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SOCIOLOGIA DELLA CULTURA - WENDY GRISWOLD, Dispense di Sociologia Dei Processi Culturali

Riassunto del libro di Wendy Griswold Sociologia della Cultura. Mancano solo gli ultimi due capitolo poichè non erano necessari.

Tipologia: Dispense

2021/2022

Caricato il 27/11/2023

Armando_Filippa
Armando_Filippa 🇮🇹

4.4

(12)

5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica SOCIOLOGIA DELLA CULTURA - WENDY GRISWOLD e più Dispense in PDF di Sociologia Dei Processi Culturali solo su Docsity! SOCIOLOGIA DELLA CULTURA WENDY GRISWOLD CAPITOLO 1 – LA CULTURA E IL DIAMANTE CULTURALE 1- DEFINIZIONI: DUE MODI DI GUARDARE LA CULTURA Quando si parla di cultura, secondo un uso del termine popolare, spesso ci si riferisce a qualcosa di molto ampio e generale. Ma, quando si tratta di utilizzare questo concetto in ambito scientifico ed accademico, allora il suo significato diventa sicuramente più dettagliato e selettivo. Ad esempio, i sociologi, quando parlano di cultura, si riferiscono a norme, valori, credenze e simboli espressivi. Ad un livello generale accademico, esistono due scuole di pensiero relativamente alla cultura: quella delle discipline umanistiche e quella delle scienze sociali. Entrambe sono connesse tra di loro, e per capirne una bisogna confrontarla con l’altra. Però, prima di comprendere queste due scuole di pensiero, è necessario effettuare una precisazione: nel mondo reale cose come “cultura” e “società” non esistono, esse sono due aspetti dell’esperienza umana, dove per cultura s’intende l’aspetto espressivo di questa esperienza mentre per società s’intende quello relazionale. Quando si analizza un “oggetto” culturale o un comportamento, bisogna farlo considerando entrambi gli aspetti. 1.1-Quanto di meglio è stato pensato e conosciuto (pensiero umanistico) Nell’uso comune il termine cultura è spesso riferito alle belle arti, allo spettacolo o alla letteratura seria. In questo caso, la cultura viene chiamata “cultura alta”, opposta a quella popolare, folk o di massa, e implica uno status sociale elevato. Questa associazione è il risultato della corrente di pensiero umanistica, in cui la cultura viene tradizionalmente considerata una sfera di valore superiore e universale. Diversa era la definizione che gli intellettuali del diciannovesimo secolo davano al termine “civiltà”, che indicava i progressi tecnologici della rivoluzione industriale e le trasformazioni sociali degradanti che accompagnavano l’industrializzazione (abitazioni sudicie, fabbriche che sprigionavano fumo nell’aria, persone trattate come pezzi di ricambio, valore delle persone basato solo su basi economiche), che essi utilizzavano per esprimere come la cultura rappresentava qualcosa di totalmente diverso, e che racchiudendo le espressioni più belle e assennate della creatività umana rappresentava il polo positivo dell’essere umano e la salvezza degli uomini ultracivilizzati. Tuttavia, tra tutte le culture che ci sono e c’erano, la riflessione veniva poi indirizzata verso la comprensione di quale cultura poteva meglio rappresentare la salvezza dell’essere umano, e anche se la cultura Europea occidentale potesse essere considerata come l’apice dell’esperienza umana. Matthew Arnold, studioso inglese, intervenne formulando una teoria universale del valore di cultura: egli criticava i valori della cultura europea, soprattutto quella inglese, basata su uno stupido materialismo, il culto delle macchine e della libertà (quindi industrializzazione e democrazia) che, anche se avessero dei fini positivi, rischiavano di non restituire alla popolazione una giusta guida di “salvezza”. La cultura, d’altra parte, secondo Arnold era uno studio della perfezione, e poteva rendere la civiltà più umana restituendo bellezza e saggezza. Caratteristiche che la cultura produceva sia dalla consapevolezza e dalla sensibilità nei confronti di ciò che di meglio è stato pensato e conosciuto nell’arte, nella letteratura, nella storia e nella filosofia, e sia da una ragione giusta, ovvero un’intelligenza aperta, flessibile e tollerante. Perciò, la cultura poteva essere uno strumento educativo per armonizzare la vita delle persone apportando idee morali, in una civiltà che tendeva a disumanizzare e creare sofferenza. Dello stesso parere era anche Max Weber che, in una sua opera in cui criticava la “scienza”, sosteneva che le persone, per trovare un senso alla loro vita, dovevano rivolgersi appunto alla cultura. 