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Sociologia della cultura - Wendy Griswold., Sintesi del corso di Cultural Studies

Riassunto del libro "Sociologia della cultura" - Wendy Griswold.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 04/07/2020

Utente1172
Utente1172 🇮🇹

4.4

(110)

61 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Sociologia della cultura - Wendy Griswold. e più Sintesi del corso in PDF di Cultural Studies solo su Docsity! 1 Sociologia della cultura – Wendy Griswold. Prefazione ® Il diamante culturale. Il libro è un’introduzione alla sociologia della cultura, quella branca della sociologia che osserva i fenomeni culturali - comprese le storie, le credenze, i media, le opere d’arte, le pratiche religiose, le mode, i rituali, il sapere specialistico e il senso comune - da una prospettiva sociologica. Allo stesso tempo, esso fornisce suggerimenti circa il modo in cui i fenomeni culturali funzionano nei più generali processi sociali. Nel corso del libro farò uso del modello del “diamante culturale” per analizzare i rapporti tra quattro elementi: • gli oggetti culturali: simboli, credenze, valori e pratiche. • I creatori culturali: comprese le organizzazioni e i sistemi che producono e distribuiscono oggetti culturali. • I ricevitori culturali: cioè le persone che fanno esperienza della cultura e degli oggetti culturali. • Il mondo sociale: cioè il contesto in cui la cultura viene creata ed è esperita. ® Un approccio globale. Questo studio della cultura è globale in almeno tre sensi: • Casi transnazionali: in primo luogo, considereremo esempi di fenomeni e processi culturali tratti da una grande varietà di paesi e periodi. Esamineremo aspetti della tradizione culturale occidentale in generale e di quella americana in particolare, ma trarremo anche materiali da altre tradizioni e culture, tra i quali numerosi esempi di culture di particolare interesse come Israele e Giappone. Tre paesi - la Nigeria, la Cina e gli Stati Uniti - saranno ripetutamente citati per illustrare problemi e questioni dell’analisi culturale. • La cultura globale: il secondo modo in cui questo libro raccoglie la sfida della globalità è nel considerare come i processi di globalizzazione in sè stessi stiano influenzando la cultura e le culture. • Conflitti culturali: in terzo luogo, molti dei principali conflitti che hanno avuto luogo nel periodo successivo alla guerra fredda riguardano la cultura (i conflitti per l’omogeneità etnica e il fondamentalismo religioso). 1. La cultura e il <<diamante culturale>>. 1.1 definizioni: due modi di guardare la cultura. Quando i sociologi parlano di cultura, ha osservato Richard Peterson (1979), essi solitamente intendono una di queste quattro cose: • norme: sono il modo con cui la gente si comporta in una data società. • Valori: sono ciò a cui essi tengono. • Credenze: sono il modo in cui essi pensano che il mondo funzioni • Simboli espressivi: sono rappresentazioni, spesso delle stesse norme sociali, dei valori e delle credenze. Parlare di cultura da una parte e di società dall’altra significa fare una distinzione analitica tra due diversi aspetti dell’esperienza umana. Secondo un modo per concepire questa distinzione la cultura designa l’aspetto espressivo dell’esistenza umana, mentre la società indica l’aspetto razionale e spesso pratico. Lo stesso oggetto o comportamento può essere analizzato in quanto sociale (un biglietto da visita comunica informazioni necessarie alle transazioni economiche o agli scambi personali) o in quanto culturale (un biglietto da visita ha un significato diverso per un americano o un giapponese). ® <<quanto di meglio è stato pensato e conosciuto>>. Il termine cultura è spesso riferito alle belle arti e allo spettacolo, o alla letteratura seria. La cultura in questa accezione viene chiamata a volte cultura alta - in quanto opposta a quella popolare, folk, o di massa - e implica uno status sociale elevato. 2 Dal punto di vista tradizionale delle discipline umanistiche: • alcune culture e alcune opere culturali sono migliori di altre; la cultura ha a che fare con la perfezione m. Derivando da una radice etimologica che significa coltivazione, come nell’agricoltura, questa nozione di cultura suppone la coltivazione della mente e della sensibilità umane. • La cultura si oppone alle norme prevalenti dell’ordine sociale, o civiltà. L’armonia tra cultura e società è possibile, ma raramente viene conseguita. • Si teme che la cultura sia fragile, che possa essere persa o indebolita o estraniata dalla vita socioeconomica. La cultura deve essere attentamente preservata, attraverso le istituzioni educative, ad esempio, e in archivi culturali come le biblioteche e i musei. • Si attribuisce alla cultura una aurea di sacralità e ineffabilità, separandola dall’esistenza quotidiana. Questa separazione viene spesso simbolicamente accentuata (l’ingresso del maggior museo d’arte di Chicago per esempio, è protetto da leoni di bronzo). A causa della sua straordinarietà e della sua qualità speciale, la cultura non ha senso se considerata solo nelle sue dimensioni economiche, politiche o sociali. È importante riconoscere che questo “punto di vista tradizionale delle discipline umanistiche” è un’idealtipo, che appiana contraddizioni e complessità per facilitare il confronto. Inoltre, descrive una “cultura alta” per pochi eletti. Ciò nonostante, questo modo di intendere la cultura è profondamente radicato nella maggior parte delle persone. ® <<quell’insieme complesso>>. Secondo Herder si doveva parlare di culture, non semplicemente di cultura, per l’ovvia ragione che le nazioni, e le comunità entro o tra le nazioni, avevano la propria, ugualmente meritevole cultura. E.B. Taylor nel suo libro alle origini della cultura (1871) bandi come superato l’intero dibattito cultura versus civiltà: la cultura o civiltà, presa nel suo più ampio significato etnografico, è quell’insieme complesso che include il sapere, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e ogni altra competenza e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società. Il sociologo Peter Berger (1969), per esempio, definisce la cultura come “la totalità dei prodotti dell’uomo”, sia materiali che immateriali. Inoltre, Berger sostiene che la stessa società “non è che parte ed elemento della cultura non materiale”. Concepire la cultura in senso ampio come l’intero modo di vita di un popolo evita l’etnocentrismo e l’elitismo di cui è vittima e l’accezione umanistica, ma una definizione così comprensiva manca dalla precisione desiderata nelle scienze sociali. Una tendenza recente è quella di ridurre le dimensioni del concetto di cultura e introdurre distinzioni in modo da precisare esattamente in cosa consista l’oggetto di analisi. Wuthnow e Witten (1988), per esempio, suggeriscono che i sociologi dovrebbero distinguere tra culture implicita e cultura esplicita. A volte consideriamo la cultura una costruzione sociale tangibile, una specie di bene o merce simbolica che viene esplicitamente