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Sociologia della cultura- Wendy Griswold, Sintesi del corso di Sociologia

Riassunti capitoli 1-4 "Sociologia della cultura" di Wendy Griswold

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

In vendita dal 09/09/2018

cladip
cladip 🇮🇹

4.8

(21)

8 documenti

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Scarica Sociologia della cultura- Wendy Griswold e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! Wendy Griswold – Sociologia della cultura Prefazione Oggi i sociologi sono affascinati dalla cultura: negli ultimi anni si è assistito ad un’esplosione di studi culturali nella sociologia. Ciò ha diverse cause, riconducibili ai limiti intrinseci dei fattori materiali nella spiegazione del comportamento umano e nella comprensione dell’esperienza umana. La maggior parte dei sociologi vede ora gli individui come creatori di significato oltre che attori razionali, come utenti di simboli oltre che rappresentanti di classi, e come narratori oltre che punti di un trend demografico. La disciplina non utilizza più il modo di pensare in termini dualistici, ma cerca di comprendere come la struttura sociale e la cultura si influenzino reciprocamente. 1. Il diamante culturale La sociologia della cultura è quella branca della sociologia che osserva i fenomeni culturali da una prospettiva sociologica. Il modello del “diamante culturale” serve ad analizzare i rapporti tra quattro elementi: gli oggetti culturali (simboli, credenze, valori e pratiche), i creatori culturali (le organizzazioni e i sistemi che producono e distribuiscono oggetti culturali), i ricevitori culturali (le persone che fanno esperienza della cultura) e il mondo sociale (il contesto in cui la cultura viene creata ed è esperita). 2. Un approccio globale Lo studio della cultura è globale in almeno tre sensi: 2.1. Casi transnazionali Solo recentemente ci si è interessati con attenzione alle conseguenze dell’assortimento di culture sulle politiche sociali interne e sui rapporti economici e politici con l’esterno. La Nigeria possiede una straordinaria miscela di linguaggi, etnie e religioni, senza che vi sia un gruppo maggioritario. Soggetta al governo coloniale inglese fin dopo la metà del ventesimo secolo, la Nigeria si sta battendo per riconciliare l’unità politica e le diversità culturali e cerca di conseguire un maggiore sviluppo economico. La Cina ha avuto per millenni una cultura avanzata ed un governo centralizzato, ma il mutamento politico rivoluzionario ha prodotto ingenti dislocazioni sociali e culturali. Recentemente la Cina ha avviato un esperimento di dimensioni inaudite: sviluppare la libertà economica mantenendo stretti controlli politici e culturali. Gli Stati Uniti hanno dominato l’era bipolare della guerra fredda. 2.2. La cultura globale I processi di globalizzazione in se stessi stanno influenzando la cultura e le culture. I processi che hanno luogo a livello globale non hanno affatto cancellato le nicchie di purezza culturale. I progressi tecnologici nelle comunicazioni hanno scavalcato i confini culturali, così come i mercati globali hanno trasceso le differenze nazionali. 2.3. Conflitti culturali Molti dei principali conflitti che hanno avuto luogo nel periodo successivo alla guerra fredda riguardano la cultura. I conflitti per l’omogeneità etnica e il fondamentalismo religioso chiamano in causa significati e passioni che vanno oltre il piano semplicemente economico o politico. Le relazioni tra partner commerciali internazionali o tra capi di stato possono essere più tranquille e più proficue se le parti in causa riconoscono l’influenza di culture diverse. Comprendere le basi culturali dei conflitti e delle incomprensioni passate e attuali può aiutare a evitare la ripetizione di errori costosi. 1. La cultura e il “diamante culturale” 1. Definizioni: due modi di guardare la cultura Quando i sociologi parlano di cultura essi solitamente intendono una di queste quattro cose: norme, valori, credenze o simboli espressivi. Le norme sono il modo con cui la gente si comporta in una data società, i valori sono ciò a cui essi tengono, le credenze sono il modo in cui essi pensano che il mondo funzioni, e i simboli espressivi sono rappresentazioni, spesso delle stesse norme sociali, dei valori e delle credenze. Le prospettive accademiche sulla cultura possono essere raccolte in due scuole di pensiero. La maggior parte delle nozioni di cultura sono basate su assunti radicati nelle discipline umanistiche da un lato, e nelle scienze sociali, in particolare nell’antropologia, dell’altro. Parlare di cultura da una parte e società dall’altra significa fare una distinzione analitica tra due diversi aspetti dell’esperienza umana. La cultura designa l’aspetto espressivo dell’esistenza umana, mentre la società indica l’aspetto relazionale. 