1.2-Quell’insieme complesso (pensiero scienze sociali) Nel diciannovesimo secolo, intanto, si stava formando anche il pensiero delle scienze sociali che andava contro il pensiero umanistico proposto da Matthew Arnold. Questo pensiero partiva da una consapevolezza secondo cui non bisognava parlare di cultura come se fosse una sola, ma di culture, al plurale, poiché ogni nazione e ogni comunità all’interno delle nazioni avevano la propria e meritevole cultura. Questo modo di pensare fù introdotto da Edward Burnett Tylor, che in una sua opera affermò: la cultura, o la civiltà, presa nel suo più ampio significato etnografico, è quell’insieme complesso che include il sapere, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume, e ogni altra competenza e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società. Tuttavia, questo modo di definire la cultura era troppo ampio per le scienze sociali, che dovevano cercare di individuare per bene l’oggetto di analisi. Così, si decise inizialmente di distinguere cultura esplicita e cultura implicita: per cultura esplicita si intende s’intende quel tipo di cultura che viene prodotta dalle persone, mentre invece per cultura implicita si intendono quelle caratteristiche che fanno già parte di una persona e che determinano il fondamento dell’azione. Comunque, le due scuole di pensiero dominanti delle scienze sociali sono il funzionalismo ed il marxismo: entrambe queste due teorie, seppure diverse, condividono entrambe l’“assunto della forte congruenza”, che sostiene esista una forte congruenza tra cultura e società, l’unica differenza è che per il funzionalismo è la cultura ad influenzare la società mentre per i marxisti è l’opposto. 2-CONNESSIONI: I LEGAMI TRA CULTTURA E SOCIETA’. Per utilizzare insieme le prospettive umanistica e sociologica nell’analisi della cultura e per esaminare i fenomeni culturali è necessario comprendere e conoscere gli strumenti concettuali: 2.1-L’oggetto culturale. Un oggetto culturale è un significato condiviso incorporato in una forma, o meglio, è un’espressione significativa che è udibile, o visibile, o tangibile, o articolata. Un’oggetto culturale racconta una storia, che può essere espressa in qualsiasi modo. Un’oggetto culturale non ha una sua “categoria” materiale, ma può essere di tutto: un modo di dire, un oggetto, un’opera d’arte, un modo di fare “le cose”, e così via. A livello analitico, sicuramente rappresenta uno degli elementi più importanti nell’analisi di un contesto, però esso fa parte di sistema culturale molto più ampio. Per comprendere meglio il quadro generale di una cultura serve allora uno strumento che riesca a mettere insieme gli elementi più importanti di questo sistema. 2.2-Il diamante culturale. Gli oggetti culturali non esistono a prescindere, ma sono, inizialmente, creati da esseri umani e successivamente, per diventare appunto oggetti culturali, devono essere riconosciuti e promulgati da una popolazione ricevente. Sia i creatori che i ricevitori, devono essere compresi in un “mondo sociale”, che è un’espressione con cui si intendono i modelli e i bisogni economici, politici, sociali e culturali che caratterizzano un particolare punto nel tempo. per analizzare la cultura, allora, si è creato uno strumento che potesse mettere insieme gli elementi più importanti per comprendere se esiste una relazione. Lo strumento si chiama “diamante culturale”, ai quali vertici troviamo 4 elementi: i creatori, gli oggetti culturali, i ricevitori ed il mondo sociale. Questo strumento, non ci dà una piena comprensione esaustiva di un contesto culturale, ma ci dà le indicazioni per affermare se esiste una relazione tra gli elementi, così dà orientare l’analisi. Per avere una comprensione di un fenomeno culturale, poi bisogna analizzare gli nello specifico antropologia degli elementi e delle relazioni. Una volta che abbiamo