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Sociologia della cultura, Wendy Griswold, Sintesi del corso di Sociologia Dei Processi Culturali

I primi 4 capitoli: la cultura e il diamante culturale, il significato culturale, la cultura come creazione sociale, produzione, distribuzione e ricezione della cultura

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017
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Caricato il 05/02/2017

noemi_vitale1
noemi_vitale1 🇮🇹

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Scarica Sociologia della cultura, Wendy Griswold e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia Dei Processi Culturali solo su Docsity! CAPITOLO 1 – LA CULTURA E IL DIAMANTE CULTURALE La sociologia della cultura è quella branca della sociologia che osserva i fenomeni culturali da una prospettiva sociologica, cerca di comprendere come la cultura e la struttura sociale si influenzino a vicenda. La cultura può essere definita in diversi modi: 1) in Francia c'è il divieto di portare il velo a scuola anche se la cultura è istituzionalmente laica, il velo si può portare in giro ma non a scuola. Incompatibilità tra regole. 2) Diversi programmi per il week end, colui che decide di andare ad un concerto sinfonico è giudicato come un divoratore di cultura in confronto a chi andrà ad un concerto. Certi hanno più gusto di altri. 3) Un americano prende il biglietto da visita di un giapponese e lo mette via distrattamente, l'affare fallisce perchè per il giapponese il biglietto da visita è considerato come un'espansione della persona e quindi va trattato con rispetto. Incomprensione culturale. 4) Fumetti e tv hanno lo stesso livello come attività culturali. 5) Neri a disagio quando incontrano bianchi con i cani perchè da loro il cane si usa per fare la guardia. Differenza culturale. Diversi modi di intendere la cultura i queste 5 storie: costumi nazionali, attività elitarie, forme d'intrattenimento e variazioni di significati simbolici. Se c'è un'incomprensione culturale si possono avere esiti negativi. Quando i sociologi parlano di cultura intendono una di queste 4 cose: norme: il modo in cui la gente si comporta in una società valori: ciò a cui essi tengono credenze: modo in cui credono che funzioni il mondo simboli espressivi: rappresentazioni di valori norme e credenze Esistono 2 scuole di pensiero sulla cultura: discipline umanistiche e le scienze sociali. Non esiste una cosa come la cultura o la società nel mondo reale, esse se vengono distinte nettamente creano una distinzione analitica tra due diversi aspetti dell'esperienza umana, questa distinzione è: Cultura: indica l'aspetto espressivo dell'esistenza umana Società: indica l'aspetto relazionale e spesso pratico Lo stesso oggetto o comportamento può essere analizzato in quanto sociale (info sul biglietto da visita) o in quanto culturale (significato per americano e giapponese). CONCEZIONE UMANISTICA (cultura come effetto salvifico) Il termine cultura viene spesso associato alle belle arti e allo spettacolo, o alla letteratura seria. In queste accezioni viene spesso chiamata “cultura alta” in quanto è contrapposta a quella popolare o di massa. Il binomio arte-cultura è il risultato di una linea di pensiero diffusa nelle discipline umanistiche in cui la cultura è considerata una sfera di valore superiore e universale. Nel XIX secolo molti intellettuali europei affermano che c'è un'opposizione tra cultura e società (civiltà), poiché con civiltà intendevano il progresso tecnologico della Riv. Industriale. Opporre civiltà e cultura significava rifiutare il pensiero illuminista che credeva che il progresso tecnologico fosse benefico. Se civiltà voleva dire case sudicie, fabbriche e uomini usati come pezzi di ricambio, allora erano in disaccordo. E vedevano la cultura come il polo positivo, come la salvezza degli esseri umani. → effetto salvifico La cultura era lo studio della perfezione, poteva rendere la società più umana donandole “dolcezza e luce” come sinonimo di “bellezza e saggezza”. (ragni lavorano per sé, le api producono per tutti) Bellezza e saggezza derivano da: a) dalla consapevolezza e la sensibilità nei confronti di ciò che di meglio è stato pensato e conosciuto in tutte le forme artistiche b) da una ragione giusta (un'intelligenza aperta e flessibile). Come funziona la cultura? Per Arnold la cultura non è fine a sé stessa, ma un mezzo per un fine. Può curare le malattie causate dal materialismo e può essere l'agente che modera le conseguenze più distruttive della modernizzazione. Essa mette le persone nella condizione di poter connettere la conoscenza alla bellezza. Weber aveva la stessa concezione, anche per lui la cultura aveva la capacità di influenzare il comportamento umano. Per riassumere, le caratteristiche dell'approccio umanistico: -alcune culture e alcune opere culturali sono migliori di altre -la cultura ha a che fare con la perfezione -deriva etimologicamente da “coltura”: la coltivazione della mente e della sensibilità -si oppone alla civiltà L'armonia tra cultura e società è possibile, ma viene conseguita raramente. Si teme che la cultura sia fragile, che vada preservata attraverso le istituzioni educative e in archivi culturali (biblioteche e musei). Si affida ad essa un'aurea di sacralità e ciò la estranea dall'esistenza quotidiana. Questo modo di intenderla come una “cultura alta” fa si che essa sia per pochi eletti, così viene definita dalla maggioranza della gente. (quando vengono saccheggiati i musei, quello che sconvolge l'osservatore è il fatto che con il saccheggio si riduce qualcosa di prezioso a pura merce) CONCEZIONE DELLE SCIENZE SOCIALI (antropologia) Nel corso del XIX si cerca di fare una definizione diversa da quella di Arnold. -Herder da una prima definizione e ritiene che si debba parlare di culture e non di cultura, poiché ogni nazione ha la propria. -Tylor mette questa prospettiva nel suo libro “alle origini della cultura” e considera superato il dibattito “cultura vs società”: la cultura o civiltà è l'insieme che include il sapere, le credenze, l'ate, la morale, il diritto, il costume e ogni altra competenza e abitudine acquisita dall'uomo in quanto membro della società. -Berger definisce la cultura come la totalità dei prodotti dell'uomo, sia materiali che immateriali. Sostiene che la società non è che un elemento della cultura La sociologia culturale è interessata alle relazioni tra oggetti culturali e mondo sociale. Oggetti culturali + creatori + ricevitori + mondo sociale: diamante culturale Il diamante ha 4 punti e 6 legami. Non possiamo chiamarlo teoria della cultura perchè non ci dice niente sul modo in cui i punti sono collegati, non possiamo chiamarlo nemmeno un modello poiché non indica le cause e quali gli effetti, ma è uno strumento euristico utile a favorire una piena comprensione della relazione tra un qualsiasi