prodotta, come nel caso del velo portato da una giovane musulmana. Altre volte la cultura è vista in termini più astratti come una caratteristica implicita della vita sociale, una prefigurazione una base per le relazioni sociali, come nel caso del retroterra culturale che sta dietro il diverso modo in cui gli americani e giapponesi maneggiano i biglietti da visita. Questa distinzione è utile, non perché nessun tipo di cultura è concettualmente superiore, ma perché essa può funzionare come una classificazione preliminare per organizzare le molte definizioni di cultura con cui i sociologi si trovano a lavorare. La cultura implicita è difficile da studiare, chiaramente, e persino da individuare. Ci sono questi due tipi di cultura: le forme espressive esplicite da un lato e il fondamento implicito dall’altro (A volte, le prime sono viste come il dominio della sociologia della cultura, mentre il secondo rientra nella sociologia culturale). Il funzionalismo, quella branca della teoria sociale che parte dall’assunto che un’istituzione sociale svolge alcune specifiche funzioni necessarie al benessere della collettività, identifica la cultura con i valori che orientano i livelli sociali, politici ed economici di un sistema sociale. Nella prospettiva funzionalista, perciò, esiste una congruenza tra cultura e società perché ogni incongruenza sarebbe disfunzionale. Come esempio di questo assunto, si consideri l’analisi della cultura come esito di un processo di esternalizzazione, oggettivazione e interiorizzazione svolta da Peter Berger (1969). Berger sostiene che gli esseri umani proiettano la loro esperienza sul mondo esterno (esternalizzazione), poi vivono queste proiezioni come fossero indipendenti (oggettivazione) e infine incorporano queste proiezioni nella loro coscienza psichica (interiorizzazione). 5 Gli antropologi hanno evidenziato che il complesso delle interazioni umane trasmette modelli di significato e di comportamento e che questi modelli si chiamano cultura. L’analisi sociologica della cultura parte dalla premessa che quest’ultima offre orientamento, protegge dal caos e dirige il comportamento verso determinate linee di azione e lontano da altre. La cultura fornisce significato e ordine attraverso l’uso di simboli, laddove ciò che abbiamo designato come oggetti culturali sono arricchiti di significati oltre e al di là della loro utilità materiale. Nelle culture dell’Africa occidentale, le cicatrici facciali, prodotte sulla base di un modello, significano che un uomo ha delle affiliazioni parentali che lo rendono un corteggiatore desiderabile o irraggiungibile. In altre società, quelle cicatrici sarebbero considerate irrilevanti o spregevoli. Le cicatrici non hanno significato in sé e per sé, ma diventano intensamente significative nella misura in cui sono incorporate in una cultura che le produce e le interpreta. 2.2 Cultura e significato nella teoria del rilesso. Se la cultura è fatta di significati, e se i significati sono sociali, dobbiamo chiederci ancora: che tipo di relazioni esistono tra il mondo sociale e i modelli o gli oggetti culturali? Le questioni di fondo sono: da dove provengono e quale differenza fanno i significati? Due delle più importanti risposte sociologiche a queste domande – quelle fornite dal funzionalismo e dal marxismo - possono essere considerate come versioni di una stessa teoria del riflesso, in cui la cultura è concepita come un fedele riflesso della vita sociale. La terza risposta, quella data da Max Weber, afferma che è la vita sociale che riflette la cultura. ® La cultura come specchio. La cultura e lo specchio della realtà sociale. Pertanto, il significato di un particolare oggetto culturale sta nelle strutture sociali e nei modelli sociali che esso riflette. Il modello del riflesso è plausibile sotto molti aspetti, compreso il suo rifarsi al senso comune. La maggior parte della gente crede, ad esempio, che la violenza e il maltrattamento descritti dalla televisione riflettono la violenza e maltrattamenti diffusi nella nostra società. In un caso, la violenza televisiva è un riflesso del mondo sociale; nell’altro vale è un riflesso della violenza televisiva. (Tradizionalmente, la sociologia culturale a preferito il primo modo di descrivere la connessione, chiedendosi come la cultura riflettesse la società e ammettendo il secondo modo - come la società rifletta la cultura - solo come considerazione secondaria. L’inserimento di questo semplice modello del riflesso nel nostro diamante culturale mostra come possiamo procedere nella verifica delle credenze comuni circa il legame tra violenza e televisione. Se la domanda è: la televisione riflette mutamenti nel mondo sociale?, noi misureremo episodi di violenza in una data società da un momento dato (t1) ad un altro (t2). Analogamente misureremo la curva degli episodi di violenza sulla televisione nello stesso arco di tempo. La nostra aspettativa è, seguendo la teoria del riflesso, che la violenza televisiva, tenuto conto di un certo scarto temporale, aumenti o cali in funzione del tasso di violenza nella vita reale. Questo non significa che la violenza sociale causi la violenza televisiva, ma solo che c’è una correlazione tra le due. Se, d’altra parte, i due tassi crescono e cadono insieme ma le impennate e crolli della violenza televisiva precedono i cambiamenti corrispondenti nel tasso di violenza sociale, questo sarebbe un argomento a favore della teoria per cui è il mondo sociale che riflette la cultura. ® L’origine greca della teoria del riflesso. Cominciamo dalle origini classiche della teoria del riflesso di Platone. Secondo la teoria platonica delle forme, esposta nel 10º libro della Repubblica, aldilà di ogni apparenza si trova un’idea o una forma. Gli esseri umani, confondono apparenza e realtà, proprio come quando alcuni uomini prigionieri in una grotta prendono per reali le ombre tremolanti che è un fuoco proietta sulla parete. Anche le apparenze derivano da qualcosa, e Platone suggerisce che esse derivano dal riflesso. La teoria platonica delle forme ha tre comportamenti: la forma, l’apparenza e l’arte. Tradotta nella nostra terminologia, potremmo dire che sono l’idea, la concretizzazione materiale dell’idea e l’espressione simbolica o culturale dell’idea che formano così un diamante doppio. 6 Ma la conseguenza di questa struttura a tre parti era, per Platone, una svalutazione del terzo termine in quanto due volte lontano dalla realtà. Aristotele suggerì un modo per difendere l’arte (e per estensione, la cultura): ridefinire il termine medio. Egli sostenne che l’arte imita non il regno delle idee, ma le verità universali circa l’esistenza umana. La teoria del riflesso nelle sue origini platoniche presuppone che la cultura sia meno che è reale, meno fondamentale di ciò che essa riflette, e questo assunto è giunto sino alla disciplina sociologica. Lo stesso è accaduto con le distorsioni in senso più positivo della teoria operate da Aristotele, secondo cui la cultura è qualcosa di più profondo del mondo sociale e può rappresentare gli universi umani. Le due teorie sociologiche dominanti del XX secolo (funzionalismo e marxismo) impiegano entrambe il modello del riflesso, ed entrambe perpetuano alcune delle sue implicazioni platoniche. 