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Sociologia della cultura Wendy Griswold, Sintesi del corso di Sociologia

Questo libro si basa sullo studio della sociologia in confronto alla cultura e alla società nel tempo. Verranno riferite varie teorie sopratutto quella del diamante culturale.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Caricato il 15/05/2020

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elena-munteanu 🇮🇹

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Scarica Sociologia della cultura Wendy Griswold e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! Sociologia della cultura: Capitolo 1: Possiamo dare varie definizioni di “cultura” ma quando i sociologi parlano di cultura si riferiscono a una di queste quattro cose: norme, valori, credenze o simboli espressivi. Le norme sono i modi in cui la gente si comporta nella società, le credenze indicano il modo in cui essi pensano che il mondo funzioni, i valori sono ciò a cui tengono ed i simboli espressivi sono rappresentazioni di norme e valori. I vari studi sulla cultura si possono dividere in 2 scuole di pensiero: Le discipline umanistiche da un lato e quelle di scienze sociali dall’ altro tra cui ricordiamo anche l’antropologia. Bisogna chiarire che non esiste una cosa come la “cultura” o “società” nel mondo reale, infatti parlare di questi due concetti separati e diversi significa distinguere tra2 aspetti dell’esperienza umana. La cultura indica il concetto espressivo dell’esistenza umana mentre la società quello relazionale. Nell’ uso comune si pensa alla cultura riferita alle belle arti, allo spettacolo e la letteratura, i pratica alle discipline umanistiche dove viene considerata superiore e universale. Nel diciannovesimo secolo gli intellettuali europei fecero la distinzione tra cultura e civiltà, la seconda indicava i progressi tecnologici ben visibili della Rivoluzione Industriale e le trasformazioni sociali che la accompagnavano. Opporre cultura e civiltà significava protestare contro il pensiero illuminista, contro il progresso benefico e l’industrializzazione e il capitalismo. Gli effetti negativi della civiltà venivano contrastati da quelli positivi della cultura. La cultura veniva vista come una salvezza verso gli esseri umani ultracivilizzati. Ricordiamo la famosa espressine del filosofo sociale inglese John Stuart Mill che ha descritto di come la sua formazione razionalistica nel campo della logica e dell’economia lo portò all’ esaurimento nervoso. Ma come possiamo credere nel valore della cultura senza cadere nell’etnocentrismo e l’idea che la cultura Europea sia al vertice dell’esperienza umana? Arnold, un pedagogo e letterato risponde a questa domanda formulando una teoria universale del valore cultuale ed enfatizzando il potenziale di influenza della cultura sul mondo sociale. Arnold criticò l’Inghilterra vittoriana per l’industrializzazione e il materialismo e aveva paura che il risultato potesse essere un filisteismo da classe media o un’anarchia sociale prodotta dai lavoratori. Solo la cultura poteva salvare questa società ma come? Per lui era uno studio della perfezione. Arnold sosteneva che la cultura doveva educare, rendere le persone in grado di conoscere, doveva fornire un’armonia. Essa può curare le malattie sociali causate dal materialismo e poteva insegnare alle persone come vivere e apportare idee morali. In pratica può essere il fattore che modera le conseguenze della modernizzazione. Anche Weber si rifà a questa concezione e nel suo libro “La scienza come professione” identificò quali significati e i limiti poteva dare la scienza nelle nostre vite. Ma cosa dobbiamo fare? Weber afferma che bisogna rivolgersi alla cultura. Seppur studiosi di due discipline diverse Weber e Arnold hanno la stessa concezione della cultura, capace di influenzare il comportamento umano. Questo è la concezione culturale umanistica e dal loro punto di vista possiamo riassumere che: La cultura ha a che fare con la perfezione, l’armonia tra cultura e civiltà ci può essere ma raramente viene conseguita, deve essere preservata attraverso musei e biblioteche. Nel corso del 19simo sec le nuove discipline dell’antropologia e sociologia volevano definire la cultura in un modo diverso da quello da Arnold e un filosofo tedesco di nome Herder che reagì duramente contro il compiacimento etnocentrico della cultura europea nel 18 sec, per Herder bisognava parlare di culture e non solo cultura per il fatto che le nazioni, le comunità entro le nazioni avevano anche loro una propria cultura. Questa concezione di cultura come modo di vita nella società fu introdotta nell’ antropologia inglese da Tylor che nel suo libro “Alle origini della cultura” vide superato il dibattito tra cultura contro civiltà. La cultura o civiltà è quell’insieme di fattori che include il sapere, le credenze, le arti, la morale, il diritto, il costume e ogni altra competenza acquisita dall’ uomo come membro di società. Questa definizione domina da allora le scienze sociali e la sociologia contemporanea. Il sociologo Peter Berger definisce la cultura come “totalità dei prodotti dell’uomo” sia materiali che immateriali. Ci sono 2 tipi di cultura: Le forme esplicite espressive da un lato e il fondamento implicito dell’azione. A differenza degli umanisti i sociologi vedono armonia e non opposizione tra cultura e società. Però le due correnti sociali più influenti del 20simo sec trovano che ci sia una congruenza tra i possono essere la gente comune che comunica e articola un’idea, gli artisti che modellano una forma, gli inventori di un nuovo gioco, in particolare, un oggetto può avere un solo creatore come l’autore di un libro oppure più creatori come tutte le persone che partecipano alla realizzazione di un film. Naturalmente, altre persone oltre ai creatori usano gli oggetti culturali ed è solo quando questi oggetti diventano pubblici e passano nel circuito del discorso umano, che entrano a far parte della cultura e diventano oggetti culturali. Pertanto, tutti gli oggetti culturali devono avere gente che li riceva, li ascolti, li legga, li comprenda. Possiamo chiamare queste persone il pubblico dell’oggetto, e le persone che sperimentano l’oggetto possono essere diverse dal pubblico atteso o originale e lungi dall’essere un pubblico passivo, i ricevitori culturali sono attivi produttori di significato. Sia gli oggetti culturali, sia la gente che li crea e li riceve sono ancorati ad un contesto chiamato mondo sociale, espressione con cui intendiamo i modelli e i bisogni economici, politici, sociali e culturali che caratterizzano un punto nel tempo. La sociologia culturale si interessa alle relazioni tra oggetti culturali e mondo sociale. Abbiamo identificato quattro elementi: i creatori, gli oggetti culturali, i ricevitori e mondo sociale e sistemeremo i quattro elementi in una struttura a forma di diamante e poi a tracciare una linea che connette ogni elemento ad un altro. Si crea così il diamante culturale. Esso è uno strumento inteso a favorire una comprensione della relazione di qualsiasi oggetto culturale col mondo sociale. Esso dice che c’è una relazione tra i vari punti. Rappresenta i prodotti culturali e sociali della relazione tra i punti e quindi una comprensione completa di un dato oggetto culturale richiederebbe la comprensione di tutti e quattro i punti. Possiamo dire che dobbiamo identificare le caratteristiche dell’oggetto e le sue somiglianze e differenze rispetto ad altri oggetti, dobbiamo considerare chi l’ha fatto e chi lo ha ricevuto e dobbiamo pensare anche ai diversi legami come quello mondo sociale-creatore. Una volta che abbiamo capito i punti e i legami specifici del diamante possiamo dire di avere una comprensione sociologica di quell’oggetto culturale. E, una volta che abbiamo un’opinione sul modo in cui l’oggetto culturale si adatta al suo contesto, possiamo capire la cultura nel suo insieme. Capitolo 2: Quando qualcosa diventa un oggetto culturale quella cosa è già cambiata, e il cambiamento ha a che fare col significato. Un oggetto culturale ha un significato condiviso e che gli è stato attribuito un senso che è condiviso dai membri della cultura. Come evidenzia la definizione di Geertz una cultura è un “modello di significati” duraturo nel tempo. Il significato si riferisce alla capacità dell’oggetto di indicare qualcos’altro. Ci sono due tipi di significato: semplice e complesso. Quello semplice denota una corrispondenza biunivoca, si esprime questo significato quando parliamo di segni e ciò che rappresentano, un esempio è l’algebra. Il significato complesso si trova nei segni chiamati simboli. I simboli evocano una varietà di significati, alcuni dei quali possono essere ambigui. I simboli connotano, suggeriscono, implicano. Evocano forti emozioni e possono unire o dividere i gruppi sociali. La cultura è fatta di significati complessi poiché è complessa e per capirla dobbiamo essere capaci di codificare queste reti di significati, dobbiamo saper analizzare la relazione che può esistere tra un simbolo da un lato e le cose come sono dall’altro. La sociologia della cultura è alla ricerca di significati sociali e nel nostro diamante culturale ciò che connette gli