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Disoccupazione giovanile in Italia durante pandemia: analisi 'Giovani e pandemia' - Prof. , Appunti di Sociologia Del Lavoro

Una panoramica della disoccupazione giovanile in italia durante la pandemia di covid-19, analizzando le risorse utili ai giovani per affrontare l'incertezza quotidiana e le loro capacità progettuali future. Inoltre, viene esaminato il mercato del lavoro italiano, la flessibilizzazione del lavoro e i suoi effetti sulla popolazione giovane, inclusa la segmentazione del mercato, la posticipazione di importanti decisioni della vita privata e familiare e l'influenza del lavoro atipico sulle condizioni di vita dei giovani. Anche i risultati di una ricerca-azione specifica, 'giovani e pandemia', che ha l'obiettivo di conoscere quali risorse sono state utili ai giovani per affrontare l'incertezza quotidiana causata dalla pandemia e apprendere quali di queste risorse possono essere sviluppate per sostenere le loro capacità progettuali future.

Tipologia: Appunti

2023/2024

Caricato il 19/02/2024

_giulia.esposito
_giulia.esposito 🇮🇹

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Scarica Disoccupazione giovanile in Italia durante pandemia: analisi 'Giovani e pandemia' - Prof. e più Appunti in PDF di Sociologia Del Lavoro solo su Docsity! SOCIOLOGIA DEL LAVORO La sociologia del lavoro utilizza due diversi approcci per studiare il mercato del lavoro: il primo è un approccio che guarda ai dati ma anche alle variabili culturali e istituzionali, le quali, in presenza di politiche simili, tendono a produrre differenti esiti, il secondo considera il mercato del lavoro non come un mondo a sé ma in interazione con la società, la famiglia, l’economia e la politica; in linea generale, si parla di lavoro quando un soggetto presta attività lavorativa in cambio di una retribuzione, quindi, il giardinaggio non è da considerarsi lavoro se viene svolto per hobby, per volontariato o autoconsumo, inoltre, esso si evolve contemporaneamente con il tempo (smart-working), di conseguenza, sono diventati sempre più fluidi i confini tra spazio di lavoro, domestico e tempo libero e questo, da una parte, ha regalato molta libertà individuale nella gestione del proprio tempo ma, dall’altra, ha comportato uno sconfinamento del lavoro nella vita privata. L’ISTAT definisce il lavoro come l’attività materiale o intellettuale per mezzo della quale si producono beni o servizi, regolamentata legislativamente ed esplicata in cambio di una retribuzione con contratto di lavoro scritto, ed esso si distingue in: ❖ lavoro subordinato: contratto di lavoro caratterizzato da una subordinazione del lavoratore, il quale in cambio della retribuzione si impegna a prestare il proprio lavoro alle dipendenze e sotto la direzione del datore; ❖ lavoro autonomo: tutte quelle figure professionali che progettano, organizzano e realizzano in autonomia il proprio lavoro; ❖ lavoro parasubordinato: si intendono quei rapporti di collaborazione svolti in modo continuativo nel tempo, coordinati con la struttura organizzativa del committente, in modo prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione. L’approccio sociologico mette in evidenza che il lavoro è una merce particolare perché è uno scambio non di mercato, come potrebbe esserlo l’acquisto di un’auto, non è istantaneo, cioè non si conclude quando si sottoscrive il contratto scritto, coinvolge l’intera personalità dei soggetti ed è fonte di integrazione sociale, di identità e di status nella società e questo fa sì che spesso gli individui non cerchino solo ricompense materiali (reddito) ma anche riconoscimento nel luogo di lavoro. Sulla base di ciò, vengono definiti gli individui all’interno del mercato del lavoro: • gli occupati, ovvero le persone che hanno un lavoro (colui che ha lavorato almeno due ore nella settimana precedente alla rilevazione); • i disoccupati, ovvero le persone che non hanno un lavoro ma lo stanno cercando attivamente; • gli inattivi, ovvero le persone che non hanno un lavoro e non lo cercano, e sono fuori dal mercato del lavoro, vi rientrano i pensionati e i/le casalinghi/e. Queste condizioni si autoescludono tra di loro, ovvero si può essere all’interno di un solo gruppo, perciò, se diminuiscono i disoccupati non è detto che aumentino gli occupati in quanto potrebbero essere diventati inattivi, ad esempio nel 2003-2004 i disoccupati sono diminuiti del -7,1%, ma occupati sono cresciuti solo del +0,4% (aumentate molto le non forze lavoro perché scoraggiati), chiamato effetto scoraggiamento; gli occupati e i disoccupati formano insieme la forza del lavoro e per misurarli ci sono diversi tassi, tra cui: o il tasso di attività, che indica qual è la propensione di lavorare di una certa popolazione e si calcola con forza lavoro (popolazione attiva) / popolazione totale (o popolazione in età da lavoro); o il tasso di disoccupazione, il quale è dato dal numero di disoccupati / la forza lavoro e indica quanti non hanno trovato lavoro su quanti lo cercano; o il tasso di occupazione, dato dal numero di occupati / la popolazione totale e indica quanti lavorano su il totale. Per poter calcolare questi tassi, è