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Manipolazione Sociale tramite Cibo e Media: Nuovo Aspetto Società Contemporanea - Prof. Bo, Appunti di Sociologia Dei Media

Il concetto di come la società moderna crea legami sociali e nuove forme di solidarietà attraverso la cultura materiale e immateriale, il cibo e i media. Del ruolo dei media nella creazione di realtà quotidiane e la loro influenza sulle persone, oltre a come la società ha evoluto in relazione ai media elettronici. Il documento include lezioni sui linguaggi del cibo attraverso la televisione e le teorie degli effetti a breve e a lungo termine.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 03/01/2024

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Scarica Manipolazione Sociale tramite Cibo e Media: Nuovo Aspetto Società Contemporanea - Prof. Bo e più Appunti in PDF di Sociologia Dei Media solo su Docsity! LEZIONE 1 Cos’è la sociologia? Un insieme di discorsi e pratiche di ricerca che hanno come oggetto di studio le relazioni e le istituzioni umane. METODO = ricerche che seguono il metodo scientifico (ipotesi, raccolta dati, conferma ipotesi). Il metodo scientifico quindi consiste principalmente nel verificare una ipotesi. Si parla di sociologia nella metà del XIX secolo con Comte che introduce il termine. La prima opera sociologica è “Lettere persiane” (1721) di Montesquieu: sono una raccolta di lettere scritte dal principe Uzbec per sua moglie che le racconta il suo viaggio in Oriente. Raccontando descrive tutte le società che vede, dando quindi una prospettiva delle altre società. Ci sono stati 3 cambi storici che hanno permesso la nascita di questa disciplina: 1) Rivoluzione scientifica; permette un cambio del metodo 2) Rivoluzione industriale; rivoluzione economica e industriale (catena di montaggio) 3) Rivoluzione francese; ha scardinato l’idea dell’immobilità dell’ordine sociale introducendo l’idea di eguaglianza e libertà Questi fatti aprono lo spazio per la disciplina che studia i mutamenti sociali. KARL MARX “Il capitale” è l’opera di riferimento. Ipotizza la nascita di 2 classi sociali: borghesia e proletariato. ALIENAZIONE = l’oggetto che costruisce l’operaio è qualcosa di “altro”, è esterno alla persona. L’artigiano a differenza senta sua la propria opera. Per Marx il lavoro umano è alienato quando avviene uno sfruttamento. Introduce inoltre il significato di • Valore d’uso: la caratteristica di un oggetto di essere utile • Valore di scambio: la caratteristica di poter essere scambiato con un altre merci (denaro) (l’orologio ci dice l’ora ma può anche essere scambiato) DURKHEIM ➢ Società tradizionali o semplici = bassa divisone del lavoro e c’è grande interscambialità tra i ruoli (tribù) ➢ Società moderne o complesse = grande divisone del lavoro e individualizzazione Le società semplici avevano una solidarietà meccanica, individui uniti da vincoli quotidiani. Le società moderne hanno solidarietà organica, si esplicita con nessi di interdipendenza tra le professioni svolte dagli individui. COSCIENZA COLLETTIVA = insieme di credenze e dei sentimenti condivisi da una società. In quelle semplici c’era scarsa differenza delle coscienze. Mentre in quelle complesse c’è una forte individualizzazione. DEVIANZA = è una qualità che deriva dalle risposte, dalle definizioni e dai significato di certi comportamenti date dai membri di una data società. La società è molto influenzata dal contesto sociale e la devianza dipende dal contesto socioculturale. Per Durkheim non è importante la devianza, ma afferma che è più importante la punizione simbolica che si fa ad un soggetto deviato la quale pone dei limiti al comportamento dei componenti della società (attraverso le punizioni si stabiliscono quali sono i comportamenti morali e quali no). Riguardo a ciò Umberto Eco afferma che il nemico serve per rafforzare la comunità, dandoci così un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori. Nel caso non ci sia un nemico, bisogna costruirlo. “Saggio sul dono” (1925) – Marcel Mauss È una comparazione tra il potlach di Boas e il Kula di Malinowski. L’intento è quello di dare importanza al sentimento d’obbligo di ricambiare l’oggetto che ci hanno donato: lo scambio di doni è uno strumento per creare relazioni sociali. Il dono quindi diventa un fatto sociale. Lo scambio di doni si basa su 3 azioni che rientrano nella reciprocità: obbligo del dare, del ricevere e del ricambiare. Gli oggetti donati implicano il dovere di restituzione, in essi c’è un vincolo spirituale, lo hau, lo spirito delle cose. MOBILITÀ SOCIALE = Nelle società semplici tutti facevano lavori semplici e quindi c’era interscambialità dei ruoli. Con la rivoluzione industriale le persone vanno in città creando cosi una divisione del lavoro. Nelle società complesse su dice che ci sia il Trinkle down effect: la classe che occupa il vertice della stratificazione, influendo su quelle che le stanno a diretto contatto, e poi giù̀ fino al gradino più̀ basso della scala sociale, è in grado di infondere e imporre a tutta la società̀ i propri valori e i propri stili di vita e di consumo. SIMMEL Lui parla della “moda”, fenomeno sociale fondato su due spinte contraddittorie: a. Distinzione; esigenza di differenziarci per affermare la propria singolarità b. Imitazione; esigenza di partecipare ad un universo sociale Si instaura così un processo circolare e senza fine. STATUS SOCIALE = caratteristica che definisce un individuo (oggi è la professione). - Ascrittivi; dalla nascita (ad es. nazionalità, genere) - Acquisiti; derivano da una prestazione Lo status è una posizione sociale caratterizzata da diritti e doveri che fornisce l’identità sociale. Ogni persona può assumere diversi ruoli all’interno della società, anche contemporaneamente, ricoprendo al contempo diversi status. LEZIONE 2 WEBER Lui definisce la sociologia come la scienza che studia il comportamento degli individui. Individua diversi “tipi” dell’agire sociale, chiamati IDEALTIPI: a) Agire razionale rispetto allo scopo = arrivare all’obiettivo basato sulla razionalità b) Agire razionale rispetto al valore = è il modo con cui raggiungiamo un obbiettivo, è il valore dell’agire stesso c) Agire affettivo = dettato dalle emozioni d) Agire tradizionale = dettato da un abitudine BUROCRAZIA = Con l’avvento delle metropoli nascono strutture sempre più razionali (burocratiche). Siamo nell’epoca scientifica, non c’è spazio per la magia e la religione. La burocrazia viene vista come una “gabbia d’acciaio” a causa delle costrizioni provenienti dal capitalismo e dalla burocrazia. CAPITALE = - Economico, come la ricchezza - Culturale, ovvero la cultura data dalla famiglia e dall’istruzione - Sociale, cioè la somma delle risorse, materiali o meno, che ogni individuo ottiene grazie alla partecipazione a una rete di relazioni basate sulla reciprocità BUDRILL Lui introduce il concetto del “valore simbolico degli oggetti”, ovvero il significato che diamo noi agli oggetti (valore affettivo). Distinzione che rifletto sullo: - Spazio, qualcosa di solido che rimane lo stesso - Tempo, è qualcosa di mutevole che rappresenta la seconda modernità - La modernità non fu forse fin dall’inizio un processo di liquefazione? La storia della modernità viene intesa come un processo di liquefazione continua di tutti i corpi solidi che a società aveva prima costruito. Gli stili di vita sono mutevoli, si sgretolano le diverse narrazioni. Qual è un antidoto per l’insicurezza? Creare legami sociali, creare una nuova solidarietà tra gli individui della comunità che scappiamo bilanciare l’insicurezza della società liquida moderna. Avviene così la creazione di piccole comunità fortificate (gate community): insieme di casa in cui puoi abitare solo se fai parte di quella data comunità. Questa modalità ti dà maggior sicurezza ma minor libertà. (Film “La zona”, Argentina) “Sesto potere” È un concetto della sorveglianza liquida, una sorveglianza vista come dispositivo di potere. Nel nostro mondo siamo costantemente controllati, la sorveglianza è una dimensione chiave nella post modernità. Siamo noi a dare informazioni personali per essere tracciati, principalmente su Internet. Si collega il concetto di sorveglianza diffusa, ovvero viviamo in una realtà costantemente sorvegliata. ❖ Cultura materiale = oggetti consumati e distribuiti all’interno della società che mostrano la stratificazione sociale. ❖ Cultura immateriale = usi e costumi che una comunità riconosce come propri. Il consumo culturale contemporaneo è inserito nella complessità sociale, caratterizzata da contesti governati dall’informazione e da molteplici piattaforme digitali. L'aumento della soggettività e della ricerca di emozioni e sensazioni nel quotidiano corrispondono al bisogno di un immaginario collettivo da soddisfare attraverso il consumo di eventi culturali e di spettacolo dal forte contenuto esperienziale. Nella società attuale, concepita senza un centro, l’eclettismo diventa una necessità, accompagnata dalla rottura degli steccati tra generi letterari, tra stili di consumo e comunicazione ed al rifiuto di un ordine basato su categorie imposte in maniera artificiale. Non ci sono più le categorie degli stili di vita, siamo noi che scegliamo. Nasce così una nuova figura: l’ONNIVORO CULTURALE, il quale è libero di scegliere il proprio percorso culturale, non è più confinato nelle scelte. Il fruitore onnivoro si distingue per la varietà delle scelte culturali e conseguentemente per la tendenza ad ampliare lo spettro delle proprie preferenze intellettuali che possono variare dai generi più ricercati a quelli più popolari e di massa. La paura viene vista come uno strumento di difesa; in questa società infatti non c’è la paura, ma più che altro una situazione di angoscia perenne (visibile ad esempio con il covid). LEZIONE 4 <<Le narrazioni digitali e non in materia di cibo>> Perché il cibo è considerato come qualcosa di rilevante? Questo perché il cibo è quello rispetto al quale si è sviluppata una specifica e sempre più ricca cultura materiale. Il cibo segue e si modula alla cultura in cui si sviluppa, ogni nazione ha un cibo specifico. Le tante posate, tovaglie, ecc.. costituiscono un abbondante arena economica di produzione e distribuzione (gli oggetti per la cucina sono uno degli arredi più importanti dopo il mobilio). Vediamo come la posizione del tavolo, la sua ampiezza e la sua forma ci danno informazioni sullo stile di vita del gruppo sociale che lo utilizza, sulle loro relazioni interne, oltre ad esempio se è presente o meno un televisore. Ma perché è importante il cibo? La condivisone e il pasto è un rito importante che condivide uno specifico gruppo sociale basato sulla condivisione e sulla partecipazione. Ovviamente nel tempo questo rito si è modificato nel tempo ma alcuni rimangono nel tempo; resta il fatto innegabile che l’incontrarsi a tavola segna, dal punto di vista semantico, tanto la vita quotidiana quanto gli avvenimenti importanti di una famiglia (matrimoni, laurea). Questo è qualcosa che deriva dal passato. Per gli egiziani il trittico “zuppa – pane – birra” era sinonimo del pasto, in quanto erano alimenti base per la nutrizione del popolo egizio. Con la nascita e la diffusione del cristianesimo il pane ha raggiunto un profondo significato, è diventato un simbolo: offre sostentamento al corpo e anche all’anima (ci si nutre del pane per sopravvivere materialmente e spiritualmente). “L’ultima cena” di Da Vinci può essere considerata la rappresentazione di una convivialità assoluta e appagante segnata dalla partecipazione con empatia e affettività (preparare del cibo a qualcuno è segno d’affetto). Nell’ultima cena i discepoli si cibano dello stesso pane: questa condivisione materiale si traduce in una condivisione spirituale ed affettiva. Il termine “compagno” significa:<< colui che mangia lo stesso pane >>, che condivide quindi lo stesso cibo entrando in relazione con l’altro sé. Egeria di Nallo, una professoressa, infatti afferma che <<mangiare non significa solo nutrirsi, significa comunicare, stare insieme. Il cibo ha un forte significato simbolico >>. Desmond Morris, analizzando la comunicazione non verbale, sostiene che la transizione da una forma di sussistenza legata alla raccolta, prerogativa femminile, ad una basata sulla caccia, prerogativa maschile, ha portato ad un cambiamento della nutrizione: da un alimentazione intesa come esperienza individuale siamo passati ad una basata sulla collaborazione, lo scambio e il sostegno reciproco. Il cibo viene condiviso con altri creandosi relazioni sociali basati sull’alimentazione, dando vita così a vere e proprie comunità: l’attività del