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La società dei consumi: origini, teorie e evoluzione - Prof. Sinisi, Appunti di Sociologia dei Consumi

Una panoramica storica e teorica sulle origini, le teorie e l'evoluzione della società dei consumi. Del ruolo dei beni di lusso, dei consumi convenienziali e scorretti, dei fenomeni sociali e economici che hanno contribuito alla nascita della società dei consumi, della prospettiva antiproduzionista, del consumo vistoso e della classe agiata, dell'habitus, del consumo collaborativo e della soddisfazione istantanea dei consumatori.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 14/05/2024

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Scarica La società dei consumi: origini, teorie e evoluzione - Prof. Sinisi e più Appunti in PDF di Sociologia dei Consumi solo su Docsity! Sociologia dei consumi e cultura d'impresa! Lezione 1! La produzione culturale del valore economico Il percorso per arrivare alla società dei consumi di oggi è stato un percorso lungo con una serie di fenomeni sia di 6po economico, sia di 6po culturale. Man mano che ci avviciniamo ad un contesto culturale della società dei consumi, possiamo notare di come il tema diven6 sempre più importante di volta in volta. Ci rendiamo conto che è cresciuto un interesse nel tema del consumo, e questo lo possiamo vedere anche in mol6 ambi6 della nostra vita quo6diana. Un’altra variabile che ha dato rilevanza a questo tema è quella di prendere in considerazione l’individuo non solo come soggeBo sociale, (come un lavoratore) ma anche un consumatore. Però c’è da chiedersi, cosa si intende con il termine consumismo? Esso è un fenomeno che consiste nell’acquisto di beni di consumo suscitato dalle moderne tecniche pubblicitarie, che fanno apparire beni e servizi di cui magari non abbiamo bisogno come reali bisogni fiJzi. Il consumismo è quindi streBamente legato al consumo. Vance Packard sos6ene che sia compito della pubblicità rendere i consumatori voraci, compulsivi e propensi allo spreco. Nonostante il termine consumismo sembra avere un’accezione nega6va, il suo omonimo inglese “consumerism” con la sua terza definizione ci fa capire come invece il consumismo, e l’eccessivo consumo di beni e servizi che alle volte magari non ci servono neanche, por6 felicità e benessere alle persone. Il processo storico è stato moto importante nel tempo del consumismo. Molto spesso delle decisioni che prendiamo durante la nostra giornata sono influenzate dalle figure di persone chiamate “influencer” che un tempo erano chiama6 “opinion leader”, che erano in numero molto contenuto rispeBo agli influencer di ora. Uno dei risvol6 più aBuali è il ruolo dei Deinfluencer, personaggi che invece di sollecitare o di mostrare, supportare la scelta di consumare un brand/ prodoBo; ne sconsigliano il consumo, anche se di faBo si traBa sempre di un’aJvità di influenza in un modo o nell’altro. La società dei consumi è arrivata appunto per gradi ed in questo processo ha avuto un ruolo importante di costruzione sociale, ma un altro elemento che ha contribuito aJvamente è l’apertura verso le novità. Noi viviamo in un mondo assolutamente globalizzato, non abbiamo difficolta a spostarci, ma riusciamo a fare sempre tuBo e subito. Questo però non è sempre stato così, ci è voluto un lungo processo arrivato con la colonizzazione, quando si cercava di espandere la propria cultura, i propri prodoJ ad altra gente. Questo colonialismo ha contribuito al primissimo inizio della globalizzazione. Chandra Mukerji e Arjun Appadurai sostengono nelle loro opere che il valore economico è un prodoBo culturale. Gli oggeJ non hanno soltanto un loro valore intrinseco, di uso, come diceva Marx, ma hanno anche un valore simbolico, e possono essere defini6 “socialmente u6li” perché hanno la loro importanza all’interno della società. Il valore che viene definito e viene riconosciuto in ogni prodoBo è un valore che cambia ovviamente da un prodoBo all’altro, e questa capacita di riconoscerlo è una dote che il consumatore ha oBenuto con il passare del tempo poiché è entrato in contaBo con diversi 6pi di prodoJ e ne è riuscito a dis6nguerne la qualità. Si impara a diventare consumatori. La capacita della classificazione delle merci apre le porte ad una società rivolta al futuro. Man mano che i flussi delle merci sono diventa6 più complessi e ar6cola6 sta al consumatore riconoscere il valore degli oggeJ, nel senso economico si, ma anche capire il valore che l’oggeBo ha all’interno dello sfondo sociale. Nel momento i cui noi arriviamo in un luogo nuovo s6amo andando a scoprire una nuova cultura e ci s6amo immergendo in un nuovo metodo di consumazione. Gli elemen6 che il consumatore inizia ad imparare e a valutare sono il conceBo di esclusività ed auten6cità, cioè la capacita di riconoscere quelli che sono i prodoJ reali. Negli ul6mi anni c’è un grande ritorno di cibi che erano sta6 abbastanza messi da parte dalle nostre tavole, come ad esempio i legumi, il farro che sono sta6 riconosciu6 come prodoJ auten6ci. Prima invece erano prodoJ che erano sta6 “bandi6” dalle tavole italiane per abbracciare il cibo più esclusivo e più ricco come le proteine, le carni ecc. principalmente per avere sulla tavola dei cibi più “alla moda”, più costosi. Negli ul6mi decenni questa cosa è stata ribaltata dalla dieta mediterranea, dalla scoperta della possibilità di realizzare la carne sinte6ca e molto altro. Quando ricerchiamo un prodoBo, (sempre parlando di cibi) dipende dal 6po, ci andiamo a ricollegare sempre al conceBo di auten6cità e esclusività. Per esempio quando parliamo della farina 00, che costa circa 1€ al kg, non s6amo certo a parlare di prodoJ esclusivi o costosi; mentre invece se parliamo di farina di grano specifica, magari realizzata anche per celiaci, o per rispeBare le regole BIO, possiamo trovarla anche a 4€ che, ovviamente, per un bene di prima necessità è tan6ssimo e possiamo quindi quasi definirlo un bene di “lusso”, “esclusivo”. Sta quindi al consumatore acquisire una competenza in questo ambito per riconoscere quali prodoJ saper acquistare. I beni con una funzione retorica e sociale Un altro elemento che indirizza la società dei consumi ad una società che conosciamo oggi è quello che troviamo negli scriJ di Appadurai che parla, appunto, di un nuovo registro di consumo riferendosi ai beni di lusso. Essi sono beni con una funzione retorica e sociale più che una funzione d’uso. Pensando magari ad una Ferrari, essa ha la stessa u6lità di una macchina qualsiasi, ma ha un suo marchio che la rende unica ed invidiabile a chi magari non se la può permeBere; è anche quello che racconta che ci fa pensare ad una serie di elemen6 che ci fa pensare che questa persona appartenga ad un elevata classe sociale ecc. Appadurai allora dice che quando ci avviciniamo ai beni di lusso ci avviciniamo ad una funzione retorica e sociale. Il bene di lusso fino ad un certo punto, era riservato ad un élite nobiliare, che non solo se lo poteva permeBere, ma anche era un qualcosa che era riservato esclusivamente a loro. Pensando al medioevo, la nobilita godeva delle leggi sontuarie, cioè delle leggi che davano la possibilità di accedere ad un qualcosa a cui le altre classi sociali non potevano. Ad oggi invece basta avere una possibilità economica per comprare un bene di lusso e non per forza necessita un 6tolo nobiliare, e questo ha dato una grande spinta di innovazione al mondo dei beni di lusso. La demoralizzazione del lusso significa che noi ad esso non diamo più un significato nega6vo. L’uomo non ha più dei bisogni defini6 ma più potenzialmente può aspirare a qualsiasi 6po di prodoBo aBraverso il proprio lavoro, il contribuire alla società odierna ecc. quanta più gente consuma beni di lusso, vuol dire che quanta più gente ha lavorato abbastanza per poterseli permeBere. Si dice infaJ che siamo in una società dove viene valorizzato il lavoro e il raggiungimento degli obieJvi. Il fenomeno della moda Diventa sempre molto più importante il fenomeno della moda, grazie anche a Simmel che fu uno dei primi sociologi che lo ha u6lizzato e concre6zzato. Il fenomeno della moda è un fenomeno che contribuisce all’avanzamento della società dei consumi poiché spinge in con6nuazione al rinnovamento della società. Quanto più cresce la domanda, aumenterà la produzione sul mercato, e quando la produzione non riesce ad aumentare si crea la crisi economica come quella del 29’ negli sta6 uni6. La teoria di Marx si basa su conceJ come la produzione, il valore, lo scambio; infaJ lui stesso dice “la produzione produce il consumo, cioè l’oggeBo di consumo, il modo di consumo e l’impulso del consumo”. (Centralità della produzione) Secondo Marx ogni bene ha due valori: - valore d’uso rappresenta il contenuto materiale del bene e la sua effeJva funzione, u6lità e capacita di soddisfare i bisogni - Valore di scambio: che determina la scambiabilità delle merci. Questo non si deduce dal valore d’uso ma dalla quan6tà di tempo spesa dal lavoratore per produrre quella merce. Uno scambio tra merci è quindi uno scambio tra quan6tà equivalen6 di forza lavoro necessarie a realizzarle. Marx ci fa come esempio che per scambiare una forcheBa, ci vogliono almeno tre peJni, perché il valore dei peJni è neBamente inferiore a quello della forcheBa. Lo scambio delle merci avveniva in un primo momento senza oggeJ di mediazione (baraBo), mentre con il tempo è stato is6tuito come valore di mediazione il denaro. Max weber invece dice che lo sviluppo dell’economia è streBamente legato a valori e6ci in un determinato periodo storico. TuJ i comportamen6 dell’uomo sono lega6 a dogmi religiosi, perché weber dice che l’uomo è un predes6nato, ovvero il successo economico dell’uomo è stato scelto da dio, perché senza l’aiuto di esso non si avrebbe successo. Per ingraziarsi il favore concesso da dio, l’uomo non fare altro che lavorare e portare avan6 il proprio lavoro per garan6rsi la salvezza. Lavorare tuBa la vita con dedizione accumulando grandi ricchezze non è finalizzato al consumo. TuBa la società del consumo viene quindi vista con un conceBo religioso, c’è un industria produJva che per logica deve produrre qualcosa, e un consumatore che è obbligato a consumare. La prospeJva an6produzionista meBe in evidenza il faBo che cambia la cultura del consumo, facendo risaltare il consumatore che inizia a percepire sé stesso come qualcuno che ha dei desideri, delle esigenze, che deve soddisfare; quindi inizia a capire di essere un consumatore e ad influenzare la società dei consumi e la sua produzione in base alle sue esigenze. La sfera della produzione e quella del consumo si influenzano quindi reciprocamente. Grant McCracken: ha definito che la nascita dei consumi ha un’origine poli6ca. ElisabeBa I era la detentrice di tuBo il territorio inglese, ad un certo punto lei capì che per dover legiJmare la sua potenza e quella dell’impero inglese doveva far vedere la sua opulenza (grandezza), inventandosi un meccanismo che glielo permeBesse. Iniziò cosi ad invitare i nobili a corte e cercò di aJrare la loro aBenzione cosi che loro cercassero di ingraziarsi la regina, in modo tale da dar loro delle ricompense. Ques6 nobili, che a questo punto cercavano tuJ di oBenere l’aBenzione della regina, portavano sempre più regali. ElisabeBa I, in questo modo, riuscì ad oBenere mol6ssime robe sfarzose e innumerevoli ricchezze potendo mostrarle a tuBo il resto del mondo. (Nonostante non fossero le sue ricchezze). A questo punto lei promulgò le leggi sontuarie che indicavano l’abbigliamento che chi andava a corte doveva tenere, quali colori, quali tessu6 e molto altro, che potevano indossare i nobili e le altre classi sociali no. In questo momento della storia nasce l’idea di quella che è la moda per affermare il proprio status sociale. I nobili che nel fraBempo hanno accumulato sempre più ricchezze che magari sono state tramandate dagli antena6 sono cosi nobili per CENSO (nascita) che si dis6nguevano dai nobili che lo diventavano per arricchimento che, nel corso del tempo, avevano acquistato gli stessi beni però con mol6 sforzi e non li avevano quindi eredita6. I nobili decisero di aBuare quello che era la “pa6na” cioè una velatura che accertava che il bene appartenesse a dei nobili che li avevano da tempo, e non da coloro che si erano arricchi6. Il nobile allora decide di acquistare beni per poterli conservare e tramandare. Il conceBo di pa6na comincia a perdersi così perché il valore del bene veniva definito dal suo valore momentaneo. Neil McKendrick Neil McKendrick diceva che la cultura del consumo è la consegna direIa della trasformazione indoIa dalla rivoluzione industriale. Questa infaJ ha portato l’uomo a spostarsi dai terreni alla ciBà. Si passa infaJ dal sistema ar6gianale a quello industriale più moderno. Questo cambiamento di società porta anche un cambiamento nella popolazione, infaJ non più soltanto il capofamiglia andava a lavorare, ma adesso anche le donne potevano essere impiegate nelle fabbriche, cosi come anche i bambini, togliendo però il tempo di filare e di mandare avan6 la manodopera tessile. Esse cominciarono ad aver quindi bisogno di acquistare beni che prima non avevano mercato (come ad esempio i ves66 che prima venivano realizza6 dalle donne in casa). Cominciarono ad essere vendu6 più prodoJ conformi ai gus6 femminili e infan6li come capi d’abbigliamento, tende, tessu6, vasellame ma anche i primi giocaBoli. Anche le cose più banali vengono infaJ prodoBe in maniera più raffinata, come anche i boBoni. Il reddito procapite aumenta cosi tanto che c’è una forte scalata sociale, portando le persone meno agiate a salire di classe sociale, perché non cerano solo 1 o 2 classi sociali ma tan6ssime (nobili, media alta e bassa borghesia ecc..) in cambio di produzioni di prodoJ industriali, arriva anche l’incremento della produzione alimentare. Le porcellane di Wegwood Wegwood decise di applicare delle tecniche di design per interceBare il crescente interesse di gruppi privilegia6 per l’archeologia e l’an6chità. Applicò anche delle tecniche di marke6ng come: - la pianificazione della produzione in funzione della vendita - sponsorizzò anche delle porcellane per le varie famiglie nobiliari in modo tale che le persone li vedessero e, pensando che appartenessero ad una classe sociale elevata, desiderassero di comprarlo. Le altre classi sociali infaJ richiedevano ques6 beni per poterli mostrare, e far vedere che anche loro appartenevano ad uno status sociale elevato come la regina, la moglie dello zar e molte altre donne di rilievo che li possedevano. Il processo di industrializzazione è l’effeBo e non la causa due nuovi desideri di consumo. Colin Campbell Colin Campbell pone la data di nascita della società dei consumi all’interno del suo testo che si in6tola: “l’eKca romanKca e lo spirito del consumismo” che si andava a contrapporre ovviamente a quella di Weber. Lui pone le basi del nuovo capitalismo moderno. Il periodo roman6co vede così un nuovo soggeBo: vede infaJ un individuo che consuma per gra6ficare i propri bisogni come il pretesto del “bello roman6co”, che porta i beni a soddisfare dei desideri, a risolvere quel senso di vuoto e a dare un senso di appagatezza e di godimento al singolo. La leBeratura ha un ruolo fondamentale nella società dei consumi perché veniva usata per diver6rsi e passarsi il tempo e il mondo immaginario del libro offriva alla mente un nuovo posto, un numero infinito di opportunità, distan6 dalla vita quo6diana. Il consumatore moderno, cosiddeBo “dandy” è un “edonista” orientato verso una par6colare accezione del piacere inteso come ricerca del nuovo e del diverso. Ciò si contrapponeva all’edonismo an6co che riguardava il godimento di un par6colare oggeBo. Il consumatore moderno desidera desiderare cose nuove e diverse in una costante girandola di insoddisfazione. (Edonista: chi considera il piacere, l’unico scopo di vita) Dorian Gray è il consumatore roman6co per eccezione poiché, come anche oscar Wilde ci racconta, lui stesso fece un paBo con il diavolo per soddisfare il suo piacere interiore di restare giovane per sempre. Quando noi consumiamo un bene, subito dopo non ne siamo più soddisfaJ e ne andiamo a ricercare subito un altro; ciò comporta un consumo sempre più accelerato. È il consumatore a decidere infaJ indireBamente cosa consumare. Wener Sombart Nel suo testo ci descrive il faBo che la cultura del consumo nasce dalla domanda di beni di lusso, da parte degli aristocra6ci. Facendo un salto indietro tra il 500/600, durante il periodo del colonialismo, erano state create nuove roBe commerciali e, queste, provocarono nuovi sfruBamen6 delle colonie che però ebbero un ruolo importante nell’evoluzione dei consumi. Questo perché ci fu l’introduzione di nuovi prodoJ che alimentarono il consumo poiché le persone desideravano dei beni che solo loro potevano permeBersi. Ci fu un allargamento del mercato poiché ci fu a livello economico: - un ampliamento QUANTITATIVO dei consumi - Furono create organizzazioni capitalis6che dei merca6 - Ci fu un aumento dei commerci di merci di valore - Aumento di circolazione di ricchezza (democra6zzazione del lusso) A livello culturale invece ci fu: - Ampliamento QUALITATIVO dei consumi - Un orientamento culturale edonis6co centrato sul piacere este6co degli oggeJ - Un orientamento dis6n6vo volto a concepire i beni di consumo e i piaceri come strumen6 per affermare la propria posizione sociale La qualità di ciò che veniva consumato diventò così superiore, perché si comprava senza pensarci se qualcosa era este6camente bello. Le fasi storiche del lusso sono principalmente due: - Una prima fase che ha s6molato lo sviluppo del capitalismo, dove il consumatore consuma per appagare un vuoto. L’individuo si sente ‘spiantato’ e trova rifugio nel consumo di beni materiali. - Una seconda fase più matura del capitalismo dove il gusto este6co della nascita capitalis6ca inizia ad impoverirsi anche per il faBo che c’era questa produzione in serie nelle fabbriche. Si va a perdere infaJ la qualità per via di tuJ ques6 oggeJ viJmi della massificazione. Nasce cosi il design che unisce il bello massificato che soddisfava il bisogno di e6cità Lezione 3! Thorstein Veblen - la teoria della classe agiata Veblen fu un noto sociologo ed economista norvegese vissuto tra fine 800 e inizio 900. Fu il primo sociologo ad aver intuito la funzione sociale e relazionale dei beni. Veblen osservò in maniera cri6ca e sarcas6ca la società statunitense dell’epoca e vide: - da una parte la grande nobiltà - e dall'altra la nascita della classe borghese Fu colui che intuì la relazione che ognuno di noi ha con i beni, e perché ques6 hanno un alto valore simbolico per le persone. Osservò che la modalità di consumo della società era basata su un principio: l'ostentazione, cioè far emergere il proprio status sociale aBraverso i beni, comportamen6 di consumo e così via. Veblen meBe in luce le modalità aBraverso cui i vari gruppi sociali marcano la propria posizione nella gerarchia sociale aBraverso i comportamen6 di consumo. Con la sua "teoria della classe agiata", testo anche economico, fa un' analisi pungente dell'economica moderna: 1. Le aJvità economiche e l'accumulo di denaro sono IRRAZIONALI 2. L’accumulo di ricchezza, oltre i desideri e i bisogni razionali, è la PROVA DI IRRAZIONALITÀ della classe agiata. Lezione 4! Mary Douglas e Baron Isherwood Furono due antropologi che hanno scriBo "il mondo delle cose" nel 1979, nel quale considerano il consumo come mezzo di comunicazione e/o strumento che gli individui u6lizzano per dare senso al mondo circostante. L'antropologia ha analizzato i consumi, considerandoli un mezzo per trasmeBere e condividere significa6 e valori relazionali e/o sociali all'interno della diverse culture, aBraverso un approccio etnografico (osservare ciò che fanno gli altri). Gli individui che osservano, scambiano e u6lizzano gli oggeJ per dare un senso al contesto nel quale sono inseri6, il consumo è quindi mezzo di comunicazione che gli individui usano per dare senso al mondo circostante e per superare, anche, il valore d'uso dell'oggeBo. Osservando lo scambio delle merci nei vari SOTTOINSIEMI CULTURALI, cioè ambi6 merceologici o i seBori vari della società, siamo in grado di interpretare e comprendere la loro cultura e il sistema valoriale di quella popolazione, ci dà quindi una chiave interpreta6va dell'organizzazione sociale dei gruppi osserva6. DeBo in parole povere, consente di comprendere l’interpretazione del mondo, nonché i valori e i principi su cui si basa un determinato sistema sociale. Inoltre, nel momento in cui comprendiamo il valore di comunicazione dell'oggeBo, siamo in grado di capire la traduzione e il significato culturale di questo in uno specifico contesto sociale. Gli oggeJ sono LA PARTE VISIBILE DELLA CULTURA. Per esempio il cibo non ha solo la funzione di nutrizione ma ha anche valore e significato culturale (la pizza per gli italiani, il sushi giapponese. cheeseburger americano, ravioli cinesi), ci racconta di un Paese e della sua cultura. Nei processi di classificazione delle persone e degli even6, il consumo u6lizza gli oggeJ per tradurre in maniera visibile uno specifico sistema di giudizio e di norme. Noi siamo sta6 allena6, come consumatori, a classificare ques6 oggeJ come epifenomeni di una specifica cultura. Vengono aBribui6 ai beni di consumo dei valori specifici, anche nelle relazioni, poiché lo scambio degli oggeJ implica una forma di acceBazione o di rifiuto, quindi rafforza o indebolisce i rappor6 tra gli individui, o ancora crea un’espressione di consenso o dissenso. Non i concentriamo più sul valore d'uso, ma i beni diventano indicatori materiali di categorie astraBe. Ogni volta che un oggeBo viene offerto, acceBato o rifiutato, esso rafforza oppure indebolisce i rappor6 tra gli uomini. Inoltre, per i due antropologi, gli oggeJ, spesso pur avendo una loro importanza, presi come singoli oggeJ, sviluppano il loro significato solo quando sono in relazione con altri beni (la pensa cosi anche Beaudrillard). I due dicono proprio che: - tuJ i beni sono portatori di significa6 e nessun bene ha un significato autonomo, il significato sta nella relazione fra tuJ i ben - i beni sono usa6 per iden6ficare, servono a classificare delle categorie Secondo questa prospeJva i beni sono quindi ACCESSORI RITUALI e il consumo stesso è un processo rituale, la cui funzione primaria è dare senso al flusso indis6nto degli even6 (es ri6 che si fanno a Capodanno, all’Epifania, San Valen6no, Carnevale), non a caso oggi parliamo di rituali di consumo. Prima di parlare però di rituali di consumo, bisogna specificare che cos’è un rituale. Un rituale è una sequenza ordinata di comportamen6, che è più rigida e prevedibile rispeBo alle aJvità generalmente svolte. Ogni rituale ha le sue temporalità ricorren6, i suoi modelli caraBerizza6 dalla storia e la sua suddivisione dello spazio che assume la funzione di contesto. I rituali di consumo I RITUALI DI CONSUMO servono a favorire un certo 6po di integrazione e di controllo sociale, condividendo momen6 e consumi che ci rendono parte di una stessa cultura. La dimensione del rituale non è solo quella religiosa e sacra, ma anche quella dell'esperienza e del suo significato, come ad esempio le persone che condividono gestualità prestabilite in un preciso arco temporale che li fa sen6re parte di una cultura. I SIGNIFICATI, I VALORI E LE CATEGORIE CULTUALI vengono mantenu6 stabili aBraverso i rituali. Mary Douglas e Baron Isherwood pensavano che tuJ i gruppi sociali avessero bisogno di rituali per affermare la propria esistenza perché: 1. Il rituale rinnovava e rafforzava l'adesione alle convinzioni 2. aveva psicologicamente una funzione acceBante 3. aiutava l'integrazione dell'individuo nel gruppo (Alcuni esempi di rituali potevano essere ad esempio i compleanni, il natale, il 25 aprile ecc) Nei rituali di consumo si sono sviluppate: 1. nuove comunità di consumo nella società contemporanea 2. comunità reali e virtuali aBorno ai temi più diversi 3. dimostrazioni di appartenenza alla comunità aBraverso l'impiego di rituali (appassiona6 di Nutella, di una moto specifica) Ques6 rituali possono essere divisi in: (non ne parlano Douglas e Isherwood) - macro-rituali che sono procedure elaborate (cerimonie) per consolidare l'appartenenza alla società di riferimento/comunità (ad esempio Sanremo che è qualcosa che una volta l’anno riunisce tuJ gli italiani) - micro-rituali vol6 a facilitare l'interazione tra le persone quo6dianamente. (esperienza Heineken in cui spiega ai suoi clien6 come spillare bene una birra) Douglas e Isherwood dicono che “consumare determina6 prodoJ in date occasioni sociali, seguendo determinate modalità, crea simbolicamente appartenenza”. Inoltre, i beni di consumo sono adopera6 per segnare gli intervalli nello scorrere del tempo: la loro differenziazione qualita6va nasce dall'esigenza di porre delle dis6nzioni nel corso dell'anno e nel ciclo di vita. I beni di per sé sono neutri ma i loro usi sono sociali. Possono essere usa6 come barriere o come pon6, e gli individui organizza6 in società hanno bisogno del beni per comunicare con gli altri. I beni servono a creare e conservare i rappor6 sociali. L'accesso a determina6 beni e la partecipazione al loro consumo consente all'individuo di sen6rsi parte di un gruppo -> i beni creano simbolicamente appartenenza. Essi sono, inoltre, strumen6 che ci consentono di fare parte di un gruppo sociale: gli individui inseriscono nei loro consumi, beni che consentono loro di comunicare con i membri del gruppo sociale a cui appartengono o desiderano appartenere. Riassunto: - per Douglas e Isherwood la funzione fondamentale dei beni è quella di generare senso - la domanda di beni da parte dei consumatori dipende da un bisogno di informazioni perché: • da un lato essi vogliono dare un senso agli even6 e alla propria condoBa • dall’altro vogliono