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Sociologia del diritto (programma frequentanti) Blengino, Sintesi del corso di Sociologia Del Diritto

Riassunto sostitutivo del libro "Lineamenti di sociologia del diritto" di Cottino. Il programma è quello dei frequentanti (capitoli 1, 3, 4 della Parte Prima e capitolo 1 e 4 della Parte Seconda).

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 08/09/2021

ilenia1900
ilenia1900 🇮🇹

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Scarica Sociologia del diritto (programma frequentanti) Blengino e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia Del Diritto solo su Docsity! SOCIOLOGIA DEL DIRITTO Capitolo 1, Parte | I fondamenti della sociologia del diritto ovvero il diritto nella prospettiva sociologica L'interesse per le norme, le regole e i vincoli (divieti e obblighi) che interferiscono con il libero agire degli individui, considerati indispensabili fondamenti della convivenza tra individui in comunità e società, è tra gli interessi fondativi della sociologia come scienza sociale. Il problema delle condizioni che garantiscono l’ordine e la coesione sociale appare come tema centrale per i “padri fondatori” della sociologia. Nel ricostruire l'origine della sociologia del diritto, Treves sottolinea come i 2 autori, Tònnies e Durkheim, siano considerati i fondatori della sociologia e di come abbiano posto il diritto al centro della loro elaborazione teorica. La ricostruzione del pensiero di Tònnies richiama la distinzione tra relazioni sociali che caratterizzano le Comunità e quelle proprie delle Società. Entrambe sono rese possibili dall'esistenza di norme di diritto: il diritto comunitario, in cui prevale il diritto di famiglia, e il diritto societario, in cui domina il diritto delle obbligazioni. Anche Durkheim ha un pensiero che si muove nella convinzione della “indissolubile unione della società col diritto”, dal momento che la vita sociale non può organizzarsi se non attraverso il diritto, che appare il “simbolo visibile” della solidarietà sociale. Il diritto appare elemento essenziale di coesione ed espressione di orientamento consensuale dei consociati. Il diritto è lo strumento, da parte di chi detiene il potere, non solo per porre un freno ai conflitti che permeano le società e all'instabilità che ne deriva, ma soprattutto per imporre a tutti le proprie regole a tutela dei propri interessi e al fine di assoggettare altri gruppi sociali. Queste 2 concezioni (quella consensuale e quella conflittuale) hanno caratterizzato il pensiero sociologico in ordine al rapporto tra diritto e società, ma oggi sono considerate in gran parte superate a favore di quella che è stata definita “prospettiva dialettica”. Una prospettiva, che pur non negando le differenze di potere nella determinazione dei contenuti delle norme giuridiche, richiama come tali contenuti siano influenzati e influenzabili dalla dialettica tra le diverse forze contrapposte e possano avere un ruolo anche le forze dotate di minore potere. La riflessione sul diritto appare costitutiva di ogni possibile riflessione generale sulle condizioni di esistenza, di funzionamento e di mutamento di qualunque società. Da qui si comprende come nel processo di maturazione della sociologia come disciplina scientifica, il tema del rapporto tra diritto e società abbia avuto una forte rilevanza e abbia dato luogo a molti sviluppi sul piano della riflessione teorica e su quello delle ricerche empiriche. Max Weber ha dato un contributo fondamentale al processo di consolidamento della sociologia come scienza ed è considerato riferimento essenziale per la visione del rapporto tra individui, chiamati “attori sociali”, e società. Weber può essere considerato il fondatore della sociologia del diritto, nella misura in cui, andando oltre la divisione tra lo studio dei problemi macrosociologici, ossia lo studio della posizione e delle funzioni del diritto nella società, e quello dei problemi microsociologici, cioè i fenomeni sociali visiti attraverso gli schemi delle norme e degli istituti del diritto positivo, ha consentito di considerare tanto l'aspetto macrosociologico quanto quello microsociologico della disciplina. Riferimento essenziale è il concetto di “agire sociale’. Per “agire" si intende un atteggiamento umano. Un “agire sociale” è riferito all'atteggiamento di altri individui. L'agire 1 sociale può essere orientato in base alla rappresentazione della sussistenza di un diritto, la cui validità è garantita dall'esterno, mediante la possibilità di una coercizione da parte dell'agire, diretto ad ottenere l'osservanza o a punire l'infrazione, di un apparato espressamente disposto a tale scopo. Weber distingue la scienza del diritto dalla sociologia del diritto: la scienza del diritto guarda al dover essere ideale (la validità ideale delle norme), la sociologia del diritto guarda alla loro validità empirica, al divenire reale del diritto. Il processo di specializzazione della sociologia del diritto vede operarsi: e Il chiarimento delle differenze tra sociologia del diritto e scienza del diritto sotto il profilo degli oggetti di interesse e delle competenze richieste; e La distinzione tra punto di vista “interno” e punto di vista “esterno” con cui si osserva, studia, analizza, tratta il diritto. Questo con riferimento alle differenti culture che si confrontano; e La distinzione tra il diritto inteso, nella prospettiva dei giuristi come “variabile indipendente”, che cioè ha effetti sulla società, e il diritto visto come variabile sia “dipendente”, e cioè come effetto, conseguenza delle dinamiche sociali, che come “indipendente”, ovvero capace di influenzare le dinamiche sociali. Lo sviluppo della disciplina è segnato da 2 orientamenti: e L'approfondimento della dimensione teorica della disciplina su questioni quali le possibili definizioni di norma, diritto, sanzione; il sistema del diritto in relazione al sistema sociale; le funzioni del diritto; e Lo sviluppo di un programma di ricerche empiriche sul diritto “n azione”, sulle concrete modalità di agire degli individui in rapporto ai dettati normativi. Nella specializzazione della disciplina ci sono convergenze di prospettive teoriche e di interessi di ricerca empirica con altre sociologie specialistiche come la sociologia politica, la sociologia del crimine e della devianza. Ma è evidente l'utilità di un rapporto di scambio con altre scienze sociali. Guardare al diritto dal punto di vista sociologico significa considerarlo come un fenomeno sociale che nasce e si modifica a partire dalle relazioni sociali e dai modi condivisi o dominanti di definirle o qualificarle e alle relazioni sociali in cui si applica. In questo senso il diritto contribuisce a determinare la “costruzione sociale della realtà”, ossia quel modo di definire le situazioni, esprimere valutazioni e orientare di conseguenza le azioni. | principali oggetti di interesse della sociologia del diritto Il piano della riflessione teorica e quello della ricerca empirica non sono separati, anzi si intrecciano. Non può esistere buona ricerca empirica senza basi teoriche e la teoria si può e si deve alimentare di quanto produce una ricerca opportunamente orientata e metodologicamente robusta sotto il profilo delle domande di ricerca. Un modello di sociologia del diritto vista come “scienza critica" impone a chi si esercita in questo campo del sapere di “essere al contempo giuristi e sociologi”. Ferrari ricorda che: la formazione dei giuristi rimane ovunque essenzialmente logica e dogmatica, impegnata nell'analisi degli enunciati normativi, anche laddove si sono sviluppati approcci teorici più attenti alla realtà sociale sottostante alle norme generali. Poi Ferrari dice: i sociologi puri sono di regola più aperti verso le novità e anche più autocritici verso la loro disciplina, tuttavia tendono a relegare sullo sfondo il fenomeno giuridico. La conclusione è che non si può fare della sociologia del diritto senza diritto e non si può fare della sociologia del diritto senza sociologia. Teoria e ricerca appaiono gli elementi essenziali per il lavoro del sociologo del diritto. compiono le proprie scelte in un determinato ambito, comprendenti le norme giuridiche che definiscono la loro posizione. Giocano un ruolo importante attori diversi, protagonisti del processo di sollecitazione del mutamento normativo. Determinante è la capacità da parte di questi attori di rappresentare un determinato problema o questione come meritevole di regolazione. A volte si tratta di attori individuali, quali leader di movimenti o di forze politiche. Più frequentemente si tratta di attori collettivi: movimenti sociali, gruppi di interesse. La soluzione ai problemi posti è affidata sempre a persone che operano scelte in parte originali. In questo senso la creazione del diritto riflette un processo dialettico, un processo nel quale le persone lottano, e nel far ciò, creano il mondo in cui vivono. In questa lotta non tutti hanno le stesse probabilità di successo. Il processo di produzione del diritto Nel processo di produzione normativa la sociologia del diritto si affianca in questo caso alla sociologia e alla scienza politica. Punto di partenza è la trasformazione di un interesse, espresso da qualcuno degli attori sociali, in quella che è una pretesa, che consiste nel tradurre l'esigenza che venga affrontato un problema e si trovi la soluzione a un conflitto. In questo processo trasformativo di interessi e valori, il diritto è chiamato a regolare conflitti che possono riguardare interessi o valori. Quasi sempre si assiste all'occultamento degli interessi che sono in campo attraverso un ampio ricorso alle retoriche che fanno riferimento ai valori cui si dovrebbe ispirare la decisione. Il discorso sociologico-giuridico si sviluppa su diversi fronti: i differenti modelli di “legislatore”, i passaggi che connotano la presa in considerazione e la trattazione delle questioni, i tipi di processo legislativo, le differenti categorie di razionalità che guidano le decisioni da parte degli attori implicati. Da questo tipo di interesse derivano importanti considerazioni sul rapporto tra la decisione normativa e il conflitto sociale. Conflitti che, se si guarda al risultato formale della decisione di approvare una nuova legge o una nuova specifica norma, sembrano essere almeno momentaneamente risolti. Il sociologo del diritto pone in dubbio questa conclusione: l'analisi del processo di produzione normativa consente infatti di andare al di là delle apparenze associate alla promulgazione di una nuova legge. Consente di osservare la consistenza delle forze in campo e la loro capacità di difendere o conquistare terreno sul piano del potere. Consente di osservare le tattiche adottate, le razionalità che guidano le scelte. Consente spesso di scoprire che le dinamiche che si sviluppano nei luoghi della decisione possono consentire parziali vittorie anche a settori antagonisti o minoritari o pervengono a compromessi che rimandano ad altro tempo e ad altre sedi la soluzione del conflitto trattato. Compromessi che difficilmente consentiranno di incidere a fondo sulla realtà dei rapporti sociali così che non solo il conflitto non cesserà di esistere, ma si riprodurrà in termini di resistenze al cambiamento e riproposizione di pretese. Il prevalere di una concezione strumentale del diritto provoca a sua volta l'infittirsi di domande, provoca la quotidiana ricerca della norma nuova, dal momento che le decisioni assunte di volta in volta sollevano immediatamente nuovi problemi e inducono ulteriori conflitti che richiedono di essere trattati. L'interesse a cogliere il nesso tra diritto e conflitto impone di verificare sul terreno dell’efficacia il reale grado di mutamento dei rapporti e delle situazioni sociali. Si ha uno scontro sociale tra le classi subalterne e i gruppi dominanti. Sul piano del diritto l'esito è un corpo legislativo molto ampio che determina problemi di effettività di quanto in essa contenuto, in particolare sotto il profilo della reale esigibilità dei diritti enunciati. Questo significa che se anche i movimenti che si battono per i diritti di 5 determinate categorie di persone svantaggiate realizzano non poche vittorie a livello normativo, sul piano applicativo tali vittorie possono essere largamente vanificate. Il conflitto si rinnova incessantemente, assumendo forme nuove e investendo le realtà istituzionali o gli apparati burocratici, dove si compiono continuamente scelte. Si conferma l'utilità di un approccio che si fondi su un’ottica processuale e che riconosca lo svilupparsi di un complesso processo dialettico suscettibile di molti esiti, a seconda del ruolo che svolgono i diversi attori presenti sulla scena non solo nel momento della produzione di norme, ma anche in quello della loro applicazione e implementazione. L’incidenza del mutamento normativo sulle dinamiche sociali, sulle relazioni e sui comportamenti Quarto campo della sociologia del diritto è rappresentato dall'impatto delle norme sulla società. Svela la distanza tra diritto “sulla carta” e diritto “in azione”. Il tema è declinato da molti sociologi del diritto nei termini delle funzioni. Friedman elenca tra le funzioni del diritto quelle di composizione delle controversie, di esercizio del controllo sociale, di allocazione di risorse e di beni scarsi, di promozione di processi di cambiamento della società, di definizione di confini e standard di condotta e di affermazione di valori che si propongono retoricamente come ispirati a principi di giustizia. Il richiamo a tali funzioni non può dimenticare che la “società” è un'astrazione e dunque ogni ragionamento va riportato alle differenziazioni di potere che la strutturano e alla conflittualità che la pervade. Ferrari afferma che sono 3 le funzioni “universali” del diritto: l'orientamento sociale, il trattamento dei conflitti dichiarati, la legittimazione del potere. Nel riferirsi a queste funzioni, l'analisi sociologico-giuridica è chiamata a osservare la pertinenza e la pregnanza di ciascuna di esse in società e momenti diversi, guardando a quali condizioni singole specifiche norme giuridiche assolvono le funzioni per cui sono prodotte ed evocate. Assumendo la prospettiva che considera il diritto come “variabile indipendente” e la società come “variabile dipendente”. Si hanno difficoltà metodologiche della ricerca sociale quando si propone di dimostrare nessi casuali nel campo delle scelte e degli orientamenti degli individui in presenza di una molteplicità di possibili elementi incidenti sulle situazioni e delle possibili diverse razionalità dei soggetti agenti. Il sociologo del diritto si pone il problema di andare al di là della dogmatica e di riflettere sulle cose che accadono nel mondo reale in conseguenza dell'introduzione o del mutamento di una determinata norma giuridica. Il sociologo del diritto assume il principio che l'impatto o l'incidenza delle norme sulla società nel suo insieme non è scontata. Possiamo dire che se i rapporti e le dinamiche sociali in trasformazione cambiano il diritto, lo stesso