oggetti culturali ai mondi sociali è il significato. Tutti sappiamo che gli esseri viventi si sviluppano in accordo con istruzioni codificate nei loro geni. Nel caso degli animali, chiamiamo istinto questa molla genetica del comportamento. La maggior parte di ciò che gli animali conoscono e fanno è dato geneticamente, impiantato. Gli esseri umani sono diversi, sono incompleti dalla nascita, gli umani devono imparare a vivere, e l’apprendimento negli umani è un processo sociale di interazione e socializzazione attraverso cui si trasmette la cultura. Geertz ha sintetizzato il modo in cui la cultura umana compensa l’incompletezza genetica: L’uomo ha bisogno di simboli per trovare la sua strada nel mondo. All’ uomo sono state date capacità innate di reazione che lo regolano con meno precisione, senza i significati, il comportamento umano sarebbe in pratica ingovernabile, un caos di azioni senza scopo e emozioni in tumulto e la sua esperienza sarebbe informe. La cultura dunque non è un’ornamento dell’esistenza umana ma la base della sua specificità, una condizione essenziale per essa. Berger ha suggerito che la fonte della paura umana è il caos, un’assenza di ordine, un mondo senza struttura o significato è così terribile da essere impensabile. Per risolvere questo problema gli esseri umani creano le culture attraverso il processo di esternalizzazione, oggettivazione, interiorizzazione costruendo i modi in cui essi agiscono. L’analisi sociologica della cultura parte dalla premessa che quest’ultima offre orientamento, protegge dal caos, e dirige il comportamento verso alcune linee di azione e lontano da altre. La cultura fornisce significato e ordine usando simboli, laddove ciò che abbiamo designato come oggetti culturali sono arricchiti di significati oltre la loro utilità materiale. Questo lo possiamo vedere con gli oggetti tangibili e visibili. TEORIA DEL RIFLESSO: Che relazione esiste tra mondo sociale e oggetti culturali? Da dove provengono e quale differenza fanno i significati? Per rispondere a queste domande ci affidiamo al funzionalismo e marxismo che possono essere considerate come versioni di una stessa teoria del riflesso, dove la cultura è vista come un riflesso della vita sociale. Weber afferma che è la vita sociale a riflettere la cultura. L’idea della cultura come riflesso è semplice: la cultura è lo specchio della realtà sociale quindi il significato di un particolare oggetto culturale sta nelle strutture sociali e nei modelli sociali che esso riflette e quindi il sociologo dovrebbe cercare corrispondenze dirette, biunivoche tra cultura e società. Potremmo fare un esempio su questo modello basandoci sul fatto che la maggior parte delle persone crede che la violenza e il maltrattamento descritti dalla tv riflettano la violenza e i maltrattamenti diffusi nella nostra società. Si tratta di due connessioni sul diamante culturale che possono variare o meno insieme ma che sono distinte concettualmente. La violenza sociale non causa violenza televisiva ma c’è una correlazione tra le due. La teoria del riflesso acquista credibilità quando gli artisti, scrittori e altri creatori descrivono ciò che fanno. Oltre ad essere plausibili e moderni creatori, le teorie della cultura come riflesso hanno anche una lunga storia, risalenti a Platone. Secondo la teoria platonica delle forme, esposta nel La Repubblica, al di là di ogni apparenza c’è un’idea o una forma. Per esempio se noi dormiamo su un letto fatto di materia, l’elemento materiale di arredamento è pura apparenza. La realtà è una forma preesistente, il letto. Il letto materiale riflette quello ideale ma lo fa in modo imperfetto. Gli uomini confondono apparenza e realtà. Platone afferma che le apparenze derivano dal riflesso, lui si chiede come può, un creatore di cultura, fare tutte le cose dell’universo, la natura, i cieli e tutti i beni? Platone concepisce tre tipi di creatori: Dio, il creatore, che produce Scuola di Francoforte utilizzava l’espressione “industria culturale” per sottolineare la natura antidemocratica della cultura “popolare”. Un esempio di questa critica della cultura popolare è la musica. Nel frattempo anche il Funzionalismo stava diventando influente, conservava il modello riflessivo della cultura offrendo un resoconto delle relazioni sociali umane. Se il marxismo concepisce la vita sociale come una lotta fermata solo dalla morte, il funzionalismo la concepisce come una tendenza all’armonia. CULTURA E SIGNIFICATO NELLA SOCIOLOGIA FUNZIONALISTA: La teoria del riflesso diventa un modello per la comprensione sociologica della cultura. 1- L’idea che la cultura riflette la società fornisce un modello della connessione tra cultura e società e suggerisce la direzione della relazione di influenza. Questo modello fa si che si utilizzi la cultura come testimonianza sociale. Entrambi gli elementi costituiscono l’immagine funzionalista di una congruenza tra cultura e struttura sociale in una società che opera in modo adeguato. Una società esiste se è equilibrata e le sue istituzioni sono adattate una all’altra e operano un sistema di interdipendenza per soddisfare i bisogni della società. La cultura riflette la società proprio come la società riflette la cultura. Il modello funzionalista assume che gli esseri umani siano passivi e senza interessi e questo modello non dà posto all’ influenza delle organizzazioni di produzione della cultura. Esistono modelli del riflesso funzionalista più complessi ad esempio lo storico Michael Baxandall suggerisce un modo per tradurre il modello riflessivo sul diamante culturale con tutti i suoi collegamenti. In uno studio sui pittori italiani del 15simo sec Baxandall ha dimostrato come le opere di questi pittori riflettessero:1-Transizioni commerciali: contratto tra pittore e cliente.2- Valori mutevoli: La cosa importante dei dipinti mutò dai pigmenti alle abilità pittoriche. 3- L’ occhio dell’epoca: Riferito alla capacità cognitiva e allo stile di un’epoca. La sociologa Ann Swidler si riferisce alla cultura come una “cassetta” di simboli, repertori, pratiche, saperi, ricette e modi di fare e il concetto di Baxandall rimanda ad un problema di aggiustamento tra la cassetta del pittore e quella dello spettatore o di scoperta della visuale comune dei loro “occhi dell’epoca”. In questa versione della teoria la cultura è mediata dalle menti degli umani. L’analisi è funzionalista dove dal punto di vista sociale la classe mercantile in ascesa voleva dimostrare la sua ricchezza e partecipare ai modelli aristocratici di comportamento come il mecenatismo. Dal punto di vista culturale, i pittori cercano acquirenti che approvassero ciò che facevano. Quindi i mercanti e i pittori che rappresentano la struttura sociale e la cultura erano funzionalmente adatti gli uni sugli altri. Attraverso la cultura gli esseri umani possono riflettere sulla propria esperienza sociale e individuale. CULTURA E SIGNIFICATO NELLA SOCIOLOGIA WEBERIANA: Se gli esseri umani hanno bisogno di significati per organizzare le loro vite, la cultura, in quanto apportatrice di essi, deve far accadere qualcosa nel mondo sociale. Lo scienziato sociale più noto che ha accentuato questa direzione è Marx Weber. Ciò che interessava Weber era definire la misura in cui la religione aveva contribuito alla formazione ed espansione dello spirito del capitalismo. Egli cercò di individuare collegamenti tra credenze religiose da un lato e l’agire pratico e etica da un altro per capire come un movimento religioso potesse aver influenzato la cultura materiale. Nell’ Etica protestante e lo spirito del capitalismo Weber avanzò una tesi circa l’influenza dei significati culturali sulla vita economica e sul mondo sociale. Weber iniziò l’Etica protestante osservando come l’Occidente fosse unico sotto tanti aspetti come le arti, scienze e funzionari ben addestrati ma soprattutto per il suo sistema economico capitalista. Per Weber il problema centrale non sta nelle origini del capitalismo, ma nell’ascesa del capitalismo borghese con la sua organizzazione razionale del lavoro libero. Weber si interessa alle origini della borghesia, a lui interessava esplorare come uno spirito o un’etica economica riflettessero un insieme di idee religiose. Weber riteneva che lo spirito capitalista implicasse un senso del dovere, un dovere verso la vocazione. Questo spirito del capitalismo era in contrasto con l’atteggiamento tradizionale dove la gente lavora solo per vivere nel modo in cui è abituata a fare. Qual era il fattore che trasformò l’attività diretta al profitto in una vocazione moralmente segnata? La risposta sta in due idee religiose protestanti: vocazione e predestinazione. La vocazione si riferisce alla professione a cui Dio ha chiamato ogni uomo e donna, concedeva una giustificazione morale all’attività mondana. Per Lutero la Provvidenza ha assegnato un posto ad ogni persona nel disegno divino, e un lavoro da fare. Perseguire la vocazione è un modo per servire Dio. La predestinazione è la credenza che, Dio ha destinato tutti gli individui o al cielo o all’inferno; non c’era nulla che gli uomini potessero fare per cambiare il proprio destino. Weber vedeva lo spirito del capitalismo all’opera ai suoi giorni e per molti aspetti