oggetto culturale col mondo sociale. Non ci dice quale è la relazione tra i punti, ci dice solo che lì c'è una relazione. Per avere una comprensione completa di un oggetto, si dovrebbe comprendere la connessione di tutti i 4 punti e le 6 connessioni. (per comprendere il significato del pane dovremmo avere info circa il produttore e i consumatori, capire i nessi, le connessioni che pubblicizzano i prodotti o il sistema di distribuzione. Arriveremo a concepire il pane come la trasmissione di un cibo, ma come un rituale che può dividere o legare le persone.) Dovremo identificare le somiglianze e le differenze di quell'oggetto rispetto ad altri in quella cultura, considerare chi l'ha creato e chi l'ha ricevuto. Una volta capiti tutti i punti e i legami possiamo dire di avere una comprensione sociologica di quell'oggetto e una volta che abbiamo un'opinione sul modo in cui quell'oggetto si adatta al suo contesto, siamo anche sulla buona strada per capire la cultura nel suo contesto. CAPITOLO 2 – IL SIGNIFICATO CULTURALE Noi avvertiamo che la cultura è “al di là di noi, e tuttavia siamo noi”, e siamo alla ricerca di una relazione semplice tra gli oggetti culturali e le cose esattamente come sono. Ma non esiste una relazione semplice perché quando un qualcosa diventa oggetto culturale, quella cosa è già cambiata. E il cambiamento ha a che fare col significato. Un oggetto culturale ha un significato condiviso, cioè ad esso è attribuito un senso che è condiviso dai membri della cultura. La cultura, possiamo dire, è un modello di significati che è durato nel tempo. Il senso o il significato si riferisce alla capacità dell'oggetto di suggerire o indicare qualcos'altro (il suono di una sirena d'allarme vuol dire che si deve sgomberare il palazzo). Si possono identificare due tipi di significato: semplice e complesso. Il significato semplice denota una corrispondenza biunivoca (equazioni con lettere, luce rossa è stop). Il significato complesso lo troviamo nei segni chiamati simboli, poiché essi evocano una varietà di significati. I simboli non denotano, connotano e suggeriscono. Evocano emozioni forti e possono unire o disgregare i gruppi sociali (la croce, per i cristiani, per la Nigeria che vede l'ombra proiettata sulla moschea). La cultura è fatta di significati complessi e per capirla noi dobbiamo essere capaci di sbrogliare queste reti di significati, dobbiamo quindi essere in grado di analizzare la relazione che può esistere tra un simbolo e le cose esattamente come sono. Nel diamante culturale ciò che collega gli oggetti culturali ai mondi sociali è il significato. SIGNIFICATO Gli esseri viventi si sviluppano e agiscono in accordo con istruzioni codificate nei loro geni: una lepre fugge all'odore della volpe, ma non a quello di uno scoiattolo, perchè gli animali fanno e agiscono in base a quello che geneticamente hanno impiantato. Non è la stessa cosa per gli esseri umani, perchè essi sono incomplete alla nascita (un gattino potrebbe sopravvivere da solo nella foresta, un bimbo no. Gli umani devono imparare a vivere, e l'apprendimento è un processo sociale di interazione e socializzazione attraverso cui si trasmette la cultura. Berger ha evidenziato che la fonte ultima della paura umana non è il male, ma il caos. La mancanza d'ordine, un modo senza struttura o significati è così terrificante da essere impensabile. Gli esseri umani creano le cultura attraverso il processo di esternalizzazione – oggettivazione - interiorizzazione. Così l'analisi sociologica della cultura parte dalla premessa che quest'ultima offre orientamento, protegge dal caos e dirige il comportamento verso determinate linee di azione e lontano da altre. La cultura fornisce significato e ordine attraverso i simboli, laddove ciò che abbiamo designato come oggetti culturali sono arricchiti da significati oltre alla loro utilità materiale (né le cicatrici, né l'abbassare gli occhi hanno significato in sé e per sé, ma entrambi diventano intensamente significativi nella misura in cui sono incorporati in una cultura che li produce o li interpreta). TEORIA DEL RIFLESSO Se la cultura è fatta di significati, e se i significati sono sociali, dobbiamo chiederci ancora: che tipo di relazioni esistono tra il mondo sociali e i modelli o gli oggetti culturali? Due risposte sono fornite dal funzionalismo e dal marxismo, possono essere considerate come versioni di una stessa teoria del riflesso, in cui la cultura è concepita come un fedele riflesso della vita sociale. La terza risposta è data da Weber, che afferma che è la vita sociale che riflette la cultura. Cultura: specchio della realtà sociale. Significa che un particolare oggetto culturale sta nelle strutture sociali e nei modelli sociali che esso riflette. Pertanto, lo studioso dovrebbe cercare corrispondenze dirette, biunivoche tra cultura e società. Es: la maggior parte delle persone crede che la violenza e il maltrattamenti descritto dalla tv riflettano la violenza e i maltrattamenti diffusi nella società. Ciò non vuol dire che la violenza in tv non possa essere un elemento che contribuisce alla diffusione della violenza nella società. Si tratta di due connessioni nel diamante culturale che possono variare o meno insieme, ma che sono concettualmente distinte. In un caso, a violenza in tv è un riflesso della società, nell'altro il mondo sociale è un riflesso della violenza in tv. Per procedere nella verifica delle credenze comuni circa il legame tra violenza e tv, possiamo porci la domanda “la tv riflette mutamenti nel mondo sociale?”. Quindi procederemo col misurare episodi di violenza in una data società da un momento ad un altro. Analogamente misureremo la curva degli episodi in una data società nello stesso arco di tempo e ci aspettiamo, seguendo la teoria del riflesso, che la violenza in tv aumenti o cali in funzione del tasso di violenza nella vita reale. Ciò non significa che la violenza sociale causi violenza televisiva, ma solo che tra essere c'è una correlazione. Se i due tassi crescono e salgono insieme, ma le impennate e i crolli della violenza in tv precedono i cambiamenti nel tasso di violenza nella vita reale, questo sarebbe un argomento a favore della teoria per cui è il mondo sociale che riflette la cultura (Marx). “Un romanzo è uno specchio trasportato lungo una strada maestra. A volte riflette ai vostri occhi l'azzurro del cielo, a volte il fango delle pozzanghere sulla via. E l'umo che porta lo specchio sulla schiena è accusato da voli di immoralità. Il suo specchio mostra il fango e voi maledite lo specchio.” Così Stendhal rispose ai critici che lo accusavano di trattare argomenti squallidi. L'ORIGINE DELLA TEORIA DEL RIFLESSO Le teorie della cultura come riflesso hanno una storia lunga che risale ai tempi di Platone. Secondo la teoria platonica delle forme, al di là di ogni apparenza si trova un'idea o una forma ( ad esempio noi dormiamo su un letto di materia, l'elemento materiale di arredamento è pura apparenza. Il letto ateriale riflette questo letto ideale, ma lo fa imperfettamente. Gli esseri umani confondono apparenza e realtà, proprio come quando alcuni uomini prigionieri in una grotta prendono per reali le ombre tremolanti che un fuoco proietta. Anche le apparenze derivano da qualcosa, e Platone suggerisce che derivano dal riflesso. Per Platone esistono 3 tipi di creatori: 1) Dio, il creatore, che produce il letto reale nella sua forma ideale. 