diritto può cambiare a sua volta la società o incidere su segmenti della stessa. Tuttavia, chi ha come obiettivo l'osservazione del diritto “in azione” impone di considerare ogni legge come elemento la cui influenza sulla società è “solamente potenziale”. Potenziale per il fatto che anche il comportamento dei destinatari delle norme promulgate è sempre il risultato di una serie di scelte compiute all’interno del proprio ambiente. Scelte che hanno a riferimento le norme ma che si esplicano in specifiche situazioni in cui gli individui si orientano nell’intreccio tra razionalità, valori, emozioni, credenze. Anche in questo caso servono programmi di ricerca empirica, programmi che sappiano far tesoro di contributi che ci derivano da altri saperi contigui. Il tema delle scelte appare rilevante anche nel caso di norme che attribuiscano compiti a organismi o soggetti titolari di determinati ruoli. Da queste scelte compiute da individui con varie responsabilità in contesti istituzionali, possono o meno derivare mutamenti nelle condizioni di persone o gruppi cui quel dispositivo normativo si riferisce. Anch'esse sono 6 espressione di un complesso intreccio di fattori, di un “implementazione” delle leggi che sta a significare il processo complesso e non di mera e meccanica applicazione di quanto disposto negli enunciati normativi, in cui si operano scelte e si assumono impegni tali da rendere effettivo ed efficace il dettato normativo. I due aggettivi (effettivo ed efficace) ci consentono, nelle analisi e nelle ricerche, di distinguere 2 piani. Da un lato quello dell’effettività, ossia delle azioni volute ad applicare quanto previsto dalla o dalle norme, a dare attuazione alle indicazioni di azione che vi sono prefigurate. E questo vale per le azioni di controllo da parte delle forze dell'ordine tese a scoprire e reprimere la violazione di divieti. Altro è il # 84, , BO DAMAAZUB TIRI GIGI PS BUS ossia la verifica che essa abbia raggiunto gli obiettivi dichiarati, abbia soddisfatto le domande avanzate, abbia modificato nel senso auspicato le condizioni dei problemi o delle situazioni cui si è applicata, abbia risolto i conflitti che suscitavano domanda di regolazione. Il nesso tra effettività ed efficacia sembrerebbe scontato, nella misura in cui risulta evidente che una norma non effettiva non può essere efficace, ma che tale in realtà non è, potendosi dare situazioni in cui si affronta più efficacemente un problema mediante un'astensione dall'agire da parte di chi dovrebbe farlo. Proprio dall'analisi di quanto succede alla produzione di una norma o di una legge può emergere con evidenza la distinzione tra il piano sostanziale della stessa produzione e il piano simbolico che viene coltivato nello stesso processo di decisione al fine di garantirsi consenso e legittimazione, anche indipendentemente da effetti reali sull'ambito o problema oggetto di attenzione. Si possono distinguere norme intenzionalmente ineffettive, e dunque inefficaci sul piano sostanziale, ma rispondenti all'interesse di legittimazione di chi le ha prodotte (sono le “leggi manifesto") e norme che si dimostrano inefficaci nonostante siano effettive e siano state implementate, per errori di valutazione. Può succedere quando questi strumenti si rivelino inadatti ad affrontare i problemi. Altri campi di interesse e ricerca della sociologia del diritto Molti altri sono i campi di interesse e ricerca della sociologia del diritto. Quelli più ricorrenti sono sintetizzati così: e Il rapporto tra i cittadini e il diritto >l'interesse di questo tema si sviluppa attraverso ricerche che pongono attenzione alla conoscenza, da parte degli individui, delle norme e alle opinioni e agli atteggiamenti che hanno su di esse gli stessi individui, nella cornice del rapporto tra diritto e morale, del valore attribuito al rispetto delle leggi, cioè delle posizioni sui fondamenti della legalità e della giustizia. Siamo nel campo dello studio della cultura giuridica esterna (ossia quella diffusa tra la popolazione, al contrario di quella interna propria dei membri della società che svolgono attività specializzate riconducibili al diritto). L'attenzione per questo tema è motivata dalla convinzione che lo studio delle diverse posizioni che si manifestano nella società in relazione alle leggi e al diritto in generale consenta di comprendere gli orientamenti di azione che fanno riferimento a singole specifiche norme, cioè che riguardano i comportamenti di singoli o di insiemi di individui; e ufpan , O (#2, DAB EM Cinfelesse è l'amministrazione di giustizia nei diversi settori in cui si esercita la sua competenza e nei diversi livelli in cui si articola, che variano a seconda degli ordinamenti nazionali. L'attenzione dei sociologi del diritto spazia dall'estrazione sociale e formazione dei magistrati, alla loro cultura, al ruolo esercitato con riferimento alle funzioni ricoperte, poi spazia sull'organizzazione degli apparati e degli uffici e i problemi 7 Come si distinguono i messaggi normativi giuridici? Una risposta storicamente situata Ogni definizione terminologica va inserita in un preciso contesto spazio-temporale e l'associazione mentale diritto-norma è peculiare alla cultura giuridica del mondo occidentale. Il significato di termini polisemici, quali ad esempio diritto, giustizia, mutano nel corso della storia. Quando ci si pone la questione della definizione dei messaggi normativi giuridici dobbiamo pertanto precisare in quale contesto spazio-temporale ci collochiamo. Nel far questo si dovrà fare riferimento a nozioni discusse nell'ambito di altre discipline. In particolare, da un lato, le ricerche di antropologia giuridica ci mostrano come l'associazione di idee tra norma e diritto sia tutt'altro che diffusa sia nelle società primitive, sia nelle culture estranee al mondo occidentale. D'altro lato, la storia del diritto ha ricostruito i modi diversi di concepire e definire il diritto nel corso della storia del mondo occidentale, a partire dall'epoca del diritto romano. Il significato odierno che possiamo attribuire nel mondo occidentale al termine diritto si muove entro un modello narrativo di autocomprensione della storia dell'umanità che ne distingue 3 grandi periodi: premodernità, modernità, postmodernità. La fase storica attuale del fenomeno giuridico è quella postmoderna. Lo studio del fenomeno giuridico non può mai essere separato dall’analisi dei numerosi elementi extra-giuridici che ne condizionano la dinamica interna e i suoi rapporti con altre dimensioni della vita sociale come l'economia, la scienza, la tecnologia. Le società semplici o senza Stato: temi di antropologia giuridica Un primo concetto elaborato dalla sociologia e dall'antropologia è quello di società semplice o senza Stato. Si utilizza iltermine comunità per contrapporlo a quello di società nel senso moderno del termine. All'epoca si riteneva che le società semplici appartenessero esclusivamente alle fasi primitive della storia dell'umanità, destinate a soccombere a favore di quelle moderne più complesse e dotate di un apparato statale. Oggi sappiamo che quella visione era frutto di una concezione etnocentrica che metteva al centro la visione occidentale del mondo. La storia ha mostrato come anche la categoria dello Stato nazionale moderno sia vincolata ad una parabola con confini spazio-temporali precisi. Le caratteristiche che gli antropologi hanno attribuito alle società semplici sono: e Dall'analisi della società prestorica dei gruppi di homo sapiens, possiamo osservare l'intensificazione di attività di regolazione sociale più stabili e complesse con il processo di sedentarizzazione legate alle prime attività di coltivazione della terra e di addomesticamento degli animali avvenuto intorno al 9000 a.C. con l'età Neolitica. Questo fenomeno prestorico induce a pensare l'esistenza di una correlazione tra tale intensificazione e 3 fattori: una riduzione della mobilità dei gruppi di sapiens dovuta ad attività come l'agricoltura che costringono ad una stabilità residenziale; un aumento della densità della popolazione e un incremento delle dimensioni di vari gruppi di sapiens; una crescente differenziazione sociale e divisione del lavoro con il costruirsi di individui che dispongono di maggiore autorità rispetto agli altri, anche a causa dell'incremento dei conflitti tra gruppi di sapiens; e L'apparato tecnologico con cui tali società provvedono alla loro sussistenza materiale è estremamente ridotto. Si tratta di società ad economia agro- 10 pastorale che ricavano i prodotti della terra grazie all'uso di strumenti di lavoro molto semplici che non richiedono un'altra specializzazione tecnica; Il tipo di economia che si sviluppa in queste società viene chiamata di sussistenza, in quanto il livello materiale di vita degli individui rimane spesso ai limiti della sopravvivenza. Gli scambi di prodotti sono limitati sia per lo scarso uso di strumenti astratti, come la moneta, nel quantificare il valore dei servizi e dei prodotti stessi, sia per la limitatezza dei mezzi di trasporto di persone e cose; Le caratteristiche dell'economia di sussistenza rendono possibile una maggiore differenziazione sociale. In questo tipo di società tendenzialmente ogni gruppo familiare è autosufficiente e al suo interno vengono svolte tutte le attività necessarie per la sopravvivenza; Le condizioni di privazione di queste società rendono indispensabile una forte solidarietà tra i gruppi e i singoli membri della comunità. Essa produce conseguenze immediate sul sistema di composizione delle controversie. Devono essere risolte secondo il principio compromissorio del “cedere un po' per ottenere un po” e non quello del “chi vince piglia tutto” che sarà invece tipico dei tribunali statuali e della società moderna; La natura in queste società, che non dispongono di strumenti tecnologici, viene avvertita come una minaccia per la sopravvivenza. Questa condizione di precarietà esistenziale favorisce lo sviluppo di religioni di tipo animalistico che attribuiscono agli eventi naturali un significato ultraterreno e sviluppano pratiche sociali tese a rendere possibile tali eventi nella convinzione che sia possibile intervenire sulla volontà delle divinità che governano il mondo terreno; La struttura sociale delle società semplici è fondata su rapporti tra gruppi parentali, in quanto il singolo soggetto è pensato come una componente di un organismo sociale più ampio e dotato di un particolare status sociale. Queste caratteristiche delle società senza Stato hanno delle conseguenze sul tipo di messaggi normativi che in esse prevalgono. E importante sottolineare che in molte di queste società è sconosciuta la nozione di norma-regola, poiché il comportamento dei loro membri sembra essere modellato dalle relazioni sociali e dai vincoli di reciprocità che sorgono da tali relazioni piuttosto che da norme e da sanzioni emanate da un'autorità. In queste società l'insorgere di una qualche controversia rende possibile osservare l'esistenza delle norme. La controversia è l'elemento costitutivo. | sistemi socio-normativi delle società semplici si caratterizzano per: Il fatto che tali società siano rette da relazioni tra un numero non elevatissimo di individui, legati da vincoli familiari, rende rilevante il controllo sociale informale e quindi i messaggi normativi che vengono trasmessi attraverso il comportamento. Si tratta di società molto omogenee dal punto di vista della condivisione dei valori fondanti l'ordine sociale e tendenzialmente poco tolleranti nei confronti di atteggiamenti e opinioni eterodosse o devianti; L'uso della scrittura, molto limitato e riservato ad un ristretto numero di individui, rende rilevante altri tipi di messaggi normativi: quelli di tipo verbale-orale e di tipo non verbale iconografico. In queste società i messaggi normativi si tramandano attraverso la trasmissione orale e la partecipazione a rituali che vengono celebrati in particolari situazioni alla presenza di tutta o gran parte della comunità; La dimensione religiosa pervade ogni spazio sociale e non vengono percepite le suddivisioni tra sfera morale, religiosa, politica e giuridica. Ampia parte della dimensione normativa è indisponibile all'uomo, nel senso che esiste un'area della 11 normatività che viene percepita come immutabile e non modificabile volontariamente; e In queste società non è necessaria la presenza di un ceto differenziato di esperti delle regole, in quanto le regole sono interpretate da individui che svolgono anche altre funzioni all’interno della società; e Nelle società semplici il potere di mettere in atto le conseguenze positive o negative del messaggio normativo si esercita senza necessità di apparati burocratici. Pertanto, non sono presenti quei messaggi normativi che Hart ha chiamato secondari, per distinguerli da quelli primari. Questi ultimi (i primari) sono quelli che orientano i comportamenti di tutti i consociati verso gli obblighi che consentono il mantenimento dell'ordine sociale. Le società semplici conoscono l'esistenza di queste norme primarie, mentre in esse non hanno ragione di esistere quelle secondarie. Le norme primarie riguardano le azioni che gli individui devono fare o non fare, mentre le norme secondarie riguardano le norme primarie stesse, esse specificano i modi in cui si possono in modo decisivo accertare, introdurre eliminare, variare le norme primarie, e determinano il fatto della loro violazione. Le norme secondarie si possono distinguere tra quelle che indicano i criteri con cui individuare i messaggi normativi validi da quelli che non lo sono (norme di riconoscimento), quelle che individuano i soggetti e i criteri con cui si possono modificare e introdurre nuove norme primarie (norme di mutamento), quelle che individuano i soggetti che possono dirimere le controversie e le procedure con cui esse debbono essere risolte (norme di giudizio). Queste norme secondare si rivolgono ad una particolare categoria di essi, agli operatori del diritto, ossia ai legislatori che devono produrre nuovi messaggi normativi, ai funzionari che sono chiamati a realizzare le conseguenze positive/negative/neutre dei messaggi normativi, ai giudici che dirimono controversie. Nelle società semplici queste attività non costituiscono l'occupazione professionale di specifici individui. Significa che le società semplici essendo società senza Stato, non hanno necessità di prevedere messaggi normativi secondari nel senso hartiano. Le radici storiche del positivismo giuridico moderno: il diritto positivo e la società disciplinare La società semplice è in contrasto con la società moderna. Il processo storico che ha portato all'avvento di quest'ultima risale dal Cinquecento sino a tutto il XIX secolo e ai primi decenni del secolo successivo. E dalle ceneri della società medievale che è sorta la società moderna. Si tratta di una società in cui troviamo uno sviluppo tecnologico ed economico molto avanzato, una differenziazione sociale più articolata, ruoli professionali strutturati, una tradizione consolidata di giuristi o esperti del diritto. Il