esso persiste ancora. LO SCAMBISTA CULTURAE: Nell’ Etica protestante e lo spirito del capitalismo Weber mostrò come un insieme di idee religiose influenzò il modo in cui la gente lavorava, spendeva il suo denaro, organizzava la vita economica. Così questo fattore appare sul nostro diamante culturale come la direzione attraverso cui la cultura causa, influenza, o viene riflessa nel mondo sociale. Weber non intendeva negare che la gente perseguisse gli interessi materiali ma sosteneva che le loro idee, le loro culture plasmavano i modi in cui essi inseguivano questi interessi. I calvinisti avevano interessi materiali (guadagnarsi da vivere) e gli ideali (la salvezza). Un insieme di immagini religiose del mondo che comprendono le idee di vocazione e predestinazione sono i fattori che fanno perseguire questi interessi rendendo significativo il loro agire. Il modello weberiano secondo in cui l’agire sociale riflette i significati culturali ha guidato la ricerca sociologica e i tentativi di spiegare il mutamento sociale. Ad esempio come quando Jack Goldstone cercò di spiegare le ondate rivoluzionarie in Europa e Asia nel 17 e 18 secolo e mostrò che gli incrementi della popolazione misero in moto fattori che condussero al collasso dello stato e alla ribellione. Ma perché questi fattori portano alla rivoluzione nell’Occidente ma non in Oriente? Goldstone trovò la risposta nel modello weberiano dello scambista culturale. La tradizione religiosa occidentale era di tipo lineare quando avveniva un cambiamento. E la rivoluzione aveva senso in questo sistema di significato perché la storia ha una direzione, le trasformazioni sono possibili e le cose possono andare meglio. Mentre le religioni orientali vedono la storia in modo ciclico e non lineare, questo modo di pensare incoraggiava un ritorno a forme precedenti di autorità. Il modello del riflesso è più persuasivo quando si utilizza per mostrare corrispondenze tra cultura e società precedentemente nascoste. Le ricerche della teoria del riflesso hanno enfatizzato una relazione tra sacri. A volte i fondamentalisti si ritirano dal mondo cercando di vivere secondo i loro ideali. I fondamentalisti difendono gli ideali religiosi e i modelli sociali tradizionali che considerano legittimati dalla religione. La loro semplicità e l’impegno attraggono molte persone alla loro causa perché offrono un insieme di significati e interpretazioni spesso basati su qualche testo religioso che da sicurezza. In altre parole offrono una cultura con dei significati chiari. Capitolo 3: Chi crea gli specifici oggetti culturali? Sono tutte quelle presone come l’artista che lavora in uno studio solitario, la cantante, il riformista che guida un movimento sociale, il profeta che cerca un messaggio divino e il disegnatore, il poeta: tutte queste figure sono riconosciute come creatori culturali che in momenti di ispirazione creano qualcosa di nuovo, dinamico, divertente. Questi individui dotati cambiano il mondo culturale in cui vivono gli esseri umani. La cultura e le opere culturali sono creazioni collettive e non individuali e possiamo meglio comprendere specifici oggetti culturali considerandoli come il prodotto di una produzione collettiva, fondamentalmente sociale nella sua genesi. Cominceremo questo capitolo presentando l’analisi di Durkheim e considerando cosa accade quando seguiamo il suo suggerimento di concepire la cultura come una rappresentazione collettiva. DURKHEIM E LA PRODUZIONE SOCIALE DELLA CULTURA: Emile Durkheim è considerato come uno dei padri fondatori della sociologia. Egli cercava di capire come funzionavano le società moderne. Ai suoi occhi il mondo moderno sembrava frammentato, diviso e scollato. Durkheim studiò tutto, dal suicidio alla religione e i sistemi di educazione alla scienza sino ai metodi sociologici cercando di capire sempre casa può tenere insieme la società. E nella sua teoria della rappresentazione collettiva pensò di avere trovato la risposta. Nella vita moderna affermava Durkheim le persone possono essere classificate in vari modi: esse hanno diverse occupazioni, diversi saperi, credenze, religioni e diverse esperienze di vita. Durkheim confrontò tutto questo con uno stato sociale precedente chiamato “solidarietà meccanica” in cui la gente era integrata perché aveva vite simili. Egli affermava che nei tempi antichi ogni membro di una società svolgeva lo stesso tipo di lavoro, seguiva la stessa religione, cresceva ed educava i suoi bambini, pensava, sperava, credeva allo stesso modo degli altri. Il cambiamento si verificò quando la società crebbe in dimensioni e densità e gli individui cominciarono a specializzarsi, trovandosi tipi diversi di lavoro ma si produsse anche una specializzazione istituzionale. Come potevano stare insieme simili società? Per rispondere a questa domanda egli considerò varie ipotesi. A volte sottolineò che le persone avevano bisogno di fare scambi, uno stato che chiamò di solidarietà organica, ad esempio il contadino scambia i suoi progetti con l’insegnante che a sua volta educa i figli, proprio come organi del corpo si scambiano sostanze uno con l’altro. In altri casi Durkheim propose le associazioni professionali come una fonte di coesione, egli credeva che ogni società doveva avere qualche tipo di rappresentazione collettiva, doveva dimostrare ai suoi membri di essere interconnessi. La sua ricerca sulle rappresentazioni collettive e su come funzionano lo condusse a prestare attenzione alla religione che concepiva come il legame tra gli uomini nei tempi antichi. Durkheim analizzò quindi la più antica forma di religione: il totemismo degli aborigeni australiani e di certi gruppi di indiani d’America. Durkheim individuò tre ragioni per studiare le religioni primitive:1- cogliere gli elementi costitutivi o le forme più semplici della religione; 2- trovare i fondamenti di tutte le religioni; 3- scoprire il bisogno umano che causa la credenza e la pratica religiosa. L’analisi di Durkheim sulla religione si basa su quattro idee chiave: 1- la rappresentazione collettiva; 2- la distinzione tra sacro e profano; 3- le origini del sacro; 4- le conseguenze sociali della religione. Durkheim sosteneva che tutte le categorie del pensiero, tutte le idee essenziali, sono sociali. Gli esseri umani sono duplici, hanno una componente biologica individuale e una componente sociale condivisa che è data dalla nostra partecipazione ad una coscienza collettiva, e le nostre categorie di pensiero, derivano da questa seconda componente sociale. Quindi la religione e la cultura sono rappresentazioni collettive. Ma cosa hanno in comune tutte le religioni? Tutte le credenze religiose dividono il mondo in sacro e profano. Ora, non c’è nulla di speciale nella natura di ciò che è sacro; ciò che caratterizza il sacro è che esso è separato dal profano e non può essere avvicinato impunemente, il cuore del fenomeno religioso sta in questa separazione. Durkheim identificò il nostro senso del sacro analizzando i totem. Egli fece notare che molte delle società più semplici sono organizzate in clan, che sono gruppi di parentela distinguibili per nomi e ciascuno di questi nomi rappresenta il totem del clan che funziona da emblema di quest’ultimo. Il totem è sacro e ogni sorta di proibizione rituale lo circonda e questi popoli tribali basano le loro classificazioni degli esseri umani e della natura sul totem imponendo una struttura sacro/profana dell’universo. Da dove viene l’idea che l’emblema totemico è sacro? Il totem suggeriva, simboleggia due cose: il principio totemico (dio diremmo noi) e il clan. Il dio del clan in altre parole è lo stesso clan. Come giustificava Durkheim questa conclusione? Per lui la società fa sorgere il senso del divino negli esseri umani attraverso:1- il suo potere, il suo controllo su di noi che si manifesta nella sua abilità di causare o inibire le nostre azioni indipendentemente dall’utilità individuale;2- la sua forza positiva per l’azione rafforzatrice e vivificante della società. Si produce così una specie di sostegno nel nostro essere morale. Quando un membro della società è in armonia con i suoi compagni egli ha più fiducia nell’agire. Gli individui pensano che questo sostegno si debba a qualche causa esterna. E’ come se ci fossero due tipi di realtà quella associata alla forza (sacra) e quella associata alla quotidianità (profana). Durkheim dimostra come gli uomini diventano consapevoli di un senso di forza religiosa. Ma perché questa forza viene associata al totem? Per lui siccome il totem è il nome del clan gli emblemi totemici sono tutti esposti durante la riunione dei clan. A causa della sua visibilità durante questa fase il totem finisce per rappresentare sia la scena che le forti emozioni provate diventano una rappresentazione collettiva. Per cui la forza religiosa è in gran parte autentica, ma la fonte della forza non è quella che pensa il credente. La forza religiosa non deriva da un totem o da un dio, ma dall’esperienza del sociale. La religione è il sistema di idee attraverso cui le persone rappresentano la loro società e poiché la religione è la radice della classificazione attraverso cui capiamo il mondo, tutta la cultura umana diventa una rappresentazione del sociale. LA