2.3 Cultura e significato nella sociologia marxiana. Ora daremo un’occhiata al dibattito così come si presentava circa 2000 anni dopo Platone. ® <<Dalla terra del cielo>>: l’approccio materialista alla cultura. Come abbiamo visto, la premessa di fondo dell’idealismo è che la cultura può meglio essere compreso come la materializzazione di idee, di spirito, bellezza e verità universale. I pensatori del tardo settecento il primo ottocento noti come idealisti tedeschi condividevano la nozione neoplatonica che lo spirito, l’idea, la categoria intellettuale fosse antecedente alla realtà empirica sensitiva. Immanuel Kant (1724-1804), per esempio, sosteneva che la mente umana poteva ricevere e reagire al mondo esterno perché possedeva concetti come quelli di spazio e di tempo ancora prima di esperirli empiricamente. George Friedrich Hegel (1770-1831) trasformò l’idealismo in un principio della storia universale. Ogni età, diceva, ha avuto un carattere unitario perché la sua cultura, la sua politica e i suoi eventi storici manifestarono tutti lo spirito del mondo a un dato stadio di sviluppo. Se l’idealismo dà precedenza all’ideale rispetto al materiale, il materialismo inverte la relazione. Karl Marx (1818-1883) incontrò il pensiero materialista nel 1836 quando, giunse all’Università di Berlino e venne coinvolto nel circolo dei giovani e hegeliani, un gruppo impegnato in una revisione della filosofia di Hegel in modo da orientarla a fini più progressisti. Pensatori sociali critici, e si volevano determinare le leggi della storia allo scopo di riformare la società. Dopo aver concluso gli studi Marx lascio Berlino e si trasferì a colonia, dove pubblicò un giornale radicale. In questo suo ruolo, ricevette un libro da un filosofo materialista di nome Ludwig Feuerbach che cambiò radicalmente il suo pensiero provocando la rottura con i giovani hegeliani. Rovesciando Hngel, Feuerbach sosteneva che lo spirito del tempo era un prodotto di condizioni materiali. Il suo principale esempio fu la religione. Gli esseri umani creano gli dei, affermava Feuerbach, ma poi prendono per reale la loro stessa creazione, la adorano e ne diventano dipendenti. La religione, sebbene sia creata dagli uomini, si separa da essi, funzionando infine come una compensazione idealizzata alla reale miseria umana. Ciò che la concezione materialista implica per la sociologia della cultura è che la religione, i valori, l’arte, le idee, le leggi e la cultura in generale sono i prodotti della realtà materiale e che dovremmo analizzare in quanto tali. 7 ® Il materialismo storico. Nei termini del materialismo storico, il punto di partenza di ogni analisi è sempre l’homo faber (l’uomo produttore), gli uomini che lavorano per sostenerti attraverso la produzione e la riproduzione. Non solo le cose materiali come gli alberi, ma anche la stessa coscienza sono prodotti sociali, sosteneva Marx, e lo stesso può dirsi di tutto ciò che chiamiamo cultura. Marx affermava che la cultura, il governo, la religione, la politica e le leggi erano tutte sovrastrutture poste su una base fatta di forze materiali di produzione e delle loro fondamenta economiche. Marx, diceva, non si deve giudicare un periodo di trasformazione (o ogni altro periodo) per la sua coscienza, a partire da ciò che la gente che vive in quel periodo pensa e crede, ma piuttosto si deve spiegare la coscienza del periodo con le contraddizioni della sua vita materiale. Gli interessi e gli antagonismi di classe sono i fattori chiave. (Le idee dominanti di una società sono le idee della sua classe dominante. Queste idee e questi valori e pratiche culturali progettano i suoi interessi e legittimano la sua posizione. La classe dominante cerca sempre di giustificare la propria posizione preminente spacciando le sue idee per idee universali). Marx conciò intendeva dire che la cultura (le idee, i valori, le arti, le leggi, la religione, la cultura popolare) è inevitabilmente determinata dalla vita materiale di una società e dai connessi antagonismi di classe. ® Linee di ricerca della tradizione marxista. La ricerca marxista comprende sempre una critica sociale e implicitamente o esplicitamente difende il mutamento. Poiché gli oggetti culturali aumentano o ostacolano la comprensione delle relazioni sociali, essi sono potenzialmente tra le armi della critica invocate da Marx e possono così facilitare il movimento storico verso la rivoluzione socialista. Un gruppo particolarmente influente di pensatori che applicarono l’analisi culturale di Marx fu quello della scuola di Francoforte. Gli esponenti della scuola di Francoforte avanzarono una nuova teoria critica, che organizzava l’analisi culturale empirica in funzione dell’obiettivo di una riforma sociale. In quest’ottica, essi fecero molta ricerca sull’autorità e sulla cultura di massa, considerandole entrambe correlate alla crescente impotenza della gente nella società moderna. Essi criticavano i prodotti culturali di massa per essere divenuti semplici merci, che scoraggiavano la protesta sociale riconciliando i consumatori con la loro esistenza. In questa critica la scuola di Francoforte utilizzava l’espressione industria culturale per sottolineare la natura antidemocratica della cultura popolare. La vera preoccupazione degli studiosi della scuola di Francoforte era che la gente sarebbe stata troppo stordita dai mass-media per protestare, o anche solo accorgersi, quando le loro libertà fossero venute a mancare. 2.4 Cultura e significato nella sociologia funzionalista. Nel frattempo, un’altra teoria (il funzionalismo) si stava dimostrando straordinariamente influente, e non solo nel campo della sociologia della cultura. Essa conservava il modello riflessivo della cultura offrendo al contempo un organico resoconto delle relazioni sociali umane. Se il marxismo concepisce la vita sociale dell’uomo nei termini di una dura lotta interrotta solo dalla morte, il funzionalismo la concepisce come una tendenza sistematica all’armonia. L’essenza del funzionalismo è che le società umane, per conservarsi, esprimono bisogni concreti, e le istituzioni sociali sorgono per soddisfare questi bisogni. Per esempio, ogni società ha bisogno di crescere e socializzare i suoi giovani, così ogni società ha una struttura razionale istituzionalizzata, chiamata famiglia, che svolge questa funzione. Una società sana esiste in uno stato di equilibrio o di bilanciamento in cui le istituzioni sono adattate una all’altra e operano in un sistema di mutua interdipendenza per soddisfare i bisogni della società. Le incapacità di adattamento, che tutte le società provano in qualche modo, vengono descritte come disfunzionali. Consegue da questo ragionamento che ogni livello sociale (la cultura, la politica, l’economia, l’ordine sociale) fornisce input e riceve output da ogni altro livello. Ogni livello è adattato a, o riflette, ogni altro livello. Così, la cultura riflette la società proprio come la società riflette la cultura. I problemi che presenta questa semplice versione funzionalista della teoria del riflesso diventano evidenti quando pensiamo ad esempi concreti, come il grado in cui gli spettacoli televisivi popolari riflettono la realtà sociale. Il classico modello riflessivo funzionalista assume che gli esseri umani siano passivi e senza interessi propri. E il modello non dà posto all’influenza indipendente delle organizzazioni di produzione della cultura (le case discografiche, le gerarchie ecclesiastiche, le orchestre sinfoniche, le gallerie d’arte e così via). 