2) 2) L'artigiano che produce il letto materiale; 3) 3) Il pittore che ne fa una riproduzione. Così l'arte è una copia imperfetta di una copia imperfetta e si basa su una comprensione irrazionale e mediocre di ciò che sono i letti. Tutta l'arte è molto distante dalla verità; l'artista può imitare così tante cose perchè ha una cognizione solo superficiale su ciascuna di esse. La vita umana è un pellegrinaggio dall'apparenza alla realtà. L'arte ne rappresenta un ostacolo in questo viaggio perchè seduce e conduce ad un falso sapere, rozzo. La teoria platonica ha 3 componenti: la forma, l'apparenza e l'arte. In altre parole potremmo dire che sono l'idea, la concretizzazione materiale dell'idea e l'espressione simbolica o culturale dell'idea materiale che formano un diamante doppio. Aristotele suggerì un modo per difendere l'arte: ridefinire il termine medio. Sostenne che l'arte imita non il regno delle idee, ma le verità universali circa l'esistenza umana. La teoria del riflesso nelle sue origini platoniche presuppone che la cultura sia meno che reale, meno fondamentale di ciò che essa riflette, e questo assunto è giunto sino alla disciplina sociologica. Entrambe le discipline, funzionalismo e marxismo impiegano il modello del riflesso e entrambe perpetuano alcune delle sue implicazioni platoniche. L'APPROCCIO MATERIALISTA ALLA CULTURA La premessa di fondo dell'idealismo è che la cultura può essere meglio agli esseri umani può essere riformulato in termini specifici di una data società. Così, la cultura degli egiziani ci informa su ciò che accadeva in Egitto, indicando il modo in cui gli egiziani vedevano il loro mondo sociale e naturale. In questa forma aristotelica modificata, la teoria del riflesso diventa per due ragioni un modello attraente per la comprensione sociologica della cultura: 1) l'idea che la cultura riflette la società fornisce un modello della connessione tra cultura e società e suggerisce la direzione principale della relazione di influenza,. 2) Questo modello permette che si usi la cultura come testimonianza sociale. Entrambi questi elementi sono parti costruttive dell'immagine funzionalista di una forte congruenza tra cultura e struttura sociale. L'essenza del funzionalismo è che le società umane, per conservarsi, esprimono bisogni concreti e le istituzioni sociali sorgono per soddisfare questi bisogni. (per es. ogni società ha bisogno di crescere e socializzare i suoi governi, così ogni società ha una struttura relazionale istituzionalizzata, chiamata famiglia, che svolge questa funzione. Una società sana esiste in uno stato di equilibrio in cui le istituzioni collaborano e operano in un sistema per soddisfare i bisogni della società. Le incapacità di adattamenti vengono descritte come disfunzionali. Consegue da questo ragionamento che ogni livello sociale (cultura, politica, economia, ordine sociale) fornisce input a e riceve input da ogni altro livello. Ogni livello è adatto a, o riflette, ogni altro livello. Così la cultura riflette la società proprio come la società riflette la cultura. I problemi che presenta questa versione funzionalista della teoria del riflesso diventano evidenti quando pensiamo ad esempi concreti, come i grado in cui gli spettacoli televisivi popolari riflettono la realtà sociale. Cosa ne è degli esseri umani, dei creatori e del pubblico? Il classico modello riflessivo funzionalista assume che gli esseri umani siano passivi e senza interessi propri. Anche la metafora dello specchio risulta meno chiara. Dal punto di vista del pubblico un'opera culturale è uno specchio di sé stessa o una finestra aperta ad altra gente? Berger fa una riflessione secondo cui l'esternalizzazione e l'interiorizzazione sono atti non necessariamente compiuti dallo stesso soggetto. L'argomento della testimonianza sociale, ossia l'idea che possiamo leggere una società direttamente attraverso le sue opere culturali è spesso fuorivante. (per es. le sit-com di soggetto domestico anni 50 offrivano un ritratto distorto di ciò che era veramente la vita famigliare di quel decennio.) Gli oggetti culturali spesso idealizzano alcuni aspetti dell'esperienza sociale o sottolineano alcuni aspetti meno positivi per fare critica, oppure mettono in primo piano in sensazionale (pochi direbbero che il turbinio di sesso e crimine della soap opera media riflette il modo in cui realmente vive la gente. Insomma, il modello puro dello specchio sembra difficile da accettare.esistono comunque altri modelli del riflesso funzionalisti più complessi, che risolvono alcune critiche. Come ad esempio quello di Baxandall che ci propone un modo per tradurre il modello riflessivo di base sul diamente culturale in tute le sue connessioni e punti. In uno studio sui pittori ha dimostrato come le opere di essi riflettessero: 1) Transizioni commerciali. Il contatto tra pittore e cliente, definiva l'ammontare dei pigmenti costosi, la quantità di doratura ecc. 2) Valori mutevoli. Durante il secolo, la cosa importante di un dipinto e ciò che il cliente era disposto a pagare mutò dai pigmenti alle abilità pittoriche, riflettendo quindi i cambiamenti negli stil di consumo. 3) L'occhio dell'epoca. Si riferisce alla capacità cognitiva e allo stile di un'epoca. Il grande numero di contenitori, cilindri e pile di grano raffigurati nei dipinti, sono oggetti che richiamano il sapere e le competenze dei ricchi mercanti che dovevano stimare le grandezze in assenza di pesi e misure non ancora definite. Mercanti che spesso erano clienti dei pittori. In questa versione della teoria, la cultura non figura come riflesso diretto del mondo sociale, ma è mediata dalle menti degli umani. I pittori italiani del Rinascimento riflettevano l'esperienza sociale che aveva, a sua volta, prodotto un certo modo di vedere le cose. E non è solo l'esperienza sociale generale degli italiani del quindicesimo secolo a essere riflessa, ma anche quella di specifiche classi di individui che producevano e acquistavano quadri. Allo stesso tempo l'analisi è funzionalista. Dal punto di vista della struttura sociale, la classe mercantile in ascesa cercava un modo per dimostrare la propria ricchezza e di segnalare la sua partecipazione ai modelli aristocratici di comportamento come il mecenatismo. Dal punto di vista della cultura, i pittori cercavano acquirenti che capissero e approvassero