CULTURA COME RAPPRESENTAZIONE COLLETTIVA: L’analisi durkheimiana della religione suggerisce che tutti gli oggetti culturali sono rappresentazioni collettive dell’esperienza sociale. Riconosciamo qui l’impronta funzionalista: i gruppi e le società hanno bisogno di Nei loro studi sui vagabondi Snow e Anderson cercano di fare un “lavoro di identità”, gestiscono le proprie interazioni in modo tale da favorirsi un insieme di impressioni. Alcuni costruiscono le proprie identità in termini di distanziamento, sottolineando la differenza rispetto agli altri ragazzi. Altri impersonano il ruolo del vagabondo, dichiarandosi orgogliosi della propria libertà e capaci di sopravvivere nel mondo in cui vivono. I vagabondi si impegnano in una gestione delle impressioni nelle loro interazioni i modo da controllare i significati che essi offrono agli altri. Qui vediamo come la posizione culturale sia distinta da quella biologica. Secondo una tesi di tipo biologico, gli esseri umani hanno una serie di bisogni strutturati gerarchicamente ed essi esigono alcune cose per sopravvivere cibo, abiti, un rifugio e solo dopo che questi bisogni sono stati soddisfatti si prendono il lusso di preoccuparsi dei significati, delle identità o delle rappresentazioni simboliche. Diversamente da quanto si crede i vagabondi sono anche manipolatori di parole o simboli intenti a costruire e proiettare specifiche identità. Essi usano la cultura per recitare le loro performance sociali e rendere il loro mondo significativo per se stessi e per gli altri. La maggior parte delle interazioni che trasmettono cultura e formano l’identità si richiamano alla storia conosciuta e condivisa dalla comunità. L’altro generalizzato è concreto, ha caratteristiche specifiche, sta in mondi sociali più stabili così gli oggetti culturali che funzionano come rappresentazioni collettive non devono essere costruiti sul momento. Gli individui non sono solo membri di un gruppo o una comunità ma di una pluralità di essi. Mead ne ha identificati 2 tipi: gruppi sociali astratti, come per esempio i debitori che operano come gruppi sociali solo indirettamente e le classi sociali come i partiti politici, i club, le aziende che sono tutte unità sociali effettivamente funzionanti, nella misura in cui i membri individuali sono relazionati l’uno all’altro. Se queste relazioni reciproche sono abbastanza forti da resistere alle influenze dell’altro generalizzato societario, il gruppo diventa una subcultura. Una subcultura esiste entro un sistema culturale e ha contatti con la cultura esterna. Entro il dominio della subcultura funziona un insieme di simboli, significati e norme comportamentali che sono vincolati per i membri della subcultura. Possiamo fare l’esempio della subcultura delle bande giovanili, di quella gay o quella cyberpunk. Una subcultura fa riferimento non solo a preferenze di consumo ma anche a uno stile di vita. Gli adolescenti sono portati a farsi attrarre da e creare subculture, dal momento che hanno i mezzi per esprimere se stessi attraverso il consumo, desiderano differenziarsi dagli altri. L’interesse della sociologia per le subculture è sorto all’inizio del ventesimo secolo con la Scuola di Chicago lo studio si concentrava sulle subculture non assimilate e le domande riguardavano quando e come queste subculture si sarebbero assimilate. L’interesse accademico contemporaneo si focalizzava sulle subculture più durature come quelle associate alle professioni. Le subculture, con i loro simboli e significati sono prodotte da persone che interagiscono e sono state di grande interesse per i sociologi che si ispiravano all’interazionismo simbolico. Fine ha studiato come i membri delle squadre di baseball della Little League producessero subculture temporanee, affidandosi a un’osservazione, a questionari e interviste Fine ha analizzato il modo in cui l’interazione sociale nel contesto della Little League:1- socializzava i ragazzi ai ruoli dei maschi adulti, 2- dando vita a ciò che Fine chiama la “idiocultura” del gruppo. La discussione che Fine fa dell’idiocultura e incentrata sulle origini e sui fattori degli oggetti culturali, come le espressioni e i simboli condivisi. Le squadre della Little League di baseball sviluppano un codice linguistico e simbolico noto solo ai loro membri. L’idiocultura è la cultura del subgruppo ricca di implicazioni, vivacizzata da simboli e espressioni noti solo ai membri del gruppo, e utilizzati per separare dagli estranei. La cosa da notare dell’idiocultura che viene costruita rapidamente e dura un periodo di breve tempo. Non tutti gli eventi possono essere trasformati in oggetti culturali, affinché un simbolo o espressione entri a far parte dell’idiocultura, devono basarsi su informazioni note; devono essere funzionali e facilmente utilizzabili; devono essere appropriati e devono essere utilizzati ripetutamente. Le subculture creano significato, producendo oggetti culturali che sono significativi per i membri del gruppo e incomprensibili per gli estranei. Spesso enfatizzano il contrasto. INNOVAZIONI CULTURALI E CAMBIAMENTO SOCIALE: Molti movimenti sociali nascono come subculture, la Cina offre un esempio di come una subcultura possa diventare in un movimento per il mutamento sociale rivoluzionario. Infatti la rivolta dei Boxer nel 1900 ebbe inizio come subcultura di giovani contadini, i Boxer dello Spirito; una subcultura dedicata alle arti marziali e a un rituale che postulava l’idea della possessione divina del credente a opera di una divinità popolare. Ci vollero specifiche pressioni sociali perché quella che era una subcultura “ultramondana” si trasformasse in un movimento deciso a produrre una trasformazione sociale. Gli stessi significati degli oggetti culturali dei Boxer cambiarono. Possiamo considerare l’adattamento culturale a circostanze che cambiano nel mondo in cui le comunità reagiscono alle pressioni demografiche. L’ipotesi del “ritardo culturale” fu avanzata da un sociologo americano Ogburn che sosteneva che i sociologi dovevano distinguere tra cultura materiale e cultura adattiva. La cultura materiale indica gli oggetti materiali come fabbriche, materie prime e quando questa cultura cambia, quella non materiale che comprende pratiche, costumi, istituzioni sociali deve cambiare come risposta. La cultura adattiva è quella parte di cultura non materiale che si adegua alle condizioni materiali. Ci vuole un po’ perché questo adattamento si realizzi e questo scarto è il ritardo culturale. Ogburn credeva che i cambiamenti nella cultura materiale precedessero quelli nella cultura adattiva. Però possiamo anche presentare vari esempi in cui è la cultura non materiale che guida le condizioni materiali. L’idea che la cultura segua il cambiamento materiale va anche contro la nostra esperienza del cambiamento culturale improvviso. A livello collettivo alcuni movimenti culturali sono emersi e prosperano senza alcuna spinta proveniente dal sociale. Un evento casuale viene elaborato da un’interazione di gruppo. La rappresentazione dell’evento è funzionale nel senso che serve per costruire la solidarietà di gruppo, per identificare norme e separare i membri interni dall’esterno. La creazione culturale è avvenuta e un’innovazione culturale è stata istituita. Sebbene le innovazioni possono realizzarsi casualmente alcuni elementi appaiono evidenti: 1- determinati periodi sono migliori di altri per produrre innovazione. 2- anche le innovazioni seguono delle convenzioni. 3- alcune innovazioni hanno più possibilità di altre di istituzionalizzarsi. Vi sono periodi di cambiamento contenuto durante i quali le convenzioni sono stabilizzate, le idee sono condivise da tutta la comunità e lo status quo non è in pericolo. In altri periodi la creatività culturale esplode. Cosa causa l’esplosione dell’innovazione culturale? I periodi di instabilità, a certe condizioni, il cambiamento demografico, la guerra, mutamento economico, le vecchie regole culturali e sociali non sembrano essere più applicabili. Si crea un delle dimensioni del mercato può produrre una differenziazione culturale. I mercati influenzano la produzione culturale, ma non sempre escludendo o rigettando un tipo di oggetto culturale a favore di un altro. Possono coesistere mercati paralleli. I mercati culturali reagiscono al sistema sociale. Un esempio di cambiamento sociale e culturale che ha prodotto un nuovo mercato culturale e nuove forme culturali per soddisfare questo mercato ci è offerto dalla Cina del primo 900. Durante gli ultimi anni del 19simo secolo, la Cina ha sperimentato tante crisi politiche, e diverse rivolte. Modernizzazione e urbanizzazione sono le occasioni di creatività culturale di più grande impatto, ma anche riconfigurazioni sociali su scala minore possono essere culturalmente produttive. L’antropologo Hannerz concepisce la cultura come un “network di prospettive, con una produzione di forme culturali esplicite”. Questo modello di rete unisce le prospettive radicate in una subcultura da un lato e un apparato di produzione culturale con posizioni e priorità sociali diversi dall’altro. LA PRODUZIONE DI IDEE: I creatori culturali producono una quantità in eccesso di tutti gli oggetti culturali e questi oggetti competono