processo storico attraverso il quale la società moderna si è costituita a partire dalla crisi di quella medioevale contiene assonanze con la società semplice. | principali mutamenti socioeconomico-culturali che hanno reso possibile l'avvento della società moderna sono: e Dal punto di vista della tecnologia e dell'economia si è assistito all'instaurarsi di modelli produttivi, prima mercantilistici e in seguito capitalistici, fondati su scambi commerciali, su processi di produzione industriale dei beni e dei servizi tecnologicamente sempre più complessi. L'incremento della capacità produttiva fa crescere la capacità collettiva di produrre ricchezza, ma fa anche crescere la 12 testi normativi (il codice nel senso moderno del termine) in cui le azioni degli individui venivano classificate in specifiche “figure di reato” descritte con proposizioni generali ed astratte in modo da essere applicabili a qualunque soggetto maggiorenne e capace di intendere e di volere, per cui tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge. Da allora in poi non sarebbe stato più possibile giustificare il diverso trattamento che di fatto la legge penale spesso riserva ai vari soggetti che vengono in contatto con essa. Il codice rappresenta il principale modello narrativo del nuovo modo di concepire il diritto anche perché pensato come unica “fonte di diritto”. Lo ius commune si componeva di fonti normative che andavano dall'antico diritto romano al diritto consuetudinario locale, a volte raccolto e messo per iscritto dal potere sovrano, ma esisteva anche il diritto dei rustici, ossia un insieme di regole informali che erano quelle di maggior diffusione nel mondo contadino. Ciò creava una situazione in cui non esisteva un unico soggetto come monopolista nella creazione del diritto anche perché persisteva l'idea che non tutto il diritto fosse liberamente modificabile da parte dell'uomo. L'uomo poteva effettuare esclusivamente attività di rispettosa interpretazione e non di creazione di nuove norme. Con la secolarizzazione della società moderna non esistono più materie su cui non possa intervenire il diritto e tale intervento deve essere positivo, nel senso di posto da un soggetto che abbia una legittimità che non può più derivare dall'investitura divina del sovrano medievale. Questo protagonista diventa lo Stato nella particolare configurazione del legislatore. | sistemi di rappresentanza e di partecipazione alle decisioni che interessano la società mutano profondamente con l'avvento del principio democratico proclamato da entrambe le rivoluzioni politiche settecentesche (nell'America del Nord e in Francia). Il principio democratico viene declinato non nei termini di una rappresentanza diretta della volontà popolare, ma secondo quello dell'elezione dei rappresentanti popolari in organismi deliberativi chiamati Parlamenti che assumono il monopolio della produzione del diritto positivo. In questi contesti parlamentari, le varie posizioni di parte dei singoli rappresentanti del popolo dovrebbero dissolversi in delibere che incarnino l'interesse generale della nazione. Diventano fondamentali la qualità dei rapporti che si instaurano tra gli elettori e i rappresentanti popolari e la qualità del dibattito pubblico che deve garantire il formarsi di un'opinione pubblica consapevole e competente sui problemi oggetto di decisione parlamentare. Si tratta di temi che segnano ancora oggi la questione della realizzabilità dei principi democratici, ma, al momento della prima fase storica dello Stato liberale moderno, è ancora prevalente la questione dei caratteri di classe delle democrazie rappresentative, che si mostra in misura evidente nella sfera dei diritti politici. Il concetto di cittadinanza, a quel tempo, escludeva dalla partecipazione politica gran parte della popolazione e, in particolare, le donne, i non possidenti e gli analfabeti. L'estensione dei diritti politici sarà una delle principali richieste dei movimenti popolari ottocenteschi e del primo Novecento. In Italia, sarà soltanto in occasione del referendum monarchia-repubblica del 2 giugno 1946 che si terranno le prime elezioni a suffragio universale. Primato del legislativo sugli altri poteri dello Stato: dal modello giudiziale del governare a quello imperativo Il modello giuspositivismo moderno implicava anche la svalutazione e la ricomposizione delle gerarchie. Tale ricomposizione avvenne grazie alla centralizzazione del potere statuale e della supremazia della fonte legislativa. Lo Stato moderno struttura il suo Stato con il potere legislativo come potere principale. Accanto ad esso, in una posizione subordinata, che fanno da sfondo al quadro della divisione dei poteri, ci sono il potere 15 esecutivo, quello giudiziario e quello della dottrina che sarà chiamata dogmatica giuridica (il dogma è la norma posta dal legislatore). Lo Stato moderno ha necessità di un controllo centralizzato sulla giurisdizione e sull'amministrazione intesa come governo della popolazione sul territorio. Tale controllo è frammentato. In queste società esiste una indistinzione tra i 2 tipi di attività. Il termine iurisdictio designa un'area di attività giuridiche che non tiene distinta la produzione, l'applicazione amministrativa e giudiziaria delle norme. Ciò deriva dal fatto che l'esercizio del potere sovrano non è pensato come atto del comando, del legiferare creando diritto positivo, ma secondo lo schema del giudicare, “del comporre conflitti sociali attraverso il richiamo a un diritto già dato". Il diritto in questa prospettiva è qualcosa che preesiste al potere sovrano. Si tratta di un ordine naturale delle cose che deve essere preservato dai conflitti che lo mettano in pericolo attraverso l'esercizio di una complessa arte sapienziale che deve saper trarre dalla composita realtà sociale le regole naturali che essa già contiene implicitamente. Questo modo di concepire il diritto inizia ad entrare in crisi, a partire dal XVII secolo, quando il sovrano comincia ad espandere le proprie attività assumendo una serie di funzioni di governo della popolazione. Si regolamenta prima la materia fiscale, dalla quale il monarca trae le sue risorse per il controllo del territorio, e si va oltre elaborando la nozione di police, dove si indicano tutte quelle attività umane che generavano la prosperità del popolo e di cui lo Stato deve prevedere la regolamentazione. Per svolgere tali funzioni vengono chiamate figure che rispondano alle caratteristiche dell'antico “governo per magistrature”, si tratta di un ceto nobiliare o di nuovi proprietari terrieri. La carica pubblica diventa una vera e propria proprietà dell'officier, trasmissibile in via ereditaria e patrimoniale. In una seconda fase, il sovrano crea un apparato alternativo a quello tradizionale, utilizzando la commissione, che non prevede più un rapporto contrattualmente regolato con il funzionario pubblico, ma un titolo procuratorio revocabile in ogni momento a completa discrezione del sovrano stesso. Emergono così gli apparati burocratici moderni e la costituzione di una categoria di funzionari pubblici che lavorano per conto dello Stato. L'emergere di questa nuova funzione dello Stato rende possibile la distinzione tra potere esecutivo e potere giurisdizionale che era esercitata da un ceto di giudici che aveva mantenuto una maggiore indipendenza rispetto al potere del sovrano. Le procedure che si seguivano all'interno di ogni organo che amministrava la giustizia erano per lo più diverse a seconda delle tradizioni consuetudinarie o dottrinali dei giudici. La maggior parte dei tribunali di nomina regia non avevano una sede fissa, ma peregrinavano durante l'anno nelle province del regno andando a risolvere quelle controversie che i giudici locali avevano preparato per loro. L'accertamento giurisdizionale si consolida con l'istituzione dei Tribunali Supremi nella capitale del regno, a cui viene attribuito il compito di limitare il numero di immunità e di privilegi dei singoli tribunali periferici, attraverso una generale competenza di appello e di revisione delle loro pronunce. Tale controllo è favorito dall'introduzione dell'obbligo di motivazione delle sentenze: che rende esplicita l'argomentazione giuridica dei tribunali minori e consente lo svilupparsi di quella che sarà chiamata la funzione nomofilattica dei tribunali superiori tesa a garantire una maggiore uniformità nell'interpretazione delle norme giuridiche. Gli storici del diritto processuale hanno rilevato una trasformazione nella logica del processo moderno, nel quale il sovrano poteva intervenite in misura molto limitata, poiché la procedura era considerata manifestazione di una ragione pratica e sociale stratificatisi nel 16 corso del tempo attraverso l'elaborazione delle prassi dei giudici e dei giurisperiti. Il processo era una modalità per risolvere questioni che insorgevano tra le parti, e quindi il giudice era colui che arbitrava la dialettica processuale tra le parti e sceglieva, al termine del processo, l'argomentazione che riteneva più adeguata a preservare il giusto equilibrio tra le parti rispettando l'ordine naturale delle cose. Solamente con la codificazione moderna ottocentesca del diritto processuale che la procedura si ispirerà ad una sequenza ordinata di atti prevedibili e formalmente impersonali, con cui si dovrà tentare di giungere alla verità “oggettiva” dei fatti. La trasformazione della figura del giurista: da architetto _ dell’arte giurisprudenziale a servo legum del legislatore Anche il ruolo del giurista assume aspetti molto diversi da quello che sarà il modello giuspositivistico che lo vedrà come interprete della legge posta dal legislatore. Non vi è un legislatore che in senso stretto “produce” il diritto, ma quest'ultimo nasce quando, essendo chiamato a risolvere una controversia, il giurista trova la soluzione che gli consente di rispettare il senso di giustizia immanente alla natura delle cose, richiamandosi a linee di orientamento estremamente generali che fanno parte di qualche tradizione normativa. | giuristi non applicano il diritto generale alla situazione particolare, bensì creano il diritto in forza dei casi concreti. Diventa fondamentale l'autorevolezza del soggetto interpretante che non può desumersi dalla mera investitura istituzionale del giurista. Nelle società premoderne tale autorevolezza è stata ottenuta attraverso: il richiamo a tradizioni normative sufficientemente antiche e prestigiose che consentano di appoggiarsi a pratiche normative consolidate, e con il riconoscimento di doti specifiche al singolo giurista che deve coltivare non solo la conoscenza di quelle tradizioni normative, ma anche quelle qualità personali, come l'onestà o la bontà. L'autorevolezza del giurista riposa unicamente sulla reputazione spirituale e intellettuale, ma essa deve essere rafforzata dal potersi appoggiate ad un modello normativo superiore che sia testimonianza storica della scienza giuridica. In tale prospettiva, il diritto romano viene definito ratio scripta. Con il Corpus iuris civilis, Giustiniano non è solo un imperatore romano, ma anche un imperatore cattolicissimo, custode dell'ortodossia, protettore della Chiesa. Un diritto con le caratteristiche appena descritte non consente un'applicazione automatica. Le sue norme non sono, il più delle volte, né chiare né espresse: la loro vigenze non è generale ed esse si sovrappongono e si contraddicono. Il giurista deve adattare le formule giurisprudenziali del diritto romano alle esigenze di una società diversa. Egli no si limita ad un'interpretazione critica del testo, ma opera una intermediazione tra legge antica e “fatti novissimi”. Tale operazione intellettuale è data dall'ius commune, è un diritto prodotto da una comunità di giuristi, ma anche da scienziati, maestri che insegnano nelle università e che sono a contatto con la pratica giuridica in quanto consulenti nei tribunali delle parti in causa e del giudice. Si tratta di una comunità che possiede una lingua comune, il latino, che le consente di comunicare. Il sapere giuridico è concepito come un sapere pratico che utilizza la retorica come arte dell'argomentazione e non si ispira al modello oggettivante della scienza moderna, che verrà ripreso dalla scienza giuridica giuspositivistica attraverso l'uso meccanico della logica deduttiva di matrice cartesiana. Con il passaggio alla modernità giuridica il giurista diviene mero interprete della parola del legislatore rispetto al quale assume una posizione del tutto subordinata. Il giurista diventa un tecnico del diritto e la sua formazione deve essere indirizzata a formare un funzionario 17 Il giurista non si occuperà più del dover essere, ma dell'essere del diritto. Di norme concepite come fatti e non come valori. Ma, ben presto, il modello ideale del giurista tecnico del diritto si rivelerà inadeguato per il funzionamento di una società complessa. Crisi del positivismo giuridico e postmodernità: dallo Stato liberale alla crisi dello Stato sociale Il campo giuridico della modernità rappresenta un modello ideale della realtà del diritto vivente, ma la modifica con la forza performativa del linguaggio. Esso cerca di diffondere l'idea che il sistema delle norme giuridiche appaia a quelli che lo applicano, in una misura più o meno elevata, anche a coloro che lo subiscono, come indipendente dai rapporti di forza che il diritto sanziona e consacra. E quella che Marx ha chiamato la funzione mistificante del diritto borghese. Tale funzione ha uno dei principi fondanti il campo giuridico della modernità: quello dell'uguaglianza. | moderni codici hanno proclamato l'uguaglianza di tutti i soggetti giuridici davanti alla legge, uniformando, con il linguaggio astratto e formale del diritto, una realtà sociale ed economica che colloca invece gli individui in posizioni sempre più disuguali. Con la società industriale ad economia capitalistica la disparità di potere tra coloro che detengono la proprietà privata dei mezzi di produzione (i capitalisti) e coloro che non possiedono altro che le proprie braccia e i propri figli (i proletari) si ampia. Il nuovo modo di produzione industriale richiede alla classe proletaria di diventare cittadino delle grandi metropoli che si sviluppano in tutta Europa nella prima metà dell'Ottocento. Per diffondere queste nuove abitudini di vita saranno decisivi i dispositivi panottici (in cui si vede tutto) del potere che vengono elaborati nelle istituzioni totali e che producono anche un nuovo sapere sull'uomo, da cui nasceranno nuove discipline scientifiche come la psicologia, la criminologia. Il campo giuridico della modernità mette in funzione le categorie del diritto borghese formale ed astratto e ricostruisce il rapporto tra capitalista e proletario entro il frame narrativo del contratto di locazione. Qui si vede come protagonisti esclusivamente il singolo datore di lavoro e il singolo lavoratore. Di conseguenza, è vietata ogni possibile associazione tra lavoratori per cercare di attenuare l'evidente sproporzione di potere tra le 2 parti del contratto. Dal punto di vista del soggetto che è chiamato a produrre il diritto, il campo giuridico della modernità è percorso da una evidente tensione tra l’autorità politica, che esercita il potere legislativo con la forza legittimante del principio democratico della volontà popolare e il mondo dei giuristi, chiamato ad interpretare le norme di diritto positivo in virtù di un sapere tecnico che trova nel modello scientistico la sua forza persuasiva. Tale rapporto di forza diventa sempre meno sbilanciato. La codificazione napoleonica rappresenta un riequilibrio a favore del giurista: il codice napoleonico è redatto da una commissione di giuristi. Il codice non è privo di lacune, il legislatore non può prevedere tutti i casi che si possono presentare in una società sempre più differenziata e complessa ed è di necessità l'interprete che deve colmarle. Il legislatore stesso deve intervenire con leggi speciali per regolare le materie non previste dal codice stesso. Il codice possiede un'altra fonte di legittimazione oltre a quella di essere espressione della volontà generale del popolo sovrano: esso gode anche dell'autorità della ragione. L'ideale della sistematicità e della scientificità del codice lo rendono universale, in quanto prodotto della ragione umana che supera i confini statuali e la volontà politica dei singoli sovrani. 