creare solidi rappor6 sociali - L’individuo è un soggeBo aJvo che contribuisce alla rielaborazione dei significa6 del sistema culturale in cui si trova - TuJ i beni sono portatori di senso, ma nessuno ne possiede uno autonomo Lezione 5! Classe agiata vs classe aspirazionale- Elisabeth Currid-HalkeI - Agiatezza vistosa - Consumo vistoso La teoria della classe agiata è stata modulata in vario modo anche nel nostro contesto di consumo. Ad un certo punto si è visto che il lusso non bastava, tuBo infaJ diventava unico, faBo a mano, su misura e il singolo cliente era disposto a pagare qualunque prezzo purché il bene acquistato contenesse in sé il valore posizionale defini6vo dell’unicità. Se tuJ posseggono un determinato status symbol svanisce il senso di possederlo. In questo periodo si sta “spingendo” il conceBo di personalizzazione. L’unicità inizia a sos6tuirsi al conceBo di lusso, perché ormai agghindarsi come facevano al tempo di Veblen non era più concepito. Questo era anche stato incen6vato anche dalla massificazione del bene di lusso. Quando noi pensiamo all’unicità dei beni, pensiamo a beni che possono essere sia materiali che immateriali, (es. immateriale un percorso di studi di nicchia per apprezzare una determinata cosa). Oggi i beni materiali sono diventa6 cosi comuni da non essere più rilevatori di uno status quo: sono sta6 democra6zza6. Ma cos’è il lusso oggi? Lusso ad esempio è poter viaggiare dall’altra parte del mondo per scoprire una nuova cultura, oppure apprezzare la cucina giapponese, nonostante sia stata massificata e piaccia a tuJ non è deBo che chi la mangia la sappia apprezzare davvero. La “materialista vistosità" della classe agiata perde di significato aBraverso una serie di simboli che invece caraBerizzano la nostra società. Elisabeth Currid-HalkeB è una sociologa che ha studiato la società contemporanea cercando di vedere come i segni del lusso quo6diani si siano modifica6, e quali simboli u6lizza la moderna classe agiata, anche se ques6 non si vedono subito, non saltano subito agli occhi, ma sono la somma di piccole cose. La “somma di piccole cose” che sono beni, scelte, vanno a caraBerizzare la moderna classe aspirazionale. Nel suo testo moderno Elisabeth nota che ci sono tre parametri importan6 che sono: - il conceBo di classe agiata ha perso completamente il suo appeal, non è più cosi globale poiché riconosce una meritocrazia basata sulle risorse intelleBuali - I beni materiali hanno perso il loro valore dis6n6vo, per dis6nguersi occorre consumare in modo diverso, questo anche perché il lusso si è appunto democra6zzato. Per consumare bisogna u6lizzare probabilmente simboli meno esplici6 ma allo stesso tempo funzionali - Il consumo materiale ha minor valore del consumo che conta, come ad esempio accedere a percorsi forma6vi che forgiano le competenze delle persone in maniera più elevata rispeBo magari a qualcun altro, o la possibilità di accedere ad un assicurazione sanitaria che copre tuBo. La ricchezza ha perso il suo valore disKnKvo poiché la società moderna da più importanza a quella che è la ricchezza culturale. Quando si parla di beni materiali che hanno più valore possiamo pensare ad esempio che un vaseBo comprato come souvenir in Giappone, magari anche faBo da me in un corso lì direBamente, ha più valore di un faberje comprato e messo lì a casa. Quella che Elisabeth chiama la moderna classe aspirazionale è una categoria di persone che rappresentano il loro status con il conceBo del capitale culturale; ovvero si traBa di una categoria di individui il cui status è definito dalla raffinatezza culturale piuBosto che dal reddito. Nelle metropoli quello che succedeva era che, le manifestazioni dei singoli, si fondavano sull’esteriorità dei comportamen6. Un po’ con l’ingrandimento delle grandi aeree urbane, poiché anche i centri piccoli diventavano grandi metropoli, e un po’ anche grazie alla nascita di internet, si è annullata la differenza tra la metropoli, le periferie, e le aeree suburbane annullata sopraBuBo dalla presenza dei social media. Per simmel, il sistema della moda nasce non più con una valenza di dis6nzione dello status sociale, ma con lo scopo di due bisogni: 1. Il bisogno di uniformità: aBraverso la moda l’individuo esprime sé stesso in un linguaggio sociale, visibile e di comune leBura. La moda sancisce l’appartenenza al gruppo. Tramite l’imitazione l’individuo non si sente più solo poiché si orienta verso modelli e contenu6 offer6 dall’esterno 2. Il bisogno di differenziazione, poiché la moda appaga la necessità di rendere evidente la propria unicità, di affermare la propria individualità. Il bisogno di differenziazione nasce dalla paura dell’anonimia, dalla paura di non essere nessuno. Di questo bisogno di essere unici ce ne parla anche Coco Chanel. Lei fu una di quelle donne che non solo rivoluzionò il mondo della moda, ma anche quello femminile. InfaJ disse proprio che non le stava bene il faBo che la donna dovesse indossare i corseJ che la facevano quasi soffocare, e inventò i tubini e tuBa una serie di abi6 che “sponsorizzò” con la frase “differenziarsi per essere unici”. Per Simmel la moda è da un lato imitazione e da un lato differenziazione. “La moda è l’imitazione di un modello dato che appaga il bisogno di appoggio sociale, ma anche quello di diversità.” Si traBa di un vero e proprio dualismo. Questo conceBo lo troviamo nello spezzone di film “Il diavolo veste Prada” poiché la stagista pensa di essere fuori da quello che è il sistema della moda, ma in realtà Miranda le fa capire che è viJma di una serie di scelte faBe proprio da lei. Ciò vuol dire che in realtà tuBo indica un vero e proprio linguaggio, ed una serie di scelte che, faBe nel mondo della moda, hanno finito per influenzare qualcuno. La moda intesa come disKnzione in posizione diale[ca rispeIo alla moda intesa come imitazione di un modello dato. La moda intesa come modello rappresenta una sorta di s6molo: l’individuo può scegliere se seguirlo ed imitarlo o, invece, differenziarsi applicando una personalizzazione o un elemento di dis6nzione. Lo s6le che si adoBa consente alle persone di esprimersi in modo indireBo, indicando il proprio gusto, ma senza esporsi troppo come singoli individui. La moda nonostante sia un fenomeno di imitazione permeBe l’espressione della propria individualità. Ciò che è alla moda offre delle possibilità di espressione personale, chi segue la moda in modo ossessivo esprime, proprio con questo, qualcosa di individuale. TuBo il mondo della moda giovanile, porta a provare anche dei disagi, o al voler essere “controcorrente”, come ad esempio il disagio degli adul6 nel vedere come si vestono gli adolescen6 di oggi, o nell’essere controcorrente nel senso di volere i pantaloni strappa6 e andare quindi contro le tendenze del momento. Il fenomeno della moda prende vita sopraBuBo nel mondo femminile, poiché sono proprio le donne a subire la pressione di questa. Il genere femminile storicamente segregato alla sfera privata e casalinga, non potendosi esprimere in altri campi pubblici si è concentrato sul proprio apparire, per manifestare esteriormente il proprio essere interiore. Le femministe invece trovano uno spazio di espressione pubblico (manifestazioni, proteste ecc) ed iniziano a disinteressarsi alla moda. La moda femminile diventa una sorta di emulazione del ves6re maschile per affermare una posizione di potere. Inizia così il cosiddeBo Power Dressing (“ves6rsi per avere successo”), ovvero per l’appunto l’adozione dell’abbigliamento maschile come giacche con le spalline alte, pantaloni, giacche lunghe ecc.. perché si pensava che ves6rsi uguali agli uomini portasse ad avere più successo. Questo conceBo lo troviamo anche oggi ad esempio in Ursula Von Der Leyen che veste sempre con tailleur di diversi colori. L’unica volta che è stata vista con abi6 casual invece fu quando, dopo essere stata all’università CaBolica, aveva indossato la felpa regalata da dei ragazzi e la foto aveva faBo il giro del mondo. La moda cambia in con6nuazione, ma perché? Il cambiamento è dovuto da quella che è la metropoli, e dice simmel che la moda assolu6zza il cambiamento, propone novità e le meBe con6nuamente in circolo. L’essere effimero è des6nato a svanire, 6pico della moda consente alle novità di essere illimitate. La moda spesso diventa una chiara riproposizione di ciò che accadeva nel passato. Simmel lo osserva questo fenomeno e dice che serve a legiJmare e a dare un po più sicurezza a questo sistema moda che ha perso quel “savoir faire” insieme alla sua crea6vità. Il sistema della moda è infaJ in crisi di idee, e va a riproporre sempre cose passate come ad esempio gli shorts degli anni 50’ riproposta nel 2020. Per la moda conta il cambiamento ma come ogni forma essa tende sopraBuBo al risparmio delle forze e cerca di raggiungere i suoi obieJvi con il minimo sforzo, senza però inves6re troppo. (Fast fashion) Per la moda i riferimen6 del passato hanno la funzione di una patente di nobiltà, di una legiJmazione sancita dal tempo. L’avvento dell’intelligenza ar6ficiale ha permesso di poter u6lizzare archivi infini6, quindi gli s6lis6 possono vedere gli archivi del passato ma allo stesso tempo fare previsioni sugli s6li futuri. Vengono forni6 dei da6 all’AI che raccoglie tuBe le informazioni, fornisce no6zie sugli s6li passa6 e dà una collezione che apparentemente è innova6va, ma che solo chi ha un occhio aBento riesce a riconoscere. Simmel non è l’unico teorico che si è occupato della moda. Le sue osservazioni evidenziano che la diffusione della moda avviene sempre dall’alto verso il basso, dalle classi dominan6 che danno codici di abbigliamento che vengono faJ propri o copia6 dalle classi inferiori. I modelli di diffusione sono ad esempio Jackie Kennedy, Kate Middleton, Michele Obama e cosi via. Se Kate indossa un abito di zara c’è chi non lo compra per differenziarsi e chi lo compra per essere uguale a lei. Trickle down Effect: secondo Simmel le mode sono sempre mode di classe, quelle della classe più elevata si dis6nguono da quelle della classe inferiore e vengono abbandonate nel momento in cui quest’ul6ma comincia a farle proprie. Le classi superiori si appropriano di nuovi beni di consumo per demarcare il loro status e, una volta che tali beni si diffondono anche nelle classi subalterne, essi ne individuano di nuove. Le classi inferiori per emulazione si appropriano dei nuovi beni di consumo appena ne è loro possibile. (Gocciolamento verso il basso) Negli anni successivi un sociologo appassionato di fotografia ha studiato, in giro per il mondo, e ha scaBato fotografie alle persone per trovare delle differenze di qualunque 6po (si chiamava Teo Polhemus), raggruppandole poi per caraBeris6che comuni sopra un grande tabellone. Da questa mostra ne è emerso che i gruppi sociali più deboli, tendono a sviluppare una moda propria, perché le case di moda mandano in giro per il mondo quelli che sono i “trend Hunter” che sono cacciatori di tendenza, per ricercare nuove tendenze e riportarle nelle maison di moda, poiché queste input provenien6 dalla strada rappresentano quelli che potrebbero essere i nuovi s6li della moda. BoIom-up effect Il boBom-up effect di Flugel ci parla di: 1. Compe66vità sociale che non è in grado di spiegare la diffusione della moda, ma è fondamentale anche la compe66vità sessuale 2. L’aristocrazia della moda che non è più formata solo dalle classi più elevate, poiché importan6 influenze provengono anche da classi medie o da altri gruppi sociali influen6 3. La direzione di diffusione delle tendenze di moda può andare dall’alto verso il basso ma anche in direzione opposta Flugel ci propone questo modello perché ciò che viene a mancare è la dis6nzione in classe e la necessita di classificare le persone in “stra6” sociali; questo porta infaJ ad una società più fluida dove una persona può essere la persona più intelligente del mondo alle 12 del maJno e poi la persona punk che ama la musica rock di noBe. Il piercing è una di queste tendenze di moda che viene dal basso che però aveva un significato diverso da cultura in cultura, come ad esempio per gli indiani aveva un significato più religioso, mentre invece i punk era proprio un bisogno di forare il proprio corpo per essere trasgressivi, di tendenza. Naomi Campbell si presenta in passerella con l’ombelico scoperto e il piercing, sdoganando il faBo che il piercing fosse quindi “roba da ragazzacci punk”. Questo da la svolta alla società poiché dall’essere un qualcosa visto di mal occhio, si passa ad un oggeBo da portare in passerella che sarebbe diventato simbolo di indicazione. La terza teoria di diffusione della moda dice che la moda può avere origine in vari contes6, in vari gruppi sociali, che possono essere temporanee e, inoltre, dice che in gruppi sociali diversi possono nascere 6pi di moda diverse. I gruppi non hanno più una neBa demarcazione, ma è tuBo un po mixato che raggruppa culture differen6. Ad esempio la moda tribale proviene dall’osservazione delle popolazione africane ed è molto distante da quella che è la moda europea, ma intanto si è trovato qualcosa di rilievo anche aBraverso i tessu6, che però, venivano adaBa6 agli abi6 più di stampo europeo. Trickle-across (G. Fabris e C. King) Le mode non si diffondono dall’alto verso il basso o al contrario, ma piuBosto circolano aBraverso, il flusso di informazioni riguardan6 la moda e le influenze che ogni individuo riceve, quindi “gocciolano aBraverso” ciascun gruppo socioeconomico. La caducità/infedeltà della moda Ogni moda si diffonde rapidamente, ma ogni moda dura un baJto d’ali. Il vero fascino s6molante e piccante della moda sta nel contrasto fra la sua diffusione ampia e onnicomprensiva e la sua rapida e fondamentale caducità. (Pag 64-65) Questa teoria della moda, che sembra perfeBamente costruita da Simmel, fu però contrastata da Blumer, un giornalista/sociologo del seBore della moda. Blumer si rese conto di come la moda non sia solo deBata da uno s6lista, ma di come ci sia un sistema che ha un grosso rilievo su tuBo quello che c’è dietro un singolo abito e una sfilata. I social media, sono in grado di far crollare o promuovere un capo di moda, e le classi privilegiate, che siano classi intese come gruppi emergen6 o non, possono influenzare il gusto ma non controllarlo, perché il meccanismo di promozione della moda è un meccanismo ar6colato con tante voci che operano contemporaneamente in grado di influenzare i gus6 delle persone. Il gusto diventa quindi metodo di classificazione sociale aBraverso cui gli individui classificano gli altri e se stessi e vengono a loro volta classifica6. Le scelte di gusto sono quelle che consentono ad un osservatore esterno di classificare le persone in un contesto sociale. Il conceBo di gusto non è quindi innato ma è deriva dalla percezione delle persone che si trovano all’interno del contesto sociale. I gus6 diventano quindi, strumen6 per definire gli s6li di vita e sono essenzialmente sociali. Esistono diversi gus6 nella società ovvero: - Il gusto legiJmo che aumenta con il livello di istruzione - Il gusto medio che riunisce le opere minori delle ar6 maggiori. Una sorta di gusto aspirazionale. Esso riunisce quelle forme di inclinazione nei confron6 di determinate scelte che vorrebbero aspirare ad essere un gusto legiJmo ma non ce la fanno. - Il gusto popolare è rappresentato, ad esempio, dalla musica leggera, che subordina la forma alla funzione (si contrappone al gusto legiJmo ed è, ad esempio, la low brow culture, composto da persone che sono più interessate alla funzione che alla forma. TuBo quello che racchiude quelle forme ar6s6che “facili”, come ad esempio i buraJni contrappos6 all’opera) Basandosi sul livello di possesso del capitale economico e di quello culturale, Bourdieu ha costruito una mappa dello spazio sociale che, semplifica come le condizioni dei soggeJ in termini di capitale possano trasformarsi in scelte rela6ve sui beni di consumo. Questa mappa dello spazio sociale rappresenta la società francese di fine anni 70, che esemplifica come la posizione individuata nella mappa possa avere come conseguenza un insieme specifico di scelte rela6ve a scelte di beni di consumo e prodoJ culturali. La mappa socio culturale è uno spazio, che viene iden6ficato dall’incrocio di due assi, all’interno del quale noi collochiamo delle cose. La mappa socio culturale di Bourdieu deriva da una raccolta di da6. La maggior parte di quelle mappe che troviamo sono mappe sociosemio6che, che spesso sono definite da quella che è chiamata un’analisi desk dove c’è qualcuno che specifica quali sono gli elemen6 rilevan6 per compiere quest’analisi. Bourdieu ha creato un ques6onario, ha raccolto delle opinioni della società francese e, in piccolo, ha raccolto tuBa una serie di informazioni sociodemografiche, legate ai consumi (che cosa leggono, che cibi mangiano, ecc) e alle nozioni legate anche alle origini (da dove vieni, che fanno i tuoi genitori ecc). Le due variabili principali di questa tabella/mappa, sono il capitale economico e il capitale culturale. L’asse principale è l’asse nord-sud, perché comprende le variabili che caraBerizzano maggiormente la società. (Le variabili che più descrivono la società sono il faBo che ci sia una combinazione si alta che bassa di entrambi i capitali). Il secondo asse è quello che alterna la quan6tà di capitale economico a quello culturale, alternandoli tra alto e basso. La mappa di Bourdieu ci dice che sulla base dei da6 che lui raccoglie, abbiamo una varietà di da6 che rappresentano le differenze che ci sono all’interno della società, ma che sempre come punto di riferimento vengono classificate con il capitale economico e il capitale culturale. La descrizione di Bourdieu è una descrizione molto precisa, grazie a questa raccolta di da6. Questo viene faBo ancora oggi come ad esempio con le ricerche di mercato, per poter dipingere e disegnare una mappatura di quella che è la società odierna. Per Bourdieu c’è una rigidità intrinseca della società, quindi secondo lui per le persone che hanno un basso capitale economico ed un basso capitale culturale, non è plausibile che possano cambiare e che possano avere questa “scalata sociale”, è più probabile che ci possa essere una piccola variazione piuBosto che un cambiamento radicale. La mappa deriva da delle sta6s6che. Bourdieu ci dice che i gus6 e le preferenze si organizzano in specifici s6li di vita che caraBerizzano differen6 gruppi sociali. I consumi definiscono gli s6li di vita e la dis6nzione per Bourdieu avviene aBraverso la cultura. Le preferenze, i gus6, le competenze, la percezione del mondo, il giudizio este6co degli individui, hanno un fondamento radicale sociale. Dipende cioè dalla posizione che le persone occupano nella società. Lezione 8! Pierre Bourdieu (2) La dis6nzione tra basso/alto capitale economico corrisponde alla dis6nzione tra cultura alta e cultura bassa. Questa dis6nzione secondo l’autore corrisponde e deriva dal faBo che esistono due 6pi di este6che che sono in con6nua loBa fra loro: - Este6ca kan6ana - Este6ca an6 kan6ana Per Bourdieu come si caraBerizza l’este6ca kan6ana? Essa fa riferimento alla teoria del filosofo Kant. L’este6ca kan6ana è di per se un’este6ca elitaria, ovvero dedicata a gruppi ristreJ di persone, e non ha bisogno di un piacere immediato, perché in realtà il gusto popolare predilige il contenuto rispeBo alla forma, mentre per il gusto legiJmo era il contrario. L’este6ca kan6ana è di faBo un’este6ca che non ha bisogno della fruizione immediata dell’opera d’arte, (di capire in maniera direBa l’opera d’arte) ed essa rinuncia al piacere immediato. (Non prevede che uno si meBa davan6 un quadro e dica “bello, mi piace”). L’este6ca kan6ana si basa anche su: - la distanza dalle cose - Un aBeggiamento contempla6vo - Appropriazione colta (non tuJ sono in grado di avere le competenze necessarie per essere in possesso di questa este6ca, bisogna essere col6 infaJ) - Autonomia della rappresentazione (l’arte non è necessariamente legata ad un contenuto che sia immediatamente percepibile, non è necessario che si traJ di arte figura6va. L’immagine si slega dal senso, bisogna che siano gli altri che sappiano interpretarla) - Difficilmente accessibile L’arte astraBa può essere un buon esempio, infaJ può essere apprezzata dalle persone in possesso da un e6ca kan6ana, dato che non ci sono immagini specifiche con contorni e figure, ma ci sono delle linee sparse sulla tela e siamo noi che dobbiamo interpretarle; anche se difficilmente suscita un “mi piace” o un “non mi piace”, ma ci sono infaJ significa6 più profondi. Secondo Bourdieu l’este6ca an6 kan6ana è un este6ca popolare: - provoca diver6mento immediato (scatena sensazioni che ci fanno dire “mi piace” o “non mi piace”) - Sensazioni fisiche (ci provoca sensazioni di benessere) - È accessibile a tuJ (capisco, interpreto e mi faccio un’idea di ciò che viene rappresentato) - C’è autonomia nell’oggeBo rappresentato (siamo in grado di dare un’interpretazione) I quadri degli impressionis6, sono un buon esempio per capire quello che intendiamo con “este6ca an6 kan6ana” ma anche il “gusto medio” definito da Bourdieu lo è. Le persone erano infaJ in grado, anche senza aver studiato, di capire difronte a questo 6po di quadri cosa c’era rappresentato e si era in grado di dire “mi piace” o “non mi piace”. Gli impressionis6 allora rappresentano l’este6ca kan6ana perché non si ha bisogno di avere una base di storia dell’arte per interpretare quello che vediamo sul quadro, non ci sono doppi sensi come magari nei quadri rinascimentali, ma erano accessibili a tuJ. Gli impressionis6 sono i più ricerca6 per le mostre perché sono quelli più apprezza6 da tuJ. Pierre Bourdieu ci dice che nel contesto sociale alle due este6che corrispondono due gruppi dis6n6: - L’élite sociale: coloro che sono col6 e quindi appartengono all’este6ca kan6ana - Le classi popolari: coloro che invece appartengono all’este6ca an6 kan6ana Quelli delle élite sociali non conoscono l’esistenza dell’este6ca an6 kan6ana e le classi popolari non hanno le competenze per accedere all’este6ca kan6ana, quindi Bourdieu dice che ogni gruppo rifiuta l’este6ca dell’altro, quindi questo provoca ,all’interno del contesto sociale, il conceBo della dis6nzione. Bourdieu dice che tuBo quello che noi rifiu6amo è altreBanto importante di quello che scegliamo. Il gusto implica automa6camente il disgusto e questo è quello che porta all’idea della dis6nzione. L’habitus L’aBeggiamento este6co è una espressione dis6n6va di una posizione nello spazio sociale, ma è anche una manifestazione del gusto. Il gusto unisce e separa: - unisce le persone della medesima condizione sociale - le separa dagli altri Il gusto è la manifestazione pra6ca di una differenza. Il gusto non è pra6camente scelto ma determinato dalla condizione sociale ma anche dal conceBo di quello dell’habitus. Il compito dell’habitus è quello di far si che le persone siano in grado aBraverso le scelte che fanno di creare delle enclave di consumo coeren6 fra di loro. (Induce le persone ad essere coeren6 nelle loro scelte di consumo). Il conceBo dell’habitus è un meccanismo culturale che genera la relazione tra posizione sociale e consumi culturali, struBurando i gus6. Bourdieu dice che a questo punto se il gusto viene influenzato dall’habitus, in realtà il vero responsabile della dis6nzione sociale è proprio l’habitus, perché esso determina ed influenza l’aBeggiamento mentale e che è in grado di orientare le scelte e le pra6che di consumo degli individui. L’habitus aBribuisce una struBura alle scelte effeBuate dai singoli individui così da renderle coeren6, anche se vengono osservate all’interno di seBori mol6 diversi della vita quo6diana. Il conceBo di omogeneità consente di iden6ficare dall’esterno cer6 6pi di vita, aBeggiamen6, pra6che di consumo. Nell’oJca di Bourdieu, questa omogeneità, non è data dalla volta degli individui di adoBare un certo s6le di vita, ma l’autore ci dice che la posizione sociale guida le persone a fare certe scelte. Noi come consumatori adoJamo delle scelte di consumo diverse se l’oggeBo ci coinvolge dal punto di vista emo6vo, infaJ quello che ci interessa quando lo compriamo è come ci fa sen6re e l’esperienza che viviamo nel momento dell’acquisto. Allo stesso tempo possiamo essere, però, persone che comprano il giorno prima il pacco di pasta in offerta solo perché ne abbiamo bisogno e vogliamo pagare di meno. Questo conceBo di Bourdieu (dell’habitus, e del gusto), in realtà non funziona, come probabilmente non funzionava neanche nella società francese del 700. Noi consumatori abbiamo dei comportamen6 di consumo differen6, pra6chiamo tecniche di consumo differen6, e per questo si dice che che la persona e il consumatore è molto spesso “culturalmente onnivoro”. Il conceBo della coerenza nelle scelte di consumo è un conceBo che piace ai sociologi del consumo; questo perché si dice che ci sia un driver forte che porta i soggeJ ad essere coeren6, che noi vediamo essere assolutamente superato. L’habitus non è scelto dal soggeBo, perché non si ha la possibilità e la capacita di scegliere, ma esso costruisce il pensiero di consumo del soggeBo e per questo è immutabile. È proprio con questa definizione che qui conosciamo e incontriamo quel conceBo di determinismo, basato sul faBo che ci siano delle forze indipenden6 che guidano il consumatore nelle sue scelte di consumo ogni giorno. I mods erano i “bravi ragazzi” inglesi che provenivano dalla working class e guardavano avevano scelto, come simbolo di riferimento, quella che era la polo creata da colui che sempre proveniva dalla working class, ma era riuscito ad uscirne e a fare una sorta di “upgrade” sociale, ovvero appunto Frederick John Perry. Gli anni 50 in Inghilterra erano una sorta di “fase di passaggio”, dato che l’Inghilterra usciva dal confliBo mondiale come vincitrice, ma la situazione non era per niente una situazione di benessere