per l’attenzione del pubblico. Gli autori-produttori elaborano idee per possibili serie che potrebbero essere sviluppate dai network, messe nei loro palinsesti di prima serata e poi riprese dai canali locali affiliati. Nelle prime fasi di questo processo non c’è un prodotto, solo un’idea nella forma di una sintesi che il network mostra a inserzionisti e affiliati. Una volta che un’idea è stata espressa a parole o con i simboli è un oggetto culturale. Ma quali di questi oggetti culturali ideologici si perdono per strada e quali arrivano ad avere influenza sociale? Diversi sociologi hanno suggerito che alcuni periodi e luoghi sono più ricchi di produzione ideologica di altri. Robert Wuthnow si concentra sui momenti di rottura nell’ordine morale. Ann Swidler afferma che in tempi normali le persone tirano avanti con pezzi di ideologie, frammenti culturali magari incoerenti. Ma durante i tempi instabili le persone vogliono chiarezza e coerenza ideologica. Le idee devono competere per le risposte. Wuthnow descrive la competizione per le risorse come selezione, usando ma metafora darwiniana per suggerire perché alcuni movimenti ideologici sopravvivono mentre la maggior parte di essi muore. La selezione che ha successo diventa stabile attraverso l’istituzionalizzazione, quando lo stato o qualche altro attore istituzionale introduce l’ideologia nella prassi. Non tutte le idee ottengono l’istituzionalizzazione. Amy Binder ha comparato due contendenti ideologici: L’afrocentrismo e il creazionismo nei termini della loro istituzionalizzazione nei curricola scolastici. LA RICEZIONE: Il successo finale di un oggetto culturale dipende dai suoi spettatori, ascoltatori, dal suo pubblico. Dai ricevitori culturali che ricavano da esso i loro significati. Un postulato di base dell’approccio sociologico alla ricezione è che la “mente sociale”, elabora gli stimoli in arrivo. Zerubavel sostiene che non dobbiamo concepire la mente solo come un cervello oppure come una mente individuale formata dall’esperienza personale. Tra questi due punti dell’universale e del particolare c’è la mente sociale che “evidenzia la nostra diversità cognitiva in quanto membri di diverse comunità di pensiero”. Le nostre menti sociali foggiano su cui noi diamo attenzione, ciò che ci emoziona, i significati che cogliamo dall’ambiente intorno a noi. Per concepire la ricezione degli oggetti culturali, dobbiamo comprendere che questa ricezione non è inserita nell’oggetto stesso. Così come tale significato non è nemmeno interamente soggetto ai capricci individuali. Gli attributi sociali delle persone, le loro posizioni in una struttura sociale condizionano quello che piace loro, quello che riconoscono prima. La ricerca sociale conferma che diversi tipi di persone guardano, comprano, amano e credono in diversi oggetti culturali. Una grande massa di ricerche confermano la realtà della stratificazione culturale. Molti oggetti culturali attraversano i confini di classe, genere, etnia e religione. Gans ha proposto di denominare il pubblico o i ricevitori di qualunque oggetto culturale “cultura di gusto”, senza presumere nulla circa le loro caratteristiche sociali o demografiche. Inoltre, gli strati sociali differiscono nell’ampiezza della loro partecipazione alla cultura. Questo repertorio culturale consente all’individuo di classe media di agire in una pluralità di situazioni sociali, sfruttando a seconda dell’occasione questa o quella conoscenza culturale. Una teoria sulle conseguenze del gusto è stata elaborata dal sociologo francese Bourdieu, secondo cui la cultura può essere considerata una forma di capitale. Come il capitale economico, il capitale culturale può essere accumulato e investito e può essere convertito in capitale economico. Bourdieu ha tracciato una mappa del sistema di rapporti tra il capitale economico e quello culturale. A volte c’è corrispondenza, ma a volte le due forme di capitale sono in conflitto. Sebbene il capitale economico possa essere sostenuto, aumentato o svalutato da forme di capitale non economico, i tipi di capitale non economico facilmente negoziabile possono variare da luogo a luogo. Sembra chiaro che 1- la ricezione di diversi tipi di oggetto culturale è stratificata per la classe sociale e 2- che la gente può consapevolmente usare la cultura per difendere i propri vantaggi sociali o superare gli svantaggi. Come ha osservato Peterson le persone più istruite hanno più esperienze culturali su cui basarsi, esperienze a tutti i livelli. Hanno un repertorio culturale più ampio e questa vastità può essere socialmente più utile che avere una conoscenza della filosofia o di arte. Hans Robert Jauss ha offerto ai sociologi una chiave di lettura per comprendere la ricezione culturale. Contribuendo alla formulazione della teoria estetica della ricezione letteraria nel corso degli anni settanta. Jauss colloca il libro in un “orizzonte di aspettative” plasmato dalla sua esperienza letteraria, culturale e sociale. Un lettore interpreta il testo, trova significati in esso sulla base di come si adatta alle aspettative o le mette in discussione. Costruendo il significato del testo egli finisce per modificare il suo stesso orizzonte di aspettative. Il concetto di “orizzonte di aspettative” ci aiuta a capire come un oggetto culturale possa venire interpretato da persone con conoscenze ed esperienze sociali e culturali diverse. Esso suggerisce che ogni evento può essere trasformato in oggetto culturale attribuendogli un significato. Il sociologo si interessa alla virtù che possiede questo modello di offrire possibilità di comparazione. L’attenzione prestata alle interpretazioni che si costruiscono di uno stesso oggetto culturale può rilevare la presenza di assunti sociali radicati. Se pensiamo a uno spettacolo televisivo come fosse un “significato condiviso strutturato in una forma” scopriamo che diversi gruppi sociali condividono diversi orizzonti di aspettative e costruiscono differenti significati condivisi dello stesso oggetto culturale. Molti produttori di significati usano il modello del Framing per attirare l’attenzione dell’orizzonte di aspettative di un gruppo di ricevitori. Se i creatori culturali riescono a dare al loro prodotto o messaggio una forma che ne evoca una che già appartiene al pubblico, è più facile che persuadano tale pubblico a comprare. La propaganda politica funziona così in modo evidente. disposizione della gente comune. Tra i sociologi la rivalutazione della cultura popolare è stata avviata negli anni sessanta, quando gruppi dominati e ignorati cominciarono a chiedere rispetto come non avevano fatto prima. La rivalutazione della cultura popolare è avvenuta in due modi: entrambi gli approcci presuppongono una concezione del pubblico che è diversa dalla passività. Nel primo, gli studiosi hanno analizzato la cultura popolare alla ricerca di significati nascosti, significati che erano accessibili a loro ma che restavano ignoti agli accademici e ad altre elite sdegnose. Nella seconda forma di rivalutazione della cultura popolare, il ricevitore è visto non solo come un soggetto che decodifica significati ai quali i ricevitori d’elite si sono sottratti, ma anche capace di costruire significati sovversivi. Gli oggetti della cultura di massa possono anche rappresentare le idee della classe dominante come dice la teoria ma la gente non per questo si trova ad accettare i significati imposti come se arrivassero dall’esterno. Essi producono i loro stessi significati. John Fiske è ricorso alla cultura di massa con l’esempio del supermarket dove la gente poteva prendere elementi di cultura di massa dal supermercato culturale, ma quando cucina (produce significati) essa mischia questi beni acquistati con qualunque cosa abbia in dispensa così individualizzando e trasformando il prodotto finale. Sia i teorici della cultura popolare come Fiske sia quelli della cultura di massa come Wertham sono interessati alla ricezione, ed entrambi condividono il valore della libertà umana, ma interpretano la relazione tra oggetto culturale e ricevitore in modo diverso. Nel modello della cultura di massa, gli oggetti culturali impongono i propri significati sui loro pubblici, ma nel modello della cultura popolare il pubblico crea i propri significati. Poiché gli oggetti culturali sono interpretati da esseri umani interagenti, sembra probabile che diverse interpretazioni o reinterpretazioni continueranno ad essere prodotte da gruppi con esperienze diverse. CAPITOLO 5: Ogni società produce condizioni patologiche, crudeli, disfunzionali. La classe dirigente politica o morale deve riconoscere e tener conto del problema e attivarsi per risolverlo. Questa visone concepisce i problemi sociali come oggettivi, la situazione in questione è reale, può essere identificata, misurata, tutti saranno d’accordo che essa è un problema una volta che la conoscono. I problemi sociali non sono sempre chiari e semplici ma sono costruzioni. L’essenza dell’approccio costruttivista è che i problemi sociali potenziali non sono fatti oggettivi, ma sono produttori di significati. E’ solo quando una situazione ha significato per un gruppo di persone e questo significato è negativo, che essa può essere definita come un