spazio di variabilità legata al canale di comunicazione, che va dal testo scritto formale, pubblico (giornali ecc., anche se al giorno d’oggi alcuni giornali possono scrivere in maniera un po’ più informale) al parlato informale (conversazione tra amici), passando per una serie di stadi intermedi: il parlato scritto (come nel caso delle chat), il testo recitato ecc. Tutte quelle forme che per le loro caratteristiche stanno tra il parlato e lo scritto. Entrambi sono tratti tipici del parlato dialogico. Esempi: Oltre alla punteggiatura, cosa può essere ricondotto al parlato? Il “bah” alla fine è un tratto tipiico del parlato, anche la domanda retorica “che si fa?”, insomma ci sono elementi tipici del parlato in tutto questo post “sfogo”, come se avesse fatto una trascrizione di quello che stava pensano, non c’è pianificazione, cioè come l’ha pensato l’ha scritto. Esempio interazione audio-chat Un messaggio vocale è parlato, ma spesso è anche pianificato perché abbiamo la possibilità di eliminare e iniziarlo di nuovo. L’unica cosa lontanamentissimamente paragonabile ai messaggi vocali sono i messaggi lasciati in segreteria telefonica, ma neanche. I messaggi vocali sono una cosa completamente nuova, io posso fermare e riprendere di ascoltare il messaggio, rispondere in contemporanea mentre lo ascolto, si può velocizzare ecc. Vediamo proprio una trascrizione del messaggio vocale, la struttura del messaggio vocale è particolare, basta vedere come inizia il messaggio vocale, senza un saluto ecc ma solo dicendo “oppure..”, questa è una grande opposizione tra parlato e scritto. Esempio pratico Lezione 8 12/10 Dove ci troviamo Le varietà di lingua Variabile sociolinguistca Cosa si intende per variabile sociolinguistica: concetto cardine in sociolinguistica (la variazione ha significato sociale); ogni insieme di modi alternativi di dire la stessa cosa Ovvero: ogni insieme dei modi differenti coi quali i parlanti possono realizzare una data unità di un sistema linguistico in funzione di una data variazione di tipo sociale (ad es. realizzazione di [s] e [z]); I geosinonimi sono variabili? Non proprio, perché non è chiaro, abbiamo visto un articolo di Berruto in cui dice che nell’italiano ci sono molti sinonimi nella lingua italiana, diciamo che si possono essere considerati variabili a livello del lessico, e nel caso delle variabili sociolinguistiche il lessico si incastra poco diciamo. Varianti Ogni singolo valore che può assumere la variabile è detto variante (sociolinguistica); Le varianti devono avere tutte lo stesso significato; non devono dunque mutare il significato referenziale dell’elemento interessato (in caso contrario, non si tratterebbe della stessa unità del sistema, ma di unità diverse) es. se dico casa o caza vuol dire sempre casa. Variabili e varianti: esempi Un fattore che può entrare in correlazione con varianti di variabili è la provenienza geografica; Nella situazione italiana, numerose variabili sociolinguistiche variano in relazione alla provenienza geografica dei parlanti; ad esempio, sono varianti [l:], [l] e [ɖ:] della variabile (l) (convenzionalmente indicata tra parentesi tonde) in contesto intervocalico, con caratterizzazione rispettivamente standard, settentrionale, e dell’area meridionale estrema (es., per bella, ['bɛl:a], ['bɛ:la], ['bɛɖ:a], ma vogliono dire tutti la stessa cosa). Ciascuna di queste varianti può inoltre correlare con tratti extralinguistici, sia di carattere sociale (ad es. la stratificazione in classi sociali, l’età, il grado di istruzione del parlante), sia di carattere situazionale (ad es. il grado di formalità/informalità);  le varianti che rappresentano la differenziazione geografica di una lingua sono spesso in correlazione con la collocazione sociale e con caratteri del contesto situazionale. Indicatori e marcatori Labov (1971) classifica le variabili sociolinguistiche in indicatori e marcatori: • Indicatori (indicators): variabili, sensibili ai fattori sociali, che il parlante non controlla e che si presentano invariate in qualunque contesto situazionale; questa distinzione si avvicina a quella tra diafasia e diastratia, sono variabili che il parlante non controlla • Marcatori (markers): variabili, sensibili a fattori sia sociali sia situazionali, che il parlante mostra di controllare modificando la propria realizzazione in funzione dello stile che il contesto richiede; questo tipo di variabile può intervenire nella differenziazione sia fra classi sociali sia fra stili di parlato. Modificati a seconda del contesto. Nella situazione sociolinguistica italiana, si possono considerare indicatori quei tratti regionali che il parlante non «sa» essere regionali (o locali, o informali, sia a livello diatopico che a livello diafasico), e che quindi utilizza in qualsiasi contesto; Sono marcatori quei tratti su cui si gioca la variazione diafasica, che il parlante sa variare in funzione del grado di formalità o informalità che desidera esibire. Variabile e variante sono quindi due concetti fondamentali che ci portano alla definizione di varietà di lingua. Varietà di lingua Varietà di lingua: ogni lingua al suo interno è varia, conosce differenziazioni, è diversificata negli usi dei parlanti e si articola quindi in varietà, ovvero insieme di forme linguistiche, ai vari livelli di analisi, cooccorrenti (che concorrono) con alcune caratteristiche della società; • Le dimensioni di variazione permettono di individuare le varietà di lingua; • Ogni parlante è capace di usare più di una varietà di lingua: nessun parlante parla allo stesso modo in tutte le situazioni. Il concetto di varietà di lingua può essere inteso in due sensi diversi: Un’accezione ‘larga’ che considera come varietà di lingua ogni elemento costitutivo di un repertorio linguistico di una comunità, distinto da altre varietà del repertorio In questo senso, sono considerate varietà di lingua sia la varietà formale sia la varietà informale del repertorio, ma anche, a un secondo livello, le diverse realizzazioni di queste due lingue presso differenti classi di utenti e di usi: ad es., la varietà di italiano di parlanti colti, quella usata nel parlato informale, la varietà di dialetto del centro urbano, quella parlata in centri più piccoli, ecc. Un’accezione ‘stretta’ (quella più comune) definisce invece una varietà di lingua rispetto a una lingua: si considerano varietà di lingua soltanto quelle entità riconoscibili entro i confini di uno stesso sistema linguistico. In questi termini, una varietà di lingua è definita da un insieme di tratti linguistici – ossia di varianti di variabili sociolinguistiche (così come le abbiamo definite) – che tendono a co-occorrere in dipendenza da certi fattori extralinguistici. Una varietà di lingua è quindi un’entità definita contemporaneamente sul versante linguistico (dalla co-occorrenza di certi tratti linguistici) e sul versante extralinguistico (presentarsi di questo insieme di tratti in correlazione con certi fattori extralinguistici). generale, i legami fra tratti co-occorrenti sono più forti nelle varietà diatopiche e diastratiche e più deboli nelle varietà di registro. Molti tratti non sono esclusivi di un’unica varietà di lingua, ma compaiono in più di esse; la differenza sta nella frequenza di occorrenza di certi tratti nei testi rappresentanti quella varietà di lingua; I tratti veramente diagnostici che ci aiutano a stabilire e a differenziare i confini tra le varietà (se si esclude il lessico, che costituisce la ‘buccia’ del sistema linguistico) sono relativamente pochi; per questo motivo, stabilire i confini fra le varietà e identificarle con precisione spesso è un’impresa ardua. L’architettura della lingua italiana Varietà come addensamenti di tratti Proprio per quello che abbiamo detto, ovvero che è difficile stabilire i confini tra le varietà, conviene considerare il ‘continuum’. Conviene concepire le varietà non come entità categoricamente definibili in base a una lista precisa di tratti, ma come se si disponessero lungo un continuum, un’ipotetica linea orientata tra poli opposti; La lingua può dunque essere rappresentata come un continuum tridimensionale, in cui ciascuna delle tre dimensioni di variazione è identificata da un continuum con addensamenti. Ovvero non vediamo i tratti che si dispongono in maniera precisa lungo il continuum, ma è come se si addensassero attorno a dei punti e vanno a rappresentare una varietà di lingua. Le dimensioni di variazione sono ben riconoscibili ai poli (es polo scritto e parlato), quelle intermedie sono più sfumate. Ogni dimensione di variazione può dunque essere intesa come un continuum di varietà, con entità ben riconoscibili ai suoi poli, i due estremi, e con varietà intermedie, benché dai confini sfumati, che possono essere identificate sulla base di ‘addensamenti’ di tratti. Per lo studio dell’articolazione della lingua in varietà secondo le sue dimensioni di variazione, e per la descrizione delle caratteristiche di queste varietà a tutti i livelli di analisi, è stato proposto uno schema (architettura della lingua)  continuum multidimensionale rappresentato con uno schema a tre assi, ciascuno costituito da una principali dimensioni di variazione e la conseguente collocazione reciproca delle classi di varietà di una lingua riconoscibili in sincronia; Inizialmente, Berruto (1987) ha proposto un modello (lo schema qua di fianco) che prescinde dalla variazione diatopica (=come la lingua cambia attraverso lo spazio) e diacronica (=come la lingua cambia attraverso il tempo; tutte queste dimensioni sono sincroniche). Diagonale=diafasica Gli assi sono tuttti e tre orientati, ovvero come detto presentano delle varietà estreme ai loro poli. In particolare quello orizzontle si sposta da un polo scritto e uno parlato. Quello verticale si muove da un polo basso a uno alto, e quello diagonale dal polo alto formale a quello basso informale. In corrispondeza sopra si pongono delle varietà di italiano che rappresentano quegli addensamenti di tratti che dicevamo prima. In centro troviamo due varietà in particolare. Quello standard letterario è quello dei dizionari e nelle grammatiche, non marcato in nessuna delle direzioni, quello neo standard (che presenta i cosiddetti tratti devianti), e che vediamo cambia a livello diatopico. 3.Italiano parlato colloquiale  parlato ma marcato anche in diafasia per informalità quindi è nella parte bassa dello schema Nella parte bassa dello schema è la parte dove troviamo le varietà sub-standard, ovvero quelle che stanno sotto lo standard. Sopra troviamo l’ialiano aulico, burocratico e tecnico scientifico, varietà scritte e molto formali. Successivamente (cfr. Berruto 2011, Berruto/Cerruti 2015), lo schema è stato riproposto eliminando la diamesia e inserendo invece la diatopia. La diamesia è incorporata nella diafasia e viene inserito l’asse diatopico che a differenza degli altri poli non è orientato alto-basso. • Il modello raffigura ogni dimensione di variazione come un asse: l’asse della diatopia, della diastratia e della diafasia (nel modello più recente, la dimensione diamesica è compresa in quest’ultima); Le dimensioni sono separate l’una dall’altra (ciascuna corrisponde a una specifica classe di fattori extralinguistici), ma allo stesso tempo si intersecano e interagiscono tra loro come abbiamo detto più volte. I punti di addensamento sugli assi sono dati dalla somma di tratti linguistici che possono essere posseduti unicamente da una varietà oppure condivisi dalle varietà; nel continuum si passa in maniera graduale da una varietà a un’altra, senza che vi siano confini netti, categoricamente tracciabili (Berruto 2011). Asse diatopico - Asse orizzontale: diatopia; A differenza degli altri, continuum non polarizzato e non orientato, non si dispongono in modo gerarchico le varie varietà su questo asse; si passa linearmente (e non secondo un ordine gerarchico in base alle proprietà sociolinguistiche) da una varietà a un’altra; Lungo l’asse diatopico si dispongono le diverse varietà di italiano regionale e locale [Nella versione originale, asse orizzontale: diamesia, dal polo scritto al polo parlato. NB: non esiste un’etichetta precisa per la varietà scritta (italiano scritto è generico); la tipica varietà parlata media è l’italiano parlato colloquiale, etichetta che rimanda anche alla dimensione diafasica] Asse diastratico - Asse verticale: diastratia; Polo più alto: varietà dei parlanti molto colti, dei ceti intellettuali; Polo più basso: varietà dei parlanti incolti (italiano popolare). Sono distinzioni classiche e datate, forse oggi il tutto è più legato al titolo di studio, ma rientrano altri fattori come l’età abbiamo visto. - La variabile corrispondente a «dire» è realizzata in sette modi diversi: informare, dire (variante non marcata), (far) prendere atto, trasmettere l’informazione, il segnale discorsivo sa, l’interiezione eh, la perifrasi figurata espressiva ehi, apri ‘ste orecchie; - La forma di allocuzione varia dal lei di deferenza al voi burocratico, al ci (per le) tipico delle varietà basse, al tu di confidenza. Standard e non standard Ricapitolando: ogni asse è un continuum di varietà di lingua, definito come sopra; lo spazio di variazione rappresentato è composto di tratti linguistici; l’addensamento di tratti in alcuni punti di questo spazio dà luogo a varietà di lingua; Lo schema