economico, anzi tuB’altro, infaJ la working class cercava di riscaBarsi anche economicamente. Questo avviene nella seconda metà degli anni 50 con la “Swinging London”. Durante ques6 anni i mods erano una subcultura quindi che usava come segno dis6n6vo le polo Fred Perry, con questo valore di riscaBo sociale: essi provengono dalla working class ma poco importa, l’abbigliamento li rende unici. I mods (che erano par6colarmente aBen6 alla moda, a farsi notare, erano più elegan6 ecc) si ritrovano però in contrasto con i rockers che si ispiravano al mito dell’America “selvaggia”, giravano sulle moto grosse, u6lizzavano giacche di pelle, con collane borchiate e così via. (Inizialmente quindi la polo Fred Perry era sinonimo di “modernism” di mods quindi). Alla fine degli anni 50 l’Inghilterra entrò in una nuova fase, completamente diversa dalla prima, non più una fase di risveglio, post bellica, ma una in cui l’economia inglese per una volta si trova in grande difficoltà. Sono gli anni di Margaret Thatcher, che domina la scena inglese facendo crescere il malcontento giovanile che trova sfogo negli animi spor6vi come nel calcio. Nascono anche gli “skinheads” che erano ragazzi con la testa rasata e vestono con i cargo, la Fred Perry ecc. Un segno dis6n6vo può assumere diversi significa6 nel corso del tempo e riesce a “cannibalizzare” il tuBo, il che non è però un’azione volontaria, ma sono le subculture che assorbono un determinato brand come segno di riferimento per il proprio gruppo. Fred Perry ha sempre mantenuto il legame con le subculture, infaJ mol6 negli anni hanno faBa propria la “coroncina d’alloro” come loro simbolo dis6n6vo, sponsorizzando indireBamente il brand. Quest’ul6mo allora decise di creare un vero e proprio fes6val delle subculture, e decise anche di costruire la propria iden6tà e il proprio sistema valoriale propio su queste. Le fasi di studio delle subculture sono sostanzialmente due con diverse interpretazioni: - Subcultura e resistenza con Hebdige - Subcultura e dis6nzione con S.Thornon e Polhemus Il conceBo di subcultura, come devianza, fu considerato all’inizio, quando si pensava che chi facesse parte di una di queste fosse “un malavitoso”, che usava le armi, che conduceva una vita “poco agiata”, e si diceva che essi dovessero essere manda6 in carcere o essere cura6 perché, per l’appunto, avere una devianza era un qualcosa che necessitava di cure apposite. Il termine di subcultura inteso come resistenza, si collega al sociologo Hebdige che la vede come un gruppo di persone, prevalentemente giovani, che rifiutano la cultura del tempo, deBa anche cultura “Genove” (che era quella della generazione che li ha precedu6), che imponeva un sistema di regole che non era da loro condiviso. Le immagini e tuBo quello che veniva proposto dai mass media di questa subcultura, potevano assumere dei significa6 diversi dalla cultura dominante e diventano degli elemen6 di sovversione. I membri della subcultura si differenziano dal resto della società, con lo s6le di vita, l’abbigliamento e modi di fare mol6 diversi da quelli che sono gli usi e i costumi della società dei tempi. Hebdige scrive un libreBo sulla subcultura, analizzandone varie e definendone propio lo s6le, la forma di adesione este6ca ed e6ca di una subcultura. L’appartenenza ad un determinato gruppo, è un appartenenza si, ideologica, che però passa aBraverso un codice este6co: nella società di massa lo s6le è una forma di adesione este6ca ed dedita di gruppo a culture che comprendono vari ambi6 come il modo di ves6re, la musica, la leBeratura, il cinema, le abitudini quo6diane. Ogni subcultura trova dei segnali espressivi che genavano la loro appartenenza e che Hebdige li chiamava “s6le dis6n6vo simbolico” che comprende le mode, le immagini ecc. Iden6tà e resistenza si esprimono in uno s6le dis6n6vo, che molto spesso si appropria di simboli della cultura dominante. Hebdige osserva come dei simboli, diventano gli elemen6 di dis6nzione che vedono estrapola6 dalla cultura dominante, rifaJ propri, dando vita ad un processo di “risignificazione” completamente loro e nuovo che permeBerà di conoscere la subcultura di riferimento. Il sistema della moda si inserisce proprio qui dato che è un sistema complesso che prende le cose che a lei interessano e li inserisce nel suo sistema proponendoli ad un pubblico di massa. Lo s6le trova nuove espressioni negli street styles dai rocker ai punk. L’industria culturale tende a riassorbire gli elemen6 di queste subculture, che a questo punto potremmo anche chiamare soBogruppi; prendendoli e rendendoli commerciali e vendibili a tuJ. I mass media da un lato partecipano alla costruzione delle subculture, perché nel momento stesso in cui portano alla ribalta un elemento di s6le contribuiscono al processo di creazione di una di esse; ma allo stesso tempo dopo che legiJmano una subcultura, la rendono nota a quelli che sono i consumatori seriali dei mass media, e questo segno dis6n6vo viene elaborato, espropriato dal proprietario e reso visibile e noto a chiunque, e, facendo così molte persone se ne riappropriano. La cultura e la subcultura vivono in simbiosi, non può esistere una senza l’altra, e mass media e media culturale determinano quei processi di significazione e designificazione. I punk nascono negli anni 70’ in due contes6 diversi. Essi nascono in contemporanea con gli skinheads quando appunto vi era questo malcontento giovanile generale. In questo contesto i giovani non si riconoscono, non sentono di appartenere al mondo in cui vivono, non capiscono perché il mondo sia arrivato a questo “sfascio” o a questo “fardello economico”, dopo due guerre da cui l’Inghilterra ad esempio ne era uscita entrambe le volte vincitrice. Ques6, allora, decidono di contrapporsi alla cultura generale, con una resistenza che passa anche aBraverso la differenziazione este6ca, lo s6le, ad esempio creando il nuovo look con la “cresta”, con i giubboJ borchia6 che stavano a significare come “non 6 avvicinare” o “sono un 6po pericoloso”. I punk nascono quindi con la necessita della ribellione, per contrapporsi a quella borghesia ad esempio dei mods. Il mercato di massa ha legiJmato ques6 significa6 adoBando ques6 simboli e in qualche modo immeBendoli in qualche mercato di massa come quello della moda. A questo punto Hebdige parla di una strategia di “denaturalizzazione” dello s6le, dove un elemento viene scontornato, ritagliato dalla sua cultura generale e posto in un contesto talmente diverso da provocare lo shock a chi lo vede. Questa denaturalizzazione dello s6le è un qualcosa che perde il suo significato originale e diventa una leBura paradossale. Per i giovani punk una leBura paradossale è una leBura del sistema dal quale provengono, che a loro sembra che li s6a portando verso una via senza uscita, quindi il loro abbigliamento deve riproporre questo shock che loro sentono. Il dadaismo infaJ pone l’aBenzione su qualcosa che perde totalmente significato e da una leBura paradossale, esso crea una pra6ca surrealis6ca, una pra6ca all’interno del quale gli s6li “soBo culturali” (subculture) si dis6nguono dagli s6li tradizionali perché sono volutamente, e intenzionalmente, fabbrica6 con questa logica di shock. Sara Thorton riprende i conceJ di Bourdieu, (che parla di capitale culturale che va a costruire l’iden6tà della persona) li capovolge e li descrive invece, parlando delle subculture, parlando di “capitale soBoculturale” , quindi un ambito di conoscenza specifico rela6co a queste subculture. Non si parla più di devianza o di resistenza, ma il termine subcultura adesso è inteso come una vera forma di dis6nzione, un elemento di separazione. TuJ ques6 segni dis6n6vi diluiscono la loro carica ideologica e diventano, seconda Sara Thorton, una seri di merci che vengono u6lizzate da una subcultura in maniera da determinare il loro status di subcultura e differenziare se stessi. Tante subculture del tempo condividono lo stesso malcontento ma ognuno esprime i propri valori in una maniera differente dagli altri, facendo nascere così quelle che erano chiamate culture di gusto. Le culture di gusto erano delle subculture che erano omogenee all’interno, ed eterogenee rispeBo all’esterno, in grado di poter sviluppare una dis6nzione coerente che riguardasse un par6colare coinvolgimento. L’elemento di scelta non era più un’ideologia forte, ma esse erano dotate di confini elas6ci e permeabili, ed erano inserite all’interno di rappor6 di interazione e commissione (non in confliBo) con l’industria culturale e i mass media. In principio vi era quindi un collante cosi forte da poter tenere insieme i vari gruppi, ma adesso è proprio il gusto a tenerli insieme, grazie anche ai segni dis6n6vi. Questo rende difficile l’iden6ficazione delle subculture perché il loro s6le può essere adoBato per altri scopi diversi da quelli che erano i loro obieJvi, ma anche perché le subculture si avvicinavano ad un mondo sempre più fluido dove essere versa6li non era una scelta ma quasi un segno dis6n6vo. Per Sara Thorton è importante capire il fascino sovversivo delle varie subculture, che cosa faceva si che si appartenesse ad una o più di esse. Lei definisce questa ricerca con il termine di “coolness”, una ricerca che è la stessa che il sistema della moda u6lizza per vendere i vari capi. La coolness era una capacita dis6n6va che faceva essere “wow”, “cool”, insomma, diverso dagli altri; in un contesto in cui la massificazione era imposta dalla società. La moda si muove infaJ da un lato sulla massificazione dall’altro verso la differenziazione. Questo processo di appropriazione culturale, da parte del sistema mediale, può spesso portare allo svilimento della subcultura, poiché i suoi membri devono andare a ricercare dei nuovi elemen6 di dis6nzione, dei nuovi s6li di vita che sembrano estranei alla società tradizionale. Inizia quindi questa ricerca di nuovi elemen6 dis6n6vi, poiché la moda interceBava e portava alla ribalta i segni delle varie subculture, facendo si che esse si evolvessero trovando nuovi elemen6 e arrivando ad oggi con una fluidità maggiore. La cresta dei punk diventa qualcosa di diffuso nel sistema mediale. Bastava infaJ che un calciatore o qualcuno di famoso si facesse una cresta per essere “alla moda”. I mass media, con il loro potere media6co, sono riusci6 a spingere indireBamente le industrie crea6ve che hanno poi creato un cappellino con la cresta sopra. Polhemus parla del “supermercato degli s6li” cioè il sistema della moda meBe a disposizione vari elemen6 dis6n6vi, qui ognuno va e compra dei simboli, li mixa fra di loro e crea dei segni dis6n6vi. Il sistema della moda acquisisce e fa diventare mainstream qualcosa che invece appar6ene alla cultura di strada. I graffi6 newyorkesi diventano, ad esempio, l’elemento ar6s6co della collaborazione tra un famoso pas6ccere e uno s6lista che da vita ad una collezione di scarpe molto famosa. Spesso le subculture hanno, come elemento aggregatore, la musica che, in un certo senso, diventa la sua colonna sonora, spesso, però, queste musiche sono anche l’elemento più “sbandierizzabile” da quelli che sono i mass media infaJ, queste diventano delle “hit” perdendo il loro senso e6co all’interno di quella subcultura. Baudrillard ci dice che quando desideriamo degli oggeJ ques6 cos6tuiscono un sistema globale, arbitrario e coerente dei segni. Il sistema degli oggeJ è infaJ struBurato come la lingua, fra le merci vigono delle relazioni di natura sintaJca. Questo è un sistema che è struBurato in maniera analoga a quella che è la struBura di una lingua, dove le parole non sono viste come singole ma come un insieme di esse; lo stesso succede anche nel sistema merci infaJ. Gli individui non consumano gli oggeJ per il valore d’uso che ques6 hanno, ma secondo Baudrillard essi consumano dei segni, ovvero: di faBo il valore dell’oggeBo non è legato a quello che è il suo valore d’uso ma a quello che è il suo significato. Questo perché le persone sono in grado di dimostrare che possono conseguire una posizione importante, che è in grado di differenziarci all’interno del contesto sociale. Il ruolo degli oggeJ infaJ è far si che le persone, u6lizzandoli, si sentano differen6, perché la funzione d’uso alla fin fine, non ci differenzia, ma se ci fermiamo sul significato possiamo individuare la nostra posizione all’interno del contesto sociale. C’è quindi, un bisogno di dis6nzione, come diceva Bourdieu, ma tra quest’ul6mo e Baudrillard, c’è una differenza sostanziale perché le riflessioni dell’ul6mo sono di caraBere più filosofico e non basate su un interpretazione di da6 che lui raccoglie, come invece era solito fare Bourdieu. Le conclusioni a cui arrivano ques6 due autori, non sono tanto diverse però, perché la società è la stessa e il periodo storico si differenziava più o meno di 10 anni. La piramide di Maslow Maslow fu uno psicologo e, con la sua piramide, ci descrive la gerachizazzione secondo la quale gli individui nel corso della loro storia soddisfano vari bisogni di vario 6po. Baudrillard non ignora questa piramide di bisogni, ma nella società che lui osserva, si, esistono i bisogni primari, ma la società ormai ha raggiunto la punta massima della piramide di Maslow, cioè il massimo del benessere che è racchiuso nel “self-actualiza6on”, che ormai i bisogni primari sono già soddisfaJ e quindi si danno per sconta6. Gli oggeJ vengono consuma6 perché questo dimostra una determinata appartenenza ad una determinata classe sociale. Non si potevano però soddisfare i bisogni più al6 della piramide se non si soddisfacevano prima i bisogni che stavano alla base. Baudrillard ci parla quindi di una società avanzata, che non ha bisogno di concre6zzare i bisogni primari, ma è già passata a quelli secondari. Anche se i consumatori sono sodisfaJ dal punto di vista economico, non è deBo che lo siano anche dal punto vista emo6vo. I beni cos6tuiscono quindi un sistema globale, arbitrario, coerente dei segni; mentre il sistema degli oggeJ rappresenta un insieme comunica6vo unitario, risultante dall’unione e dall’interazione fra gli specifici significa6 possedu6 e le singole merci. Quello che è importante per lui, e quello che spiega nel suo libro, è la capacita del sistema degli oggeJ di poter comunicare la posizione di un gruppo di persone all’interno di un contesto sociale. Il consumo assume una funzione di 6po ideologico che consiste nella creazione di precise regole di combinazione e pra6che d’uso, dei beni per ciascuna classe sociale. Gli oggeJ comunicano le posizioni e le differenze che esistono tra i gruppi all’interno delle varie classi sociali. Una simile ideologia l’aveva Bourdieu: infaJ quando lui parlava degli s6li di vita, dice esaBamente la stessa cosa, ovvero che gli s6li di vita ci aiutano a comprendere la posizione che gli individui hanno all’interno del contesto sociale. La diversità sta nel modo, nel 6po di riflessione dato che i due autori avevano pensieri diversi, e modi di approcciarsi alla società del tempo differente, nonostante appunto si parli di una società che era la stessa (società francese), ma in contes6 differen6, da6 dal tempo, dato che erano passa6 all’incirca una decina d’anni. Possiamo però parlare anche di un altro 6po di differenza, cioè che per Bourdieu gli oggeJ si meBono in maniera sistemica come se avessero una loro indipendenza, ma anche l’idea del gusto e dell’habitus che influenza il gusto, che fa si che le persone scelgano degli oggeJ rispeBo ad altri. In un caso abbiamo un individuo che anche se non in maniera produJva, ma tramite il gusto e l’habitus, seleziona degli oggeJ che poi dall’esterno hanno come fine solo quello dell’este6ca; nel caso di Baudrillard invece l’individuo fa molto poco, perché l’idea degli oggeJ, deriva dal sistema della produzione, infaJ si dice che l’individuo sia di 6po “passivo” rispeBo a l’individuo descriBo da Bourdieu. Bourdieu nega la capacita di autonomia dell’individuo, poiché si muove da una logica deBata dal gusto e dall’habitus che fanno si che l’individuo compia delle scelte coeren6. Nel caso di Baudrillard l’individuo ha ancora meno autonomia perché, il sistema dei bisogni è legato da delle logiche che sono legate al mondo della produzione, quindi è il sistema della produzione che immeBe sul mercato degli oggeJ aBribuendo loro anche un significato. Gli individui sono ancor meno padroni delle loro scelte. Baudrillard trascurava il faBo che ci fosse un bisogno alla base e che gli oggeJ venivano consuma6 non tanto per il loro valore d’uso ma di più per il loro significato. Il ruolo ostentaKvo e vistoso del consumo Riprendendo Veblen, anche per Baudrillard esiste un ruolo ostenta6vo e vistoso del consumo, e questo ruolo però non è legato tanto al 6po di oggeBo, ma quanto al significato che questo oggeBo ha. Quindi, questo valore di segno e di significato che si aggiunge al valore d’uso e al valore di scambio (che sono i due valori base) vengono considera6 all’interno dell’economia classica. Quindi: - il valore dell’oggeBo è legato al faBo che deve soddisfare la sua funzione primaria - Il valore di scambio riguarda il suo valore economico, il valore che l’oggeBo assume nel momento in cui viene scambiato con un altro oggeBo. Si dice infaJ che il prezzo è l’astrazione del valore di scambio. In una logica pre moneta, gli oggeJ venivano scambia6 in base al valore degli oggeJ. Quando avviene questo scambio, questo è l’equivalente al dare un valore economico. Il denaro non è altro che uno stratagemma per dare un valore ad un oggeBo; si dice infaJ che il valore d’uso e valore di scambio sono gli elemen6 fondamentali dell’economia e sono valori aggiun6. L’obieJvo del valore di segno/significato è quello di descrivere l’appartenenza del consumatore ad un determinato status sociale, e la posizione differente che gli individui hanno all’interno di un determinato contesto sociale. Quindi secondo Baudrillard è il valore di significato quello in grado di spiegare e far capire come la società e gli individui si struBurano all’interno del contesto sociale. Il valore degli ogge[ - Il valore funzionale o valore d’uso dell’oggeBo coincide con la funzione o con lo scopo materiale dell’oggeBo. Ad esempio io acquisto una felpa e il valore della felpa è equivalente allo scopo di tenermi caldo. - Al contrario il valore di scambio corrisponde al valore economico, quando all’oggeBo dò un prezzo, il brand, ad esempio è un valore intangibile che gli aBribuisce un valore aggiunto. - Il valore simbolico invece, corrisponde al valore che il soggeBo, che possiede l’oggeBo, aBribuisce a questo, quando lo valuta e lo confronta rispeBo ad un altro oggeBo. Ad esempio l’oggeBo donato ha come elemento fondamentale il valore simbolico e può essere NON correlato né al valore d’uso né al valore di scambio. Baudrillard aggiunge a ques6 valori il valore segnico, che è un valore che, secondo lui, esiste all’interno di un sistema di altri oggeJ. Per cui, questo valore di segno è comprensibile quando noi consideriamo l’oggeBo all’interno di un insieme di oggeJ. Ad esempio il diamante, che non ha nessun 6po di u6lità, veicola un valore sociale, il gusto e il 6po di classe sociale di chi lo possiede. Se noi ci concer6amo di quest’aspeBo (del valore segnico) il diamante viene considerato all’interno di un insieme di oggeJ che vanno a descrivere la posizione dell’individuo all’interno della classe sociale. Per riassumere: il valore segnico per Baudrillard è un valore che sta ad indicare la capacità di un oggeBo di comunicare qualche cosa. Le merci si caraBerizzano per un valore segno in grado di indicare: - l’appartenenza del consumatore a un determinato status sociale - il suo grado di differenziazione rispeBo ad altri oggeJ Quello che viene scambiato, aBraverso le logiche del consumo, non fa riferimento solo alla merce, ma lui dice che bisogna prestare aBenzione alle differenze di significato che hanno il compito di riprodurre quella che è la differenziazione sociale. Baudrillard dice che studiando il sistema degli oggeJ, siamo in grado di capire com’è struBurata la società e la sua capacita di riprodursi, di struBurarsi e di mantenere questa struBura nel tempo. Il consumo ha un ruolo ostenta6vo e vistoso, come diceva Veblen, ma nei suoi scriJ l’ostentazione era legata al faBo che gli oggeJ dovevano dimostrare la ricchezza dell’individuo, mentre con Baudrillard si ha quest’idea di consumo ostenta6vo e vistoso, ma abbiamo una somma di significa6 molto più complessi alla semplice idea della ricchezza. Baudrillard scrisse anche un altro testo, in cui affronta il tema dei consumo, che si in6tola “la società dei consumi”. Qui, ha un approccio quasi da filosofo, e considera il consumo, non solo dal punto di vista dell’aBo d’acquisto ma fa una riflessione: dice che, in realtà, il consumo è una sorta di depense . Questo termine lo prende da un filosofo francese che si chiama “Bataille” e spiega che, questa, è una forma improduJva di consumo in cui l’accento viene posto sul conceBo di perdita. Lui dice che la società ha raggiunto un tale livello di complicazione di evoluzione, per cui il livello di consumo è considerato proporzionale alla quan6tà di quello che viene distruBo. Se noi ci pensiamo, la parola consumo ha a che fare con il conceBo di distruzione: quando noi ad esempio diciamo “le mie scarpe sono consumate” intendiamo che la suola è ormai quasi “distruBa”, l’e6mo che sta alla base del conceBo di consumo ha a che fare con il conceBo di distruzione. Questo conceBo, in quello che dice Baudrillard, ritorna perché, il conceBo di depense implica che il consumo non sia importante in quanto produzione di qualcosa, ma in quanto distruzione. Baudrillard infaJ dice che la depense è tanto più evidente, quanto più il valore di significato dell’oggeBo si allontana dal suo valore d’uso. Se consideriamo le opere d’arte, ad esempio, le opere d’arte hanno un elevato prezzo si, ma infondo se noi ci pensiamo, qual è il loro reale valore d’uso? Potrebbe essere ad esempio lo scopo di coprire un qualcosa sul muro, oppure meno tangibile, ci fa sen6re bene; ma non ha un reale valore d’uso come ad esempio una felpa che ci 6ene caldi. In questo caso, quando noi consumiamo questo 6po di oggeJ, svolgiamo una funzione legata al conceBo della depense; noi consumiamo un oggeBo che ha una forma totalmente improduJva perché il suo valore economico è talmente scollegato dal suo valore d’uso che è difficile comprenderne il suo significato, perché quest’ul6mo è legato fortemente a tuBa una serie di elemen6 che lo esulano dal suo valore d’uso. Noi oggi siamo consumatori produJvi e, questo ruolo, è molto più visibile perché abbiamo accesso a mezzi di comunicazione con la quale possiamo diffondere la nostra produzione. Molto spesso infaJ, ad esempio, quando andiamo al ristorante e poi questo lo consigliamo ai nostri amici, s6amo facendo una sorta di comunicazione produJva. De Certau è stato il primo autore ad individuare questa forma di consumatore ma, prima di lui, Alvin Toffler (sociologo statunitense) parla del ruolo del consumatore come produBore e conia, nel 1981, questo termine che è quello di “prosumer” , ovvero un individuo che meBe insieme il ruolo di produBore e consumatore. Il conceBo di prosumer non è tanto diverso dal conceBo di consumatore produJvo. Il primo, alla base, è quasi lo stesso ma il contesto è molto differente. Il prosumer e consumatore produJvo non sono la stessa cosa. Toffler osserva che, all’interno della società americana, esistono dei consumatori che hanno acquisito delle competenze specifiche, tanto per cui le aziende (ad esempio il mercato di videogiochi) hanno deciso di farsi dare un supporto dai consumatori, (nel caso specifico ai giovani che se ne intendevano di videogame) per la realizzazione di nuovi prodoJ. Toffler dice che questa modalità di commissione tra “produzione-consumatore”, è il futuro, da qua in poi questa modalità crescerà sempre di più che l’intero sistema verrà stravolto e le aziende si avvarranno delle competenze dei consumatori perché ques6 stanno diventando estremamente competen6. Il ruolo del prosumer è quindi un ruolo che collabora con le aziende, un ruolo riconosciuto, retribuito, ma è completamente diverso da quello che dice De Certau. I due sociologi, contestualmente, descrivono quindi lo stesso fenomeno elaborando due teorie diverse: - Nel caso di De Certau questo fenomeno rimane latente, nascosto nel mercato, non riconosciuto - Nel caso di Toffler questo fenomeno, che lui vede come nascente, diventa sempre più rilevante all’interno del mercato De Certau ci dice che i beni, di cui si studiano queste abitudini d’uso, non sono gli oggeJ del consumo di massa, ma sono le pra6che di come vengono svolte le aJvità nella società. Li possiamo trovare sopraBuBo in: - i libri, - i giornali, - i pas6 famigliari - e lo spazio di casa. La ricerca mostra l’aJvità produJva dei consumatori, che si meBe in evidenzia durante l’u6lizzo dei beni stessi. Lui fa l’esempio di come vengono trasformate le abitazioni, di come esse si riappropriano degli spazi abita6vi e urbani; le ciBà, il valore ristruBurante del disordine domes6co nella costruzione dell’iden6tà. Ques6 elemen6 sono la dimostrazione del faBo che questo ruolo del consumatore produJvo è un ruolo che tes6monia la sua capacità crea6va. De Certau considera un insieme di messaggi per l’aJvità di ricezione: per lui i messaggi corrispondono a tuBo quello che viene messo nel sistema; quindi questo 6po di aJvità rappresenta come l’individuo si rapporta a questo 6po di messaggi, spiegando che l’individuo non è più passivo, ma aJvo. Il consumatore non è più quindi guidato da forze esterne, ma la sua aJvità di ricezione è un processo aJvo. Il conceBo di messaggio lo u6lizza per indicare tuBo quello a cui il consumatore si rapporta e avendo poi la capacità di modificarlo grazie alla furbizia, all’astuzia, e appropriandosi di ciò che viene messo a disposizione del sistema. Quando u6lizziamo gli strumen6, non