capito i punti e i legami specifici del diamante, possiamo dire di avere una comprensione sociologica di quell’oggetto culturale, e una volta che abbiamo un’opinione sul modo in cui l’oggetto culturale si adatta al suo contesto, siamo sulla buona strada per capire la cultura nel suo insieme. CAPITOLO 2 – IL SIGNIFICATO CULTURALE 1- Perché abbiamo bisogno del significato? Tutti gli esseri viventi agiscono secondo delle istruzioni codificate nei loro geni. Tuttavia c’è una differenza tra la maggior parte degli animali e gli esseri viventi, che sono psicologicamente incompleti alla nascita. Infatti, mentre ad esempio un gatto, subito dopo essere stato svezzato, riesce a sopravvivere da solo, mentre gli esseri umani no, poiché i propri codici genetici non danno informazioni sufficienti alla sopravvivenza. Gli esseri umani devono imparare a vivere, e l’apprendimento è un processo sociale di interazione e socializzazione attraverso cui si trasmettono i modelli culturali. Senza la direzione dei modelli culturali, il comportamento dell’uomo sarebbe praticamente ingovernabile, un puro caos di azioni senza scopo e di emozioni in tumulto. Così l’analisi sociologica della cultura parte dalla premessa che quest’ultima offre orientamento, protegge dal caos e dirige il comportamento verso determinate linee di azione e lontano da altre. La cultura fornisce significato e ordine attraverso l’uso di simboli, laddove ciò che abbiamo designato come oggetti culturali sono arricchiti di significati oltre e al di là della loro utilità materiale. 2- Cultura e significato nella teoria del riflesso. Una volta determinata l’importanza degli oggetti culturali e del significato che essi hanno, bisogna comprendere come si sviluppa questo significato. Questa ricerca è stata già effettuata dagli studiosi, che spiegano questo sviluppo sia con la teoria funzionalista che anche con quella marxista. Entrambe questa correnti di pensiero, in questo caso, possono essere considerate come due versioni della teoria del riflesso, in cui la cultura è concepita come un riflesso della vita sociale. Più avanti intervenne anche Max Weber, invertendo il riflesso: è la vita sociale che riflette la cultura! 2.1- La cultura come specchio. L’assunto sottostante l’idea della cultura come riflesso è semplice: la cultura è lo specchio della realtà sociale. Una definizione che è stata anche considerata come “migliore” dalla sociologia della cultura, e considera il contrario, ovvero che la società riflette la cultura, solo come una conseguenza secondaria del primo riflesso. 3- successivamente, cercando di comprendere le origini che creano il sacro, e che quindi rendono il totem sacro, lo studioso individuò quello che era il fulcro della sua analisi culturale: di certo le origini del sacro non derivano dall’animale stesso, ma dallo stesso clan. Infatti, il totem simboleggia sia il principio totemico, ovvero il dio diremmo noi occidentali, che anche il clan. E se il totem è allo stesso tempo il simbolo di dio e del clan, è perché dio e clan sono la stessa cosa, quindi il dio del clan è lo stesso clan. Egli sosteneva questa idea poiché credeva che è la società a far sorgere il senso del divino negli esseri umani, e lo fa attraverso il potere di causare o inibire le nostre azioni indipendentemente dall’utilità individuale, e attraverso la sua forza positiva, per l’azione rafforzatrice e vivificante della società: quando un membro della società è in armonia morale con i suoi compagni, egli ha più fiducia, più coraggio, più ardimento nell’azione, esattamente come il fedele che crede di sentire gli sguardi del suo dio rivolti benevolmente verso di lui. Si produce così una specie di sostegno continuo del nostro essere morale. Gli individui credono che questo sostegno si debba a qualche causa esterna, a qualche forza rappresentata con simboli religiosi, e risponde a questa forza con timore e rispetto. 