necessario raccogliere altri dati attraverso degli strumenti come il censimento, il quale è una rilevazione che riguarda tutte la popolazione, tuttavia, ha il grosso limite di essere svolto ogni dieci anni ed essere molto dispendioso e impegnativo, perciò, l’ISTAT ha inventato altre rilevazioni, tra cui: l’INPS, il quale permette di rilevare i dati attraverso il versamento dei contributi e dei dati amministrativi, i centri per l’impiego, prelevano i dati amministrativi e registrano il lavoro nuovo e la lista dei disoccupati (sporca) e la rilevazione trimestrale sulle forze di lavoro, la quale viene svolta ogni tre mesi attraverso delle interviste a una serie di famiglie prese a campione (rappresentative della popolazione) per rilevare quanti sono gli occupati, i disoccupati e gli inattivi a seconda del tipo di contratto e di reddito -> si basa su un auto dichiarazione e non su un dato amministrativo. <- Occupati per settore di attività economica: situazione in cui l’agricoltura e l’industria è sempre più ridotta mentre si registra un aumento dell’attività relativa ai servizi. Come varia nel tempo il tasso di disoccupazione <- la crisi del 2008 ha inciso soprattutto sui giovani (linea blu) in quanto molti di essi lavoravano con contratti a tempo determinato e non venivano rinnovati, inoltre, dato il distacco elevato tra linea blu e rossa (generale), si deduce che la disoccupazione giovanile è sempre più alta rispetto alla disoccupazione generale (la linea verde riguarda gli adulti). <- Come varia nel tempo il tasso di occupazione: grafico opposto a quello precedente, dalla linea verde (adulti) possiamo dedurre che l’occupazione tra i pensionati aumenta in quanto, solitamente, chi va in pensione continua a praticare in autonomia anche successivamente mentre quella giovanile diminuisce. Come varia nel tempo il tasso di inattività <- nel grafico la linea blu rappresenta sempre i giovani da 15-24 anni, la quale aumenta, la linea rossa è generale e rimane invariata e, infine, quella verde degli adulti diminuisce. <- Come si posiziona l’Italia in una prospettiva europea? È terza, dopo Spagna e Grecia, per il tasso di disoccupazione giovanile, al contrario, Germania ed Austria lo hanno molto basso perché hanno un modello di entrata nel mercato del lavoro molto efficiente (alternanza scuola-lavoro) mentre i paesi dell’Est Europa hanno un problema con i salari bassi. una forte connessione con l’incertezza collettiva; l’incertezza, in questo caso legata dalla pandemia, ha anche un carattere sociale, sia dal punto di vista micro, dato il forte collegamento ai comportamenti altrui (probabilità di ammalarsi dipende dagli altri), sia dal punto di vista macro, in quanto le scelte di un Paese influiscono su quelle degli altri. Di fronte a questa situazione, sul piano individuale si riscontrano diverse conseguenze: innanzitutto, per i soggetti più giovani tenderà a scattare il cosiddetto meccanismo della sospensione della decisione, con il quale si ritiene razionale slittare la propria pianificazione verso un orizzonte decisionale di breve periodo, oppure possono decidere di adottare altri tipi di strategia, come la strategia della massimizzazione dei minimi, secondo la quale gli individui si preparano per la situazione peggiore e scelgono l’opzione migliore tra le peggiori (quella intermedia), e le strategie psicosociali, ovvero quelle che riescono a mischiare elementi emotivi con elementi razionali, le quali implicano la raccolta di informazioni in maniera selettiva e l’utilizzo di nuovi strumenti per scoprire nuove soluzioni a nuovi problemi. POLITICHE E STRUTTURA DEL MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA Le caratteristiche della disoccupazione in Italia: 1. forte penalizzazione delle donne (2007 pre-crisi), il tasso di disoccupazione delle donne era pari al 11,6% mentre quello degli uomini il 6,8%; 2. forte penalizzazione dei giovani, i quali hanno un tasso del 24,2% rispetto al 3,5% degli adulti; 3. forte presenza di persone senza esperienza di lavoro, circa il 51%, ma per contro anche 4. molto bassa penalizzazione di maschi adulti e con esperienza di lavoro. La composizione della disoccupazione è molto differente nei diversi paesi europei: -la composizione per genere è prevalentemente maschile in paesi come la Gran Bretagna, Svezia e Germania mentre è prevalentemente femminile in Francia, Italia, Danimarca, Spagna e Olanda; -la composizione per età è prevalentemente giovanile in Italia, Spagna e Grecia, è prevalentemente adulta in paesi come la Francia, Olanda, Belgio, Portogallo, Gran Bretagna, Finlandia e Irlanda mentre è prevalentemente adulta e anziana in Danimarca, Svezia, Austria e Germania. I giovani sono più colpiti dalla disoccupazione in tutti i paesi europei tranne che in Germania ma ci sono differenze nei tassi di disoccupazione tra giovani e adulti dello stesso genere, in alcuni paesi di pochi punti percentuali ma in altri possono arrivare fino a quasi a 30 punti (record Italia e Spagna); la posizione in seno alla famiglia influisce sulle risorse di chi è senza lavoro, ad esempio in Italia si sceglie la minore vulnerabilità alla disoccupazione dei maschi adulti o, in altri