per lavorare, ma a scopo personale, noi compiamo un’aJvità produJva. Molte di queste aJvità personali sono al limite della legalità, perché in un contesto lavora6vo non si dovrebbero u6lizzare strumen6 professionali per scopi personali. Per fare un esempio: noi non potremmo sicuramente fare shopping online u6lizzando la rete internet dell’Università. TuBo questo succede perché, per l’appunto l’individuo non è passivo ma ha una sua autonomia. De Certau dice che “ad una produzione razionalizzata, espansionis6ca, centralizzata, speBacolare e chiassosa, fa fronte una produzione di 6po diverso, definita consumo, contrassegnata dalle sue astuzie, che la rende quasi invisibile perché si u6lizza un’arte di ciò che le viene imposto”. Questo riassume quello deBo fin ora perché lui definisce l’aJvità di consumo come un’aJvità di produzione, anche se si contrappone alla produzione del sistema dominante. Questo perché l’aJvità di produzione non è espansionis6ca, centralizzata o speBacolare come la produzione generica della società dei consumi, e a fronte di tuBo questo il consumatore lavora e u6lizza quello che ha a disposizione in maniera instancabile, si traBa di un aJvità che si svolge anche in maniera inconscia, costruito in modo tale da compiere sempre questo 6po di aJvità. Questo 6po di produzione non è però riconosciuta perché le creazioni del consumatore produJvo non hanno un prezzo e non possono essere immesse sul mercato. Il ruolo del consumatore è ancora un ruolo ancillare rispeBo al sistema della produzione, nonostante ciò però per il nostro sociologo, lui non crede che il consumatore sia responsabile dello sviluppo della produzione. De Certau, nonostante questo pensiero, dichiara che il ruolo principale è però tenuto dalla produzione e dalle logiche che fanno si che esse immeBano i prodoJ sul mercato. Inoltre bisogna dire che c’è stato sicuramente un affinamento del sistema produJvo, ma alla base delle logiche del mercato esiste sempre un’idea per cui la produzione deve produrre a prescindere della capacità del mercato. Il consumo è visto come produzione perché u6lizza quello che trova di fronte e che viene imposto dalla produzione razionalizzata, ma non riesce a sua volta a meBere sul mercato delle interazioni vere e proprie e, per questo mo6vo, De Certau parla di questo come un “lavoro di straforo”, ovvero un’insieme di pra6che lavora6ve che consistono nel soBrarre materiale a proprio vantaggio o u6lizzare gli strumen6 della produzione per proprio conto. In sintesi sta a significare tuBo quello che ha a che fare con il conceBo di riappropriazione. Strategie e ta[che Molto spesso l’aJvità del consumatore è vista come una forma di ribellione, che viene faBa di nascosto, con un’idea di rivolta rispeBo a quelle che sono le logiche dominan6. Spesso viene u6lizzata una terminologia, per descrivere le pra6che che si svolgono all’interno del mercato, traBa dal linguaggio militare. Anche De Certau u6lizza due di ques6 termini che sono “strategia” e “taJca”. All’interno del mercato le pra6che quo6diane si dividono in: - strategie che definiscono le regole del gioco, che hanno una progeBualità nel tempo, che possono essere progeBate da chi ha il potere, anche perché il termine strategia deriva dal greco “strategos” che stava ad indicare il comandante dell’esercito che si occupava di dare ordini ai solda6; - taJche sono i giochi che vengono pra6cate dai singoli soggeJ, che sono però sono deboli e raffigurano i consumatori che u6lizzano i luoghi altrui, si riappropriano di quello che viene messo a disposizione dagli altri in maniera personale. Le taJche non hanno sufficiente potere per essere delle strategie, chi le fa può soltanto reagire, o comunque fare un’aJvità limitata che ha anche un impaBo limitato. Le taJche di resistenza culturale hanno un efficienza limitata perché chi le meBe in aBo ha poteri limita6 e scarse possibilità economiche.La rete ha reso faJbile la diffusione di una serie di contenu6 a pubblici molto più ampi, e lei, in questo senso ha reso possibile una serie di meccanismi che De Certau non vedeva concre6zza6. Anche le pra6che di resistenza culturale aBraverso la rete sono diventate delle pra6che molto più condivise e visibili. Ma cos’è la resistenza culturale? La resistenza culturale è la riappropriazione di simboli, che appartengono alla cultura dominante, e la reinterpretazione di essi. Questo conceBo si ricollega quindi a quello che dicevamo prima sulla rete, di come essa abbia reso possibile la diffusione di elemen6 “contro culturali” che prima avevano un accessibilità limitata (ad esempio la rivista andava comprata spendendo del denaro, diventando così non accessibile a tuJ). Ci sono delle pra6che, di riappropriazione di simboli, che vengono chiamate di subver6sing, che sono traBe da quella che originariamente era una rivista, che consistono nel falsificare o parodiare pubblicità aziendali e poli6che. Cosa vuol dire riappropriazione contro culturale? La riappropriazione contro culturale u6lizza degli elemen6 della cultura dominante, per creare dei significa6 che non sono compresi nell’idea originale perché hanno delle caraBeris6che differen6 dagli originali. Il messaggio che ques6 simboli trasmeBevano veniva quindi rielaborato, bas6 pensare al caso McDonald dove il logo di questo venne rovesciato e faBo diventare una W per essere usato per altri scopi. Noi, però, siamo in grado di reinterpretare il messaggio nonostante esso è veicolato da una serie di simboli che sono passa6 aBraverso l’aJvità di appropriazione. Il messaggio si occupa quindi di comprare il prodoBo. Quindi riappropriazione cultura vuol dire u6lizzare simboli della cultura dominante e reinterpretargli, darli una nuova leBura contro culturale. Lezione 12! Modernità e post modernità - Zygmunt Bauman La modernità nasce a fine 800 quando c’è anche l’avvento della società di massa. TuJ i vari filosofi e sociologi infaJ danno come data di osservazione dei fenomeni la fine dell’800 e l’inizio del 900; quando, non a caso vi è anche la diffusione della cultura di massa e dei sistemi di informazione che man mano determinano una serie di cambiamen6. Ques6 cambiamen6 determinano variazioni anche all’interno della società di massa perché nel fraBempo ci sono 4 generi di rivoluzioni diverse: - La rivoluzione scien6fica che è una rivoluzione funzionale alla comprensione del mondo dal punto di vista scien6fico - La rivoluzione industriale con tuJ i cambiamen6 socioeconomici che hanno accompagnato questo momento e lo sviluppo di innovazioni tecnologiche - Una rivoluzione di 6po poli6co, perché ci troviamo nel periodo della rivoluzione americana, francese, i mo6 del 48’ in Italia e tuBa una serie di rivolte che in qualche maniera hanno determinato il trionfo di valori come la libertà, uguaglianza e un generale progressismo - Infine abbiamo la rivoluzione culturale che ha visto mol6 pensatori cimentarsi con il conceBo di progresso, in una civiltà che avanza, progredisce, migliora costantemente Abbiamo quindi una serie di valori collega6 alla filosofia che vengono elabora6 determinando quelli che sono i capisaldi, deJ anche valori solidi, dato che la società moderna veniva definita solida da Zygmunt Bauman un sociologo polacco del tempo, che aveva una fiducia nella scienza, nel processo scien6fico e tecnologico. Questo suo spirito implica anche l’idea dell’uomo che è capace di dominare la natura, di modellarla ai suoi bisogni, cosa che, con il passare del tempo questo principio, lo vedremo sgretolarsi soBo i nostri occhi. La storia viene concepita come una sorta di emancipazione, prima dall’illuminismo e poi dal progressismo; un fenomeno che porta un miglioramento costante dei popoli e della storia stessa. In primis, nell’idea dell’individualismo, se il soggeBo non è inglobato in un sistema che lo vede ricoprire un ruolo ben preciso, un tassello in un sistema complesso, questa crisi del conceBo di stato e di comunità, porta ad un individualismo sfrenato, dove chi mi sta accanto non è più un tassello di una catena che ci 6ene, in un certo senso, tuJ uni6, bensì il prossimo è un elemento potenzialmente pericoloso. Questo soggeJvismo, individualismo, ha proprio minato le basi della modernità del passato e ha reso il momento storico in cui viviamo estremamente fragile, liquido. In questo contesto dove tuBo ruota aBorno all’individuo e non abbiamo più le certezze delle ideologie del passato in cosa si può radicare la mia vita, la mia esistenza? Sicuramente in qualcosa che è legato al conceBo di individualismo ed apparenza. Il singolo sviluppa questo desiderio innato di apparire: una volta quello che si è realmente, e una volta quello che invece non si è e, per farlo, ha bisogno delle merci, dei beni. Così facendo il consumismo diventa il elemento radicante dell’individuo che non sa più dove aggrapparsi. Perché l’individuo comincia ad acquistare sempre più merci? Che bisogni va a soddisfare? In primis sicuramente l’evidente desiderio di apparire, mostrandosi agli altri con determinate caraBeris6che che di volta in volta si scelgono, che, alla fin fine, ci fa vedere sempre la parte migliore di qualcuno, perché difficilmente le persone scelgono di mostrarsi nella loro parte peggiore. Nessuno o quasi, infaJ, si farà mai fotografare nel momento in cui si hanno i capelli speJna6 o si è ves66 in modo trasandato, tuBavia, un momento in cui varrà per loro la pena di meBersi in mostra invece, sarà quando saranno ves66 bene, per una serata di gala ad esempio. La società post moderna infaJ si caraBerizza per il faBo che meBe in evidenza le viBorie, i successi, i momen6 posi6vi; mentre cerca invece di nascondere quasi (e qui le merci ci vengono in aiuto) ciò che non va bene. Bauman ci parla di questo consumo legato al nuovo valore dell’apparenza, come un ciclo metabolico: un qualcosa che porta ad ingerire, digerire e poi portarlo fuori. Questo è un ciclo con6nuo, ed è una metafora molto forte, perché implica l’idea di consumo materiale, di corrodere; perché l’idea di Bauman è proprio legata al senso di mangiare, a qualcosa che corrode, consuma e da linfa vitale, cosi come il cibo. Il consumo è quindi l’elemento che ci porta avan6, che ci permeBe di vivere, è l’esistenza stessa, un aspeBo fondamentale della vita, svincolato dal tempo e dalla storia. Non posso fare a meno di consumare perché se ne faccio a meno, muoio e l’individuo è perennemente condannato a questo ciclo di perenne consumo. Il testo di Bauman che si chiama “consumo dunque sono” esprime chiaramente il conceBo di esistenza in funzione del consumo perenne. La società dei consumi è rappresentata come una forte relazione tra consumatore e merce: la merce legiJma l’apparenza del consumatore quel meccanismo per cui lo 6ene in vita, ma il consumatore stesso non può fare a meno della merce, perché è la sua linfa vitale. Bauman però ci parlerà dopo di un consumatore che riesce ad affrancarsi da questo meccanismo, ma la società lo considererà un consumatore imperfeBo. La libertà dell’individuo è legata essa stessa al consumo, perché l’individuo si autodetermina negli aJ di consumo: ciò che acquista, ciò che compra, ciò che consuma da ogni punto di vista. Consumo infaJ non significa soltanto “mangiare”, ma noi svolgiamo aJvità di questo 6po quando viaggiamo, andiamo a teatro, acquis6amo un capo d’abbigliamento e cosi via. Bauman quindi non da importanza ad un 6po di consumo rispeBo ad un altro. Con questo meccanismo di consumo legiJmante l’esistenza dell’uomo, si arriva ad un eccesso. Solo estraniandoci da questo funzionamento possiamo considerare questo eccesso che è il consumismo; dove il consumo è diventato il faBore centrale che Colin Campbell definisce “lo scopo stesso dell’esistenza”. Bauman lo definisce un ciclo metabolico e Campbell dice che è lo scopo senza il quale non possiamo vivere. Definisce che appena si nasce ad esempio si ha quello che viene chiamato il “Born to die”, dove non si ha nessun altro scopo nella vita se non quello di consumare. Passa6 dalla società solido-moderna, che era la società dei produBori in cui la rivoluzione industriale ed il fordismo avevano capitalizzato il conceBo di sicurezza e stabilità da6 a loro volta dall’acquisto del consumatore dei beni; bisogna ricordarsi però che, i beni, erano il sostegno di un’ideologia, l’accessorio necessario ma non indispensabile. Nel nuovo contesto, invece, nella nuova società i beni sono diventa6 degli elemen6 esistenziali, necessari ed imprescindibili. I beni del passato erano beni faJ per durare, a differenza dei beni ad obsolescenza programmata che sono dei prodoJ che sono programma6 con una data di scadenza, un periodo nel quale il nostro bene si consuma. I nostri beni infaJ devono essere sos6tui6 per alimentare il meccanismo produJvo. In questa società il consumo è la felicita, l’obieJvo dell’individuo per apparire. Questa felicità non è però legata all’idea di benessere dell’individuo, ma al possesso crescente di beni, poiché l’individuo desidera costantemente qualcosa di nuovo. Questo desiderio costante è il meccanismo compulsivo dell’esistenza stessa dell’individuo, senza del quale non avrebbe significato; saremmo tuJ dispera6 perché non avremmo più una finalità di vita. Nella nuova società post-moderna c’è un con6nuo upgrade dei vari beni, la funzionalità dell’oggeBo ad esempio parlando del telefono, non è più quella di chiamare ma di apparire e far apparire il suo possessore. In questo contesto, possiamo citare un traBo di un’opera di Calvino ovvero “le ciBà invisibili” dove viene citata la ciBà di Leonia, cui abitan6 vengono defini6 non tanto per il consumo dei beni, ma per la quan6tà di rifiu6 che producono e, le persone più importan6, descriBe da Calvino, sono quelle che ne producono di più. Dopo la prima e la seconda rivoluzione industriale, tuBe le rivolte poli6che e culturali a cui abbiamo assis6to, ci troviamo difronte ad una vera e propria “rivoluzione consumisKca”, che impone alle persone di consumare costantemente. Da un consumo di beni funzionali, per i vari bisogni, si passa al consumismo. Se il consumo è un con6nuo cambiamento di beni, è evidente che anche il tempo viene a ridefinirsi, assumendo un nuovo significato soBo forma di pun6, ognuno dei quali ha importanza di per sé, nella sua istantaneità e dev’essere vissuto al massimo. Per fare cio si va ad evidenziare il conceBo di individualismo, che porta al centro di qualsiasi meccanismo esistenziale solo l’individuo, che dev’essere al massimo della sua esistenza. Il tempo pun6nista è un tempo svincolato dagli altri istan6, e questo ci permeBe anche di essere, di apparire una persona diversa in ogni istante. Non c’è bisogno della coerenza perché il tempo stesso non lo è, poiché svincolato nei suoi aJmi. TuJ gli even6, gli episodi, gli accanimen6, sono episodi liberi, non concatena6 gli uni agli altri. In questo contesto l’individuo consumatore, colui che deve costantemente consumare qualcosa di nuovo, ha bisogno sempre di nuovi beni in ogni aJmo che devono essere consuma6 istantaneamente. Lo slogan dei pun6 vendita diventa quindi “buy now”, facendo si che l’individuo si senta quasi in dovere di acquistare con queste promozioni, poiché se non lo fa avrà fallito uno dei suoi obieJvi principali. I consumatori iniziano ad essere considera6 come delle spugne, delle persone che devono raccogliere le sensazioni provenien6 dal soddisfacimento di un bisogno. A volte l’aBesa conta più del raggiungimento dell’obieJvo, perché la soddisfazione dell’individuo sta nel desiderare in con6nuazione un nuovo bene, nell’immaginare quale potrà essere il bene che sos6tuirà quello che possiedo al momento. Il bene una volta acquistato, viene quasi subito dimen6cato, pensando, invece, a quale potrebbe essere il nuovo bene che potrebbe soddisfare un mio nuovo bisogno; nato nel momento dell’arrivo dell’altro bene. Le parole di Bauman su questo argomento sono molto chiare e sono: “lo scopo del gioco del consumo, non è tanto la voglia di acquisire o possedere, né di accumulare ricchezza in modo materiale, tangibile, quanto l’eccitazione per sensazioni nuove mai sperimentate prima”. I consumatori sono quindi paragonabili a dei raccoglitori di sensazioni, sono dei collezionis6 di cose, solo in un senso secondario e derivato, è il desiderio di possesso che è fondamentale per esso. Dal possesso dei beni nasce la sicurezza psicologica delle persone che si nutre anche dell’approvazione sociale, che passa, in un primo momento, dalle persone che ci stanno aBorno, del quale ci fidiamo, coloro che condividono con noi il desiderio di quel determinato bene; ma c’è un meccanismo collegato al mondo dei mass media che, in qualche modo, non solo legiJma il meccanismo del consumo, ma ne determina questa approvazione sociale. Il bene ci viene proposto come indispensabile da una persona che di solito è molto apprezzata, ovvero il tes6monial, che ci dice che se vogliamo essere come lui dobbiamo comprare esaBamente il prodoBo da lui indicato. Questo processo si chiama “meccanismo di naturalizzazione” del bene. In questa società, dove le merci assumono il rilievo della finalità di vita, l’individuo stesso non è altro che una merce, è quindi mercificato. Ad esempio per entrare nel mondo del lavoro dobbiamo scrivere dei curriculum, che meBe in evidenzia noi stessi, e facendo ciò s6amo facendo una pubblicità di noi stessi come “merce”. La società ridefinisce quindi le relazioni umane, esaBamente a modello e somiglianza della relazione tra il consumatore e i modelli di consumo. C’è una costante ricerca di soddisfazione del desiderio che viene poi accantonato nel momento in cui viene raggiunto. Anche le relazioni amorose e amicali sono anche esse liquide, soBoposte allo stesso meccanismo della società odierna. Bisogni voluBuari sono coloro che valorizzano la novità, il nuovo bene ulteriore che sos6tuisce il precedente. Il valore dell’oggeBo non si basa più sul conceBo di qualità, che diventa secondaria, ma su quello di novità. Questo determina infaJ secondo Bauman la società dello spreco, dove i luoghi di consumo sono architeBa6 per s6molare i desideri degli individui, e quell’individuo che è sempre alla ricerca di nuove sensazioni, si muove alla ricerca della soddisfazione di un nuovo desiderio senza considerare chi gli sta aBorno. La condivisione delle aJvità con altre persone, serve solo a magnificare il mio desiderio, e i luoghi di consumo sono costrui6 ad doc per far ciò. Ques6 luoghi diventano delle vere e proprie caBedrali di consumo dove la religione, di contro, muove i creden6, e ques6, invece, spingono il consumatore a ricercare sempre nuovi beni di cui magari non ha nemmeno bisogno, solo per soddisfare i suoi desideri. Il consumo è un passatempo individuale, sempre per far riferimento al conceBo di individualismo, quindi la ricerca dei desideri va vissuto sempre in maniera soggeJva, non colleJva. Le pra6che di consumo vengono di faJ definite “private”, dove la presenza della folla è quasi irrilevante. C’è qualcuno che però riesce a sfuggire a questo meccanismo, e ques6 sono coloro che Bauman chiama “le viJme collaterali del consumo”. Si traBa di persone che, o per scelta personale o per povertà, quindi per assenza di mezzi di ostentamento, non riescono a stare al passo di questo meccanismo di autorganizzazione aBraverso le merci. Queste vengono poi considerate una “soBo classe di consumo” che non ha la stessa “dignità” degli altri. Bauman però parla di uno spiraglio di posi6vità: c’è infaJ chi non vuole stare al passo per scelta, che non vuole farsi macinare dal meccanismo di consumo. Si traBa di uomini e donne che non vogliono essere mercifica6 o che sono semplicemente poveri. Essi sono considera6 dalla società i “consumatori falli6” che si contrappongono al reale consumatore. La cri6ca di Bauman è nella prospeJva dello stato sociale che si fa carico di queste viJme collaterali e cerca di proteggerle dal consumatore auten6co. Lui è grato che esistano persone che cercano il significato della loro esistenza in qualcosa di diverso. È possibile cambiare la propria classe di riferimento sulla base di elemen6 differen6. Sono gli anni in cui si struBura la società dei consumi come la conosciamo oggi e Leibenstain cerca di spiegare, aBraverso dei modelli economici, quello che vede succedere nel mercato. Quello che lui vede sono delle forme di consumo che sfuggono alla logica della teoria economica classica. Ques6 effeJ che accadono nel mercato, Leibenstain si accorge che possono avvenire contemporaneamente, interessando però gruppi di persone differen6. Durante i periodi di studio dei sociologi, andiamo incontro a tre vari effeJ che influiscono nel modo di vedere e di analizzare la società dei consumi, ques6 sono: - EffeBo Veblen - EffeBo Bandwagon - EffeBo Snob Che appartengono ai nomi dei sociologi che hanno analizzato ques6 fenomeni. - “L’effeBo Veblen”; questo stava ad indicare che la funzione di consumo di un oggeBo era quella di dimostrare il potere d’acquisto del consumatore, maggiore è il prezzo, maggiore è il desiderio del consumatore. - L’effeBo Bandwagon spiegava invece che la domanda di un bene aumentava man mano che gli altri consumatori si dimostravano interessa6 a consumare tale servizio o bene. - L’effeBo snob è l’effeBo contrario, la domanda di un bene diminuisce man mano che le persone si dimostrano interessa6 ad un certo prodoBo, questo lo abbiamo visto con il conceBo della moda, quando la moda si è affermata, avviene la fuga dal bene che è ormai diventato di massa, favorendo invece lo sviluppo delle subculture. Ques6 fenomeni che abbiamo visto e descriBo, grazie agli occhi dei sociologi, sono chiaramente vis6 anche dagli economis6: questo funziona più o meno come un gioco di squadra, i sociologi osservano il fenomeno e lo descrivono, mentre gli economis6 raccolgono da6 rileva6 da questo fenomeno e li analizzano per vedere l’andamento del mercato in relazione ad esso. Ques6 3 effeJ danno una spiegazione di quello che succede nelle società del consumo da un punto di vista economico, quindi razionalizzando le mo6vazioni che possono spingere i consumatori a comportarsi in un determinato modo ed acquistare un determinato bene. Le pra6che di consumo sono le pra6che che hanno a che fare con il contesto sociale, ques6 effeJ infaJ non sono gli unici che esistono, e non c’è solo questa suddivisione rigida di comportamento razionale e irrazionale, ma abbiamo deBo più volte ci sono una serie di conceJ che vanno ad influenzare gli individui a comportarsi in un certo modo all’interno del mercato. Noi abbiamo visto una serie di autori che hanno spiegato le mo6vazioni di consumo, adoBando una logica di 6po dimostra6vo e dis6n6vo. Questa, dice che il consumatore acquisisce e u6lizza degli oggeJ che possono fungere da status symbol, dimostrando e, possibilmente migliorando, la propria posizione nella struBura sociale. Veblen, Simmel e Bourdieu hanno affrontato, hanno dato una spiegazione alle logiche di consumo, u6lizzando questo approccio dimostra6vo e dis6n6vo. Loro lo hanno faBo in modo diverso, perché facevano parte di contes6 sociali e culturali differen6, ma allo stesso tempo, entrambi hanno dato come spiegazione dell’agire di consumo l’idea della logica dis6n6va e dimostra6va. Il ruolo della moda aveva già a fine 800’, il compito di segnalare chi si poteva permeBere oggeJ, elemen6 esclusivi, a cui pochi potevano avere accesso, e chi poteva seguire e permeBersi il gusto mainstream. Abbiamo poi affrontato diversi autori che si sono concentra6 maggiormente sul conceBo dell’industria culturale, e hanno individuato una posizione passiva del consumatore all’interno delle logiche di mercato, perché di faBo il consumatore acquisisce e u6lizza oggeJ perché è influenzato dalle comunicazioni di massa, dalla pubblicità in grado di manipolare i gus6 delle persone. Ad esempio Baudrillard assume questo aBeggiamento di “pessimista modernista”, per cui individua, nella modernità e nelle logiche, che guidano le aziende nella promozione e sponsorizzazione dei loro prodoJ, varie idee per la quale spiega che ci sia un ruolo passivo nell’individuo, lui nega alle azioni di consumo una forma di ragionevolezza, perché l’individuo è in balia di quello che viene raccontato aBraverso la comunicazione pubblicitaria, e non ha l’autonomia di contrapporsi e fare delle scelte autonome. Abbiamo visto anche una serie di autori che si sono concerta6 su un elemento comunica6vo in grado di spiegare qual è la logica che guida gli individui all’interno del contesto sociale. Ad esempio, Douglas, Isherwood ed in parte anche Bourdieu, hanno privilegiato questo conceBo della logica comunica6va dove il consumatore acquisisce e u6lizza degli oggeJ perché aBraverso ques6 è in grado di intensificare i legami sociali. Diciamo che anche Bourdieu ci parla di questo 6po logica perché lui ci dice “dall’esterno, aBraverso la modalità con cui gli individui scelgono gli oggeJ, io sono in grado di posizionarli tramite la modalità con cui le persone consumano, mi comunica una loro posizione all’interno della mappa socio-culturale”. Per questo possiamo collocare IN PARTE la sua teoria anche come riferimento alla logica comunica6va: - è giusto dire che lui considera il consumo in una logica dis6n6va e dimostra6va - ma, da un altro punto di vista, la logica comunica6va ci aiuta a capire la logica di Bourdieu, perché per capire come posizionare gli individui sulla mappa socio-culturale, noi osserviamo la loro capacità di scegliere e fare delle scelte di consumo omogenee, che ci comunicano qualcosa. Abbiamo visto anche una serie di autori che hanno riconosciuto una valenza al consumo di pra6ca sociale, ovvero, ci sono logiche differen6 che guidano gli individui all’interno di un contesto di consumo. Di nuovo Bourdieu e De Certau hanno cercato di spiegare il mo6vo per cui gli individui si comportano in un determinato modo all’interno del contesto di consumo. De Certau si concentra ad esempio