4- il sacro, quindi, induce alla credenza di una forza morale superiore da cui gli individui dipendono. Ma questa forza morale, non è data dal simbolo religioso ma dalla stessa società che lo attribuisce al simbolo religioso. La forza religiosa, infatti, non deriva da un totem o da un dio, ma dall’esperienza del sociale. La religione, pertanto, è il sistema di idee attraverso cui le persone rappresentano la loro società. E poiché la religione è la radice delle classificazioni attraverso cui apprendiamo il mondo, tutta la cultura umana diventa una rappresentazione del sociale. 1.3-La cultura come rappresentazione collettiva. L’analisi di Durkheim, suggerisce quindi che tutti gli oggetti culturali sono rappresentazioni collettive. Un’idea simile a quella espressa dalla teoria del riflesso. Tuttavia, anziché prendere per buona una corrispondenza riflessiva spontanea, lo studioso cerca di spiegare come avviene questa “riflessione”. Innanzitutto, tutti gli oggetti culturali non sono creati da dio o da geni sovraumani, ma sono prodotti da individui che si relazionano ad altri individui e che “vivendo”, fanno esperienza, e la rappresentano sotto forma di oggetti culturali. 2- La produzione collettiva della cultura. L’applicazione della prospettiva durkheimiana costituisce “l’approccio della produzione collettiva ai significati culturali”. Questo approccio cerca di svelare il mistero della creazione dell’arte, delle idee, delle credenze, della religione e della cultura in generale mostrando le innumerevoli attività sociali coinvolte nella formazione di ciò che chiamiamo oggetti culturali, quindi cerca di svelare i meccanismi attraverso cui la società cerca di autorappresentarsi. La produzione collettiva si sviluppa in due direzioni: una comprende le interazioni tra gli individui e il modo in cui queste stesse interazioni generano cultura. Questa direzione ha le sue radici nella branca della psicologia sociale che è nota come interazionismo simbolico. L’altra direzione si basa invece sull’organizzazione dei produttori e dei consumatori culturali, includendo qui le industri culturali, i meccanismi della distribuzione e i mercati per i produttori culturali. 2.1- L’interazionismo simbolico. La maggior parte delle tradizioni della teoria sociale assumono le cose come date. Per esempio, pur potendo cercare di spiegare come le norme di una società costringano i membri di questa ad agire il in modo e non in un altro, la norma stessa è assunta solitamente come un dato. Oppure, potremmo esaminare alcuni ruoli, come quello di insegnante o di madre, per vedere come vengono svolti, ma i ruoli stessi vengono in gran parte dati per acquisiti. L’interazionismo simbolico è interessato al modo in cui l’individuo costruisce attivamente le proprie norme e i propri ruoli. La prospettiva di fondo degli interazionisti è che il sé dell’uomo si crea dall’interazione sociale. Uno dei primi teorici di questa scuola è stato Charles Horton Cooley, che nel 1902 coniò l’espressione <specchio del sé>. Secondo Cooley, un’interazione contempla tre fasi: 1- il sé immagina la reazione di un altro alla sua apparenza; 2- il sé immagina il giudizio dell’altra persona alla sua azione; 3- il sé ha una reazione emotiva, di orgoglio o di vergogna, a questo giudizio. Questo meccanismo crea poi la norma comportamentale per rafforzare o compensare il comportamento dell’individuo, quindi crea oggetti culturali. Una volta creati, gli oggetti culturali sono riprodotti e trasmessi attraverso la loro ripetuta espressione e attraverso la socializzazione dei nuovi membri del gruppo. Prendiamo un classico lavoro interazionista di Howard Becker sul modo in cui si impara a fumare la marijuana. Molti pensano che l’eccitamento sia una risposta biologica alla marijuana: il fumo della foglia di cannabis provoca eccitazione nel fumatore. Al contrario, osserva Becker, deve realizzarsi un complesso processo di apprendimento sociale per reagire alla marijuana. Il fumatore neofita interagisce con consumatori più esperti. Da questi fumatori più esperti, i neofiti apprendono come fumare, cosa provare e di cosa godere. Se il processo interattivo viene meno, è probabile che il neofita non sviluppi l’abitudine o il gusto per la marijuana. Ma quando tutti i processi di interazione sono completati, il neofita sarà stato socializzato al fumo della marijuana e potrà procedere nella sua identificazione con la subcultura del fumo. Come dice Becker, il