di architettura della lingua è un modello, in quanto tale riporta soltanto, e in maniera generica, le varietà più facilmente identificabili (in quello più recente, solo le varietà ai poli); Si possono riconoscere varietà anche in punti intermedi; la varietà standard, ad esempio, si colloca tendenzialmente in prossimità dell’incrocio degli assi diastratico e diafasico. Lezione 9 17/10 Il concetto di standard Con standard si intende la varietà di riferimento per una comunità linguistica, quella che si trova nelle grammatiche, che in genere gode di prestigio presso l’intera comunità; talvolta, la nozione di standard si sovrappone a quella di lingua nazionale; (es. italiano standard=lingua nazionale, ma non è così per tutte le lungue) «varietà di lingua soggetta a codificazione normativa (uso corretto), e che vale come modello di riferimento per l’uso corretto della lingua e per l’insegnamento scolastico» (definizione di standard di Berruto 2010), quindi fondamentalmente non interessa alla SL perché questa si fonda sulle variazioni della lingua, e in questo caso non parliamo di variazione. Per capire se una lingua si può considerare standard abbiamo sei criteri: per definire questa nozione, molto complessa, sono stati individuati (da Ammon 1986) sei attributi principali definitori, per i quali lo standard è tale in quanto è: (a) codificato, (b) sovraregionale, (c) elaborato, (d) proprio dei ceti alti, (e) invariante, (f) scritto; Di queste proprietà, è essenziale la codificazione (a-la prima), ovvero l’esistenza di un corpo di testi di riferimento (opere letterarie modello, grammatiche, dizionari) e di un insieme di regole normative riconosciute dalla comunità che parla una certa lingua (Berruto 2010). Le altre caratteristiche sono altrettanto importanti in quanto subordinate rispetto alla codificazione. Un’altra caratteristica importante dello standard è essere sovraregionale (per questo a volte può sovrapporsi alla lingua nazionale), ovvero diffuso come modello unitario in tutto il territorio in cui è distribuita una comunità parlante, e quindi ha un raggio d’azione nazionale (lingua standard e lingua nazionale non sono comunque sinonimi, la lingua standard non è per forza lingu nazionale). Anche l’elaborazione è fondamentale: lo standard possiede le risorse linguistiche (vocabolario, strutture grammaticali e testuali, ecc.) per adempiere soddisfacentemente a tutti gli usi in tutti i domini, anche quelli culturali e tecnico-scientifici più alti e complessi; e viene di fatto impiegato in questi usi; è un delle differenze tra quelle che chiamiamo lingue e quelli che chiamiamo dialetti. L’invarianza è una conseguenza della codificazione normativa non varierà in nessuna delle dimensioni, o meglio si può considerare che la caratterizzazione diamesica principale dello standard è scritta. Il caso dell’italiano: Nel caso dell’italiano, la varietà standard è basata sull’italiano toscano fiorentino, ma non coincide (non più) totalmente con esso; Data la forte variabilità diatopica dell’italiano, e la forte differenziazione su base regionale (in particolare a livello intonativo e fonetico), è molto difficile raggiungere la realizzazione standard della lingua nel parlato; per questo motivo, l’italiano standard è meglio rappresentato dallo scritto; Nozione indissociabile da quella di norma: è un’entità linguistica astratta, presente nelle grammatiche e nei vocabolari, ma utilizzata da pochi individui in pochissimi contesti. Tendenze di ristandardizzazione Lo standard è in un certo senso considerato «scolastico», cioè utilizzato e proposto soprattutto in ambito educativo, infatti uno degli obiettivi della scuola è insegnare un italiano regolamentato.(Fiorentino 2018: 92). Nell’ultimo quarto del Novecento è cominciato un processo di ristandardizzazione dell’italiano, ed è andata consolidandosi una «nuova norma»; Si è verificato innanzitutto un avvicinamento tra parlato e scritto; (anche grazie allo sviluppo dei social ecc). Tratti sub-standard vengono accolti nello standard  questo nuovo standard da vita all’italiano neo-standard (collocato leggermente più in basso sull’asse diastratico e diafasico; cfr. Berruto 1987). Italiano neo-standard L’italiano neo-standard (sensibile alla variazione diatopica) e corrisponde fondamentalmente, negli usi concreti dei parlanti, a un italiano regionale colto medio; Con la prima etichetta («neo-standard») si pone l’accento su aspetti unitari che cartterizzano questa varietà a livello sovraregionale, e soprattutto a livello morfosintattico, che costituiscono la base comune degli impieghi dell’italiano da parte di parlanti colti o mediamente colti; Con «regionale colto medio», invece, si sottolinea l'emergere della differenziazione geografica (a livello geografico, diatopico) percepibile nella maggioranza degli utenti. «[L]a varietà di lingua comunemente usata dalle persone colte che ammette come pienamente corretti alcune forme e costrutti sino a tempi non lontani ritenuti non facenti parte della ‘buona lingua’» (Berruto 1993: 14); «Italiano caratterizzato da una serie di tratti che, un tempo esclusi dallo standard, appaiono ora ampiamente diffusi e accettati da tutti i parlanti, e in cui è diminuita la forbice fra scritto e parlato» (Berruto 2010). Nella seconda definizione non viene più caratterizzato il parlante che utilizza questa varietà, non si parla più di persone colte. Nella prima definzione invece si parla ancora di come si siano avvicinati scritto e parlato. Nell’italiano neo-standard troviamo: Costrutti, forme e realizzazioni (tipiche in particolare del parlato), prima devianti dalla norma (grammatiche, manuali), che però hanno perso gran parte della marcatezza sociolinguistica (tratti substandard), e sono entrati o stanno entrando nello standard (es. i pronomi lui-lei come soggetto, che oggi sono entrati a tutti gli effetti nelle grammatiche, diventando una norma).;  I tratti neo-standard vengono man mano assorbiti dallo standard: consolidamento di una nuova norma più vicina al parlato. Alcuni tratti neo-standard: 1. Frasi topicalizzate e segmentate a. Dislocazioni a sinistra (Il gelato non lo voglio) b. Dislocazioni a destra (Non lo voglio il gelato) c. «Nominativus pendens» (Gianni, non gli ho detto nulla) d. C’è presentativo (C’è un gatto che gioca nel giardino) e. Frase scissa (È Mario che ha tirato la coda al gatto) 2. Pronomi a. Uso di lui, lei, loro quali soggetti b. Uso di gli (pronome dativo) per tutti i generi e i numeri c. Preferenza di ci (in luogo di vi) con valore di avverbio di luogo d. Uso, con valore attualizzante, della particella ci con i verbi essere, avere, sentire, vedere (e, con altro valore, con verbi come entrare cioè es. non c’entracentrarci nulla, capire, credere, volere) e. Preferenza di questo e quello con funzione di neutro al posto di ciò f. Perdita di codesto nel paradigma di pronomi e aggettivi dimostrativi (es. in toscana è ancora molto diffuso ma si è perso nell’italiano standard) g. Preferenza di cosa nelle frasi interrogative in luogo di che cosa e di che (Cosa fai stasera?) h. Perdita di il quale (al quale, ecc.) nel paradigma dei pronomi e aggettivi relativi (es. l’attrice il quale aveva.., molto spesso non è utilizzato, si sta perdendo un po’) i. Uso di che (in luogo di quale) come aggettivo interrogativo (Che regalo vuoi per il compleanno?) 3. Lessico e formazione delle parole: a. perdita di espressività: accettazione di termini provenienti da varietà marcate socialmente, geograficamente, gergalmente, che hanno perso la loro marcatezza e vengono impiegate nel parlato quotidiano (standardizzazione di termini di registro basso: arrabbiarsi rispetto ad adirarsi; per forza rispetto a obbligatoriamente ecc.). anche la marcatezza del torpiloquio (parolacce), sono pìù accettate b. neologismi, forestierismi (pù nello specifico gli anglicismi); c. meccanismi di formazione delle parole: classi suffissali in netta espansione (suffissi – ista es. tesista, -izzare, -ale, -eria es. drinkeria); prefissi e prefissoidi: mega-, mini-, iper-, stra-, super-; composti plurimembri (autoferrotranviere). 4. Fatti di costume linguistico: a. Uso marcatamente milanese, ma ora diffuso, di piuttosto che con valore disgiuntivo di oppure; b. L’uso di forme attenuative parallele a un attimino (già in voga negli anni Novanta) come un momentino, un tantinello; c. L’uso della formula non esiste! con significato di è impossibile, non ha senso, non se ne parla nemmeno; L’italiano popolare è una varietà di italiano che si colloca sulla dimensione diastratica, che ha interessato molto linguisti e sociolinguisti e che è stata molto dibattuta: «[L]a categoria di italiano popolare era tutt’altro che esente da problemi già proprio nel momento del suo massimo successo, come ben era emerso dalle discussioni presto avviatesi sulla sua portata e sulla sua definizione: dalla stessa denominazione (con la polisemia e i potenziali equivoci connessi alla qualificazione “popolare”), alla collocazione della varietà nell’architettura dell’italiano, ai tratti linguistici che la caratterizzerebbero. Fra le molte definizioni che ne sono state date dai vari autori che se ne sono occupati, un minimo comun denominatore può essere individuato nel configurarsi come varietà dell’italiano propria di parlanti con scarso grado di istruzione e prevalentemente dialettofoni: quindi, si tratterebbe della (gamma di) varietà bassa sull’asse della dimensione sociale» (Berruto 2014: 278). Rispetto a questa varietà, non si è stati mai d’accordo su questa varietà, dove collocarla, come denominarla ecc. perché la parola “popolare” può avere diversi significati, ma comunque berruto dice che può essere individuato come varità dell’italiano propria.. [ecc]. L’italiano popolare è stato uno degli oggetti di indagine più praticati e dibattuti nella linguistica italiana fra l’inizio degli anni ’70 e la prima metà degli anni ’90; «Le ragioni del successo della categoria “italiano popolare” negli anni Settanta sono certamente da ricondurre alle prospettive portate in primo piano negli studi linguistici dalla sociolinguistica, che proprio in quegli anni faceva il suo pieno ingresso nella ricerca italiana: l’italiano popolare è un’entità tipicamente e macroscopicamente sociolinguistica, che può essere identificata e compresa come tale solo ponendosi nell’ottica delle strette correlazioni e interazioni fra lingua e fattori sociali» (Berruto 2014: 277) Il termine e il concetto di italiano popolare (etichetta attestata già nell’Ottocento) devono il loro successo nella linguistica contemporanea a Tullio De Mauro (linguista mancato pochi anni fa), nella nota di commento alle lettere di Anna del Salento (1970); Anna era una contadina nata nel 1898 in un paese della provincia di Lecce, che, dal 1958 al 1965, scrive regolarmente a un’antropologa, Annabella Rossi, conosciuta in occasione di una ricerca condotta da Ernesto De Martino sul tarantismo pugliese; le lettere sono raccolte nel volume di Annabella Rossi Lettere di una tarantata, (Bari, De Donato, 1970). Importantissime perché rappresentano i primi testi di quello che riporta questa varietà chiamata italiano popolare. L’italiano popolare secondo De Mauro De Mauro definiva l’italiano popolare come il «modo di esprimersi di un incolto che, sotto la spinta di comunicare e senza addestramento, maneggia quella che ottimisticamente si chiama la lingua ‘nazionale’, l’italiano» (De Mauro 1970: 49); Si tratta in questo caso della varietà di lingua propria di quelli che in seguito sono stati definiti «parlanti semicolti» (Bruni 1984), sottolineando, sulla base del fatto che la varietà è documentata prevalentemente da testi scritti (lettere, diari, autobiografie), la limitata competenza scrittoria di chi si esprime in questa varietà, che spesso presenta un basso grado di istruzione, è scarsamente alfabetizzato. Le lettere scritte da Anna del Salento sono per De Mauro un documento non di «un italiano ‘aberrante’, mal formato», quanto una testimonianza di come «la maggioranza della popolazione italiana risolve negli anni Sessanta il problema di comunicare uscendo dall’alveo dialettale» (De Mauro 1970: 47). Obiettivaamente l’italiano negli anni 60 era lingua nazionale già da un po’, la maggior parte degli italiani parlavano in dialetto. L’italiano popolare secondo Cortelazzo La questione della lingua nativa, emerge in maniera più forte nella definizione di Cortellazzo: Successivamente Manlio Cortelazzo, nel descrivere sistematicamente la ‘grammatica’ dell’italiano popolare, lo definisce come «il tipo di italiano imperfettamente acquisito da chi ha per madrelingua il dialetto (…). [S]e interrompiamo in qualsiasi momento questo dinamico processo individuale (…) di apprendimento [dell’italiano], avremo un campione di italiano popolare» (Cortelazzo 1972: 11); Le due definizioni di De Mauro e Cortelazzo hanno «fondato» due linee interpretative diverse della nozione di italiano popolare: La prima è attenta alle spinte comunicative ed espressive, all’attuarsi di una tendenza del parlante a usare in ogni modo l’italiano; La seconda è più rivolta ai caratteri del «prodotto» (italiano popolare), che appare come un italiano sensibilmente deviante, «imperfetto» (una lingua acquisita in maniera imperfetta) (Berruto 1987: 106). Anche Berruto fornisce una definizione di italiano popolare: «(...) una