su un significato di consumo basato sulle taJche dell'esistenza, ovvero al conceBo dell’everyday life, alle pra6che quo6diane; ed è qui, dice il nostro sociologo, che si sviluppa questa capacità dell’individuo di resistere al sistema della produzione, perché le azioni ripetute, quelle che gli individui fanno all’interno della loro quo6dianità, è quello che consente di essere crea6vi. Quindi l’agire di consumo lo si capisce meglio se si assume il punto di vista della pra6ca. Il conceBo della pra6ca ci spiega come i consumatori si rapportano agli oggeJ nella quo6dianità, e viene inteso il consumo come pra6ca sociale, con una varietà di logiche diverse che guidano le azioni dei consumatori. Quindi, per spiegarci meglio, l’agire di consumo è guidato dalle pra6che, da una serie di azioni ripetute aBraverso le quali gli individui agiscono in un determinato modo, e aBraverso le quali noi siamo in grado di comprendere e spiegare come funzionano le logiche del mercato. Spesso all’interno delle singole azioni di consumo si possono riscontrare diversi principi ispiratori. Più che strategico l’agire di consumo è pra6co, una serie di aJ porta6 a termine da aBori che si muovono aBraverso il mondo sistema6zzato dagli schemi e dalle immagine colleJve. Consumismo (1) - il consumerism e le sue accezioni Il consumismo è un fenomeno economico-sociale 6pico delle società industrializzate, consistente nell’acquisto indiscriminato di beni di consumo, suscitato ed esasperato dall’azione delle moderne tecniche pubblicitarie, le quali fanno apparire come reali, i bisogni fiJzi, allo scopo di allargare con6nuamente la produzione. Il consumismo si sviluppa di pari passo con il capitalismo, quindi di pari passo con una società industrializzata. È importante dire anche che, esso, è funzionale per far si che la produzione con6nui ad avere un ruolo dominante. Questa definizione fa riferimento ad una retorica an6consumis6ca, tendenzialmente nega6va, cioè vede nel conceBo di consumismo qualcosa di nega6vo. Dal punto di vista teorico vediamo che di faBo esistono una serie di accezioni differen6, questo perché il termine consumismo deriva da un termine inglese che si traduce con la parola “consumerism” che ha un accezione che è esaBamente il contrario di consumismo; il termine infaJ ha 3 significa6 differen6: 1. Quello legato all’idea di “iper consumo” che è legato e connesso alle aJvità delle aziende, in cui c’è l’idea che il consumatore abbia un ruolo passivo e sia viJma delle strategie manipolatorie 2. La seconda accezione è quella che viene tradoBa con il termine “consumerismo” che è un termine sociale che ha, come obieJvo, quello di promuovere l’acquisizione di diriJ e poteri dei consumatori nei confron6 dei venditori per contrastare le tecniche manipola6 delle aziende. Il consumerismo è quel movimento sociale che si impone a difesa dei consumatori considerando che da soli gli individui non sono in grado di difendersi. Nascono così le associazioni di difesa del consumatore, a cui il termine da noi analizzato, è fortemente legato, e si occupano di difendere il consumatore dalle trappole aziendali 3. Una terza accezione vede il consumismo come una condizione 6pica delle società avanzate, ma che tes6monia anche che gli individui hanno raggiunto una soglia tale che, il consumismo, in realtà, è un modo che essi hanno di garan6rsi uno stato di felicità e benessere. Si traBa quindi di un’accezione an6consumis6ca, dove il termine non è visto in maniera nega6va, perché le persone si sono liberate dalla povertà, infaJ in questo senso il consumismo è un faBore che porta ricchezza ed è 6pico di un contesto sociale in cui abbiamo raggiunto un benessere assoluto. Dal contesto in cui questo termine viene u6lizzato, riusciamo a capire a quale accezione si faccia rifermento. Quello che accomuna tuBe e tre le posizioni è l’idea che, il consumismo emerge come elemento 6pico dei contes6 sociali e maturi. Si parla di consumismo quindi quando un certo numero di persone ha accesso ad una vasta gamma di prodoJ e servizi, e ne può avere accesso, grazie quan6tà di capitale accumulato. Il consumismo si afferma in quella che noi possiamo definire la società dei consumi come la conosciamo oggi; la società con una maturazione tale che è possibile paragonarla a quella della nostra contemporaneità, che si è consolidata intorno gli anni 50 del secolo scorso, quando si iniziarono a definire quei modelli e movimen6 di protezione del consumatore. La cri6ca al consumismo, quindi questa retorica an6consumis6ca, nasce e si sviluppa di pari passo allo svilupparsi del fenomeno, quanto più si arriva ad un livello di benessere elevato, quanto più si vede salire il livello dei consumi, quanto più ci sono una serie di autori che assumono un aBeggiamento cri6co nei confron6 di quello che sta accadendo. Questo si afferma in contemporanea con il consumismo, siamo infaJ alla meta degli anni 50 del novecento (quindi nel momento clue dell’affermazione della società dei consumi) e parallelamente a questo sviluppo dei consumi, si sviluppa anche una paura, tra le persone, pensando che esse non siano in grado di difendersi da quelle che possono essere le strategie delle grandi aziende sul mercato. Il consumerismo si basa, quindi, su due leve: 1. il consumatore è un debole, che non ha la capacità di contrapporsi ed è quindi viJma del mercato 2. Il consumerismo si basa sull’associazionismo, perché se il singolo non è in grado di difendersi, “l’unione fa la forza” dato che il conceBo base di associazionismo si basa proprio sulla forza di un “gruppo”. Ciò prevede che i consumatori siano dei soggeJ deboli che debbano essere proteJ, nei confron6 del sistema produJvo, e difesi dalle false promesse della comunicazione pubblicitaria Le prime associazioni di consumatori si sviluppano negli sta6 uni6 e l’obieJvo di essi è legato alla tutela dei diriJ dei consumatori, per far si che essi abbiano i prodoJ richies6 ad un giusto prezzo, e bandire i prodoJ “pericolosi”. L’aspeBo interessante è che noi diamo per scontato la qualità dei prodoJ, dato che quelli che, in certo senso non sono approva6 dai consumatori, escono dal mercato con grande facilità, prima questo non era però altreBanto scontato. L’associazionismo in italia si sviluppa mo6 anni dopo rispeBo agli sta6 uni6 per mo6vi culturali: da un lato il faBo che tendenzialmente gli italiani erano molto individualis6 e non credevano, quindi, nella rappresentanza colleJva, dall’altro lato perché nel nostro paese era molto importante l ruolo del sindacato, quindi in qualche modo (nonostante la sua tutela fosse legata più ai lavoratori) l’italiano si sen6va già proteBo ed il sindacato, dal canto suo non voleva divergere le aBenzione degli italiani rispeBo un’altra associazione. Negli ul6mi anni, ci siamo sicuramente accor6 che esiste un “player” nel mercato, perché le associazioni di consumatori sono quelle che si sono faBe cariche di quella che viene chiamata “class ac9on” che tradoBo significa “causa colleJva”. Il fenomeno della class ac6on è molto diffuso negli sta6 uni6, perché l’americano medio crede nella rappresentazione colleJva. Questa, in italia, è stata resa nota solo verso gli anni ’90, ma l’italiano medio preferisce sconfiggere le proprie baBaglie in modo individuale, a differenza degli americani. Accanto al consumerismo tradizionale, possiamo trovare il consumerismo poli2co che è un fenomeno che “sforzandosi di metabolizzare i nuovi comportamenK di criKca della società dei consumi provenienK da quei gruppi che promuovono il boicoIaggio o il commercio eco-solidale, si configura più aIento alla denuncia nei confronK degli squilibri mondiali e dei meccanismi di sfruIamento connessi al processo di concentrazione economica e caraIerisKco dell’aIuale globalizzazione”. Esso quindi evidenzia che, all’interno della società contemporanea, i consumatori sono diventa6 più competen6 e hanno capito che i loro aJ di consumo hanno una valore all’interno delle logiche nel mercato, con una capacità di voto. Cosa vuol dire però avere una capacità di voto nel mercato? Esso vuol dire che l’aBo di acquisto, ha un potere che va al di la del semplice “comprare un oggeBo”, ma implica la scelta di premiare o punire la scelta di un brand, riguardo la realizzazione del prodoBo. Questa scelta si basa sui valori dei brand e dei prodoJ che loro decidono di esporre al pubblico; se il consumatore li giudica scorreJ, sia i prodoJ, sia i comportamen6 di una determinata azienda, non comprerà i loro prodoJ e questo causerà, di contro, una caJva pubblicità al marchio. Il consumerismo si chiama quindi poli6co, perché, soBo questo aspeBo, viene data al consumatore la capacità di boicoBare o promuovere il prodoBo di un determinato brand. Si traBa infaJ di consumatori cri6ci, che prendono una certa distanza dal mondo del consumo, abbracciando delle modalità di consumo che vanno i contrasto con quelle tradizionali. Sono quei consumatori che d’esempio abbracciano le modalità di commercio eco-solidale. Il commercio eco-solidale è un 6po di commercio che riguarda prodoJ immessi del mercato garantendo le giuste condizioni lavora6ve di chi li produce. A volte, magari, sono provenien6 dal terzo mondo in cui, tendenzialmente, c’è una scarsa considerazione dei lavoratori. Ques6 prodoJ hanno l’e6cheBa par6colare (e6cheBa fairpraid) che, prevede una garanzia nel rispeBo del territorio e delle popolazioni che l’hanno realizzato. Questa non viene data solo a prodoJ alimentari ma anche per capi d’abbigliamento o tessu6 che vengono realizzai da ar6giani o operai che sono, però, tutela6. Questo 6po di commercio è importante e, sta alla base del consumerismo poli6co, anche che il consumatore si preoccupi, anche in modo e6co, all’impaBo sociale del prodoBo che acquista. Il consumatore, del consumerismo poli6co, inoltre fa molta aBenzione alla qualità, non solo al conceBo “costo-beneficio”. ABraverso l’aBo di acquisto o non, il consumatore vota nel mercato, facendoci capire le tema6che a cui lui è interessato e a quali prodoJ dà valore. Si con6nua a dire che il consumo, nel rispeBo dell’ambiente e dei lavoratori, è ancora un consumo di nicchia anche se sempre in crescita, nonostante che il consumatore mainstream è interessato ad altre tecniche. Chi sceglie e si rende conto delle scelte di consumo che fa nel mercato, ha una capacita di voto all’interno di esso, e sviluppa un approccio diverso al consumo che va oltre le semplici considerazioni che vanno ad aggiungersi al valore d’uso e al valore di scambio. Uno degli strumen6 più eviden6 del consumerismo poli6co sono, da un lato il boicoIaggio, cioè non comprare da determinate aziende, e dall’altro il suo contrario, ovvero il baicoIaggio, ovvero l’idea di scegliere determinate aziende per via dei loro valori. Spesso le aziende più boicoBate sono le mul6nazionali perché lavorano in contes6 globali in paesi molto diversi fra loro, quindi è complesso mantenere un comportamento coerentemente e6co. Altro elemento che favorisce il boicoBaggio è sicuramente la rete perché, le informazioni delle varie aziende, viaggiano sui social media e sono rapidissime; di contro i consumatori vengono a conoscenza subito dei comportamen6 di esse. È anche vero che queste campagne di boicoBaggio sui social media nascono e svaniscono rapidamente, mentre quelle tradizionali restano per molto tempo. Un esempio che possiamo fare è quello della Nestle che per anni ha faBo campagna pubblicitaria per vendere il laBe in polvere nel terzo mondo, facendo passare come messaggio il faBo che il laBe in polvere fosse molto meglio di quello materno, e che tuJ dovevano acquistarlo, anche chi non ne aveva la possibilità economica. Anche barilla è stata oggeBo di una campagna di boicoBaggio quando il suo CEO, durante varie interviste, ha dichiarato che la barilla non avrebbe mai u6lizzato nelle sue campagne pubblicitarie famiglie che non siano quelle tradizionali. Ciò, di faJ, alzò un polverone facendo arrabbiare tuJ gli animi della comunità LGBT+ e quelli di chi non si riconosceva in questa affermazione. La terza accezione è quella che dal punto di vista ideologico non si pone in una posizione cri6ca di consumo, ma diversamente si pone nella posizione di sostegno del consumismo e, questa quindi, la possiamo definire come “retorica pro consumo”. Questa vede la società come una dove c’è un diffuso benessere, quindi si è superata la soglia di povertà, e si considera che gli oggeJ di consumo sono necessari per completare e definire l’iden6tà dell’individuo. La retorica pro consumo vede la persona competente, quindi che è in grado di scegliere volontariamente e consciamente i prodoJ. La pubblicità viene vista come necessaria per far conoscere ai consumatori i prodoJ che immeBono sul mercato. Si parla quindi non più di consumatore passivo, non è sedoBo dalle merci e non è viJma delle strategie di marke6ng delle aziende; ma diventa un consumatore a[vo, cambiando nome in produBore aJvo, che non ha bisogno della protezione delle associazioni dei consumatori. Come diceva Toffler, il prosumer non poteva esistere in una società che NON FOSSE quella capitalis6ca, perché aveva un ruolo ormai talmente tanto importante, con una conoscenza cosi vasta che veniva considerato competente per poter collaborare con le aziende. Si dice inoltre che la retorica pro consumo riconosce il ruolo aJvo del consumatore e crea empowerment nel consumo, ovvero la consapevolezza ed il controllo delle scelte che si fanno nell’ambito personale e sociale. Esistono degli autori vengono defini6 gli “apologeK del consumo” che assumono una posizione di difesa della retorica consumista. Essi sostengono che l’individuo non può essere pienamente soddisfaBo se non raggiunge una gra6ficazione personale con i beni materiali. La società contemporanea è una società in cui, noi, anche se non esprimiamo un assenso o dissenso nei confron6 del consumismo, condividiamo la posizione degli apologe6. Il conceBo della sovranità assoluta del consumatore, di Adam Smith, è supportata da marke6ng e dalla pubblicità che promuovono il consumo come pra6ca significa6va e legiJma. La comunicazione pubblicitaria non è vista più come uno strumento per imbrogliare, ma in realtà viene associata all’idea di consumo aspirazionale e quindi anche alla possibilità di raggiungere uno stato legato a sensazioni di felicita, benessere, socialità giovinezza allegria e diver6mento. C’è però una considerazione da fare, ovvero se noi sposiamo la posizione di difesa del consumismo, ovvero appoggiamo l’idea degli apologe6 del consumo, par6amo dal presupposto che in realtà il consumismo è sintoma6co di una società che è quella del benessere, che, però, nasconde delle “sacche residuali di disagio” che si trova in tuBe le società avanzate. Ci ritroviamo però anche in una posizione di difesa del consumismo, che si concentra sui privilegi del singolo, sul privilegiare l’iden6tà dell’individuo, l’individualismo, a discapito di quella che potrebbe essere la tensione del contesto sociale. Non a caso gli apologe6 del consumo tendono a pensare che non esistano disparità sociali, che però noi sappiamo esservi, a far finta che questa aBenzione al ruolo individuale non danneggi in realtà quelli che sono gli affari pubblici. Ad esempio negli ul6mi anni si è parlato molto di un intervento dello stato per aBenzione il benessere dei ciBadini, in par6colare l’ambito che riguardava la sanità pubblica che era stata però messa in discussione poiché si diceva che era stata “priva6zzata”. Questo aveva, in un certo senso, distolto l’aBenzione da quello che era un problema di tuJ, aumentando la disparità sociale. Questo ci fa capire come ques6 conceJ teorici, abbiano un’applicazione nella nostra vita quo6diana, di come questa valorizzazione del benessere del singolo abbia distolto l’aBenzione dal benessere della colleJvità. Cos’ha portato negli ulKmi anni alla formazione dei nuovi consumi? Già prima dell’ul6ma crisi economica legata alla pandemia, si erano vis6 emergere una serie di s6li di vita lega6 a ques6 conceJ di: - voluntary semplicity (una scelta di vivere in maniera più semplice) - Downgrading - Downshiƒing Era cioè crescente il numero di persone che avevano deciso di ridurre VOLONTARIAMENTE i propri consumi, senza un bisogno reale, ma solo perché avevano capito che is stava esagerando. Prima della pandemia si parlava tanto di ques6 6pi di s6li di vita vota6 ad una semplicità, ovvero anche individui che avevano deciso di rinunciare a lavori reddi6zi, o magari che soBraevano tempo alla vita familiare, in nome di un ritrovato equilibrio tra la vita privata e lavora6va. (Work life palace) Ma in cosa i due erano uguali? Sicuramente l’uomo e le macchine si assomigliavano nelle capacità cogni6ve, e anche nella bravura di saper organizzare, metabolizzare e 6rar fuori, da soBo ogni output, una mole di numerose informazioni. Definire l’intelligenza ar6ficiale non è sicuramente semplice, anche perché, essendo un conceBo mul6disciplinare, vantava molte sfacceBature e, ogni disciplina dava la sua interpretazione, ovvero: - il primo è quello della psicologia che la definisce l’insieme di funzioni conosci6ve, adaJve e immagina6ve, generate dall’aJvità celebrale dell’uomo e di alcuni animali. Questa è anche definita come la capacità di ragionare, apprendere, risolvere problemi, comprendere a fondo la realtà, le idee e il linguaggio. La psicologia si focalizza sulla capacità di ragionamento e apprendimento dell’intelligenza ar6ficiale. - Secondo la filosofia l’intelligenza ar6ficiale ha una complessità davvero rilevante, intesa come capacita di scegliere, di scernere, confrontare, comparare, dissociare e altre aJvità 6piche del mondo computazionale, dell’informa6ca o del meccanismo di organizzazione. Con il termine intelligenza ar6ficiale, quindi, in filosofia si intende quella facoltà mentale che ha ogni essere umano di comprendere la realtà e di farsi delle idee. Essa comporta la capacita filosofica di comprendere la realtà, di farsi delle idee. L’intelligenza ar6ficiale viene, quindi, paragonata “capacità intelleBuale” che gli individui hanno, soBo mol6 aspeJ. L’intelligenza ar6ficiale è una disciplina poliedrica dove, entrano in campo numerosi ambi6 come la filosofia, la matema6ca, ma anche la psicologia. Questa disciplina appartenente all’Informa6ca studia i fondamen6 teorici, le metodologie e le tecniche che consentono di progeBare sistemi hardware e soƒware capaci di fornire all’elaboratore eleBronico prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di per6nenza esclusiva dell’intelligenza umana. È, quindi, la scienza e l’ingegneria che serve per creare macchine, abbastanza intelligen6, da imitare l’intelligenza e il comportamento umano. Vengono studia6 da6 e, per avvicinarsi all’umano, si necessita di un’interfaccia, di uno studio che permeBa di raggiungere un comportamento intelligente aBraverso ques6 strumen6 computazionali. La conoscenza, nell’umano è veicolata dal linguaggio naturale: si può parlare la nostra stessa lingua o si possono usare degli output per ricevere assistenza da queste macchine comandate dall’AI. Finché le macchine sono state programmate e agivano soBo comandi tecnici, l’intelligenza ar6ficiale, non riusciva ad interfacciarsi con le persone perché erano richieste delle competenze specifiche; quando si è iniziato a comunicare con essa con un linguaggio naturale, è stata segnata la vera svolta. L’intelligenza ar6ficiale ha vari compi6 e, tra ques6, troviamo: - Costruire macchine intelligenK che operino come meglio degli umani. Questa operazione ha, però, bisogno di una serie di da6 che la rendano una macchina pensante ed intelligente - Formalizzare la conoscenza ed i meccanismi di ragionamento in ogni seIore di interesse - Usare modelli computazionali per capire/definire il comportamento di umani ed agenK intelligenK - Rendere facile ed efficace l’interazione uomo/macchina che viene resa sempre più semplice grazie al linguaggio naturale Il comportamento della macchina è intelligente quando, l’input che le viene dato è intelligente. Ci sono, infaJ, macchine dotate d’intelligenza ar6ficiale, che compiono aJvità, che vanno anche contro quello che è l’interesse stesso dell’uomo. Questo non significa che la macchina ci si sta ritorcendo contro, ma in realtà è semplicemente stata programmata male, in mala fede, per andare a deteriorare il comportamento dell’uomo. Chi è il padre dell’intelligenza arKficiale? - il test di Touring Il padre dell’intelligenza ar6ficiale è Alan Touring che, ha studiato le potenzialità delle macchine e, sin dall’inizio, fu riconosciuto non solo nell’ambito dei fondamen6 dell’informa6ca e ma anche in quello del dibaJto filosofico, rela6vo ai limi6 e alle potenzialità delle nuove “macchine pensan6”. In un ar6colo, del 1950, Turing propose un famoso test per verificare la presenza o meno di intelligenza in una macchina. Il test di Touring fu ideato come “il gioco dell’imitazione” (imitazione del linguaggio naturale dell’uomo e della possibilità di pensare) per determinare, appunto, se una macchina fosse in grado di pensare o meno. Qui vi sono 3 partecipan6: - un esaminatore - un uomo - la macchina L’esaminatore è tenuto a separare l’uomo e la macchina e, ponendo loro delle domande, doveva essere in grado di capire quali provenissero dall’uomo e quali dalla macchina. Il gioco, l’esperimento sarebbe finito nel momento in cui, l’esaminatore, non sarebbe stato più in grado di dis6nguere le risposte. In questo caso la macchina ha “passato il test” ed è considerata “in grado di pensare”. La vera e propria data ufficiale della nascita dell’AI, risale al 1956 quando vi fu un convegno al Dartmouth College, in cui una serie di studiosi si riunirono per discutere delle nuove scoperte, sviluppate in questo ambito, e per la prima volta chiamarono queste scoperte con il nome proprio di “intelligenza ar6ficiale”. Con il passare degli anni, tramite livelli crescen6 di da6 elabora6, migliori capacità di archiviazione e lo sviluppo di algoritmi avanza6, l’AI poteva ora imitare il ragionamento umano, acquisendo ed elaborando informazioni che le consen6vano di imparare e di interagire con l’ambiente circostante, a differenza dei computer che svolgevano funzioni meccaniche e compi6 precisi. Un altro elemento importante, di cui dobbiamo parlare, è la dis6nzione tra intelligenza ar6ficiale debole e forte. - È definita debole quando riesce a risolvere, in modo razionale, dei problemi che vengono pos6 ma non necessariamente con quella raffinatezza intui6va e associa6va 6pica dell’essere umano. - L’intelligenza ar6ficiale forte invece, comprende, fa propria i meccanismi cogni6vi, perceJvi e associa6vi, della mente umana, per risolvere i problemi con gli stessi processi che avrebbe u6lizzato l’uomo. È sull’intelligenza ar6ficiale forte che si fonda la paura della comunità che dice “l’intelligenza ar6ficiale ci distruggerà tuJ perché porterà alla fine dell’uomo”. Questa affermazione viene fuori dal faBo che, ormai l’AI è così tanto sviluppata che, a volte riesce a superare l’uomo nelle sue mansioni. L’unico elemento che, però in realtà, può intervenire, per far si che questo processo si avveri, è proprio il comportamento umano che si occupa di dare gli input alla macchina. Alcuni però pensano che, con6nuando a dare input alla macchina, con6nuando a farla crescere e a farla diventare simile ad un essere umano, essa possa rivoltarsi contro quest’ul6mo. I pro e i contro dell’intelligenza arKficiale Come in tuBe le cose, ovviamente, ci sono dei pro e i contro, anche nell’intelligenza ar6ficiale. Tra i pro troviamo: - La capacità di svolgere rapidamente ed efficacemente le aJvità di rou6ne quo6diana con facilita - Il faBo che essa può funzionare indefinitamente, ovvero senza pause - Fa meno errori dell’uomo, che di contro è dotato di emozioni compiendo i cosiddeJ “errori umani”. L’AI ci permeBe di esplorare ambi6 in cui l’uomo si, potrebbe arrivare, ma con molte difficoltà - La presenza dell’interfaccia fa si che essa possa essere usata da chiunque. Tra i contro invece ci sono tuJ quei faBori che fanno “rallentare” i progressi dell’intelligenza ar6ficiale, ovvero: - Il faBo che essa ha dei cos6 eleva6 - Ridurrà le opportunità di lavoro per gli umani a favore di questa automazione. Alcuni vedono questa come una “meccanizzazione” forzata, pensando che l’intelligenza ruberà il loro lavoro, ma quando, e se, questo avverrà veramente, nasceranno sicuramente nuove professioni per tuJ coloro che vedranno il loro posto di lavoro rimpiazzato - avrà il compito di prendere le proprie decisioni. Essa, però, al momento, è intelligente grazie ad un automazione, ad un input inviatogli dall’uomo. La macchina non può ragionare da sola finché non oBerrà un input correBo. - manca di crea6vità, anche se questa è streBamente collegata al creatore dell’intelligenza ar6ficiale - può mancare di miglioramento, nell’AI infaJ è presente l’incapacità di dis6nguere determina6 6pi di informazioni u6lizzabili, è l’essere umano che, migliorando la propria condizione, anche computazionale, grazie alla macchina, può migliorare la programmazione stessa di quest’ul6ma. Esistono vari elemen6 che funzionano con intelligenza ar6ficiale e di cui noi facciamo uso ogni giorno. Tra queste ad esempio troviamo il Face ID che si basa sul sistema TrueDepth sviluppato da Apple. Il sistema u6lizza la fotocamera anteriore dell'iPhone X e i sensori presen6 nella barra posizionata in alto. Il sensore fotografico è aiutato, nel proprio lavoro, da alcuni sensori a infrarossi che permeBono una scansione tridimensionale perfeBa anche in situazione di scarsa illuminazione. Anche Sephora è uno di quei brand che fa uso delle tecnologie dell’AI, ad esempio tramite il “Sephora reserva9on Assistant”. Si traBa di un interfaccia che funziona tramite un chatbot, in cui l’utente accede ad una chat di conversazione, con le credenziali previamente registrate, e seleziona, tramite un