fumatore diventa un consumatore di marijuana, e il fumo diventerà parte della sua identità. L’identità è un concetto chiave per nell’approccio all’interazionismo simbolico. L’identità o il senso del sé viene prodotta dalle interazioni con altri e richiede la conferma degli altri; il sé cerca di proiettare un certo insieme di significati costruiti dai partner nell’interazione. Goffman analizza questo processo impiegando le metafore delle performance teatrali: quando interagisce, il sé è un attore che recita un ruolo davanti a un pubblico. Se la performance ha successo, il sé vede confermata una certa identità sia nei confronti dei partner dell’interazione sia verso sè stesso. 2.2- Subculture. Gli individui, non sono semplicemente membri di un singolo gruppo o comunità, ma di una pluralità di essi. Spesso possono far parte di subculture. Come suggerisce il nome, una subcultura esiste entro un più ampio sistema culturale e ha contatti con la cultura esterna. Entro il dominio della subcultura, comunque, funziona un potente insieme di simboli, significati e norme comportamentali, a volte in contrasto con la cultura dominante, che sono vincolanti per i membri della subcultura. Le subculture, con i loro sofisticati simboli e significati, sono prodotti da persone che interagiscono e pertanto sono state di grande interesse per i sociologi che si ispiravano all’interazionismo simbolico. Fine, per esempio, ha studiato come i membri delle squadre di baseball della Little League producessero subculture temporanee. In sostanza, la trasmissione delle credenze e saperi degli adulti ai giovani, aiutava a plasmare il comportamento e l’atteggiamento appropriato dei maschi adulti americani. In questo contesto, l’interazione sociale, che socializzava i ragazzi ai ruoli di maschi adulti, dava vita a ciò che Fine chiama la “idiocultura o autocultura” del gruppo, ovvero la cultura del sub gruppo. CAPITOLO 4 – PRODUZIONE, DISTRIBUZIONE E RICEZIONE DELLA CULTURA 1- La produzione della cultura Ciò che ormai sembra chiaro e compreso è che la cultura è una rappresentazione collettiva. Ma per comprendere meglio la cultura e la società è necessario effettuare comprendere anche come questa cultura viene prodotta, diffusa e acquisita. 1.1-Il sistema dell’industria culturale Innanzitutto, per iniziare ad vere una visione generale della cultura, bisogna comprendere come questa viene prodotta. Per farlo, Paul Hirsch ha creato un modello chiamato “sistema dell’industria culturale”, che in sostanza è l’insieme di organizzazioni che producono articoli culturali di massa (dischi, libri di facile lettura e film a basso costo). Secondo l’autore, gli articoli culturali di massa condividono tutti quanti tre caratteristiche: l’incertezza della domanda, una tecnologia relativamente economica, un’eccedenza di creatori culturali. Il funzionamento di questo modello non è molto complicato: nella parte iniziale troviamo il sottosistema tecnico che comprende gli artisti creativi, che sviluppano input, ovvero creazioni, che deve superare il filtro 1, e cioè arrivare al secondo sottosistema, quello manageriale. Qui, troviamo tutte le organizzazioni che producono effettivamente il prodotto (case editrici, studi cinematografici ecc), e che devono far superare, ad uno fra i tanti prodotti, il filtro 2 tramite i gestori di confini che promuovo il prodotto per arrivare all’altro sottosistema. Il terzo soggetto, quindi, che entra in gioco in questo modello è il sottosistema istituzionale, che è formato da tutti quei soggetti, in generale facente parte dei media o che hanno modo di poter interfacciarsi con una buona parte di popolazione, che possono divulgare il prodotto finale ed influenzare l’ultimo soggetto del sistema: i consumatori. Durante questo percorso che può subire un prodotto, avvengono quindi due tipi di feedback: il primo dal sottosistema istituzionale ed il secondo dai consumatori. Se ci sono dei feedback positivi, quindi il prodotto viene consumato, allora la produzione è riuscita. L’utilità di questo schema, però, non viene attribuita solo ai prodotti culturali di massa, ma può essere utilizzato anche per comprendere come delle idee, o ogni altro oggetto culturale, può affermarsi nella società e quindi instaurare un’innovazione culturale. Tuttavia, nonostante i feedback ed il lavoro dei soggetti partecipanti a questo schema, non si può mai stabilire con certezza la riuscita di un prodotto, ma rimane sempre una certa incertezza del mercato che potrebbe poi determinare la riuscita o l’insuccesso di un prodotto, indipendentemente dallo studio che ne è stato fatto. 