varietà sociale dell'italiano, situabile in diastratìa, usata da/tipica di strati sociali bassi, incolti e semicolti (...) costituita da una serie di tratti linguistici non standard suscettibili di comparire in misura più o meno spiccata in diverse circostanze sociolinguistiche (in particolare negli usi non sorvegliati) e non necessariamente solo presso parlanti incolti; (però, ci sono altri tratti) più altri tratti che sono esclusivi, o in alta connessione probabilistica, dell’uso linguistico di parlanti con una posizione verso il basso della scala socio-educativa» (Berruto 1987: 108). (non si parla di dialetto e madrelingua in questo caso, si parla di istruzione). Che cos’è effettivaete l’italiano popolare non è ancora ben chiaro, e anche gli studiosi non sono completamente d’accordo. Quando nasce l’italiano popolare? Quando si inizia a parlare? La prima (ben documentata e studiata) attestazione di italiano popolare si fa risalire alla lingua delle lettere dei prigionieri di guerra italiani durante la Prima guerra mondiale; Si tratta delle lettere raccolte e commentate linguisticamente da Leo Spitzer nel 1921 e pubblicate in Italia per la prima volta nel 1976; In un certo senso esso è nato dal momento in cui si è fissata una lingua di riferimento, configurandosi come una varietà propria del parlante non istruito nel momento in cui si propone di scrivere in italiano. Dalle lettere emerge una frequente interferenza dialettale, che può influenzare la forma grafica delle parole (es. la realizzazione delle doppie, scritte come vengono pronunciate), e un’imperfetta gestione di morfologia, sintassi e testualità complessa. Un italiano popolare unitario? Uno dei punti di discussione sull’italiano popolare riguarda la sua unitarietà; Inizialmente (cfr. De Mauro 1970), si sosteneva che, nonostante le diverse aree geografiche dei parlanti e l’uso di diversi dialetti come lingue materne, la resa di questa varietà (in forma prevalentemente scritta) fosse abbastanza uniforme; In effetti, «buona parte dei tratti morfosintattici, e forse (…) anche semantico-testuali, che contraddistinguono l’it. pop. sembrano diffusi indipendentemente dalla provenienza regionale dei parlanti/scriventi (…)» (Berruto 1987: 108). Successivamente questa idea è stata messa in discussione, evidenziando i legami tra gli italiani popolari di una certa area e le varietà regionali dell’area stessa (Fiorentino 2018: 98); In particolare, quando non ci si basa solo su documentazioni scritte «ma si badi all’it. pop. come realtà in primo luogo parlata, non ci sono dubbi che un it. pop. veramente unitario non esista» (Berruto 1987: 108); Questo, appunto, perché la dimensione (e dunque la marcatezza) diatopica in Italia prevale su tutte le altre dimensioni di variazione; Sarebbe dunque più corretto parlare di italiani popolari regionali. I tratti diagnostici Quali sono i tratti sociolinguisticamente marcati che si ritrovano solo, o con almeno con frequenza molto maggiore (= tratti diagnostici), nell’italiano popolare? «È innegabile che con il progredire della ricerca e delle conoscenze e l’infittirsi di indagini specifiche su corpora il catalogo di tratti morfosintattici da ritenere diagnostico per l’italiano popolare si è andato assottigliando» (Berruto 2014: 286) D’Achille (2010) individua, a livello grafico: a) la mancata percezione dei confini delle parole, con frequenti univerbazioni di articoli, pronomi clitici e preposizioni (lamico, tidico, avedere), e anche con alcune improprie segmentazioni (con torni, di spetto, in dirizzo, l’aradio, con concrezione dell’articolo); b) la difficoltà nella resa delle doppie, spesso scempiate (fato «fatto») oppure, per ipercorrettismo (quando non voglio sbagliare e quindi aggiungo una doppia per essere sicuro, sbagliando), il raddoppiamento delle scempie (baccio «bacio»), in particolare da parte di scriventi settentrionali; la semplificazione dei nessi consonantici, nella grafia come spesso anche nella pronuncia (frequente l’omissione della nasale: sepre «sempre», fidazzata «fidanzata»); c) la presenza di errori di ortografia, soprattutto in alcuni punti critici del sistema, come la ‹h›, omessa (anno visto, ance «anche») o usata a sproposito sempre per ipercorrettismo (chome), la ‹q›, indebitamente estesa (quore, qucina), i digrammi e trigrammi (celo «cielo», molie o mogle «moglie»); A partire dagli anni Duemila, ci si è chiesti se l’italiano popolare, così come definito inizialmente, esistesse ancora; «La diffusione (…) nell’italiano parlato colloquiale di tratti tradizionalmente più frequenti o addirittura tipici dell’italiano popolare, da una parte, e la ‘risalita’ di tratti substandard (presenti tanto nell’italiano popolare quanto nei registri informali di parlanti anche colti) verso la zona alta delle dimensioni diastratica e diafasica, dall’altra, conseguenti alle note trasformazioni in atto nell’italiano contemporaneo (…), hanno portato a chiedersi da più parti se sia effettivamente opportuno parlare ancora oggi di italiano popolare» (Cerruti 2013: 97). Questo ci porta effettivamente a discutere se la varietà possa esistere ancora oggi Alcuni studiosi hanno dunque sostenuto che non fosse più realistico riconoscere ancora una varietà del repertorio definibile come italiano popolare (Cortelazzo 2001; Lepschy 2002), a meno di intendere popolare non come “degli strati sociali bassi” ma “largamente diffuso”, facendo leva sulla polisemia dell’aggettivo “popolare”, dipende appunto da cosa intendiamo per popolare). In queste discussioni, tuttavia, viene talvolta sottovalutato il fatto che una varietà di lingua debba sempre essere identificata anche sul piano sociale, oltre che su quello linguistico (tramite l’associazione di tratti linguistici e contesto sociale/collocazione sociale dei parlanti); Di conseguenza, l’italiano popolare non può essere definito in maniera soddisfacente «soltanto o prevalentemente in termini di una serie di tratti linguistici, ma anche in termini del cooccorrere di tratti linguistici con tratti inerenti alla stratificazione sociale» (Berruto 2012: 158). Si può dunque sostenere con cautela che una varietà diastraticamente bassa di italiano esista ancora, che possiede caratteristiche legate ad un basso livello di istruzione: «Una varietà che possiede tratti substandard caratteristici, non condivisi da altre varietà (…) – oltre a tratti condivisi da altre varietà ma che in italiano popolare si presentano con frequenza maggiore –, che emergono con più chiara evidenza presso parlanti anziani ed emigrati all’estero (quindi anche parlati che appartengono ad una certa fascia d’età e gli emigrati che hanno acquisito un italiano come il dialetto…); nondimeno, tratti peculiari di italiano popolare si riscontrano anche nella corrispondenza epistolare privata (…) e in altri tipi di testi (in alcuni ambiti di comunicazione elettronica, ad esempio) di giovani semicolti». (Cerruti 2013: 98) Tesi su italiano popolare su Facebook • Tesi Giulia Bazzurro (2021), Dall’italiano popolare all’e-taliano popolare? Il caso dei gruppi complottisti su Facebook «Vista l’assenza di alcuni dei tratti fondamentali e il numero tendenzialmente inferiore di occorrenze, non sembra corretto parlare di italiano popolare per il Corpus complottisti, ma, dal momento che non tutti i tratti presenti con un buon numero di occorrenze sono attribuibili all’italiano neo-standard o all’italiano del web (omissione dell’articolo, uno improprio delle preposizioni, mancato accordo del verbo, ellissi, presenza di modi di dire errati e predominanza del discorso diretto), si può constatare che si tratti comunque di una scrittura che presenta incertezze in determinati aspetti del sistema linguistico. Inoltre (…), nel Corpus complottisti erano presenti commenti privi di devianze come anche commenti addirittura di difficile comprensione. Si potrebbe dunque ipotizzare che alcuni partecipanti alle conversazioni del Corpus complottisti possano essere considerabili semicolti, ma di certo non è un’etichetta attribuibile a tutti». Quindi quello che troviamo online corrisponde a quello che è stato considerato fin’ora italiano popolare? Probabilmente no, un po anche in base alle considerazioni di cerruti e berruto (che la considerano più come una varietà diastraticamente bassa) e anche perché non possiamo avere info reali sui parlanti, soprattutto quale sia il livello di istruzione dei parlanti, per questo è difficile considerare questi esempi di italiano popolare. Varietà dell’italiano contemporaneo – l’italiano giovanile Età, classe generazionale Una variabile socio-demografica molto usata negli studi sociolinguistici (ma non solo) è quella dell’età; È indubbio che l’età, o meglio la cosiddetta “classe generazionale”, influisca in modo determinante sulla strutturazione del repertorio e sugli usi linguistici dei parlanti; Un tipico esempio è il linguaggio giovanile, che sviluppa caratteristiche proprie, ristrette ad una specifica fascia d’età, tantè che poi viene abbandonato quando non si appartiene più a quella classe d’età. L’appartenenza a una stessa classe generazionale è inoltre un fattore determinante per il costituirsi di gruppi sociali, delle persone con cui interagiamo di più generalemnte, al di fuori della nostra famiglia, che generalmente hanno la nostra età; Pensate ad es. alle persone con cui avete più frequentemente rapporti oltre la vostra famiglia: le cerchie di amici hanno spesso come fattore comune l’appartenenza a una stessa fascia d’età. Lingua ed età La lingua dei giovani: esiste un ‘ linguaggio giovanile’? Che genere di varietà è? È sicuramente una varietà di lingua difficile da definire perché è legata a una variabile anagrafica di per sé transeunte (cioè che cambia, rispetto ad altre variabili un poo’ più stabili), ovvero l’età; Un’altra difficoltà è data dal fatto che gli elementi lessicali (perché è la “parte” lessicale che varia di più) nati al suo interno possono «passare di moda», oppure al contrario avere successo ed essere acquisite da altre varietà (ad es.: passaggio di espressioni come sclerare, incavolarsi all’italiano colloquiale; Fiorentino 2018: 107, Cortelazzo 2010). La lingua dei giovani – il linguaggio giovanile A partire in particolare dagli anni Novanta, le ricerche sociolinguistiche hanno identificato alcuni tratti ricorrenti nel comportamento linguistico dei giovani (soprattutto nel parlato); In contesto italiano, si è tentato identificare modi comunicativi e caratteri linguistici propri dei giovani con numerose indagini empiriche sul campo (tra i primi studi, possiamo citate Banfi e Sobrero 1992, Radtke 1993, Cortelazzo 1994). Questi studi hanno sottolineato come la lingua dei giovani sia una varietà caratterizzata non solo dalla classe di età dei parlanti, ma anche dall’appartenenza di questi a uno specifico gruppo sociale e dalla situazione comunicativa in cui tipicamente viene impiegata (la conversazione spontanea in-group). La varietà ha attirato molto l’attenzione soprattutto per le evidenti particolarità lessicali, ovvero i tratti lessicali ricorrenti che la caratterizzano, che vanno da termini nati nel contesto di gruppi giovanili ma ormai circolanti anche nel parlato colloquiale informale. Sono elementi interessanti anche per quanto riguarda la formazione delle parole stesse. Il linguaggio giovanile non corrisponde alla lingua della generazione giovane in genere, ma è una specie di gergo (o meglio può essere considerato varietà paragergale); con i gerghi condivide la caratterizzazione primariamente sul piano lessicale e il fatto che questo lessico giovanile sia usato perlopiù nell’interazione verbale all’interno del gruppo; Come i gerghi, è una varietà marcata anche in senso diafasico (perché impiegata solo in determinate situazioni); come i gerghi, inoltre, è una lingua secondaria, disponibile accanto alla lingua normale. A differenza dei gerghi però ha maggiore variabilità, più funzione ludica ed 7 espressiva quindi è più utilizzata per giocare con il linguaggio rispetto ad un gergo, nonché una maggiore facilità di passaggio nella lingua di tutti i giorni, mentre con i gerghi probabilmente si continua a parlare col gergo. Definizione lingua dei giovani: Possiamo dunque definire il linguaggio giovanile come «la varietà di lingua utilizzata nelle relazioni del gruppo dei pari da adolescenti e post-adolescenti, costituita principalmente da particolarità lessicali e fraseologiche» (Cortelazzo 2010: 583) Si caratterizza in diastratia per l’appartenenza dei parlanti a un gruppo sociale specifico (il gruppo giovanile o, meglio ancora, uno specifico gruppo giovanile) e in diafasia (si realizza primariamente in una situazione interazionale definita, ovvero le conversazioni all’interno del gruppo, spesso su argomenti specifici, ad es. temi centrali della condizione giovanile: la scuola, le amicizie, ecc.; cfr. Cortelazzo 2010). Esiste un lessico giovanile: un insieme di lessemi espressivi, metaforici, disfemistici (ricco di parolacce), a volte neologismi coniati all’occasione (ad esempiio all’interno di un gruppo sociale e quindi incomprensibile al di fuori di esso); Questi lessemi (soprattutto i forestierismi) sono in buona parte gli stessi nelle varie regioni italiane, ma ci sono termini tipici nelle varie aree; Si tratta di un lessico molto appariscente per i suoi caratteri espressività anticonformista