1.1. “Quanto meglio è stato pensato e conosciuto” Nell’uso comune il termine “cultura” è spesso riferito alle belle arti e allo spettacolo, o alla letteratura. In questa accezione viene chiamata a volte “cultura alta” e implica uno status sociale elevato. Nel diciannovesimo secolo molti intellettuali affermarono l’esistenza di un’opposizione tra cultura e società, o tra cultura e civiltà. Civiltà indicava i progressi tecnologici della Rivoluzione industriale. Essi vedevano la cultura come il polo positivo e come la salvezza degli esseri umani ultra civilizzati. Gli effetti alienanti e disumanizzanti della civiltà umana erano contrapposti alle capacità benefiche e salvifiche della cultura. Matthew Arnold (1822-1888) criticò duramente l’Inghilterra vittoriana per il suo materialismo, per il suo culto delle macchine e della libertà a prescindere dai fini a cui potevano essere indirizzati e ritenne che solo la cultura poteva salvare la società moderna. La cultura, secondo Arnold, era uno studio della perfezione e poteva rendere la civiltà più umana restituendo dolcezza e luce. La bellezza prodotta dalla cultura deriva dalla consapevolezza e dalla sensibilità nei confronti di ciò che di “meglio è stato pensato e conosciuto” nell’arte, nella letteratura, nella storia e nella filosofia e da una ragione giusta. Egli concepiva inoltre la cultura nei termini del suo potenziale educativo. La cultura può essere l’agente umanizzante che modera le conseguenze più distruttive della modernizzazione. Max Weber (1864-1922) aveva la stessa concezione. Entrambi evidenziarono la distanza della cultura dalla vita quotidiana nella società moderna e la sua capacità di influenzare il comportamento umano. Questo è il modo di concepire la cultura tradizionalmente associato al sapere umanistico: - alcune culture e alcune opere culturali sono migliori di altre e la cultura ha a che fare con la perfezione; - la cultura si oppone alle norme prevalenti dell’ordine sociale, o civiltà; - si teme che la cultura sia fragile e deve quindi essere preservata attraverso le istituzioni educative; - si attribuisce alla cultura un’aura di sacralità e ineffabilità, separandolo dall’esistenza quotidiana. simboli, laddove ciò che abbiamo designato come oggetti culturali sono arricchiti di significati oltre e al di là della loro utilità materiale. 2. Cultura e significato nella teoria del riflesso Secondo la teoria del riflesso, fornita dal funzionalismo e dal marxismo per spiegare il rapporto tra mondo sociale e oggetti culturali, la cultura è concepita come un fedele riflesso della vita sociale. Mentre Weber afferma che la vita sociale riflette la cultura. 2.1. La cultura come specchio La cultura è lo specchio della realtà sociale. Il significato di un particolare oggetto culturale sta nelle strutture sociali e nei modelli sociali che esso riflette. Lo studioso sociologicamente informato dovrebbe cercare corrispondenze dirette, biunivoche tra cultura e società. (esempio violenza televisiva come riflesso de mondo sociale e viceversa). 2.2. L’origine greca della teoria del riflesso Secondo Platone al di là di ogni apparenza si trova un’idea o una forma. Gli esseri umani confondono apparenza e realtà. Le apparenze derivano dal riflesso. Platone concepisce tre tipi di creatori: Dio, che produce la forma ideale; l’artigiano, che produce la forma materialmente e l’artista che ne fa una riproduzione. Tutta l’arte è dunque molto distante dalla verità. Arnold avanzò la tesi che l’arte amplifica l’esperienza, rendendo la gente più sensibile e selettiva. La teoria platonica delle forme ha tre componenti: la forma, l’apparenza e l’arte, cioè l’idea, la concretizzazione materiale dell’idea e l’espressione simbolica o culturale dell’idea che formano così un diamante doppio. Aristotele suggerì un modo per difendere l’arte (e la cultura): ridefinirne il termine medio. L’arte imita non il regno delle idee, ma le verità universali circa l’esistenza umana. L’universalismo di Aristotele è la radice dell’idea di Arnold sul meglio di ciò che sia stato pensato e conosciuto, perché uno dei caratteri distintivi del meglio è il suo ampio spettro di applicabilità. La teoria del riflesso nelle sue origini platoniche presuppone che la cultura sia meno che reale, meno fondamentale di ciò che essa riflette, e questo assunto è giunto sino alla disciplina sociologica. Lo stesso è accaduto con le distorsioni in senso più positivo delle teoria operate da Aristotele. Funzionalismo e Marxismo impiegano entrambe il modello del riflesso. Entrambe contemplano quell’assunto di piena adeguatezza tra cultura e società. 