termini, la minor vulnerabilità alla disoccupazione dei capifamiglia ma ci sono tre diversi modelli in Europa: il primo è quello della Grecia, Spagna e Italia, nelle quali la maggioranza dei disoccupati è rappresentata dai figli che vivono con i genitori mentre quella dei capifamiglia o single è intorno al 20%, il secondo è quello della Gran Bretagna e della Germania, dove oltre il 53% delle persone in cerca di lavoro sono capifamiglia o single, e infine, c’è il modello della Francia, Belgio, Austria e Olanda, che vede la disoccupazione dei capifamiglia e single tra il 39% e il 45% e tra il 28% e il 33% quello dei coniugi. La situazione dell'Italia (e anche di Spagna e Grecia) per quanto riguarda la posizione nella famiglia delle persone in cerca di lavoro è ancor più differente da quella degli altri paesi europei di quanto è risultato guardando alla discriminazione per età -> poiché i giovani dei paesi dell'Europa meridionale escono dalla famiglia di origine in età molto più elevata, spesso dopo aver trovato un lavoro, invece, nei paesi dell'Europa centrosettentrionale i giovani escono in età molto più giovane, spesso prima di aver trovato un lavoro; in conclusione, in Italia e negli altri paesi dell'Europa meridionale i giovani in cerca di lavoro per lo più vivono in famiglie ove almeno una persona è occupata (o percepisce una pensione). I temi riguardanti le trasformazioni strutturali del lavoro e delle professioni sono: -una vasta frammentazione del mercato del lavoro -> introduzione di tutta una serie di contratti atipici e molto precari che crea una forte sottoccupazione, cioè le persone sembrano occupate ma nella realtà lavorano poche ore a settimana; -stagnazione dei salari -> purtroppo il problema del basso salario prosegue anche lungo la carriera, di conseguenza, questo genera poche prospettive di carriera e crea un impatto negativo su quelle che sono le aspettative dei giovani sul mondo del lavoro; -qualità del lavoro -> fa riferimento ad un lavoro differente rispetto a quello tradizionale del passato, cioè un lavoro che produce benessere e che permette di conciliare lavoro e vita privata. Per quanto riguarda le strategie e la percezione dei giovani rispetto al mercato del lavoro si sottolinea la loro difficoltà di inserimento (età media di uscita dalla famiglia è di trent’anni), la scarsità di politiche pensate per loro e la povertà oggettiva, rappresentata dalla quota di famiglie il cui reddito è inferiore al 70% del reddito mediano del proprio paese. L’APPROCCIO DELLA SOCIOLOGIA ECONOMICA E DEL LAVORO AL SISTEMA ECONOMICO Il sistema economico è immerso nel sistema sociale in quanto esso, in molte situazioni, non è un meccanismo sufficiente a regolare il mercato, come nel caso delle auto usate, per questo motivo, le transazioni di beni o servizi avvengono anche grazie a meccanismi di tipo sociale, ad esempio rivolgersi a persone affidabili, per evitare di fallire; se si utilizzasse solo il meccanismo del prezzo in tutte quelle situazioni caratterizzate da incertezza sulla qualità, asimmetria informativa e opportunismo, si verificherebbe un rischio di fallimento del mercato. Akerlof fu un economista molto aperto alla sociologia che rappresentò questo fenomeno con i seguenti grafici: P D P D O O Q Q media Il primo grafico rappresenta un mercato nomale, dove la quantità di merce venduta ad un determinato prezzo è data dall’incrocio tra domanda e offerta, il secondo grafico, invece, rappresenta un mercato in cui la qualità è importante: in esso, la curva di domanda inizialmente cresce all'aumentare del prezzo, ma ad un certo scende perché, per un auto usata, i soggetti non sono disposti a spendere più di un certo ammontare, di conseguenza, il mercato rischia di fallire se domanda e offerta non si incontrano; nella realtà questo non succede grazie alle relazioni sociali e ai meccanismi di fiducia, i quali permettono di formulare delle predizioni sul comportamento altrui senza avere un’informazione completa (permettono il salto oltre l’incertezza). Mutti definì la fiducia come un’aspettativa con valenza positiva maturata in condizioni di incertezza, ma in presenza di una carica cognitiva e/o emotiva tale da superare la soglia della mera speranza: la dimensione cognitiva permette di superare l’incertezza attraverso l’elaborazione di esperienze precedenti mentre la dimensione emotiva lo fa attraverso dei legami affettivi, ed essa ha come vantaggio quello di ridurre i tempi per raccogliere le informazioni e, quindi, essere più efficiente in mancanza di tempo e risorse. Le componenti della fiducia sono trovarsi tra conoscenza e ignoranza (diversa da fede), il salto oltre l’incertezza, la predizione, il rischio e la libertà limitata, invece, le sue proprietà sono: • è autovincolante: nel momento in cui ti fidi di una persona, difficilmente riesci a distaccarti; • fa diminuire la necessità di controllo: come nel caso dello smartworking; • favorisce la cooperazione; • può richiedere un lungo tempo di costruzione; • è difficile da ricostruire una volta persa; • si può investire (professor Gambetta). Secondo la sociologia, la fiducia è un elemento prezioso in economia, tuttavia, già i Romani la