e di incomprensibilità e stranezza per chi non faccia parte del gruppo; va comunque sottolineato come la presenza effettiva di questo lessico all’interno del parlato quotidiano dei giovani non è poi così ampia (Berruto 2004: 114). Una parte rilevante del lessico giovanile evidenziabile in sincronia è di carattere effimero e transitorio, legato a periodi di pochi anni, passati i quali molti giovanilismi cadono in disuso e non lasciano traccia attuale nel patrimonio lessicale di una lingua. Il lessico - La lingua dei giovani non possiede una grammatica o una sintassi autonoma; le tendenze si riferiscono, appunto, principalmente alla sfera lessicale e semantica ma appunto non vanno a toccare i livelli più profondi della lingua; Raccolte di lessico giovanile hanno fatto la loro comparsa a partire dagli anni ’70: a partire dal primo “Il Mercabul. Il controlinguaggio dei giovani” di Cesare Lanza, del 1974, a “Peso vero sclero. Dizionario del linguaggio giovanile di fine millennio,” di Gian Ruggero Manzoni, del 1997, a “Scrostati gaggio! Dizionario storico dei linguaggi giovanili”, del 2004, a cura di Renzo Ambrogio e Giovanni Casalegno, fino alle ultime raccolte online come “Slangopedia”, curata dalla redazione web de “L’Espresso”, cui i giovani sono invitati a partecipare in prima persona inviando “sigle, metafore e neologismi rielaborati” . SLANGOPEDIA Come cambia in fretta il linguaggio giovanile: http://temi.repubblica.it/espresso-slangopedia/ Cfr. esempi da Banfi e Sobrero (1992): togo ‘bello’, (s)lumare ‘guardare le ragazze’, farsi una pera ‘iniettarsi droga’, cuccare ‘avere successo con le ragazze, gallo ‘tipo in gamba’, sapiens ‘genitore’… “tra virgolette” o “aperta e chiusa parentesi”, che sono molto diffuse come sappiamo nel parlato, in questo caso “virgola” viene usato con significato di “non proprio” o per dire in qualche modo che non è cosi, che è il contrario di quello che stiamo dicendo. I lessemi che caratterizzano il linguaggio giovanile derivano dunque da varietà colloquiali, dialettali, da varietà specialistiche-settoriali, da lingue straniere (forestierismi); c’è infine uno strato lessicale che resiste nel tempo e uno strato effimero che si perde al cambio di generazione (Fiorentino 2018: 109); A cambiare rapidamente, comunque, sono i termini e le locuzioni in uso, mentre i processi linguistici alla base della loro formazione rimangono perlopiù inalterati. Due piani distintivi Due ordini di caratteristiche in cui si possono ritrovare le componenti che caratterizzano il linguaggio giovanile in modo distintivo: 1) il piano della vitalità, contraddistinto da una dinamica linguistica molto accelerata rispetto alla lingua comune (le varietà giovanili hanno vita breve e vengono rapidamente sostituite); 2) Il piano dell’intenzionalità, dove si riscontrano quattro peculiarità che concorrono insieme alla formazione del linguaggio: il carattere ludico, quello criptico (spesso però a sua volta presente come elemento di ludicità), la finalità sociale di coesione (tesa ad esprimere l’appartenenza a uno specifico gruppo sociale) e infine la finalità sociale di contrapposizione (rivolta verso l’esterno). La funzione fondamentale della comunicazione, praticata anche al fine di stupire e provocare genitori e insegnanti, è di rinsaldare i rapporti fra i membri del gruppo, e di consentire a ciascuno l’affermazione di sé, in opposizione a chi al gruppo è esterno. La lingua dei giovani: la componente ludica La componente ludica il “nucleo duro” del linguaggio giovanile; I giovani giocano col materiale linguistico proveniente dalla lingua standard, trasformandolo e deformandolo a piacimento; Tali alterazioni possono avvenire a livello fonico, intonazionale e soprattutto semantico: estensioni semantiche, esagerazioni, risemantizzazioni, metafore, spostamenti di significato; Frequenti sono i giochi lessicali, tra cui la coniazione di epiteti scherzosi e di neologismi, ma non mancano operazioni più elaborate quali le segmentazioni non etimologiche, le suffissazioni arcaiche, le omofonie umoristiche. Altri elementi della componente ludica: acrostici e rebus, rime e filastrocche, freddure, sigle, abbreviazioni di parole lunghe etc.; I giovani introducono inoltre nel proprio linguaggio parole ed espressioni straniere, oppure dialettali, spesso in un contesto di code-switching e code-mixing, o talvolta espressioni maccheroniche ispirate alle lingue classiche. Lezione 11 19/10 Meme: oddio avvocato “Oddio avvocato” nasce dalla citazione del testimone Alberto Biggiogero durante il processo Uva, diventato celebre grazie alla messa in onda nel programma televisivo Un giorno in Pretura, nella puntata “La notte dei lupi, Processo UVA (I)” della stagione 2017 A Quando ha cominciato quel pomeriggio a drogarsi? B Oddio a drogarmi avvocato «Questa citazione è successivamente meme è poi uscita dal mondo dei social network per affermarsi anche nel linguaggio giovanile colloquiale. “Oddio avvocato” o “avvocato” sono diventati parte della quotidianità di una categoria generazionale tra i Millennials e la Gen Z, facenti parte di un gruppo di utenza attiva nei social network intorno al 2018 quando il meme è diventato virale» (Delogu 2022) Esempi: Lessico giovanile I lessemi che caratterizzano il linguaggio giovanile derivano dunque da varietà colloquiali, dialettali, da varietà specialistiche-settoriali, da lingue straniere (forestierismi es. cringiare, followare, whatsappare); c’è infine uno strato lessicale che resiste nel tempo e uno strato effimero che si perde al cambio di generazione (Fiorentino 2018: 109); A cambiare rapidamente, comunque, sono i termini e le locuzioni in uso, mentre i processi linguistici alla base della loro formazione rimangono perlopiù inalterati. Per fare un confronto tra l’italiano giovanile di oggi e quello di un tempo, vediamo un esempio: Esempi da un corpus di lettere Sessanta lettere inviate tra il 1976 e il 1984; 11 scriventi tra i 16 e i 24 anni (età media: 19 anni); Livello di istruzione: uno studente universitario, otto in possesso di diploma superiore (o ancora studenti) e uno con diploma di media inferiore; Provenienza: sei appartengono all’area settentrionale, quattro a quella centrale, uno da quella meridionale. Dialettismi e italiano regionale Erano presenti i dialettismi, spesso accompagnati da traduzione o spiegazione: (1) “Per quanto riguarda la sottoscritta, beh, la cosa è un po’ lunga, te ne parlerò fra un po’ di tempo. Riguarda me e un altro tipo che tu conosci, comunque meglio non parlarne perché se no dovrei scrivere un papiro e rischierei di farti venire il latte ai “ginocchi” (detto toscano).” (2) “A pensare, poi, che l’anno prossimo si sposa anche la mia sorellina !!! (si fa per dire…28 anni) mi vengono “li CALDACINE” che vuol dire un po’ di nervoso misto ad una fastidiosa sensazione di caldo interiore”. In altri casi, il termine, che si dà per scontato essere conosciuto sebbene non di uso comune, viene in qualche modo evidenziato (per esempio attraverso l’uso delle maiuscole): (3)“siccome oggi non ho niente da fare e siccome c’è un BISCHERO che leggerà questa lettera, ecco che scrivo. Il BISCHERO naturalmente sei te.” Creatività e invenzione lessicale: giochi linguistici, aspetto ludico: (4) “Come ti va l’Antonellite sulla centoventisette color azzurrite??” (5) “E tu come te la spassi?” Turpiloquio Nelle lettere del corpus (prodotte tra il 1976 e il 1984),il turpiloquio è presente, ma con una visibile tendenza all’interdizione (si cerca di evitare, o perlomeno non scriverlo esplicitamente): (6) “Naturalmente le ho raccomandato di scriverti cose serie e di non prenderti per…..il….  capito!!” (7) “È molto tempo che non vedo la tua amata (ma tu non xxxxxx CENSURA)” (8) “Passata una crisi…ne può benissimo venire un’altra. E questa volta è veramente un CASINO (pardon:… macello!)” Quando gli scriventi fanno ricorso al turpiloquio, la parola percepita come “brutta” è evidenziata e al tempo stesso isolata tramite a due meccanismi, l’uso delle maiuscole e delle virgolette, quindi proprio segnalate come parole estranee al testo: (9) “A parte lo studio (quello c’è sempre!) questo periodo è stato caratterizzato da questa "MERDA" di elezioni. Dico "MERDA" perché da queste parti, ma penso anche nel resto del paese, la gente è letteralmente "IMPAZZITA"” (10) “Eh sì, fa troppo caldo e questa "DANNATA" estate non vuol andar via.” Sigle e abbreviazioni Sigle e abbreviazioni (tvb, cmq ecc.) sono totalmente assenti in questo corpus; Si segnalano comunque tre casi in cui la sigla è invenzione degli scriventi (che provvedono immediatamente ad esplicitarla): (11) “come vedi anch’io questa volta ti rispondo con un po’ di ritardo, dovuto a cause di F.M. (=forza maggiore per chi “ignora”).” Un’etichetta unica è difficile trovarla, di fatti ne abbiamo trovate molte: “Scrittura liquida” (Fiorentino 2009), “scritture digitali” (Pistolesi 2014), “e-taliano” (Antonelli 2007, 2016), “young people’s netspeak” (Tavosanis 2007), “scrittura giovanile di rete” (Tavosanis 2011), “italiano dei nuovi media ” (Berruto 2012)… Perchè è cosi importnte questa varietà? il web ha contribuito e sta contribuendo alla creazione di varietà di lingua scritte informali, aperte ai cambiamenti (che solitamente passano dal parlato allo scritto, ma nel caso della lingua del web è il contrario) e ai tratti non standard (diamesia + diafasia) Il web in generale si configura come un dominio d’uso (=classi di situazioni comunicative internamente coerente, raggruppate intorno allo stesso campo d’esperienza, che condividono in tutto o in parte un nucleo di necessità e obiettivi), che si contraddistingue per una co-occorrenza non regolare fra marche di registro; Specie in alcuni suoi ambiti (quali chat e instant messaging), diventa problematico stabilire quali varianti di variabili tendano a co-occorrere più stabilmente; ciò che emerge come tendenziale è piuttosto l’alternanza fra tratti tipici di registri differenti (sia formali che informali). Si veda ad esempio il seguente brano, tratto da un corpus di gruppi di discussione telematica (cfr. Berruto/Cerruti 2015): che poi tu apprezzeresti che luca fosse più volonteroso nel non farti aspettare una coincidenza e farti arrivare prima venendoti a prendere, be’ io lo posso anche capire, ma magari lui in quell’istante non è stato cosi reattivo da dire: arriva in ritardo / perdita coincidenza = rottura di palle / quindi io auto alice. (NUNC-Newsgroup UseNet Corpus, www.corpora.unito.it) ? Troviamo la coesistenza di tratti tipici dei registri formali, scritti (ad es. sintassi elaborata con ricorso a subordinazione frasale anche implicita: tu apprezzeresti che luca fosse più volonteroso nel non farti aspettare una coincidenza e farti arrivare prima venendoti a prendere), e tratti tipici di registri informali, del parlato (ad es. segnali discorsivi: be’; frammentazione sintattica e uso di frasi nominali: arriva in ritardo / perdita coincidenza; colloquialismi lessicali: rottura di palle). L’italiano del web non si colloca precisamente nel linguaggio fromale o quello informale e non è una varietà omogenea di lingua; il web è un grande «contenitore», per cui è impensabile trovare omogeneità linguistica o stilistica al suo interno; Tuttavia, si possono riscontrare alcuni tratti persistenti o componenti fondamentali, soprattutto nelle varietà più spontanee, che si sovrappongono a quelle di altre varietà:  italiano del web come registro, composto da (i) stile allegro, (ii) «lingua selvaggia» e (iii) gergo giovanile (Fiorentino 2013) Stile allegro Ipoarticolazione grafica; stile di scrittura che “riproduce la scarsa attenzione per gli aspetti di resa completa dei tratti fonici tipica del parlato non sorvegliato” (Berruto 2005: 149); correlato alla velocità di produzione. Caratteristiche principali (Fiorentino 2013):  no punteggiatura  no divisione in paragrafi (anche se in realtà oggi forse in qualche modo lasciamo una spaziatura o davvero dividiamo in paragrafi)  no revisione (errori di battitura, a meno che non si tratti di errori gravi)  imitazione del flusso del discorso tramite scriptio continua  deviazioni dall’ortografia standard, anche intenzionali (ludico/creative) Il dominio dell’immediatezza La parola scritta è piegata «al dominio dell’immediatezza» (Pistolesi 2004: 34); questo porterebbe a una certa rilassatezza e alla conseguente trascuratezza nello scrivere, legate anche all’informalità dell’approccio: «L’atteggiamento con cui gli scriventi si accostano a molte di queste attività di scrittura di tipo interattivo e con alto contenuto sociale e fàtico, piuttosto che referenziale (…), appare particolarmente rilassato e rivela una quasi totale assenza di revisione e controllo su quanto scritto» (Fiorentino 2011: 102-103) Linguistic whateverism Le estreme conseguenze sarebbero rappresentate dal cosiddetto linguistic whateverism, ossia l’atteggiamento, tipico della generazione più giovane, di chi “genuinely does not care about a whole range of language rules” (Baron 2008: 169); Per l’italiano, Fiorentino (2013) ricorre all’espressione lingua selvaggia: su Internet, questa risulterebbe “from the low-level literacy among laypeople who have recently become regular writers on the web” (Fiorentino 2013: 76) e si esprimerebbe nella deviazione dalle convenzioni standard e dalle norme (specialmente