problema sociale. Quindi un problema sociale è un oggetto culturale prodotto da agenti specifici: Loseke li chiama “fabbricanti di questioni “. Viene interpretato da un gruppo di ricevitori, che Loseke vede come il pubblico interessato dalle questioni fabbricate, cioè un problema sociale viene fabbricato quando un pubblico giudica che la questione sollevata è credibile. Se i ricevitori accettano la definizione dei produttori abbiamo una questione e se si mobilitano per agire abbiamo un movimento sociale. Per capire le implicazioni di questo approccio costruttivista, cominceremo dai ricevitori. Quando si dichiarano situazioni sbagliate di solito si ha di mira una collettività, in pratica la costruzione di un problema sociale dipende dalla precedente costruzione di un’identità collettiva. Anche l’identità può essere vista come oggettiva o come costruita. La riflessione più recente ha enfatizzato la visone costruttivista, le concepisce le identità malleabili, fluide e soggette all’interpretazione. Alberto Melucci ha affermato come l’identità collettiva non sia una condizione ma un processo. L’identità collettiva è una definizione interattiva e condivisa prodotta da diversi individui interagenti interessati all’orientamento del loro agire così come al campo di opportunità e vincoli in cui tale agire avviene. Il processo di costruzione, mantenimento e alterazione di un’identità collettiva fornisce agli attori la base per formare le proprie aspettative e calcolare costi e benefici del loro agire. La formazione dell’identità collettiva è un processo delicato e richiede investimenti continui e quando comincia ad assomigliare a forme più istituzionalizzate di azione sociale, l’identità collettiva può cristallizzarsi in forme organizzative. Da questa definizione emerge il legame con i problemi sociali. Per capire meglio l’identità collettiva come costruzione consideriamo il caso della razza e dell’etnia che hanno subito cambiamenti comparabili e in certi casi correlati, a quelli occorsi negli studi sulla disuguaglianza. La rivendicazione culturale basata sull’etnia, sulla razza, religione è facile che persista per diverse ragioni. Prima di tutto la sua espressione attraverso oggetti culturali è soddisfacente e a basso costo. L’espressione culturale dell’etnicità è meno diretta di quanto potrebbe apparire. I gruppi etnici e razziali hanno le loro suddivisioni e spesso invisibili agli esterni, e la questione di quale cultura vada promossa, quale debba essere aggiunta come cultura del gruppo intero può essere dibattuta. L’etnia stessa è un oggetto culturale con diversi creatori e ricevitori, tutti che costruiscono significati differenti. Le appartenenze etniche e razziali sembrano naturali, ma questione genetica, ma di nuovo i sociologi hanno osservato che entrambe sono costruzioni culturali. Le espressioni culturali dell’etnicità sono esempi di “invenzione della tradizione” e non di antichi rituali. L’etnia e la razza sono costrutti artificiali, il prodotto di contingenze storiche. Esse esercitano un’influenza motivazionale, creando amicizie e inimicizie. Gli stati e i gruppi sociali eterogenei sono obbligate a trovare modi per riconoscere e celebrare la diversità culturale costruendo una cultura comune, di cui i diversi gruppi etnici o razziali sono subculture, che rivendichi la lealtà di ogni cittadino. Quindi razza e etnia sono costruzioni e non dati. Ma dobbiamo anche riconoscere che queste costruzioni creano “noi” che influenzano il nostro pensiero e comportamento in tanti modi. Uno di questi è che le persone che sollevano questioni circa un problema sociale proveranno a raggiungere le persone attraverso le loro identità collettive. Le forme di questi problemi sono specifiche di ogni cultura e società. Ad esempio gli americani considerano un problema sociale la gravidanza adolescenziale, per i nigeriani sono le donne che arrivano a 20 anni senza avere avuto almeno uno o due bambini che rappresentano un problema sociale. Tutti riconosciamo che alcuni oggetti culturali servono a focalizzare l’attenzione sui problemi sociali. Se la cultura può attirare attenzione sui problemi sociali, essa può anche creare il problema? e se è così quale potrebbe essere il ruolo della cultura nella soluzione di questi stessi problemi che essa ha contribuito a creare? I sistemi culturali trasformano eventi e oggetti in oggetti culturali con significati specifici ad ogni cultura. Quando si compie una trasformazione, diventa possibile per gli individui cercare soluzioni, perché l’esistenza di un problema implica l’esistenza di una soluzione. La povertà considerata come un problema sociale diventa un oggetto culturale che viene letto entro un orizzonte di aspettative, interpretato, di cui si assume ci sia un autore e visto come qualcosa da superare. Considerata come oggetto culturale la povertà può anche beneficiare dell’analisi sul diamante culturale come ogni altro oggetto culturale, ci si può chiedere chi crea la CAPITOLO 6: Molte delle ambiguità della vita organizzativa derivano dal ruolo svolto della cultura e dagli oggetti culturali, sia dentro l’organizzazione sia interferendo con le sue operazioni dall’esterno. L’uomo che gestisce la licenza israeliana di McDonald’s ha un problema: Conciliare i propri obiettivi commerciali con le leggi e le idee religiose di Israele. Dovrebbe il gestore rinunciare a quella parte di profitto non usando questo tipo di cibo oppure dovrebbe continuare a seguire i suoi obiettivi anche se consapevole di rischiare perché gli israeliani religiosi non usano mangiare questo cibo? Ci sono due cose rilevanti nella cultura di Israele: 1- la maggior parte degli israeliani che non praticano la loro religione è quindi vanno a magiare in questi ristoranti impuri; 2- gli ebrei ortodossi agiscono come cani da guardia culturali, pronti a scagliarsi contro su qualsiasi cosa sembri irrispettosa sulle dottrine religiose. Il secondo fattore culturale ha a che fare col modo in cui gli israeliani sentono la cultura americana. Essi non solo la accolgono, ma conoscono anche i suoi più piccoli dettagli. Il dilemma dell’uomo israeliano esemplifica un tema comune: La conciliazione della cultura globale con quelle locali. La cultura globale, influenzata dalla cultura popolare americana e diffusa da media e viaggiatori. L’umo d’affari vuole tradurre in profitto il primo set di significati e raggiungere il pubblico che lo capisce. Vuole anche tenere da parte il secondo set e impedirgli di influenzare un maggiore pubblico. Fare affari in generali, sono più difficili in un’economia globale dove le culture locali e internazionali si scontrano, dove sistemi di significati incompatibili devono essere riconciliati, dove chi fa affari non può evitare di gestire significati così come non evita di gestire denaro, prodotti e persone. CULTURE ORGANIZZATIVE: Le organizzazioni operano dentro le culture e producono cultura. I manager e i lavoratori creano e ricevono gli oggetti culturali che possono facilitare o ostacolare il ruolo dell’organizzazione. Questo scambio di significati operano su 2 livelli: il livello dell’individuo o del piccolo gruppo e il livello del gruppo più grande o dell’organizzazione nel suo insieme. Tutte le organizzazioni hanno obiettivi e quindi tutte hanno il problema di motivare i propri membri a lavorare per questi obiettivi. Una teoria si basa sull’idea dell’uomo economico e sostiene che gli esseri umani vogliono soldi e ciò che i soldi permettono di comprare. Poiché i loro desideri e i loro bisogni sono sempre superiori ai loro mezzi, essi lavoreranno di più per una paga maggiore. Possiamo reinterpretare le subculture organizzative nei termini del diamante culturale. Ciò che la cultura esterna crea come oggetto culturale è recepito dai membri della subcultura che hanno un orizzonte di aspettative differente. Per loro il sistema a cottimo significa una diseguaglianza entro il gruppo che rende la vita di ciascuno più difficile e che incoraggia ad aumentare il livello standard di produzione attesa. Così il gruppo crea il suo oggetto culturale. Ma il pubblico manageriale lo interpreta come un segno della resistenza dei lavoratori e della loro incapacità di percepire i propri interessi economici. Le organizzazioni hanno provato vari approcci, tutti che tentavano di creare un certo tipo di cultura organizzativa in cui il duro lavoro e la dedizione ai fini dell’organizzazione fossero parte di un complesso significativo di attività e atteggiamenti. Alcune organizzazioni applicano soluzioni di tipo strutturale al problema dell’alienazione burocratica. Quanto più il lavoratore è vicino ai centri decisionali e di controllo, quanto più grande è l’influenza che egli ha sul prodotto e quanta minore distanza sociale esiste tra il management e il resto dell’0organizzazione, tanto più questo resto si identificherà con l’organizzazione e seguirà i suoi obiettivi. Un secondo modo per assicurarsi che i dipendenti condividano i fini dell’organizzazione è alimentare un tipo di cultura organizzativa tramite la selezione nella fase del reclutamento e la socializzazione attiva. Espressione di questa combinazione è una compagnia ingegneristica studiata da Kunda. La struttura organizzativa