dialogo con il “sephora virtual Assistant” varie opzioni a lui interessate, con la funzione di prendere un appuntamento con una/o specialista che si occupi del suo make-up. Sempre parlando di questo brand, esiste anche il “Sephora color match”. Quest’ul6mo è una scansione del volto della persona, anch’essa registrata sul sito ufficiale, che permeBe di cogliere esaBamente la tonalità di colore della pelle di questa; così facendo si promuovono e propongono dei prodoJ che sarebbero perfeJ per quella persona. Questo va a sos6tuire la competenza della persona in negozio che di solito suggerisce i prodoJ ai clien6. Ancora Sephora propone un app di messaggis6ca instantanea di nome “KIK”. Questa diventa super di moda negli sta6 uni6 ed in Cina e, consen6va di capire quali erano le preferenze degli uten6 riguardo i trucchi e vari prodoJ sephora, in modo tale da consigliarne anche di nuovi, che magari non avevano mai provato. Gli uten6 che u6lizzano quest’app, inoltre potevano con6nuare a mandarsi messaggi ed u6lizzarla proprio come se fosse Snapchat o Whatsapp e, quando arrivavano queste proposte dal brand potevano acquistare i prodoJ direBamente dai messaggi. L’AI nel mondo della moda Nel mondo della moda l’AI viene u6lizzata per dei processi di co-creazione con i fashion designer. Una delle fron6ere della moda è quello di inglobare, il proprio consumatore all’interno del processo crea6vo. Fino a qualche anno fa si facevano dei Contest, un concorso dove si chiedeva la partecipazione dell’utente ad inscenare un nuovo evento, un nuovo prodoBo e poi veniva premiata l’idea migliore. Con l’arrivo dell’intelligenza ar6ficiale, si va oltre questo meccanismo e, anziché raccogliere una sola idea dell’utente x, si riesce a aggregare quan6 più da6 possibili e, a cogliere, il progeBo di innovazione da quan6 più soggeJ possibili. TuBo questo permeBe una maggiore partecipazione dell’utente ad un progeBo di moda. Questo è 6pico della forma che ha assunto la nuova società contemporanea. Questo passaggio dall’era dell’accesso, all’era del possesso, indica anche una progressiva sos6tuzione del bene materiale a quello immateriale. All’acquisto subentra l’uso momentaneo e la vendita dei prodoJ è rimpiazzata dalla fornitura di servizi. Un esempio di ciò, che possiamo fare sono le piaBaforme di car sharing come “enjoy”, “car to go”, dove invece di possedere un auto, decido di prendere in “affiBo/noleggio” il servizio offerto da essa. Nella sharing economy quindi non ci concentriamo più sul possedere qualcosa, perché quello che diventa fondamentale è avere l’oggeIo a disposizione quando serve. Ma cosa significa, cosa sta ad indicare il passaggio dall’era del possesso all’era dell’accesso? Significa tenere in considerazione che la dimensione importante non è più quella di poter dimostrare di possedere qualcosa, ma di avere le capacita per potervi accedere. (Come ad esempio avere una capacita relazione alta, per sapere a chi rivolgersi per oBenere quella determinata cosa) Con questo 6po di economia, inoltre, diventa ancora più alto il grado di informazione e, ques6, sono tuJ elemen6 (cultura, relazioni ed informazioni) che portano nella direzione dell’immaterialità. Si passa da un’economia governata dalla logica del mercato (basata sul possesso di beni) a un’economia basata sulla possibilità di avere accesso (con importanza della cultura, delle relazioni e dell’informazione). Il consumo collabora6vo lo possiamo definire un modello economico fondato su un insieme di pra6che di scambio e condivisione, che siano ques6 beni materiali, servizi o conoscenze. Esso è basato sul principio della cooperazione, si sviluppa come alterna6va al consumismo classico, all’interno del contesto dell’economia collabora6va. La cooperazione è un modello che esiste da mol6ssimo tempo ma, in questo contesto, l’aBenzione di questa si libera di quegli elemen6 tradizionali lega6 ad una certa declinazione poli6ca, perché qua, in questa definizione, essa è semplicemente legata all’idea di meBere in condivisione una serie di prodoJ o servizi, per offrire un modello di consumo tradizionale. Rilin già nel 2016 affermava che “la risposta ai cambiamen6 clima6ci, all’ecosistema in difficoltà, alla distribuzione della ricchezza a dir poco squilibrata, a una crisi economica che non ha dato tregua per anni, è la sharing economy, l’economia a costo marginale zero. È un’economia basata sull’internet delle cose, l’unica soluzione che può, in breve tempo, salvare una specie, quella umana, che altrimen6 potrebbe non vedere la fine del secolo”. Questa frase era traBa da un intervento faBo proprio da lui, dove proponeva la sharing economy come un modello alterna6vo a quello già esistente dell’economia classica, vista come responsabile di varie calamità nel nostro paese. Lui nel 2016, dicendo ciò, faceva riferimento alla crisi del 2008, dicendo che in questa situazione di incertezza e di crisi, la risposta a tuBo era la sharing economy a costo marginale 0, ovvero un’economia che era capace di immeBere sul mercato un numero marginale di prodoJ, sfruBando al meglio quello che già era stato prodoBo in precedenza, evitando quindi di sfruBare le risorse, l’accumulare rifiu6 e di sprecare. Rilin dice che questa è l’unica soluzione che si può avere in questo momento di crescente complessità. Oggi noi viviamo in un contesto in cui la sharing economy è molto sviluppata, pur non essendo un modello prevalente. Il modello del consumo collabora6vo ha delle radici che non sono recen6, che si basano sul baraBo, sullo scambio di merci che non sono alla pari. Esso diventa di nuovo cosi importante nel contesto contemporaneo perché, di faBo, uno degli elemen6 scatenan6 che ha faBo rifleBe i governi, i poli6ci, è stata innanzituBo questa crisi del 2008, portando i consumatori ad assumere delle posizioni più caute, per portarli ad un aBeggiamento propenso al risparmio, questo proprio perché le persone avevano paura di rimanere senza denaro. Un altro degli elemen6 che è servito da acceleratore per questo consumo collabora6vo è stata, anche, la crescente aBenzione degli individui nei confron6 dell’impaBo sull’ambiente delle loro scelte al consumo. (Consumerismo poliKco). Altro elemento è quella componente pro sociale, ovvero la propensione delle persone ad abbandonare quell’individualità, e iniziarsi a sen6re parte di una comunità che è preoccupata rispeBo a quella che è la deriva ambientale, apportando anche le pra6che di consumo consapevole. Infine abbiamo anche la diffusione pervasiva delle nuove tecnologie, ovvero avere accesso a tuBo quello che è raggiungibile tramite una connessione, tuBo questo ha dato una grande accelerazione a questo fenomeno del consumo collabora6vo. Quindi ricapitolando, gli elemen6 che hanno permesso lo sviluppo del consumo collabora6vo sono: - la paura di rimanere senza denaro - la crescente aIenzione nei confronK dell’ambiente e delle scelte di consumo sull’impaIo sociale - il senKrsi parte di una comunità, adoIando scelte di consumo consapevole - la diffusione di nuove tecnologie Mol6 autori danno una definizione del consumo collabora6vo come “un’aJvità, coordinata aBraverso servizi online costrui6 su una comunità, basata sullo scambio peer to peer (il consumo collabora6vo quindi funziona come uno scambio tra pari, normalmente le come più pure di sharing economy, a meBere a disposizione i propri servizi sono dei pari, delle persone comuni) che consente di oBenere, dare in condivisione l'accesso a beni e servizi”. Questo conceBo è il nucleo dalla quale è par6to il conceBo della sharing economy. Possiamo fare l’esempio con AirBnb, che è nato proprio perché le persone hanno iniziato ad offrire un posto leBo all’interno della loro casa. Ma ancora prima di questo si è assis6to al fenomeno del couchsurfing, dove veniva messo a disposizione un divano sulla quale dormire. Airbnb adesso è un fenomeno che è esploso, e si è un po perso quel conceBo di “peer-to-peer”, dove la maggior parte degli appartamen6 offer6 sono ges66 da albergatori, professionis6 e non da persone come noi. Si dice che ormai è diventata la catena alberghiera che offre più stanze al mondo, anche se quando nacque, l’idea era proprio quella del consumo collabora6vo, poiché per mo6vi economici, le persone offrivano i loro servizi alla popolazione. Altri due autori che si sono occupa6 nel deBaglio del consumo collabora6vo sono Botsman e Rogers che, nel 2010, scrissero un libro sul consumo collabora6vo, riconoscendolo in tre 6pologie principali: 1. Sistemi di prodoJ di servizio 2. Merca6 di ridistribuzione 3. S6li di vita collabora6vi I sistemi di prodoBo e di servizio consentono alle aziende, o ai priva6, di offrire beni come servizi piuBosto che venderli come prodoJ. Sono sistemi che consentono l’accesso ad una risorsa fisica (bene, veicolo, spazio) aBraverso lo scambio tra priva6 senza riferimento di proprietà (noleggio, pres6to, condivisione) un po’ come fa appunto BlaBlaCar. Con questo servizio si ha la possibilità di scegliere una des6nazione ed una data e, sull’applicazione, ci saranno una serie di profili che l’utente potrà scegliere, che offrono proprio questo viaggio a prezzi molto bassi. Il singolo utente che possiede la macchina quindi fa una traBa, per mo6vi personali, ed in cambio di denaro offre un passaggio su di essa. Si traBa del fenomeno del CarPouling che nasce in Francia nel 2006 e viene lanciato in italia nel 2012, diffondendosi in tan6 paesi. L’idea è appunto quella di riuscire, con un approccio peer-to-peer, a far viaggiare le persone in cambio di denaro che viene transito dalla piaBaforma. Questa ha avuto molto successo nonostante ci sia una dimensione di grande dubbio, ovvero quella del trust, della fiducia, perché di faBo si va in macchina con uno sconosciuto. Quello che da sicurezza alle persone è che da un lato c’è la piaBaforma, che organizza, mentre dall’altro, vi è una dimensione importante che riguarda le recensioni che sono cruciali nel supportare nuove persone ad avere fiducia scegliendo un guidatore piuBosto di un altro. Ques6 sono quindi sitemi di prodoH di servizio (SPS) prevedono infaJ la formula “accesso anziché possesso”. I SPS consentono ai membri di condividere prodoJ di proprietà di aziende o priva6. La seconda 6pologia sono i merca6 di ridistribuzione dove, i beni usa6 o inu6lizza6 vengono sposta6 da un luogo, in cui non sono necessari, a un luogo in cui sono richies6. Il trasferimento può avvenire in modi diversi, ad esempio: - Con la rivendita - BaraBo - Dono degli oggeJ In genere aBraverso una piaBaforma digitale. Nel tempo questa idea della ridistribuzione potrebbe aggiungersi a quella classifica delle “R” che riguardano la sostenibilità e che sono: - Ridurre - Riu6lizzare - Riciclare Quali sono dei 6pi di merca6 di ridistribuzione? Ad esempio ci sono delle piaBaforme C2C dedicate alla moda, al Second Hand, già presente in 16 merca6, come ad esempio Italia, Francia, Spagna ecc. Una di queste piaBaforme è ad esempio vinted che deve il suo successo grazie al faBo che la piaBaforma non si 6ene una percentuale sulle transazioni, cosa che succede ad esempio su Wallapop. Vinted è conveniente perché sicuro, contro gli sprechi e a cos6 accessibili. Si traBa di dei veri market place dove vengono messi a disposizione dei prodoJ per venderli o scambiarli per altri oggeJ. La terza 6pologia è quella degli s6li di vita collabora6vi, ovvero considerare degli individui, delle persone con bisogni o interessi simili, che si uniscono per condividere e scambiare risorse meno tangibili come tempo, spazio, competenze. Ques6 scambi avvengono principalmente a livello locale o di quar6ere, poiché le persone condividono spazi di lavoro, giardini, parcheggi etc. La condivisione collabora6va avviene anche su scala globale, aBraverso aJvità come il pres6to e il viaggio peer-to-peer, che sono in rapida crescita. Gli s6li di vita collabora6vi avvengono in un contesto locale dove, ad essere condiviso, sono le piccole cose, anche se la dimensione collabora6va può avvenire anche in un contesto globale nel momento in cui, a fare da tramite c’è una piaBaforma. Un esempio di uno s6le di vita collabora6vo è quello che sta alla base del social ea9ng, con la sua idea dove vi erano delle persone che meBevano a disposizione la possibilità di andare a pranzo, o a cena a casa loro. Prima del covid c’erano un sacco di piaBaforme del genere, come “gnam” in italia, dove le persone volevano assaggiare sempre più cibi diversi e, allo stesso tempo, imparare a cucinare ed offrire cibi della propria cucina. Alcuni di ques6 si6 vennero chiusi o rivoluziona6 e, ad esempio, essi si sono trasforma6 in modo tale da essere ospita6, a cena, da una serie di persone (verificate da un apposita piaBaforma) quando ci troviamo in una determinata ciBà. Anche home link è una piaBaforma che contribuisce agli s6li di vita collabora6vi, dove non si offre più una stanza, o un singolo appartamento, ma si scambiano delle case, si va in vacanza in casa di qualcuno, andando magari in un paese differente. AffiLo e giardino è una piaBaforma dove le persone meBono a disposizione il loro giardino per even6 priva6. Gli uten6 del consumo collabora6vo sono principalmente i millennials per un’idea di risparmio, di dimes6chezza con la tecnologia, ma, con il tempo, ciò si è diffuso anche nella generazione Z. Ci sono tante piaBaforme di 6po sharing economy, come Uber che, come fa anche BlaBlaCar, meBe a disposizione in un contesto urbano, la sua auto come un taxi. Ques6 luoghi però non sono luoghi banali, dove l’acquisto diventa un piacere, poiché essi sono organizza6 per aJrare il consumatore, o perfino per costringerlo a consumare. Si parla infaJ di iperconsumo. Si dice, infaJ, che abbiano una natura quasi religiosa, incantata; sono meta di pellegrinaggi; danno vita a delle vere e proprie cerimonie di consumo e deificano le merci. Quando si entra in una caBedrale, quello che succede agli individui è che essi vengono colpi6 dalla maestosità di essa, di come la religione arrivi ad esprimere questo senso di grandiosità; entrando in un centro commerciale, i consumatori provano esaBamente le stesse emozioni, poiché per creare questo incanto vengono u6lizzate numerosissime risorse. Bisogna sapere infaJ che il consumatore, di contro, impiega solo 5 secondi a decidere, quando entra in un luogo, se vale la pena spendere lì, il suo tempo o meno, ma in quei pochi aJmi esso viene aBraBo dagli odori, dalle luci, dai colori, in modo tale da restare là dentro a consumare. Harrods, a Londra, è una meta turis6ca pari al Big Ben, l’unica cosa è che è un centro commerciale. Ma perché ciò? Questo perché gli arredi sono vincola6 dal luogo di consumo stesso che, grazie alle luci, ai colori eccetera, riesce ad aBrarre il consumatore. A differenza di questo, ad esempio, nella Rinascente ogni brand ges6sce il suo spazio e i suoi prodoJ affiBando uno spazio pagando e se ne prende cura gestendolo a suo piacimento. Alla fine però anche Harrods, con il passare del tempo, è diventato un brand, riuscendo a “brandizzare” vari prodoJ dalle borse, ai peluche e a tante altre cose. Ques6 luoghi sono quindi luoghi ibridi, ovvero dei luoghi che nascono con una funzione, diversa da quella di consumo, ma sempre più, all’interno di essi, vengono inseri6 degli spazi di vendita di vari prodoJ. La natura originale di quello sazio viene modificata diventando una vera caBedrale di consumo. Alcuni esempi di ciò sono: - Thew Yale Bookstore, che si trova all’interno dell’università dove è possibile acquistare prodoJ targa6 essa. Al suo interno, di Yale, è possibile fare un percorso guidato per conoscere il campus e le varie aule, e questo, guarda caso, finisce proprio dentro lo shop. - Hard Rock Café - Guggenheim Shop and Restaurant La cultura legiJma in qualche maniera un’esperienza di altra natura. TuBa la caBedrale di consumo fa si che si venga a creare uno luogo che simula lo spazio urbano creando una vera e propria forma di incantesimo per il consumatore che decide di passare sempre più tempo all’interno di essa, perché è uno spazio talmente appariscente che riesce ad aBrarlo e traBenerlo. Si creano cosi all’interno di ques6 luoghi, una serie di even6 che vanno al di la delle merci. Ad esempio vengono organizzate delle cene di San Valen6no all’Ikea, che comunque è il primo luogo dove vanno le coppie quando vanno a convivere, quando decidono di costruire la loro prima casa. Il primo giorno di scuola, il Natale o la festa degli innamora6, sono accompagna6 da feste, promozioni, concer6, che mirano ad aJrare un considerevole numero di consumatori. La religione del consumo si fonda completamente sull’incanto che queste caLedrali di consumo riescono a creare. Per aBrarre un numero sempre maggiore di consumatori, le caBedrali del consumo devono offrire le inesauribili possibilità di consumare, nonché apparire straordinarie e fantas6che. TuBo l’incanto però si basa su due elemen6: - la speIacolarizzazione, lo speBacolo che maschera la razionalità del funzionamento dei luoghi di consumo - la simulazione, di qualcosa che non è reale, è immaginario ma che sembra concre6zzarsi davan6 i nostri occhi Il consumatore però non è proprio “cieco” ma quando gli even6 sono ripropos6 sempre in maniera iden6ca, egli inizia a rendersi conto che il tuBo è una messa in scena, razionalizza quello spazio dove si è trovato in un primo momento incantato. Si ha quindi: - “Perdita del senso del tempo” à disorientamento del consumatore La razionalizzazione rimuove la magia e subito causa noia e disincanto. - à LoBa tra incanto e disincanto Bisogna quindi creare, sempre nuove forme di reincanto, rigenerare sempre nuove esperienze, creare even6 sempre nuovi che mantengono questa fascinazione, altrimen6 il consumatore razionalizzerà questo spazio. Per questo mo6vo i pun6 vendita cambiano le loro vetrine, ed offrono una nuova esperienza all’interno del loro punto vendita ogni seJmana, per far si che il consumatore non si stufi di vedere sempre le stesse cose. L’incanto delle caBedrali del consumo deve essere rigenerato affinché esse possano mantenere la loro capacità aBraJva per un gran numero di consumatori, senza i quali non si generano i profiJ spera6. Un hotel a Las Vegas, ad esempio, ha ricreato uno spazio dove rivivere l’esperienza di stare proprio a Venezia, con le gondole, con lo spazio acqua6co, i pon6, un luogo in cui il consumatore possa provare l’emozione di stare nella conosciu6ssima ciBà italiana, anche non stando fisicamente lì. I consumatori vanno in questo hotel perché la teatralizzazione e la messa in scena creano un incanto che vale la pena di vivere, pagare e consumare. - speIacolarizzazione (es. even6 Apple) - messa in scena (retailtainment – es. Rainforest café - London) - simulazione (es. Hotel a Las Vegas) Il rainforest cafe di Londra appare dal piano strada come un negozio di giocaBoli tema6zza6 con tuJ gli animali della foresta pluviale; solo dopo il consumatore si rende conto che dietro il negozio di giocato vi è un vero e proprio locale dove si è invita6 a vivere un’esperienza tropicale. Si scendono le scale infaJ e si viene aBraJ dai suoni, dai rumori 6pici della foresta pluviale. Mentre si è lì si viene col6 da una cosa inaspeBata: arriva una vera e propria tempesta fluviale, prima di vento, poi di acqua piena di suoni e rumori poco visibili, ma che fanno parte della messa in scena e dell’incanto, per far vivere l’esperienza di trovarsi in una vera e propria foresta pluviale lontana chilometri da noi. Altri esempi che possiamo fare sono: - American girl dove le persone vanno per costruire delle bambole uguali a loro. Qui si può scegliere la bambola del colore di pelle e capelli, uguali ai nostri e, in un certo senso, qui si compra l’esperienza di costruire, creare questa bambola. Il loro moBo è “a doll just like you”. Se questa si dovesse rompere, il negozio ha provveduto a creare anche un “ospedale”, dove esse possono essere aggiustate. - Serravalle designer outlet: esso ha le sembianze di un vero e proprio villaggio, con una for6ficazione, una torreBa, nel quale si cammina. Riproduce la piazza ciBadina con i negozi aBorno - m&m’s store dove non solo si possono acquistare diversi gus6 di m&m’s, ma anche oggeJ che fanno parte del merchandising come i peluche a forma di cioccola6no, le maglieBe di vari colori, con le facce dei personaggi, tazze e cosi altro. La vera chicca del negozio è la personalizzazione, poiché posso acquistare un m&m’s che abbia la mia faccia, il mio nome, una mia foto; questo processo avviene soBo gli occhi del consumatore che sceglie tuBo quello che vuole sopra di esso - Mall of Emirates - Dubai, qui i consumatori possono vivere l’esperienza di sciare in una vera e propria pista con uno skipass a loro disposizione, compiendo un percorso anche abbastanza grande. Questo è costruito principalmente per quelle persone che vivono proprio lì a Dubai che non vedono mai la neve, ma aJra anche mol6 turis6 per la sua speBacolarità - Gracery hotel - Tokyo, mol6 degli hotel in questa ciBà sono tema6zza6, vi è costruito un universo che prende vita soBo gli occhi di chi vi alloggia. Ad esempio in questo si vede spuntare la testa di Godzilla dalle finestre dell’hotel. Questo è uno dei più frequenta6 di Tokyo, non solo per dormire, ma anche per fare colazioni o aperi6vo dentro di esso, proprio per vivere la fascinazione di essere all’interno di questo mondo idealis6co cinematografico - World Ralph Lauren, questo si trova a Milano e, questo brand, ha costruito i propri pun6 vendita su un proprio mondo, ovvero quello Ralph Lauren, dove poter meBere in scena la casa di chi veste questo marchio. Questa viene raffigurata con colori tenui, ordinata, con un camino e cosi via. All’interno dello shop Ralph Lauren vi è anche uno spazio dedicato a chi vuole bersi un caffè, godendo di un esperienza che la marca offre ai consumatori - Faö Schwartz / Hamleys: il primo è un negozio di giocaBoli nato in america, più principalmente a 6mes Square a New York, caraBeris6co per ques6 solda6ni di piombo che si trovano dentro e fuori di esso. Il secondo, appena aperto a Milano, offre sempre giocaBoli per grandi e piccini, ma al suo interno ciò che ha faBo scalpore è, sia la giostra di cavalli che si trova al suo interno, ma anche l’esperienza di costruire un peluche, scegliendo quanta imboJtura, i ves66ni da meBere a questo e tante altre cose. Lezione 18! Globale, locale, alternaKvo La società moderna si trova all’interno di un villaggio globale, un luogo interconnesso, che raffigura “il mondo intero”. Questo lo percepiamo ogni giorno, come quando, pensando ad una guerra, sappiamo che essa ha ripercussione su tuBo il mondo così come qualsiasi evento all’interno di questo villaggio, che ha un grande impaBo sul mondo. L’internazionalizzazione dei merca6 fa si che ci sia un’assoluta interdipendenza, in tuJ i paesi del mondo. Non si traBa solo di un’internazionalizzazione dei merca6 o dei prodoJ, ma essa riguarda ad esempio anche i merca6 finanziari, su come le borse del mondo hanno influenza l’una sull’altra, facendo salire o scendere il valore della moneta. Non si parla più di aziende nazionali o internazionali ma di transnazionali che hanno una sede in un posto, vendendo magari in tuB’altra parte. Si creano delle catene di merci globali che vengono recepite come un bene così com’è, mentre a volte hanno bisogno di adaBamento per via di un processo di globalizzazione. La globalizzazione può essere di vari livelli, economica, finanziaria ecc. un esempio potrebbe essere H&M che nasce come un piccolissimo brand in Svezia, che non era un paese molto centrale nel quadro economico mondiale, ma allo stesso tempo il brand in pochi anni è riuscito ad espandersi in mol6 paesi acquistando dei negozi in cui vendeva abbigliamento maschile da caccia. Espandendosi arrivò anche a quotarsi nella borsa di Stoccolma fino ad arrivare a distribuire i prodoJ in tuBo il mondo, assumendo il rilievo di un brand internazionale, di moda, di fast fashion. Nonostante potesse sembrare secondario, ha assunto rilevanza quando ha iniziato a creare creazioni con altri ar6s6 come Karl Lagerfeld ecc… progressivamente è diventato un colosso che voleva allargare la propria quota di mercato allargando l’offerta al target di riferimento. Creò infaJ un soBobrand di nome COS con un abbigliamento ampio, destruBurato, lontano dall’immaginario scandinavo, anche se questo non aveva un abbigliamento preciso, dando la possibilità di spaziare in più ambi6 s6lis6ci. Stesso processo lo hanno subito i dolci, legato a quel piccolo dessert che deve completare il pasto, appagando il consumatore italiano. Quest’ul6mo però non completava i pas6 con pezzeJ di cioccolato mou ad esempio, o con dolci con un indice glicemico eleva6ssimo; egli voleva qualcosa che potesse addolcire il palato alla fine del suo pasto. Questo fu trovato con il gelato, che però per gli americani, quello 6pico era il gelato confezionato. Da questo connubio tra le due culture, nacque una collaborazione che riguardava vari brand italiani come anche perugina, dove insieme a McDonald produsse dei gela6 che avessero un gusto italiano ma una forma più americana. Nasce cosi il McFlurry al gusto bacio, facendo si che questo cibo italiano venisse prodoBo e presentato in nuova forma. Si traBa quindi di una glocalizzazione culturale, tra due culture alimentari affinché si potessero avere dei profiBevolmente dei prodoJ del territorio della cultura italiana. Anche la Fanta, o comunque sempre il McDonald, hanno subito una contaminazione dei gus6 degli altri paesi, creando ad esempio la piadina greca, o la Fanta con i fruJ ispanici e cosi via. McDonald per via del gusto, mo6vi religiosi o comunque in genere per essere apprezzato da chiunque ha dovuto modificare il suo menù. Questo processo di glocalizzazione che vede l’adaBamento dei prodoJ globali su base locale, fece “centro” già nel lontano 1986, quando Carlo Bernini aveva lanciato il movimento