procurarsi cibo coinvolge così intere tribù. Levi–Strauss individua un altro passaggio importante rispetto al passaggio di significato del cibo: il passaggio da mangiare cibo crudo, stato selvaggio/naturale, si passa a mangiare cibo cotto, tipico delle società con regole sociali. Il pasto ricrea momenti di convivialità, di coesione sociale, di confronto sociale. Sedersi alla stessa tavola assume una funzione rituale: lo scambio di cibo è simbolo della volontà di stare insieme, di sperimentare un rapporto interpersonale mediato dalla circolazione degli alimenti che sono nella tavola. Si nota come l’appartenenza della stesa comunità è anche segnata dal riconoscimento degli stessi sapori. I confini però possono essere superati e gli schemi di riferimento del proprio modo di nutrirsi possono essere modificati. Attraverso il cibo si possono creare alleanze o si può fare atti discriminatori (ad esempio non invitare qualcuno ad una cena oppure un rifiuto ad un invito a cena, che in un certo senso è il rifiuto della persona che ti ha invitato). Il cibo include ma anche esclude. Nella relazionalità fondata sulla condivisione del cibo non solo c’è l’obbligo di accettare, ma anche quello di contraccambiare. Il cibo quindi presenta una natura relazionale in quanto implica reciprocità. Simmel ci parla proprio della “socievolezza”, l’idea di condividere il cibo concepito come uno dei momenti peculiari di una piacevole situazione sociale in cui è possibile superare comportamenti individualistici. Un antico proverbio dice:” A tavola non s’invecchia” perché il tempo trascorso mangiando insieme è un tempo speciale in grado di far dimenticare l’avanzare degli anni. La preparazione del cibo è legata anche all’azione di accudire. Il cibo è in grado di parlare e di farci parlare, in quanto “un cibo è buono da pensare perché è buono da mangiare” cit. Harris. Inoltre attraverso il cibo si può raccontare anche la storia di un popolo. Allo stesso tempo il cibo è oggetto a elaborazioni linguistiche, in quanto su di lui vengono costruite delle narrazioni che enunciano verità assolute riguardanti la ricetta e la preparazione dei cibi. Il cibo è diventato un linguaggio universale in grado di valicare i confini internazionali, mescolandosi alle altre culture per un arricchimento. Vediamo ad esempio che nel VI e VII secolo la cultura europea s’incontra con quella araba: questa contaminazione ha portato a delle ricette che sono ancora oggi utilizzate. Si parla proprio di una trasmissione di saperi. Altro tema importante è le strutture pubbliche dedicate al cibo (bar, ristoranti, parchi, ecc….). il cibo quindi non produce solo arredi (tavola, mobilia) ma anche strumenti per preparare il cibo (pentole, posate); inoltre più un cibo si sviluppa e più nascono ruoli professionali legati ad esso (cameriere, cuoco). Il cibo è un bene che ha stimolato la nascita di una cultura materiale. Sono anche nati veri e propri riti per la sua preparazione. Il cibo è parte integrante del nostro quotidiano. Il cibo in letteratura: Il “Simposio” di Platone, in cui viene presentato da Aristofane il fatto che noi siamo alla ricerca della nostra metà mela, la nostra anima gemella che unendosi a noi, saremmo diventati esseri perfetti, simili a divinità. Un altro fatto è raccontato nel “Satirico” di Petronio, in cui viene narrata una cena-spettacolo. Anche “Ulisse” di Joyce, con il flusso di coscienza, in cui vengono descritti i cibi con tanti dettagli. Anche “Il tempo perduto” di Proust in cui c’è un passaggio fondamentale in cui Proust racconta che per tutta un estate hanno mangiato asparagi perché la coordinatrice Francois odiava la ragazza che puliva gli asparagi che le facevano venire dei problemi respiratori. Ma ancor più importante è il momento in cui il cibo crea una situazione di epifania: quando inzuppa la madeleine, un biscotto, Proust ricorda improvvisamente quando da piccolo andava dalla zia che era solita preparare tè e biscotti. Nel testo c’è un’alternanza tra memoria volontaria e involontaria, definiva questa ultima <<le intermittenze del cuore>>: il momento che si torna indietro nel tempo facendo, o vedendo, o sentendo determinate cose. Alexander Dumas ha scritto “il Grande Dizionario di Cucina” (1873), in cui ci sono le ricette ma anche le storie dei diversi cibi. Fra i trattati italiani c’è nel 1891 “l’Arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi. Abbiamo poi “la Guida Michelin” del 1900 di Andrè Michelin, un’antica guida di hotel e ristoranti europei. Nel 1926 è l’introduzione delle stelle per recensire i ristoranti. Ora questa guida rappresenta il maggior riferimento per la valutazione della qualità e l’impatto sulla cultura. Queste stelle sono molto influenti. Tra i trattati di cucina possiamo inserire “il Manifesto della cucina futurista di Marinetti”: oltre l’eliminazione della pastasciutta c’è anche quella delle posate. È un trattato che invita i chimici ad inventare nuovi sapori, incoraggiando l’accostamento ai piatti di musiche, poesie e profumi. LEZIONE 5 <<IL LINGUAGGIO DEL CIBO ATTRAVERSO LA TELEVISIONE>> Nel film “Fast Food Nation” vengono osservate le dinamiche interne alle grandi corporations alimentari attraverso l’esempio di diversi film che danno diverse tonalità che può assumere il legame cibo e immagini: ad esempio vediamo la dolcezza del cibo inteso come epifania in “Ratatouille”, la critica sociale al cibo spazzatura nel documentario “Super Size Me”, è la malinconica delicatezza del cibo in tavola nel film “Il pranzo di Babette”. Si può notare la centralità del cibo nella nostra società dalla assenza fisica e dall’onnipresenza mediatica del cibo; si è impostata una comunicazione del cibo attraverso programmi tv (Master chef, La prova del cuoco). Quello a cui noi assistiamo è la proliferazione di immagini sul cibo, basate sul piacere visivo: food porn. Sembra che ci sia una sorta di edonismo basato sulla visione del cibo piuttosto che del consumo di esso. In televisione assistiamo da un lato alla diffusione di format basati sul cibo che ci invogliano a mangiare; dall’altro lato abbiamo diversi programmi concentrati sulla rimozione del grasso (Vite al limite) per ridefinire un modello di bellezza. La narrazione in materia di cibo non sono solo raccontate ma, i fruitori dei canali digitali, possono esprimere la propria voce. Io da consumatore, attraverso i social, posso dare dei feedback (viene messo al centro il consumatore). Ci sono piattaforme digitali che diventano un’arena comunicativa in cui gli utenti hanno libertà di parola, come ad esempio TripAdvisor. Si diventa produttori e consumatori di contenuti ed esperienze. Emerge la figura del prosumer (producer + consumer), termine introdotto dal futurologo Alvin Toffler nel 1980, ovvero la figura del consumatore che prende parte attiva al processo di produzione con la sua attività. “Terza Ondata” = contemporaneità della terza rivoluzione, la quale supera l’agricoltura e la rivoluzione industriale. C’è il superamento della distinzione tra produttore e consumatore. Siamo in una cultura partecipativa basata sulla convergenza mediatica: con quel termine si indica il diverso rapporto che si crea tra fonte e destinatario, essi iniziano a collaborare. JENKIS parla di “intelligenza collettiva” poiché il consumo si trasforma in un processo collettivo e collaborativo. Un esempio di questa collaborazione è dato dal movimento <<food sharing>>, nato in Germania. L’obbiettivo è quello di ridurre il consumo, è un consumo eticamente responsabile. L’intelligenza collettiva quindi unisce gli obbiettivi. CIBO = FELICITA’ La scuola di Francoforte sostiene che il tempo libero sia un prolungamento del lavoro. I mezzi di comunicazione di massa ci spingono ad un consumo che è quasi un lavoro. L’amousament è confezionato secondo i criteri tipici dell’industria culturale sostituendo le tradizionali forme di divertimento. Il processo standardizzato consiste nel creare dei prodotti che sono sicuri che avranno successo, sono quindi prodotti simili. Un film o un periodico o una serie TV sono costruiti per riproporre dei modelli standardizzati, prodotti in serie. Consumare è quindi lavoro, sia quando producono dei prodotti di consumo e sia quando consumano. Lavoro e tempo libero si sovrappongono. Il lavoro di fruizione (consumo) diventa quasi un obbligo. Grande rischio = perdere lo spirito critico dell’individuo, le persone accettano tutto, perdono la capacità di reinterpretare la realtà. L’industria culturale creano prodotti che piacciono al pubblico (ad esempio in “Troy” l’Illiade è raccontata in maniera semplificata): sono prodotti coerenti con il sistema economico. Per Mannheim e Mills le trasformazioni della società di massa erano un elemento nuovo che attivano vie di fuga. Invece per Horkheimer e Adorno, e così per tutta la scuola di Francoforte, il consumo dei prodotti stabilisce un adesione ideologica dell’individuo alla società di massa senza vie di fuga (è un processo di assoggettamento dell’individuo). Questa adesione si concretizza in 3 livelli: 1) Eliminazione distinzione tra tempo libero e lavoro 2) Proporre un modello di legittimazione del sistema economico capitalistico 3) Rende plausibile un intero ordine sociale di cui rappresenta l’apologia Inoltre l’industria culturale si affida a calcoli di previsione volti a venire in contro al pubblico. Ritorna il concetto di commodificazione = un movimento culturale diventa un prodotto di consumo (mercificazione). La cultura diventa una merce e perde la sua purezza. (Ad esempio se una serie TV non riscuote abbastanza successo, questa non viene rinnovata). Il dibattito sulla società contemporanea e sulla manipolazione dei media si lega a due presupposti: 1) L’esempio catastrofico e la minaccia dei totalitarismi, una visione critica e negativa condivisa da Adorno è Horkheimer 2) L’idea che una spinta verso la democratizzazione potessero trasferire le libertà e il gusto degli stili di vita borghesi alle altre classi sociali La seconda è una visione che vede gli aspetti positivi del consumismo ed è condivisa da Shills e Bell i quali introducono i concetti di INTEGRAZIONE E DEMOCRATIZZAZIONE. Secondo i due un aspetto positivo della società di massa è l’avvicinamento della maggioranza della popolazione alle istituzioni in cui si esercita il potere e dalle quali essa era tradizionalmente esclusa. Totalitarismo = società di massa chiusa in cui non c’è discussione e partecipazione politica. Polis greca = società di massa aperta in cui c’era dibattito politico Shills quindi prende come esempio la polis, pone importanza sull’emancipazione degli individui. La società ci dà degli stili di vita, poi è l’individuo a scegliere quello che preferisce (in un certo senso torna al centro l’individuo. All’ emancipazione ne consegue: il potere perde la sua sacralità, maggiori risorse per gli individui con aumento uguaglianza tra le classi, l’industrializzazione consente maggior conoscenza tra gli individui e maggiori trasporti. Shills distingue 3 livelli di cultura: superiore/raffinata, mediocre, brutale. Comunque, a prescindere dalla distinzione, la quantità di cultura consumata nelle società di massa è maggiore di ogni altra epoca. È importante perché va a favore delle classi inferiori, i quali sono i principali consumatori. <<Qualsiasi cultura è meglio di nessuna cultura>> cit. Shills <<La cultura è una soltanto>> cit. Mills Per Mills la cultura è una, una cultura alta. Per Shills invece è importante che si diffonda la cultura, non importa se brutale o mediocre. Bell afferma che: <<lo stile di vita, i diritti, le norme e i valori, i desideri, l’accesso ai privilegi, la cultura una volta proprietà esclusiva delle e lite, ora appartengono a tutti. Tutto ciò è stato reso possibile dal sorgere della produzione di consumo di massa e di livellamento degli stili di vita che contraddistinguono le classi sociali>>. Questa forma di società rompe i confini del l’esclusione e consente l’utilizzo di risorse che prima erano disponibili a pochi. I media hanno un ruolo centrale nella democratizzazione degli accessi alla cultura. L’emancipazione è stata resa possibile da: ❖ Aggregazione classi medie ❖ Più diritto di scelta ❖ Aumento conoscenze e interazioni che rendono la società più trasparente Shills e Bell hanno fiducia nel mercato come elemento di riequilibrio sociale, però non tengono conto i processi di concentrazione economica, marketing. EDGAR MORIN Lui ci parla di una terza cultura, oltre alla cultura colta e quella popolare. Questa viene definita “cultura di massa” e assume le caratteristiche espressive della cultura popolare attingendo però a contenuti colti (Kistch). Eco ha fatto l’esempio dei grembiuli da cucina con la stampa della Monna lisa. Essa è in grado di scardinare le classificazioni culturali che erano state adottate. Conseguenze: 1) Crisi della funzione intellettuale classica, si lega al concetto di perdita 2) La cultura popolare ha lo stesso destino di quella colta ma allo stesso tempo diversa: A. cessa la produzione (fine cultura contadina) in quanto è basata su fonti orali destinate ad essere difficilmente tramandabili B. Il patrimonio viene raccolto e archiviato dagli anni ’50 agli anni ‘70 3) I mezzi di comunicazione di massa sono gli strumenti più potenti per divulgare i contenuti della trasformazione della cultura Il dibattito è arrivato fino agli anni ’70 e alcuni contemporanei riconoscono nella cultura di massa connotazioni né negativi né positivi. Morin condivide l’idea di Francoforte che le caratteristiche della società di massa è l’aumento del tempo libero, da lui definito “loisir” (=tempo perso), organizzato però dall’industria culturale. Problema = l’elitarismo intellettuale non riconosce lo statuto della cultura terza. Essa deve quindi combattere la standardizzazione dei suoi prodotti mantenendo l’originalità degli stessi (comunque Morin non vede la cultura terza come una cosa negativa). LEZIONE 8 -Come combattere la contraddizione tra la standardizzazione e il mantenimento dell’originalità? 