ciò che facevano. I mercanti e i pittori rappresentavano la struttura sociale e la cultura, erano funzionalmente adatti gli uni agli altri. Ci sono però diversi problemi: perchè le opere culturali mantengono il loro valore nello spazio e nel tempo? La gente oggi non ha un occhio epocale del 15esimo secolo, ma ancora reagiamo all'arte rinascimentale. In qualche modo devono essere stati creati nuovi significati, che non dipendono dall'occhio del periodo originale, e il modello del riflesso non ci aiuta a capire da dove questi significati provengano. Un'altra domanda può essere: perchè alcune realtà vengono riflesse e altre no? La cultura è chiaramente selettiva, a differenza degli specchi. Le riserve verso la metafora dello specchio, specie nella sua versione funzionalista, hanno indotto alcuni a suggerire che la cultura è più un riflesso “su” che un riflesso “di”. La cultura può essere un riflesso non nel senso letterale di rispecchiamento, ma nel senso di una riflessione. In altre parole, attraverso la cultura gli esseri umani possono riflettere sulla propria esperienza sociale e individuale. CULTURA E SIGNIFICATO NELLA SOCIOLOGIA WEBERIANA Sia la versione funzionalista sia quella marxista della teoria del riflesso riconoscono che la cultura e la struttura sociale esercitano mutua influenza una sull'altra, ma tutte e due tendono ad accentuare una freccia causale che va in una sola direzione: la società causa la cultura. Nei termini del diamante culturale, la freccia generalmente punta verso il basso, tuttavia, se gli esseri umani hanno bisogno di significato per organizzare le loro vite, allora la cultura, in quanto apportatrice di significato, deve far accadere qualcosa nel mondo sociale. La freccia deve puntare anche verso l'alto. Weber ha accentuato quest'altra direzione, ha cercato di comprendere il mondo moderno, in particolare la società industriale e capitalista. Non pensava che la cultura, semplicemente, causasse la struttura sociale. Sapeva che l'influenza operava in entrambi i sensi, e nei suoi scritti sulla religione e la vita economica non mancò di sottolineare che stava analizzando un lato solo della relazione causale e non affermando che la religione fosse la causa del capitalismo. Ciò che interessava a Weber era definire la misura in cui la religione aveva contribuito alla formazione ed espansione dello spirito del capitalismo. Egli cercò di individuare correlazioni tra credenze religiose da un lato e agire pratico dall'altro al fine di capire come un movimento religioso potesse aver influenzato la cultura materiale. Nella sua opera “l'etica protestante e lo spirito del capitalismo, Weber avanzò una solida tesi circa l'influenza dei significati culturali sulla stessa vita economica, e così sul mondo sociale. Iniziò l'opera osservando come l'occidente fosse unico su molti aspetti: per le sue scienze e arti specializzate, i suoi funzionari ben addestrati, la sua legge razionale e il suo sistema economico capitalista. L'organizzazione capitalistica del lavoro umano, la separazione dell'azione dell'azienda dalla casa e l'importanza della contabilità nazionale, secondo Weber, sono tratti tipici dell'Occidente. Il problema, allora non sta nelle origini stesse del capitalismo, piuttosto nell'ascesa del capitalismo borghese con la sua organizzazione razionale del lavoro libero. Weber affermava di essere interessato alle origini della borghesia e della sua peculiarità. Cominciò con una osservazione: ovunque in Europa i protestanti erano attirati dal commercio, dagli affari e dal lavoro specializzato molto più di quanto non fossero i cattolici, essi erano, in altre parole, sovrarappresentati nelle attività economiche di tipo capitalistico. Weber riteneva che lo spirito del capitalismo implicasse un'etica o un senso del dovere, un dovere verso una vocazione, semplificazione nell'aforismo “il tempo è denaro” di Franklin. Negli scritti di Franklin, Weber vedeva un misto di ricerca del profitto e di calcolo razionale. Ad esempio: oltre alla diligenza e alla temperanza, nulla contribuisce tanto a far progredire un giovane nel mondo quanto la puntualità e la giustizia in tutti i suoi affari. Perciò non tenere mai il denato preso a prestito un'ora in più di quel che hai promesso, affinchè il disappunto che ne segue non ti chiuda per sempre la borsa del tuo amico. Questo modo di pensare sembra appartenere all'Occidente capitalistico. Questo spirito del capitalismo era in contrasto con l'atteggiamento tradizionale, secondo cui la gente lavora solo per vivere come è abituata a fare. Chi vive sotto il capitalismo lavora incessantemente per far profitti, spingendosi molto oltre i suoi bisogni e lasciandosi guidare da motivazioni autoimposte tipo “il tempo è denaro”. L'idealtipo del capitalista non era un edonista che godeva della ricchezza, ma un asceta che dalla sua ricchezza non ricava nulla per se stesso, tranne l'irrazionale sentimento del compimento del suo dovere professionale. Ma quale era il retroterra delle idee che trasformò l'attività diretta al profitto in una vocazione moralmente segnata? La risposta sta in due idee religiose protestanti: vocazione e predestinazione. La concezione della vocazione di Martin Luteri concedeva una vocazione morale all'attività era al massimo moralmente neutrale. Questa interpretazione contrastava con il cattolicesiomo, per il quale una tale attività era al massimo moralmente neutrale. Lutero affermava che la provvidenza ha assegnato un personale. Si sbagliavano e la stessa modernità ha prodotto forti reazioni culturali in due direzioni: il postmodernismo e il fondamentalismo. Il postmodernismo è un termine che molti oggi applicano alla cultura della società contemporanea, proprio come il modernismo, era la cultura della società moderna. Alcuni studiosi hanno sostenuto che il postmodernismo costituisce una fase particolare, uno stile, del modernismo, invece che qualcosa di nuovo. Sia il modernismo, che il postmodernismo, affermano sono l'aspetto espressivo della modernità, definita come una società caratterizzata dalla produzione industriale, dall'avanzata divisione del lavoro, dagli scambi internazionali, e da un mondo vitale razionalizzato. Questa modernità, con i suoi oggetti culturali moderni o postmoderni, ha prodotto un contromovimento straordinariamente forte, di dimensioni mondiali. Si tratta dell'impulso verso il fondamentalismo religioso. Esso appare in molte forme e tutte le forme hanno il rifiuto della modernità o di certi aspetti di essa. Se la sociologia ha generalmente presunto una crescente secolarizzazione e i postmodernisti l'hanno celebrata, i fondamentalisti difendono gli ideali religiosi e i modelli sociali tradizionali che considerano legittimati dalla religione. CAPITOLO 3 – LA CULTURA COME CREZIONE SOCIALE La cultura ha significato. Gli oggetti culturali sono significativi per gli esseri