20 Sarà la dottrina tedesca a teorizzare per prima il nuovo concetto di Stato di diritto che sottolinea il come anche il legislatore sia sottoposto al dominio della legge che lui stesso ha emanato. Lo Stato di diritto è esclusivamente “uno Stato retto attraverso leggi”, applicate ed eseguite da corpi professionali di giudici e amministratori. Ci sono stati mutamenti di carattere socioeconomico. In particolare, il capitalismo dalla sua fase nascente, caratterizzato di manodopera a basso costo, passa alla fase di consolidamento: nasce da un movimento operaio che considera il diritto non solamente come uno strumento di potere nelle mani della classe dominante, ma anche come un efficace strumento di promozione degli interessi delle classi subalterne. | fenomeni di urbanizzazione che rendono necessarie regolazioni dell'uso di beni pubblici come il territorio abitativo e le risorse energetiche, lo stesso sviluppo capitalistico ha necessità di investimenti economici che nessun imprenditore privato è in grado di accollarsi e di cui solo la mano pubblica può farsi carico. Sta giungendo a compimento l'avvento dello Stato sociale. Forma di Stato che ha come obiettivo quello di garantire il benessere e la sicurezza sociale di sempre più numerosi gruppi di cittadini. Lo Stato sviluppa politiche interventiste nel campo economico tese a promuovere l'uguaglianza sostanziale dei cittadini. E un mondo che è interessato alla formazione dell’opinione pubblica come bacino da cui trarre la legittimità delle proprie scelte politiche. Decisivo l'emergere della carta stampata come principale mezzo di informazione, favorito dai crescenti livelli di alfabetizzazione delle classi sociali meno abbienti che si registra con l'introduzione dell'obbligo scolastico universale. Insieme alla scuola obbligatoria, nasce il giornale moderno. Esso diventerà il terreno di confronto dei nascenti partiti politici di massa, vere e proprie organizzazioni professionali finalizzate all'acquisizione del consenso elettorale. Il primo conflitto mondiale (1914-1918) segnerà un passo verso una società di massa. Terminata la guerra, il processo dello Stato interventista continua ad ampliarsi anche perché durante il periodo bellico gran parte della produzione industriale viene statalizzata. Emblematica, in Germania nel 1919, la Costituzione che regge l'ordinamento giuridico della Repubblica di Weimar: essa pone, tra gli obiettivi dello Stato, i diritti sociali rispetto ai quali possono essere sacrificati a certe condizioni anche alcuni dei tradizionali diritti individuali borghesi. Anche a seguito alla minaccia rappresentata dalla rivoluzione sovietica del 1917, lo Stato espande la sua azione su terreni economici concorrenziali con soggetti privati in settori come la produzione di energia. Si entra con gli anni '30 e dopo la crisi di Wall Street del 1929, nella stagione dell'economia manovrata, nel senso che lo Stato si da esso stesso impresa, da soggetto politico diventa anche soggetto economico. L'emergere della versione autoritaria dello Stato sociale mette definitivamente in crisi il campo giuridico della modernità. Si assiste all'avvento in alcuni Paesi europei di partiti politici che prendono il potere per via legale e danno vita nel corso del tempo a veri e propri regimi dittatoriali fondati sul carisma del capo che incarna il bene supremo della nazione e sul principio del partito unico. Si assiste in questi regimi ad una sacralizzazione della figura dello Stato e ad un nazionalismo esasperato che tendono ad annullare i diritti dell'individuo in una concezione organicistica della società che recupera anacronisticamente vecchi concetti della società medioevale. Si assiste anche al completo assoggettamento del ceto dei giuristi, che imbevuti di cultura giuspositivistica non seppero trovare né la forza di volontà, né gli strumenti teorici per opporsi allo Stato totalitario, testimoniando la fragilità della struttura dello Stato di diritto come baluardo contro la dittatura della maggioranza. 21 Anche nel comunismo sovietico la dinamica del campo giuridico non fu molto diversa. Anche qui l'esaltazione del nuovo Stato sovietico e della figura carismatica di Stalin come “padre dei popoli” porta i giuristi a legittimare senza riserve la volontà della nuova classe sociale al potere che si incarna nel partito unico e nel diritto positivo che ne esprime gli interessi. Qui il diritto era visto come un insieme di regole di condotta esprimenti la volontà della classe dominante, la cui applicazione è garantita dalla forza coercitiva dello Stato al fine di tutelare, sanzionare e sviluppare i rapporti sociali e gli ordinamenti, vantaggiosi e convenienti alla classe dominante. L'esito tragico di questi regimi che porteranno, nel caso del nazi-fascismo alle leggi razziali e allo sterminio di milioni di ebrei, zingari, comunisti, omosessuali, e, nel caso del comunismo sovietico, ai gulag, alle deportazioni e alla eliminazione fisica degli oppositori politici, porranno la questione fondamentale di come conciliare il relativismo assiologico insito nell'approccio giuspositivistico, con le degenerazioni totalitarie delle democrazie di massa. Così il campo giuridico della modernità è definitivamente entrato in crisi e sta per rientrare in gioco il diritto naturale. Il “ritorno” al diritto naturale nello Stato costituzionale di diritto: la distinzione norme vs principi Il campo giuridico della modernità si fondava sull'idea di legge o norma, quello che lo seguirà avrà come cardine il concetto di principio. La crisi del positivismo giuridico maturata con i totalitarismi aveva suscitato l'esigenza di rilegittimare una sfera di indisponibilità del diritto anche rispetto alla volontà dei legislatori sostenuti dal consenso di maggioranze democraticamente elette. Una prima soluzione avrebbe potuto essere quella di riaffidarsi al diritto naturale, tuttavia, la nozione di diritto naturale non era facilmente riesumabile una volta che la sacralità del diritto e il riferimento ad una metafisica teleologica erano state infrante dal disincantamento del mondo moderno. Infatti, ogni regime democratico, fondato sulla regola della maggioranza, introduce nel mondo del diritto un elemento di artificialità. Il diritto è espressione di imprevedibili e instabili “indirizzi politici". Il diritto naturale, dato come giusto e incontrovertibile, non sarebbe compatibile con la democrazia nel senso oggi possibile. Una democrazia competitiva deve riconoscere ad ogni possibile maggioranza parlamentare un diritto politico di trasformazione sociale che non può essere ingessato in un quadro normativo troppo vincolante. Non è stato dunque possibile riproporre l'antico diritto naturale senza pensare ad una vera e propria ristrutturazione del campo giuridico. Per quanto riguarda il giusnaturalismo laico, dal secondo conflitto mondiale, in nome della ragione erano stati commessi i peggiori delitti contro l'umanità e lo stesso concetto di razionalità veniva a scomporsi in tante sottodefinizioni che ne sottolineavano il carattere multiforme e mutevole nel corso del tempo. Quindi tutt'altro che in grado di costituire un fondamento di diritto naturale. La soluzione che ha avuto il sopravvento è stata quella di una sorta di costituzionalizzazione del diritto naturale incentrata su costituzioni nazionali “rigide” che hanno ripreso parte dei loro contenuti da trattati internazionali che elencavano i diritti fondamentali (Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo). Il campo giuridico muta la sua struttura in quanto perde centralità il ruolo della legge come esclusiva fonte normativa a favore di un nucleo di principi materiali di giustizia che vengono inseriti nella Costituzione concepita come fonte sovraordinata dell'ordinamento giuridico. La costituzione è rigida perché per essere modificata occorrono procedure rafforzate, ma anche perché si 22 del magistrato come “bocca della legge”. Di conseguenza, l'attività interpretativa viene immaginata come un insieme di operazioni di pura deduzione logica. Secondo tale impostazione il ragionamento giudiziario può essere un sillogismo deduttivo, in cui la premessa maggiore è data dalla norma codificata, la premessa minore dal fatto accertato e la conclusione dall'applicazione della norma al fatto. Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione (premessa maggiore), Tizio ha ucciso Caio (premessa minore), quindi sarà punito con alcuni anni di carcere (conclusione). Le riflessioni della sociologia del diritto e della psicologia cognitiva si focalizzano sugli elementi essenziali dei processi cognitivi che stanno alla base dell'attività interpretativa. Più precisamente: e L'interpretazione è un'operazione che scarta alcuni significati possibili della norma e ne accoglie altri, istituendo un rapporto tra la regola generale ed astratta ed il caso concreto. La regola generale e astratta non contiene al suo interno nessun caso concreto, ma rappresenta uno strumento di orientamento della decisione su di esso; e Nellarealtà empirica i processi cognitivi interpretativi partono da un fatto, da un caso o da una situazione che sollecitano una soluzione, una valutazione o una decisione. L'interpretazione formale della norma giuridica subentra in una seconda fase come giustificazione giuridica della decisione assunta. Sebbene decisione e giustificazione giuridica non vadano concepite come 2 operazioni nettamente separate, i risultati ottenuti dalla ricerca empirica di stampo psicologico e sociologico su come ragionano e decidono in concreto i giudici e i funzionari della P.A. pongono serie critiche al modo tradizionale di concepire l'interpretazione da parte della scienza giuridica. | processi cognitivi rivelati da tali ricerche implicano il ricorso, da parte dell'interprete, ad elementi extra-giuridici. | criteri che guidano il giudice nella ricostruzione di fatti oggetto del giudizio e nella loro qualificazione giuridica fanno riferimento a sistemi normativi di tipo non giuridico, a norme sociali o a valutazioni di ordine morale e politico. E lo stesso legislatore che lascia esplicitamente all'interprete il compito di determinare caso per caso il significato delle espressioni e questo non può che implicare il riferimento a norme di tipo sociale, al mutare dei costumi, alla morale prevalente. L'interpretazione giudiziaria è intrecciata con un'attività di selezione delle norme di tipo non giuridico a cui l'interprete fa riferimento, le quali dipendono saldamente dal suo sistema di valori; e Questa constatazione conduce a concepire in modo molto ampio l'interpretazione e la figura dell'interprete. Ad ogni passaggio interpretativo il significato originario del messaggio normativo cambia. L'osservazione del reale funzionamento del sistema giuridico porta a constatare che l'attività giurisprudenziale e dottrinaria non esauriscono affatto le attività di interpretazione del diritto. Essa è in realtà soltanto uno degli aspetti del diritto vivente, il quale risulta essere prodotto da una variegata pluralità di attori sociali, giuridici e non giuridici. Tutti gli organi di applicazione concorrono direttamente a creare diritto. Tutti gli attori sociali che intervengono nel processo comunicativo di un messaggio normativo di tipo giuridico svolgono, in modo consapevole o meno, attività interpretativa. Interpretazione e cultura giuridica L'idea di diritto vivente conduce ad individuare la variabile determinante dell'interpretazione giuridica nella dimensione culturale. Tale dimensione condiziona e filtra le possibili interpretazioni dei messaggi normativi di tipo giuridico quanto quella dei fatti giuridicamente 25 rilevanti. Per fare riferimento a tale fenomeno utilizza il concetto di cultura giuridica. Questa è un modo per descrivere schemi e modelli stabili di comportamenti e atteggiamenti giuridicamente orientati. | suoi elementi identificativi variano dai fatti che riguardano le istituzioni, fino alle varie forme di comportamenti. La cultura giuridica interagisce a vari livelli con la società. Essa è il prodotto determinato di uno specifico contesto socioeconomico ed essa “influenza gli” e “si rivela negli” atteggiamenti, rappresentazioni, valori, percezioni del reale dei vari attori sociali che operano in quel contesto. La cultura giuridica determina quando, perché e dove le persone cercano aiuto dal diritto, da altre istituzioni, o decidono di rassegnarsi. Essa ci dice “chi siamo”. Friedman considera e distingue la cultura giuridica interna e la cultura giuridica esterna. Con quella interna si riferisce all'insieme dei valori, delle ideologie, dei principi propri di avvocati, giudici e di altri che lavorano all'interno del sistema giuridico ed ai modi con cui tali fattori si riflettono sull'uso che gli operatori del diritto fanno delle norme, in relazione allo status loro assegnato all'interno del campo giuridico. La cultura giuridica esterna è propria invece di quegli attori sociali che sono collocati al di fuori di quel cerchio. Non è in realtà possibile tracciare una linea di demarcazione netta tra la cultura giuridica interna ed esterna. Ciò è dovuto a 2 ragioni: e La prima risiede nell'individuazione della figura stessa dell'operatore del diritto. Sotto questo profilo, la definizione di cultura giuridica interna come insieme di valori impone una riflessione sull'individuazione degli attori collocabili all'interno del “cerchio magico del sistema giuridico” e sui criteri che devono essere utilizzati per delimitare l'area. Un primo criterio di delimitazione fa riferimento all'unità culturale di fondo che accomuna coloro che sono stati formati nei corsi universitari di laurea in giurisprudenza. In realtà i soggetti appartenenti al cerchio magico del diritto costituiscono una categoria più ampia rispetto al gruppo sociale definito come il “ceto dei giuristi", poiché non tutti coloro che agiscono come operatori del diritto possiedono una formazione di tipo giuridico, come nella Pubblica Amministrazione; e La seconda nella precisa definizione dell'attività svolta dall'operatore del diritto. Questa attiene alle modalità con cui concretamente prende forma l'interpretazione delle regole giuridiche. Ogni operatore del diritto svolge la funzione di interprete vivendo una condizione di tensione tra l'esigenza di tener conto del formalismo che caratterizza la sua formazione professionale e la condivisione delle regole e dei valori extra-giuridici a cui egli aderisce, al di fuori del proprio ruolo professionale. In tale prospettiva, l'attività del giurista non è mai pienamente giuridica, ma è sempre influenzata da elementi extra-giuridici. AI tempo stesso, anche la percezione e gli atteggiamenti che il non esperto del diritto assume verso il mondo del diritto possono essere influenzati da elementi della cultura giuridica interna che siano transitati nella cultura popolare più diffusa. Un altro elemento che rende problematica una descrizione unitaria della cultura giuridica interna si riferisce alla varietà delle prospettive dei soggetti che ne fanno parte. L'attività di interpretazione e di applicazione delle norme giuridiche è intrecciata ai modi con cui l'operatore del diritto interpreta il proprio ruolo giuridico ed i relativi obiettivi istituzionali. In ogni società è possibile scorgere la presenza di attori o gruppi sociali incaricati di imporre nuove regole, di soggetti che offrono consigli su come comportarsi, di persone che dirimono i conflitti. 