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Sociologia della cultura - Wendy Griswold, Sintesi del corso di Sociologia Comunicativa Di Massa

Riassunto libro, capitolo per capitolo

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 29/05/2018

Giorgiaingrassia97
Giorgiaingrassia97 🇮🇹

4.3

(10)

15 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Sociologia della cultura - Wendy Griswold e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia Comunicativa Di Massa solo su Docsity! SOCIOLOGIA DELLA CULTURA – WENDY GRISWOLD CAP.1 – LA CULTURA E IL “DIAMANTE CULTURALE” Quando i sociologi parlando di cultura, essi solitamente intendono una di queste cose: norme, valori, credenze e simboli espressivi. Bisogna chiarire però, che non esiste una cosa come la “cultura” o la “società” nel mondo reale. Ci sono solo persone che lavorano, scherzano, pensano, amano e agiscono in una grande varietà di modi. La cultura designa l’aspetto espressivo dell’esistenza umana, mentre la società indica l’aspetto razionale e pratico; ma sia la società che la cultura sono astrazioni. Nell’uso comune il termine “cultura” è spesso riferito alle belle arti e allo spettacolo e in questa accezione, viene chiamata a volte “cultura alta” in quanto opposta a quella popolare e di massa e implica uno status sociale elevato e di valore superiore. L’equazione tra cultura e arti è il risultato di una linea di pensiero particolarmente diffusa in quelle discipline chiamate in generale umanistiche. Nel 19esimo secolo molti intellettuali europei affermarono l’esistenza di un’opposizione tra cultura e società/civiltà. Civiltà indicava i progressi tecnologici e opporre cultura a civiltà significava protestare contro il pensiero illuminista. Se civiltà significava, quindi, fatica allora molti uomini erano contrari perché essi volevano la cultura come il polo positivo e come la salvezza degli essere umani ultracivilizzati. Matthew Arnold, pedagogo e letterato inglese, riteneva che la cultura potesse salvare la società moderna dal simile destino che lo aspettava. La cultura era “uno studio della perfezione” e poteva rendere la civiltà più umana restituendo “dolcezza e luce” che erano rispettivamente bellezza e saggezza. La bellezza e la saggezza prodotte dalla cultura derivavano dalla consapevolezza e dalla sensibilità nei confronti di ciò che di “meglio è stato pensato e conosciuto” e da una “ragione giusta”. In conclusione, secondo Arnold, la cultura può essere l’agente umanizzante che modera le conseguenze più distruttive della modernizzazione. Il sociologo tedesco Max Weber aveva la stessa concezione. Nel suo saggio La scienza come professione, Weber identificò che la scienza non poteva dare nessun significato alla nostre vite e che gli esseri umani dovevano rivolgersi alla cultura. Entrambi evidenziarono la distanza della cultura dalla vita quotidiana nella società moderna e la sua capacità di influenzare il comportamento umano. Questo punto di vista tradizionale delle discipline umanistiche è un idealtipo che descrive una cultura alta, molto diffusa. Secondo Herder, filosofo tedesco, si doveva parlare di culture, non semplicemente di cultura, per l’ovvia ragione che le nazioni avevano la propria e meritevole cultura. Secondo il sociologo Berger, invece, la cultura è definita come la totalità dei prodotti dell’uomo, sia materiali che immateriali. Ma il punto, dettato da Wuthnow e Witten, era che c’erano due tipi di cultura: le forme espressive esplicite e il fondamento implicito dell’azione. Gli scienziati sociali, al contrario di quelli umanistici, tendevano a vedere armonia tra cultura e società. Le due teorie sociali più influenti nel ventesimo secolo sono: il funzionalismo, che identifica la cultura con i valori che orientano i livelli sociali, politici ed economici di un sistema sociale in cui esiste una congruenza tra cultura e società perché ogni incongruenza sarebbe disfunzionale; e il marxismo, in cui gli obiettivi posti dalla cultura e i mezzi per conseguire questi obiettivi sono in armonia. Tutte e due le teorie condividono l’assunto della forte congruenza. Secondo l’antropologo Geertz, la cultura è un modello di significati trasmesso storicamente, significati simbolici per mezzo di cui gli uomini comunicano e sviluppano la conoscenza e i loro atteggiamenti verso la vita. La cultura si riferisce, quindi, al lato espressivo della vita umana (comportamenti, oggetti, idee). Geertz e Weber assumono che la cultura implica