10 3.2 La produzione collettiva della cultura. L’applicazione della prospettiva durkeimiana costituisce ciò che chiameremo l’approccio della produzione collettiva e significati culturali. Questo approccio cerca di svelare il mistero della creazione dell’arte delle idee, delle credenze, della religione e della cultura in generale mostrandole i numeri voli attività sociali, come l’interazione, la cooperazione, l’organizzazione e la contestazione, coinvolte nella formazione di ciò che chiamiamo oggetti culturali. Se la cultura è una rappresentazione collettiva, come diceva Durkheim, allora l’approccio della produzione collettiva è alla ricerca dei meccanismi attraverso cui la collettività cerca di autorappresentarsi. La teoria della produzione collettiva a due facce: • Una comprende le interazioni tra individui e il modo in cui queste stesse interazioni generano cultura (interazionismo simbolico). • Il secondo presta meno attenzione alle interazioni e più all’organizzazione dei produttori e dei consumatori culturali, includendo qui le industrie culturali, i meccanismi della distribuzione e i mercati per i prodotti culturali. ® L’interazionismo simbolico. L’interazionismo simbolico è interessato al modo in cui è l’individuo costruisce attivamente le proprie norme e i propri ruoli. La prospettiva di fondo degli interazionisti è che il sé dell’uomo non è una forma platonica preesistente, ma è creata dall’interazione sociale. Dove compare la cultura? Dal punto di vista dell’interazionismo simbolico, l’individuo umano è molto disponibile ad essere influenzato. La biologia o la nostra natura innata danno poche indicazioni alle nostre vite, e così dobbiamo sviluppare le nostre linee di condotta, cosa che facciamo nel corso delle interazioni con gli altri. L’interazionismo simbolico suggerisce che l’interazione umana crea cultura. Una volta creati, gli oggetti culturali sono riprodotti e trasmessi attraverso la loro ripetuta espressione e attraverso la socializzazione dei nuovi membri del gruppo. L’identità è un concetto chiave nell’approccio dell’interazionismo simbolico. L’identità o il senso del sé (io sono una cantante blues o io sono un cognato) viene prodotta dalle interazioni con altri e richiede la conferma degli altri; il sé cerca di proiettare un certo insieme di significati su coloro con cui interagisce, e a sua volta cerca di interpretare i significati costruiti dai partner nell’interazione. Goffman (1959) analizza questo processo impiegando le metafore delle performance teatrali: quando interagisce, il sé è un attore che recita un ruolo davanti ha un pubblico. Se la performance ha successo, il sé vede confermata una certa identità sia nei confronti dei partner dell’interazione sia verso sé stesso. ® Subculture. Le Subculture creano significato, producendo oggetti culturali che sono significativi per i membri del gruppo e incomprensibili per gli estranei. Non tutti gli eventi, comunque, possono venire trasformati in oggetto culturale. Affinché un simbolo o un’espressione entrino a far parte dell’idiocultura, devono basarsi su informazioni note; devono essere funzionali (i soprannomi aiutano a identificare i giocatori); devono essere facilmente utilizzabili; devono essere appropriati; e devono essere utilizzati ripetutamente. 3.3 Innovazioni culturali e cambiamento sociale. La risposta culturale al mutamento sociale non deve assumere per forza la forma drastica di una società segreta o di un movimento rivoluzionario. Possiamo considerare l’adattamento culturale a circostanze che cambiano nel modo in cui le comunità reagiscono alle pressioni demografiche. ® Ritardi e direzioni culturali. Se la cultura riflette passivamente il mondo sociale, che è quanto il modello del riflesso solitamente presume, allora il cambiamento deve prima a venire in quel mondo. In questa concezione, le innovazioni nella musica, nell’arte, nella tecnologia, nelle idee, nella cultura popolare, nella letteratura e nel comportamento espressivo devono essere tutte risposte a cambiamenti sociali. 11 Ora, benché ci sia chiaramente qualcosa di giusto nell’idea che gli slittamenti sociali producano i mutamenti culturali, una simile posizione deterministica suggerisce che il mondo sociale cambia sempre per primo, lasciandosi dietro la cultura. L’ipotesi del “ritardo culturale” fu avanzata da un sociologo americano, W. Orgburn (1936), il quale sosteneva tra l’altro che i sociologi dovevano distinguere tra: - Cultura materiale: la cultura materiale è proprio ciò che suona come tale (case, macchine, fabbriche, materie prime, prodotti manufatti, sostanze alimentari e altri oggetti materiali). Quando questa cultura materiale cambia, quella non materiale, che comprende pratiche, costumi e istituzioni sociali, deve cambiare come risposta. - Cultura adattiva: la cultura adattiva è quella parte di cultura non materiale che si adegua alle condizioni materiali. Ci vuole sempre un po’ perché questo adattamento si realizzi compiutamente, e questo scarto è il ritardo culturale. Ogburn credeva che i cambiamenti nella cultura materiale solitamente precedessero i cambiamenti nella cultura adattiva. In un certo senso, questo è vero per definizione (l’adattamento significa adattamento a qualcosa). Una simile teoria è compatibile con la teoria del riflesso nelle sue vesti tanto marxiani quanto funziona liste. Allo stesso tempo, possiamo però presentare numerosi esempi in cui è la cultura non materiale che guida, e non la segue, le condizioni materiali. Ad esempio, si consideri il cambiamento su scala mondiale nel consumo di sigarette. Ne è un cambiamento materiale (non c’è stata scarsità di tabacco) una scoperta materiale (da tempo si conoscono i problemi che il fumo provoca alla salute) hanno prodotto il rapido declino del fumo nelle classi medie americane e, più tardi, europei. Il cambiamento di atteggiamento verso il fumo si ebbe quando la popolosa generazione nata dopo la Seconda Guerra mondiale prese a interessarsi alla salute e al benessere. Lo status elevato non si esprimeva con i Martini, le pellicce e il portasigarette d’argento, ma con costose acque minerali, con il jogging e col disprezzo del fumo. In quanto oggetto culturale, la sigaretta per questo gruppo prese a significare stupidità e fastidio verso altre persone, disprezzo per la salute del corpo. ®Le innovazioni culturali. L’approccio della produzione collettiva alla cultura suggerisce che, sebbene le innovazioni possono realizzarsi casualmente e in forme non prevedibili, alcuni elementi costanti appaiono evidenti: 1. Determinati periodi sono più favorevoli di altri alla produzione di innovazione: diversi analisti culturali hanno mostrato che la creatività culturale non si manifesta a ritmo costante, ma con straordinari picchi e cadute. Vi sono periodi di cambiamento relativamente contenuto, durante i quali le convenzioni sono stabilizzate, le idee sono generalmente condiviso da tutta la comunità e lo status quo non è in pericolo. In altri periodi la creatività culturale esplode. I pensatori avanzano nuove idee e sistemi di idee, che circolano tra uomini e donne interessati alla cosa pubblica. 