26 In ogni società sono riconoscibili legislatori, avvocati e giudici. All’interno del campo giuridico i gruppi sociali corrispondenti a tali ruoli non solo si trovano sempre in conflitto reciproco, ma non sono neppure omogenei al loro interno. Ciascuno di essi è chiamato a decidere fra pretese ed interessi contrapposti. Da ciò deriva una frantumazione di posizioni che induce anche ad alleanze trasversali tra esponenti di vari gruppi. Facciamo l'esempio del processo: il processo può essere definito come un insieme di atti regolati da principi e procedure, che si conclude con la sentenza di un soggetto terzo rispetto alle 2 parti in causa, che svolge la funzione di giudice. La partecipazione delle parti al processo avviene attraverso la rappresentanza di un esperto di diritto. Ad esempio, in sede penale la parte dell'accusa è esercitata in giudizio da un magistrato che svolge la funzione di pubblico ministero e la parte dell'imputato è tutelata dalla presenza di un avvocato difensore. Tutti questi attori del processo rientrano nell’ambito della cultura giuridica interna. Nel corso di un processo penale, ad esempio, il pubblico ministero, l'avvocato difensore e il giudice si accosteranno in prospettive differenti alla stessa norma, interpretandola, utilizzandola, mettendola in connessione con altre norme e con i fatti contestati sulla base degli obiettivi loro imposti dai ruoli che l'ordinamento giuridico ha assegnato loro. Nella pratica, tale dinamica presenta ulteriori elementi che rendono più flessibile la stessa divisione dei ruoli degli attori del processo. L'interazione tra giudice, avvocato e pubblico ministero e le modalità con cui ciascuno di tali attori interpreta il proprio ruolo assume un'importanza cruciale non solo per la selettività dei processi di criminalizzazione, ma anche per la stessa dinamica relazionale tra tali ruoli. Le ricerche empiriche hanno rilevato come la particolare debolezza culturale e sociale dell'imputato, non di rado conducano avvocato, p.m. e giudice ad “accantonare” la dialettica imposta dal principio contradditorio per riservarla a casi ritenuti più rilevanti o più difficili. Nei processi penali, tale dialettica viene intaccata dalla disparità delle parti, soprattutto quando l'avvocato d'ufficio svolge solo formalmente la sua attività difensiva a causa di insipienza o cattiva volontà. In questi casi, può accadere che sia lo stesso giudice ad intervenire a favore dell'imputato surrogando, con i suoi interventi, funzioni che spetterebbero all'avvocato. I ruoli giuridici rappresentano l'elemento costitutivo di comunità interpretanti. Il modo con cui gli operatori del diritto interpretano le norme risulta condizionato dal ruolo che essi rivestono, ma anche dalla comunità e dall'organizzazione in cui essi operano. Attraverso linee direttive e standard operativi comuni, ruoli e istituzioni assicurano una certa omogeneità interpretativa del messaggio normativo. Analoghe considerazioni possono essere formulate facendo riferimento alla fase delle indagini preliminari che conducono il pubblico ministero verso la decisione di archiviare o rinviare a giudizio il caso. Un ruolo decisivo in questa fase è esercitato dalle linee strategiche adottate dalla Procura in cui egli opera, le quali si manifestano nella organizzazione del lavoro dei magistrati specializzati nelle materie ritenute di rilevanza prioritaria e, all'interno di tali gruppi, dalle linee direttive del magistrato coordinatore del gruppo. Collocare l'azione dei professionisti del diritto all'interno degli specifici sistemi di azione sociale in cui essi operano permette di osservare come l'attività di interpretazione giuridica sia costantemente condizionata da vincoli e riferimenti extra-giuridici. Questo intreccio di variabili viene a costituire le culture giuridiche locali, rappresentate dalle uniformità nei modi di ragionare e di intendere e valutare le norme giuridiche che caratterizzano i diversi attori sociali che operano nello stesso contesto. L'interpretazione delle norme giuridiche è in gran parte il risultato di principi cognitivi o collettivi di gruppi professionali, che riflettono i propri atteggiamenti, opinioni, valori e inclinazioni in azioni di gruppo con l'obiettivo di adattare la legge. 27 presupposizioni circa l'oggettività e l'intersoggettività del mondo sociale, dei suoi fatti e dei suoi elementi costitutivi. L'uso di categorie e tipizzazioni riproduce la presupposizione che le persone e le cose possano appartenere alla stessa categoria e possiedano caratteristiche comuni indipendenti dal modo con cui vengono identificate. Il sistema giudiziario penale si regge su un ampio ricorso alle categorizzazioni con la finalità di alleggerire i carichi di lavoro della macchina giudiziaria. Anche lo stereotipo dell'immigrato delinquente opera come fattore di standardizzazione delle prassi organizzative di tribunali e procure. Non di rado l'ordinamento giudiziario prevede che la decisione venga raggiunta con la collaborazione di esperti che non appartengono alla comunità di giuristi. Ciò avviene nei casi in cui per l'acquisizione e la valutazione di una prova il giudice faccia ricorso all'istituto della perizia. In tali casi il convincimento del giudice si forma sulla base della fiducia che egli ripone nelle determinazioni provenienti dai saperi esperti. Con riferimento alle euristiche giudiziarie, le ricerche condotte sull'attività dei magistrati evidenziano come i magistrati facciano ampio ricorso all'euristica dell'ancoraggio e aggiustamento. Essi formulano una prima valutazione di un determinato fatto. Successivamente, in seguito all'acquisizione di ulteriori informazioni, vengono formulate modifiche più o meno consistenti e, infine, viene formulata la valutazione definitiva. Frequentemente accade che l'insufficienza degli aggiustamenti renda il giudizio finale non molto diverso da quello iniziale. Nell'ambito della giurisdizione civile, alcune ricerche rivelano che quanto maggiore è la somma richiesta a titolo di risarcimento tanto maggiore sarà la somma liquidata dal giudice, indipendentemente dall'entità del danno. Mentre nel giudizio penale rilevano come l'entità della pena che il giudice sarebbe disposto ad applicare sia fortemente connessa all'ancoraggio alle informazioni di cui egli viene in possesso riguardo alla vittima ed alle conseguenze psicologiche del reato sulla persona offesa e ad informazioni fornite dal circuito mediatico. La rappresentazione dogmatica dell'interpretazione come attività cognitiva individuale si manifesta anche se si prende in considerazione l'attività giudiziale sotto l'aspetto dell'organizzazione del lavoro. Da questo punto di vista, l'attività interpretativa del giudice si configura raramente come un processo decisionale individuale: fatta eccezione per i processi in composizione monocratica, sia in sede civile sia in sede penale la decisione viene assunta in composizione collegiale. In sede penale, i processi per reati particolarmente gravi vengono esperiti da un collegio a composizione mista, in cui ai giudici togati vengono affiancati i giudici popolari, estratti a sorte dagli elenchi dell'anagrafe. I componenti dei collegi sono esposti a dinamiche interne ed a fenomeni distorsivi connessi alle relazioni che si instaurano dentro il gruppo, tra il singolo e il gruppo. In particolar modo tali gruppi decisionali sono esposti al forte rischio di conformismo: nel caso dei collegi in Corte d'Assise si pensi che la componente togata esercita un'influenza sui giudici popolari, i quali essendo non esperti di diritto, difficilmente hanno dimestichezza con il linguaggio giuridico ed il tecnicismo del diritto processuale penale. Nel caso dei collegi misti, può accadere che l'opinione della componente non togata prevalga sul parere del giudice togato: in tali casi al giudice resta ancora la possibilità di trasfondere fra le righe delle sentenze dei dubbi che diverranno segnali per il giudice d'appello affinché riformi la decisione. Il lavoro del magistrato è un'attività di tipo non individuale anche in un altro senso. Ogni magistrato svolge il proprio lavoro nell’ambito di un ufficio e le sue decisioni sono in larga parte influenzate dalle interazioni che egli ha con gli altri operatori dell'organizzazione. 30 Prendendo in considerazione il caso del tribunale, è evidente che l'attività del giudice non può aver luogo se il personale di cancelleria non procede alla fissazione delle udienze. La collocazione dell'attività giudiziaria e giurisdizionale entro un'architettura articolata in distretti e uffici giudiziari locali svela come la dimensione organizzativa e le caratteristiche del contesto istituzionale locale esercitino un ruolo determinante sul processo di interpretazione giudiziaria. Il fatto che il magistrato svolga le proprie funzioni in un contesto organizzativo pone il ragionamento giudiziario entro una rete di variabili di natura extra-giuridica che concorre a definire la cultura giuridica. Quest'ultima costituisce il fondamento dei criteri in base a cui i magistrati “rendono conto” della propria attività al loro pubblico di riferimento, che è rappresentato dall'opinione pubblica e dal sistema politico. Una specificità dell'ordinamento italiano rispetto ad altri sistemi come quelli anglosassoni riguarda l'obbligatorietà dell’azione penale (l'azione penale diventa obbligatoria da parte del p.m. solo quando si ha effettivamente notizia del reato). Questo vincolo pone il pubblico ministero in posizioni diverse: da un lato, esercita il ruolo di parte dell'accusa su un piano di parità con la difesa, dall'altro, è soggetto ai vincoli di imparzialità e indipendenza che l'ordinamento impone a tutti i magistrati. All'interno del campo giuridico la magistratura interagisce sia con il sistema politico, sia con il sistema mediatico. Il processo infatti non è l'unica sede in cui i magistrati esprimono i propri convincimenti. La magistratura ha assunto in diverse occasioni il ruolo di protagonista come agente di riforme della vita civile e politica in Italia, sconfinando nel campo del potere politico del legislatore ed assumendo un inedito ruolo di ripristino della moralità pubblica. L'intreccio tra circuito mediatico e processo è uno dei principali indicatori dell’attuale crisi del rituale giudiziario. | luoghi dell'emanazione dei giudici e della produzione della giustizia si stanno infatti progressivamente allontanando dalla sede dell'udienza dibattimentale. Spostandosi sul piano della giustizia spettacolo, che vede il proliferare di trasmissioni televisive interamente dedicate a sviscerare i dettagli di casi di attualità giudiziaria alla ricerca del colpevole. L’avvocatura Oltre al giudice ed al pubblico ministero, il processo penale vede come protagonista l'avvocato nel ruolo di parte. Le 2 funzioni assegnatele dagli ordinamenti giuridici moderi in ambito giudiziario sono l'assistenza e la rappresentazione della parte nel processo. In Italia non è possibile per un privato cittadino difendersi da solo in giudizio: le parti processuali devono necessariamente farsi rappresentare in giudizio da un professionista del diritto, l'avvocato. Per molto tempo esso si è caratterizzato per il suo prestigio sociale. Nelle società liberali di fine Ottocento il ceto forense presentava i caratteri tipici del notabilato, a partire dal Novecento la figura dell'avvocato si è progressivamente indirizzata verso il professionismo. Oggi la sua attività viene definita con l'espressione di professione legale. L'accesso alla professione è regolato da un esame (cui si accede dopo una formazione specifica, che avviene attraverso la pratica legale presso uno studio e a volte attraverso la frequenza di apposite scuole di preparazione alla professione legale) a seguito del quale è possibile iscriversi all'Ordine degli avvocati. L'avvocatura è una libera professione, il cui accesso è regolato da norme che oscillano tra quelle tipiche del libero mercato e quelle che seguono una logica corporativa rappresentata dalle associazioni rappresentative della categoria. 