un significato e quindi la cultura di una comunità influenza la sua struttura sociale e viceversa. Un oggetto culturale è un’espressione significativa che è udibile, visibile, tangibile, articolata, che racconta una storia. Lo status di un oggetto culturale è il risultato di una decisione analitica che noi compiamo in quanto osservatori: non è un qualcosa di intrinseco all’oggetto stesso. Per esaminare gli oggetti culturali ci si avvale della teoria umanistica. Consideriamo il pane come oggetto culturale: il pane ha un significato, un’espressività, è immerso nella storia e non è affatto universale. Il pane è basilare, fondamentale e scontato e appartiene ad un sistema culturale, quindi il pane è chiaramente un oggetto culturale. Gli oggetti culturali sono prodotti da esseri umani. Un particolare oggetto può avere un singolo creatore o più creatori. Naturalmente, altre persone oltre ai loro creatori fanno esperienza di oggetti culturali: il pubblico dell’oggetto. È solo quando questi oggetti diventano pubblici che entrano a far parte della cultura e diventano oggetti culturali. Il tutto è ancorato ad un determinato contesto che viene chiamano mondo sociale, espressione con cui intendiamo i modelli e i bisogni economici, politici, sociali e culturali che caratterizzano un particolare punto nel tempo. La sociologia culturale è interessata alle relazioni tra oggetti culturali e mondo sociale. Vi sono quattro elementi: i creatori, gli oggetti culturali, i ricevitori e il mondo sociale, e sono sistemati in una struttura a forma di diamante. Sono tracciate le linee che connettono ciascun elemento all’altro così da formare quattro punti e sei connessioni: si chiama diamante culturale e rappresenta i prodotti culturali e sociali della relazione tra punti. Per avere una comprensione completa di un oggetto culturale bisogna avere la comprensione anche dei quattro punti e delle sei connessioni. CAP. 2 – IL SIGNIFICATO CULTURALE Noi avvertiamo che la cultura è “al di là di noi, e tuttavia siamo noi”, e siamo alla ricerca di una relazione semplice tra gli oggetti culturali e le “cose come sono esattamene”. Ma non c’è una relazione semplice, perché quando qualcosa diventa un oggetto culturale quella cosa è già cambiata. E il cambiamento ha a che fare col significato, che è condiviso e ad esso è attribuito un senso condiviso dai membri della cultura. Il senso o il significato si riferisce alla capacità dell’oggetto di indicare qualcosa. Si identificano due tipi di significato: semplice, che denota una corrispondenza biunivoca, parlando di segni e di ciò che essi rappresentano e complesso, che evocano una varietà di significati, alcuni dei quali possono essere ambigui, evocano emozioni forti e i significati complessi si ritrovano solitamente nei simboli. Poichè la cultura è complessa, è fatta di significati complessi e on semplici e per capirla bisogna essere capaci di sbrogliare queste reti ingarbugliate di significati, dobbiamo essere in grado di analizzare la relazione tra un simbolo e le ”cose esattamente come sono”. Gli esseri umani sono psicologicamente incompleti dalla nascita. I codici genetici dell’uomo non danno informazioni sufficienti alla sopravvivenza così devono imparare a vivere e l’apprendimento è un processo sociale di socializzazione attraverso cui si trasmette la cultura. Peter Berger ha suggerito che la fonte ultima della paura umana non è il male ma il caos. Una totale assenza di ordine, un mondo senza struttura o significato è così terrificante da essere impensabile. La cultura fornisce significato e ordine attraverso l’uso dei simboli. La teoria della produzione collettiva ha due facce: le interazioni tra individui e il modo in cui queste stesse interazioni generano cultura. Questa versione della teoria della produzione collettiva ha le sue radici nell’interazionismo simbolico. La maggior parte delle tradizioni della teoria sociale assumono le cose come date (ex. Insegnate, madre). L’interazionismo simbolico è interessato al modo in cui l’individuo costruisce attivamente le proprie norme e i propri ruoli. Il sé dell’uomo è una forma creata dall’interazione sociale. L’interazionismo simbolico suggerisce che l’interazione umana crea cultura. Una volta creati gli oggetti culturali, essi sono riprodotti e trasmessi attraverso la loro ripetuta espressione e attraverso la socializzazione dei nuovi membri del gruppo. L’identità o il senso di sé viene prodotta dalle interazioni con gli altri e ne richiede