di protesta slow food, contrario al fast food del McDonald. Questo slow food proponeva il valore del mangiare piano e bene, e pian piano è diventata un’organizzazione no profit enogastronomica con più di 150 mila membri in 150 paesi. Questa ha degli obieJvi specifici, ovvero: - Difendere il diriIo umano al piacere palatale per poter gustare gli elemen6 dal sapore originario, e non mixarlo con quello del paese di riferimento - Promuovere il cibo buono, pulito e giusto a km 0 - Valorizzare la cultura ed il cibo locale È arrivato con questo movimento quindi, un processo di rilocalizzazione del cibo. Il movimento slow food ha consen6to di reintrodurre numerosi prodoJ, che magari stavano scomparendo, garantendo con6nua vitalità ai prodoJ, valorizzando cibi anche a km 0 che magari sono meno economici, ma tuBo questo processo, ha reso lo slow food un network globale. L’aspeBo interessante è come la valorizzazione del territorio locale, passi aBraverso un movimento internazionale che propone gli stessi valori, gli stessi aspeJ su scala mondiale. Questo è un movimento di faJ diffuso in tuBo il mondo che propone una globalizzazione delle culture locali. La globalizzazione ha portato, tuBa una serie di vantaggi, percepi6 come una serie di progressi, come ad esempio, gustare e ves6re come fanno dalle altre par6 del mondo, che per noi diventano delle vere e proprie forme di conoscenza, di esplorazione culturale. All’inizio del 2000 una giornalista, Naomi Klein aveva scriBo un libro dove descriveva le varie ricerche, da lei effeBuate, per capire quali strategie di produzione le varie aziende globali, meBevano in aBo. Questo suscitò vari scandali lega6 a brand come Nike, Nestle eccetera, poiché alcuni comportamen6 delle aziende, ai consumatori non piacquero facendo nascere varie proteste. Ad esempio, per quanto riguarda la Nike, si scoprì che produceva i propri prodoJ in aziende del terzo mondo dove per fare delle cuciture minuziose e precise, u6lizzavano dei bambini, incrementando di molto lo sfruBamento minorile, già presente in quei paesi. La Nestlé, di contro, aveva iniziato una campagna pubblicitaria dove faceva vedere come il laBe in polvere, da loro prodoBo, fosse migliore e avesse dei valori nutrien6 più al6, di quello materno. Questo doveva essere diluito però con l’acqua per poterlo fare bere ai bambini; il problema delle campagne pubblicitarie di Nestlé, è però che esse spingevano l’acquisto e la distribuzione di ques6 prodoJ specialmente nei paesi del 3 mondo, dove l’acqua era un bene primario essenziale, che però mancava. Le donne quindi per diluire questo laBe in polvere, lo facevano con l’acqua sporca che trovavano in giro, facendo cosi nascere numerose malaJe ed epidemie. L’azienda di contro fu messa in una gogna media6ca talmente grande, che fu costreBa a ri6rare il proprio prodoBo. I consumatori fecero un vero e proprio boicoBaggio della Nike, decidendo di non acquistare più i suoi prodoJ. La Nike ha dovuto quindi, in poco tempo, ristruBurare il loro metodo di produzione, affidandolo ad aziende, dalle altri par6 del mondo, che non u6lizzassero lo sfruBamento minorile. Essa ha dovuto rivedere i loro valori, fondandoli su cose concrete, uscendo da ques6 scandali, for6ficata a livello valoriale. Ul6mo movimento di globalizzazione riguarda McDonald per il documentario di “surprise me”, derivato da una storia reale. Surprise me è un documentario girato da un giornalista che ha invitato a consumare prodoJ, acquista6 al McDonald, per 5/7 mesi, tenendo soBo controllo il proprio stato di salute. È emerso che, l’individuo testato era ingrassato di 30kg in 5 mesi, ma sopraBuBo c’è stato un deterioramento irreversibile dello stato di salute del giornalista, per cui il tasso di glicemia e di grasso, ha raggiunto livelli tali da essere irreversibile, creando un danno permanente al suo stato di salute. Lezione 19! Zygmunt Bauman - dalla salute al wellness Bauman, parla della modernità liquida dicendo che i suoi consumatori sono in perenne movimento, per il semplice mo6vo che, la caraBeris6ca della società contemporanea è quella di non avere vincoli, o delle norme, che ostacolino i comportamen6 dei consumatori. Il modo in cui i consumatori si approcciano al mondo dei consumi non c’entra più con la soddisfazione del bisogno o del desiderio, ma si parla della soddisfazione del capriccio. Questa soddisfazione del capriccio volge ad essere instantanea e non deve precludere alle altre possibilità di consumo. Subito dopo aver soddisfaBo questo bisogno, i consumatori ne ricercano un altro, la loro aBenzione aJrata da qualcosa di diverso. Bauman quindi ci dice che, la soddisfazione dei consumatori nella società contemporanea, dev’essere instantanea; non c’è la capacita di aBesa e, il faBo di riuscire a soddisfare il proprio capriccio, non è un punto di arrivo, in quanto quest’ul6mo non deve e non può precludere altre possibilità di consumo. Questa è struBura che abbiamo già previamente visto, poiché essa è la struBura del consumismo, si traBa di una modalità con la quale, i consumatori della modernità liquida, si avvicinano al mondo dei consumi. TuBo ciò porta ad un movimento con6nuo, ad una con6nua tensione nel raggiungere qualcosa di diverso. Lui dice anche che esiste una sorta di soddisfazione anKcipata del bene, questo è un po’ come il sabato del villaggio di Leopardi dove diceva che l’aBesa della domenica era ancora meglio della domenica stessa. Con Bauman il principio è lo stesso: il godimento del consumatore sta nell’aBesa della soddisfazione, più che nella soddisfazione stessa. Questo principio fu an6cipato dal sociologo Campbell, che parla di “consumo anKcipato aIraverso l’immaginazione”. I consumatori sono raccoglitori di sensazioni, prima di essere collezionis6 di cose. Davan6 all’oggeBo desiderato possiamo soffrire di “dissonanza cogni9va”, ovvero nel momento in cui ci troviamo tra le mani l’oggeBo tanto desiderato, realizziamo che c’è una dissonanza, ovvero quello che ci immaginavamo non è proprio come lo avevamo immaginato. Quando l’individuo si trova in una condizione di dissonanza la tende a ridurla o ritornando sulle sue supposizioni, o mi6gando quella che era la sua posizione di partenza Nel momento in cui c’è una dissonanza l’individuo ha una serie di opzioni: - con una dissonanza elevata posso disfarmi dell’oggeBo, res6tuendolo - Se non c’è una dissonanza elevata invece posso cercarla di ridurla in qualche modo Si dice che il consumatore è un raccoglitore di cose, e con ciò si intende che, il provare delle sensazioni diventa prevalente al possedere l’oggeBo stesso. Questo, secondo Bauman, fa si che il consumatore sia sempre aperto a nuove opportunità che lo porteranno a sviluppare dei nuovi interessi, a sviluppare nuovi capricci. ABraverso questa con6nua pressione di avere un oggeBo nuovo, il consumatore ha la possibilità di provare sempre nuove sensazioni. L’individuo non è tanto interessata all’oggeBo ma all’esperienza d’acquisto. Questa è un qualcosa che ci fa sen6re bene, che ci provoca sensazioni posi6ve, infaJ anche questo conceBo dell’experience marke6ng, è un altro modo, un’altra accezione di leggere quello che è la declinazione del consumatore nella società moderna. C’è un collegamento con il corpo, perché secondo Bauman, quello del consumatore moderno, è sempre di più un riceBore di sensazioni e, per poter svolgere al meglio il suo compito, del consumatore deve essere in una condizione di benessere. Questo conceBo viene molto spesso associato al conceBo di fitness. Dal punto di vista e6mologico questo però ha a che fare con il conceBo di essere in forma, ma spesso il conceBo di benessere, che può essere tradoBo come “wellbeing”, viene sovrapposto a quello di fitness. Questo accade perché il corpo, affinché è in grado di svolgere la funzione di essere riceBore di sensazioni, dell’essere al meglio della sua forma fisica; aBraverso questa forma di fitness, raggiunge anche una forma di benessere. Nella società moderna non si parlava di benessere, non si parlava di fitness ma si parlava di salute. La società moderna, è una società che si concentra sul ruolo dell’individuo come lavoratore, che ha un ruolo sociale nel contesto in cui vive e lo svolge facendo il lavoratore. Nel conceBo moderno quindi essere in salute vuol dire essere in grado di svolgere il proprio lavoro. Nelle società post moderne, si contrappone il conceBo, infaJ non si parla più di “salute”, ma di fitness, di benessere. Spesso i due termini venivano u6lizza6 come sinonimi, ma quello che può fare bene alla forma fisica, può non essere posi6vo per la salute e viceversa. Si traBa infaJ di due ambi6 diversi. Quando noi parliamo di salute ci riferiamo ad una sorta di condizione che rappresenta uno spar6acque tra uno stato normale ed uno anomalo. Si traBa di avere una serie di parametri per essere precisi. Il conceBo di essere in salute non ha niente a che fare con quello di fitness e benessere, che, però di faBo, hanno anche una forte componente di salute. La salute in un oJca moderna è una condizione fisico-psichica che le consente di svolgere bene il suo ruolo all’interno della società, essendo in grado di svolgere il proprio lavoro. Esiste anche una branca della medicina moderna che si chiama appunto “medicina del lavoro”, dove si analizzano i parametri dell’individuo, per garan6rgli che può occuparsi di svolgere bene il proprio lavoro. Lo stato di fitness, con l’evoluzione del conceBo di salute moderna, è uno stato che non è solido, perché non ci sono dei parametri fissi, non c’è uno schema. fitness significa avere un corpo in grado di vivere sensazioni, che non arriva mai a raggiungere la sua soddisfazione, perché non “si è mai abbastanza in forma”, perché il corpo del consumatore moderno, dev’essere disposto ad accogliere sempre nuovi s6moli. Al massimo, il limite può essere spostato sempre più avan9; stare in forma è un quindi un conceBo irraggiungibile con “schermaglie viBoriose, senza mai arrivare ad un trionfo finale”. Perseguire la forma fisica può portare a delle esagerazioni che poi possono sfociare a non mantenere i parametri standard della salute, portandoci ad una con6nua tensione. L’individuo è alla costante ricerca di soddisfare i capriccio, portando a migliorare il proprio livello di fitness. In uno dei tes6 di Bauman si parla del faBo che l’individuo deve curare la propria personalità esaBamente come si prenderebbe cura di un oggeBo messo in vendita. Nel momento in cui le persone entrano nel mercato del lavoro devono produrre un curriculum che dev’essere più ricco possibile, per cui, nella società contemporanea le persone sono alla ricerca costante di nuove esperienze con cui arricchire la propria personalità, cosi che arriva6 ad un colloquio di lavoro, possano presentarsi come un oggeBo che ha una serie di caraBeris6che. L’individuo mercifica il suo percorso lavora6vo e di istruzione, arricchendolo per renderlo più appe6bile. Mentre la società moderna si è evoluta verso la differenziazione, quella post-moderna procede aBraverso la contaminazione e la standardizzazione omologante. La teoria della razionalizzazione, caraBeris6ca del periodo moderno e appartenente al sociologo Weber, dice che, osservando la società egli aveva notato che, alla base del sistema, c’era uno strato rigido che osservava i comportamen6 degli individui. Questo processo Weberiano è lo stesso che Ritzer osservava nella società dell’900. L’organizzazione dei fast food è quindi l’interpretazione di un grande sistema burocra9co. Non a caso, in ques9 luoghi si può ritrovare uno s9le di lavoro a stampo tayloris2co. In questo sistema si andava ad osservare come i propri dipenden6 lavoravano e quanto tempo essi impiegavano; dopo di ciò si andava a parcellizzare, dividere il compito generale, in tan6 piccoli movimen6, task, dove i ges6 che deve compiere il mio operaio, devono essere i più semplici possibili, andando ad eliminare tuJ quei ges6 che secondo me erano inu6li. Questo prevede che l’operaio (Taylor applica il suo conceBo alle fabbriche del secolo), debba compiere sempre lo stesso gesto sempre con la stessa velocità. Questo meccanismo viene applicato anche al sistema produJvo di McDonald, poiché quando ci rechiamo in un punto vendita per ordinare, inizia un processo di organizzazione e preparazione dell’ordine, dove troviamo diversi dipenden6 impiega6 a fare diversi movimen6, come ad esempio ci sono più persone che si occupano del panino, chi delle pata6ne, chi della coca cola e cosi via, ripetendo sempre le stesse azioni. L’organizzazione dell’ordine viene, quindi, spliBata a diversi dipenden6. Si parla di meccanismo standardizzato esaBamente come veniva nella catena di montaggio tayloris6ca. Alla base di questo sistema c’è anche un sistema burocra6zzato, con un iter preciso, e se si incappa in un malfunzionamento ci sono delle conseguenze in senso di profiBo. Il funzionamento delle società post moderne, contemporanee, dipende dall’u6lizzo di 4 variabili: 1. La prima è l’efficienza, che è la capacita di offrire un metodo oJmale per la produzione dei beni e per la soddisfazione dei bisogni aBraverso un’efficace organizzazione delle mansioni lavora6ve dei dipenden6 Degli esempi che possiamo fare di essa sono: - Mc drive, qui ad esempio troviamo o un dipendente o un AI a cui viene dato un ordine, dopodiché si sposta la propria autoveBura meBendosi in coda con altri clien6; mentre la coda scorre, si arriva alla cassa dove si effeBua il pagamento e, pronto l’ordine avviene il ri6ro ed inizia il momento di consumo all’interno della veBura stessa. Con questo metodo è stato eliminato l’accesso del consumatore al punto vendita. La capacita di rischio sta nel faBo che la macchina, il totem ges6to da AI, non recepisca bene quello che noi ordiniamo. - Semplificazione del prodoBo: In questo meccanismo anche la semplificazione di un prodoBo è qualcosa che rientra in questo ambito: il panino è sempre lo stesso, ma non vi è possibilità di scelta, non si può aggiungere nulla al panino, perché altrimen6 il tempo di produzione sarebbe allungato e si venderebbe meno unità. - Consumatore come prosumer, poiché vi è un consumatore che svolge dei compi6 che sarebbero in capo al produBore stesso: quando al self service devo servirmi da solo e sparecchiare il tavolo facendo anche la raccolta differenziata, s6amo assumendo il compito di prosumer, perché svolgiamo un compito che dovrebbe fare qualcuno addeBo a questo 2. Dopo abbiamo la calcolabilità che riguarda l’aBenzione maniacale a tuJ gli aspeJ quan6ta6vi del prodoBo. Ogni processo e ogni elemento deve essere quan6ficato, sia le dimensioni del panino, il suo peso, e tuBo il resto. Anche il faBo di sapere di andare ad acquistare un panino con un determinato prezzo, rappresenta dal punto di vista del consumatore un dato di calcolabilità, perché sa a priori che può consumare un pasto con una quan6tà prefissata di denaro. Alcuni esempi di calcolabilità sono: - Elevate dimensioni della porzione - Basso costo del cibo - Risparmio in tempo di clien6, che possono mangiare nel minor tempo possibile - Elevata velocità con cui i compi6 vengono esegui6 dai dipenden6 3. Esiste poi la prevedibilità che da la garanzia che i prodoJ e l’esperienza di consumo, saranno sempre le stesse nel tempo e nei differen6 locali grazie ad un efficace programmazione della produzione e dei comportamen6 dei dipenden6. Da McDonald infaJ esistono: - menu standardizza6, circa il 70% dei loro menù è uguale in tuBo il mondo - Servizi uniformi - Comportamen6 standardizzato e dei dipenden6 4. Controllo che riguarda il faBore di conoscere con precisione cosa e quanto si è in grado di produrre, ma anche il controllo sui consumatori. Di solito questo si esercita tramite varie strategie come: - Far meBere in fila i consumatori - Menu limita6, opzioni di scelta limitate - Sedute poco confortevoli che spingono ad un consumo veloce - Dipenden6 addestra6 a compiere un numero limitato di interven6, esaBamente nel modo descriBo. Vi è una graduale sos6tuzione delle tecnologie umane con quelle delle macchine (i lavoratori aJvano il 6mer solo della friggitrice) - Controllo dei dipenden6 da parte di manager e ispeBori Quando parliamo del periodo di formazione dei dipenden6, ad essi viene faBo un vero e proprio training dove gli vengono spiegate tuBe le mansioni, ma anche dove vengono cronometra6 per vedere quanto sono veloci a fare qualcosa, che sia un panino, pata6ne ecc. All’interno del punto vendita vi sono degli ispeBori per verificare che tuBe le mansioni vengano compiute correBamente, altrimen6 verranno licenzia6 alcuni dipenden6 perché si allungherebbe di troppo la catena produJva. In tuBo questo sistema descriBo, Ritzer ci dice che non è sempre tuBo rosa e fiori, poiché ci sono degli elemen6, in questo processo, che non funzionano come dovrebbero. Si passa cosi dalla razionalità alla irrazionalità; avviene un processo di progressiva razionalizzazione dei capitalismo comporta delle conseguenze nega6ve: - si passa da efficienza a inefficienza - Costo elevato con prodoJ che dovrebbero essere economici - Falsità (la presenza di un protocollo tra i dipenden6 ed i consumatori rende falso il rapporto con il consumatore perché si crea una relazione già prestabilita all’inizio) - Disincanto - Pericoli per la salute e l’ambiente - Omogenizzazione - Disumanizzazione Ad esempio meBere in coda i consumatori per fargli avere il prodoBo, fa si che si creino delle lunghe file, passando da efficienza ad inefficienza, per questo sono sta6 crea6 dei totem, per far fronte a questa problema6ca. La stessa cosa del costo elevato, che diventa imprevedibile, avviene con i parchi tema6ci che funzionano alla fine con lo stesso principio di McDonaldizzazione, dove noi acquis6amo un biglieBo il cui costo è proporzionale in base al tempo che passiamo nel parco, e per le aBrazioni. Se noi calcoliamo il tempo passato all’interno del parco tema6co, dove sono diffuse anche varie opzioni di vendita, ed al tempo che passiamo in fila per un’aBrazione capiamo che il costo della spesa è molto più elevato della calcolabilità prevista all’inizio. Questo perché il tempo effeJvo per cui noi abbiamo pagato lo abbiamo speso in coda. TuJ ques6 aspeJ creano un paradosso di irrazionalità e razionalità. In questo sistema l’elemento più cri6co è la presenza dell’essere umano che potrebbe scardinare questo sistema. Dagli anni 80 in poi, nelle società capitalis6che è emerso un orientamento dei consumatori verso le scelte sempre più personalizzate che consentono al singolo di esprimere la propria personalità e le proprie esigenze. Pertanto, il McDonald, è costreBo a raggiungere un compromesso con le scelte individuali e con le specificità delle diverse culture. Il modello di consumo proposto da McDonald è stato diversamente rielaborato nei paesi asia6ci: - a Pechino, Seul e Taipei, i ristoran6 McDonald’s sono diventa6 dei luoghi per il diver6mento e la fuga dallo stress della vita moderna. - A Hong Kong gli studen6 vi passano molte ore a studiare e chiacchierare, facendogli perdere il loro significato di ristoran6 fast food. Anche McDonald, quindi, si è trasformato da un luogo di fast food, ad un luogo di ritrovo per i giovani, per lo studio. La McDonaldizzazione nelle piaIaforme digitali Nell’osservazione di quanto accade con il meccanismo della McDonaldizzazione nella società digitale, Ritzer si è reso conto che il mondo fisico e quello digitale si fondono. Il processo di vendita che era limitato a degli spazi fisici, perde alcune caraBeris6che perché vengono aperte delle piaBaforme digitali h24, senza alcuna limitazione di tempo e spazio. La McDonaldizzazione quando viene estesa alle piaBaforme digitali, vede un rafforzamento delle sue potenzialità. Lui ha applicato la tesi della McDonaldizzazione alla nuova realtà delle imprese digitali. Esse, aBraverso i loro algoritmi e i loro programmi di intelligenza ar6ficiale, stanno sviluppando una specie di radicalizzazione della McDonaldizzazione e dei suoi quaBro principi di funzionamento. Laddove i rappor6 direJ con i consumatori si riducono al minimo, le aziende come Amazon, devono offrire un servizio di assistenza alla vendita perché non è deBo che l’intervento umano sia in grado di portare a termine la vendita. Altro elemento che implica la radicalizzazione di questa mcdonaldizzazione, è la presenza di questa intelligenza ar6ficiale, un algoritmo che svolge tuBe le task previste per la vendita, senza alcun coinvolgimento direBo con l’essere umano. Possiamo dire quindi che il consumo delle piaBaforme digitali tende ad essere molto più efficiente, prevedibile, calcolabile e controllato rispeBo a quello dei luoghi fisici. - I rappor6 direJ con i consumatori si riducono o spariscono - Il lavoro viene svolto da tecnologie senza coinvolgimento umano direBo La componente umana è, quindi, la principale fonte di inefficienza, imprevedibilità, incalcolabilità e incontrollabilità. I sistemi digitali tendono a marginalizzarla per raggiungere il massimo grado di McDonaldizzazione possibile. Amazon Go è un sistema di vendita, un supermercato reale, fisico, dove manca l’interfaccia con i dipenden6 dell’azienda, e, con questo processo, l’azienda di Amazon si rende concreta, reale ai nostri occhi facendo salire il tasso di vendita, in ques6 supermerca6 del 98%. La componente umana si trova solo quando si devono rifornire gli scaffali. Si entra passando la propria carta di credito sui sensori, facendo riconoscere che l’utente è entrato nel super mercato, e grazie a dei sensori intelligen6 viene associata la carta al suo proprietario, mentre se si traBa di un altro individuo con la nostra carta di credito, arriva un alert. Le aziende che Ritzer ha preso in considerazione, quindi nel suo confronto sono 3: - Amazon, che svolge i suoi servizi completamente online disponibile 24/24h, se non nel caso precedentemente parlato. Non ha una struBura fisica da dover ges6re, con del personale, con l’organizzazione spaziale del punto vendita, del prodoBo e cosi via e, questa piaBaforma è cosi sviluppata grazie all’intelligenza ar6ficiale e ad una serie di algoritmi, da propormi esaBamente quello che potrebbe servirmi, questo grazie alla mia navigazione nel catalogo amazon, poiché le mie ricerche vengono registrate in esso. Il pasto preparato con cura che magari richiede molto tempo, come ad esempio nelle etnie moldave e ucraine che cucinano delle verdure lunghe da preparare, che necessitano un sacco di tempo, per alcuni è considerato il pasto più nobile, da u6lizzare nei giorni di festa, perché si traBa di un elemento di cura della famiglia, cosa che avviene nel momento di festa. Ci sono quindi cibi più dispendiosi di altri che magari li u6lizziamo solo in determina6 giorni; dall’altro lato abbiamo però anche dei cibi poveri, dove l’aggeJvo povero sta ad indicare il pasto della tradizione contadina dalla quale proveniamo, ed indica un piaBo che viene preparato con soltanto gli ingredien6 che abbiamo a casa per creare un piaBo che benomale ci soddisfi. Il cibo è influenzato anche da aspe= religiosi, ad esempio gli arabi non possono mangiare la carne di maiale, o gli ebrei eliminino qualche cibo per effeJ di 6po religioso. Anche noi cris6ani ad esempio abbiamo alcune di queste “regole”, come quando mangiamo l’agnello a pasqua, simbolo del sacrificio di Dio, o comunque con la religione ebraica abbiamo in comune il faBo che si mangiano gli spinaci, le erbe amare, inserite proprio perché hanno il significato il simbolo dell’amarezza della schiavitù del popolo ebraico. Altro faBore è che, quando avvengono dei cambiamen6 con il passare degli anni, alcuni cibi, ad esempio, vengono sos6tui6 da altri per via di un alleggerimento calorico del piaBo della tradizione. Ad esempio si è passa6 dalla lasagna tradizionale alla lasagna di verdure e spinaci, proprio per alleggerire il piaBo ed il palato. C’è un addomes6camento di quelle che sono le riceBe della tradizione, adaBandole alle esigenze della vita moderna. La famosa lasagna destruIurata non è altro che un prendere gli ingredien6 principali e modificare il piaBo per renderlo più “fitness”, quindi se da un lato non si vuole rinunciare a questo aspeBo “spor6vo”, del sen6rsi bene, dall’altro non si vuole lasciare il sapore della lasagna. Abbiamo poi i faIori che dipendono dalla cultura alimentare di ognuno di noi, poiché questa tende ad essere “me6ccia”, ad adaBarsi ad un po’ i gus6 e le culture delle persone, che hanno dato origine ai pas6 che noi mangiamo. Ci sono diverse definizioni di cibo, come: - cibo come nutrimento, ne parliamo anche quando facciamo riferimento alla piramide alimentare che vede alla base i cibi principali come riso, patate, pasta; andando a salire fino al ver6ce dove ci sono gli elemen6 che andiamo a magiare solo in rare occasioni. Si parla quindi di una civilizzazione dell’appe2to che emerge a par6re dal 18secolo in poi, quando si ha una disponibilità di alimen6, ingredien6 da poter dar vita ad un modello alimentare. La piramide alimentare è una normalizzazione del consumo, di norme che vengono diffuse affinché ci sia un consumo e una alimentazione correBa e bilanciata. Questa non è uguale per tuJ i luoghi che magari visi6amo, ma è diversa da luogo in luogo anche se alla base di tuBe c’è l’elemento di “nutrimento”. Noi siamo ciò che mangiamo. - cibo come forma primaria di dare e ricevere, quando la mamma allaBa il proprio bambino, lei da al piccolo tuBa se stessa, si fa nutrimento materiale, vi è quindi un conceBo di cibo come forma di amore. L’amore viene quindi simboleggiato da due individui che si scambiano dei cioccola6ni, come ad esempio i baci perugina che in qualche maniera sono diventa6 nel corso degli anni il simbolo dell’amore e della benevolenza materna e non. - cibo come cura della propria famiglia, di sé, prestare aBenzione nella cura del pasto è sinonimo di prendersi cura di sé, ma anche degli altri membri della famiglia. Gli stereo6pi culturali