riconoscevano alla base dei contratti, infatti, nel mondo romano i contratti economici si basavano, per legge, sulla fides, la quale significava sia fede che fiducia verso i soggetti e verso gli dèi, di conseguenza, se si tradiva la persona con cui si aveva stipulato il contratto, essa avrebbe tradito anche gli dei; la sociologia lo considera più come un elemento pre-contrattuale, ovvero si stipula quel contratto perché c’è fiducia, altrimenti non lo si farebbe. In base alla tabella sotto riportata, notiamo come ci sono vari tipi di meccanismi per superare l’incertezza: DIMENSIONE EMOTIVA DIMENSIONE COGNITIVA Alta Media Bassa Alta Fiducia ideologica Fiducia cognitiva Predizione razionale Media Fiducia emotiva Fiducia di routine Anticipazione probabile Bassa Fede Fato Incertezza-panico Ogni livello di dimensione cognitiva ed emotiva permette di avere una particolare situazione, ad esempio una situazione in cui sia la dimensione cognitiva che quella emotiva sono basse dà vita a incertezza e panico, oppure una situazione in cui la dimensione cognitiva è alta (es. le istituzioni funzionano bene) e la emotiva è bassa, si ha il caso della predizione razionale (non siamo sicuri di laurearci ma, dato che le istituzioni funzionano bene, potremmo arrivare alla fine). GIOVANI E PANDEMIA La pandemia è un evento dirompente (destructive event) di natura collettiva e per poter sapere se esso porta con sé solo difficoltà o anche delle opportunità bisogna analizzare tale fenomeno per livelli di grandezza:  livello macro: aumento dell’incertezza (diffusione virus, lockdown, sospensione della quotidianità);  livello meso: si tratta di tutte le misure di contenimento a livello nazionale e locale che cambiavano al variare dell’incidenza dei contagi;  livello micro: ciascun individuo giovane ha dovuto prendere decisioni importanti per la transizione all’età adulta, nonostante l’estrema incertezza (lavoro, studio, trasferimenti, famiglia). I giovani in Europa, e soprattutto in Italia, erano prima della pandemia già in un contesto, sia professionale che di vita, di grande incertezza, tanto da essere stati definiti ‘i perdenti della globalizzazione’, espressione che si riferisce al fatto che essi spesso non sono in grado di fare piani a lungo termine ma tendono a rimandare decisioni che tradizionalmente rappresentano tappe fondamentali nel passaggio all’età adulta; in questo contesto, la pandemia ha agito come uno “shock esogeno” che ha richiesto, soprattutto per le persone più giovani, la ricerca di nuove strategie per affrontare la situazione e compensare l’inadeguatezza dei repertori d’azione abituali. Tradizionalmente l’Italia, rispetto alla media europea, ha alti tassi di disoccupazione giovanile perché il mercato del lavoro italiano è molto rigido e ha una bassissima capacità di assorbire i nuovi ingressi, con l’avvento della pandemia il governo ha agito immediatamente con dure restrizioni, come il blocco dei licenziamenti e l’attivazione della cassa integrazione, per proteggere i giovani (parzialmente efficaci); è importante sottolineare che ci sono altri aspetti, scollegati dalla pandemia, che hanno indebolito moltissimo la capacità della popolazione di far fronte alla vita quotidiana in generale, infatti, nonostante l’aumento del reddito (+5,9% nel 2023), il tasso di inflazione è aumentato del +3,9% nel 2021 e +11,6% nel 2022, indebolendo il potere d’acquisto (aumento del costo dei beni di prima necessità). LA RICERCA: OBIETTIVI E DOMANDE DI RICERCA “Giovani e pandemia" è una ricerca-azione che ha l’obiettivo di conoscere quali risorse sono state utili ai giovani per affrontare l'incertezza quotidiana causata dalla pandemia e apprendere quali di queste risorse possono essere sviluppate per sostenere le loro capacità progettuali future, sia nel mondo del lavoro che nella vita privata, lo studio è <- Disoccupazione giovanile italiana divisa in due fasce di età: la linea blu rappresenta i giovani tra i 15- 24 anni e quella arancione tra i 15-29 anni e da questo grafico possiamo vedere che la situazione è rimasta invariata nel periodo COVID, infatti, se non fosse intervenuta la pandemia la disoccupazione giovanile avrebbe continuato a diminuire. NEET (15-24 anni) rispetto al % totale della popolazione <- dello stesso gruppo di età: curva che aveva iniziato a scendere, poi nel 2008 è iniziata ad aumentare, successivamente tende di nuovo a scendere grazie al fatto che gli effetti si sono attenuati, e poi intorno al 2018-2020 aumenta ancora. Ai più adulti è stato chiesto se cercassero lavoro e il 76% ha risposto di no ma, a chi lo cerca, gli è stato chiesto quali forme contrattuali prediligono e si è notato che le ragazze preferiscono il contratto a tempo determinato mentre i ragazzi quello a tempo indeterminato mentre i principali canali di ricerca sono stati i siti web, l’autocandidatura, le conoscenze, LinkedIn, le agenzie interinali e i concorsi pubblici; in conclusione, l’emergenza pandemica ha permesso ad una parte dei ragazzi e delle ragazze di sviluppare alcune capacità (soft skills) e di apprendere alcuni insegnamenti, che possono aiutarli ad affrontare sia la vita professionale che la vita privata, tuttavia, in