nell’ortografia). “Lingua selvaggia” Lingua che devia dalle norme e dalle convenzioni standard, specialmente nell’ortografia, a causa della scarsa scolarizzazione di chi scrive (la deviazione in questo caso non è ludica o ricercata in modo creativo); Caratteristiche principali:  errata segmentazione delle parole  errato uso dell’apostrofo (c’è, c’era > cè, cera)  errato uso di consonanti doppie  errato uso di punteggiatura e maiuscole  tratti linguistici simili a quelli dell’italiano popolare, ad es. mancato utilizzo di <h> iniziale nelle forme coniugate del verbo avere (o capito), concordanze ad sensum tra soggetto e verbo (la gente sono pazzi), errata selezione degli articoli determinativi (i arazzi)… Gergo giovanile Varietà transitoria dei giovani caratterizzata dalla creazione di neologismi, espressività, ironia, e incorporazione di influenze esterne come musica e fumetti; Caratteristiche ricondotte al gergo giovanile (cfr. Fiorentino 2013: 79):  abbreviazioni (cmq ‘comunque’) e acronimi (tvb ‘ti voglio bene’)  emoticons  sostituzioni di una o più lettere con altre lettere (k per ch, x per per) o con numeri (c6 per ci sei )  uso non standard della punteggiatura per indicare enfasi (ex. punti di sospensione)  calchi e neologismi (lovvare ‘amare’)  allungamento della vocale finale (ciaooooo ‘ciao’) Chiaro che dal 2013 al 2022 sono passati diversi anni, quindi ci si può soffermare a pensare quali tra questi sono ancora tratti effettivamente presenti e quali no, esempio “tvb” non è più utilizzato se non in modo scherzoso, forse sono ancora utilizzati LOL e lmao, ma più raramente. Anche il ruolo delle emoji è cambiato (viene utilizzato il teschio, il cuore, le altre più raramente, questo almeno nelle generazioni ancora più giovani). Lezione 12 24/10 E-italiani (i) fa riferimento allo stile allegro. (ii) fa riferimento alla lingua selvaggia. (iii) non più solo gergo giovanile Faremo due approfondimenti in particolare: 1. caratteristiche dell’italiano sui social network 2. la percezione dell’errore linguistico in rete (così come viene trattato dagli utenti e anche come viene trattato a fini ludici La lingua dei social network  Imitazione: l’errore (o meglio la deviazione dalla norma standard) è riconosciuto e sfruttato in maniera consapevole, con fini ludici o satirici, e diventa in un certo senso a sua volta «norma». Esempi presi da gruppi facebook: Ma ti è morta la maestra? (www.facebook.com/MaTiEMortaLaMaestra?): nata il 7 febbraio 2013, circa 38.000 iscritti. Scartare corteggiatori e potenziali amanti per gli errori grammaticali (www.facebook.com/pages/Scartare-corteggiatori-e-potenziali-amanti-per-gli-errori-grammaticali/ 135132623185417): nata il 13 luglio 2010, circa 108.200 iscritti.  Lo scopo principale di entrambe pagine è presentare esempi di “cattivo” uso dell’italiano in rete, invitando i propri iscritti a commentarli;  ‘Resistenza’ agli usi substandard della lingua (Gheno 2010), che denota «un certo disagio nei confronti di un lassismo ortografico sempre più diffuso». Nonostante l’ovvio approccio normativo, l’intento di queste pagine è puramente ironico, come si evince dalla presentazione originaria della pagina Ma ti è morta la maestra?: (1) Non sfottiamo l'itaGliano altrui perché siam cattive, semplicemente perché certe cose non si possono affrontare! Più si è, più ci si diverte :) Se non avete senso dell'umorismo, per favore evitate di venire qui a criticare. Andate a lavorare in qualche ministero. [10.03.13] Quello che si nota in queste pagine è che essenzialmente gli errori sono sanzionati più tramite l’imitazione che tramite la critica esplicita; Inoltre è possibile notare che bengono considerati errori sia i tratti tipici di varietà sub-standard, sia (in maniera meno “aggressiva”) i tratti tipici delle varietà del web. Lol speak: un tipo di inglese che fa dell’errore una nuova norma, abbiamo visto un esempio: Comunità online Una comunità online si definisce come un “network of interconnected individuals who engage in regular communication in a virtual space”, i cui membri condividono un interesse o uno scopo comune, sviluppano relazioni sociali e un set di norme interazionali e linguistiche comuni (Androutsopoulos 2007: 283; v. nozione di community of practice); Gli utenti che prendono parte alla comunità online tenderanno a modellare la loro lingua su quella dei gruppi con cui desiderano essere identificati (tendono a parlare come parlano le persone del gruppo del quale vogliono fare parte) (Sebba 2007: 365), partecipando e cooperando in tal senso alla costruzione del significato, e allo stesso tempo mettendo in mostra la loro “communicative virtuosity” in funzione di un pubblico (cioè si parl in quel modo proprio per farsi notare e mettersi in mostra per come si parla) (Androutsopoulos 2007: 285). Imitazione dell’errore Gli utenti selezionano tratti tipici di varietà di lingua:  regolarizzazione dell’errore  creazione di una identità di gruppo • SILV (Special Internet Language Varieties): “A highly playful, nonstandard variant of a standard language which has arisen in a sub-cultural online context that involves frequent in-group interaction, and which is characterized by a desire on the part of the participants to make their writing humorous, decorative, and/or obscure” [Herring 2012] • Inglese: Leet, Chanspeak, Lolspeak (varietà di una lingua già esistente, in questo caso l’inglese, che si sviluppano online e hanno scopi ludici e a volte anche criptici, cioò non farsi capire) (1) 1 k4n 7¥p3 £337 ‘I can type Leet.’ “LOLcats are image macros consisting of humorous photos of cats with superimposed text written in a form of broken English known as lolspeak.” [knowyourmeme.com/memes/lolcats]. Il lolspeak è una varietà di inglese attestata sul web a partire dal 2006; rientra nelle Special Internet Language Varieties (Herring 2012), e si è sviluppata principalmente sul sito icanhascheezburger.com (poi cheezland.org); In generale, le sue caratteristiche consistono in: ortografia, morfologia e sintassi non standard; mancata inversione soggetto-verbo nelle domande; mancato accordo tra soggetto e verbo; Quando si vede per la prima volta questo tipo di varietà, viene da pensare che siano scritte da persone che non conoscono l’inglese, invece è chiaro che non è così. Infatti la maggior parte degli scriventi sono donne, parlanti native di inglese dai quarant’anni in su (cfr. Fiorentini 2013). Mancato accordo tra soggetto e verbo, anche caratteristiche specifiche a livello ortografico, ma tutto parte da questa foto del gatto. Alla base di tutto ciò che la consapevolezza di aver creato una nuova varietà. Lezione 13 07/11 Esempi italiani di SILV Un fenomeno simile al lolspeak ma in realtà con differenze importanti. Studi sull’esistenza di SILV italiane (Fiorentini 2015) si sono concentrate sulla pagina Facebook “Siamo la gente, il potere ci temono” (non più esistente); In questo caso, gli utenti identificano alcuni tratti specifici di una varietà, e li combinano in modo da creare “a more complex meaningful entity” (Eckert 2008: 456-457): (40) LA GENTE HA VOLTE RIMANE SENZA PAROLE. PER CUESTO CELE INVENTIAMO. NON SIAMO IGNIORANTI,SIAMO IGNIORATI! (La gente a volte rimane senza parole. Per questo ce le inventiamo. Non siamo ignoranti, siamo ignorati!) Al contrario del Lolspeak, si tratta di una «ri-creazione» di una varietà esistente. Questo veniva usato per prendere in giro i seguaci di un determinato movimento politico, utilizzando una lingua volutamente deviante dalla norma, non involontari. Non è una nuova varietà di italiano, non è una varietà a sé, non si tratta di una comunità come il lolspeak, in questo caso solo il gestore della pagina parla in questo modo. Quindi queste sono le differenze, però questi fenomeni di giochi linguistici si sono sviluppati. Un Lolspeak italiano? Una varietà più simile al lolspeakù: canini& gattini - gruppo pubblico di Facebook nato nel 2012, ca. 83.000 membri; Nome ironico (canini vs. standard cagnolini); Immagini divertenti/ironiche di animali, soprattutto cani e gatti; Gli utenti applicano sistematicamente il suffisso –ini a ogni parola (o quasi), non c’è una regola per inserire il suffisso, alcuni verbi sono suffissati ed altri no, stessa cosa per gli aggettivi. Consapevolezza metalinguistica La somiglianza col lolspeak è che gli utenti riconoscono che stanno parlando una nuova “varietà” di lingua, questa varietà viene chiamata dagli utenti italianini, e viene difesa dagli utenti stessi. Gli utenti mostrano di essere consapevoli di aver «creato» una nuova varietà di italiano, che hanno denominato «Italianini»: Ci sono regole grammaticali? In quali parti del discorso si applica principalmente il suffisso? Ai sostantivi, seguiti dagli aggettivi, poi gli avverbi e in Italia «la prima fonte di diversificazione degli usi linguistici è quella legata alla distribuzione geografica, lungo l’asse diatopico» (Berruto 2012: 17) . La nozione di italiano regionale raggruppa le diverse varietà diatopiche di italiano; L’italiano regionale nasce dal contatto tra lingua nazionale e dialetti, e dalle conseguenti influenze tra i due sistemi; In questo senso, è necessario distinguere tra due possibili interpretazioni dell’italiano regionale: • italiano regionale dei parlanti dialettofoni (e trasferisce quindi tratti dialettali nel proprio italiano, usato solo in determinate situazioni comunicative); • italiano regionale dei parlanti italofoni (i cui tratti locali sono dovuti a un’influenza non diretta ma pregressa) (D’Achille 2003: 177). Ciò però non significa che tutti i tratti che caratterizzano l’italiano regionale siano frutto di interferenza con il dialetto: una parte di elementi regionali sono dovuti a tendenze strutturali interne autonome rispetto all’influsso dialettale (Berruto 2012: 58); Inoltre, va chiarito che con l’aggettivo regionale non ci si riferiamo propriamente alle regioni amministrative, ma a regioni linguistiche (di estensione diversa); con regionale si intende «di una certa zona», locale. «Ogni italiano è capace di riconoscere se il proprio interlocutore è settentrionale, dell’Italia centrale, meridionale, siciliano o sardo. Bastano spesso poche parole per coglierne le caratteristiche linguistiche. Talvolta è la scelta delle parole a svelare la provenienza della persona con cui si sta parlando, talvolta è la sintassi; ma il più delle volte è l’uso di certe caratteristiche fonetiche o, ancora più spesso, è l’intonazione (quello che siamo abituati a chiamare accento)» (Grassi, Sobrero e Telmon 2003: 49). I livelli di analisi su cui si è concentrata di più l’attenzione negli studio sull’italiano regionale la fonetica/fonologia e il lessico (quelli più immediatamente visibili all’osservazione anche dei non linguisti); A livello impressionistico, un primo elemento di differenziazione regionale molto marcato è l’intonazione, cioè l’insieme dei tratti soprasegmentali dell’enunciato (quello che solitamente si definisce «accento»); Molto nette, e più facilmente descrivibili, sono le caratteristiche legate al piano fonetico; sono particolarmente soggetti a variazione i foni che hanno la stessa resa sul piano grafico (distinzione nel grado di apertura/chiusura di vocali medie toniche – e/o –, (la s, dire casa[z] o casa) sonorità/sordità di affricate e fricative alveolari; D’Achille 2003: 180) Livello morfologico: Sul piano della morfologia e della sintassi, le differenziazioni sono meno percepibili; Un tratto che si può riscontrare nelle varietà centro-meridionali è l’accusativo preposizionale (=inserimento della preposizione a davanti a un complemento oggetto di persona: saluta a tuo padre). Livello lessicale: Il lessico costituisce invece un altro settore di forte differenziazione regionale; Le parole riferite agli stessi concetti che variano da zona a zona sono definite geosinonimi (Es. i diversi modi per dire cicca/cicless/cingomma ecc); Cfr. progetto ALIQUOT, L'Atlante della Lingua Italiana QUOTidiana: https://www.atlante-aliquot.de/ Rapporti tra diatopia, diastratia e diafasia Berruto (2012) sottolinea come il rapporto tra fatti diatopicamente marcati e dimensioni diastratica e diafasica sia molto significativo nel mostrare le tendenze in atto nell’italiano contemporaneo; si nota che col passare del tempo si sta perdendo la differenza diatopica. Due dinamiche evidenti negli ultimi 20-30 anni, come effetto combinato di vari fattori, sono «la fusione, presso le nuove generazioni di parlanti che hanno l’italiano, e non più il dialetto, come unica lingua di socializzazione primaria (…), di tratti regionali diversi, e la progressiva perdita di marcatezza diatopica di molto italiano parlato» (Berruto 2012: 59, grassetto nostro). Un italiano «composito» Presso le nuove generazioni di parlanti sarebbe dunque andata scemando la marcatezza regionale, a tutti i livelli; secondo Cortelazzo (2001: 422), «nelle giovani generazioni, particolarmente urbane, italofone fin dalla nascita, i tratti locali risultano sempre più attenuati» (perché? Perché sono italofoni fin dalla nascita. Perdita del dialetto). Adolescenti e giovani adulti hanno spesso un italiano che si presenta come una somma di tratti regionali di diversa provenienza, con modesta presenza di tratti regionalmente marcati; Di conseguenza, si starebbe configurando un italiano composito, molto poco marcato diatopicamente