1. Divismo; il divo o diva mantengono originalità (ad esempio in un film) 2. Assumere una posizione autonoma che alcuni autori possono conquistare (per quanto riguarda il cinema vediamo i tratto distintivi dell’estetica di Tarantino e Wes Anderson) Debord e Baudrillard sono autori che sostengono che sia opportuno dare uno sguardo diverso rispetto le classiche teorie sui media. Questi ci portano fuori dal “bosco” delle teorie tradizionali. Loro affermano che immagini e segni attraverso cui avvengono i processi comunicativi, abbiano raggiunto un tale livello di sviluppo che hanno portato l’autonomia ai media. DEBORD Lui parte dalla citazione di Marx: <<Tutta la vita nelle società si presenta come un accumulazione di spettacoli>>. Lo spettacolo è il rapporto sociale fra individui mediato dalle immagini (Debord sostituisce il termine merci di Marx con il termine spettacolo). Le merci nascondono spettacolarmente i rapporti sociali entro i quali vengono prodotti e a partire dai quali sono consumati. Si è passati da un primo capitalismo (passaggio dall’essere all’avere) basato su una produzione senza svaghi, ad un secondo capitalismo dove si passa dall’avere all’apparire (noi facciamo spettacolo mostrando i nostri averi). E i media? La comunicazione è una merce e i media sono le fabbriche. La comunicazione di massa fa spettacolo come le altri merci, contribuisce all’apparire dei prodotti. Conseguenze: 1. Fine parodistica della divisione del lavoro. Ognuno può apparire in uno spettacolo cimentandosi in un’attività diversa rispetto alla sua specialità 2. Confusione carnevalesca che crea la tv e che ha come risultato la scomparsa dell’esperto indipendente sostituito da specialisti mediali 3. Scomparsa del vero e la nascita del falso 4. La messa al bando della storia per la ripetizione dell’istantaneo 5. Guardare invece del fare, sono spettatori e non attori Il sistema dei media diventa autonomo, si autoproduce. <<La vita contemporanea è una questione di spettacolo e lo scopo della vita moderna è quello di vedere ed essere visti>> cit. Debord Media scope = panorama mediatico creato dall’immensa produzione d’immagini e racconti che viaggiano nei media (nuovo termine) Abercrombie e Longhust affermano che uomini e donne che vivono nelle società occidentali contemporanee inglobano racconti e immagini dei media dentro un palcoscenico di cui sono attori e spettatori, li fa agire come se fossero ripresi da telecamere costanti. BAUDRILLARD Condivide l’idea di Debord per quanto riguarda l’autoreferenzialità dei media; aggiunge però che i media sono così potenti che non si limitano a raccontare fatti, ma sostituirli con rappresentazioni simboliche. I concetti chiave sono simulacro e iperrealtà analizzati attraverso una prospettiva storica. 3 simulacri: ❖ Di CONTRAFFAZIONE (Rinascimento); è una riproduzione della realtà contraffacendola, si ha il falso e il naturale. È un falso che ricalca e si ispira alla Natura (costruzioni di automi che imitano essere viventi) ❖ Di PRODUZIONE (era industriale); riproduzione seriale senza originale, si raggiunge equivalenza. Il simulacro si realizza attraverso la produzione seriale di beni che non hanno un originale di riferimento ma sono tutti uguali ❖ Di SIMULAZIONE (epoca attuale); iperrealtà. La realtà muore per essere sostituita da dei sistemi di segni, siamo nel regno dell’iperrealtà. Il sistema dei segni raggiunge un’autonomia tale da diventare indipendente dalla realtà stessa, da confondersi con essa fino a sostituirla: non c’è poca realtà, ce n’è troppa. Come Debord, anche Baudrillard crede che la verità scompaia e tutto sia riassorbito nello spettacolare. Ciò che mostrano è osceno perché mostrano quello che dovrebbe stare privato. Ad esempio la Guerra del Golfo è stata la prima guerra raccontata dalla televisione in maniera quasi ossessiva attraverso la forma dell’iperrealtà (si credeva che non fosse neanche accaduta a causa del racconto ossessivo). FUNZIONALISMO = importante nello studio dei media perché considera le funzioni esercitate nei singoli o dell’intera società. Nell’approccio funzionalista vige la metafora organicistica secondo cui le parti collaborano attivamente tra loro per mantenere un equilibrio: l’ordine sociale è mantenuto grazie all’interazione tra sottoinsiemi (economia, politica, scuola, ecc…) ciascuno dei quali offre la sua prestazione funzionale agli altri (controllo, adattamento, integrazione, ecc..) e all’intero sistema. Un precursore di tale approccio è stato Lasswell il quale attribuisce ai media 3 funzioni fondamentali: controllo dell’ambiente, correlazione delle parti della società nel reagire all’ambiente e la trasmissione del patrimonio culturale. McQuail invece elabora uno schema più ricco: - INFORMAZIONE: informare sugli avvenimenti e le situazioni nel società del mondo; segnalare i rapporti di potere; facilitare l’innovazione, adattamento e progresso. - CORRELAZIONE: sostenere l’autorità costituita e le norme vigenti; spiegare, interpretare il significato degli avvenimenti; socializzare; costruire il consenso; coordinare attività separate; fissare le priorità. - CONTINUITà: esprimere la cultura dominante e riconoscere sottoculture e le novità culturali; plasmare e conservare la comunanza dei valori. - INTRATTENIMENTO: procurare divertimento, svago e relax; stemperare la tensione sociale. dei ruoli essi possano creare nuovi luoghi sociali (nuove ribalte e retroscena) come esito cumulativo della loro esistenza. Esempio: se il fatto di saper leggere e scrivere consente ai genitori di comunicare tra loro in modo che i figli piccoli e ancora analfabeti non possano capire, i genitori, pure in presenza del bimbo, hanno stabilito uno spazio di retroscena. Tale spazio di retroscena è reso possibile da un medium tradizionale come la scrittura, ma da solo offre già un esempio dell’interazione tra determinismo tecnologico (tutti i genitori possiedono capacità mediali che mancano a tutti i bambini fino a una certa età) e la conseguente produzione di nuove ribalte e nuovi retroscena. (ESEMPIO stampa o tv rispetto al messaggio del nichilista tedesco pag. 56) Il rapporto tra McLuhan e Goffman appare quindi proficuo per indagare alcuni importanti aspetti della nostra percezioni dello spazio sociale creato attraverso i media elettronici. Questo porta a tre casi in cui le considerazioni generali condotte intorno al funzionamento della tv vengono illustrate: 1) la mancata o minor conservazione dei segreti (temi sensibili per i bambini) in situazioni in cui ribalta e retroscena tendono a sovrapporsi sono alla base del mutare dei rapporto tra adulti e bambini attraverso lo svelamento del “segreto della segretezza”. I media elettronici non sono in grado di custodire l’innocenza dell’infanzia e svelano il fatto che i genitori hanno dei segreti nei confronti dei bambini. 2) Nel rapporto uomini e donne l’autore indaga il “contenuto sessista” della tv, si suddivide in 3 aspetti: - il numero di donne professionisti o imprenditrici e con incarichi dirigenziali nella pubblica amministrazione rappresentate nelle fiction, nelle pubblicità, o chiamate come esperte nei mezzi di informazione. Di recente il numero è aumentato, prima erano lavori riservati agli uomini - riproduzione delle diseguaglianze sociali tra generi e legittimava la segregazione sociale delle donne come una condizione culturalmente giustificata da serie tv o dalle pubblicità con protagoniste casalinghe, madri, mogli. - infine il sessismo assume la sua forma più conosciuta ed evidente nell’oggettificazione e mercificazione del corpo e delle donne che viene usato per reclamizzare beni di consumo, per compiacere gli uomini e attrarre la loro attenzione nei varietà dell’infotainment. 3) Delle trasformazioni importanti toccano la sovrapposizione tra spazio pubblico e spazio privato nella vita degli esponenti politici. In questo processo di scambio tra i media che osservano i politici sono evidentemente entrambi a guadagnarci come negli esempi di Wilson, Roosevelt e Kennedy. La conclusione è l’indefinibilità dei confini tradizionali che dividono la ribalta e il retroscena che è una conseguenza dell’esistenza dei media tradizionali e del loro potere trasformativo su molteplici aspetti della vita sociale. BENJAMIN L’autore è citato per la sua opera “L’opera d’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica” con la quale egli anticipa gli sviluppi contemporanei della cultura di massa. In questo contesto si inserisce il concetto di Habitus mediato come esposto da Bourdieu: cioè il passaggio, avvenuto negli anni 80’, della cultura di massa a diventare un insieme di regole di interazione che consentono a un vasto numero di individui di entrare sulla scena dei media, assumendo sempre di più un ruolo attivo e produttivo. Fu Benjamin ad accorgersi e a definire l’importanza delle novità avvenute nella sua epoca: la riproducibilità meccanica dell’opera arte che comportava due piccole rivoluzioni: - Riproduzione infinita di un originale (il quadro della Gioconda in milioni di poster) - Riproduzione infinita di un’opera che non ha un originale (la fotografia, il cinema, la tv e il concetto di simulacro di Baudrillard) Un evento che ha modificato la natura stessa dei prodotti artistici. Per spiegare come la riproduzione tecnica trasformi il significato delle arti tradizionali, Benjamin ricorre al concetto di aura. Aura = Gli oggetti artistici originali emanano un’aura che attribuisce loro autenticità e che i duplicati meccanici non possiedono più, poiché manca ad essi l’Hic et nunc dell’opera d’arte – la sua esistenza unica è irripetibile nel luogo in cui si trova. L’aura non si può riprodurre: con essa viene meno l’autenticità unica di un quadro, una scultura, un manoscritto sostituita dalla ripetizioni infinita di stampe che li moltiplicano. Da un lato si priva l’opera d’arte della sua aura anche se in cambio ne moltiplica la fruizione e la diffusione a vantaggio di milioni di individui. Questo duplice processo cosa comporta per la cultura di massa e i significati ad essa associati? Il pubblico è ora eletto a giudice competente, dispone di una quantità sempre più estesa di film foto riproduzioni su cui esprimere il proprio parere estetico che spesso diverge da quello della critica ufficiale. Al cinema la platea di spettatori si riconosce come massa e comincia ad agire di conseguenza: unico caso in cui critica e piacere coincidono. Ogni uomo contemporaneo può avanzare la pretesa di essere filmato: la distinzione tra autore e pubblico in procinto di perdere il suo carattere sostanziale. L’innovazione e la riproducibilità tecnica toccano la relazione tra medium e pubblico: la cultura di massa non è più solo un prodotto dell’industria dell’innovazione tecnica ma consente a settori dell’audience di confondersi con l’autore. Le esigenze di marketing di rendere il prodotto culturale il più vicino possibili e ai gusti del consumatore si traduce nell’occasione offerta al pubblico di collaborare alla nascita della propria stessa cultura. Un reality show non è solo un canovaccio e un set pensato per autori che se ne intendono di tv, ma prevede il contributo indispensabile di uomini e donne comuni, non professionisti che agiscono nel modo più spontaneo e naturale possibile. LEZIONE 11 <<Teorie