generale, emerge l'incapacità per i giovani di immaginare piani a lungo termine -> sono necessarie politiche che li aiutino a risocializzarsi, politiche che mirano a raggiungere la consapevolezza delle proprie esperienze (potrebbe essere utile far raccontare come hanno vissuta la pandemia e di cosa hanno bisogno) e azioni per mantenere e migliorare le soft skills acquisite. LA FLESSIBILIZZAZIONE DEL MERCATO DEL LAV ORO Il mercato del lavoro italiano, fino agli anni ’90, era molto rigido in quanto aveva come forma contrattuale prevalente quella a tempo indeterminato ed esso non permetteva di aumentare il tasso di occupazione o di far entrare i giovani e le donne (dopo interruzioni per motivi familiari) nel mercato, perciò, si è introdotta la flessibilizzazione sia in entrata che in uscita che ebbe come conseguenze dei tempi di ricerca più rapidi sul primo lavoro e l’aumento di partecipazione delle donne; in particolare, sono state introdotte politiche di flexicurity, le quali prevedevano uno scambio tra una maggiore flessibilità nelle regole di assunzione e licenziamento e una maggiore sicurezza nelle politiche passive e attive del lavoro (discontinuità di impiego ma continuità di reddito), è un modello che nasce in Danimarca e che ha ispirato i mercati del lavoro europei, compresa l’Italia, la quale ha introdotto il lavoro atipico, che creò la segmentazione del mercato, seguita, parallelamente, dall’impiego di scarse politiche passive (=misure di sostegno al reddito) e attive (=misure che mirano a reinserire il soggetto nel mercato). Nel lavoro atipico vi rientrano tutte quelle forme a cui manca una o più caratteristica del lavoro che era considerato ‘tipico’ nel sistema fordista, ovvero subordinato, full-time e a tempo indeterminato, ed esso è nato per essere utilizzato come trampolino di lancio verso il lavoro stabile, tuttavia, in Italia questo non è successo a causa della continua ripetizione e prorogazione di tali contratti, infatti, i giovani continuano a lavorare con queste forme contrattuali fino a quando non sono più giovani, alzando l’età media e provocando la segmentazione del mercato del lavoro (Germania e Francia sono paesi molto simili, in termini di flexicurity, all’Italia ma esse sono riuscite effettivamente a far funzionare i contratti atipici come trampolini di lancio e hanno investito molto sull’aspetto relativo alle tutele); le principali riforme che hanno trasformato il lavoro atipico sono:  Legge Treu (1997), disciplina le cococo e il lavoro interinale;  Legge Biagi (2003), introduce nuove forme contrattuali atipiche;  Legge Fornero (2012), conosciuta per il cambiamento del sistema pensionistico;  Jobs act (2014-2015), da un lato introduce delle indennità di disoccupazione che permettono di sistemare anche i lavoratori atipici ma dall’altro introduce la riforma dell’art.18 (è possibile licenziare anche chi è assunto a tempo indeterminato senza una giusta causa). Questi cambiamenti hanno influenzato le carriere, ovvero i percorsi di lavoro, i quali fino agni anni ’90 sono stati preordinati e ascendenti nel tempo mentre ora sono diventati discontinui costruiti tra impieghi instabili, non necessariamente ascendenti e con possibili discontinuità di reddito a causa di interruzioni lavorative; in Italia, in assenza di adeguate politiche del lavoro, è l’individuo che deve fare in modo che il proprio percorso di lavoro sia continuo, coerente con le proprie competenze e ascendente a livello di reddito e di competenze. Nei paesi europei, chi rimane senza lavoro riceve un sussidio, i quali si fondano su due principi: 1. assicurativo, in cui vi rientra l’indennità proporzionale alla retribuzione e ai contributi versati e l’indennità a scalare e a termine; 2. assistenziale, il quale è un sussidio legato allo stato di bisogno e senza scadenza (tranne Portogallo e Spagna) mentre non è presente in Grecia e Italia; per valutare un sistema di sostegno al reddito per i disoccupati si considerano il grado di generosità, ovvero il rapporto tra indennità e retribuzione e la durata, e il grado di copertura, cioè quante persone in cerca di lavoro percepiscono un’indennità, e l’Italia è per entrambi all’ultimo posto dei paesi europei. Nello specifico, il regime generale (2001) prevedeva solo 6 mesi di indennità pari al 40% della retribuzione, sostituiti solo nel 2012 con l’introduzione della MiniAspi e dell’ASPI, la quale spettava a coloro che presentavano i seguenti requisiti: -stato di disoccupazione, -almeno due anni di assicurazione e -devono essere trascorsi almeno due anni dal versamento del primo contributo contro la disoccupazione; questo moltiplicarsi di forme contrattuali atipiche non protette ha provocato un aumento dell’insicurezza lavorativa soggettiva e, paradossalmente, ha esteso l’insicurezza anche a chi è all’interno del mercato del lavoro con forme contrattuali stabili perché si ha paura di perdere l'occupazione che si ha. POLITICHE PER I GIOVANI E TRANSIZIONE ALLA VITA ADULTA In Italia, le politiche che vengono attuate dal governo per i giovani hanno una serie di problematiche, tra cui: -hanno spesso dei requisiti di accesso che indirettamente li escludono; -non vengono comunicate in