3. Cultura e significato nella sociologia marxiana 3.1. “Dalla terra al cielo”: l’approccio materialista alla cultura La premessa di fondo dell’idealismo è che la cultura può meglio essere compresa come la materializzazione di idee, di spirito, bellezza e verità universale. È quindi separata e autonoma dall’esistenza materiale o terrena. Gli idealisti tedeschi condividevano la nozione neoplatonica che lo spirito, l’idea, la categoria intellettuale fosse antecedente alla realtà empirica sensitiva. Se l’idealismo dà precedenza all’ideale rispetto al materiale, il materialismo inverte la relazione. Marx incontrò il pensiero materialista all’Università di Berlino dove venne coinvolto nel circolo dei Giovani Hegeliani. Lasciato Berlino ricevette un libro da Feuerbach che sosteneva che lo spirito del tempo era un prodotto delle condizioni materiali. La concezione materialista implica per la sociologia della cultura che la religione, i valori, l’arte, le idee, le leggi e la cultura in generale sono i prodotti della realtà materiale e vanno analizzati in quanto tali. 3.2. Il materialismo storico Marx divenne presto scontento di ciò che considerava la sua disattenzione alla storia. Ciò che Feuerbach non vedeva, secondo lui, era le radici sociali e storiche del mondo materiale. Questo riconoscimento lo condusse al materialismo storico. Non solo le cose materiali, ma la stessa coscienza sono prodotti sociali, e lo stesso può dirsi di tutto ciò che chiamiamo cultura. La cultura, il governo, la religione, la politica e le leggi erano tutte sovrastrutture poste su una base fatta di forze materiali di produzione e delle loro fondamenta economiche. Mutamenti nella base portano cambiamenti nella sovrastruttura: “il modo di produzione della vita materiale condiziona il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è il loro essere sociale che determina la loro coscienza”. Le idee dominanti di una società sono le idee della sua classe dominante. Queste idee e questi valori e pratiche culturali proteggono i suoi interessi e legittimano la sua posizione. 3.3. Linee di ricerca della tradizione marxista Gli esponenti della Scuola di Francoforte avanzarono una nuova teoria critica, che organizzava l’analisi culturale empirica in funzione dell’obiettivo di una riforma sociale. Fecero molta ricerca sull’autorità e sulla cultura di massa, considerandole entrambe correlate alla crescente impotenza della gente nella società moderna. Essi criticavano i prodotti culturali di massa per essere divenuti semplici merci, che scoraggiavano la protesta sociale riconciliando i consumatori con la loro esistenza. Lowenthal (1944), confrontando biografie di americani famosi degli inizi del secolo con altre degli anni ’40, si rese conto che di un cambiamento che rappresentava uno slittamento da un’economia basata sulla produzione ad una che privilegiava il consumo e il tempo libero. Il funzionalismo invece si stava dimostrando influente. Se il marxismo concepisce la vita sociale dell’uomo nei termini di una dura lotta interrotta solo dalla morte, il funzionalismo la concepisce come una tendenza sistemica all’armonia. 4. Cultura e significato nella sociologia funzionalista Il suggerimento aristotelico che la cultura parla del tipo di cose che accadono agli esseri umani può essere riformulato in termini specifici ad una determinata società. L’essenza del funzionalismo è che le società umane, per conservarsi, esprimono bisogni concreti, e le istituzioni sociali sorgono per soddisfare questi bisogni. Una società sana esiste in uno stato di equilibrio o di bilanciamento in cui le istituzioni sono adatte una all’altra e operano in un sistema di mutua interdipendenza per soddisfare i bisogni della società. Ogni livello sociale fornisce input a e riceve output da ogni altro livello. Ogni livello è adattato a, o riflette, ogni altro livello. Così, la cultura riflette la società proprio come la società riflette la cultura. La versione funzionalista della teoria del riflesso presenta alcuni problemi. Il classico modello riflessivo funzionalista assume che gli esseri umani siano passivi e senza interessi propri. Nella metafora dello specchio la transitorietà dell’immagine riflessa sembra configgere con l’effettiva permanenza mostrata da molte opere