degli EFFETTI A BREVE TERMINE>> Interpretano il ruolo sociale dei media non più dal punto di vista della produzione di cultura ma da quello della manipolazione, influenza e persuasione del pubblico. Distinzione di tre momenti storici rispetto l’influenza dei media. - Fino anni ’40: presunta onnipotenza dei media - Anni ’50-’60: ridimensionamento del potere attribuito ai media ed effetti limitati - Anni ’70: ritorno idea di media potenti e attenzione agli effetti a lungo termine I primi decenni del ‘900 hanno visto l’ascesa della società di massa e le masse vengono considerate formazioni sociali magmatiche, imprevedibili e facilmente manipolabili. Per i teorici dell’elitismo (come Mosca o Pareto) le masse instabili e disomogenee si piegavano ad essere uno strumento a disposizione delle élite, le quali erano invece organizzate e compatte, e di conseguenza le minoranze organizzate controllano maggioranze disorganizzate Secondo Simmel (1917), le masse seguono una sola idea, quella più semplice. Pur nella diversità di approccio apocalittici e integrati erano d’accordo sul fatto che i mezzi di comunicazione hanno più influenza sui gruppi sociali con status e scolarizzazione minori. Stampa, Radio e tv -> cooperano a riprodurre le disuguaglianze sociali, principalmente quelle basate sulla diversa distribuzione del capitale culturale (percorso scolastico + eredità dei gusti e buone maniere che provengono dalla famiglia + ciò che si aggiunge alla propria educazione extrascolastica). Effetto principale dei media -> creazione della realtà quotidiana di milioni di individui. Evidenziamo una prima distinzione: - Le pubblicità di vino o liquori favoriscono la diffusione degli incidenti stradali e l’alcolismo? (domande tecniche che presuppongono un modello causa effetto) - Il fatto che migliaia di giovani si presentino ai provini del Grande Fratello o X-factor significa che la televisione ci condiziona? (domande tecniche che presuppongono un modello culturalista) Queste teorie si concentrano sulla prima tipologia. Ora è necessario fare una seconda distinzione. Un conto infatti è chiederci se esiste una relazione tra immagini di sfilate di moda e anoressia e un conto è considerare se una campagna preventiva di sensibilizzazione produce dei risultati efficaci. Nel primo caso ci troviamo di fronte a effetti non voluti mentre nel secondo a effetti ricercati. - Effetti non voluti - > le ricerche che si occupano di questi effetti inseguono conseguenze che si aggiungono a quelle desiderate dall’emittente e che l'emittente non si è proposto di produrre consapevolmente. - Effetti ricercati - > gli studi che riguardano questi effetti mirano a stabilire se la struttura del messaggio, le condizioni della comunicazione, sono tali da garantire che l'esito persuasivo vada a buon fine. Le ricerche che riguardano la misura dell'influenza della persuasione esercitata dai media sono orientate soprattutto sull’emittente e mirano a stabilire, se e come, i suoi sforzi comunicativi giungano a buon fine, mentre gli studi compiuti a iniziare dalla teoria critica fino ai cultural studies avevano per obiettivo l'industria culturale. Lo scopo dell’industria culturale non è di convincere qualcuno di qualcosa ma semmai di attrarre la maggior quota possibile di spettatori al cinema davanti alla radio proponendo spettacoli in cui sono legittimati prodotti, i modi di vita e le ideologie dominanti. Le ricerche sugli effetti hanno per bersaglio i pubblici: li si osserva per stabilire se ricordano, comprendono e traducono in atteggiamenti, in azione, il contenuto dei messaggi. Tuttavia il risultato di tali indagini riguarda in realtà l’emittente poiché dipende da lui creare messaggi capaci di indurre nei destinatari il ricordo, la comprensione l’azione e l’atteggiamento “giusti”, cioè corrispondenti alle sue intenzioni comunicative. L'analisi del contenuto del messaggio ci aiuta a definire l'ideologia, gli scopi e le visioni del mondo che sono tipici dell’emittente. Una prima conseguenza diretta e prova tangibile di questa dinamica riguarda il tema della committenza: chi finanzia le ricerche sono gli emittenti (ministeri, aziende, partiti politici) i quali hanno tutto il vantaggio di sapere qual è il destino dei propri sforzi comunicativi e come reagiscono le audience alle loro campagne di propaganda. La questione della committenza coinvolge i rapporti economici che legano la Fonte ai ricercatori, interessati entrambi a studiare gli effetti che il medium può produrre sui pubblici. A sovvenzionare tali interventi non è un attore terzo tra quelli implicati nel processo di comunicazione ma una delle parti in causa. La Fonte <<attiva>> il medium nei riguardi delle notizie di cui si fa portatrice e nel contempo lo rende oggetto di indagine per favorire la propria capacità di controllo e di uso dei risultati della sua azione informativa. Prima di descrivere alcune ricerche dobbiamo esplicitare alcune osservazioni preliminari. Il fatto che si studino gli esiti istantanei di un messaggio non significa che si debbano escludere riflessioni più importanti su conseguenze di maggior peso e continuità del tempo (effetti a lungo termine). D’altro canto, studiare gli effetti a lungo termine, che incidono sulle visioni del mondo e la cultura, non può prescindere dal tener conto anche dell’efficacia dei messaggi a breve, che sono il fondamento di buona parte della comunicazione del marketing. Inoltre, anche se non ricercati intenzionalmente, gli effetti a lungo termine sono prodotti anche dal marketing, a partire dagli obiettivi istituzionali che esso si propone con le proprie iniziative mediali. La seconda osservazione preliminare riguarda la relazione tra committenza e sviluppo storico che hanno avuto le diverse famiglie di teorie e diversi paradigmi. Il fatto che fino agli anni’70 ci sia preoccupati di valutare effetti di persuasione dei media e molto meno delle conseguenze di lungo termine deriva non solo delle scelte tecniche fatte dagli studiosi ma anche, soprattutto spesso, dalla committenza. Questo perché chi paga le ricerche vuole sapere se i suoi messaggi funzionano e non e se alcuni strati di popolazione rimangono più o meno condizionati nelle loro scelte dai messaggi stessi in ambiti lontani dai motivi che ne hanno promosso la diffusione. L’attenzione su temi come ad esempio il rapporto di influenza tra pubblicità di alcol e tassi di alcolismo sarà veramente posta solo a partire dagli anni ‘80. I primi studi hanno affrontato le audience (dagli anni ‘30), i contenuti dei messaggi e gli effetti persuasivi dei media (dagli anni ‘40 e ’50), costituendo attraverso questi tre grandi oggetti empirici il mainstream della communication network. A) Le ricerca sulle audience mira a misurare, come accade oggi, quante persone seguono un determinato programma o leggono un certo giornale cosa poi apprezzino dell’uno e dell’altro e come queste scelte si distribuiscono secondo le variabili sociali classiche (età, genere, professione, scolarizzazione e provenienza geografica). Ricerche condotte in America. È da notare comunque, in relazione alla committenza, che ancora prima di porsi domande su cosa i messaggi producessero sui pubblici o se esistesse un modo per condurre un’analisi scientifica del loro contenuto ci si preoccupava di stabilire quante persone seguissero l’uno o l’altro programma radiofonico. B) Le ricerche sul contenuto hanno l’obiettivo di stabilire quali sono i temi dominanti compresi nei messaggi allo scopo di valutare l’orientamento ideologico dell’emittente e gli stili espressivi con cui sono rappresentati i diversi attori sociali di cui si parla. Lo scopo è pratico e mira a individuare i criteri con cui i messaggi funzionano al meglio o possono fornire informazioni sulle strategie della concorrenza. C) L’analisi sugli effetti riguarda le campagne d’informazione, pubblicitarie o politiche, con le quali si cerca di persuadere il pubblico ad adottare una idea o un comportamento. L’obiettivo è stimare quanto e come le campagne funzionino nell’ottenere i risultati attesi. A partire dagli anni ’40 furono avviate ricerche sulla comunicazione persuasiva a stampo politico, commerciale e militare. Attraverso metodi quantitativi si analizzano stampa e radio con approccio comportamentista. Il paradigma prevalente all’epoca vuole che la relazione media-individuo venga indagata escludendo quasi del tutto l’influenza della comunità o dei gruppi di appartenenza, privilegiando il potere persuasivo e manipolatorio dei mezzi di comunicazione di massa. Oggi ci concentriamo sulla teoria che considera i media potenti =TEORIA IPODERMICA. È una sorta d’interpretazione che ha al centro il potere manipolativo dei media. Ad esempio si è visto come i regimi totalitari abbiano utilizzato la radio e il cinema per propaganda. Oltre un certo limite tale processo si trasforma nel suo opposto entra nell’area dell’indifferenza o del rifiuto dove si attiva l’azione di contrasto e l’intenzione persuasiva viene perduta. Rispetto ad altre ipotesi lo studio di Hovland e Sherif non si limita solo a riconoscere nella percezione selettiva la conferma del giudizio che già si condivide ma attribuisce alla dinamica dell' assimilazione un vantaggio e a quella del contrasto un ostacolo al cambiamento persuasivo ricercato dall’emittente. La memorizzazione selettiva Un destino simile alla esposizione e alla percezione selettive riguarda anche la memorizzazione. Non solo scelgo quale media consultare in base alle mie credenze e ai miei punti di vista; non solo piego ai miei interessi e atteggiamenti anche il significato del messaggio, ma ricordo i contenuti della comunicazione persuasiva sulla base della coerenza che questa ha nei confronti delle mie inclinazioni e idee. (studio di Levine e Murphy su pro/anti sovietici pag. 90) Esito: a) Ciascun gruppo rammenta di più le parti del discorso vicine alle proprie posizioni politiche e ideologiche dimenticando le altre b) La divergenza nella memorizzazione tra i gruppi aumenta con il passare del tempo Noti esempi di memorizzazione selettiva sono: - Effetto Bartlett = Qualora nello stesso messaggio siano presenti argomentazioni a favore e argomentazioni contrarie a quelle del destinatario, accade che nella memoria queste ultime tendono ad affievolirsi e scomparire più velocemente delle prime. Se il destinatario reputata poco credibile l’emittente e ha in atteggiamento negativo nei suoi confronti, l’effetto persuasivo è molto basso se non proprio nullo. - Effetto di latenza = Con il passare del tempo tuttavia la memorizzazione selettiva potrebbe giocare a favore della capacità di influenza del messaggio perché il ricordo dei contenuti di quest’ultimo può sopravanzare il ricordo dei motivi che portavano ad avere una posizione non favorevole nei riguardi dell’emittente Lo scopo era evidenziare il ridimensionamento del ruolo dei media di massa in quanto, al di là di qualche effetto particolare, non possono più essere considerati potenti senza definire gli ambiti al cui interno se ne riconosce la capacità di influenza e manipolazione. Date le premesse, il lavoro del pubblicitario è ancora possibile date le difficoltà che si sovrappongono tra l’obiettivo di influenzare opinioni e comportamenti e gli ostacoli che abbiamo definito nel paragrafo precedente? Una riposta proviene dalla teoria della dissonanza cognitiva di Leon Festinger che spiega in quale maniera l’emittente può approfittare di un disaccordo tra credenze e comportamento del proprio destinatario allo scopo di raggiungere i suoi obiettivi. Anziché confrontarsi con la resistenza che l’individuo è in grado di opporre alla persuasione del messaggio, è data all’emittente la possibilità di trasformare una condizione psicologica di incertezza una risorsa. Vediamo come Base: gli individui generalmente sono abituati ad agire mantenendo una certa coerenza tra azione e convinzione, tra comportamento e credenze. In alcuni però, e questa esperienza appartiene al vissuto di chiunque, possono prodursi delle contraddizioni (dissonanze) tra ciò che si pensa sia giusto, razionale, opportuno e quanto invece si fa per piacere, convenienza o interesse. Si crea in tal modo una instabilità emotiva che il soggetto cercherà di superare riducendo uno dei termini della contraddizione. Esempio = i danni del fumo, se riesco a non preoccuparmi del rischio che ciò comporta, facendo mie frasi del tipo “l’inquinamento è peggio della sigaretta” o “mio non è vissuto fino a 92 anni e fumava i sigari” ho risolto il problema non c’è più dissonanza e fumo tranquillamente. Un altro modo di ridurre la dissonanza sarebbe ovviamente quello di smettere di