31 A differenza del giudice, l'avvocato è sostanzialmente indifferente alla verità processuale: egli non è interessato a ricostruire una “verità giuridica”, ma a scegliere la tesi utile al cliente e a persuadere il giudice. Ruolo e compiti dell'avvocato sono definiti da messaggi normativi secondari. Il contenuto di alcuni è mutato con l'approvazione della legge 247, Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense. Questa legge introduce nuove regole sul procedimento disciplinare, con l'obiettivo di rispondere alle accuse di lassismo corporativo che negli ultimi anni avevano travolto la categoria. Il Codice deontologico forense definisce l'avvocato come il soggetto che tutela in ogni sede il diritto alla libertà, l'inviolabilità e l'effettività della difesa, assicurando nel processo la regolarità del giudizio e dal contradditorio. La prima difficoltà in cui egli si trova nell'esercitare il proprio ruolo è la necessità di trovare un punto di equilibrio tra il dovere deontologico di perseguire gli interessi del proprio cliente ed il compito di garantire che il giudizio si svolga nel rispetto delle regole. Egli si trova nella costante tensione di dover conciliare la sua funzione di operatore del diritto e il suo essere un professionista soggetto ai mutamenti delle regole del mercato. Allo scopo di tutelare i propri clienti essi ricorrono a strategie dilatorie che, in contrasto con il principio ragionevole durata del processo, hanno lo scopo di allungare i tempi processuali nel penale per favorire il raggiungimento dei termini per la prescrizione, nel civile, per ostacolare l'adempimento della parte convenuta in giudizio. La relazione tra avvocato e cliente si può configurare come un rapporto di collaborazione o po' essere del tutto assente, come accade nei casi di difesa d'ufficio, con evidenti ripercussioni sulla volontà e sulla capacità dell'avvocato di assistere adeguatamente il proprio cliente. Nei processi penali, l'assenza di un rapporto di fiducia tra avvocato e cliente può incidere ulteriormente sulla trasformazione del ruolo dell'avvocato, facendone venir meno il ruolo di oppositore della pubblica accusa. La composizione sociologica della professione legale ha subito mutamenti: il numero degli avvocati in Italia è progressivamente cresciuto e la componente femminile è divenuta oggi maggioritaria. La ragione dell'alto numero di avvocati in Italia viene da taluni messo in relazione all'elevato tasso di litigiosità che caratterizza il nostro Paese. Probabilmente tale dato è dovuto ad una combinazione tra il libero accesso ai corsi di laurea in giurisprudenza e l'attuale debolezza del mercato del lavoro intellettuale subordinato Per quanto riguarda l'organizzazione della professione, l'avvocatura presenta le caratteristiche di un ordinamento normativo autonomo. Spetta agli organi disciplinari degli Ordini la possibilità di applicare le sanzioni disciplinari adeguate alle violazioni deontologiche commesse. L'appartenenza ad organismi associativi costituisce un vincolo per gli avvocati, ma ha anche la funzione di preservare la cultura forense e rafforzare il peso politico della categoria nei confronti degli altri attori giuridici e della magistratura. L'avvocatura ha iniziato a partecipare in modo più attivo alle decisioni che riguardano l'amministrazione della giustizia. L'elevato numero di avvocati sul territorio, oltre ad aver indebolito il prestigio sociale, sembra produrre una serie di ulteriori effetti. In un periodo di crisi economica, la competizione ha condotto la professione forense a confrontarsi con la questione della retribuzione dell'attività forense. Le parcelle degli avvocati italiani sono tra le più basse in Europa. La possibilità di libera determinazione dell'onorario tra cliente e avvocato è stata eliminata. Questo perché i criteri di determinazione delle parcelle degli avvocati concorrono a far vacillare i principi dell'etica professionale potendo condurre gli avvocati a richiedere ripetuti rinvii, a dispetto dell'interesse del proprio cliente a giungere n tempi ragionevoli ad una soluzione della propria vicenda giudiziaria. L'accesso alla giustizia per le persone che non 32 ruoli tramite norme giuridiche assicura l'uniformità e prevedibilità delle risposte, la divisione del lavoro consente di sfruttare economie di specializzazione, la retribuzione del personale garantisce che esso non avanzi pretese di proprietà nei confronti degli uffici e al contempo garantisce l'obbedienza assoluta ai superiori. Caratteristica ulteriore del processo di formazione dello Stato moderno è la differenziazione della politica dalla società per assumere configurazioni e valori propri e divenire uno spazio specialistico. Tappa successiva al percorso di modernizzazione è la configurazione della funzione amministrativa come funzione a sua volta separata dalla politica e dalla giurisdizione, viene concepita come una funzione di servizio al potere politico e di esecuzione dei suoi comandi o delle sue strategie. Nella concezione ideale-tipica weberiana, la forma di potere propria della statualità moderna è doppiamente razionale: perché è fondata giuridicamente e perché il suo strumento pratico, cioè l'amministrazione burocratica, è dotato di particolare efficacia attraverso l’uso legittimo della coercizione. Nel momento in cui ci si sposta al funzionamento della Pubblica Amministrazione, 3 fenomeni denotano la dimensione ideale-tipica della teoria weberiana della burocrazia, ossia che si tratta di un modello ideale costruito dal ricercatore che non sempre riesce a descrivere del tutto la complessità dei fenomeni burocratici. Il primo fenomeno si ha in Paesi come l'Italia, dove la Pubblica Amministrazione ha mostrato un atteggiamento di conservazione nei confronti dell'innovazione e il primato del principio di legalità ha assegnato più importanza al formale rispetto delle regole che al raggiungimento dei concreti obiettivi dell'azione amministrativa. | processi di decentramento hanno ampliato la sfera dei soggetti titolati del potere amministrativo, giungendo ad includere una serie più ampia di attori non portatori di una cultura giuridica specialistica amministrativa nelle strutture ordinate della Pubblica Amministrazione. Rispetto al rapporto politica-amministrazione: l'amministrazione è immaginata come leale strumento del vertice politico elettivo, la cui azione non deve snaturare i provvedimenti politici. Nella realtà, l'amministrazione pubblica di un Paese non opera mai come uno strumento completamente neutrale. Affermare l'esistenza di una separazione tra amministrazione e politica risulta problematico. Le distorsioni connesse alle riforme della P.A., iniziate in Italia, hanno portato il livello di interferenza politica nel sistema di reclutamento della dirigenza burocratica ai limiti di un sistema che prevede che tale dirigenza sia di nomina politica e quindi fiduciaria della politica stessa. L'ambiguità dei rapporti tra politica e amministrazione risulta amplificata, da un lato, dai processi di decentramento amministrativo e, dall'altro, dalle nuove forme di governo. La decentralizzazione dei poteri e l'affermazione delle autonomie locali hanno reso ibridi i ruoli di alcuni attori della comunità amministrativa, collocandoli tra il ruolo di decisori politici per la propria comunità e quello di funzionari di governo. Ad esempio il sindaco. Il secondo segnale della mancata corrispondenza del fenomeno burocratico all'idealtipo weberiano è rappresentato dalle disfunzioni della burocrazia. Un approccio socio-giuridico alla funzione amministrativa richiede di porre al centro della riflessione il ruolo esercitato dalla variabile del comportamento organizzativo all'interno delle amministrazioni e le modalità con cui il potere si manifesta nell'attività delle organizzazioni pubbliche. Il principio della legalità tende a degenerare nel ritualismo burocratico, ovvero nel fenomeno in cui l'adesione alla regola diventa fine a sé stessa e la disciplina non è più vista come misura destinata a scopi specifici, ma diventa un valore di primaria importanza nel sistema di vita del burocrate. Il ritualismo si traduce in una rigidità che rende difficile per l'organizzazione rispondere e adattarsi a situazioni ed esigenze particolari. 35 All'immagine dei funzionari professionalizzati si contrappone l'incapacità addestrata dei burocratici, incapaci di far fronte alle incertezze interpretative generate dai casi dubbi. Infatti, la singolarità del caso imporrebbe al funzionario di orientare il proprio comportamento allo “spirito” piuttosto che prendere alla lettera del regolamento. La resistenza della burocrazia ai mutamenti giuridici può essere dovuta agli atteggiamenti di resistenza passiva e/o al sommerso burocratico, ossia la categoria generale dell’ineffettività del diritto. Il funzionamento di un'amministrazione o di un ufficio pubblico è meglio osservabile se li si considera come un sistema di azione concreto, cioè come un insieme umano strutturato che coordina le azioni umane dei suoi partecipanti con meccanismi di gioco stabili, e che conserva la sua struttura, cioè la stabilità dei suoi giochi, con meccanismi di regolazione che costituiscono altri giochi. | confini dell'organizzazione amministrativa sono mobili e la loro permeabilità verso l'esterno è legata a contingenze storiche e strategie di potere. Buona parte degli operatori del diritto della P.A. non appartiene alla comunità dei giuristi. Ciò dà luogo a comportamenti amministrativi orientati a norme di tipo non giuridico o fondati su prassi e consuetudini i cui effetti possono essere sostanziali per l'applicazione del diritto, pur non occupando ruoli formalmente direttivi, sono a tutti gli effetti i primi interpreti del diritto con cui il cittadino si relaziona quando deve rapportarsi con la P.A. per l'erogazione di un servizio. Il terzo fenomeno riguarda la tradizionale professionalità esecutiva e formazione giuridica delle burocrazie che viene indebolita dal fatto che le amministrazioni odierne si compongono di una serie di figure specialistiche eterogenee (tecnici informatici, ingegneri). La mancata realizzazione del modello weberiano si rende evidente in particolare nel reclutamento delle figure apicali. || potere nell'organizzazione burocratica non appare in realtà distribuito in modo verticale secondo il modello di Weber. Mutamenti delle risorse finanziarie disponibili, innovazioni tecnologiche, nuove informazioni, il configurarsi dei contatti dell'amministrazione con l'esterno rappresentano fonti di incertezza. La presunta possibilità umana di comprendere pienamente le alternative decisionali, posta alla base dei processi decisionali, viene sostituita dalla razionalità limitata, che si fonda sull'idea che alla base del comportamento amministrativo vi sia l'imperfezione della comprensione umana nella selezione delle alternative. Le strutture di potere informale che si sviluppano all'interno degli uffici pubblici possono favorire o ostacolare il raggiungimento degli scopi dell'amministrazione. Il potere è rappresentato dalla possibilità di condizionare il comportamento altrui al di fuori delle regole formali. Le disfunzioni burocratiche costituiscono in realtà la componente fondamentale: esse sono la manifestazione di razionali conflitti di potere all'interno delle organizzazioni burocratiche da parte di individui o gruppi. La capacità dell'amministrazione di raggiungere gli obiettivi, si collega all'interesse, alla volontà e alla capacità della dirigenza di far convergere funzionari, esperti ed operatori di contatto verso la realizzazione degli obiettivi dell'amministrazione. La condivisione di obiettivi rappresenta un'attività di ostacoli e variabili, dal momento che è comune nelle amministrazioni riscontrare una mancata corrispondenza tra l'organigramma funzionale e l'organigramma di fatto. Il raggiungimento degli obiettivi istituzionali è reso ulteriormente complesso dalla difficoltà di far convergere i differenti gruppi professionali verso no scopo unitario e comune. Non di rado il personale amministrativo svolge attività che sarebbero formalmente di competenza della magistratura. La realizzazione degli obiettivi che il magistrato assegna ai propri collaboratori amministrativi può essere compromessa dai vincoli che regolano questo tipo di personale ai comandi provenienti dalla dirigenza amministrativa. Un esempio della conflittualità interna alle amministrazioni è rappresentato dall'amministrazione penitenziaria. L'amministrazione penitenziaria si è caratterizzata 36 storicamente come burocrazia rigidamente centralizzata e le dinamiche conflittuali tra gli operatori all'interno dell'amministrazione si riconducono in buona sostanza al contrasto tra n “codice paterno” proprio della cultura giuridica degli operatori della polizia penitenziaria e il “codice materno" che caratterizza e orienta le attività del personale dell'area trattamentale che si occupa del reinserimento sociale delle persone recluse. Il crescente aumento della complessità delle amministrazioni ha dato luogo al fenomeno dell'esternalizzazione della struttura burocratica. Tale esternalizzazione ha rappresentato l'espansione dei poteri pubblici e della partitocrazia. Essa ha condotto alla creazione di amministrazioni parallele che hanno assorbito per molto tempo interi settori delle politiche pubbliche, come la sanità, nella propria attività amministrativa. Permangono ampi settori in cui l'amministrazione di specifiche politiche pubbliche viene delegata ad enti privati, la cui rilevanza è data dalla forza contrattuale nei confronti dell'ente pubblico. La configurazione dell'esternalizzazione insieme al processo di decentramento amministrativo, concorre al superamento del modello burocratico, dal momento che esso vede il terzo settore assumere un ruolo da protagonista nell'attività di amministrazione pubblica. L'attuale tendenza della P.A. a configurare prioritariamente la propria azione entro i limiti imposti dagli imperativi organizzazionali e dall'obiettivo dell'efficienza conduce il raggiungimento del risultato concreto a prevalere sul mero rispetto della legalità. La titolarità della potestà amministrativa non appartiene più esclusivamente alla Pubblica Amministrazione, ma viene condivisa con privati, imprese, terzo settore e cittadini, fino ad instaurare un rovesciamento in cui la decisione dell'amministrazione si configura come una reazione che si modella sulla base di impulsi ed iniziative provenienti “dal basso”. La cultura giuridica esterna Il diritto giunge a comprendere tutte le norme che regolano la vita sociale e richiede di osservare le modalità con cui le norme formali trovano applicazione entro l'area di contatto tra il comportamento ufficiale e il comportamento dei laici del diritto, ovvero i non giuristi. L'interazione giuridica si svolge in buona parte spontaneamente, al di fuori dell'intervento dei gruppi istituzionali degli operatori del diritto, essendo i messaggi normativi giuridici presenti nelle pratiche sociali quotidiane delle persone. Dal momento che il campo giuridico ha una natura principalmente comunicativa, forme e modalità attraverso cui i messaggi normativi giuridici orientano e danno significato ai comportamenti degli individui dipendono dalla conoscenza che essi hanno delle norme giuridiche, dagli atteggiamenti che essi assumono nei loro confronti. Queste variabili concorrono a costituire la cultura giuridica esterna. L'ordinamento giuridico pone a presupposto per l'applicazione delle norme giuridiche il detto ignoratia legis non excusat, in base al quale si presuppone che la pubblicazione sia sufficiente a rendere le norme conoscibili e conosciute da tutti. Il grado di effettiva conoscenza e comprensione delle norme giuridiche da parte dei cittadini costituisce l'oggetto di indagine di un ampio filone di ricerche designate con l'acronimo KOL Knowledge and Opinion about Law. Questo ha rilevato come i cittadini possiedano livelli di conoscenza modesti delle norme giuridiche e degli stessi meccanismi essenziali di funzionamento dell'ordinamento giuridico. La scarsa conoscenza dei cittadini risulta confermata da aspetti più specifici, come ad esempio gli istituti del diritto di famiglia. La mancanza di conoscenza del funzionamento del diritto compromette in modo sostanziale la capacità delle persone di ricorrere in modo appropriato ai meccanismi procedurali