dell’azienda era decentralizzata e in continuo cambiamento. Questa struttura era compatibile con la forte e rivendicata cultura di self-management, decisionalità collettiva e creatività orientata al profitto. La cultura Tech produceva la dedizione del dipendente attraverso il controllo normativo che è ciò su cui si impegna la cultura dominante di ogni gruppo sociale. I manager di questa compagnia erano, consapevoli di questo fatto e così promuovevano una cultura organizzativa che serviva gli interessi dell’azienda. Un terzo modello attraverso cui i manager motivano i dipendenti è quello di stabilire modelli di pensiero e di comportamento sotto forma di attori esemplari e storie organizzative. Se non è influenzato, l’attore modello diventa un oggetto culturale, contemporaneamente un modello del comportamento buono e un modello per gli altri membri dell’organizzazione. Gli attori esemplari sono un tipo di modello, un altro è formato dalle storie organizzative. Negli incontri di orientamento i manager raccontano aneddoti che illustrano i valori e le pratiche organizzative desiderate. Un caso noto nella sociologia dell’organizzazione è quello riportato da Barnard dell’operatrice telefonica che rimase alla sua postazione pur sapendo che sua madre era intrappolata in una casa in fiamme. Barnard si affrettò a dire che la madre non morì. Un altro tipo di storia può emergere dalle interazioni tra i lavoratori. Quando si parla di cultura organizzativa presupponiamo un insieme indifferenziato di simboli e significati che la maggior parte dei partecipati di una data organizzazione capisce e accetta. Tuttavia le culture organizzative non sono unitarie. Le organizzazioni hanno subculture, mondi culturali diversi vissuti da livelli diversi dell’organizzazioni. Come tutte le culture e subculture esse si consolidano tramite storie. Barbara Czarniawska conclude che i membri di un’organizzazione usano storie per organizzare la propria esperienza, e i generi principali sono il dramma e l’autobiografia. Le storie funzionano come culture di particolari gruppi, livelli o unità organizzativi. Le persone interagiscono e danno un senso alla propria vita usando queste risorse narrative. Martin ha identificato sette tipi di racconti che si ritrovano in una varietà di organizzazioni pubbliche e private. Si tratta di storie su regole infrante, sull’umanità del datore di lavoro, su dipendenti che arrivano ai vertici, su incendi e sulla capacità dell’organizzazione di gestire gli ostacoli. Martin osserva che la gente che racconta queste storie le intende come dimostrazioni dell’unicità della loro organizzazione, a dispetto del fatto che storie identiche raccolte in organizzazioni diverse annullino questa unicità. Ogni tipo di storia organizzativa ha versioni positive e negative. La versione positiva della storia dell’errore mostra un dipendente che confessa l’errore e il suo datore di lavoro che condivide la responsabilità con lui, mentre quella negativa presenta un datore di lavoro implacabile che non perdona mai il dipendente. Le versioni positive di queste storie possono motivare i dipendenti assicurando loro che l’organizzazione è unica anche quando l’ambiguità di queste storie suggerisce che non è vero. Anche nelle versioni negative, queste storie, in quanto oggetti cultuali, producono solidarietà tra coloro che le condividono. Il management che detiene il potere simbolico di spiegare le attività sociali e delle indennità di welfare del dipendente. Ciò che i due autori chiamavano “teoria culturale” d’altra parte suggeriva che fossero le differenze razionali nei valori e dei lavoratori a spiegare le differenze nazionali nella dedizione e nella soddisfazione. Un approccio culturalista sembra sostenere che le forme organizzative giapponesi siano adatte alla cultura giapponese che valorizza la collettività più che l’individuo, la cooperazione e il rapporto di dipendenza personale tra i dipendenti e i supervisori; per questa concezione queste forme non avrebbero successo se esportate in altre culture. Un approccio che riconosce la compenetrazione di cultura e struttura è il neoistituzionalismo. I neoistituzionalisti considerano le organizzazioni come assemblaggi connessi di persone, strutture e sistemi. Inoltre le organizzazioni e le loro subunità tendono a conformarsi ai propri contesti istituzionali. Le organizzazioni e le relazioni organizzative si adattano ai loro contesti istituzionali e li rispecchiano e vale anche per le aziende. Inoltre le comparazioni organizzative cross-culturali possono trarre vantaggio da un nuovo approccio istituzionalista. Un gruppo di sociologi organizzativisi ha comparato le strutture dei gruppi d’impresa. Tutte le organizzazioni devono operare in un contesto culturale esterno, e che la relazione tra organizzazione e contesto non è mai semplice. Molte organizzazioni non possono ignorare il contesto in cui operano e devono capire il loro contesto esterno e più questo è diverso dagli assunti culturali interni all’organizzazione, più le cose si complicano. LAVORARE ATTRAVERSO CULTURE: Transazioni di genere implicano il riconoscimento di e la negoziazione con sistemi culturali diversi. Un modo di lavorare in contesti sociali differenti è quello di tener conto la missione principale dell’organizzazione ma adattarsi per le questioni minori. Le trappole per le organizzazioni che cercano di gestire la pluralità culturale sono molte. Heginbotham ha presentato un caso esemplare di come la mancanza di coordinamento culturale possa minare anche il programma costruito nel modo più razionale. Che aiuto può la sociologia della cultura? Essa può focalizzare l’attenzione sul fatto che anche una cosa tangibile è un oggetto culturale e come tale esso è un portatore di significato ma i suoi significati variano a seconda degli esseri umani. La necessità di stare attenti ai significati multipli e alle sfumature a base culturale ci conduce a oggetti culturali intangibili come sono le parole. Una confusione interculturale deriva dalle traduzioni che non catturano l’aureola di implicazioni di cui una cultura circonda una parola. Le interpretazioni multiple degli oggetti culturali intangibili possono essere comprese attraverso il sistema del diamante culturale. Una regola generale potrebbe essere questa: in ogni situazione in cui il creatore di un oggetto culturale e il suo ricevente provengono da culture diverse, l’individuo o l’organizzazione devono stare attenti alla possibilità di diverse costruzioni di senso, perché questi significati non equivalenti possono avere conseguenze significative per la realizzazione delle cose. CAPITOLO 7: Negli ultimi anni le transazioni economiche e i problemi sociali sono solo due dei molti settori che hanno interconnesso le persone ad un ritmo accelerato. Oggi, solo pochi gruppi isolati, sperduti nelle foreste pluviali in via di estinzione non sono consapevoli delle loro relazioni con il resto dell’umanità. Anche questi gruppi sono influenzati da tali relazioni. Se il mondo sta diventando interconnesso, significa che ci stiamo dirigendo verso una singola omogenea cultura chiamato “villaggio globale”. Anche la portata universale dei media elettronici genera forse una proliferazione di distinzioni e di singole culture locali? Sembra che stiano accadendo entrambe le cose. La globalizzazione esercita pressioni verso l’unità e verso la frammentazione. L’immagine culturale in opposizione alla diversità potrebbe essere sbagliata nell’era di Internet in cui le reti sostituiscono i gruppi come attori sociali. TECNOLOGIE E COMUNITA’ CULTURALI: Come la parola “cultura” così la parola “comunità” possiede significati diversi per i sociologi, ma due sono importanti: comunità come concetto territoriale e comunità come concetto relazionale. Nel primo senso, una comunità è qualcosa che possiamo localizzare su una mappa. Essa ha proprietà spaziali: dei confini, un centro, una periferia. Ha un nome e un insieme di simboli associati ad esso. La comunità nel secondo senso è un concetto relazionale: le comunità sono persone legate insieme da reti di comunicazione, di amicizia, di sostegno reciproco. I suoi membri possono essere dispersi geograficamente, possono non conoscersi l’un l’altro ma costituiscono una collettività significativa, autocosciente. Prima vi era una sovrapposizione tra questi due tipi di comunità. Le persone che vivevano nella stessa città o paese erano anche interconnesse tra di loro tramite l’amicizia, parentela, commercio, un unico insieme di simboli. Ma in una società mobile e differenziata, c’è sempre meno identità tra le comunità relazionali e territoriali. Una comunità può essere tenuta insieme dalla geografia, o da legami di network ma i membri di entrambi i tipi di comunità sono uniti dalla cultura. Cosa succede alla comunità in tempi di rivoluzione culturale? Le comunicazioni elettroniche rappresentano la terza rivoluzione che ha trasformato la cultura e la società. Le prime due furono l’alfabeto fonetico e la stampa, e ciascuna di queste precedenti rivoluzioni ha influenzato le comunità umane. Per la maggior parte del tempo l’umanità è vissuta in una cultura orale in cui la comunicazione dipende faccia a faccia, sono caratterizzate