e/o con tratti di varia provenienza regionale. [Approfondimento su varietà di italiano: Cerruti, M. (2013). Varietà dell’italiano , in G. Iannàccaro (a cura di), La linguistica italiana all’alba del terzo millennio (1997-2010) . Bulzoni, Roma, 91-127 ] Dove ci troviamo (secondo macro-tema del corso): Plurilinguismo e tipi di repertori linguistici Lingue di minoranza e dialetti La situazione linguistica italiana: lingua cum dialectis «Nella situazione di lingua cum dialectis italiana, dialetto e lingua nazionale vanno (…) considerati sistemi separati per ragioni sia di autonomia storica, benché alle stesse circostanze storiche siano legati il formarsi di un continuum di sottovarietà dovuto al prolungato contatto e l’esistenza di numerosi elementi omofoni in italiano e in dialetto, che di differenza strutturale, per cui tra la lingua nazionale e alcuni dialetti vige una distanza non inferiore dal punto di vista lessicale, fonetico e morfologico a quella esistente tra l’italiano e altre lingue neolatine» (Cerruti & Regis 2005: 180). La situazione linguistica italiana Il panorama sociolinguistico italiano vede la compresenza della lingua standard nazionale (italiano) con numerose altre lingue dotate di una tradizione autonoma; Nelle regioni italiane coesistono nell’uso dei parlanti (oltre all’italiano): (i) varietà strettamente imparentate con la lingua standard: gli attuali dialetti italo-romanzi; (ii) varietà non necessariamente imparentate con l’italiano e portatrici di eredità culturali diverse: le lingue minoritarie. I dialetti italo-romanzi Ogni dialetto ha una propria storia e una propria struttura, diverse da quelle della lingua standard; Ad es. i dialetti italiani, o meglio italo-romanzi, appartengono al ramo delle lingue romanze, come l’italiano, ma sono sistemi linguistici separati e indipendenti da questo, e non sono dialetti/varietà dell’italiano; Si tratta di dialetti primari, varietà sorelle (con una comune origine [rispetto alla lingua standard] a partire dalla quale si sono parallelamente differenziate) di quella che è poi diventata la lingua standard. I dialetti in italia Notiamo che il confine linguistico non corrisponde al confine vero e proprio tra le regioni. Questa cartina da una visione un po’ generale della situazione: I dialetti italo-romanzi hanno una propria storia autonoma, parallela a quella del ‘dialetto’ che poi è stato promosso a standard, ovvero il fiorentino, uno dei volgari romanzi parlati in Italia sin dal Medioevo; Il fiorentino venne progressivamente ad acquisire prestigio fino a ad essere codificato come italiano standard nel Cinquecento; la promozione a lingua standard «relegò» gli altri volgari a ‘dialetti’; I dialetti parlati oggi rappresentano quindi ciascuno la prosecuzione di un volgare romanzo coevo del fiorentino, che è il volgare alla base dell’italiano standard (cfr. Berruto/Cerruti 2015, cap. 3). Le differenze tra dialetto e lingua sono, come abbiamo detto, di natura eminentemente sociale, o sociolinguistica, e non linguistica; riguardano la posizione sociale che un sistema linguistico occupa in una data comunità, e non la struttura di quel sistema linguistico. Il caso che abbiamo menzionato della codificazione a italiano standard del fiorentino non è eccezionale; nella storia di più lingue, è proprio uno dei dialetti parlati in un certo territorio a diventare lingua standard (v. ad es. cinese standard, o pǔtōnghuà – letteralmente “lingua comune” – lingua ufficiale in Cina, Taiwan e Singapore). I dialetti in italia In maniera generale e macro, i dialetti parlati in Italia si suddividono come segue (cfr. Avolio 2010): 1. dialetti settentrionali o alto-italiani; 2. dialetti toscani; 3. dialetti dell'area mediana; 4. dialetti dell'area meridionale; 5. dialetti dell'area meridionale estrema. Dialetti settentrionali o alto-italiani Delimitati a sud dalla linea La Spezia-Rimini, sono accomunati dal fatto di staccarsi nettamente dall'italiano di tipo toscano; Sono suddivisibili in due sottogruppi: 1. Galloitalici: Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna (con l'appendice del Pesarese, nelle Marche settentrionali); 2. Veneti: si estendono tra il lago di Garda e l'Adige a ovest e i fiumi Piave e Livenza a est, con propaggini costituite nel Friuli Venezia Giulia e, fuori dai confini italiani, nell’istroveneto (il veneto dell'Istria). Dialetti toscani e dell’area mediana Il tipo toscano è quello che è diventato lingua standard; perciò la vicinanza strutturale con la lingua italiana è molto forte: molti tratti tipici toscani sono passati all’italiano; I dialetti dell'area ‘mediana’ (l’etichetta si deve a Bruno Migliorini) sono parlati in una zona che comprende Marche, Umbria e Lazio; si articolano in quattro sottotipi: 1. marchigiano centrale; 2. umbro sud-orientale; 3. laziale centro-settentrionale (compreso il romanesco); 4. aquilano Dialetti dell’area meridionale e meridionale estrema Area meridionale: dialetti marchigiani della parte meridionale della provincia di Ascoli, varietà abruzzesi diverse dal tipo aquilano, varietà molisane, dialetti pugliesi centro-settentrionali; sul versante tirrenico, dialetti del Lazio meridionali e della Campania, dialetti lucani e calabresi settentrionali; Area meridionale estrema: parlate della Puglia meridionale e del Salento (provincia di Lecce), Calabria centro-meridionale e Sicilia. Poi in sardegna si parla il sardo, lingua a sé (ha detto così la prof). [Per approfondire le caratteristiche cfr. Avolio 2010: http://www.treccani.it/enciclopedia/dialetti_(Enciclopedia-dell%27Italiano)/] Dialetti e italiano In generale, le dinamiche della seconda metà del XX secolo hanno contribuito a rinforzare una tendenza già presente nel panorama sociolinguistico italiano, ovvero la regressione dei dialetti (a favore della lingua nazionale); Il rapporto negli usi fra italiano e dialetto varia molto da regione a regione; il dialetto sembra essere sensibilmente meno usato nelle regioni del Nord-Ovest, mentre le regioni meridionali sarebbero più dialettofone di quelle settentrionali (con l’eccezione del Veneto); L’uso di italiano e dialetto entra in correlazione anche con fattori sociali; le fasce d’età giovani sono più propense all’uso dell’italiano rispetto agli anziani. Questo è un discorso sempre generale, ovviamente dipende, sappiamo che in passato per esempio il dialetto era utilizzato dalla Lega, e quindi veniva evitato da chi non aveva la stassa ideologia politica, ma insomma questo solo per dire che dipende, in ogni caso oggi è utilizzato maggioritariamente l’italiano standard. (ISTAT 2006: 58,4% della classe d’età 6-24 anni dichiara, a livello nazionale, di parlare solo o prevalentemente italiano in famiglia, contro il 30,3% dei >65). Dialetti e atteggiamenti La collocazione del dialetto negli atteggiamenti e nelle valutazioni della comunità parlante è cambiata nel corso degli ultimi 20-30 anni (atteggiamenti= come ci “comportiamo” nei confronti delle lingue, es se passiamo il dialetto ai nostri figli e alle nuove generazioni); un sintomo di questa rinnovata percezione del dialetto sta anche nel suo impiego nella pubblicità (o anche manifesti), che è sempre più presente, soprattutto quando trasmette dei valori positivi, come l’autenticità e la genuinità (infatti generalmente si tratta di cibo). Abbiamo nominato per esempio la birra messina. (Berruto 2004: 18); Un’indagine di Bodini (2000) sulla pubblicità parlata e scritta in Italia ha rilevato un aumento molto significativo di messaggi pubblicitari totalmente o parzialmente in dialetto, un italiano regionale marcato, nel decennio 1990-1999 rispetto ai decenni precedenti, quindi evidentemente un fenomeno già partito negli anni 90 e che oggi si vede molto di più. Fino agli anni 90 tutto ciò era molto limitato. Dialetti e pubblicità Nei decenni dall’avvento della televisione si sono infatti potuti censire testi pubblicitari totalmente o parzialmente in dialetto in numero molto limitato; Negli anni ‘90 si verifica una esplosione quantitativa della presenza del dialetto nella pubblicità, coincidente con una presenza anche qualitativamente più marcata del dialetto (con interi testi, anche di una certa consistenza, in dialetto); In questo contesto, il dialetto può avere la funzione di sottolineare la genuinità locale del prodotto (con una marcata accentuazione dell’identificazione idioma/prodotto/territorio) e di creare una specie di complicità tra il produttore e gli acquirenti; si fa dunque leva sul significato sociale in senso più ampio associato al dialetto come garante di identità e coesione socioculturale (Berruto 2004: 19). (Ri)parlare dialetto All’inizio del nuovo millennio, con la lingua nazionale ormai patrimonio di tutti gli italiani e il dialetto che andava via via scomparendo, il quadro sociolinguistico ha subito un ulteriore lieve cambiamento: secondo l’icastico motto coniato da Berruto (2002: 48), «ora che [si sa] parlare italiano, [si può] anche (ri)parlare dialetto»: «Le varietà dialettali, patrimonio ancora di circa la metà dei parlanti, sono riaffiorate nel panorama linguistico del Belpaese – pur se sempre frammiste con l’italiano – tanto che a livello accademico si è discusso di vere e proprie ‘risorgenze dialettali’ (Berruto 2006): occorrenze, cioè, del dialetto anche in domini d’uso insospettati, come la musica pop diretta al pubblico più giovane (…), i fumetti (…) o i cosiddetti nuovi media». (Miola 2016: 232; sui dialetti in rete, cfr. Fiorentino 2006). Le lingue di minoranza in Italia Definizione: Con lingua di minoranza (o lingua minoritaria) si intende una lingua usata da una comunità di parlanti che si trovi in situazione di minoranza demografica all’interno di uno Stato (un gruppo ridotto di parlanti rispetto alla totalità della popolazione) (o, più genericamente, di una qualche entità politico- amministrativa), generalmente diversa dalla lingua ufficiale e/o comune di quello Stato; In Europa, secondo la «Carta europea per le lingue regionali o minoritarie» (European Charter for Regional or Minority Languages, Consiglio d’Europa, 1999), si possono riconoscere generalmente 84 lingue minoritarie (tra cui ad es. l’arabo in Spagna; il frisone settentrionale in Germania; l’italiano in Croazia, Slovenia e Svizzera, dove tuttavia è sia lingua nazionale sia lingua ufficiale; il russo in Finlandia, Polonia, Romania, Ucraina, Armenia; la romaní (la lingua dei rom) in più di quindici paesi diversi; ecc.). A queste varietà viene generalmente attribuita l’etichetta di lingue minoritarie o lingue di minoranza (anche se non tutti gli studiosi sono d’accordo con questa etichetta). Sono entrati in uso anche termini come lingua regionale (che viene dal francese e viene quindi utilizzata maggiormente in contesto francese) e lingua meno diffusa (lesser used language); quest’ultimo termine è stato promosso dall’Unione Europea, nella quale le questioni legate a plurilinguismo e minoranze sono diventati sempre più centrali (Berruto 2004: 154); In contesto italiano un altro termine per indicare queste varietà è alloglossia (o eteroglossia), che però non rappresenta un sinonimo e pone l’accento sulla differente appartenenza genetica degli idiomi in questione (cfr. Toso 2019: 402). Quindi in italia abbiamo alloglossie ma non tutte le lingue di minoranza sono tali, quindi noi utilizzeremo la prima etichetta. Lingue di minoranza e minoranze linguistiche Una lingua minoritaria è definita sostanzialmente da tre requisiti, criteri: (Berruto 2009: 335): (i) deve essere utilizzata in qualche misura e almeno in qualche classe di situazioni e con alcune funzioni presso una o più comunità o gruppi parlanti all’interno di una determinata entità politico- amministrativa (stato/nazione ecc luogo); (quindi non per forza in tutti i contesti ma almeno ogni tanto) (ii) deve essere diversa dalla lingua ufficiale e nazionale comune dell’entità politico-amministrativa di cui l’area in questione fa parte; (iii) deve essere parlata da una minoranza della popolazione di questa entità politico-amministrativa. A questi si aggiunge un fattore più soggettivo; generalmente, una lingua minoritaria ha anche valore simbolico di identità etnica o culturale per la comunità che la usa. Alla comunità che parla una lingua minoritaria ci si riferisce col termine minoranza linguistica (o comunità alloglotta); la nozione di lingua minoritaria ha dunque come controparte sul versante sociale la nozione di minoranza linguistica; la minoranza linguistica è la comunità di parlanti che parla la lingua di minoranza (non confondere). Si distingue inoltre tra lingue minoritarie e lingue di immigrazione, intendendo con le prime quelle lingue la cui presenza in un certo territorio è radicata storicamente e con le seconde quelle la cui presenza è dovuta a un apporto recente (quindi storicamente presenti). Le lingue di immigrazione invece sono più recenti. Spesso, la presenza di lingue minoritarie è legata a fatti storici, come insediamenti riconducibili a eventi precisi; • Ad es., la presenza dell’arbëreshë in Calabria e in Sicilia si fa risalire al XV secolo, quando, dopo la morte dell’eroe nazionale albanese Giorgio Kastrioti Skanderbeg e la conquista progressiva dell'Albania e dell’Impero Bizantino da parte dei turchi ottomani, popolazioni provenienti dall’Albania e da comunità albanofone della Grecia si stanziarono