fumare. Se però resto nel limbo dell’indecisione la dissonanza persiste ed ecco dove i media possono intervenire con i loro messaggi persuasivi. Immaginiamo uno spot che dica che sono state inventate nuove sigarette leggere con un basso livello di catrame e nicotina: anche per questa via la dissonanza si riduce perché le sigarette del nuovo tipo mi consentono di mantenere comportamento e convinzione contemporaneamente senza che loro siano più incompatibili. Inoltre essendo in una situazione di dissonanza sono più propenso a prendere per buono il messaggio che mi offre i mezzi pratici per superarla positivamente. Viene messa in dubbio l’idea del destinatario come attore collettivo indifferenziato: il processo di comunicazione non può essere concepito al di fuori del reticolo di rapporti sociali che collabora a “produrre” l’individuo, la sua identità e la sua visione del mondo. Si inizia a pensare alla “comunicazione a due fasi”. Questa importanza data alle interazioni sociali che pre esistono all’interazione del messaggio era già presente in “The People’s Choice”. È una ricerca importante che critica l’effetto ipodermico dei media e ci fa scoprire che la comunicazione interpersonale avviata da individui influenti e più istruiti possedeva una capacità di indirizzo delle scelte del pubblico maggiore di ciò che poteva venire dalla campagna elettorale sostenuta dai media. Viene meno l’idea dello scambio diretta in un rapporto diretto Emittente – Destinatario; il messaggio passa da una figura che interpreta il significato del messaggio secondo la comunicazione a due fasi. Questa persona è il leader d’opinione, i quali devono interpretare e diffondere il messaggio. Il leader ha quel ruolo perché ha determinate caratteristiche: - Sono più informati, più coinvolti e interessati ai temi elettorali - Esercitano influenza personale nel confronti dei componenti della comunità su cui esercitano la leadership - Si espongono più degli altri Già Kurt Lewin, sulla dinamica del gruppo, ci parla del punto di ancoraggio a cui gli individui si affidano per prendere decisioni e per formare delle convinzioni, costituito dai giudizi prevalenti nello stesso gruppo (amici, famiglia). Una variazione di idee è possibile se il gruppo lo appoggia. Il leader può diventare questo punto di ancoraggio. La comunicazione a due fasi: 1. Il medium colpisce in modo privilegiato il leader d’opinione 2. Il leader filtra l’informazione e trasmette i contenuti ai membri del gruppo Le caratteristiche del leader d’opinione svuotano di capacità descrittiva il modello trasmissivo (basato su una relazione stimolo – risposta) per sostituirlo con un modello a rete. Il leader, osserva Merton, esercita la sua influenza in una forma anche più strutturata nell’ambito dei gruppi di riferimento come leader d’opinione locale o cosmopolita. Il leader d’opinione, pur costituendo un filtro collettivo e di freno allo strapotere dei media, è però entrato a far parte delle strategie persuasive in due modi: - Il primo lo vede come destinatario principale del messaggio - Il secondo modo in cui il leader d’opinione è costruito nell’ambito di strategie comunicative persuasorie attraverso la figura di testimonial interno a uno spot Leader d’opinione locale = vive all’interno della sua comunità e ha contatti frequenti con i suoi membri, partecipa alla vita di associazioni e istituzioni locali. È un leader polimorfico, ovvero esercita la sua influenza su diverse questioni tematiche. È destinatario di messaggi che provengono dalle fonti più popolari e meno raffinate o impegnate (tv, radio); da essi trae aneddoti ed esempi che mostrino il <<lato umano>> degli eventi di cui si parla. Leader d’opinione cosmopolita = proviene spesso dall’<<esterno>> della sua comunità, ha viaggiato e gode di un’ampia autorevolezza. È un leader monomorfico: esercita la sua influenza solo su temi specializzati rispetto ai quali possiede competenza e legittimità. È destinatario di messaggi che provengono da fonti più ricercate e culturalmente raffinate che contribuiscono ad attribuirgli autorevolezza (riviste divulgative o accademiche, libri, quotidiani nazionali). Sono ad esempio dei leader d’opinione gli influencer digitali, tutti coloro che parlano attraverso lo schermo. Thompson afferma che i media stessi hanno stabilito quella che viene chiamata interazione mediata, vale a dire un rapporto di fiducia simile, anche se mai uguale, a quella che esiste nella vita di tutti giorni. Oggi però sono cambiati i linguaggi e gli stili con cui i media e la tv si rivolgono ai destinatari. Infatti diventa quasi un filtro inutile il leader d’opinione: tale ruolo è quasi interamente assorbito dai mezzi di comunicazione stessi che assolvo sempre più funzioni relazionali. Quali sono le variabili da tenere conto per rendere un messaggio persuasivo? (Hovland, Lusmdaine, Sheffield) 1) Credibilità della fonte 2) L’ordine con cui gli argomenti vengono collocati nel messaggio 3) L’atteggiamento e la conoscenza che i destinatari già possiedono 4) Il livello di scolarizzazione dei destinatari L’insieme di questi punti costituiscono una serie di “buona composizione dei messaggi” che Maccomby ha chiamato nuova retorica scientifica <<credibilità della fonte>> Il messaggio dipende dal contesto entro cui avviene la comunicazione. La credibilità che viene attribuita dal destinatario sulla base di due peculiarità: - Competenza che l’emittente mostra possedere nei riguardi dell’argomento oggetto della comunicazione - Veridicità e disinteresse con cui esprime il suo punto di vista Effetto latente = a distanza di tempo la variabile costituita da una credibilità della fonte tende a dissolversi e quindi incidere molto meno sull’effetto di persuasione che è determinato in misura più consistente da altri fattori o tende a non prodursi affatto. Può sembrare ovvio che il messaggio sia considerato dal pubblico più attendibile se la fonte che lo produce a sua volta appare dotata di credibilità, ma bisogna sottolineare che tali osservazioni sottraggono potere d’influenza il medium per riconoscere una maggiore autonomia all’emittente o al destinatario. Vengono messi in discussione i presupposti su cui si fonda la teoria ipodermica. One side, both sides = disposizione degli argomenti all’interno del messaggio partendo dal presupposto che la loro collocazione sia influente sul potere di convinzione. One side, unilaterale, è quando l’opinione di cui l’emittente vuole convincere il destinatario espressa da sola senza alcun contraddittorio. I meno istruiti sono più influenzabili da questi messaggi. Both sides, bilaterale, è quando c’è una copresenza nel messaggio di posizione sia favorevoli sia contrarie all’idea che l’emittente intende suggerire. I più scolarizzati sono maggiormente sensibili alla presentazione di ambedue i punti di vista. La one both side è più resistente rispetto a quella prodotta con un messaggio unilaterale a successive comunicazioni di propaganda avversa. Gli esperimenti hanno dimostrato che: il messaggio bilaterale risulta più efficace nei confronti della parte del pubblico che aveva un parere opposto a quello contenuto nella comunicazione; mentre il messaggio unilaterale rafforza l’opinione di chi è già d’accordo con i suoi contenuti. Quali punti di vista bisogna mettere primo o dopo? Una maggior conoscenza e familiarità da parte del destinatario con l’oggetto di cui si parla rende più efficace ai fini della persuasione l’argomento che appare per ultimo (recency). Mentre un minor conoscenza e interesse mantengono più duro l’effetto standard primacy, che costituisce una vaccinazione rispetto ai messaggi avversari È più utile lasciare al destinatario il compito di trarre da solo le conclusioni sull’argomento presentato oppure spetta all’emittente? Il numero di persone influenzate secondo le intenzioni comunicative dell’emittente risulta maggiore se le conclusioni sono rese esplicite, si ottiene quindi l’effetto opposto quando si realizzano una fra tre condizioni: 1) Quando i destinatari sono abbastanza intelligenti e hanno soddisfazione nel trarre le conclusioni da soli 2) Le argomentazioni consentono di ricavare delle conclusioni semplici e alla portata di tutti 3) Quando i destinatari mostrano di avere conoscenza e familiarità con l’argomento per cui una conclusione esplicita non conforme loro aspettative produce scarsi effetti di persuasione Meno si sa meno si è interessati e meno si è istruiti più si è influenzabili (la dieta mediale equilibrata aiuta a non essere influenzabili) Effetto vaccinazione = McGuire studia il modo in cui si possono aiutare gli individui a resistere ai messaggi concorrenti una volta che siano stati convinti di un’idea o un’opinione. Inoculare piccole quantità di virus allo scopo di indurre l’organismo a produrre anticorpi. Come? Dopo aver convinto un soggetto di un certo tema, allo scopo di immunizzarlo, occorre esporlo a un messaggio in cui si collochino prima alcuni argomenti contrari non troppo polemici, in modo da consentirgli di sviluppare la possibilità di affrontare da solo le eventuali questioni Quando le due elaborazioni giungono alla stessa conclusione (effetto indipendente) si rafforza il giudizio finale sul messaggio che porterà alla persuasione o alla resistenza nei confronti dei contenuti. Quando all’opposto vi è contraddizione (interdipendente) si può avere un indebolimento della forza cognitiva delle euristiche a favore dell’elaborazione sistematica. Conclusioni: - Questi approcci suggeriscono che il ricevente e l’emittente non usano nelle loro operazioni di interpretazione o di produzione di un messaggio le stesse regole che uno studioso ritiene siano alla base dell’intero processo comunicativo. Chi riceve un messaggio pubblicitario non lo valuta sempre razionalmente seguendo i percorsi di lettura che l’emittente si aspetta. - Conferma della banale regola secondo cui l’efficacia persuasiva del messaggio è direttamente proporzionale all’interesse che suscita nel destinatario, infatti i percorsi periferici hanno durata ridotta. LEZIONE 14 Gli effetti di FRAME (pag. 130) Riguardano le conseguenze persuasive che discendono dall’inquadramento (incorniciare) del messaggio o sue parti in modo da fornirgli un significato più appetibile o comprensibile per il destinatario. Presentare gli argomenti in un modo piuttosto che un altro; attribuire caratteristiche socialmente apprezzabili a una determinata condotta. Tutto ciò si attua attraverso meccanismi noti come quello secondo cui l’aspettativa di evitare una perdita risulta più convincente dell’aspettativa di acquisire un guadagno. Gli effetti di Frame funzionano attraverso un richiamo di conoscenze ed esperienze che il destinatario possiede e che vengono attivate dal messaggio secondo un certo ordine, nella speranza che ad esse si attribuisca il significato attribuito dall’emittente. (esempio candidato Repubblicano fittizio) Vince quando il candidato assume la prima posizione perché più coerente con gli ideali classici del partito. Questo significa che la comunicazione persuasiva funziona solo in alcuni casi attraverso la forza delle sue argomentazioni razionali. Il molti casi no perché il ricevente non ha tempo da dedicare al messaggio, perché è distratto da una miriade di stimoli, perché non possiede le competenze necessarie a comprenderlo oppure si lascia influenzare dalla conferma di quello che già pensa o conosce. Teoria USI E GRATIFICAZIONI Si colloca all’interno del pensiero funzionalista: a) è un approccio che ha dato vita a numerose ricerche e può vantare quindi una tradizione certa rispetto alla sua validità certificata sul campo e b) incarna una teoria ponte verso gli approcci più moderni che riconoscono alle audience un ruolo attivo. Infatti in passati si presupponeva che il processo di comunicazione dipendesse dall’emittente sotto ogni aspetto; siamo passati a “che cosa fanno i media alle persone? A “che cosa fanno le persone ai media?” L’ottica con cui si guarda ai media tradizionali parte dal presupposto che essi producono degli effetti solo se sono in grado di gratificare i bisogni dei loro pubblici. La fruizione e l’interpretazione del contenuto dei messaggi dipendono dai contesti sociali e psicologici dei destinatari nel momento in cui essi decidono se e come usare i mezzi di comunicazione di massa: lo spettatore inizia ad avere un ruolo attivo ed autonomo. In quanto teoria funzionalista, il rapporto tra usi, gratificazioni e bisogni del soggetto è considerato nei termini delle funzioni che i media assolvono nei riguardi delle necessità degli individui. I bisogni individuati da Katz, Gurevitch e Hass sono: - Bisogni cognitivi: legati