2. Anche le innovazioni seguono alcune convenzioni. 3. Alcune innovazioni hanno più probabilità di altre di istituzionalizzarsi. 4. Produzione, distribuzione e ricezione della cultura. In questo capitolo analizzeremo produzione, distribuzione e ricezione della cultura. Osserveremo più da vicino le organizzazioni e i processi attraverso i quali oggetti culturali vanno oltre i loro creatori sino ad arrivare a coloro che alla fine ne fanno esperienza, li consumano e li interpretano. 4.1 La produzione della cultura. Abbiamo bisogno di comprendere proprio come la cultura (e gli oggetti culturali che compongono una cultura) vengono prodotti; inoltre, abbiamo bisogno di sapere quale impatto i mezzi e i processi di produzione abbiano sugli stessi oggetti culturali. Questo tipo di analisi è scaturito dalla sociologia industriale e dell’organizzazione nel corso degli anni 70, quando i sociologi che si occupano della sociologia dell’industria, dell’analisi dei sistemi e dell’analisi economica dell’impresa cominciarono ad applicare i propri modelli alla produzione culturale. 12 Questo nuovo approccio della produzione di cultura, nelle parole di Richard Peterson, considera “complesso apparato interposto tra i creatori di cultura e i consumatori”. Questo apparato comprende meccanismi di produzione e di distribuzione, tecniche di commercializzazione come la pubblicità, l’utilizzo dei mass-media e il targeting, la creazione di situazioni che mettono a contatto potenziali consumatori di cultura e oggetti culturali. ® Il sistema dell’industria culturale. Possiamo cominciare a riflettere sulla produzione culturale utilizzando uno schema analitico sviluppato originariamente per analizzare gli oggetti culturali di massa. Hirsch (1972) ha elaborato un utile modello chiamato “sistema dell’industria culturale” (espressione che descrive l’insieme di organizzazioni che producono articoli culturali di massa come dischi, libri di facile lettura e film a basso costo). Secondo Hirsch questi oggetti culturali condividono alcune caratteristiche: • L’incertezza della domanda (nessuno sa in anticipo quale sarà il mercato di un nuovo film). • Una tecnologia relativamente economica. • Una eccedenza di aspiranti creatori culturali (tutti quei cantanti, registi e autori che si aggirano in una società con le loro proposte in mano). Alla luce di questi fattori, il sistema industriale e culturale opera per regolare e confezionare l’innovazione e dunque per trasformare la creatività in prodotti commerciabili e prevedibili. Cominciando dal lato sinistro della figura, troviamo i creatori (gli artisti, i geni, i talenti) trasformati nel sottosistema tecnico. Si tratta di una versione estrema della concezione della produzione collettiva, che considera gli individui con diversi livelli di capacità creativa e ispirazione come un sottosistema che fornisce input al resto del sistema. Questo input deve superare il confine posto al filtro 1. Al confine dell’area di input, gli artisti creativi utilizzano gestori di confine, come agenti, per portare la loro opera all’attenzione delle organizzazioni produttive. Oppure possono operare come agente di sé stessi. Anche l’organizzazione produttiva utilizza i propri gestori che passano al vaglio nuovi gruppi musicali, creatori editoriali che leggono montagne di manoscritti, registi alla ricerca di sceneggiature promettenti. Il sottosistema manageriale consiste di organizzazioni che producono effettivamente il prodotto: case editrici, studi cinematografici, case discografiche. Tra le strategie adottate dal sottosistema manageriale per gestire l’innovazione vi sono il mantenimento di personale di contatto ad entrambi i confini, la sovrapproduzione di oggetti pur nella consapevolezza che la maggior parte di essi fallirà sul mercato e incessanti tentativi di influenzare o cooptare i gatekeepers mediali. Nella posizione di output, l’organizzazione produttiva utilizza gestori di confine per raggiungere i mass media con notizie circa il prodotto (filtro 2). I gatekeepers mediali (il sottosistema istituzionale) comprende personaggi come disc-jockey, presentatori di talkshow, recensori di libri e film e quel segmento di stampa che copre la cultura e i suoi creatori. Il consumatore finale (il pubblico) viene tipicamente a conoscenza di nuovi prodotti attraverso i media (filtro 3). Se le riviste specializzate danno un giudizio positivo o determinato film, i loro lettori sono più propensi a vederlo. Due tipi di feedback hanno luogo nel sistema dell’industria culturale: - Il primo proviene dai media e consiste di recensioni e della più generale attenzione che i media riservano ad un prodotto. - Il secondo giunge dai consumatori ed è misurato dalle vendite dei biglietti, di dischi o di libri. Le organizzazioni produttive interpretano entrambi i tipi di feedback per valutare la popolarità di un artista, l’efficacia delle loro attività promozionali, e le implicazioni per i futuri prodotti dello stesso genere. 15 ® La seduzione della cultura di massa. Coloro che adottano la prospettiva della cultura di massa concepiscono l’industria culturale come la tecnologia per produrre intrattenimento di massa su una scala fino a quel momento impensabile. I prodotti della cultura di massa rendono i loro ricevitori apatici e intorpiditi. Questa apatia, a sua volta, predispone ricevitori passivi alla tirannia politica, mentre il loro semplice numero spinge i produttori culturali alla preparazione di materiali sempre più violenti, sensazionali, scioccanti, capaci di far reagire un pubblico incline a stancarsi. ® Resistenza attraverso la <<cultura popolare>>. La cultura è pubblica, e ogni cultura deve essere in qualche misura popolare; la cultura impopolare, come un programma televisivo che non riesce ad attirare un pubblico, semplicemente scompare. Ma il termine ha preso a significare la cultura della gente, gente in quanto persone comuni, la maggioranza diversa dall’élite. La cultura popolare comprende chiaramente i prodotti della cultura di massa come gli spettacoli televisivi, le riviste a grande diffusione, e le mode fugaci. 