in queste zone. Per considerare una lingua come lingua minoritaria bisogna tenere conto non solo di criteri di parentela e di distanza linguistica, ma anche, e in certi casi soprattutto, di sentimenti di identità culturale (per questo motivo sardo e friulano sono considerati a parte, c’è sentimento identitario, che ha portato ad una serie di iniziative, motivo per il quale nonostante probabilmente per esempio anche il siciliano abbia senso di identità non è considerato come lingua a sè); • Ad esempio, il sardo e il friulano potrebbero motivatamente ritenersi varietà dialettali del ramo italo-romanzo, ma sono considerate dal punto di vista legislativo lingue minoritarie sia per ragioni Classificazione delle lingue di minoranza in Italia Toso (2008) suddivide le lingue minoritarie parlate in Italia (tutelate dalla legge 482/99) in: • Lingue delle minoranze nazionali (francese, tedesco e sloveno); • Lingue regionali (friulano sardo e ladino); • Penisole linguistiche (occitano e franco-occidentale); • Colonie linguistiche (tutte le altre). Dove ci troviamo: Il plurilinguismo Le comunità linguistiche reali sono tutt’altro che compatte, essendo caratterizzate da forte plurilinguismo interno (anche detto bilinguismo o multilinguismo, anche se anche in questo caso non tutti sono d’accordo); è raro trovare comunità monolingue, le comunità linguistiche sono rappresentate da plurilinguismo. Plurilinguismo: termine utilizzato per indicare sia le situazioni bilingui (2 lingue) sia quelle multilingui (più di due lingue; cfr. Berruto/Cerruti 2015). Altri intendono multilinguismo come la presenza, in una data area geografica, di più lingue, laddove plurilinguismo si riferirebbe più propriamente alla capacità degli abitanti di tale area geografica di esprimersi nelle diverse lingue. Dal punto di vista dei problemi linguistici (anche a livello individuale), la presenza di due o più lingue non presenta aspetti sostanzialmente diversi, solo maggiore complessità; Situazione molto diffusa al mondo; le situazioni bi- e plurilingui sono più normali rispetto al monolinguismo; Una qualche esperienza di plurilinguismo fa parte dell’esperienza quotidiana di ciascuno di noi, anche di chi è monolingue. Basta pensare anche all’utilizzo dei social, quasi tutti al giorno d’oggi conoscono almeno l’inglese o comunque ne sono venuti a contatto a scuola ecc. Siccome i dialetti italo-romanzi sono sistemi linguistici diversi dalla lingua standard, anche nel nostro paese il plurilinguismo è diffuso; Nelle comunità urbane inoltre sono sempre più frequenti le lingue di nuova immigrazione; La comunicazione mediata dalle tecnologie digitali porta fette sempre più ampie della popolazione al contatto con l’inglese; Il plurilinguismo rappresenta un’esperienza comune anche in Italia, tradizionalmente considerato monolingue. Numerosi aspetti di rilevanza che il plurilinguismo ha per la sociolinguistica, in particolare per due ambiti:  Correlazione con fattori sociali (diversi parlanti, diversi domini): i repertori linguistici;  Influenze reciproche tra le lingue (mescolanza, mistilinguismo): i fenomeni relativi al contatto linguistico (quelli di mescolanza tra lingue) Repertorio linguistico Il repertorio linguistico è l’insieme delle risorse linguistiche possedute dai membri di una comunità linguistica; Nel repertorio linguistico sono presenti tutte le varietà abitualmente usate per interagire all’interno della comunità linguistica (che è definita proprio in virtù della condivisione di varietà di lingua usate per interagire). Questo non vuol dire che tutti I parlanti saranno in grado di utilizzare e parlare tutte le lingue presenti nel loro repertorio, ma che sanno della loro presenza e delle norme che le caratterizzano(?); La circolarità delle due definizioni mostra chiaramente come i concetti di comunità linguistica e repertorio linguistico si definiscano a vicenda. Distribuzione delle lingue nel repertorio Fra le lingue compresenti in un repertorio plurilingue esiste solitamente una distribuzione funzionalmente diversa; una o più lingue del repertorio sono destinate agli usi ‘alti’ e/o a domini specifici (formali e parlati), e una o più altre lingue sono destinate agli usi ‘bassi’ e/o ad altri domini (informali e scritti mi sembra); La semplice somma delle lingue, e relative varietà, usate da una comunità non è sufficiente a definire un repertorio linguistico: la caratterizzazione del repertorio dipende dalla distribuzione delle lingue nei diversi domini e dai rapporti gerarchici che si instaurano tra le varie lingue compresenti presso una comunità. Configurazione delle lingue nel repertorio Solitamente, i repertori plurilingui presentano una certa configurazione di dominanza (Weinreich 1953), ovvero una situazione che vede una lingua ‘dominare’ ( è utilizzata con più frequenza, è più utile) sull’altra (o sulle altre), in base a criteri come la frequenza d’uso, le funzioni a cui è adibita, l’utilità nella comunicazione, le preferenze e le rappresentazioni dei parlanti, ecc.; Nel repertorio linguistico italiano, c’è una configurazione di dominanza abbastanza netta: la lingua dominante per molti degli aspetti citati, se non tutti, è quasi sempre l’italiano. Stratificazione delle lingue nei repertori Inoltre, molti repertori presentano una stratificazione delle lingue per diversi livelli sociali, determinati dal prestigio di cui la lingua gode, che la fa utilizzare in settori d’impiego alti o bassi; Per dare conto della diversa posizione sociale occupata dalle lingue in un repertorio si ricorre spesso a una schematizzazione ‘a gradini’, adottando un modello che prevede due gradini gerarchici fondamentali, A ‘alto’ (H ‘high’) e B ‘basso’ (L ‘low’); il gradino A è riservato alla/e lingua/e degli usi alti, il gradino B alla/e lingua/e degli usi bassi. Repertorio linguistico I gradini ‘alti’ e ‘bassi’ corrispondono agli ambiti funzionali, ovvero i domini d’uso dei codici: • A: scritto e ai contesti formali (scuola e università, amministrazione, giustizia, liturgia, molti mezzi di comunicazione); • B: conversazione familiare e ordinaria, quotidiana (varietà spesso apprese dai come lingue di socializzazione primaria). La complessità del repertorio rende a volte necessaria l’introduzione di uno o più gradini intermedi fra A e B; abbastanza frequente è il caso di un repertorio a tre gradini, con una o più lingue che si collocano su un gradino M (‘medio’), ad esempio il linguaggio utilizzato tra studenti in università, che sarà leggermente più formale del normale ma comunque con un livello di informalità, per questo si colloca in posizione intermedia. A e B sono «caselle» che possono essere occupate anche da più lingue (non solo una in a e una in b); i codici presenti in ciascuno dei livelli possono essere gerarchicamente ordinati per esprimere situazioni complesse (con livelli intermedi);A seconda delle situazioni, come vedremo, lo stesso codice può comparire nel gradino A e in quello B. (es italiano e ladino sono utilizzati sia in contesti formali che informali e si possono collocare in entrambi i gradini). Repertori comunitari vs individuali Il repertorio comunitario va distinto da quello individuale; chiaramente separati, all’attuale situazione di dilalia, in cui varietà colloquiali di italiano vengono usate nei domini bassi, riducendo lo spazio d’azione dei dialetti. Bidialettismo Si ha invece bidialettismo quando nel repertorio coesistono non due lingue strutturalmente diverse ma due varietà di una stessa lingua: una varietà standard, A, (che sarà usata negli usi alti)e una o più varietà geografiche e sociali, B (varietà della lingua standard così com’è parlata in aree geografiche differenti e presso diverse fasce sociali); Esistono domini in cui sono usate sia A sia B (ma non si può parlare di discorso bilingue, non trattandosi di due lingue diverse), anche se di norma soltanto B è impiegata nella conversazione ordinaria; In questo caso, B non è standardizzata, non ha una tradizione di impiego letterario, non è soggetta a tentativi di promozione come varietà A alternativa ed è socialmente marcata; si dà inoltre un continuum di varietà intermedie tra A e B. Questo tipo di repertorio in realtà si può trovare in diverse situazioni sociolinguistiche europee (v. concetto di ‘diaglossia’); Ad esempio, si ha bidialettismo in Inghilterra; nei centri urbani della Francia (in particolare nell’Île-de-France); in Grecia; presso le comunità di lingua slovena, serba, croata e macedone nei territori dell’ex-Iugoslavia; e, per quanto riguarda l’Italia, in Toscana, a Roma e in ambienti urbani dell’Italia centrale. Quindi questi sono i tipi principali di repertori individuati in europa, ce ne sono altri, altre etichette, delle sottocategorie: Diacrolettìa All’interno di questo quadro è possibile riconoscere ulteriori specificazioni e sottocasi; Ad es., Dell’Aquila/ Iannàccaro (2004) etichettano come diacrolettìa una situazione simile alla dilalia, nella quale però ci sia compresenza di A e B non nella conversazione ordinaria e negli usi bassi in genere, bensì nello scritto e negli usi alti (rimanendo B la lingua appropriata per gli usi bassi); Si avrebbe un tipo di repertorio di questo genere, per es., in Galizia (spagnolo A, galiziano B); nelle aree romance dei Grigioni a maggioranza romancia (tedesco A, romancio B, con Schwyzertütsch M); nelle aree urbane in Estonia, con estone (B)/russo (A). Diaglossia (Auer 2005) Ha ipotizzato un repertorio di diaglossia. La configurazione che può ritenersi propria della maggior parte delle situazioni sociolinguistiche europee contemporanee è designata da Auer (2005) col termine diaglossia (che riprende diglossia, ma con l’utilizzazione del prefisso dia-, come in dialect), rappresentata nella figura: le diverse freccie stanno ad indicare che la punta e la base del cono tendono a convergere, ad avvicinarsi. Al vertice del cono si trova lo standard, unitario e destinato agli usi ‘alti’; alla base ci sono i dialetti più arcaici, rurali, conservativi (denominati base dialects), propri degli usi ‘bassi’, ciascuno dei quali identificabile con un punto dell’area della base (la quale rappresenta simbolicamente uno spazio geografico); La freccia alla base del cono, rivolta verso l’alto, illustra come i dialetti tendano a svilupparsi linguisticamente in direzione della lingua standard dalla quale sono ‘coperti’: un processo di convergenza ‘verticale’, ossia tra una lingua sovraordinata e una lingua subordinata. Convergenza e advergenza (l’ha fatto velocemente) Tali varietà intermedie rappresentano varietà socio-geografiche della lingua standard e si contraddistinguono essenzialmente per la presenza di tratti linguistici derivati dai dialetti; ciò nondimeno, possono poi sviluppare tratti innovativi; Per convergenza si intende qui la riduzione delle differenze strutturali tra due sistemi linguistici, o tra le grammatiche di due varietà di lingua; prototipicamente, nella convergenza l’avvicinamento strutturale è reciproco, mentre nel modello di Auer l’avvicinamento strutturale non è bilaterale, bensì unilaterale, dai dialetti verso la lingua standard; in casi come questo, in cui uno dei due sistemi linguistici rappresenta il modello verso il quale l’altro sistema si orienta, si parla più propriamente di advergenza (è il caso della dinamica dei dialetti a contatto con l’italiano). Lo standard tende progressivamente a guardare verso il ‘basso’, accogliendo tratti linguistici presenti nel parlato informale e/o delle diverse varietà regionali e assumendo progressivamente alcuni caratteri strutturali tipici del parlato e di registri informali, caratterizzandosi per un certo ammontare di variazione, in particolar modo geografica; Si assiste allo sviluppo di varietà standard regionali (regional standards), ciascuna valida in un’area geografica specifica e risultante dalla diffusione di tratti regionali anche negli usi ‘alti’ di parlanti colti; non necessariamente i tratti linguistici ‘promossi’ a standard saranno esplicitamente codificati in grammatiche e dizionari; Dinamiche di questo tipo si ritrovano in varie realtà europee (cfr. Kristiansen/Coupland 2011; sulla situazione italiana, Cerruti/Regis 2014). Evoluzione diacronica dei repertori Infine, può facilmente accadere che un tipo di repertorio evolva in diacronia in un tipo diverso; Per quanto riguarda la situazione italiana, si è passati nell’Alto Medioevo da un bidialettismo latino tardo/latino volgare a una diglossia latino/volgari romanzi, divenuta diglossia italiano/dialetti nel Cinquecento; nel corso del Novecento, da una situazione di diglossia a una di dilalia tra italiano e dialetti; Altre evoluzioni possibili sono da diglossia a bidialettismo, come è accaduto in Grecia con il passaggio dalla compresenza di katharèvousa e dhimotikì alla diffusione capillare della dhimotikì; e, appunto, da diglossia o dilalia a diacrolettia: un mutamento in questa direzione è in atto ad esempio in Ucraina, con russo A e ucraino B (cfr. Auer 2005). Esempi di repertori in contesto italiano Come ricostruire un repertorio? Generalmente tramite questionari, anche molto dettaggliati. Repertorio linguistico della bassa Valle d’Aosta (sembrerebbe un repertorio diglottico) Repertorio linguistico di Val Gardena e Val Badia (Trentino-Alto Adige) (anche in questo caso sia italiano che ladino sono presenti sia in