al rafforzamento dell’informazione della conoscenza e della comprensione (leggere un giornale, i media tendono a soddisfare e incrementare il bisogno di apprendere) - Bisogni affettivo-estetici: legati al rafforzamento dell’esperienza emozionale e al piacere della fruizione (commuoversi per la fine di una serie tv, apprezzare un film d’autore) - Bisogni integrativi della personalità: legati al rafforzamento della credibilità, la fiducia, la stabilità e lo status attraverso la combinazione di elementi cognitivi e affettivi - Bisogni integrativi sociali: legati al rafforzamento dei legami sociali con la famiglia, amici, il mondo - Bisogni di evasione: legati alla fuga o all’allontanamento da stati di tensione e di conflitto, intesi come indebolimento del contatto con il sé o il proprio ruolo sociale. (i bisogni integrativi richiamano aspetti che riguardano l’individuo e la rete di relazione sociale, i primi invece sono soddisfatti dai media direttamente). La situazione produce tensioni e conflitti i quali spingono per essere attenuati grazie al consumo dei media (bisogni di evasione). La situa sociale crea la consapevolezza di problemi che domandano attenzione, l’informazione che li riguarda può essere ricercata nei media (bisogni cognitivi). La situazione sociale offre scarse opportunità reali di soddisfare certi bisogni, i quali si dirigono verso i media per un supporto complementare, supplementare o sostitutivo (bisogni integrativi della personalità). La situa sociale dà origine a certi valori la cui affermazione e il cui rinforzo sono facilitati dal consumo di prodotti mediali congruenti (bisogni affettivo-estetici) La situa sociale fornisce un insieme di aspettative di familiarità con prodotti mediali che devono essere seguiti per sostenere l’appartenenza a gruppi sociali di riferimento (bisogni integrativi sociali). I media quindi sono molto di più che strumenti di persuasione e lo sono a partire dal ruolo fondamentale attribuito al destinatario. La comunicazione prende forma oltre che in rapporto al contenuto del messaggio anche in relazione al dove e al come avviene l’esposizione del tipo di medium che si sceglie. Si riconosce il ruolo attivo delle audience non al fine di agire su di loro ma valorizzando come loro agiscono attraverso i media allo scopo di sfruttare le principali funzioni da questi assolte. A partire da questa teoria si avvia quel processo di revisione che supera due questioni fondamentali legate all’analisi degli effetti a breve termine dei media: - La simmetria tra emittente che ha un ruolo attivo e il destinatario al quale se ne riconosce invece uno del tutto passivo - Intenzionalità del processo comunicativo per cui l’emittente lo avvia per raggiungere uno scopo legato al suo interesse particolare. La novità risiede nelle abilità del destinatario <<EFFETTI A LUNGO TERMINE >> La congettura che i media siano più o meno potenti oscilla in ragione di cosa si studia (la manipolazione, la persuasione o l’influenza, la socializzazione o l’interattività) e come lo si studia (teorie astratte o ricerche empiriche, prove di laboratorio o osservazioni sul campo). L'idea che l'influenza dei media sia limitata dalle selezioni del destinatario o dal modo in cui l'emittente confeziona il messaggio lascia il passo all'idea che i mezzi di comunicazione siano invece potenti sul lungo periodo, sancendo così una svolta che tocca ancora il cosa si studia e il come lo si studia. La novità maggiore riguarda non tanto la durata dell’osservazione ma la perdita di importanza delle ricerche sulla persuasione, sostituite da indagini sul ruolo che stampa, tv e internet si assumono come attori sociali nel momento in cui fanno circolare informazione e creano intrattenimento. (tabella pag. 144) Che relazione esiste tra media e società, indipendentemente da quel che vuol trarre dalla comunicazione l’emittente? Differenze: 1) Nel modello trasmissivo l’informazione viene inviata con lo scopo di influenzare l’opinione o l’azione del destinatario; il modello rituale ha le caratteristiche di condivisione comunitari dei significati che riprendono la prospettiva rituale di analisi della comunicazione (cambiamenti connessi alle credenze personali) 2) Si passa ad una comunicazione processuale: una sequenza di diversi messaggi diluiti nel tempo piuttosto che una risposta a singoli atti comunicativi. Vediamo infatti che gli effetti limitati sono stati studiati attraverso campagne elettorali o commerciali, mentre gli effetti a lungo termine si studiano per aree tematiche che coinvolgono diversi media quando non hanno uno scopo persuasivo (fiction, news) 3) L’effetto persuasivo si concentra sulle risposte dei singoli individui e si studia con analisi in laboratorio; l’analisi degli effetti a lungo termine si riferisce a gruppi considerati nel loro insieme e studiate nei loro contesti sociali 4) Non più ricerche sul mutamento di opinione o di atteggiamento ma analisi più estese dedicate alla costruzione cognitiva di rappresentazioni della realtà (la funzione passiva del destinatario viene sostituita dal rilievo dato alle sue abilità cognitive di costruirsi una visione del mondo) 5) L’intenzionalità della comunicazione viene sostituita dalla presa in carico di effetti latenti e impliciti, non ricercati e non immediatamente visibili 6) Gli effetti a breve termine sono caratterizzati da frammentazione e ripetizione, come singole attività, mentre quelli a lungo termine funzionano per sedimentazione e cumulazione (è come se il destinatario conservasse memoria dei messaggi precedenti e la mettessi in gioco per interpretare il significato dei successivi). Questo perché da un lato gli effetti creano conseguenze in ambiti di straordinaria importanza nella vita delle persone come la socializzazione e le diverse forme di costruzione sociale della realtà, dall’altro per acquisire tali strumenti conoscitivi sono necessarie una stratificazione e una sedimentazione lunghe Effetti a lungo termine suddivisi in tre ambiti di definizione: - Il potere dei media: gli effetti sono in relazione privilegiata con i media e il loro potere di condizionare le forme del proprio stesso consumo. L’effetto è studiato in ragione del ruolo che i mezzi di comunicazione mantengono come attori sociali (spirale del silenzio, scarti di conoscenza, dipendenza, etichettamento) - Socializzazione e costruzione della realtà: riguardano i processi fondamentali come la socializzazione e la costruzione sociale della realtà, si privilegia il ruolo del destinatario e i media passano in secondo piano. Quindi si parte dall’idea che i media agiscono al di là della loro funzione mediale, non fanno solo intrattenimento ma sono attori sociali che agiscono e offrono esperienze (coltivazione, agenda setting, etnografia del consumo, geografia situazionale) - Effetti impliciti e latenti: riguarda la presunta relazione causale tra alcuni tipi di messaggi dei media e comportamenti pericolosi o non desiderabili (violenza, disturbi alimentari, comportamenti antisociali) È forte il sospetto che la comunicazione di massa sia responsabile nei confronti di numerose situa di devianza tale per cui costituisce la minaccia di scatenare casi di manico morale (quando una comunità si sente minacciata nei suoi ideali da persone o idee sovversive). Un primo esempio di effetto a lungo termine implicito e sedimentato è costituito dalla relazione che si ritiene possa esserci tra contenuti dei messaggi dei media e comportamenti sociali pericolosi. Ci si riferisce all’influsso che i media possono avere su azioni violente; tale influsso, se c’è, non riguarda tutti nello stesso modo e non costituisce un problema equamente distribuito tra l’intera popolazione. Violenza = la relazione tra esposizione della violenza nei media e aumento della violenza nella realtà non fornisce prove sicure, è sicuro che un influenza di qualche tipo la produca. Non è quindi chiaro quale sia la responsabilità dei media e quale invece di altri processi causali. I media comunque agiscono da cassa di risonanza della percezione della violenza: senza i media nessuno avrebbe la sensazione che gli episodi criminali e comportamenti antisociali aumentino, i media sono testimoni e narratori (necessità di attrarre più pubblico possibile). La preoccupazione porta a pensare che l’ampia rappresentazione di episodi criminali offerta dai nuovi media fanno si che aumentino fatti violenti. Abbiamo però 3 ostacoli che non ci consentono di dare una risposta certa: a. Troppe ricerche semplificano il problema in termini metodologici, tengono in conto poche variabili e vengono svolti in laboratori, quindi poco fedeli alla realtà. Ciò producono false rappresentazioni. b. Difficile isolare il ruolo specifico dei media dagli altri fattori c. Complicato stabilire l’ordine causale entro cui agisce il rapporto media e violenza McQuail, elaborando uno schema di deviazioni sistematiche della realtà nei contenuti delle notizie, rileva le distorsioni quantitative e qualitative che i media producono nei confronti degli eventi che capitano nel mondo. Si nota una sovra rappresentazione della violenza nelle notizie di cronaca che contribuisce a creare un clima di allarme sociale. Disturbi alimentari = il punto è chiedersi nuovamente se i media di massa siano corresponsabili degli stati di sofferenza che sembrano trovare istigazione nelle immagini di modelle magrissime. È impossibile assolvere i media da ogni colpa ma è complicato trovare un nesso causa effetto. Le trasmissioni con esperti su tali temi creano un ricco ambito di narrazioni mediali creando sia allarme sociale nei riguardi delle famiglie ma anche un attenzione collettiva. Erotismo = internet ha dato l’accesso gratuito a materiale erotico o pornografico. L’allarme sociale intorno a questo tema si è acuito creando ansia tra i genitori: parental control. CONCULSIONI (tabella pag. 157): 1. Non è sempre possibile stabilire quale sia il contributo dei media al problema 2. Si conferma l’indeterminatezza dell’ordine causale da attribuire nel rapporto tra media e problemi 3. In materia sensibili il peso delle posizioni ideologiche politiche e religiose si fa molto sentire, così che a volte gli sforzi di comprensione sono influenzati dai pregiudizi 4. Un prodotto che nasce nella relazione tra media e temi sensibili è l’allarme sociale 5. Non si può negare che i media abbiano delle responsabilità nei riguardi di questi problemi Il rischio che identificano è che chi si affida alla tv come unica fonte d’informazione rischia di avere una visione distorta della realtà. Gerbener indaga l’influenza culturale effettiva che la tv esercita su gruppi d’individui. Coltivazione: la tv coltiva una parte dei propri pubblici nel senso che offre loro le uniche risorse simboliche che hanno a disposizione per interpretare e orientarsi nella realtà. Chi sono questi? - Forti consumatori, 4 o più ore. Questi fanno molto affidamento alla tv - Medi, da 2 a 4 ore - Deboli, meno di 2 ore. Questi sono esposti a varie informazioni Bisogna quindi fare una “dieta mediale” equilibrata: avere più fonti dei media da cui attingere più informazioni. Esistono i <<differenziali di coltivazione>>: i forti consumatori sono convinti che la violenza (ad es.) sia collettivamente più diffusa di quanto sia, e di quanto percepiscono i deboli consumatori, ed è maggiore la loro preoccupazione di essere vittima. Maggior televisione, maggior vulnerabilità nella realtà. I consumatori deboli infatti non mettono in paragone la tv con la realtà e i forti consumatori perdono questa capacità. I media quindi coltivano il proprio pubblico attraverso modelli che prescindono il peso delle variabili sociali, riposizionano i propri spettatori nei riguardi di eventi mettendone la loro opinione. È quasi come se i media ci dicano cosa pensare, come interpretare la realtà. Gerbner assieme al Cultural Indicators Research Group nel tempo raffina le sue conclusioni su questa teoria introducendo il concetto di risonanza e amplificazione che condizionano gli effetti di coltivazione alla situazione ambientale dei soggetti studiati. Il rapporto tra la quantità di esposizione e la paura del crimine è più forte presso coloro che vivono in aree urbane ad elevato tasso di criminalità (risonanza), nel quale la realtà quotidiana e la televisione forniscono una doppia dose di messaggi che amplificano l’effetto di coltivazione. Il contesto in cui vive contribuisce alla mia percezione del mondo, ha un effetto di risonanza (la forza del medium viene in parte ridimensionata) Critiche teoria: - Le ricerche al di fuori dell’America non hanno confermato la teoria - La variabile principale è il tempo