maniera corretta, cioè spesso i giovani non sono a conoscenza delle politiche a loro dedicate; -non sono modellate alle loro esigenze perché chi prende le decisioni ha un’età media alta e gli stessi giovani non vengono ascoltati; di conseguenza, le politiche attive per il lavoro non sono mai state implementate adeguatamente, anche se oggi esiste il piano PNRR, il quale ha l’obiettivo di far crescere l’occupazione giovanile del 3% entro il 2025 attraverso una serie di fondi destinati agli under 35 (in Italia è pari all’8%). In particolare, ci sono due missioni all’interno del piano che potrebbero determinare la crescita del settore giovanile: la digitalizzazione, l’innovazione e la competitività, dove si sottolinea il dover rafforzare le competenze digitali di base (utilizzare internet) e specifiche (programmi più complessi), la formazione a scuola e in università, l’orientamento e l’immaginario delle professioni (far capire cosa nella realtà richiede una determinata professione), e la rivoluzione verde. Di fronte a tutta questa flessibilizzazione, il corso di vita dei giovani, a seconda dell’età, del titolo di studio, del genere e delle condizioni del mercato del lavoro locale, è cambiato: innanzitutto, in origine, si seguiva la teoria della transizione alla vita adulta, la quale afferma che, per diventare adulti, i giovani dovevano compiere cinque transizioni ordinate, ovvero finire gli studi, trovare un lavoro, uscire dalla casa dei genitori, sposarsi e fare un figlio -> queste transizioni cambiavano da paese a paese, erano di stampo tradizionalista e oggi è superata grazie all’aumento dell’incertezza; a questo proposito, diversi autori hanno sottolineato il ruolo centrale del lavoro nello strutturare i corsi di vita, che la conseguenza principale in capo ai giovani adulti che rimanevano intrappolati in forme di lavoro atipiche era la posticipazione di importanti decisioni della loro vita privata e familiare e che la lunghezza di tali posticipazioni può variare a seconda del contesto istituzionale N.B. gli effetti della precarietà sulla formazione della famiglia variano anche in funzione del genere, ad esempio, per i paesi come l’Italia in cui il modello male-breadwinner è predominante, sarà più importante per gli uomini avere un lavoro sicuro rispetto alle donne (Blossfeld). <- Occupati in Italia a tempo indeterminato per sesso, periodo 2007-2020: la linea blu rappresenta la parte di popolazione con contratto a tempo indeterminato di sesso maschile tra i 15-64 anni mentre quella rosa di sesso femminile e si può notare sempre una distanza tra di esse, ciò vuol dire che i soggetti assunti a tempo indeterminato sono più uomini che donne. COME SI CERCA E SI TROVA LA VORO IN ITALIA I metodi formali sono i concorsi, le agenzie pubbliche, le agenzie private, gli annunci e internet mentre i metodi informali sono le reti sociali, utilizzate al 70% in Italia e fanno riferimento alla teoria di Granovetter, il quale si propone di spiegare attraverso la teoria della forza dei legami deboli che i legami deboli, ossia frequentazioni e semplici conoscenze più o meno occasionali, siano di efficacia superiore rispetto a quelli forti nella diffusione delle informazioni: se le relazioni umane sono fondate a partire da un determinato individuo, nessun legame forte è un ponte (bridge) tra reticoli relazionali differenti mentre, viceversa, tutti i ponti sono legami deboli, quindi, la loro forza deriverebbe dal fatto che questi veicolano più probabilmente informazioni da una cerchia relazionale all’altra e, nel caso di informazioni sulle opportunità di lavoro, saranno meglio informati e troveranno più facilmente un’occupazione quei cercatori che si rivolgono a conoscenti, piuttosto che a parenti od amici; a questo riguardo, l’ipotesi dell’autore è che, sebbene i legami forti siano sicuramente più motivati a dare aiuto, essi tendono a chiudersi mentre i legami deboli sono strutturalmente meglio posizionati per farlo N.B. Teoria del triangolo impossibile -> se A ha un legame forte con B e C, B e C avranno tra di loro almeno un legame debole. Nei reticoli in cui prevalgono i legami forti tutti si conoscono mentre nei reticoli in cui prevalgono legami deboli no, e questo comporta dei vantaggi informativi, tra cui: -l’estensione, i reticoli dei legami deboli sono più ampi; -l’eterogeneità, molti legami deboli sono legami ponte; -la densità (il rapporto tra n di legami effettivi e quelli potenziali), reticoli densi informazioni a tutti, per il singolo meglio essere in un buco strutturale. Introducendo la variabile di status, l’analisi del processo di conseguimento del lavoro acquista la dimensione della verticalità dove soggetto, contatto ed occupazione vengono ‘situati’ rispetto alla struttura sociale, in questo quadro, Nan Lin elabora la propria teoria: l’individuo è inserito in una struttura sociale gerarchica, stratificata in livelli ed egli può agire o in maniera espressiva, cioè tendente a conservare le risorse in suo possesso, frequentando individui di pari status, con i quali intrattiene più frequentemente legami forti (interazioni omofile), o in maniera strumentale, cioè con l’intenzione di accrescere le proprie