dalla diffusione di un sapere condiviso per tutta la comunità. Tali culture richiedono operazioni di memorizzazione da parte di alcuni specialisti della memoria, che agiscono da depositari della storia del gruppo e della genealogia, mala maggior parte del sapere è conservato in comune e ripetuto. Da questo derivano due caratteristiche delle culture orali: 1- l’uso dei proverbi, 2- il fiorire della poesia epica. Nelle culture orali i vocabolari tendevano al concreto, essi erano sofisticati. La cultura orale sostiene una comunità in cui la gente pensa, fa e crede in gran parte le stesse cose. In queste comunità, la sovrapposizione tra la coscienza dell’individuo e la coscienza collettiva è quasi totale. I membri di queste comunità troveranno il loro modo di vita saldo e normale. L’alfabetizzazione non annullò la cultura orale. Queste culture sono inserite in quelli che Cooley chiamava gruppi “gruppi primari”, gruppi in cui il sé viene plasmato, possiamo capire il continuo potere dell’oralità. Nonostante i sistemi di scrittura, altre forme di scrittura avevano già prodotto le loro conseguenze sociali. Diversi sistemi di scrittura non fonetica erano già sorti nel mondo antico, sistemi in cui i segni stavano per parole. Gli alfabeti fonetici in cui i caratteri rappresentano suoni invece che parole o concetti, sono molto più semplici e quindi più facili da imparare. L’alfabetizzazione è considerata una caratteristica che distingue le società moderne da quelle premoderne; ma essa serve anche a distinguere l’oggetto della sociologia da quello dell’antropologia. La seconda rivoluzione nella comunicazione è occorsa nel 15sec, quando Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili, rendendo possibile rendendo possibile la comunicazione scritta su una scala diversa da quella dei manoscritti. Anche la conoscenza -Aumento dell’accesso: Più persone navigano on line. La distinzione tra membri più o meno ricchi nei paesi occidentali sta svanendo. -Aumento del coinvolgimento: Le persone passano più tempo online e facendo più cose mentre navigano. -Uso domestico: Internet non è solo più uno strumento che si usa al lavoro, ormai ha seguito le persone a casa. -Più ore di lavoro: Internet essendo entrato nell’ambiente domestico ha consentito di portarsi il lavoro a casa. -Compiti scolastici: Le scuole hanno fatto da legame istituzionale tra la casa e internet. Non solo gli studenti usano internet ma la presenza di bambini in età scolare fa aumentare la probabilità che una famiglia abbia accesso a Internet. -Aggiornamento: Chi lo usa, afferma che vorrebbe avere accesso a Internet per tenersi aggiornato. -Una società di rete: Le reti, sono la formazione più significativa nell’era di Internet. Nel mondo sviluppato, Internet è penetrato nella vita quotidiana e in modo crescente lo sta facendo anche nel mondo in via di sviluppo. Tra tutte le sue implicazioni qui vogliamo concentrarci sul suo impatto selle pratiche culturali. Internet è stato tanto rivoluzionario come lo è stata la stampa cinque secoli fa? Quando i media elettronici e Internet erano all’orizzonte molti temevano che questo avrebbe provocato la morte della letteratura. Non è andata cosi, ma che le persone che usano di più Internet leggano anche di più. Questo è dovuto in parte all’istruzione, in parte al modo in cui Internet rende facile trovare e comprare libri. Internet non ha avuto l’impatto negativo sulla letteratura, in realtà sembra esserci un’associazione positiva tra le due attività. Quello che Internet fa diminuire è il tempo trascorso a guardare la tv. Ma Internet non sta sostituendo l’attività di svago come lo sport, la letteratura. La ricerca di Hargittai suggerisce che anche se la distinzione digitale in termini di accesso a Internet sta diminuendo, la distinzione nelle competenze rimane ampia ed è legata ad altre forme di diseguaglianza sociale. I ruoli di genere sono riprodotti in Internet. Internet permette alle persone di fare quello che facevano prima ma in modo più efficiente. Tuttavia la rivoluzione elettronica sembra connettere sempre più persone tramite reti, senza distruggerne le affinità di gruppo. COMUNITA’ DI SIGNIFICATO IN UNA CULTURA GLOBALE: Parrenas descrive il modo in cui la vita delle filippine si svolge in tre diversi spazi. Prima lo spazio globale, in cui i lavoratori si spostano a livello mondiale seguendo la richiesta della loro manodopera. Poi c’è lo spazio transnazionale dove le donne vivono in due diverse società quella da cui provengono, le Filippine e quella del paese occidentale in cui lavorano. Infine lo spazio locale, perché le donne filippine creano spazi d’incontro dove potersi riunire per condividere le loro storie. Bellah ha usato l’espressione “nicchie di stile di vita” per descrivere i luoghi in cui le persone possono scegliere di vivere con altre simili a loro. L’esempio di Parrenas ci spinge a estendere l’idea della nicchia: molti vivono dove sono costretti non dove vogliono, eppure si sforzano di creare nicchie di stile di vita. Oggi possiamo dire che viviamo entro le “nicchie culturali”. Individui con sistemi di significato diversi possono creare e ricevere i loro oggetti culturali e limitare le interazioni a quanti ne condividono i sistemi di significato. Questi gruppi culturali interagenti possono essere comunità con un nome e possono oltrepassare i confini politici e geografici ma sono comunque costruiti intorno alla somiglianza piuttosto che alla differenza. La loro tendenza è quella di diminuire la tolleranza e la comunicazione elettronica facilita questo. Le nicchie di stile di vita sono geografiche ma il processo di separazione è ancora più pronunciato per le comunità relazionali. Le comunicazioni elettroniche su scala globale, sono il fondamento del postmodernismo. La cultura postmoderna è una cultura di superficie, un gioco di immagini che rinnega la profondità o il significato. Essa presenta delle caratteristiche: 1) Assenza di spessore: La profondità è stata sostituita da superfici multiple, non ci sono significati nascosti. 2) Rigetto delle metanarrazioni: Un risvolto di ciò è un senso indebolito dalla storia o del destino nazionale. 3) Frammentazione cioè rottura delle connessioni: La cultura postmoderna accoglie il frammentario, l’effimero, il discontinuo. Il montaggio di elementi culturali tratti da diversi tempi e luoghi è una convenzione dell’arte e della letteratura postmoderne. Una cultura che sconfessa profondità e storia, una cultura che rifiuta ogni descrizione del suo passato e del suo futuro, una cultura in cui tutto può essere combinato con qualunque altra cosa non sembra promettente come fondamento su cui edificare una comunità. La razionalizzazione, il capitalismo sulla comunità umana furono tra i padri fondatori della disciplina. Nelle loro teorie sociali immaginarono il tipo di legami che potevano vincolare la gente e dare significato alle loro vite nel mondo contemporaneo. Per Marx era la coscienza di classe, per Weber erano i sistemi di idee, per Durkheim un’incarnazione della coscienza collettiva. Tutti questi intellettuali proposero dei sistemi culturali di produzione del significato che potessero offrire una difesa contro il mondo individualistico e conflittuale della società. I media elettronici hanno reso possibile il contatto tra gli esseri umani come non si era mai visto prima. Le teorie della cultura danno motivo per essere tanto ottimisti quanto pessimisti. Sul versante ottimista la comunità ed un senso di solidarietà derivano dall’interazione, perché attraverso le interazioni con gli altri che noi costruiamo sistemi di significato condivisi. Cooley scrisse che i gruppi primari, danno alla gente il senso di chi è e di come viene identificata. Sempre con il ragionamento di Cooley se le comunicazioni elettroniche rendono possibili interazioni per un numero sempre più grande di individui indipendentemente da dove si trovano fisicamente, tutto questo porta ad un’unione tra loro ad una comprensione di ciò che hanno in comune in quanto persone. Alcuni sociologi hanno suggerito che il bisogno di erigere e accentuare confini culturali è una risposta a pressioni su altri conflitti. L’idea è che le pressioni esterne su una società portino una un’enfasi sulle gerarchie interne così come alla difesa delle distinzioni che si percepiscono minacciate. Davis afferma che quando le istituzioni e i sistemi di significato vengono minacciati o distrutti, sarebbe plausibile non ricreare dei nuovi; una reazione possibile può essere quella di dare rilievo ai tratti culturali e sulle distinzioni preesistenti. Così le “rotture dell’ordine morale” di cui parla Wuthnow possono anche non produrre ideologie, ma rinvigorire le vecchie, compresi i vecchi odi che si credeva fossero scomparsi dal mondo moderno. Il concetto di pulizia etnica rappresenta la comunità in senso assoluto. I linguaggi pubblici sono destinati a una comunità relazionale mentre quelli privati si rivolgono ad una comunità spaziale. La prima è specifica, orientata ad uno scopo, formale, impersonale mentre la seconda è diffusa e intima. Al posto della lingua, supponiamo di mettere la cultura. Abbiamo così l’immagine di un
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