1.2-Mercati culturali Una volta prodotto, quindi, un oggetto culturale entra dentro un mercato culturale. I mercati culturali rispecchiano la società, nel senso che se un mercato esiste è perché trova dei suoi consumatori che lo alimentano. Però, i mercati culturali non sono mai qualcosa di fisso e stabile, ma possono modificarsi sia dalla spinta dei cambiamenti sociali i quali richiedono un adeguamento del mercato, e sia dalla spinta dei mercati stessi che concentrato la loro produzione verso un oggetto specifico che viene messo in pericolo dai cambiamenti e dalla produzione di altri mercati. Ciò che può essere assunto come un fatto, è che i mercati devono sempre relazionarsi al sociale, altrimenti non avrebbero una vita lunga o un grande seguito. Viene di conseguenza che in periodi di crisi o cambiamenti, come la modernizzazione, l’urbanizzazione, guerre, pestilenze, rivoluzioni economiche, rappresentano le occasioni migliori di creatività culturale in cui gli oggetti prodotti possono avere un maggiore impatto. 2- La produzione di idee Come si diceva, il concetto e lo schema di industria culturale comprende prevalentemente i prodotti culturali di massa, ma lo stesso schema avvenire anche per le idee. Questo avviene, com’è stato osservato, maggiormente nei periodi di rottura dell’ordine morale, in cui il vecchio modo di fare le cose sembra non soddisfare più le popolazioni che quindi vanno alla ricerca di nuove idee ed ideologie. Ma, anche le idee sono soggette a concorrenza come gli oggetti. Avviene quindi una sorta di selezione darwiniana delle idee, in cui quelle che riescono ad avere una maggiore riconoscenza, e quindi un maggiore adattamento all’ambiente, arrivano ad essere istituzionalizzate entrando nella prassi della vita delle persone. In questo caso, l’innovazione culturale è avvenuta anche sotto forma di ideologie. 3- La ricezione. Come si diceva, nonostante tutte le strategie dei produttori culturali, resta sempre una grande incertezza del mercato. Ciò che bisogna capire, allora, è come alcuni oggetti culturali diventano significativi per la popolazione ricevente. Per la sociologia, un postulato di base della ricezione è quello della “mente sociale”. Le menti sociali, essendo gli individui parte di un gruppo, determinano ciò a cui noi prestiamo attenzione, ciò che ci emoziona, i significati che traiamo dai segnali dell’ambiente. Possiamo pensare ai differenti modi in cui diversi tipi di persone, appartenenti e tipologie e gruppi diversi, vedono le cose. Queste differenze sono in buona parte prodotti prevedibili della mente sociale. 3.1- i pubblici e le culture di gusto. La ricerca sociale conferma che diversi tipi di persone hanno interessi diversi, e spesso, queste diversità, vengono determinate dalla posizione socioeconomica di un soggetto. Tuttavia, il nesso tra gusto culturale e posizione socioeconomica non è sempre diretto. Per questa ragione si è deciso di denominare la popolazione ricevente degli oggetti culturali come “cultura di gusto”, senza presumere nulla sulle caratteristiche socioeconomiche. Comunque, è un fatto che la partecipazione ad una cultura di gusto porta con sé delle conseguenze. Un sociologo francese, Pierre Bourdieau, ha elaborato una teoria sulle conseguenze del gusto, secondo cui la cultura può essere considerata una forma di capitale, che può essere accumulato, investito o anche convertito in capitale economico. Il capitale culturale, derivante quindi dalla propria, o dalle proprie, cultura di gusto può dare tante informazioni ad un individuo, il quale poi è libero di utilizzarle come preferisce: creare maggiori relazioni, aprirsi ad altre culture, chiudersi verso il diverso e tante altre cose. Un aspetto interessante viene mostrato dai partecipanti delle classi medie che vengono definiti degli onnivori culturali. Differentemente dai ceti alti, che s’interessano ad una cultura d’élite, e differentemente dai ceti bassi, che s’interessano maggiormente ad una cultura popolare, chi sta nel mezzo può viaggiare tra tutti i tipi di culture, riconoscendosi sia nell’una che nell’altra. 