5. La costruzione culturale dei problemi sociali. La situazione in questione è reale, può essere identificata, oggettivamente misurata e praticamente tutti saranno d’accordo che essa è in effetti un problema una volta che la conoscono: questa è una visione che concepisce i problemi sociali come oggettivi. Le malattie sessualmente trasmesse (MST) sono un esempio. Sicuramente chiunque sarebbe d’accordo nel dire che le MST sono un problema sociale; in effetti, una volta venivano chiamate malattie sociali. Nessuna società può fare a meno di investire risorse per ridurre l’incidenza delle MST e a trovare cure efficaci. Un problema sociale è un oggetto culturale. Esso è prodotto da agenti specifici; Loseke li chiama “fabbricanti di questioni” (attori significativi legittimati a sollevare problemi socialmente rilevanti). Viene interpretato da uno specifico gruppo di ricevitori, il pubblico interessato dalle questioni fabbricate. In parole povere, un problema sociale viene fabbricato quando un pubblico giudica che la questione sollevata è incredibile. Se i ricevitori accettano la definizione dei produttori abbiamo una questione, e se si mobilitano per agire, abbiamo un movimento sociale. 5.1 la costruzione di un’identità collettiva. Quando un’identità collettiva viene attivata, produce un modo di pensare condiviso, una mente sociale, che considererà certe situazioni come problematiche e bisognose di intervento. Questa attivazione cognitiva può portare all’azione. 5.2 la costruzione di un problema sociale. La povertà, il crimine, la gravidanza adolescenziale, gli alti tassi di mortalità infantile, il razzismo, il degrado urbano, la disoccupazione, le droghe, l’alcolismo, l’inadeguata struttura sanitaria, e così via. La maggior parte di noi è in grado di stilare senza esitazione una lista di problemi sociali urgenti. Sebbene una simile lista abbia radici in problemi che causano ovunque la sofferenza umana (come la violenza, l’odio e la morte prematura) le forme che assumono questi problemi sono specifiche di ogni cultura e società. (Per fare un esempio, gli americani considerano un problema sociale la gravidanza adolescenziale. In Nigeria, dove la maggior parte delle ragazze si sposa 12 anni, sono le giovani donne che arrivano a 20 anni senza aver avuto almeno uno o due bambini che rappresentano un problema sociale). Se la cultura può attirare l’attenzione sui problemi sociali, può essa talvolta anche creare il problema? E se è così, quale potrebbe essere il ruolo della cultura nella soluzione di questi stessi problemi che essa ha contribuito a identificare? ® Creare noie. A volte, la sofferenza umana che capita viene trasformata da mero accadimento in oggetto culturale significativo, che viene a sua volta designato come problema sociale. Quando si compie questa trasformazione, diventa possibile per gli individui cercare soluzioni, perché l’esistenza di un problema implica l’esistenza di una soluzione. 16 ® Dal fatto all’evento al problema sociale. Come possono i fatti diventare degli oggetti culturali identificati come problemi sociali? Sembra che per creare un oggetto culturale e poi definirlo come problema sociale esso debba essere articolato con un insieme di idee e istituzioni tra loro intersecantesi. ® La carriera di un problema sociale. Hilgartner e Bosk (1988) hanno cercato di identificare cosa spieghi il sorgere e il declino dei problemi sociali, cominciando da cosa viene identificato come problema sociale. Questi autori immaginano un’arena pubblica in cui ha luogo una competizione tra le situazioni che potenzialmente possono etichettarsi come problemi sociali. Questa competizione si realizza in due forme: • Nella definizione o nell’inquadramento dello stesso problema (ad esempio, si tratta di un problema di autisti ubriachi o di sopra utilizzo di automobile?) • Nella cattura dell’attenzione delle istituzioni (il governo, i media, le fondazioni) le cui risorse o capacità di azione sono limitate. Quelle situazioni che vengono selezionate come problemi sociali sono fenomeni che hanno caratteristiche specifiche: esse sono o possono essere drammatizzate; trattano temi mitici profondamente radicati nella cultura; e sono politicamente vitali, spesso perché collegati a potenti gruppi di interesse. I vincitori di questa competizione acquisiscono lo statuto di problemi sociali ampiamente riconosciuti. 5.3 La costruzione di un movimento sociale. Anche se un determinato pubblico accetta che una certa cosa è un problema sociale, questo fatto di per sé non significa che qualcuno si mobiliterà per fare qualcosa. La povertà, per esempio, può essere riconosciuta come un problema sociale, ma se le persone assumono una visione fatalistica (i poveri ci sono sempre stati, non c’è niente da fare) oppure una accusatoria (se sono poveri è colpa loro), allora questo riconoscimento non produrrà nessuna azione. I movimenti sociali richiedono che le persone siano motivate a riconoscere che esiste un problema, ad accettare la possibilità che venga risolto e a considerare una certa linea d’azione come adatta a produrre questo risultato. Secondo Gamson il trucco degli attivisti e connettere il discorso pubblico e l’esperienza delle persone, integrandoli in un quadro coerente che supporti e sostenga l’azione collettiva. Per collegare un pubblico a un problema occorre formulare il problema in modo tale che il pubblico accetti la sua rilevanza. I problemi sociali competono sempre per l’attenzione dei pubblici rilevanti. I media aiutano i problemi a conquistare e mantenere questa attenzione. Nel bene e nel male i media possono dare forma a un problema e alla sua soluzione per enormi masse di persone, costruendo un movimento sociale in modi che nulla hanno a che vedere con il risultato di un processo democratico. 6. Cultura e organizzazioni: fare le cose in un modo multiculturale. Molte delle ambiguità della vita organizzativa derivano dal ruolo svolto dalla cultura e dagli oggetti culturali, sia dentro l’organizzazione sia interferendo con le sue operazioni dall’esterno. In questo capitolo esamineremo come la cultura influenzi i modi in cui gli individui agiscono nelle transazioni economiche, le modalità con cui i governi cercano di realizzare i programmi e quelle con cui le organizzazioni cercano di produrre e commercializzare i prodotti. (L’uomo che gestisce la licenza israeliano di McDonald’s è alle prese con uno grosso problema: conciliare i propri obiettivi commerciali con le leggi e la sensibilità religiosa di Israele. Israele adora la cultura popolare americana, niente è più emblematico di un big Mac. Ma niente è anche meno puro rispetto alla tradizione ebraica, e qui nasce il problema). 