trascorso davanti alla tv a discapito di variabili classiche (età, genere, educazione…) - La coltivazione potrebbe essere interpretata in termini inversi: se a guardare più tv fossero persone più soggette al mainstream di interpretazione della realtà allora non esisterebbe alcuna coltivazione. Shaw e McCombs parlano dell’ “agenda setting”: si passa dal “come” pensare al “cosa” pensiamo in conseguenza dell’esposizione ai messaggi dei media. Ci si chiede quindi quali siano i temi più rilevanti della giornata e in che gerarchia si pongano gli uni nei confronti degli altri. In un certo qual modo ci accorgiamo che sono i media a darci le notizie di maggior peso, sono le notizie che appaiono in prima pagina nei giornali. I media in un certo senso possono produrre un frame entro il quale prendono forma e rilevanza le informazioni e l’interpretazione che si danno del mondo. L’agenda setting riguarda solo il mondo delle notizie. Il potere non è minore: gli argomenti che danno influenza l’audience. L’agenda setting produce due conseguenze: a) attribuzione di un ordine del giorno ai temi: i media operano una selezione tra le notizie disponibili mettendo in primo piano una serie di questioni di cui vale la pena parlare b) scegliere una gerarchia di rilevanza tra temi: l’ordine gerarchico dipende dal programma, dai mezzi, dalla lunghezza dell’articolo ecc.. (ad es. in tv sono fondamentali i titoli di un tg e la durata relativa alla notizia) Il fattore importante è quello di dare agli individui un insieme di temi di cui si è sicuri di parlare in occasioni pubbliche. Bisogna infine ricordare che i diversi media producono esiti di agenda differenti. La tv mostra una certa insistenza nella copertura di fatti spettacolari legati alla cronaca nera, a vicende politiche o sportive dei quali si parla per giorni (cumulazione e consonanza); sono i giornali a essere considerati i vettori di tale effetto. Priming: usare la preminenza delle notizie che compaiono nei media come innesco rispetto a giudizi o decisioni relativi all’attività politica. I giudizio su un partito o su un politico dipende dalla percezione di come questi agiscono nelle questioni più salienti. Il priming può fornire anche da azione di distrazione che fa anche cambiare idea su un politico. Gli effetti a lungo termine visti fino ad adesso vanno oltre i confini della persuasione. I mezzi di comunicazione creano dipendenza (Ball Rockeach De Fleur); conformismo (Asch e Neumann); che non consentono di superare ma anzi riproducono disuguaglianze (Donohue, Olien e Tichenor); che coltivano i propri pubblici (Gerner, Gross, etc.) o che li etichettano (Cohen); e infine che stabiliscono ordine e rilevanza dei temi di discussione (McCombs e Shaw) non possono più essere studiati domandandosi soltanto cosa fanno con o alle proprie audience ma che posto hanno nel nostro mondo. •“I nostri media sono ubiqui, contribuiscono alla nostra quotidianità, sono la dimensione essenziale dell’esperienza contemporanea. Intendo sostenere che dovremmo studiare i media come parti del tessuto generale dell’esperienza, facendo quindi riferimento alla natura radicale della verità del mondo, a quegli aspetti della vita che diamo per scontati ma che sono indispensabili alla vita associata e alla comunicazione” (Silverstone). Un passo in questa direzione viene fatta da alcuni autori che propongono una prospettiva etnografica. La svolta etnografica si associa alla raggiunta normalità quotidiana dei media intesa come abitudine soggettiva alla loro esistenza. Si raggiunge dopo aver riconosciuto il loro ruolo di attori collettivi di grande importanza dei quali non si può fare a meno. Se i mezzi di comunicazione sono a tal puto penetrati nella nostra quotidianità da divenirne quasi indistinguibili è opportuno dotarsi di strumenti d’indagine che sappiano districarne la portata. (tabella pag. 186 con caratteristiche approccio etnografico) 1) dal punto di vista metodologico: - da una ricerca prevalentemente quantitativa ad una qualitativa con interviste in profondità e osservazione partecipante - la famiglia p il gruppo comunità di analisi non si limita ad essere una fonte d’informazione ma partecipa attivamente divenendo il fulcro analitico 2) funzionamento dei media: esprimere all’interno dello spazio intimo e quotidiano degli individui le loro abitudini di fruizione è in grado di consentire al ricercatore di analizzare con maggior precisione e accuratezza le reazioni spontanee degli utenti. 3) L’oggetto di studio diventa soggetto di studio. Non si considerano più gli effetti ma le forme pratiche di consumo e ricezione dei messaggi in cui i destinatari hanno un ruolo attivo. Autori: Lull, Morley, Hobson, Ang, Radway MORLEY Lui in The nationwide audience studia la ricezione di un programma televisivo inglese (Nationwide) presso 29 gruppi omogenei di soggetti (manager, sindacalisti, studenti e apprendisti) : relazione tra status sociale e l'interpretazione che danno ai temi del messaggio. La puntata mostrata era dedicata al budget annuale del Ministero del Tesoro inglese che veniva discusso valutando le conseguenze economiche su tre tipologie di famiglie. Rispettando le ipotesi della teoria di i diversi gruppi di spettatori tendono a distribuirsi omogeneamente intorno ai giudizi che riflettono la loro condizione sociale. Teoria di Stuart Hall = Encoding and Decoding Partendo dall’approccio marxista per quanto riguarda il consumo e la produzione dei prodotti culturali, si è focalizzato sul contesto della televisione, stampa e radio. Il modello si divide in due momenti della produzione mediatica: la codifica del messaggio (encoding), effettuata dalle strutture istituzionali di produzione e la successiva decodifica (decoding) ad opera dei consumatori. Viene però rifiutata un’idea lineare del processo comunicativo sottolineando l’esistenza di tre opzioni di decodifica da parte di chi riceve il messaggio: - Posizione egemone-dominante; indica una corrispondenza diretta tra codifica e decodifica - Posizione negoziata; si riferisce ad un’integrazione di valori oppositivi e consensuali e dunque una accettazione del tema ma con riserva - Posizione oppositiva; stabilisce un opposizione diretta tra mittente e destinatario Nell’esperimento, ad esempio, I manager dissentono sullo stile e sul livello culturale ma condividono il contenuto; i sindacalisti trovano accettabile lo stile, ma mostrano contrarietà per il contenuto che trovano ideologico e vicino ai manager. L’opposizione integrale possiede connotati ben diversi da una codifica contraria a quella voluta dall’emittente: è invece il rifiuto radicale di mettersi in comunicazione e di accettare gli argomenti del messaggio. Il modello manca quindi di sfumature ma, nonostante ciò, c’è una conferma della diversa interpretazione sulla base delle appartenenze sociali. LULL Raccoglie dati etnografici sulla pratica del guardare la tv di circa 200 famiglie statunitensi. Oggetto di ricerca sono le relazioni quotidiane tra i membri della famiglia mediate dalla presenza della tv. Ci sono diversi tipi di usi della tv: a. Usi strutturali - Ambientali: rumore di sottofondo, compagnia - Regolatori: punteggiatura del tempo e delle attività , modelli di conversazione b. Usi relazionali - Facilitazione comunicativa: inizio conversazione, riduzione ansia, sfondo comune - Appartenenza/esclusione: contatto/rifiuto fisico o verbale, solidarietà familiare, tranquillità familiare, riduzione del conflitto (gesti di affettività possono essere favoriti dalla fruizione comune dei programmi) - Apprendimento sociale: prendere decisioni, risoluzione dei problemi, trasmissione valori, surrogato dell’istruzione - Competenza/dominio: definizione del ruolo, rinforzamento del ruolo, validazione intellettuale, esercizio autorità, facilitazione della discussione (sorveglianza genitori sui figli, rafforzamento differenza di genere, criticare qualcosa in tv per prendere una posizione) MORLEY Si occupa anche delle pratiche familiari del guardare la tv nei loro aspetti relazionali: rapporti di potere, relazioni di dominio nei rapporti di genere. Studia 18 famigli medio borghese e giunge alla conclusione che lo spazio domestico ha significati diversi per uomo e donna: - Donne = area di lavoro, guardano la tv solo mentre fanno altro - Uomini = luogo di svago, controllo del telecomando e sufficienza con cui guardano ai prodotti tipicamente femminili L’abitudine delle donne a guardare la tv solo quando sono sole, mentre allorché sono in famiglia accompagnano tale attività con altre, lascia libero spazio agli uomini di marcare il territorio come proprio e rivendicare il diritto di cosa vedere. Il “possessore del telecomando” simbolo che richiama ai rapporti di potere, è l’uomo a decidere cosa guardare. HBSON Studia il rapporto delle casalinghe con la radio, un medium che ha una funzione in ragione del lavoro domestico femminile. La solitudine e l’isolamento di cui esse soffrono viene riempito dai programmi in modi diversi: da un lato con la “punteggiatura del tempo” e dall’altro saturando la noia con i ricordi della vita prematrimoniale. Per quanto riguarda la televisione la Hobson si interessa alla Divisione di genere (maschile/femminile) nei generi televisivi (informazione e documentari / fiction e varietà). Le donne intervistate preferivano soap opera, quiz e programmi di varietà. Esito: evasione grazie alla tv e contemporaneo riconoscimento e complicità con il proprio mondo isolato e separato che le intervistate riconoscono nelle soap opera. ANG Tocca con maggior competenza questi temi attraverso due concetti importanti: realismo emozionale e immaginazione melodrammatica, identificati come specificatamente femminili. Ang nella sua ricerca raccoglie, grazie ad un annuncio sul giornale Viva, 42 lettere di risposta dove diverse donne raccontano perché gli piace o non gli piace Dallas (programma tv). Viene nominato spesso il “realismo” delle immagini che sono vicine alla loro esperienza quotidiana. Sono vere le emozioni universali (gelosia, paura etc.) suscitate in chi guarda = realismo emozionale e connotazione. Per lo slittamento tra piano denotativo a connotativo (avere realismo emozionale) e quindi comprendere il racconto in quei termini occorre immaginazione melodrammatica. Le soap opera sono giudicate negativamente dagli uomini perché offrono alle donne delle letture specializzate, accade anche il contrario con ad esempio sport. RADWAY Attraverso uno studio etnografico di un gruppo di donne del Midwest statunitense e osserva il fenomeno della lettura dei romanzi rosa distinguendo il significato dell’azione del leggere da significato che giunge dal testo letto. 6) Sono emersi e si sono imposti per il social networking che progressivamente si sono costituiti come strumenti per la mobilitazione e interfaccia per l’accesso a contenuti audiovisivi. 