umani che vivono in un mondi sociale. Il mondo sociale ha significato grazie alle lenti culturali con cui lo guardiamo. Ma chi crea gli oggetti culturali? Come prendono senso? Bessie Smith, considerata l'imperatrice del blues, fu colei che definì il classico stile blues degli anni venti. Con le sue doti vocali, il suo stile di vita trasgressivo e la sua popolarità sembra incarnare l'immagine dell'individuo eccezionale che crea oggetti culturali plasmando al suo volere forme espressive simboliche. Bessie prese come modello il canto popolare nero, lo ripulì e lo trasmise armoniosamente elaborato a un pubblico che stava al di là del Mississippi. La cantante che mette nel blues l'esperienza del suo popolo, il riformista che guida un movimento sociale basato su una nuova concezione di giustizia sociale, l'artista, il profeta, il poeta, queste figure sono riconosciute come creatori culturali. In momenti d'ispirazione, questi individui creano qualcosa di nuovo, qualcosa che può anche essere fastidioso. Questi individui dotati cambiano il mondo culturale in cui viviamo. E' difficile concepire la cultura come un qualcosa che proviene da un luogo, ci sembra che sia sempre esistita. I sociologi suggeriscono un'alternativa al “c'è sempre stato”, affermano che la cultura e le opere culturali sono creazioni collettive, e non individuali. DURKHEIM E LA PRODUZIONE SOCIOLOGICA Durkheim, sociologo francese di fine 800, è considerato con Weber e Marx, il terzo padre fondatore della sociologia. Secondo questi il mondo moderno sembrava frammentato, diviso. Il caos, l'anarchia sembrava poter essere reale. D. studiò tutto, dalla religione al suicidio, dai sistemi educativi ai metodi sociologici avevendo una domanda centrale in testa “cosa può tenere insieme la società?”. Pensò di aver trovato una risposta a questa domanda nella sua teoria della rappresentazione collettiva. Nella vita moderna le persone possono essere classificate in molti modi, per occupazioni, saperi credenze ecc. D. confrontò tutto questo con uno stato sociale precedente, meno differenziato che chiamò solidarietà meccanica, in cui la gente era integrata perchè aveva vite simili. Nei tempi antichi ogni membro di una società svolgeva lo stesso tipo di lavoro, seguiva la stessa religione, cresceva la prole, pensava e credeva, sperava e temeva più o meno allo stesso modo degli altri. Le credenze e le cognizioni condivise di un popolo costituivano la sua coscienza collettiva, e questa coscienza governava i suoi pensieri, i suoi atteggiamenti e le sue pratiche. Il cambiamento si verificò quando la società crebbe in dimensioni e densità e gli individui cominciarono a specializzarsi. La forma più ovvia più specializzazione è data dai diversi tipi di lavoro, ma si produsse anche una specializzazione istituzionale. Con le differenze come può stare insieme la solidarietà? D. considerò un ventaglio di possibili risposte a questa domanda. In alcuni casi sottolineò il bisogno della gente di fare scambi, uno stato che chiamò solidarietà organica: il contadino scambia i suoi prodotti con l'insegnante che a sua volte educa i suoi figli, come gli organi del corpo che si scambiano sostanze tra loro. In altri casi propose le associazioni professionali come una futura fonte di coesione. Pur non avendo mai dato un'unica soluzione a questo problema, credeva che ogni società dovesse avere qualche tipo di rappresentazione collettiva, qualche collante che dimostrasse ai suoi membri di essere tra lor interconnessi. La ricerca di D. lo condusse a prestare attenzione alla religione, che concepiva come il legame fondamentale tra gli uomini nei tempi antichi. Scrisse “le forme elementari della vita religiosa” verso la fine della sua carriera, quando il suo pensiero era passato da un'enfasi sulle influenze strutturali sul comportamento sociale ad un più accentuato interesse per la cultura e il significato. D. analizzò quella che considerava la religione più antica del mondo: il toteismo. Iniziò individuando tre ragioni per studiare le religioni primitive poiché pensò funzionalisticamente parlando che un'istituzione umana come la religione deve rispondere a dei profondi bisogni umani: 1) la rappresentazione collettiva 2) la distinzione tra sacro e profano 3) le origini del sacro 4) le conseguenze della religione D. sosteneva che la religione è alla base di tutte le categorie del pensiero, e la religione e le categorie sono tutte rappresentazioni collettive che esprimono realtà collettive. Sosteneva questo argomento osservando che gli uomini non possono concepire tempo e spazio indipendentemente da distinzioni socialmente condivise anche se sappiamo che sono arbitrarie e innaturali. La settimana di sette giorni, ad esempio, è una convenzione sociale delle società occidentali, che sappiamo essere artificiale e tuttavia ci è impossibile pensare al tempo senza ricorrere a questa convenzione. Sosteneva che tutte le categorie del pensiero, tutte le idee essenziali, sono sociali. Gli esseri umani sono duplici: abbiamo una componente biologica individuale e una componente sociale condivisa che è data dalla nostra partecipazione ad una coscienza collettiva, e le nostre categorie di pensiero derivano da questa seconda componente sociale. Di conseguenza, la religione e la cultura sono rappresentazioni collettive. Ma come fa la società, la collettività a far sentitre la sua presenza? D. rispose attraverso un'altra domanda “cosa hanno in comune tutte le religioni?” e si rispose che tutte credono in qualche essere sovrannaturale o divino, ma questa risposta non poteva essere giusta perchè c'era l'eccezione del buddismo. Allora trovò un'altra risposta: tutte le credenze religiose dividono il mondo in sacro e profano e il cuore della religione sta in questa separazione. D. identificò il nostro senso del sacro analizzando i totem, che sono al centro delle forme elementari di religione. Fece notare che molte delle società più semplici sono organizzate per clan, che sono gruppi di parentela distinguibili per nomi. Ciascuno di questi nomi rappresenta il totem del clan, che funziona da emblema di quest'ultimo, questa immagine o rappresentazione del clan è posta sulla sua proprietà e sui corpi dei suoi membri, soprattutto quando il clan si riunisce. Il totem è sacro e simboleggia il prinicpio totemico (noi diremo il Dio) e il clan. Il dio del clan è lo stesso clan. D. giustifica questa conclusione dicendo che la società fa sorgere il senso del divino attraverso: 1) il suo potere, il suo controllo su di noi 2) la sua forza positiva, quando un membro della società è in armonia con i suoi compagni, egli ha più fiducia, più coraggio, proprio come il fedele che crede di sentire gli sguardi di dio verso di lui. Si produce così una specie di sostegno continuo del nostro essere morale. Gli individui pensano che questo sostegno si debba a qualche causa esterna, a