17 6.1 Culture organizzative. Le organizzazioni operano entro e tra culture, ma esse a loro volta producono cultura. I manager e i lavoratori creano e ricevono oggetti culturali (significati condivisi organizzati in forme) che possono facilitare o ostacolare le attività dell’organizzazione. Possiamo pensare a questo scambio di significati come operativo su due livelli: - il livello dell’individuo o del piccolo gruppo. - Il livello del gruppo più grande (i lavoratori) o anche dell’organizzazione nel suo insieme. ® Cultura e motivazione. Tutte le organizzazioni hanno obiettivi, e quindi tutte le organizzazioni hanno il problema di motivare i propri membri a lavorare per questi obiettivi. Questo è particolarmente evidente nelle organizzazioni orientate al profitto, ma è vero per tutti i tipi di organizzazione. Come motivano al lavoro i manager? • Una teoria si basa sull’idea dell’uomo economico, e sostiene che gli esseri umani vogliono soldi e ciò che i soldi permettono di comprare. Poiché i loro desideri e bisogni sono sempre superiori ai loro mezzi, essi lavoreranno di più per una paga maggiore. Questa teoria è alla base di sistemi salariali come il cottimo. (Se un lavoratore supera il livello di produzione stabilito-in altre parole produce 10 pezzi allora invece che nove- ottiene un premio. Se invece ne produce solo sei, viceversa, le sue entrate possono venire decurtate). Per quanto possa sembrare plausibile, la teoria dell’incentivo economico spesso non funziona. Studi su unità di lavoro hanno mostrato ripetutamente che un gruppo definirà comunque una ragionevole ritmo di lavoro che i suoi membri possono tenere senza molte difficoltà, e che la maggior parte dei membri del gruppo non lo supererà. Coloro che producono di più sono canzonati e chiamarti con appellativi come stakanovisti. La pressione sociale esercitata dal gruppo porterà normalmente gli stakanovisti ad adeguarsi agli altri. • Un secondo modo per assicurarsi che i dipendenti condividono i fini dell’organizzazione è alimentare direttamente un tipo prescelto di cultura organizzativa tramite la selezione nella fase del reclutamento e la socializzazione attiva. Con una sufficiente selettività ed una intensa socializzazione, anche un elevato turn- over dei dipendenti può non disturbare la cultura organizzativa. (Nel suo studio sugli assistenti di volo, Hochschild (1983) ha analizzato come le compagnie aeree promuovono una cultura organizzativa di attenzione per gli utenti: selezionando come assistenti di volo persone simpatiche ed estroverse; addestrandole a fornire le giuste risposte emotive, compreso il provare un genuino interesse per il conforto del passeggero). • Un terzo modo attraverso cui i Manager motivano i dipendenti è quello di stabilire modelli di pensiero e di comportamento sottoforma di attori esemplari e storie organizzative. Gli attori modello, come degli eroi di produzione, sono personalmente onorati e presentati come degni di emulazione. (Le pareti degli ospedali possono mostrare fotografie del dipendente del mese, proprio come le aziende di mediazione immobiliare onorano pubblicamente gli agenti che hanno realizzato il maggior numero di vendite). Le organizzazioni hanno bisogno di motivare i propri dipendenti a comportarsi in modi funzionali rispetto agli scopi dell’organizzazione. Sia le Subculture interno dei gruppi di lavoro sia le influenze culturali esterne possono interferire con questo processo motivando differenti forme di comportamento. Il management ha bisogno di creare una cultura organizzativa che utilizza una combinazione di mezzi strutturali, reclutamento, socializzazione, rituali, attori modello, e storie esemplari in modo che il comportamento desiderato diventi significativo e soddisfacente agli occhi dei dipendenti. A dispetto degli sforzi dei manager di esercitare un controllo normativo creando una cultura organizzativa, emergeranno subculture che resistono in qualche misura alla cultura dominante. Tali subculture e le storie che si raccontano riproducono spesso le divisioni di classe, etnia e genere. Entro una particolare organizzazione, ogni subcultura è sia una unità di produzione di significato, sia un mezzo attraverso cui i significati provenienti dalla cultura esterna trovano modo di esprimersi e diffondersi 20 ® Le culture orali. Per la maggior parte della sua storia, l’umanità è vissuta in una cultura rigorosamente orale. Le culture orali, in cui la comunicazione dipende da interazioni faccia a faccia, sono caratterizzate dalla diffusione di un sapere ampiamente condiviso per tutta la comunità. Tali culture richiedono prodigiose operazioni di memorizzazione da parte di alcuni specialisti della memoria, che agiscono da depositari della storia del gruppo e della genealogia, ma la maggior parte del sapere è conservato in comune e continuamente ripetuto. Da questo derivano due ulteriori caratteristiche delle culture orali: il grande uso di proverbi; il fiorire della poesia epica. ® L’impatto dell’alfabetizzazione. Nonostante i sistemi di scrittura fonetica si siano sviluppati nel Medio Oriente circa 3000 anni fa altre e precedenti forme di scrittura avevano già prodotto le loro conseguenze sociali. Diversi sistemi di scrittura non fonetica (il sumero, l’egiziano, il cinese) erano già sorti nel mondo antico, sistemi in cui i segni stavano per particolari parole, più o meno in proporzione di uno ad una. Sistemi come questi sono estremamente complessi, perché la popolazione alfabetizzata in queste culture deve conoscere migliaia di segni per avere una capacità di lettura adeguata al vocabolario parlato. Gli alfabeti fonetici, in cui i caratteri rappresentano suoni invece che parole o concetti, sono molto più semplici e quindi molto più facili da imparare. L’alfabetizzazione su larga scala è generalmente considerata una caratteristica che distingue le società moderne da quelle postmoderne; ma essa è anche tradizionalmente servita a distinguere l’oggetto della sociologia da quello dell’antropologia. Goody e Watt (1963) hanno suggerito che due delle conseguenze intellettuali dell’alfabetizzazione sono: 1. La separazione della storia dal mito: una volta che una storia è stata scritta è più difficile cambiarla. 2. Un crescente individualismo basato sul sapere altamente specializzato. Nelle culture alfabetizzate, la gente è stratificata sulla base di cosa ha letto; le discipline accademiche e i titoli universitari sono un esempio ovvio di questo tipo di specializzazione. Sono questi i cambiamenti cognitivi prodotti dall’alfabetizzazione popolare, che influenzano chiunque in una società letterata indipendentemente dal fatto che i suoi membri sappiano effettivamente leggere e scrivere. In primo luogo, la conoscenza dell’alfabeto rese possibile la comunicazione relazionale come non era mai successo prima. In secondo luogo, la stampa fece nascere un tipo assolutamente nuovo di comunità territoriale, quello della nazione. Così la rivoluzione della stampa diede origine a comunità relazionali unite dalla parola scritta e soprattutto stampata, e generò anche quella forma davvero moderna di organizzazione umana territoriale che è lo Stato- nazione. Naturalmente, la stampa aiuto a creare e a tenere insieme anche comunità minori, per esempio attraverso giornali locali per le comunità territoriali e gazzette e postali per le comunità relazionali. ® I media elettronici. Le comunicazioni elettroniche, compresa la radiodiffusione, hanno segnato la terza grande rivoluzione nelle comunicazioni umane, che ci ha