di cultura. Anche l’argomento della testimonianza sociale è spesso fuorviante. Il modello puro dello specchio, in cui la struttura sociale e la cultura si adattano l’una all’altra e soddisfano reciprocamente i propri bisogni funzionali, sembra un po’ difficile da accettare. Lo storico dell’arte Michael Baxandall (1972) suggerisce un modo per tradurre il modello riflessivo di base sul diamante culturale, in tutti i punti e le connessioni. Ha dimostrato come le opere dei pittori italiani del quindicesimo secolo riflettevano transazioni commerciali, valori mutevoli e l’occhio dell’epoca (la capacità cognitiva dello stile di un’epoca). In questa versione della teoria la cultura figura come riflesso diretto al mondo sociale, ma mediata dalle menti degli esseri umani. I pittori italiani del rinascimento riflettevano l’esperienza sociale che aveva prodotto un certo modo di vedere le cose. E non è solo l’esperienza sociale generale degli italiani del quindicesimo secolo a essere riflessa, ma anche quella di specifiche classi di individui che producevano e acquistavano i quadri. L’analisi è funzionalista. I mercanti e i pittori, rappresentanti rispettivamente la struttura sociale e la cultura, erano funzionalmente adatti gli uni agli altri. Le riserve verso la metafora dello specchio hanno spinto alcuni a suggerire che la cultura è più un riflesso su che un riflesso di. La cultura può essere un riflesso non nel senso letterale di un rispecchiamento, ma nel senso di una riflessione. Attraverso la cultura gli umani possono riflettere sulla propria esperienza sociale e individuale. 5. Cultura e significato nella sociologia weberiana La teoria del riflesso riconosce che la cultura e la struttura sociale esercitano mutua influenza una sull’altra, ma entrambe tendono ad accentuare una freccia causale che va in una sola direzione: la società causa la cultura. Se gli esseri umani hanno bisogno di significato per organizzare le loro vite, allora la cultura, in quanto apportatrice di significato, deve far accadere qualcosa nel mondo sociale. Weber ha accentuato quest’altra direzione di causalità, sottolineando come l’influenza della cultura sulla società operasse in entrambi i sensi. Gli interessava definire la misura in cui la religione aveva contribuito alla formazione ed espansione dello spirito del capitalismo. Egli cercò di individuare correlazioni tra credenze religiose da un lato e agire pratico ed etica dall’altro al fine di capire come un movimento religioso potesse avere influenzato la cultura materiale. 5.1. I protestanti ansiosi e il mondo che essi costruirono Weber iniziò L’etica protestante osservando come l’Occidente fosse unico sotto molti aspetti, in particolare per il suo sistema capitalistico. Il problema centrale non sta nelle origini del capitalismo, ma nell’ascesa del capitalismo borghese con la sua organizzazione razionale del lavoro libero. La parte di catena causale che egli desiderava esplorare era relativa a come uno spirito o un’etica economica riflettessero un insieme di idee religiose. Ovunque in Europa i protestanti erano attirati dal commercio e dalle possibilità economiche più dei cattolici. Essi erano sovra rappresentati nelle attività economiche di tipo capitalistico. L’idealtipo del capitalista non era un edonista che godeva della ricchezza, ma un asceta che dalla sua ricchezza non ricava nulla per se stesso. Le idee religiosi protestanti della vocazione e della predestinazione hanno trasformato l’attività diretta del profitto in una vocazione moralmente segnata. E il proseguimento di una vocazione, di una professione, è un modo per servire Dio. Weber suggerì che i calvinisti risposero a questa pressione psicologica con l’ossessiva ricerca dei segni di un possibile destino di salvezza. Egli vedeva il puritano come un uomo interessato a monitorare il suo stato di grazia impegnato in infiniti calcoli morali, lavorando duramente ma non spendendo né godendo dei suoi guadagni. Lo spirito del capitalismo durò ancora a lungo dopo che le particolari credenze religiose si erano dissolte. 5.2. Lo scambista culturale Weber mostrò come un insieme di idee religiose influenzò il modo in cui la gente lavorava, spendeva il suo denaro, e organizzava la sua vita economica. Il risultato di una particolare forma di comportamento economico a base religiosa contribuì al sorgere della forma occidentale di capitalismo che ha dominato l’economia mondiale per tre secoli. Questo lato della catena causale, appare sul diamante come la direzione attraverso cui la cultura causa, o influenza o viene riflessa ne mondo. Weber non intendeva negare che la gente perseguisse i propri interessi materiali, ma svilupperà rappresentazioni collettive attraverso cui dimostrare la propria solidarietà collettiva a se stesso e agli altri. 