la conferma. Gli individui non sono semplicemente membri di un singolo gruppo o comunità, ma di una pluralità di essi. Si identificano due tipi: gruppi sociali astratti e classi sociali. Se queste relazioni reciproche sono abbastanza forti da resistere ad alcune della influenze dell’altro generalizzato societario, il gruppo diventa una subcultura. Essa ha contatti con la cultura esterna e ha un potente insieme di simboli, significati e norme comportamentali, insieme ad uno stile di vita. Il tutto è vincolante per i membri della subcultura. L’idiocultura è la cultura del subgruppo: ricca di implicazioni, vivacizzata da simboli ed espressioni noti solo ai membri del grippo e utilizzati per separare questi dagli estranei. Le subculture creano significato, producendo oggetti culturali che sono significativi per i membri del gruppo e incomprensibili per gli estranei. A volte le subculture nascono per cambiare la cultura, anche se solitamente le subculture vogliono essere lasciate in pace. Se la cultura riflette passivamente il mondo sociale, allora il cambiamento deve prima avvenire in quel modo. Le innovazioni in ambito culturale devono essere tutte risposte a cambiamenti sociali e quindi una simile posizione deterministica suggerisce che il mondo sociale cambia sempre per primo, lasciandosi dietro la cultura. Questa è detta l’ipotesi del “ritardo culturale” di Ogburn. Egli sosteneva la distinzione tra cultura materiale e cultura adattiva, ciò non materiale che si adegua alle condizioni materiali. Quando la cultura materiale cambia, quella non materiale deve cambiare come risposta. L’idea che la cultura necessariamente segua il cambiamento materiale è sbagliata. L’approccio della produzione collettiva alla cultura suggerisce che, sebbene le innovazioni possano realizzarsi casualmente e in forme non prevedibili, alcuni elementi costanti appaiono evidenti. Diversi analisti culturali hanno mostrato che la creatività culturale non si manifesta a ritmo costante, ma con straordinari picchi e cadute. La seconda premessa dell’approccio della produzione collettiva all’innovazione è che le innovazioni culturali possono non essere così eccezionalmente nuove come sembrano a prima vista. I creatori culturali reagiscono tipicamente a convenzioni, più che ignorarle. La terza premessa è che i creatori di cultura possono anche produrre qualcosa di nuovo, ma non tutte queste innovazioni si consolideranno. CAP.4 – PRODUZIONE, DISTRIBUZIONE E RICEZIONE DELLA CULTURA L’approccio sociologico alla cultura sostiene che le pratiche o gli oggetti che sembrano naturali, non lo sono. Gli oggetti culturali sono prodotti, distribuiti, commercializzati, ricevuti e interpretati da una pluralità di persone e di organizzazioni. Questo tipo di produzione si applica anche alle idee. Abbiamo bisogno di comprendere proprio come la cultura venga prodotta. Si comincia utilizzando uno schema analitico sviluppato per analizzare gli oggetti culturali di massa. Hirsch ha elaborato un utile modello chiamato “sistema dell’industria culturale”, espressione che descrive l’insieme di organizzazioni che producono articoli culturali di massa. Si tratta di una versione estrema della concezione della produzione collettiva, che considera gli individui con diversi livelli di capacità creativa e ispirazione come un sottosistema che fornisce input al resto del sistema. Questo input deve superare il confine. Il sottosistema manageriale consiste di organizzazioni che producono effettivamente il prodotto. In alcuni casi un’organizzazione esiste per produrre un solo oggetto culturale. Il consumatore finale viene tipicamente a conoscenza di nuovi prodotti attraverso i media. Se le riviste specializzate danno un giudizio positivo a un determinato film, i loro lettori saranno più propensi a vederlo. Due tipi di feedback hanno luogo nel sistema dell’industria culturale: il primo proviene dai media e consiste di recensione, il secondo giunge dai consumatori ed è misurato dalle vendite. L’organizzazione produttiva non ha grande interesse per il singolo prodotto sino a che una certa percentuale dei suoi prodotti non sia diventata di successo. Con poche modifiche il modello di Hirsch può essere applicato anche alla cultura alta, alle idee o ad ogni altro oggetto culturale. Il medium più importante, comunque, è la comunicazione faccia a faccia. Il modello del sistema dell’industria culturale può essere esteso anche a casi di società non industriali. Queste organizzazioni cercano