3.2- Orizzonti di aspettative. Un concetto importante che fa parte del mondo della cultura, è quello di orizzonte di aspettative. Questo concetto, è stato introdotto da Hans Robert Jauss, critico letterario tedesco, è risulta molto utile per comprendere la ricezione culturale. Sviluppando una sua teoria sulla ricezione letteraria, egli ha rilevato che quando un lettore prende un libro non si relaziona ad esso come fosse un recipiente vuoto che attende di essere riempito dal suo contenuto. Piuttosto, egli colloca il libro entro un “orizzonte di aspettative” plasmato dalla sua precedente esperienza letteraria, culturale e sociale. Un lettore dà significato al testo sulla base di come si adatta alle sue aspettative o le mette in dubbio, e mano a mano che dà significato al testo egli finisce al contempo di modificare il suo stesso orizzonte di aspettative. Il concetto di orizzonti di aspettative, va ben oltre la letteratura e ci aiuta a comprendere come un oggetto culturale possa venire interpretato da persone con conoscenze ed esperienze sociali e culturali diverse, e suggerisce inoltre che ogni evento può essere trasformato in un oggetto culturale attribuendogli significato. Per esempio: la morte di un bambino ha delle reazioni diverse negli stati uniti e in brasile. Nel primo paese, l’orizzonte di aspettative nei confronti di un bambino è molto positiva, nel senso che i bambini hanno valori individuali, sono amati, raramente muoiono e gli si attribuisce la possibilità di poter godere e costruirsi la vita che vogliono. In questo paese, quindi, la morte di un bambino è visto come un evento molto tragico e drammatico. In Brasile, soprattutto negli squallidi insediamenti delle periferie, invece, la morte di un bambino ha un altro significato. L’orizzonte di aspettative della vita di un bambino, ancor prima che egli nasca, è caratterizzato da povertà estrema, violenza, impotenza e dalla grande possibilità che egli possa non sopravvivere. Dato questo orizzonte, alla morte di un bambino, le madri reagiscono con fatalismo ed una quasi assenza di emozione, come se appunto se lo aspettassero. Questi genitori brasiliani considerano i bambini e i ragazzi esseri umani potenziali, non reali. Questo concetto di orizzonte di aspettative è importante per due ragioni: per prima cosa, può rivelare la presenza di assunti sociali fortemente radicati. Per secondo, molti produttori di cultura cercano di produrre oggetti che richiamano l’orizzonte di aspettative di un gruppo di ricevitori, usando il modello del framing: se i creatori culturali riescono a dare al loro prodotto o messaggio una forma che ne evoca una che già appartiene al pubblico, è più facile che persuadano tale pubblico a comprare. La propaganda politica funziona così. 4- La libertà di interpretazione culturale. Nel momento in cui le persone interagiscono con oggetti culturali, essi creano significato intorno a tale oggetto. Diversi gruppi sociali, in relazione ad uno stesso oggetto, possono creare diversi significati. Sorge, però, a questo punto una domanda: quanta libertà hanno le persone di dare significato ad un’oggetto? Le risposte a questa domanda sono due: 1-si può costruire qualunque significato (i ricevitori sono forti/gli oggetti culturali sono deboli), 2-si deve sottostare ai significati che sono intrinseci all’oggetto culturale (gli oggetti culturali sono forti/i ricevitori sono deboli). Queste due risposte rappresentano anche le due scuole di pensiero nelle scienze sociali, che sono quella della cultura di massa, che propende verso il lato della cultura forte e dei ricevitori deboli, e quella della cultura popolare, che invece concepisce la gente non come priva di potere nei confronti della cultura, ma come attivamente produttrice e manipolatrice di significati.
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