qualche forza sempre rappresentata con simboli religiosi, e risponde a questa forza con rispetto e timore. E' come se esistessero due tipi di realtà: quella associata alla forza (sacra) e quella associata alla quotidianità (profana). La forza religiosa non deriva da un totem o da un dio, ma dall'esperienza del sociale. La religione, pertanto, è il sistema di idee attraverso cui le persone rappresentano la loro società. E poiché la religione è la radice delle classificazioni attraverso cui apprendiamo il mondo, tutta la cultura umana diventa una rappresentazione del sociale. LA CULTURA COME RAPPRESENTAZIONE COLLETTIVA L'analisi di D suggerisce che tutti gli oggetti culturali sono rappresentazioni collettive, rappresentano la stessa esperienza sociale. Riconosciamo qua l'impronta funzionalista: i gruppi e le società hanno bisogno di rappresentazioni di se stesse per ispirare sentimenti di unità e solidarietà, e la cultura soddisfa questo bisogno. L'idea che la cultura rappresenti la società l'abbiamo già incontrata nelle teorie del riflesso. D. propone un quadro più completo di come gli oggetti culturali possano rappresentare la nostra esperienza del sociale in tutta la sua forza. La cultura, compresa la religione, è una rappresentazione collettiva in due sensi. In primo luogo, gli oggetti culturali da cui siamo partiti non sono semplicemente creati da un individuo di genio o ispirato da Dio, sono prodotti da individui che si relazionano ad altri, persone che lavorano, fanno festa, soffrono, amano. In secondo luogo, nei loro prodotti culturali, le persone rappresentano le loro partecipante, a questionari e interviste a dieci squadre di tre città, ha analizzato il modo in cui l'interazione sociale nel contesto della Little League: 1) socializzava i ragazzi ai ruoli dei maschi adulti 2) dando vita a ciò che Fine chiama “idiocultura o autocultura” del gruppo ad esempio, gli adulti davano molta importanza all'impegno. Esortavano la squadra a volere sempre di pià sostenendo che un ragazzo o una squadra dovevano voler vincere e che un giocatore deve sempre dare il meglio di sé. L'assunto non detto è che il successo o il fallimento dipende dalla motivazione interiore, dal carattere, e non dalla capacità fisica, dalla compatibilità delle competenze dei membri della squadra, o dalla fortuna. Gli stessi ragazzi enfatizzavano il comportamento adeguato, che essi facevano coincidere con l'espressione delle emozioni appropriare e il controllo emotivo. Sia gli adulti, sia i ragazzi, pertanto, socializzavano i membri della squadra d un particolare insieme di credenze circa il comportamento e le personalità mascolini. Queste credenze aiutavano a plasmare il comportamento e l'atteggiamento appropriato dei maschi adulti americani, compresa la convinzione che il successo è una questione di responsabilità individuale e non è dovuto al fato, all'aiuto esterno, ad abilità arbitrariamente distribuite o alle risorse fisiche. Inoltre, i ragazzi grandi non piangevano. In questo modo, le costruzioni culturali di genere vengono trasmesse ad una nuova generazione. La socializzazione in questa subcultura non sovverte, ma piuttosto esprime la socializzazione alla cultura più ampia. La discussione che Fine fa dell'idiocultura è incentrata meno sulla psicologia sociale e più sulle origini e sui fattori degli oggetti culturali, come le espressioni e i simboli condivisi. Le squadre della Little League di baseball sviluppano un elaborato codice linguistico e simbolico noto solo ai loro membri. L'idiocultura, pertanto, è la cultura del subgruppo: ricca di implicazioni, vivacizzata da simboli ed espressioni noti solo ai membri del gruppo, e utilizzati per separare questi dagli estranei. La cosa da notare dell'idiocultura della Little League è che, per quanto elaborata possa essere, viene costruita rapidamente e dura un periodo relativamente breve di tempo. L'ipotesi di Fine schematizzata: Il gruppo dei preadolescenti che interagiscono reagisce ai valori culturali generali come l'importanza della vittoria. Anche i più grandi partecipano ad un sistema culturale preadolescenziale, familiare ai giovani da una costa all'altra degli USA. Alcuni degli oggetti culturali in questo sistema provengono dai media, altri da istituzioni come i campi estivi in cui i ragazzi di diverse comunità si riuniscono e si scambiano informazioni. I ragazzi raccolgono messaggi degli adulti che sono sia diretti che indiretti, e sentono poi l'influenza delle pressioni biologiche, compreso un acuto imbarazzo verso le ragazze. La caratteristica più importante di questa subcultura è un disperato desiderio di star bene con gli altri, unita ad un senso di disprezzo per gli estranei. In un simile contesto, gli eventi vengono trasformati in cultura. Ma non tutti possono venire trasformati in oggetti culturali, affinchè un simbolo o un espressione entrino a far parte dell'idiocultura c'è bisogno che si basino su informazioni note, devono essere facilmente utilizzabili, essere appropriati e usati ripetutamente. Le subculture creano significato, producendo oggetti culturali che sono significativi per i membri del gruppo e incomprensibili agli estranei. Spesso enfatizzano il contrasto per costruire confini simbolici, modi per distinguere “quelli come me” e “ gli altri”. INNOVAZIONI CULTURALI E CAMBIAMENTO Le subculture possono quindi riprodurre la cultura dominante, altre volte nascono per cambiarla. Anche se si tratta di qualcosa di raro, di norma le subculture vogliono essere lasciate in pace. La risposta culturale al mutamento sociale non deve assumere per forza la forma di una società segreta o un movimento rivoluzionario, possiamo considerare l'adattamento culturale a circostanze che cambiano nel modo in cui le comunità reagiscono alle pressioni demografiche. Se la cultura riflette passivamente il mondo sociale, che è quanto il modello del riflesso solitamente presume, allora il cambiamento deve prima avvenire in quel mondo. In questa concezione le innovazioni devono essere tutte risposte ai cambiamenti sociali. Ogburn avanzò l'ipotesi del ritardo culturale, sostenendo che bisogna distinguere tra “cultura materiale” e “cultura adattiva”. La cultura materiale è proprio ciò che suona come tale: case, macchine, fabbriche, oggetti materiali. Quando cambia, cambia anche quella non materiale, che comprende pratiche, costumi, istituzioni sociali, deve cambiare come risposta. La cultura adattiva è quella parte di cultura non materiale che si adegua alle condizioni materiali. Ci vuole sempre un po' perchè questo adattamento si realizzi compiutamente, e questo scarto è il ritardo culturale. Ogburn credeva che i cambiamenti nella cultura materiale solitamente precedessero i cambiamenti nella cultura adattiva. In un certo senso, questo è vero per definizione, allo stesso tempo possiamo presentare molti esempi in cui è la cultura non materiale