condotto dall’era moderna a quella postmoderna. Questa rivoluzione comprende la trasmissione a doppio senso (il telegrafo, il telefono, il fax, le reti informatiche, la posta elettronica) così come trasmissioni ad un solo senso (radio, televisione, audio, video cassette, CD). Tutte queste tecnologie condividono uno stesso insieme di attributi: • Mettono in relazione persone situate in luoghi distanti in tempo reale. Possono raggiungere molte più persone di quanto fosse possibile con la stampa. • Permettono l’espressione diretta di idee ed emozioni, rendendo possibile un’immediatezza ed una intimità che si erano avute in precedenza sono nella comunicazione faccia a faccia. • Democratizzano l’accesso culturale in termini spaziali e temporali. Un evento culturale come un concerto non è più connesso ad un tempo e ad un luogo; quando è registrato su nastro, il ricevitore può scegliere quando e dove ascoltarlo. • Democratizzano l’accesso culturale fondato sull’istruzione. Laddove le comunicazioni scritte richiedono la padronanza di un insieme di competenze tecniche, molte forme di comunicazione elettronica (specialmente la televisione e il telefono) richiedono ben poche abilità tecniche. 21 Le conseguenze sociali dei media elettronici derivano da questi attributi, spesso in forme piuttosto in attese. A causa dell’ampiezza del loro pubblico e della velocità con cui i messaggi possono essere spediti, influenzare l’opinione pubblica tramite i media è diventato un obiettivo fondamentale di quanti promuovono un determinato programma politico o sociale. I media elettronici aumentano non solo l’immediatezza dei contatti umani, ma anche la loro intimità. Questo effetto non era previsto. Fischer (1992), per esempio, ha studiato la storia del telefono in America. Originariamente, La Bell System pensava che il suo prodotto sarebbe stato usato soprattutto dalle aziende commerciali per gestire le loro transazioni d’affari. Con sorpresa di tutti, la crescita più rapida di abbonamenti telefonici giunse dalle case private, specialmente da quella delle donne che vivevano in campagna ed erano felici di essere in contatto con amici e parenti. La possibilità di un’immediata e intima comunicazione ha mandato in pezzi antiche barriere sociali. Ora è comune che stili di vita un tempo marginali, oggetto di pettegolezzo ma poco conosciuti, si dichiarino apertamente e in modo ciarliero nei talkshow della radio e della televisione. 7.2 L’impatto culturale di internet. Nella loro introduzione a The Internet in Everyday Life, Barry Wellmane Caroline Haythornthwaite (2002) hanno passato in rassegna le ricerche sull’uso di internet disponibili all’inizio del ventunesimo secolo e hanno riscontrato quanto segue: • Aumento dell’accesso: più persone (circa i due terzi degli adulti in America secondo una ricerca) navigano online. La distinzione digitale tra membri più e meno ricchi nei paesi occidentali sto svanendo. A livello globale c’è ancora una considerevole differenza, con paesi all’avanguardia come le nazioni nordiche e baltiche e paesi molto meno connessi come quelli dell’Africa sub-sahariana, Ma la tendenza è verso un accesso sempre più esteso. • Aumento del coinvolgimento: le persone passano più tempo online e facendo più cose mentre navigano. Se i nuovi utenti all’inizio si limitavano a usare le e-mail, più diventano esperti, più è grande la varietà di attività che svolgono online. • Uso domestico: Internet non è più solo uno strumento che si usa al lavoro, ormai ha seguito le persone a casa. • Più ore di lavoro: essendo entrato nello spazio domestico, Internet ha anche consentito di portarsi il lavoro a casa. • Compiti scolastici: le scuole hanno fatto dal legame istituzionale tra la casa e Internet. • Aggiornamento: chi non usa Internet afferma che vorrebbe avere accesso a Internet per tenersi aggiornato. • Una società di rete: le reti, e non gruppi delimitati, sono la formazione più socialmente significativa nell’era di Internet. Nel mondo sviluppato, Internet è penetrato nella vita quotidiana, e in modo crescente lo sta facendo anche nel mondo in via di sviluppo. Tra tutte le sue ramificazioni e implicazioni, qui vogliamo concentrarci sul suo impatto sulle pratiche culturali. Al momento il quadro è questo: Internet permette alle persone di fare quello che facevano prima, che fosse leggere o avere comportamenti discriminatori, ma in modo più efficiente. Tuttavia la rivoluzione elettronica sembra connettere sempre più persone tramite reti, per quanto senza distruggerne le affinità di gruppo. 7.3 comunità di significato in una cultura globale. ® Postmodernità e comunità. Le comunicazioni elettroniche su scala globale, con la loro infinita capacità di produzione e disseminazione di segni, sono il fondamento del postmodernismo. La cultura postmoderna è una cultura di superficie, un gioco di immagini che rinnega la profondità, la storia, o il significato. Essa presenta le seguenti caratteristiche: - Assenza di spessore, o meglio un’autoconsapevole superficialità: la profondità è stata sostituita da superfici multiple. Non ci sono significati nascosti, perché comunque non c’è nulla sotto le superfici levigate che questa cultura esibisce. - Rigetto delle metanarrazioni. - Frammentazione, cioè rottura delle connessioni: la cultura post-moderna accoglie il frammentario, l’effimero, il discontinuo. 22 ® Parlare una pluralità di lingue. I linguaggi pubblici sono destinati ad una comunità relazionale, mentre quelli privati si rivolgono ad una comunità spaziale. La prima è specifica, orientata ad uno scopo, formale, impersonale; la seconda è diffusa e intima. Al posto della lingua, supponiamo di mettere la cultura. Otteniamo così l’immagine di un individuo posto moderno, elettronicamente integrato, che può condividere oggetti culturali, comunicare segni, e forse anche simboli, in una pluralità di comunità relazionali, non vincolato allo spazio e al tempo. Lo stesso individuo condivide oggetti culturali in una o più comunità locali, comunità fatte di contatti faccia a faccia e di una notevole intimità. 7.4 Culture senza centri. La purezza culturale è sparita dalla faccia della terra; probabilmente è sempre stato un mito. Siamo tutti degli ibridi ora. Allo stesso tempo, tuttavia, le cose non sono crollate. Gli esseri umani continuano a evitare il caos attraverso oggetti culturali; l’accettazione del caos tende a essere un atteggiamento temporaneo e fortemente stilizzato proprio dei giovani. Le persone continuano a produrre e a perpetuare le loro culture attraverso l’interazione e la socializzazione. Le nostre originarie definizioni culturali funzionano ancora. Le persone possono esistere in comunità multiple attraverso reti multiple, ma lungo queste reti esse condividono ancora significati tra di loro. Le comunità, siano essi spaziali o relazionali, rappresentano ancora collettivamente se stessi attraverso modelli di significati incorporati in simboli, significati che plasmano atteggiamenti e azioni.
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