di produrre un flusso regolare di prodotti e di ridurre l’incertezza. Ma nonostante gli sforzi di controllo del sottosistema manageriale, rimane una grande dose di aleatorietà del mercato. Una crescita delle dimensioni del mercato può produrre una maggiore differenziazione culturale. I mercati influenzano la produzione culturale, ma non sempre escludendo o rigettando un tipo di oggetto culturale a favore di un altro. Talvolta possono coesistere mercati paralleli con notevole stabilità. I mercati culturali reagiscono al mutamento sociale. Sembra che ci siano alcuni periodi di “agitazione” in cui sia il mondo sociale, politico ed economico, sia gli oggetti espressivi che chiamiamo cultura cambiano più rapidamente del solito. Questi sono periodi fertili per la produzione di nuove ideologie e nuovi generi, e in queste circostanze i mercati culturali e le forme della cultura hanno modo di cambiare insieme. Modernizzazione e urbanizzazione sono le occasioni di creatività culturale di più grande impatto. La riflessione sulla produzione di cultura spesso si basa sul modello dell’industria culturale dove i prodotti culturali in questione escono dalla catena di montaggio pronti per il consumo di massa. L’immagine di base degli oggetti culturali, che richiedono creatori e ricevitori e che hanno una qualche relazione con i mondo sociale che li produce e riceve, non cambia sia che si stia parlando di ideologie rivoluzionarie sia che si tratti di nuovi videogiochi. Questi oggetti culturali competono per l’attenzione del pubblico. Una volta che un’idea è stata espressa a parole o con simboli è un oggetto culturale. La selezione delle idee che ha successo diventa stabile attraverso l’istituzionalizzazione, quando lo stato o qualche altro potente attore istituzionale introduce l’ideologia nella prassi. Non tutte le idee promettenti ottengono il premio finale dell’istituzionalizzazione. I ricevitori culturali sono il “sottosistema di produzione dell’interpretazione”. Il successo finale di un oggetto culturale dipende dai suoi spettatori, dai suoi ascoltatori, dal suo pubblico e dai suoi consumatori. La “mente sociale” elabora gli stimoli in arrivo. Le nostre menti sociali foggiano ciò cui prestiamo attenzione, ciò che ci emoziona, i significati che traiamo dai segnali dell’ambiente. Per concepire la ricezione degli oggetti culturali, dobbiamo comprendere che questa ricezione, non è fermamente inserito nell’oggetto stesso. Le posizioni degli attributi sociali delle persone condizionano quello che piace a loro, quello cui danno lavoro e persino quello che in prima istanza riconoscono. Diversi tipi di persone guardano, comprano, amano, usano, leggono e credono in diversi oggetti culturali. Il nesso tra gusto culturale e posizione socioeconomica non è sempre diretto. Molti oggetti culturali attraversano i confini di classe, genere, etnia e religione (cultura di gusto). Proprio come non si sceglie certamente la “cultura di gusto”, neppure si scelgono le conseguenze che da questa derivano. Il possesso o meno del capitale culturale può comunque spiegare un’ampia gamma di caratteristiche della stratificazione sociale. Poiché si crede che il capitale culturale sia importante, i gruppi sociali hanno la tendenza a inflazionare il valore di ciò che essi già possiedono e a cercare di impedire ad altri gruppi di possederne. Il concetto di “orizzonte di aspettative” ci aiuta a comprendere come un oggetto culturale possa venire interpretato da persone con conoscenze ed esperienze sociali e culturali diverse. Esso suggerisce che ogni evento può essere trasformato in oggetto culturale attribuendogli un significato. L’attenzione prestata alle diverse interpretazioni che si costruiscono di uno stesso oggetto culturale può rivelare la presenza di assunti sociali fortemente radicati. Molte considerazioni su come i produttori di significati cercano di attirare l’attenzione dell’orizzonte di aspettative di un gruppo di ricevitori usano il modello del framing. Se i creatori culturali riescono a dare al loro prodotto o messaggio una forma che ne evoca una che già appartiene al pubblico, è più facile che persuadano tale pubblico a “comprare”. Al contrario, a volte i creatori di oggetti culturali non hanno idea di come essi verranno ricevuti. Nel momento in cui gli esseri umani hanno esperienza di oggetti culturali, essi reagiscono, costruiscono interpretazioni, elaborano significati. I gruppi diversi possono costruire significati in qualche modo