che guida le condizioni materiali. Le innovazioni culturali La creazione culturale è avvenuta, e un'innovazione culturale è stata istituita. Più in generale, l'approccio alla produzione collettiva alla cultura suggerisce che, sebbene le innovazioni possano realizzarsi casualmente e in forme non prevedibili, alcuni elementi costanti appaiono evidenti: 1) determinati periodi sono più favorevoli di altri alla produzione di innovazioni 2) anche le innovazioni seguono alcune convenzioni 3) alcune innovazioni hanno più probabilità di altre di essere istituzionalizzate Vi sono periodi di cambiamento relativamente contenuto, durante i quali le convezioni sono stabilizzate, le idee sono generalmente condivise da tutti e lo status quo non è in pericolo, il sé individuale e l'altro generalizzato sono in armonia. In altri periodi la creatività culturale esplode. I pensatori avanzano nuove idee e sistemi di idee che circolano tra uomini e donne interessati alla cosa pubblica. Gli artisti rifiutano le convenzioni dei loro generi. I comportamenti cambiano in ogni settore, dall'abbigliamento agli stili di vita alle mete occupazionali. Un'esplosione di un innovazione culturale porta alla creazione di un vuoto morale e in questa situazione la gente cerca nuove linee di condotta, nuovi significati con cui orientarsi nella vita. L'incapacità di trovare questi significati porta all'esperienza dell'anomia, del disorientamento che Durkheim attribuiva al rapido mutamento sociale. L'innovazione culturale emerge come risposta, riorienta gli individui e da ad essa sostegno nelle nuove circostanze. Per quanto alcuni periodi sembrino esibire più cambiamento culturale di altri, la seconda premessa dell'approccio alla produzione collettiva all'innovazione è che le innovazioni culturali possono non essere così nuove come sembrano a primo impatto. I creatori culturali reagiscono tipicamente a convenzioni più che ignorarle. Becker ha distinto 4 tipi di artisti: i professionisti integrati, gli individualisti ribelli, gli artisti naif e gli artisti folk. Tra questi, tre sono artisti convenzionali. Gli artisti folk seguono le convenzoni della loro arte, i professionisti integrati riproducono le convenzioni del loro particolare mondo artistico. Gli individualisti ribelli sfidano apertamente le convenzioni del mondo artistico, ma il punto cruciale è che la loro non convenzionalità può essere riconosciuta solo da quanti conoscono innanzitutto le convenzioni. Essi sono convenzionalmente non convenzionali. Solo gli artisti naif, che non sono collegati ad alcun mondo di produzione collettiva, possono dirsi innovatori indifferenti alle convenzioni, ma proprio la loro carenza di connessioni sociali rende il lavoro di questi artisti praticamente sconosciuto. Così, le loro innovazioni non hanno né pubblico né influenza. Il che ci conduce alla terza premessa: i creatori di cultura possono anche produrre qualcosa di nuovo, ma non tutte queste innovazioni si consolideranno. Lo abbiamo visto nello studio di Fine sulla Little League: un nuovo simbolo o soprannome scomparirà a meno che non vi siano condizioni che gli consentono di affermarsi, di essere usato, funzionale, adatto, e ripetutamente espresso. Il caso di Bettie era un canto innovativo, ma questa non era la sola ragione del suo successo,, esso divenne popolare solo grazie ad uno specifico insieme di condizioni. Per quanto il suo genio potesse essere solo suo, la sua creazione era comunque sociale. CAPITOLO 4 PRODUZIONE, DISTRIBUZIONE E RICEZIONE DELLA CULTURA L'approccio sociologico alla cultura sostiene che le pratiche o gli oggetti che sembrano naturali, addirittura inevitabili, non lo sono. Come il ciliegio di Marx, essi hanno una storia radicata in relazioni sociali. (statuine eschimesi) Gli oggetti culturali non sono semplicemente i prodotti naturali di qualche LA PRODUZIONE DI IDEE La riflessione sulla produzione di cultura spesso si basa sul modello dell'industria culturale dove i prodotti culturali in questione escono dalla catena di montaggio pronti per il consumo di massa. L'immagine di base degli oggetti culturali che richiedono creatori e ricevitori e che hanno relazioni col mondo sociale che li produce e riceve non cambia sia che parliamo di ideologia, sia di videogiochi. I creatori producono una quantità in eccesso di tutti gli oggetti culturali, essi competono per l'attenzione al pubblico allo stesso modo, che questa assuma la forma di una fede, di una canonizzazione, di contatti o di vendite. I grandi successi sono imprevedibili, ma quali sono gli oggetti culturali che arrivano ad avere influenza sociale e quali si perdono per strada? Diversi sociologi hanno suggerito che alcuni periodi e luoghi sono più ricchi di produzione ideologica. Swidler sostiene una tesi analoga quando afferma che in tempi normali le persone tirano avanti con pezzi di ideologie, frammenti culturali magari incoerenti, ma durante i tempi instabili le persone vogliono chiarezza e coerenza ideologica. Dal momento che vi è un eccesso di offerta ideologica, le idee devono competere per le risorse. Wuthnow descrive la competizione tra le risorse come selezione, usando una metafora darwiniana per suggerire perchè alcuni movimenti ideologici sopravvivono e il resto muore. La selezione che ha successo diventa stabile attraverso l'istituzionalizzazione, quando diventa prassi. Non tutte le idee promettenti ottengono il premio dell'istituzionlizzazione. Nel modello di Hirsch, possiamo chiamare i recettori o ricevitori culturali, il sottosistema di produzione dell'interpretazione. LA RICEZIONE Nonostante tutte le strategie adottate dalle maggiori aziende all'interno dei sistemi dell'industria culturale, rimane un grande margine di incertezza. Idee brillanti cadono di fronte a orecchie che non vogliono sentire. Il successo finale di un oggetto culturale dipende dai suoi spettatori, dai ricevitori culturali che da esso ricavano i loro significati. Perchè nonostante il significato di un oggetto possa essere suggerito inizialmente dalle intenzioni dei suoi creatori, chi riceve l'oggetto ha l'ultima parola. Dobbiamo perciò considerare come e con quale grado di libertà i ricevitori rendono significativi gli oggetti culturali. Le nostre menti sociali foggiano ciò cui prestiamo attenzione, ciò che ci emoziona, i significati che traiamo dai segnali dell'ambiente. Il punto è che per concepire la ricezione degli oggetti culturali, dobbiamo comprendere che questa ricezione, il significato tratto dagli oggetti culturali, non è fermamente e incontestabilmente inserito nell'oggetto stesso. Gli attributi sociali delle persone, le loro posizioni in una struttura sociale, condizionano quello che piace loro, quello cui danno valore e persino quello che in prima istanza riconoscono. La ricerca sociale conferma ziò che l'osservazione comune mostra: diversi tipi di persone