predisposti dagli ordinamenti giuridici per esercitare i propri diritti. La conoscenza del diritto si lega al tema dell'accesso al diritto. L'effettiva accessibilità ai meccanismi della 37 nozione di interlegalità, a esprimere lo stato normale della nostra vita legale, costituito dall'intersezione di plurimi ordinamenti giuridici ai quali noi partecipiamo in quanto partecipi della società complessa. La prospettiva pluralistica è del tutto in linea con l'atteggiamento di chi si muove dal convincimento che non esiste una definizione di diritto “buona per tutte le stagioni”. Il pluralismo giuridico è opposizione alla posizione statalista poiché prende atto del fatto che molti ordinamenti giuridici non soddisfano il criterio della stabilità. In molte culture gli individui si comportano nel rispetto di determinati sistemi di regole, senza che ciò implichi l'esistenza di un'autorità che le ha emanate. Queste sono le società acefale. Le implicazioni, qui, sono molte. La prima riguarda l'apparente inconciliabilità tra la posizione di chi era dell'avviso che il pluralismo giuridico fosse “una realtà oggettiva in sé” e il punto di vista di chi sosteneva invece che consistesse puramente in un “insieme di concetti”. Una contrapposizione, quindi, tra la rappresentazione del pluralismo come fenomeno empirico e l'idea invece che la nozione non sia altro che uno strumento concettuale. In questa logica il pluralismo giuridico è, allo stesso tempo, l'una e l’altra cosa. Vale a dire è una realtà, ma è anche una nozione. Una seconda implicazione è che la situazione di pluralismo, e cioè la concorrenza, in un medesimo contesto, di più ordinamenti giuridici, può essere fonte di problemi. Ed i problemi possono essere numerosi. Il primo di questi è di natura conoscitiva. In altre parole, prima ancora di chiederci come affrontare e risolvere le situazioni nelle quali esiste un conflitto tra sistemi di regole diversi, dobbiamo essere in grado di comprendere il significato, e la comprensione può essere problematica. Possiamo comprendere ordinamenti giuridici diversi dal nostro? Molti concetti fondamentali del linguaggio giuridico odierno hanno subito profonde variazioni sia nel tempo sia nello spazio. Basti pensare al nuovo tipo di giustizia che emerse con la transizione dalla società feudale alla società moderna. Tuttavia, la presenza di una cultura largamente condivisa ha consentito ai vari operatori del diritto di capirsi sulla base di un linguaggio comune. Questa facilità di comunicazione e di reciproca comprensione viene meno quando usciamo dal nostro universo e intendiamo porre lo sguardo su aggregati umani come le popolazioni di migranti, o le organizzazioni criminali. Si parla di comprendere dei comportamenti, delle pratiche sociali che differiscono dalle nostre, e si ha l'esigenza di dare a queste pratiche un senso, di capirne le ragioni. È soltanto la conoscenza approfondita della struttura socioeconomica e della cultura di quelle comunità, che ci consente di comprendere. Pensiamo al caso, successo in California, di Kimura, madre di 2 bambini, che ha scoperto che il marito ha un'amante. Di conseguenza decide di commettere il suicidio genitore-figlio previsto dalla tradizione giapponese. Kimura raggiunge la spiaggia con i 2 figli, li prende per mano e si inoltra nell'oceano. | 2 bambini annegano, mentre lei viene salvata. L'imputazione a suo carico è di omicidio volontario. Qui sorge una questione: è possibile comprendere, con le nostre categorie concettuali, ordinamenti giuridici diversi dal nostro? Un'alterità si manifesta attraverso l'assenza o l’irriconoscibilità di nozioni con cui le scienze sociali ed il nostro diritto non usa. Ciò è quanto accade quando si studiano, ad esempio, le società semplici o quando si analizzano comunità contadine o le organizzazioni criminali. In questi casi è vano andare alla ricerca di un potere sovrano, creatore di norme, anche se l'assenza di un “legislatore” non toglie nulla alla natura vincolante delle regole che presiedono alle relazioni sociali al loro interno. Poniamo di trovarci nella Nigeria sud-occidentale, tra gli Anang, una popolazione distribuita su gruppi di villaggi, ognuno dei quali fa capo ad un leader ereditario. E il caso di una società acefala e la vita sociale si sviluppa attorno alle comunità. Sono questi che, con modalità 40 diverse, a seconda del tipo di “illecito”, compongono i tribunali. AI processo partecipano tutti coloro che sono coinvolti nella questione e tutti gli aspetti del caso vengono messi in luce. Nella maggioranza dei casi, il giudice sollecita il punto di vista degli anziani e cerca l'accordo all'interno del tribunale. Ora passiamo al caso concreto. Stiamo assistendo a un processo per furto. L'accusato ha già avuto precedenti per lo stesso “reato”. Quando l'iter processuale si sta avviando alla conclusione, il derubato sbotta e, rivolgendosi al presunto ladro, gli ricorda, con tono alterato, che “quando il cane arraffa i frutti della palma, non teme il porcospino". Qui la scena cambia. Nel momento in cui sta per essere emessa la sentenza, l'imputato richiama un altro proverbio. Un proverbio che si rivela fondamentale per il proscioglimento dell'accusa. Recita: “una sola pernice che vola attraverso la savana, non lascia tracce”. Noi, osservatori occidentali, ci chiediamo: che cosa significa questo scambio di battute? Così incominciamo ad analizzare il significato del primo proverbio. Il frutto di una palma da olio presenta tanti aghi da rendere rischioso il procurarselo. Quindi, un cane, che sia noto per rubare i frutti di quella palma, non esita a toccare un porcospino. Il ladro di professione, è disposto a mettere in conto gli “effetti collaterali” della sua attività. La massima che egli pronuncia implica che l'accusato sia il logico sospettato, e per 2 ragioni: perché egli è conosciuto come ladro e, perché è vicino di casa del derubato. Tuttavia, c'è un punto a favore dell'imputato: non esiste la certezza assoluta che egli sia stato l'autore del furto. Nel secondo proverbio, le pernici si muovono in stormi e a raso terra, ragione per cui possono essere facilmente individuate attraverso le tracce che lasciano, come i ramoscelli spezzati e le foglie d'erba piegate. L'imputato, richiamando questo proverbio e paragonandosi alla pernice solitaria, ha voluto sottolineare il fatto che non ci sono prove certe della sua colpevolezza ed ha perciò invitato il tribunale ad ignorare sia le opinioni dei presenti, sia le sue colpe precedenti. L'imputato viene assolto. Nessuno che provenga dall'universo culturale occidentale e assista al processo, è in grado di comprendere ciò che sta succedendo. Al limite, ci si renderà conto che gli adagi invocati dall'accusato e dalla vittima svolgono una parte centrale nell'attribuzione di responsabilità. E troverà bizzarro che la corte abbia fondato la sua decisione su dei proverbi. L'intera vicenda suggerisce alcune considerazioni. La prima è che esiste tra gli Anang una cultura condivisa da tutti coloro che partecipano al processo: è la consuetudine di utilizzare le immagini di quel mondo per descrivere i propri comportamenti. In secondo luogo, in questa popolazione, la disputa si risolve senza che le parti abbiano invocato un qualche principio superiore. Infine, colpisce il fatto che, nella cultura Anang, i proverbi costituiscono palesemente uno strumento principale con il quale vengono gestiti i conflitti. In assenza della scrittura, spetta alla memoria il compito di tramandare le regole che presiedono tutti gli aspetti della vita sociale. Prendere atto che il problema della possibilità di comprendere una cultura “altra” rispetto alla nostra è reale. Tale possibilità è stata messa in dubbio. La questione è stata affrontata da Gluckman e Bohannan, in un momento storico quando le scienze sociali erano caratterizzate dal forte dominio del paradigma positivista. Il primo era convinto che l'antropologia potesse assolvere con successo il compito di studiare culture anche radicalmente diverse dalla nostra, il secondo sollevava dubbi sull'universalità delle nostre categorie concettuali. Bohannan si chiedeva come doveva comportarsi l'antropologo quando non trovava nella cultura che intendeva studiare parole come, ad esempio, contratto. Il dibattito pare chiuso perché è venuta meno l'idea che il compito dello studioso si esaurisca nel riprodurre ciò che vede, nella convinzione che egli non faccia parte del paesaggio che intende rappresentare, e che questa sua posizione stia a garanzia dell’obiettività della ricerca. Il processo per furto acquista un senso solo quando si assume un atteggiamento 41 comprendente. Si tratta di una scelta teorica, vale a dire di adesione a una teoria della conoscenza secondo cui motivazioni, atteggiamenti e comportamenti, difficilmente comprensibili, possono acquistare un significato attraverso l'assunzione del punto di vista di un altro. Se tale assunzione fosse stata assente e l'antropologo si fosse mosso secondo il paradigma prevalente ai tempi di Gluckman e Bohannan, si sarebbe limitato a sentenziare che quella popolazione non aveva ancora elaborato delle regole di procedura e di sostanza in alcun modo comparabili a quelle del diritto dei Paesi occidentali, riaffermando così il primato della nostra cultura sulla loro. Bohannan denuncia la natura potenzialmente coloniale delle ricerche antropologiche. La denuncia della presunzione con cui l'Occidente si rapportava e continua a misurarsi con le culture altre. Una presunzione fondata sul convincimento di un nostro primato culturale. Il problema della conoscenza e della comprensione di un ordinamento giuridico “altro” possiamo trovarcelo anche in casa, come quando ci accostiamo al mondo apparentemente cactico dell'universo criminale. L’ordinamento giuridico di un’organizzazione criminale: i “Cursoti” | “Cursoti" sono un’organizzazione criminale, per molti aspetti simile a quella mafiosa, con una base territoriale a Catania, ma con attività “imprenditoriali” anche al Nord. Grazie alla collaborazione di un pentito, Antonino Saia, detto Nino, viene inferto un colpo all'organizzazione. L'azione giudiziaria colpisce molti membri del clan ma anche giudici, avvocati e rappresentanti delle forze dell'ordine. Grazie alla sua testimonianza è stato possibile ricostruire la società criminale all'interno della quale ha svolto un ruolo di rilievo. Le organizzazioni criminali hanno molte caratteristiche comuni con la nostra società, la differenza fondamentale è che esse sono fondate sull'esercizio della violenza, anche estrema come l'omicidio. 1 Cursoti costituiscono un eccellente esempio di come un'organizzazione criminale esibisca tratti considerati tipici di un sistema sociale. | 3 principali fattori attorno a cui i sistemi sociali si organizzano sono il reddito, il prestigio e la professione e li ritroviamo anche qui. Inoltre, è una società all’interno della quale ci sono persone “normali” e i casi patologici. Dove i normali sono coloro che assistano le famiglie dei carcerati ed i casi patologici quelli di coloro che uccidono per il piacere di uccidere. La struttura gerarchica dei Cursoti non costituisce il risultato, come è frequentemente il caso della nostra società, di vantaggi o privilegi già inizialmente acquisiti. Coloro che diventeranno le figure chiave del gruppo non beneficiano, in partenza, di una posizione di forza che derivi loro dal denaro e dallo status. E una società stratificata da 2 valori fondanti: la fiducia e l'onore. La fiducia costituisce un elemento indispensabile per il funzionamento del mondo criminale. Costituisce la garanzia della sopravvivenza. L'onore costituisce l'interfaccia tra l'immagine che l'individuo possiede di sé stesso e quella che gli altri hanno di lui. Nino sottolinea che “l'onore è soprattutto che io rispetto la mia famiglia e che la gente vede che io sono un uomo d’onore nel senso che rispetto la mia famiglia”. Dunque, si è valutati e considerati membri a pieno titolo dell'organizzazione, sulla base di come ci si comporta rispetto alla propria famiglia e di come gli altri ci giudicano. È l’idea dell’onore non investe soltanto la sfera della sessualità, ma l'intero spettro dei comportamenti che il singolo tiene nei confronti dell'unica istituzione di riferimento: la famiglia. L'onore è legato alla fiducia. Se si perde la propria onorabilità, gli altri hanno buone ragioni per non fidarsi di noi. 42 Le offese L'art. 14 contiene una lunga lista di condotte che obbligano alla vendetta, dal furto della capra dal latte che serve all’alimentazione della famiglia, allo sgarrettamento di una vacca destinata in dono al neonato. Meno evidenti sono le ragioni per le quali la loro preziosità è tale da “imporre” il ricorso alla vendetta di sangue. Possiamo provare a rispondere alla questione: perché quelle regole? Una fondamentale ragione per cui quelle sono le regole, è che la comunità contadina è una società agro-pastorale. Essa appartiene a un tipo di sistema sociale che non è in grado di assicurare ai propri membri delle scorte, delle riserve. Una struttura economica di questo tipo significa una situazione senza difese a fronte di eventi naturali che sfuggono al controllo del singolo pastore, costretto a vivere una situazione di perenne insicurezza. Contare sull’amico, sul vicino di casa, diventa un'esigenza irrinunciabile e da tutelare ad ogni prezzo. Alla sottrazione di greggi o di mandrie senza l'intento di offendere, non costituisce causa di vendetta ma può essere ragione di vanto per il pastore. La “circolazione del bestiame” rappresenterebbe un meccanismo sociale “inventato” dalla comunità al fine di ridistribuire risorse scarse. Contare sull'amico, sul vicino ha come suo elemento costitutivo la fiducia. Ogni comportamento che ne sia la violazione va punito. Va punito perché significa un amico on più fedele al dovere dell'amicizia. Tuttavia, il codice procede per distinzioni, graduando la gravità dell'offesa e quindi della sanzione, secondo il tipo di destinatario. E sulla scala di gravità vengono la denuncia fatta alla polizia, quella ai carabinieri e, infine, la denuncia alla magistratura. E “meno peggio” rivolgersi al giudice. L'altro valore in gioco è l'onore. Anche qui il riferimento alla condizione materiale del pastore è d'obbligo, l'onore e il prestigio di una famiglia di pastori sono legati al possesso ed al controllo della proprietà che assicurano l'autonomia. Le norme del codice escludono la legittimità di qualunque forma di relazione meccanica all'offesa. Il soggetto legittimato alla vendetta finisce con l'assumere il ruolo di organo, rispetto alla comunità. Egli acquista alcuni poteri discrezionali che sottolineano il rapporto tra la volontà della comunità e la volontà sua. Il vendicatore diventa l'organo della comunità. La misura della vendetta 3 devono essere gli elementi caratterizzanti l’azione della vendetta: la proporzionalità, la prudenza e la progressività. Il primo richiede che l'offesa sia tale da infliggere un danno analogo a quello subito. La seconda caratteristica dell'azione di vendetta è la prudenza. Si tratta di una prudenza suggerita dall'esigenza di evitare la punizione di un'innocente. Per questa ragione, la reazione all'offesa non deve essere né immediata né spontanea. La terza caratteristica è la progressività. Qui la richiesta rivolta all'azione è di essere adeguata. L'adeguatezza sta ad indicare l'esigenza che l'azione venga adattata continuamente alla situazione concreta. La comunità barbaricina manifesta la convinzione che l'uccisione di un uomo costituisca un atto non soltanto doveroso ma moralmente accettabile. La vendetta deve essere esercitata nell'ipotesi dell'offesa di sangue e n tutti i casi più gravi di offesa morale quali la rottura di una promessa di matrimonio, la delazione, la falsa testimonianza. La vendetta di sangue, pur essendo imposta da una norma, non va mai in prescrizione. La legittima applicazione della norma, ossia l'adempimento al dovere della vendetta, diventa fonte di illegittimità poiché la conseguenza di tale ottemperanza costituisce sempre offesa grave. 