gradini alti che bassi, ma in maniera diversa). Il ladino può essere usato in entrambi i contesti perché è presente nelle scuole ecc per questo oggi è presente anche nei contesti formali. Repertorio linguistico della comunità di immigrati ghanesi a Bergamo Il paesaggio linguistico Pianificazione linguistica: l’attuazione di provvedimenti messi in atto per tutelare le lingue, che dovrebbe sempre essere precedute da un’accurata ricognizione scientifica delle condizioni dei repertori linguistici e dei rapporti fra le lingue e le varietà in un determinato periodo; sarebbe necessaria un’analisi dettagliata della comunità linguistica, che fornisca una ‘radiografia’ attendibile della situazione delle lingue in una comunità parlante; Un campo di studio di recente sviluppo (Landry/Bourhis 1997, Shohamy/Gorter 2009) in grado di fornire indicazioni rilevanti in questo senso, privo per ora di una sua precisa elaborazione teorica ma interessante dal punto di vista descrittivo, è dato dall’analisi del paesaggio linguistico (linguistic landscape). L’etichetta linguistic landscape è stata usata per la prima volta alla fine degli anni Novanta: «The language of public road signs, advertising billboards (cartelloni pubblicitari), street names (nomi delle strade ecc), place names, commercial shop signs (insegne dei negozi), and public signs on government buildings combine to form the linguistic landscape of a given territory, region or urban agglomeration» (Landry/Bourhis 1997: 25); Si tratta degli usi linguistici percepibili visivamente nello spazio pubblico, che possono darci informazioni su «relative power and status of the linguistic communities inhabiting the territory» (ibidem). Questo fa riferimento proprio ad ogni manifestazione linguistica, anche le scritte sui muri per dire. Ci da info anche sullo status della lingua. Il paesaggio linguistico è costituito dal linguaggio dei segnali stradali, dei cartelloni pubblicitari, delle targhe di strade e di piazze, delle insegne di esercizi commerciali ed edifici pubblici; Fanno parte del paesaggio linguistico anche messaggi spontanei (come graffiti, avvisi, manifesti ecc.); La definizione è stata di recente ampliata: “…language in the environment, words and images displayed and exposed in public spaces, that is the center of attention in this rapidly growing area referred to as Linguistic Landscape (LL)” (Shohamy/Gorter 2009: 1) Il paesaggio linguistico influenza la percezione della propria e altrui vitalità linguistica, rappresentando una componente rilevante della coesistenza e della interazione sociale tra gruppi; (percmette a questi gruppi di diventare visibili alla comunità) La visibilità della lingua nello spazio pubblico riflette la forza economica, politica e culturale del gruppo linguistico: «The languages used in public signs indicate what languages are locally relevant, or give evidence of what languages are becoming locally relevant» (Kasanga 2012); Le scritture nello spazio pubblico costituiscono dunque una traccia della presenza e della vitalità di lingue e culture diverse e della loro salienza, in particolare nello spazio urbano. atteggiamento positivo (perché viene comunque in qualche modo esplicitato che sarebbe una lingua da conservare) nei confronti del ladino; Dall’altro lato, risulta indissolubile il legame con l’insegnamento scolastico, a sua volta fondamentale promotore del mantenimento e della vitalità della lingua, oltre che del suo prestigio. La presenza di una lingua a scuola sicuramente aiuta moltissimo nella salva guradia di una lingua, perché così automaticamente ne aumenta il prestigio. Fenomeni di contatto nel sistema e nel discorso Nelle situazioni di plurilinguismo, il contatto tra lingue dà luogo a un’ampia gamma di fenomeni linguistici; Per classificarli, bisogna innanzitutto differenziare i fenomeni di contatto che avvengono nel sistema (nella lignua in quanto sistema) da quelli che avvengono nel discorso (nell’uso concreto che si fa della lingua): (i) sistema: si manifestano nelle strutture del sistema linguistico (prestiti, calchi); (ii) discorso: si concretizzano nell’uso di più lingue in una certa situazione comunicativa (code- switching, code-mixing…). Fenomeni di contatto nel sistema I fenomeni di contatto nel sistema possono essere distinti in due tipi, a seconda che il trasferimento di elementi linguistici da una lingua all’altra coinvolga materiale di ‘superficie’ o interessi un piano più ‘profondo’; In altre parole, si distingue fra: • il trasferimento che comporta il passaggio di materiale linguistico, realizzato foneticamente (parole, ma anche singoli fonemi o morfemi, proprio elementi, materiali linguistici); • il trasferimento di pattern strutturali astratti (categorie grammaticali, proprietà, regole, schemi sintattici e significati, replicati nella lingua ricevente con il materiale linguistico già esistente in questa). Contatto nel sistema e nel discorso L’opposizione tra i due tipi è tradizionale negli studi sul contatto linguistico (Weinreich 1953); In termini generali, per spiegare questo fenomeno si parla di prestito vs. interferenza; tuttavia, le etichette possono essere usate anche come iperonimo per l’intera gamma dei fenomeni linguistici di contatto; Adottando una terminologia più recente, si distingue tra ‘replicazione di materiale’ e ‘replicazione di schemi strutturali’ (matter replication e pattern replication in Matras/Sakel 2007). Prestiti Prestito (matter replication o replicazione di materiale): tipicamente, il trasferimento di elementi lessicali, l’accoglimento di una parola proveniente da un’altra lingua; (la lingua B accoglie elementi della lingua A). Il prestito è proprio del normale funzionamento di ogni lingua; l’italiano, ad esempio, ha assunto vari prestiti dalle lingue con cui è entrato in contatto, e in particolar modo dall’inglese (in epoca recente); Alcuni casi (da Bombi 2009): (i) puzzle, (ii) talk show, (iii) authority, (iv) turn over, (v) reality, (vi) walkman, (vii) welfare, (viii) default, (ix) open source, (x) urban, (xi) e-book, (xii) stalking. Abbiamo visto che il termine “prestiti” è stato criticato, non è visto come un termine così preciso, perché abbiamo visto che in inglese ci sono due termini differenti per indicare i termini che vengono prestati e si “stabilizzano” nella lingua e quelli che invece no. In italiano potrebbe esserci una piccola distinzione tra prestiti e occasionalismi (?) ma non è così marcata e conosciuta. Altri prestiti dell’italiano (tutti termini che hanno subito degli adattamenti nell’italiano, cosa che non succede nei termini prestati dall’inglese):  grecismi (per via indiretta, introdotti successivamente): arcipelago, polizza, antropologo…  francesismi: baguette, croissant, chaffeur, abat-jour…  ispanismi: rumba, sigaro…  germanismi: dal longobardo: guancia (longob. wankja), balcone (balk ‘palco di legname’); germ. moderni: lager…  arabismi: limone (dall’arabo laymūn), melanzana (bādingiān, incrociato con mela), zucchero (sukkar), algebra (al-ǧabr ‘restaurazione’), zero (ṣifr ‘nulla’), albicocca (al-barqūq ‘susina’)… Il lessico dell’italiano si è inoltre arricchito, in particolare a partire dall’epoca postunitaria, di numerose voci di origine dialettale: dialettismi (che potremmo chiamare prestiti interni), come grissino, gianduiotto (Piemonte), cannolo, cassata, arancino/a (Sicilia), panettone, stracchino (Lombardia)…; Tali parole (frequentemente relative all’ambito gastronomico, ma non solo: ad es. bauscia dalla lombardia) vengono spesso assunte per indicare oggetti/fenomeni originariamente di portata locale, che si diffondono a livello nazionale. I prestiti conoscono generalmente un adattamento, spesso parziale, alle regole della lingua ricevente, venendo così integrati nel sistema della lingua in cui entrano; Dal punto di vista fonetico, si verifica facilmente una sostituzione presso i parlanti della lingua ricevente di tratti estranei alle loro abitudini articolatorie; si vedano, ad esempio, le pronunce rispettivamente inglese e italiana di alcuni prestiti citati: (i) ingl. ['pʌzl], it. ['pazol], ['pazəl], e anche ['putsle]; (iii) ingl. [ɔ:'θɒrɪtɪ], it. [aw'tɔriti]; (v) ingl. [ri:'ælɪtɪ], it. [re'aliti]; ecc.; L’adattamento può verificarsi anche a livello morfologico: un verbo proveniente dall’inglese, ad esempio, sarà assegnato a una coniugazione dell’italiano (la prima) e riceverà la desinenza corrispondente (-are), es. linkare, forwardare, cliccare, postare, ecc. Inn generale, il prestito può dunque essere: 1. non integrato: preso così com’è dalla lingua di partenza (film), senza adattamenti morfologici, la forma scritta per lo meno è uguale (la pronuncia varia/può variare); 2. integrato (o adattato): adattato al sistema della lingua di arrivo (bistecca, da beefsteak). Inoltre, esistono prestiti: 1. di necessità: legato all’introduzione di un nuovo oggetto o concetto che a sua volta nin esisteva fino a quel momento, vanno a riempire un “gap” nella lingua, es smartphone o mouse; 2. di lusso: esiste un corrispettivo nella lingua di arrivo, ma viene scelto il prestito per una questione di registro, stile e prestigio (leader al posto di capo, weekend per fine settimana). Calchi A livello lessicale si possono avere anche fenomeni di interferenza, o replicazione di schemi strutturali; il caso più tipico è quello del calco; A questo proposito, si distingue tra calco strutturale e calco semantico: • strutturale (o calco traduzione): si forma una parola con materiale italiano mantenendo la struttura della parola straniera (grattacielo dall’inglese skyscraper); riguarda non una parola nella sua forma esteriore, ma la struttura interna; cioè semplicemente prende una parola e la traduce, basandosi sulla struttura originale; • semantico: una parola italiana mutua da una parola straniera il significato (realizzare, da to realize); riguarda il significato che quella parola presenta nella lingua fonte, replicati con il materiale linguistico a disposizione nella lingua ricevente. Prima realizzare era usato solo per dire realizzare/creare, oggi è sempre più utilizzato per dire ho realizzato/ho capito, come calco semantico dall’inglese. Esempi di calco strutturale dall’inglese: grattacielo (skyscraper), colletti bianchi (white collars), guerra fredda (cold war), in cui la struttura della composizione si conforma all’ordine più tipico della lingua ricevente, modificato-modificatore; e bagno schiuma (bath foam), altoparlante (loudspeaker), con l’ordine modificatore-modificato proprio invece della lingua fonte; Esempi di calco semantico dall’inglese: etichetta (“casa discografica”, sul modello di label), suggestione “suggerimento” e suggestivo “indicativo, rivelatore” (come in sintomo suggestivo di infezione, sul modello di suggestive), realizzare (“comprendere”, sul modello di realize), eccetera. Interferenza sintattica L’interferenza, o replicazione di schemi strutturali, può verificarsi anche su livelli diversi da quello lessicale; Ancora dal contatto fra italiano e inglese, troviamo alcuni esempi di interferenza a livello sintattico: proposizioni interrogative con più fuochi di interrogazione (chi è chi?, dove trovo cosa?, chi fa cosa quando?, in cosa chi copierebbe chi?); sono calchi sintattici dall’inglese. Duplice reggenza preposizionale di uno stesso sintagma nominale (es. incuriosito da e spaventato per la faccenda); infinito semplice retto da grazie di/per, con valore causale e valore temporale di posteriorità (grazie di mandarmi i campioni richiesti, sul modello dell’inglese thank you for sending me the requested samples, che però ha valore di anteriorità); ecc. Tutto quello che abbiamo visto fin’ora, sono fenomeni che utilizziamo per esempio pur non essendo bilingui.nel momento in cui iniziamo ad usare i fenomeni di contatto nel discorso, bisogna avere una quakche conoscenza della lingua inglese: Fenomeni di contatto nel discorso I fenomeni a livello di sistema che abbiamo visto possono verificarsi anche in assenza di parlanti bilingui; al contrario, i fenomeni di contatto che hanno luogo nel discorso presuppongono necessariamente un qualche grado di bilinguismo nei parlanti; Dal punto di vista della sociolinguistica, sono particolarmente interessanti le interazioni verbali in cui i partecipanti usino, all’interno dello stesso evento comunicativo, più lingue diverse; Le manifestazioni del contatto nel discorso vengono in genere trattate sotto il nome complessivo di commutazione di codice. In primo luogo, va sottolineata la distinzione fra la commutazione di codice ‘connessa al discorso’ (discourse related) e quella ‘connessa ai partecipanti’ (participant related): • discourse related: avviene in concomitanza con (o è determinata da) un cambiamento nell’argomento, o nella gestione sequenziale del flusso conversazionale o nella costellazione dei partecipanti; • participant related: avviene in concomitanza con (o è determinata dal) la negoziazione della lingua in cui condurre l’interazione (nella quale i partecipanti portano le loro preferenze circa il codice da usare). Cioè rispetto alla scelta dei parlanti di parlare una lingua piuttosto che un’altra, senza basarsi sul discorso del quale si sta parlando. La distinzione, per quanto utile, può risultare, nei termini in cui è posta, non scevra da sovrapposizioni.
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