fino agli anni 50 facevano vedere, nelle pubblicità, la donna che era l’unica che era l’unica che si doveva prendere cura della famiglia, cucinando per loro. Adesso, invece, nelle pubblicità si vede una famiglia intera, moderna, dove non importa chi si occupa della cucina, ma solitamente vi è un alternarsi della figura maschile e femminile in cucina. Il pasto diventa comunque un simbolo di cura degli altri membri della famiglia. - cibo inteso come relazione sociale, ovvero un qualcosa di immancabile in una relazione sociale. Molte delle relazioni di business, dopo una giornata di lavoro infaJ, si concludono con il momento del pasto del pranzo sociale, che ha una vera e propria valenza di cimentare le relazioni; è proprio a tavola che si vede la veridicità delle relazioni sociali. Questa è proprio una delle cose che ci mancava durante il periodo del covid, infaJ mol6, per non sen6rsi troppo soli durante l’ora del pasto, si sono ritrova6 a fare “aperi6vo online”. - cibo come legame della comunità, esso infaJ può essere considerato un elemento che crea un for6ssimo legame sopraBuBo quando la comunità è a caraBere religioso. Se pensiamo all’idea di comunità all’interno del matrimonio, il culmine è il taglio della torta nuziale, che celebra il momento dell'unione. Possiamo parlare di legame e comunità, quando ad esempio pensiamo a dei cibi caraBeris6ci di una determinata zona, ad esempio a natale il paneBone è 6pico della comunità milanese, mentre il pandoro ha origine in veneto, vicino Verona. - cibo come idenKtà; l’italianità passa aBraverso dei cibi caraBeris6ci, stereo6pa6, come gli spagheJ, la pasta in generale, invece è eso6co tuBo quello che non rientra nella tradizione originale. Questo conceBo molto spesso viene u6lizzato nel marke6ng alimentare perché il simbolo di italianità ha un giro d’affari s6mato circa intorno agli 8 miliardi ed i cibi made in Italy hanno un valore molto elevato all’interno del mercato culinario. Al contrario noi recepiamo quelle che sono le forme un po’ stereo6pate degli altri paesi, come quando pensiamo ad esempio all’india, che individuiamo delle spezie, dei vari gus6, anche se poi, se assaggiamo sappiamo che esistono diversi 6pi di gus6 e che la culinarie è molto gusto - cibo come espressione di gusto “educato”, non si fa riferimento solo a tuJ quei corsi di sommelier che ci consentono di riconoscere diversi gus6, ma è anche il gusto del bambino che viene educato a diversi 6pi di cibi, di sapori e, quando non egli non mangia qualcosa si parla di ineducazione del gusto, non è stato abituato a mangiare un determinato 6po di cibo. - cibo come cultura che passa aIraverso una vera e propria formazione, in conKnua evoluzione, che cambia, che si evolve con il passare del tempo. Questa cultura trova una serie di espressioni in vari canali come le riviste specializzate, i manuali di cucina. In passato quando si ci sposava, veniva regalato un riceBario, dato che il cibo stava ad indicare “prendersi cura”, era una specie di augurio per la nuova coppia. Il cibo quindi diventa una vera e propria forma di conoscenza e si diffonde in altri canali come quelli televisivi, dove venivano trasmessi dei programmi culinari come la prova del cuoco. Ques6 canali con il passare degli anni si sono modifica6 e la cultura culinaria si è trasferita nei social media come nei blog, dove si forniscono riceBe su come preparate determina6 cibi, ma si sono create anche delle vere e proprie scuole di cucina. Il cibo passa anche aBraverso tuBe quelle occasioni di degustazione, di meBere alla prova il proprio gusto per riconoscere le specificità culinarie di determina6 6pi di piaJ. - il cibo è esperienza di altri mondi, come quando, viaggiando, andiamo ad assaggiare, ad aggiungere alla nostra cultura culinaria i cibi dei vari paesi diversi. Ques6 ci permeBono di conoscere a 360° la cultura di un altro paese. Questo accade quando ad esempio assaggiamo la paella spagnola, o la crêpes Breton in Francia e cosi via. - il cibo come forma di piacere molto intensa, non tuJ però la considerano tale, chi è ossessionato dal fitness ad esempio si ritrova a rifiutare determina6 cibi per mantenere la linea, quindi questa forma di piacere perde di significato, resta però l’aspeBo della palatabilità, ovvero il momento in cui si gusta il cibo. - cibo come trasgressione, assecondare il piacere del cibo sta a significare il cadere negli eccessi, dove si tende a semplificare lo spreco. La trasgressione avviene o quando si mangia tanto o pochissimo. Si ha poi abbiamo la trasgressione come controllo, di voler controllare l’aspeBo del gusta6vo fino ad arrivare a non mangiare. Questo però può sfociare in problemi alimentari, che non sono quelli del wellness, oscillando sui conceJ di salute e malaJa. Questo conceBo corrisponde anche ad una certa medicalizzazione del cibo. La medicalizzazione del cibo è la trasformazione di esso in un faBore chimico che possa sofferire al nutrimento, concentrando tuBo ciò che ci serve in una pillola. I funcKonal food sono dei cibi che non hanno la funzione di nutrire ma sono addiziona6 a qualcosa affinché possano essere più salutari. Ad esempio abbiamo i cibi addiziona6 a omega 3, i cibi proteici e mol6 altri. Ques6 ul6mi spesso corrispondono alla ricerca dei cibi che mi possano aumentare la massa muscolare, non solo perché svolgo un’aJvità intensa, ma anche perché mi trovo di fronte ad una dieta sempre più priva di proteine animali, dato che queste vengono inserite in maniera innaturale in altri cibi come lo yogurt proteico, la barreBa e cosi via. Si traBa di un sos6tuto che va a controbilanciare l’idea di salute che s6amo andando a minare. Laddove il cibo era esclusivamente piacere, adesso è anche una forma di nutrimento molto importante, la benzina del nostro organismo. Con questo metodo della medicalizzazione questa “benzina” viene data in modo fiJzio, eliminando il piacere gusta6vo. Quando parliamo di pra6che alimentari, dobbiamo specificare sempre due poli an6te6ci, da una parte velocità e dall’altra lentezza. Da una parte abbiamo infaJ una costante riduzione del tempo medio che gli italiani dedicano alla preparazione del pasto, dall’altra abbiamo la ricerca di momen6 di unione e rallentamento del tempo, che si verificano con il consumo del cibo. Ancora abbiamo anche la sperimentazione contro la tradizione: da una parte abbiamo la ricerca con piaJ sempre innova6vi, mentre dall’altra vi è una ricerca dei gus6 del passato che cos6tuiscono il nostro DNA culinario. Ad esempio l’osteria barese sant’Anna, propone questa pra6ca alimentare, dove il piaBo 6pico con riso patate e cozze, viene proposto soBo la forma di un altro piaBo, “scimmioBando” l’idea del sushi. Questo porta alla riscoperta di un piacere gusta6vo tradizionale, soBo una forma completamente nuova. Altra pra6ca alimentare molto diffusa è quella della destruBurazione del pasto, il consumo del pasto in solitaria; ciò meBe in contrasto solitudine e socialità. Questo pra6ca alimentare prevede che si consumi il pasto da soli, spesso ad orari differenzia6; ma a questo si contrappone la crescente voglia di andare a pranzo insieme, di stare insieme in un luogo in cui si possa mangiare. I ristoran6 sono sempre affolla6 e, secondo uno studio, si è visto come essi guarda6 prima con grande sospeBo, è diventato il luogo della massima socialità. La qualità este2ca del cibo, comprende tuBo quello che avviene quando facciamo una foto al piaBo che abbiamo davan6 e, legato alla qualità este6ca del cibo, vi è un meccanismo correlato al nome di “food porn”, ovvero la capacità che tuJ hanno di rendere partecipi gli altri secondo la capacità este6ca del cibo e aBraverso i social media. I social diventano l’elemento classificatorio del piacere gusta6vo, che dipende da quanto è bello, curato il piaBo, e a questo corrisponde una magnificazione di questo piacere. Quello che è il fenomeno del “food porn” non è altro che il “close up”, una lente di ingrandimento posta sul piaBo che va a vedere il più vicino possibile le caraBeris6che del cibo con la funzione di magnificarlo. Si crea un vero e proprio star system del sistema culinario, legato alla capacità culinario di alcuni chef. Questo viene proprio mol6plicato grazie alle trasmissioni televisive che creano un maggiore consumo di cibi che fanno parte del nostro passato. - La fondazione Umberto veronesi e l’azienda che produce limoni, nel periodo tra 1 ed il 15 marzo, per ogni re6na di limoni vendu6, 40 centesimi furono devolu6 alla ricerca scien6fica d’eccellenza. Grazie a questa inizia6va, in sei edizioni, è stato possibile finanziare il lavoro annuale di 38 medici e ricercatori - Anche lego ha faBo una campagna simile, chiamata #BuildToGive dove si doveva costruire con i maBoncini lego un cuore, e per ogni cuore pubblicato sui social entro il 31 dicembre, l’azienda avrebbe regalato una scatola a dei bambini più bisognosi del mondo. Non si traBa di un caso di CRM specifico, perché le persone si presuppone che abbiano già in casa i maBoncini lego e non che li comprino per questa causa. Ci sono anche altre pra6che come: • optare per forme di risparmio o inves6mento e6co, come ad esempio banca e6ca che promeBe alle persone che si traBa di inves6men6 con alto profilo aziendale ambientale, e l’aspeBo interessante è che si fa leva sulla volontà del consumatore di fare un’aJvità economica, investendo i soldi che ha da parte in aziende e6che. • Oppure ancora c’è quella del turismo responsabile che viene definito come “un turismo aIuato secondo principi di giusKzia economica, nel pieno rispeIo dell’ambiente e delle culture. Il turismo responsabile riconosce la centralità della comunità locale ospitante e il suo diriIo ad essere protagonista nello sviluppo turisKco sostenibile e socialmente responsabile del proprio territorio.” Vuol dire abbracciare una serie di comportamen6 volta6 al rispeBo dei territori. Qui è anche molto importante il rispeBo delle tradizioni, delle radici. Ci sono una serie di tour operator vota6 al turismo responsabile come ad esempio “four season cultura e natura” o “MOWGLI” e mol6 altri. • Bisogna scegliere s6li di vita sobri, orienta6 alla riduzione dei consumi, al recupero e al riuso di materiali e prodoJ, al riciclaggio degli scar6. Ridurre i consumi ha un impaBo posi6vo sull’ambiente. Queste che abbiamo visto sono delle pra6che diffuse in tuBo il mondo, ma ce ne sono altre, come aderire a forme più radicali e organizzate, come nel caso italiano dei gruppi di acquisto solidale (GAS), che sono una declinazione dei gruppi d’acquisto che sono na6 con l’esigenza dei consumatori, di riuscire a comprare in grade quan6tà. Qui degli individui si organizzano in gruppi d’acquisto per comprare un prodoBo che in altre par6 del modo ha un prezzo minore rispeBo all’italia (come ad esempio il laBe in polvere per neona6 che in italia aveva un prezzo troppo elevato, mentre in svizzera era più accessibile). Mol6 si adoperavano per andarlo ad acquistare in in grandi quan6tà per distribuirlo a cos6 accessibili alla popolazione. Adesso vi sono mol6 altri GAS che si dedicano magari a prodoJ ortofruJcoli, e la definizione di essi fa riferimento all’idea che ques6 acquis6 vengono faJ tendenzialmente approvvigionandosi da produBori direJ che hanno bisogno di un sostegno. L’altra declinazione 6picamente italiana è quella dei bilanci di giusKzia, ques6 sono un caso molto di nicchia perché si traBa di una rete informale di famiglie che hanno come obieJvo quello di stabilire un percorso di monitoraggio di tuJ i loro acquis6. Il loro scopo è quello di riuscire ad avere uno s6le di vita sostenibile, migliore, con un’impaBo nella logica dell’economia classica come favorire i produBori di nicchia, coloro che sono più a rischio ecc.. Le famiglie compilano questa scheda in cui descrivono i loro acquis6 e comportamen6 in modo tale da produrre dei rappor6 sta6s6ci che raccontano i comportamen6 e le scelte di consumi delle famiglie che hanno aderito a ques6 6pi di bilanci. Un fenomeno italiano che ha la sua controparte in mol6 paesi è quello dei “mercaK dei contadini”, deJ anche farmer market, ovvero degli stand, dei merca6 che hanno come promessa quello di essere “dal produBore al consumatore”, qui si compra direBamente dal produBore. Si salta l’intermediazione di un supermercato e si fa un acquisto direBamente con colui che produce quello che vogliamo acquistare. La differenza tra il mercato rionale ed il farmer market è che nel primo c’è una forma di intermediazione, mentre invece nel farmer market è proprio il produBore che si reca a questo mercato a vendere quello che magari ha raccolto la maJna stessa. Il commercio eco solidale è un’altra delle aJvità che fa riferimento ad un marchio fairtrade, che si basa su principi di solidarietà e sostegno nei confron6 dei produBori del sud de mondo, aBraverso la garanzia di prezzi equi, che garan6scono un giusto prezzo per il lavoro impiegato, pre finanziamen6, relazioni commerciali di lungo periodo, e assistenza tecnica volta a salvaguardare le tecniche di lavorazione tradizionali. Esso promuove un uso equo e sostenibile delle risorse ambientali e del rispeBo dei diriJ umani fondamentali. Il marchio fairtrade è il marchio internazionale di cer6ficazione del commercio equo solidale. Si trova sugli scaffali del supermercato, bar, nelle mense scolas6che e nei ristoran6. Viene apposto a prodoJ che vengono dall’altra parte del mondo non a km 0, vi è quindi una contraddizione perché tra l’idea di comprare prodoJ locali, e quella di acquistare quelli esporta6. Ad esempio una forma di sostegno fu quella ideata da ProgeBo Arance di Rosarno per far conciliare il fair trade con km0. E6ka è il marchio di una filiera di acquisto solidale che lo scorso anno è riuscita a distribuire circa 100 mila kg di arance prodoBe dalla coopera6va Mani e Terra, collegata a SOS Rosarno. La rete di acquisto ha coinvolto molte chiese protestan6 italiane e estere, oltre che associazioni e gruppi d’acquisto. Con l’acquisto dei prodoJ di E6ka si contribuisce a sostenere le aJvità di MH nella Piana di Gioia Tauro per la tutela dei diriJ dei lavoratori braccian6. In una ricerca che è stata presentata in Bocconi, ci venivano mostra6 i da6 sul tema della società dei consumi. L’obieJvo della ricerca stava a capire i trend di evoluzione, qual’è la competenza, la conoscenza de fenomeni lega6 alla sostenibilità. La consapevolezza della popolazione sul conceBo di sostenibilità è molto cresciuta negli ul6mi 10 anni. Questa ricerca è stata faBa su 1000 persone over 16 anni, ed i da6 ci dicono che l’89% delle famiglie fa la raccolta differenziata, 88% si impegna nel risparmio energe6co, l’87% nel risparmio dell’acqua, il 60% si impegna ad acquistare prodoJ BIO, il 56% acquista prodoJ a commercio eco solidale ed il 60% è pronto a rinunciare i viaggi in aereo. Lezione 23 - 29 novembre (29/11)! Rapporto coop 2023 Il rapporto coop 2023 ci fa vedere i consumi e gli s6li di vita degli italiani di oggi e di domani. La nostra società è in con6nuo mutamento e questo rapporto è basato su due Survey: 1. “Whats up”, consumer survey 2. “Hybrid future”execu6ve survey Lo scenario che viene rilevato da queste indagini, vede gli italiani che non si sono ancora ripresi dalla pandemia covid e dallo scoppio della guerra in ucraina. Questo disordine globale, lo scenario che emerge dal rapporto coop, meBe in discussione vari elemen6, come: - la “paura” dei nuovi impaJ nega6vi sull’ambiente, tuBa una serie di catastrofi che magari noi eravamo abitua6 a vedere in pos6 lontani da noi; tuJ ques6 elemen6 hanno acu6zzato gli italiani al tema del cambiamento clima6co. - la con6nua paura che hanno gli individui nei confron6 della guerra fra Russia e Ucraina e nelle tensioni fra sta6 uni6 e Cina - altri elemen6 che emergono dalla ricerca sono lega6 a faBo che, contrariamente di quello che succede in italia, che ha un’espansione demografica bassissima, in Africa c’è una grande esplosione di nascite, ciò è posi6vo dal lato che le persone sono ancora spronate a fare figli nonostante le condizioni in cui vivono, ma spaventa perché si traBa di un paese complicato, anche perché le risorse sono finite. - vi è poi la paura dell’avvento dell’intelligenza ar6ficiale - le altre paure degli italiani sono dovute alla crescita della crisi del momento, che ormai viviamo da più di 10 anni. L’italia si era appena sollevata dalla crisi del 2008 quando è arrivata la pandemia covid e la guerra in ucraina con i sovrapprezzi. Con essa sono arriva6 anche una serie di elemen6 che hanno portato ad un aumento esponenziale dell’inflazione, e ciò ha comportato una diminuzione del potere d’acquisto. In poche parole, i nostri soldi infaJ valgono sempre meno. Questo comporta un ampliamento della forbice sociale, ovvero il faBo che la classe media si sta restringendo, a favore di un ingrandimento della classe sociale inferiore. Gli individui si trovano quindi a dover far fronte ad una serie di rinunce per poter bilanciare i propri consumi e mantenere uno s6le di vita abbastanza agiato. Da questa indagine coop ne esce un futuro che non è definito, incerto, con diversi scenari possibili lega6 a vari faBori come l’andamento dell’inflazione, le scelte alimentari, al budget familiare e cosi via. L’ambiente oggi si sta ribellando ed il disastro clima6co lo sen6amo sempre più vicino. La crescita dei prezzi degli ul6mi anni ha causato: - un alto rischio di povertà, il 41% delle persone rischiano di non essere in grado di arrivare a fine mese - Vi è un aumento dei secondi lavori, dove molte famiglie, circa il 39%, cerca un secondo lavoro per poter arrotondare i guadagni. Tra ques6 ad esempio troviamo i rider, che si occupano di consegnare il cibo/la spesa, a chi lo ordina su determinate piaBaforme come deliveroo, glovo, just eat e cosi via. - I salari sono molto più inferiori a quelli dei grandi paesi europei Gli italiani a malincuore, quindi, riducono il risparmio, possiamo notare infaJ una riduzione dei beni tecnologici acquista6 online, il 41% di loro ha dichiarato addiriBura di non essere riuscito ad andare in vacanza nel 2023. Molte persone sono arrivate anche a dichiarare che hanno diminuito l’acquisto dei beni durevoli; a differenza di tuBo ciò vediamo però una curva anelasKca perché all’aumentare o al diminuire del reddito il cibo acquistato per persona o per famiglia, non aumenta e non riduce, a differenza del 2008 che, con la crisi invece si abbassava ed aumentava la curva dell’acquisto di cibo. Questo dato è stato interpretato con il faBo che, gli italiani, ormai erano quo6dianamente abitua6 a concedersi dei piccoli lussi, e per non rinunciare ad essi, iniziarono a ridurre perfino la spesa alimentare (nel 2008). Adesso invece preferiscono non concedersi quei lussi e ciò ci fa rifleBere sull’importanza dell’alimentazione che essa ricopre nella vita degli italiani. È vero che la curva sembra essere anelas6ca ma la stessa ricerca meBe in evidenza che gli italiani hanno rinunciato a consumare orto fruBa, a fronte di un aumento di prezzi di questo reparto, ciò fa capire che si spende di più negli altri beni, o comunque che ques6 sono aumenta6 cosi tanto che gli italiani hanno rinunciato ad avere una tavola “colorata e salu6s6ca”. Il conceBo di home-caKon (home vacaKon), sta a indicare quegli italiani che hanno scelto di non andare in vacanza, o chi l’ha faBo ha faBo delle mini vacanze o in italia o comunque in Europa, rinunciando all’estero. Questo è dovuto al caro del trasporto aereo passeggeri, se le persone avessero voluto prendere un aereo, l’avrebbero pagato il doppio dell’anno scorso. Solo il 10% degli italiani fa una contrazione della spesa des6nata all’alimentazione. L’altro aspeBo interessate è rela6vo a come è cambiata la scelta alimentare, fra le tendenze rilevate c’è questa idea di fare ricorso ad una serie di cibi proteici, che in un certo senso “demonizzano” i carboidra6, questo però porta a dei problemi perché vi sono cibi in realtà poco salutari poiché sono confeziona6. Questo ci fa rifleBere perché anche il cibo è succube di quello viene raccontato dai media. Dal punto di vista del quo6diano, vediamo come i consumatori cercano di risparmiare u6lizzando prodoJ di marchi insegna, ovvero marchi commerciali. I prodoJ a marchio commerciale sono quei prodoJ che provengono dalle aziende, e commercializza6 dai vari distributori, come ad esempio quelli Esselunga, coop, Conad e cosi via. I prodoJ industriali invece sono i prodoJ realizza6 dalle varie aziende e che portano il nome di essa, che sia Barilla, mulino bianco e cosi via. Vi sono poi anche i prodoJ di fantasia dove non si riconosce né il produBore né il consumatore. Le nuove tendenze alimentari L’elemento rilevante è la tendenza allo sugar free, sugli scaffali del supermercato sono aumenta6 molto i prodoJ sugar free, come la farina, lo zucchero, il laBe. Questa ha costreBo l’industria produJve a meBere sul mercato prodoJ che hanno questa promessa di essere senza zuccheri aggiun6. Quasi un terzo dei componen6 della generazione Z, dice che aumenterà il consumo di prodoJ senza zucchero. Parti aggiuntive non spiegate a lezione Il makeKng tribale Quando parliamo di marke6ng tribale ci riferiamo ad un soBoinsieme dei consumatori, non ad uno degli abituali segmen6 di consumo, principalmente questo gioca su due aspeJ: - Legame effe[vo, che si traBa di due o più individui che condividono la stessa passione per qualcosa - Legame immaginario, che permeBe a ciascuno di sen6rsi parte di tuBo comunitario legato ad un luogo o ad un singolo oggeBo, in modo tale da poter accedere ad un immaginario globale della comunità Il marke6ng tribale quindi si sforza di mantenere il legame sociale di più soggeJ uni6 da una stessa passione. ABualmente questo 6po di marke6ng, può contribuire su tre livelli nelle operazioni delle imprese su un grande mercato di consumo, ques6 sono: 1. Nella diversificazione del prodoBo o del servizio, meBendo in evidenza il valore di legame funzionale di un dato prodoBo o servizio 2. Nella ricerca di fidelizzazione dei clien6, sviluppando una fiducia affeJva basata su un senso di appartenenza ad una comunità 3. Nella creazione di immagine, inserendo il marchio e l’azienda stessa nella tendenza socio economica potenziata da ciò che viene denominato “impresa solidale”. Le tribù che nascono lo fanno intorno al prodoBo o al servizio. Il marke6ng tribale non si occupa in modo specifico di segmen6, nicchie, s6li di vita e altre categorizzazioni, ma si concentra sull’analisi dei gruppi tribali veri e propri: individui che, mediante le emozioni condivise, instaurano e rafforzano il loro legame di sapore con6nuo. Per individuare una tribù, è consigliabile per il marke6ng manager, di abbandonare ogni approccio sperimentale; molto meglio è invece assemblare frammen6, elemen6 fugaci, come ad esempio una ricerca su giornali, riviste, l’osservazione partecipa6va o non di alcuni spazi in cui la tribù si raduna e cosi via. Possiamo quindi definire il marke6ng tribale come delle tribù di consumatori che si auto eleggono in base alla passione che il consumatore ha. Ad esempio vi è la tribù dei consumatori di Nutella che trova spazio online, ma ha anche delle occasioni di incontro come ad esempio il Nutella day. La tribù Salomon, degli sciatori, ha come passione comune lo sci, la par6colarità di questa è che essa è accompagnata da un brand, ovvero Salomon, specializzato nella produzione di aBrezzature spor6ve invernali. Vi è inoltre anche la tribù di consumo dei rollerblade, soprannominata “rollers riders”, che ha luogo in Francia. Questa si fonda sull’inclusione di tuJ coloro che, qualunque sia la loro eta, vivono un’esperienza magari frustrante, ma comunque in opposizione a quella della gente normale. A ques6 infaJ viene spesso deBo che non dovrebbero girare in strada perché potrebbero farsi inves6re, ma allo stesso tempo che sulle piste ciclabili darebbero fas6dio ai ciclis6 e sui marciapiedi ai pedoni. Essi si sono impegna6 affinché possano circolare e diver6rsi liberamente sui loro paJni, fanno infaJ numerosi raduni locali e creano associazioni per queste persone che hanno questa passione. La prima regola del marke6ng tribale è quella di non pensare soltanto di fornire il bene o il servizio ad un consumatore isolato, ma chiedersi che surplus possa dare alla nostra azienda, al suo sviluppo. Per questo mo6vo le aziende propongono oggeJ di culto, che vengono poi trasforma6, dalla passione, in soggeJ-partner. Fra queste aziende infaJ c’è proprio “Rollerblade”, che con i suoi prodoJ, alimenta la passione e gli oggeJ di culto per la tribù di consumo dei roller riders. Esistono poi aziende che propongono spazi temporanei o permanen6 in cui si possono pra6care i ri6 di culto. Ad esempio infaJ “Tatoo” organizza il tatoo roller ska6ng a Parigi, per illustrare la pra6ca dei roller. Altre operazioni di marke6ng mirano a far uscire la tribù dalla sua dimensione per condurla ad affacciarsi sulla scena pubblica. Più la tribù conterà simpa6zzan6, più gli oggeJ di culto prodoJ dalle aziende avranno un ampio mercato. Si passa infaJ da un marke6ng tribale già esistente, incentrato sulla tribù (marke6ng tribale intensivo), ad uno studiato per favorire l’ampliamento al fine di trarne beneficio dalle ripercussioni posi6ve (marke6ng tribale estensivo). Ques6 gruppi di consumatori hanno un potere di convinzione che può essere sfruBato come nelle operazioni di marke6ng virale, ma vanno usa6 con molta cautela, poiché queste tribù non si possono strumentalizzare o manipolare, ma è necessario agire insieme a loro. Le tribù rappresentano dunque comunità di esper6 pron6 a inserirsi nelle aJvità del loro marchio preferito. Esistono due 6pi di tribù di consumatori: - da una parte il brand che propone dei valori quindi fa da “federatore” - dall’altra i consumatori che si aggregano al brand che diventa parte aJva di ques6 luoghi di aBribuzione tribale
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