risorse, legandosi ad individui di status superiore (relazione eterofile), presumibilmente tramite legami deboli; per l’autore, i legami deboli sono particolarmente vantaggiosi per gli individui di status medio-basso, che li utilizzano per raggiungere contatti di status più elevato rispetto al proprio, tuttavia, coloro che li utilizzano meno sono i disoccupati, chi ha alti titoli di studio, i giovani e le donne. Reyneri elabora alcune critiche riguardo all’uso delle reti sociali per trovare lavoro, ovvero: -l’informazione è un bene di scambio scarso; -le reti sociali sono limitate e non rappresentano il metodo migliore; -aumentano le disuguaglianze perché penalizzano chi non ha le reti; -il servizio pubblico ha il compito di fare circolare le informazioni mettendo in contatto domanda e offerta di lavoro. Per cercare lavoro, Internet utilizza i motori di ricerca, le pagine di impresa, le organizzazioni di intermediazioni e i job placement delle università ed esso ha come vantaggio quello di avere informazioni per tutti, in modo veloce e a costo zero mentre ha come svantaggio di avere troppe informazioni e questo crea difficoltà nel selezionale quelle utili. Secondo Kuhn, Internet lo utilizzano di più gli occupati, già in comunità professionali, e i più istruiti, oltre a ritenere che esso potrebbe ridurre la disoccupazione frizionale se ci fosse mobilità territoriale. I criteri utilizzati dalle imprese per selezionare i laureati (per trovare lavoro più facilmente bisogna avere): 1. abilità relazionali, la versatilità e il sapersi adattare al cambiamento; 2. capacità di integrazione all’interno dell’impresa e capacità di adeguamento al clima aziendale; 3. la motivazione al lavoro, all’imparare, all’impegno e alla disponibilità; 4. l’affidabilità, ovvero non avere comportamenti di tipo opportunistico verso l’impresa (ritenuto fondamentale per tutte le qualifiche); 5. il bagaglio scolastico viene ritenuto importante ma in molte situazioni non fondamentale: più la mansione da svolgere è specialistica e più il bagaglio di competenze diventa chiaramente fondamentale. I canali utilizzati per la selezione sono la segnalazione di soggetti esterni all’impresa che possono garantire sull’affidabilità del soggetto, le segnalazioni dei dipendenti, soprattutto nelle grandi imprese radicate sul territorio che operano a livello familiare, la società di ricerca personale nei casi di ricerca di laureati con competenze specifiche e, infine, l’invio di CV o direttamente all’impresa o attraverso il sito dell’impresa o siti web; qualche impresa più grande utilizza strategie che sommano il criterio della valutazione delle competenze a quello della segnalazione di dipendenti dell’impresa. Da una ricerca sui giovani in Italia riguardo alla percezione delle politiche pubbliche emerge che solo una minoranza di essi ne è soddisfatta perché la maggioranza ritiene ci siano pochi lavori ben retribuiti, tempi troppo lunghi, pagamenti incerti e procrastinati e attività e corsi spesso poco utili per trovare un lavoro, per questi motivi, molti giovani si sentono lasciati soli e abbandonati dallo Stato; di conseguenza, ricoprono un importante ruolo la famiglia, la quale può, da un lato, contenere gli effetti delle crisi e compensare le scarsi risorse ma, dall’altro, ritardare l’autonomia psicologica, economica e abitativa (ritarda e protegge eccessivamente i ragazzi), e il privato sociale, soprattutto per quanto riguarda i soggetti più a rischio esclusione (stranieri). L’autonomia economica presenta delle differenze e delle specificità territoriali, in particolare nel Sud Italia le condizioni del mercato del lavoro sono particolarmente disastrose, tanto da costituire un fattore di rischio aggiuntivo (deprivazione materiale ed esclusione sociale), quindi, il divario tra Nord e Sud ancora conta: gli intervistati che vivono al sud Italia dimostrano carenza di fiducia nelle loro competenze e nelle opportunità istituzionali; la strategia di coping più diffusa dai giovani del Sud Italia è emigrare all’estero per poter avere maggiori possibilità di crearsi un futuro. Tuttavia, in Italia, la mancanza di autonomia non è percepita come fattore di esclusione sociale perché gli intervistati non si percepiscono isolati socialmente né ai margini della società, così come non si sentono molto diversi dai loro coetanei per le pratiche di consumo e per il loro stile di vita ma essi si sentono più svantaggiati se si confrontano con la generazione dei loro genitori; i fattori di rischio, invece, sono: -il rischio di essere esclusi dai ruoli adulti per lungo tempo a causa dell’aiuto da parte dei genitori e a causa dell’intermittenza a livello lavorativo; -il rischio di esclusione dal futuro e dalla possibilità di progettarlo; -il rischio di esclusione dalle istituzioni e dalle politiche e incapacità politica di rappresentarsi, è una sorta di circolo vizioso, da un lato abbiamo una scarsa partecipazione dei giovani alla politica e, dall’altro lato, non esistono politiche a favore dei giovani. In conclusione, i giovani oggi sono inclusi socialmente ma esclusi dai ruoli adulti, in quanto manca la dimensione progettuale futura, di fatto, viviamo in un paese che