diversi a partire dallo stesso oggetto culturale. Ci sono due possibilità: si può costruire qualunque significato (scuola di pensiero: la teoria della cultura di massa) o si deve sottostare a significati che sono intrinseci all’oggetto culturale (scuola di pensiero: la teoria della cultura popolare). Nella prima concezione, si nega l’autonomia agli stessi oggetti culturali. Essa assume che non vi siano distinzioni, che non vi siano rappresentazioni culturali migliori o peggiori, ma che vi siano solo tipi di persone diverse che fanno esperienza di oggetti culturali attribuendo ad essi significati differenti. Il significato diventa così in assoluto una funzione della mente del ricevente. Nella seconda concezione, si sostiene che i significati culturali sono strettamente controllati e che i ricevitori non hanno alcuna libertà di interpretazione. Chi ignora le convenzioni di un particolare oggetto culturale non può capirlo. Coloro che adottano la prospettiva della cultura di massa concepiscono l’industria culturale come la tecnologia per produrre intrattenimento di massa su una scala fino a quel momento impensabile. La cultura è pubblica, e ogni cultura deve essere in qualche misura “popolare”; la cultura impopolare semplicemente scompare. Ma il termine ha preso a significare la cultura della gente, gente in quanto comuni. L’idea di cultura popolare deriva dalle vecchie definizioni antropologiche di cultura centrate due “modi di vita”. La cultura popolare è il sistema di significati a disposizione della gente comune. La rivalutazione della cultura popolare è avvenuta in due modi: gli studiosi hanno analizzato la cultura popolare alla ricerca di significati nascosti e il ricevitore è visto non solo come un oggetto che decodifica significati ma anche capace di costruire attivamente significati sovversivi. Poiché gli oggetti culturali sono interpretati da esseri umani interagenti, sembra probabile che diverse interpretazioni continueranno ad essere prodotte da gruppi con esperienze diverse. In conclusione un tale disimpegno culturale dei ricevitori di cultura rispetto agli oggetti culturali stessi può essere molto più preoccupante di ciò che temono i teorici della cultura di massa. CAP.5 – LA COSTRUZIONE CULTURALE DEI PROBLEMI SOCIALI costantemente attenti alla possibilità di diverse costruzioni di senso, perché questi significati non equivalenti possono avere conseguenze significative per la “realizzazione delle cose”. CAP. 7 – LA CULTURA IN UN MONDO CONNESSO Il mondo sta diventano progressivamente interconnesso, quindi ci stiamo dirigendo verso una omogeneo cultura e allo stesso tempo una maggiore interconnessione aumenta le differenze fra le società. La globalizzazione sta esercitando contemporaneamente pressioni verso l’unità e verso la frammentazione. La parola “comunità” ha due significati fondamentali: comunità come concetto territoriale, come qualcosa che possiamo localizzare su una mappa, con un nome, con proprietà spaziali e con un insieme di simboli e comunità come concetto relazionale, le comunità sono persone legate insieme da reti di comunicazioni, di amicizia, di associazione o di sostegno reciproco. I membri di entrambi i tipi di comunità sono uniti dalla cultura. Questo non significa che tutti i membri di una comunità condividano una stessa coscienza collettiva indifferenziata, ma semplicemente che complessi non irrilevanti di significati condivisi sono riconosciuti dai membri di ogni collettività. La cultura può tenere insieme una comunità per secoli anche quando le forze sociali hanno disperso o soppresso i suoi membri. Per la maggior parte della sua storia, l’umanità è vissuta in una cultura rigorosamente orale, in cui la comunicazione dipendeva da interazioni faccia a faccia. Tali culture richiedevano prodigiose operazioni di memorizzazione da parte di alcuni specialisti della memoria, ma la maggior parte del sapere era conservato in comune e continuamente ripetuto. Da questo derivano due caratteristiche: il grande uso dei proverbi e il fiorire della poesia etica. Le parole poco usate finivano semplicemente per scomparire dal discorso. Il tipo di comunità che sosteneva la cultura orale era su piccola scala, indifferenziata, in cui la gente pensava, credeva e faceva le stesse cose. Nonostante i sistemi di scrittura fonetica si siano sviluppati nel Medio Oriente circa tremila anni fa, altre e precedenti forme di scrittura avevano già prodotto le loro conseguenze sociali. Gli alfabeti