45 Siamo in presenza di uno scontro tra la sacralità della vita ed il dovere della vendetta. Si ha un conflitto tra 2 valori, e la comunità non sa scegliere. Quali risposte dare quando un ordinamento “altro” entra in conflitto con l'ordinamento giuridico dominante? La “teoria” della difesa culturale Vediamo il caso della madre giapponese che, ottemperando alle regole della sua cultura, cerca di uccidere sé stessa ed i figli. Lei viene salvata mentre i bambini annegano. Secondo la legge americana è un caso di omicidio volontario. Kimura sarà condannata ad un anno di carcere più 5 anni di libertà vigilata, con l'obbligo di sottoporsi a trattamento psichiatrico. Kimura, che pure non era del tutto a posto di testa, aveva seguito i dettami della sua cultura. Il riferimento allo stato psicologico dell'imputata fa più pensare ad un atteggiamento compassionevole della Corte, che non al riconoscimento della legittimità delle regole da lei seguite. La teoria della difesa culturale è una teoria della responsabilità penale. Si sostiene che l'ottemperanza a regole diverse è legittima e pertanto le condotte che ne discendono non sono punibili. Il diritto, tra valori e fatti, formula risposte che variano da contesto storico a contesto storico. Se il modo in cui la dissonanza tra quanto prescrive la norma e le condotte che concretamente vengono attuate, viene affrontato e risolto diversamente dalle varie culture giuridiche, allora anche gli atteggiamenti delle persone verso la devianza e le aspettative nei confronti delle risposte istituzionali a questa tenderanno a variare. I ruoli professionali comportano delle responsabilità, ragione per cui il loro mancato assolvimento può significare la morte dell'inadempiente. Juan Baptista era un cattivo medico. Nella tribù apache molti si erano convinti che avesse avvelenato e fatto morire tutti i pazienti che avuto. Quando Jim il cacciatore, uno dei membri più popolari della tribù, s'ammalò, lo misero in guardia: se muore anche lui, tu pagherai con la vita. Jim il cacciatore morì ed il giorno dopo Juan Baptista venne ucciso. Viene posta una domanda: è possibile esentare dalla responsabilità penale una persona accusata, quando si dimostri che la ragione sottesa alla condotta criminale era quella prescritta dalle norme della sua cultura di appartenenza? Il dibattito sulla legittimità di questo principio mette di fronte 2 alternative difficilmente conciliabili tra di loro: una prima, costituita dall'esigenza che la certezza del diritto sia garantita e quindi anche dalla preoccupazione di trovare soluzioni concrete compatibili con l'ordinamento statale; una seconda, che consiste nel riconoscimento del pieno valore della diversità e quindi nel dover salvaguardare il diritto popolare anche se in contrasto con quello statuale. Sono riconoscibili 2 tipi di difesa culturale. Una prima accezione, essa significa che la persona, che altrimenti sarebbe condannata, viene prosciolta. In una seconda accezione, consiste nell'accettazione della diversità culturale. Qui la difesa culturale rientra nelle previsioni normative di molti ordinamenti giuridici in materia di circostanze attenuanti. Bisogna convenire sul fatto che il comportamento posto in essere, in contrasto con l'ordinamento stutale, deve essere obbligatoriamente imposto dalla norma non statuale. A favore della difesa culturale ci sono 2 argomenti: e Nessuna cultura è moralmente titolata a condannare le norme di un'altra. Da esso non discende l'obbligo per i membri di una data cultura tollerare comportamenti permessi o tollerati da un'altra cultura, e neppure il diritto di una cultura di imporre i propri valori ad un'altra; e Il mancato riconoscimento del diritto popolare rischia di avere, come conseguenza estrema, la sua scomparsa. Qui non si capisce perché tale prevedibile 46 conseguenza possa costituire il fondamento di un obbligo a tollerare comportamenti che il diritto statale considera antigiuridici. Il rapporto tra diritto e culture pone questioni che non consentono risposte semplici. Ciò avviene quando la finalità dichiarata di un determinato provvedimento non corrisponde al suo scopo reale. E un'ambiguità che, ad esempio, troviamo nel dibattito pro o contro l'impiego del burka. L'impiego di questo indumento viene spesso percepito in Occidente come un problema. In diversi Paesi europei sono state emanate leggi, o si stanno discutendo proposte relative al divieto di circolare con tale indumento, anche nello spazio comune, cioè nel luogo libero per eccellenza, dove tutti possono o devono potersi mostrare per quello che sono. Se nello spazio pubblico limitazioni della libertà personale possono essere giustificate sulla base dei principi fondamentali di neutralità, nello spazio comune la libertà personale dovrebbe trovare limitazioni solo in situazioni particolari. In realtà ciò non avviene. Tra le “situazioni particolari" si fanno rientrare ragioni di sicurezza, un motivo fatto valere dopo l'11 settembre. La seconda ragione a favore del divieto si fonda sull'idea che il burka costituisca uno strumento di oppressione della donna mussulmana. C'è la convinzione che essa sia costretta ad indossarlo. Una convinzione che cade nell'errore di fare “di ogni erba un fascio”. Ci sono donne che l'indossano contro la loro volontà, ma ce ne sono altre che l'indossano liberamente ed altre ancora che anche se obbligate, ritengono comunque conveniente indossarlo. Da questo atteggiamento nasce un'immagine a cui si accompagna lo stereotipo della donna mussulmana oppressa, rinchiusa nella sua cultura e nella sua religione. Una rappresentazione da rifiutare per 2 ragioni: perché ignora la varietà dei contesti in cui viene indossato questo indumento; perché continua l'opposizione tra libertà e oppressione. A rendere difficile interpretare il rapporto tra diritto e culture in maniera semplice, c'è il fatto che le ragioni pubblicamente fatte valere a difesa del divieto indiscriminato del burka non sono necessariamente quelle vere o per lo meno le uniche. Le ondate di ordinanze di limitazione a questa tipologia di indumenti, non rafforzano la sicurezza, ma tendono ad alimentare intolleranza religiosa e discriminazione dei mussulmani e delle donne. Un terzo argomento a giustificazione del divieto di indossare il burka, è l'argomento utilizzato dalla Corte Europea, ossia che il volto coperto viola il diritto altrui ad abitare uno spazio di socializzazione che facilita il vivere insieme. L'assenza di dati empirici che dimostrino come, in presenza del velo, l'interazione diventa problematica, rende plausibile la presunzione opposta e cioè che il divieto possa avere un effetto negativo sulla socialità, soprattutto allontanando le donne velate dallo spazio comune. Tema cruciale per l'Occidente nella sua relazione con il mondo è il tema dei diritti umani. Il riconoscimento della legittimità della difesa culturale significa negare l'esistenza di un sistema di valori, come quello espresso nella Dichiarazione Universale dei diritti, che si impone su tutti gli altri. La pena in Occidente e le relative ideologie Uno degli aspetti cruciali della giustizia in Occidente è la pena e le prevalenti filosofie che vi sono sottese. Possono essere ricondotte a 2 grandi categorie: le teorie assolute e relative. Sono teorie assolute tutte le dottrine retributivistiche, che concepiscono la pena come fine a sé stessa, come castigo. Sono teorie relative le teorie che considerano e giustificano la pena soltanto come un mezzo per la realizzazione del fine utilitario della prevenzione di futuri delitti. Il primo gruppo, quello delle teorie assolute, ha l'ideologia della retribuzione fondata sull'idea che sia giusto punire, che sia giusto infliggere una sofferenza a chi ha violato la norma, sulla base del principio per cui ad ognuno spetta ciò che si merita. È la legge che si regge sulla presunta commensurabilità di 2 entità distinte: l'offesa e la sanzione. Una 47 Tra gli Haudenosaunee, conosciuti come Irochesi, nativi indiani che vivono tra gli Stati Uniti e il Canada, hanno un tasso di criminalità basso. Lo è grazie alla cultura che questa società ha sviluppato. Con cultura si intende l'insieme dei valori, delle norme e delle rappresentazioni che guidano l'azione del singolo. Per gli Irochesi la conformità alle regole viene garantita dai valori. Il funzionamento è assicurato prevalentemente da fattori sovra-strutturali quali la generosità, l'onore, la fiducia. Scrive un antropologo irochese: nel nostro mondo tutte le cose sono state poste dalla volontà del Creatore, tutte hanno uno scopo preciso e lo stesso valore. In questo universo l'individuo si muove sulla base di 3 tipi di esperienza: la propria, come prodotto di libera scelta; l'esperienza dell'altro come espressione della sua volontà; l'esperienza della volontà del Creatore. Quando il Creatore vuole che una determinata esperienza si verifichi nella vita di una persona, quella persona diventa responsabile per come risponde all'evento. Il singolo è responsabile delle proprie azioni. Egli deve trattare tutte le cose con onore e rispetto. | suoi desideri personali non costituiscono l'obiettivo principale, mentre lo sono le responsabilità e gli obblighi nei confronti degli altri. Quando vengono meno è suo dovere ristabilire l'equilibrio offeso. Ciò avviene attraverso un sacrificio nella forma della preghiera, del digiuno o della meditazione. Grazie a questa procedura l'ordine spirituale che è stato leso viene ristabilito. Il modo degli Irochesi è governato dalla Grande Legge della Pace, introdotta dal peace- maker su mandato del Creatore. La Grande Legge si fonda su 3 principi: la giustizia, la salute e il potere. Sono questi i 3 principi che hanno garantito agli Irochesi una vita sociale largamente scevra di comportamenti antisociali. Essi possono permettersi non soltanto di non chiudere la casa a chiave quando si assentano, ma di farlo sapere a tutti appoggiando un bastone alla porta di ingresso. Un altro aspetto che differenzia la cultura irochese dalla nostra, è la scarsa considerazione attribuita al possesso di beni materiali. | Capi posseggono meno degli altri. Per loro molta enfasi viene posta sul valore della generosità, intesa come condivisione con il prossimo di ciò che si possiede. Gli Irochesi sono perfettamente consapevoli che l'avidità costituisce il fattore chiave nell'incidenza del furto e praticano tradizioni che lo prevengono. Gli Irochesi hanno elaborato 3 strategie: la riparazione, procedura per definizione, l'ostracismo, riservato ai capi, e in estremi casi, la pena di morte. In caso di offese molto gravi come quelle commesse dai capi, o quando la riparazione non abbia avuto successo, la pena è l'ostracismo. Sanzione gravissima per 2 ragioni: perché sottopone il colpevole all'umiliazione quotidiana, e perché ha l'effetto di scollegarlo dal legame spirituale con il resto della comunità. Come estrema risposta all’offesa, resta la pena di morte. Viene inflitta in 3 casi: ai Capi che hanno ignorato la volontà del popolo, all'omicida nel caso di omicidio volontario, ed allo stregone non disposto ad emendarsi. Gli Irochesi guardano alla morte in maniera radicalmente diversa. Il morto torna nel luogo del suo inizio, dove gli antenati l'aspettano per accoglierlo. Tuttavia, gli Irochesi sono consapevoli che ogni individuo ha ricevuto una vita dal Creatore e che questa ha una finalità da perseguire, e che la pena capitale non rappresenta il modo giusto per mettere a posto le cose. Conclusioni: che cosa abbiamo appreso dallo studio di altri sistemi giuridici Due universi distinti, contrapposto, sono stati esplorati. Quello dei “cattivi” (Cursoti e la comunità barbaricina) e l'universo dei “buoni” (Navajo e gli Irochesi). 50 Incominciamo dai “cattivi”. Il punto su cui riflettere è la parte svolta dalla loro cultura, vale a dire dai loro sistemi giuridici, nell'orientare l'azione. Ci aiuta a dare un senso alle loro condotte, perché individua un preciso campo di azione, quello della cultura. Gli elementi fondanti degli ordinamenti normativi dei Cursoti e della comunità barbaricina coincidono con le pratiche di giustizia dei contadini e dei pescatori siciliani. Fiducia e onore stanno al centro di entrambi gli universi. I Cursoti Contadini siciliani Pastori sardi L’offesa Atto con intenzione | Atto con intenzione | Atto con intenzione di offendere di offendere di offendere Offese che | Rottura della | Rottura della | Rottura della implicano la morte | promessa di | promessa di | promessa di matrimonio matrimonio matrimonio Corteggiamento _ _ della moglie di un compagno Fare la spia Fare la spia Fare la spia La biciletta La biciletta _ L’esecuzione della | Prudente, _ Prudente, pena progressiva, progressiva, proporzionata proporzionata Veniamo ora ai “buoni”. Qui 2 sono le principali vie che le società possono scegliere di percorrere in risposta alla violazione di una regola: la via della pena o la via della riparazione. E 2 sono le nozioni a cui esse fanno riferimento, il reato e l'offesa. Il reato allude alla colpa. L'offesa significa una lesione inferta, sia in senso simbolico che materiale. Nel primo caso, l'accento è posto sulla responsabilità del singolo, nel secondo sulle conseguenze della sua azione. La parola pena deriva da una radice indoeuropea che significa “pagare” e ha come riferimento principale la legge del taglione. La riparazione sta ad indicare la presenza di una avvenuta rottura, di una manomissione a cui si intende porre capo. A una causa segue un effetto. La pena si configura come questione da affrontare e da risolvere tra 2 soggetti, lo Stato, rappresentante dell'interesse dell'offeso e dell'interesse collettivo, e il singolo, l'offensore. La riparazione estende la titolarità della risposta all'offesa, alla collettività. La pace si realizza attraverso il reintegro dell’offensore. Nella nostra realtà, il diritto ha sviluppato modalità alternative alla risposta repressiva, ad esempio alla mediazione, soprattutto nel campo della giustizia minorile. 51
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