non investe sui giovani e sul loro futuro. SEMINARIO POLO 900: LAVORO IN PRESENZA E LAVORO AGILE Durante il periodo di emergenza da Covid-19 il lavoro agile ha conosciuto una straordinaria diffusione anche se, con il ritorno ad una condizione sanitaria più normale, la sua presenza si è ridotta, esso si è comunque stabilmente impiantato in molte organizzazioni pubbliche e private, nonché nelle preferenze di molti lavoratori e di lavoratrici, per questo motivo, trova sempre più spazio il lavoro ibrido, ovvero una combinazione di lavoro in presenza e di lavoro in remoto; iniziamo dall’esaminare i cambiamenti nelle condizioni di lavoro durante la pandemia: ➢ lo sviluppo professionale -> le possibilità di sviluppo professionale sono peggiorate in modo più accentuato della spinta al miglioramento e in misura maggiore tra i lavoratori in presenza rispetto a quelli agili; ➢ il grado di autonomia -> tra i lavoratori in presenza la spinta al peggioramento è leggermente superiore alla spinta al miglioramento mentre tra i lavoratori agili i cambiamenti positivi prevalgono nettamente su quelli negativi; ➢ l’apprendimento dai colleghi -> le possibilità d’apprendimento dai colleghi sembrano essersi complessivamente ridotte e in misura molto più accentuata nel lavoro agile rispetto al lavoro in presenza; ➢ il carico di lavoro -> il carico di lavoro è decisamente aumentato nell’emergenza, un poco di più tra coloro che hanno svolto il lavoro in presenza rispetto a coloro che sono stati impegnati nel lavoro agile; ➢ la solidarietà e la collaborazione tra colleghi -> l’emergenza COVID ha comportato un degrado delle relazioni in maniera leggermente più alta nei lavoratori agili rispetto ai lavoratori in presenza; ➢ i rapporti con il proprio responsabile o con il committente -> la spinta al peggioramento supera quella al miglioramento accentuata nel lavoro in presenza rispetto al lavoro agile; ➢ la produttività del lavoro -> nel lavoro in presenza la produttività è peggiorata, mentre nel lavoro agile la tendenza al miglioramento è significativamente superiore a quella al peggioramento del lavoro in presenza; ➢ la chiarezza degli obiettivi -> durante l’emergenza sembra esserci stata una spinta all’appannamento nella chiarezza degli obiettivi, più nel lavoro in presenza rispetto a quello agile; ➢ la fatica fisica e mentale -> nel lavoro in presenza la fatica fisica e mentale è peggiorata nettamente, anche in quello agile è peggiorata ma in maniera meno accentuata rispetto al lavoro in presenza; ➢ lavoro agile e condizioni di genere -> nel lavoro agile non vi sono significative differenze tra uomini e donne nei cambiamenti delle condizioni di lavoro, salvo che per gli uomini sono peggiorate la possibilità di apprendimento interagendo con i colleghi, la collaborazione con i colleghi e la chiarezza degli obiettivi; ➢ lavoro in presenza e condizioni di genere -> nel lavoro in presenza vi sono significative differenze tra uomini e donne, per le donne sono peggiorate rispetto agli uomini le possibilità di sviluppo professionale, il carico di lavoro e la fatica fisica e mentale. Continuiamo esaminando più nello specifico il lavoro agile: ❖ isolamento nel lavoro -> la maggioranza dei lavoratori agili si sente più isolato dai colleghi e dal contesto lavorativo abituale; ❖ scansione orario di lavoro -> tra i lavoratori agili, il 28% ha visto aumentare in via di fatto le ore di lavoro giornaliere, però, per il 26% l’orario è diventato più flessibile alle esigenze del lavoratore; ❖ separazione tra tempi di lavoro e tempi per la famiglia -> nella maggioranza dei casi i lavoratori agili sono riusciti a tenere separati i tempi di lavoro da quelli dedicati alla famiglia, tuttavia, una consistente minoranza, circa il 32% di loro, è una separazione poco o nulla; ❖ presenze per il futuro -> per il futuro, la maggioranza dei lavoratori preferirebbe lavorare in parte in presenza e in parte in lavoro agile. Durante il periodo pandemico, si è scoperto che molti lavori si possono svolgere da casa ma, chi utilizza questi software con elevata frequenza, mostra un'insorgenza molto superiore rispetto agli altri dei sintomi connessi al burn out, inoltre, l’uso delle piattaforme per l’interazione online fornisce continuità lavorativa ma comporta, allo stesso tempo, una maggiore formalizzazione e burocratizzazione delle comunicazioni (sovraccarico comunicativo), determinando un allungamento dei tempi necessari a svolgere le medesime mansioni e una diminuzione della produttività. La comunicazione è il tessuto connettivo dell'organizzazione, su cui si basano controllo e coordinamento e avviene sia in via formale che informale (Albano 2010) e il fatto di dover fare affidamento su forme di comunicazione mediate dalla tecnologia e la mancanza di continuità nella condivisione degli spazi aziendali è stato alla base di inadeguatezze e inefficienze e, talora, di qualche sviluppo positivo; in sintesi, dal punto di vista della gestione del lavoro, la tecnologia può favorire efficienza nelle comunicazioni ma il luogo di lavoro è luogo di relazioni sociali, di costruzione delle identità individuali e collettive.
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