fonetici, in cui i caratteri rappresentano suoni invece che parole o concetti, sono molto più semplici e quindi molto più semplici da imparare. La seconda rivoluzione nella comunicazione è l’invenzione della stampa che rese possibile la comunicazione scritta su una scala diversa da quella dei manoscritti. Due sono le conseguenze importanti: la separazione della storia dal mito e il crescente individualismo basato sul sapere altamente specializzato. La stampa fece nascere un tipo assolutamente nuovo di comunità territoriale, quello della nazione. Le comunicazioni elettroniche hanno segnato la terza grande rivoluzione nelle comunicazioni umane, che ci ha condotto all’era moderna e a quella postmoderna. Questa rivoluzione comprende la trasmissione a doppio senso e ad un solo senso. Tutte queste tecnologie mettono in relazione persone situate in luoghi distanti in tempo reale, permettono l’espressione diretta di idee ed emozioni, rendendo possibile un’immediatezza ed una intimità, democratizzano l’accesso culturale in termini spaziali e temporali e democratizzano l’accesso culturale fondato sull’istruzione. Oggi, rare e inedite reazioni umane vengono condivise da milioni di estranei. Un simile contatto diretto con le vite personali degli altri ha contribuito a produrre una crescente informalità delle relazioni umane. Se le comunità sono unite da culture, e se le culture nazionali sono sempre più intaccate dall’esterno, allora la “cultura globale” sostituirà la “cultura nazionale” in misura sempre maggiore. Anche se internet è rivoluzionario in termini tecnologici, non sembra essere necessariamente rivoluzionario in termini di cultura. In diverse aree, internet non ha cambiato le pratiche culturali bensì le ha riprodotte solo su scala maggiore. Sembra che le persone che usano più internet leggano anche di più e lo stesso vale per l’ascolto di musica, internet non compete con essa ma lo facilita e lo stesso vale per venti culturali. Quello che invece internet fa diminuire è il tempo trascorso a guardare la televisione. Internet permette alle persone di fare quello che facevano prima ma in modo più efficiente. Oggi possiamo vivere entro ciò che possiamo chiamare “nicchie culturali”: individui con sistemi di significato molto diversi possono creare e ricevere i loro specifici oggetti culturali e limitare le interazioni a quanti ne condividono i sistemi di significato. La loro tendenza non è quella di aumentare la tolleranza ma di diminuirla. Le comunicazioni elettroniche su scala globale, con la loro infinita capacità di riproduzione e disseminazione di segni, sono il fondamento del postmodernismo. La cultura postmoderna è una cultura di superficie, un gioco di immagini che rinnega profondità, stria e significato. Essa presenta le seguenti caratteristiche: assenza di spessore o un’autoconsapevole superficialità, rigetto delle metanarrazioni e frammentazioni, cioè la rottura delle connessioni. Una simile cultura non sembra promettente come fondamento su cui edificare una comunità. Oggi, possediamo i mezzi tecnologici per dare una ricca espressione culturale a questo individualismo. Di fatto, gli ultimi anni hanno prodotto un’esplosione di forme culturali a gruppi e interessi molto specialistici. Alcuni sociologi hanno suggerito che il bisogno di accentuare confini culturali è una risposta a pressioni su altri confini. L’idea di fondo è che le pressioni esterne su una società portino ad una maggiore enfasi sulle gerarchie interne, così come alla difesa delle distinzioni che si percepiscono minacciate. I linguaggi pubblici sono destinati ad una comunità relazionale ed essa è specifica, orientata ad uno scopo, formale e impersonale, mentre quelli privati si rivolgono ad una comunità spaziale, diffusa e intima. Infine l’oggetto culturale è quindi un significato condiviso organizzato in una forma. In conclusione, la purezza culturale è sparita dalla faccia della terra, le culture sono più come zuppe, che come macedonie, insaporite da molti ingredienti, alcuni non identificabili. Allo stesso tempo, le cose non sono crollate. Gli esseri umani continuano ad evitare il caos attraverso oggetti culturali. Le persone continuano a produrre e a perpetuare le loro culture attraverso l’interazione e la socializzazione. Le comunità rappresentano ancora collettivamente se stesse attraverso modelli di significati incorporati in simboli, significati che plasmano atteggiamenti e azioni.
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