7) Sempre più diffuse app mediali per dispositivi mobili Aggiungiamo, con Jenkins, che ciò di cui possiamo fare esperienza, non solo da consumatori, è l’accesso a un tipo di offerta molteplice, convergente e crossmediale: i contenuti sono sempre più un flusso, una ragnatela complessa di piattaforme e canali che diffondono trasversalmente i prodotti sui diversi media (i contenuti possono essere trasmessi su molti medium). Qui viene rimarcata una differenza importante tra crossmedialità e transmedialità: la prima, come si diceva, riguarda la capacità di un prodotto, un’iniziativa, un brand di utilizzare diversi media, in modo più o meno coordinato, per veicolare il proprio contenuto, con aggiustamenti stilistici per allineare quest’ultimo allo strumento, al suo stile e al suo specifico linguaggio; la seconda, la transmedialità, è invece la capacità del prodotto, della storia o del contenuto di distribuirsi e incarnarsi su diverse piattaforme e media, ciascuno dei quali offre un contributo specifico di informazioni e senso all’intero complesso narrativo, che potrà essere compreso appieno solo con la conoscenza di tutti i testi, premiando così coloro che li consumano, senza penalizzare coloro che non lo fanno. Le nuove configurazioni del panorama mediale della contemporaneità rendono incerti i confini di utilizzo dei media da parte dei pubblici, sembrano orientati a dinamiche personalizzate di consumo. Personalizzazione: varie possibilità per l’utente di adattare i prodotti alle proprie scelte, costruendosi ad esempio un giornale su misura selezionando le notizie da varie fonti. Possiamo poi personalizzare tempi e spazi del consumo grazie ai media non vincolati ai tempi di produzione e distribuzione né agli spazi in cui sono collocate le tecnologie tradizionali. (DIVARI DIGITALI PAG. 231, GIOVANI E MEDIA PAG. 235, FAN PAG.238) PUBBLICITà Nei primi del ‘900 la pubblicità era caratterizzata da un tipo di comunicazione che aveva come obbiettivo la trasmissione di messaggi pensati per far circolare i prodotti. Ora la funzione principale della pubblicità è la definizione culturale dei beni, con il suo partecipare da protagonista a due processi di trasferimento di valori contemporanei: dalla pubblicità al prodotto e da questo al consumatore, attraverso l’atto d’acquisto. La pubblicità prima estetizza il prodotto, trasformandolo in una qualità desiderabile per il consumatore, poi, una volta che tale qualità è stata trasferita al consumatore tramite l’acquisto, estetizza il consumatore, perché l’esibizione del prodotto posseduto rende l’individuo stesso desiderabile. I beni vengono collocati in universi simbolici che hanno un’importante azione sui processi di costruzione delle rappresentazioni di realtà. Uno spot non si limita a mostrare il prodotto ma, più in generale, stili di vita. In accordo con questa prospettiva, la pubblicità va considerata come una forma culturale, ovvero un insieme di discorsi e modelli di riferimento che consentono alle persone di attribuire significati al mondo in cui vivono. Critiche alla pubblicità: 1. Fanno promesse ingannevoli volte a promuovere lo spreco e il materialismo consumistico 2. Utilizzando luoghi comuni la pubblicità favorisce il conformismo ideologico e la riproduzione di stereotipi 3. La pubblicità rappresenta un fattore del processo di obsolescenza programmata dei prodotti: agli occhi del consumatore il prodotto acquistato perde di valore in confronto ai nuovi modelli 4. La pubblicità opera contro la scelta razionale dei consumatori, i quali comprano prodotti in base alla capacità persuasiva della pubblicità e non in base al bisogno. 5. Incide sul prezzo finale del prodotto perché gli imprenditori hanno bisogno di recuperare i costi sostenuti 6. La pubblicità crea delle barriere alla concorrenza, in quanto le aziende più giovani non possono permettersi le spese necessarie per competere con le grandi marche <<L’approccio marxista e i bisogni indotti (la Scuola di Francoforte)>> L’accusa più comune è appunto quella di essere la fonte primaria del consumismo: la pubblicità spinge ad amare le cose e gli oggetti prima di tutto. Avendo la necessità di comunicare velocemente e a livelli privi di ambiguità, la pubblicità agisce semplificando la realtà sociale, rappresentando tipi sociali astratti. Come direbbe Goffman, realizza forme iper-ritualizzate di comunicazione, annullando le differenze individuali e producendo rappresentazioni stereotipate delle attività e delle persone. All’opposto di queste teorie vi è l’idea che la pubblicità sia stata uno strumento importante di modernizzazione e democratizzazione della società. La sua importanza sta nell’economia dei media: i giornali, la tv e il web dipendono dalla pubblicità come fonte principale dei ricavi. gli stessi modelli culturali proposti dalla pubblicità partecipano allo sviluppo democratico della società; sono una forma di distribuzione sociale della cultura, che permette alle classi inferiori di accedere a valori e stili di vita da cui prima erano escluse. Tra stimolo pubblicitario e la risposta dell’individuo si sovrappongono motivazioni, caratteri e psicologie (meccanismi di difesa del consumatore). Gli individui quindi esercitano un processo di selezione attraverso variabili psicologiche: A) Esposizione; i consumatori si espongono a contenuti pubblicitari coerenti con le credenze e gli atteggiamenti già posseduti. Le aziende cercano di contrastare questo attraverso la ripetizione ossessiva dei messaggi. B) Percezione; meccanismo di difesa rispetto alle proprie idee, viene assecondato da contenuti volutamente ambigui dei messaggi pubblicitari cosicché il consumatore può attribuirvi il significato più coerente. C) Memorizzazione; i consumatori scelgono e interpretano i messaggi in base alle proprie credenze (si ricorda le marche che conosciamo e i prodotti che usiamo più spesso) A questi fattori di natura psicologica si affiancano le variabili sociali. Gli individui non sono soggetti isolati, né partecipano a una collettività indifferenziata in cui tutti reagiscono allo stesso modo: ciascuno di noi ha una sua collocazione sociale e intrattiene relazioni con altre persone. Il processo di comunicazione non può essere concepito al di fuori di questo reticolo di rapporti che incide sulle caratteristiche di ognuno di noi. Di conseguenza cambiare idea ad un individuo risulterà più facile se ciò è appoggiato da suo gruppo di appartenenza. Aggiungiamo poi la rilevanza che hanno elementi quali la fonte che comunica, il contenuto e la struttura del messaggio. Per quanto riguarda la fonte, ha maggior probabilità di persuasione un messaggio creato da una fonte credibile: l’efficacia di una grande impresa è più alta perché i grandi brand sono considerati più credibili. La pubblicità è solo uno degli elementi che compongono il marketing mix: il complesso di tecniche e strumenti utilizzati dalle aziende per determinare i volumi di vendita. Per quanto concerne gli oggetti è fondamentale la costruzione sociale di senso. Per ottenere questo risultato, dopo la costruzione materiale della merce è necessaria la costruzione simbolica che la inserisca all’interno del sistema di bisogni del consumatore. - Bisogni: valorizzare una merce come risposta ad un bisogno. La pubblicità non crea bisogni finti e artificiali, crea invece risposte finte e artificiali a bisogni veri, importanti e ben radicati nella vita sociale, psicologica e individuale del consumatore La pubblicità appare come una “favola” che salvifica. Essa diventa un esperto cui rivolgersi per affrontare il disagio legato alla condizione umana, ovvero malattia, solitudine, frustrazione. L’obbiettivo è quello di creare insicurezza e insoddisfazione, ansia per il proprio status, così da vedere i consumi come soluzione ai problemi dell’esistenza. Il messaggio pubblicitario non ha come obbiettivo la razionalità del consumatore bensì le sue emozioni. La distribuzione ha un impatto sul consumatore. Con il consumo cambia il rapporto distribuzione-consumatore: diviene sempre più standardizzato e distante fino a lasciare il consumatore solo di fronte alla merce. Non c’è un rapporto di fiducia tra venditore e consumatore; c’è però un tentativo di cambiare questo rapporto, un ritorno a quello che era un rapporto personale. Il lavoro di produzione e valorizzazione simbolica della merce consiste nell’individuare i bisogni concreti, strutturare dei messaggi che evochino dei valori che ne esprimano la soluzione in maniera emozionale: è la funzione del logo o della marca. Essi sono una sorta di spugna semantica in grado di assorbire senso, significato e valori e riversarli sulla merce. Hanno una duplice funzione: a) Assorbire valore e significato b) Restituirlo alle merci indipendentemente dal loro profilo e utilità <<origine comunicazione commerciale>> Nella sua forma moderna, la pubblicità fa la sua comparsa nel periodo della rivoluzione industriale del Diciannovesimo secolo. Se, fino ad allora, le pubblicità con richiami visivi, in Europa e negli Stati Uniti, avvenivano con cartelloni, manifesti, pannelli-sandwich e su tram, bus e insegne elettriche, mentre sulla stampa comparivano timidamente i primi annunci informativi, dall’ultimo ventennio dell’Ottocento si fanno strada sui giornali e sui periodici le inserzioni con caratteri grandi, immagini e talvolta anche il colore. Il fine era però lo stesso: informare i clienti potenziali della disponibilità di una merce o di un servizio, non persuadere. Il cambio della prospettiva avviene con la nascita delle prime agenzie pubblicitarie. Dopo il 1919, l’obiettivo era persuadere il pubblico a comprare le merci che l’industria poteva ora produrre in grande quantità. Alla base c’è il desiderio di gratificazione continua che mette in discussione valori tradizionali dell’epoca. È in questo periodo che si fissano le tendenze pubblicitarie che poi caratterizzeranno quasi tutto il Novecento: non sono più i prodotti posti al centro del messaggio ma direttamente i consumatori, ai quali ci si inizia a rivolgere facendo appello alle emozioni. Negli anni Venti, con la nascita di network in grado di assicurare copertura nazionale, si cominciò ad apprezzare il valore della radio come strumento per le campagne pubblicitarie. A differenza dei lettori di un periodico, gli ascoltatori non potevano ignorare gli annunci, menzionati e cantata nei varietà musicali o inseriti nelle trame dei drammi o programmi comici. Gli annunci commerciali prima si trasformano in brevi storie e poi, dagli anni Trenta, sono sempre più diretti, martellanti e onnipresenti. Dagli anni Venti negli Stati Uniti, la pubblicità diventa un vero e proprio sistema industriale e di comunicazione. Le advertising agencies si modernizzano e utilizzano specialisti. Per misurare l'efficacia degli obiettivi della pubblicità ci sono diversi modelli tra cui DAGMAR, misurando gli indici relativi alle quattro fasi che compongono il modello: 1. Conoscenza; il consumatore va informato dell’esistenza del prodotto con la pubblicità 2. Comprensione; al consumatore deve arrivare un messaggio chiaro 3. Convinzione; il consumatore deve essere convinto dell’utilità del prodotto. 4. Azione; il consumatore deve decidere se effettuare l’acquisto Il modello sottolinea come l’efficacia del messaggio pubblicitario per le aziende non è merito o demerito della sola comunicazione pubblicitaria, ma dipende anche da altri fattori (ad es. la distribuzione e il prezzo) mentre il controllo sull’efficacia della pubblicità dovrebbe avvenire solo stabilendo obiettivi misurabili in termini di comunicazione e monitorando la situazione prima e dopo la trasmissione del messaggio. Nel secondo dopoguerra, il panorama delle comunicazioni pubblicitarie si adegua all’introduzione del nuovo mezzo televisivo. Lo stile dominante diventa il branding, ossia la pubblicità non del prodotto ma della marca. Questo perché il consumismo ha reso tutti i prodotti simili tra loro; È la comunicazione pubblicitaria ad assumersi l’onere di creare quella differenza che spinga gli utenti a scegliere il prodotto di una marca anziché di un’altra: l’obbiettivo diventa quindi quello di rendere seducente il marchio. Il modello di business della pubblicità sui media tradizionali è incentrato sui principi dell’interruption marketing: gli annunci televisivi o radiofonici, a intervalli prestabiliti, interrompono il flusso di contenuti trasmessi, beneficiando dell’attenzione del pubblico. I new media permettono alle imprese di comunicare direttamente con il pubblico e, al pubblico, di dialogare senza filtri con i brand: l’obiettivo della pubblicità diventa saper coinvolgere l’utente che naviga in rete per spingerlo a compiere azioni precise in direzione del brand (engagement). Si parla di permission marketing: si fonda sul permesso di inviare messaggi pertinenti e personali, concesso da utenti che vogliono riceverlo. Il web ha stimolato la nascita di nuovi formati per comunicare al consumatore: - Newsletter e DEM; comprendono sia i messaggi diretti via e-mail a destinatari che hanno espresso il consenso a riceverli, sia le decine e centinaia di messaggi spam indesiderati. - Banner; che rimandano alle pagine web scelte dall’inserzionista, stimolano interesse e sono interattivi - Native advertising; pubblicità che riproduce l’aspetto dei contenuti del sito sul quale è ospitata, così da integrarsi armonicamente con essi. Anziché distrarre il lettore, ne riproduce la user-experience, così da catturare meglio l’attenzione del potenziale consumatore. - Video advertising; sono l’equivalente nel web degli spot televisivi, ossia brevi video pubblicitari che interrompono l’esperienza dell’utente. si stanno poi sviluppando nuove strategie e forme di pubblicità centrate su specifici ambiti della comunicazione digitale. Il social media advertising che consente una profilazione molto accurata dei consumatori da parte degli inserzionisti. L’appvertising è invece l’ambito della pubblicità digitale che si rivolge agli utilizzatori delle applicazioni per smartphone e dispositivi mobili. Va da elementi simili ai banner, collocati all’interno delle app più utilizzate e cliccabili dagli utenti, alla possibilità per le aziende di integrare elementi pubblicitari all’interno del mondo del gaming, con i giocatori che possono visualizzare certi contenuti sponsorizzati, in cambio di valuta utile per raggiungere gli obiettivi del gioco.
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