guardano, comprano, amano, usano, leggono e credono in diversi oggetti culturali. Molte ricerche confermano l'esistenza della stratificazione culturale. Comunque, il nesso tra gusto culturale e posizione socioeconomica non è sempre diretto, molti oggetti culturali attraversano i confini di classe, genere, etnia, religione. Per questo, Gans ha proposto di denominare il pubblico o i ricevitori di qualunque oggetto culturale “cultura di gusto”, senza presumere nulla circa le loro caratteristiche sociali o demografiche. Inoltre, gli strati sociali differiscono nell'ampiezza della loro partecipazione alla cultura (i ricchi partecipano più intensamente alla cultura). Così come non si sceglie la cultura di gusto a cui si partecipa, neppure si scelgono le conseguenze che da questa derivano. Un potente teoria sulle conseguenze del gusto è stata elaborata da Bourdieu secondo cui la cultura può esser considerata una forma di capitale. Come il capitale economico, il capitale culturale può essere accumulato e investito, inoltre, esso può essere convertito in capitale economico. Bourieu ha tracciato una mappa del sistema di rapporti tra il capitale economico e quello culturale, a volte c'è corrispondenza, altre le due forme di capitale sono in conflitto. Poichè si crede che il capitale culturale sia importante, i gruppi sociali hanno naturalmente la tendenza a inflazionare il valore di ciò che essi già possiedono e a cercare di impedire ad altri gruppi di possederne. Quindi, la ricezione di diversi tipi di oggetto culturale è spesso stratificata per classe sociale, la gente può consapevolmente o inconsciamente utilizzare la cultura per difendere i propri vantaggi sociali o per superare gli svantaggi. Si noti che il secondo punto non dipende dal primo. Jauss ha offerto ai sociologi una chiave di lettura utile per comprendere la ricezione culturale. Contribuendo alla formulazione della teoria estetica della ricezione letteraria nel corso degli anni 70, ha rilevato che quando un lettore prende un libro, non si relaziona ad esso come fosse un recipiente vuoto che attende di essere riempito dal suo contenuto. Piuttosto, egli colloca il libro entro un orizzonte di aspettative plasmato dalla sua precedente esperienza letteraria, culturale, e sociale. Un lettore interpreta il testo sulla base di come si adatta alle sue aspettative o le mette in discussione. Costruendo il significato del testo, egli finisce al contempo per modificare il suo stesso orizzonte di aspettative. Questa teoria consente di connettere l'aspetto sociale e quello culturale presenti nel processo di costruzione di significato. Il concetto di orizzonte di aspettative, va ben oltre la letteratura e ci aiuta a comprendere come un oggetto culturale possa venire interpretato da persone con conoscenze ed esperienze sociali e culturali diverse. Esso suggerisce, inoltre, che ogni evento può essere trasformato in un oggetto culturale attribuendogli un significato. Si consideri ciò che a prima vista sembrerebbe essere non un oggetto culturale, ma un evento fattuale drammatico: la morte di un bimbo. Negli USA è tragico, in uno slum brasiliano, può significare “una creatura non destinata alla vita”. Molte considerazioni su come i produttori di significato cercano di attirare l'attenzione dell'orizzonte di aspettative di un gruppo di ricevitori usano il modello del framing. Se i creatori culturali riescono a dare al loro prodotto o messaggio una forma che ne evoca una che già appartiene al pubblico, è più facile che persuadano tale pubblico a comprare. La propaganda politica funziona così.ù Delle volte i creatori di oggetti culturali non hanno idea di come essi verranno ricevuti. LA LIBERTA D'INTERPRETAZIONE CULTURALE Nel momento in cui gli esseri umani hanno esperienza di oggetti culturali, essi reagiscono, costruiscono interpretazioni, elaborano significati. Ma con quanta libertà costruiscono questo senso? Possono esserci due risposte antitetiche: 1) si può costruire qualunque significato 2) si deve sottostare ai significati che sono intrinseci all'oggetto culturale Ad un'estremo abbiamo una libertà illimitata, il ricevitore può produrre significati praticamente indipendenti dallo stesso oggetto culturale. Questa concezione secondo cui i ricevitori possono far significare agli oggetti culturali qualsiasi cosa nega autonomia agli stessi oggetti culturali. Assume che non vi siano distinzioni, che non vi siano rappresentazioni culturali migliori o peggiori, più ricche o più povere, ma che vi siano solo tipi di persone diverse che fanno esperienza di oggetti culturali attribuendo ad essi significati differenti. Il significato diventa così in assoluto una funzione della mente del ricevente. Questa posizione nega alla cultura il ruolo di rappresentazione collettiva. Se tutto si equivale, se l'interpretazione di ogni individuo è buona come quella successiva, allora viene meno la capacità della cultura di funzionare come mezzo attraverso cui le persone comunicano, perpetuano e sviluppano il loro sapere e il loro atteggiamento verso la vita. All'estremo opposto, i significati culturali sono strettamente controllati e i ricevitori non hanno virtualmente alcuna libertà d'interpretazione. Secondo questa concezione, gli estranei ad una cultura non possono intenderla, gli studiosi e gli specialisti possono faticare a estrapolare il significato nascosto di un testo o di un simbolo, ma esiste comunque un significato. Una simile convinzione è stata denominata “superstizione del significato giusto”. Anche se un creatore di una cultura può puntare su una particolare interpretazione o reazione a un'opera, la nostra esperienza ci dice che la gente differisce enormemente. Il significato diventa così in assoluto una funzione della mente del ricevente. Se tutto si equivale, se l'interpretazione di ogni individuo è buona come quella successiva, allora viene meno la capacità della cultura di funzionare come mezzo attraverso cui le persone comunicano perpetuano e sviluppano il loro sapere e il loro atteggiamento verso la vita. All'estremo opposto, l'altra posizione sostiene che i significati culturali sono strettamente controllati e che i ricevitori non hanno virtualmente alcuna libertà d'interpretazione. Secondo questa concezione gli estranei ad una cultura non possono intenderla, gli studiosi e gli specialisti possono faticare a estrapolare il significato nascosto di un testo o di un simbolo, ma esiste comunque un significato. Una simile convinzione è stata denominata “superstizione del significato giusto”. Anche se un creatore di cultura può puntare su una particolare interpretazione o reazione ad un'opera, la nostra esperienza ci dice che la gente differisce enormemente nelle sue risposte ad un dato oggetto culturale. Posiamo supporre che ogni epoca, e ogni gruppo in una particolare epoca abbia
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