2. La produzione collettiva della cultura L’applicazione della prospettiva durkheimiana costituisce l’approccio della produzione collettiva ai significati culturali. Questo approccio cerca di svelare il mistero della creazione dell’arte, delle idee, delle credenze, della religione e della cultura in generale, mostrando le innumerevoli attività sociali coinvolte nella formazione degli oggetti culturali. L’approccio della produzione collettiva è alla ricerca dei meccanismi attraverso cui la collettività cerca di autorappresentarsi. Questa teoria ha due facce, una comprende le interazioni tra gli individui e il modo in cui queste interazioni generano cultura (interazionismo simbolico); l’altra presta meno attenzione alle interazioni e più all’organizzazione dei produttori e dei consumatori culturali. 2.1. L’interazionismo simbolico L’interazionismo simbolico è interessato al modo in cui l’individuo costruisce attivamente le proprie norme e i propri ruoli. La prospettiva di fondo degli interazionisti è che il sé dell’uomo non è una forma platonica preesistente, ma è creata dall’interazione sociale. Secondo Charles Horton Cooley, che nel 1902 coniò l’espressione “specchio del sé”, un’interazione contempla tre fasi: il sé immagina la reazione di un altro alla sua apparenza; il sé immagina il giudizio dell’altro alla sua azione; il sé ha una reazione emotiva a questo giudizio. George Herbert Mead ha notato che il bambino in fase di sviluppo dapprima impara ad assumere il ruolo di un’altra persona, poi viene lo stadio del gioco con le regole dove il bambino impara ad assumere e a tenere in conto una varietà di altri ruoli. Infine il bambino impara a tenere in conto la risposta dell’altro generalizzato, cioè la società. Questo altro generalizzato è la fonte della moralità, e i bambini sono socializzati a comprendere cosa essa si aspetta. L’individuo umano è molto disponibile ad essere influenzato. La nostra natura innata da poche indicazione alle nostre vite e dobbiamo sviluppare le nostre linee di condotta, cosa che facciamo nel corso delle interazioni con gli altri. L’interazionismo simbolico suggerisce che l’interazione umana crea cultura. Una volta creati, gli oggetti culturali sono riprodotti e trasmessi attraverso la socializzazione dei nuovi membri del gruppo. L’identità o il senso del sé viene prodotta dalle interazioni con altri e richiede la conferma degli altri. 2.2. Subculture Gli individui non sono semplicemente membri di un singolo gruppo o comunità, ma di una pluralità di essi. Mead ne ha identificati due tipi: gruppi sociali astratti e le classi sociali o i sottogruppi concreti. Se le relazioni reciproche che uniscono questi gruppi sono abbastanza forti da resistere ad alcune delle influenze dell’altro generalizzato societario, il gruppo diventa un subcultura. Una subcultura ha un insieme di simboli, significati e norme comportamentali che vincolano i membri. Non fa riferimento solo a preferenze di consumo ma anche a uno stile di vita. L’idiocultura è la cultura del subgruppo: ricca di implicazioni, vivacizzata da simboli ed espressioni noti solo ai membri del gruppo e utilizzati per separare questi dagli estranei. I ragazzi raccolgono messaggi dagli adulti che sono sia diretti sia indiretti, e sentono poi l’influenza delle pressioni biologiche. Affinchè un simbolo o un’espressione entrino a far parte dell’idiocultura devono basarsi su informazioni note, devono essere funzionali, devono essere facilmente utilizzabili, devono essere appropriati e devono essere utilizzati ripetutamente. Le subculture creano significato producendo oggetti culturali che sono significativi per i membri del gruppo e incomprensibili per gli estranei. A volte la costruzione di confini non è tanto una questione di significato ma di evitamento del significato. 3. Innovazioni culturali e cambiamento sociale Molti movimenti sociali nascono come subculture: passano dalla separazione dell’ascetismo ultramondano all’impegno riformista o anche rivoluzionario dell’ascetismo intramondano. (esempio: rivolta dei Boxer). 3.1. Ritardi e direzioni culturali L’idea che gli slittamenti sociali producano i mutamenti culturali suggerisce però che il mondo sociale cambia sempre per primo, lasciandosi dietro la cultura. W. Ogburn (1936) sosteneva che i sociologi dovevano distinguere tra cultura materiale e cultura adattiva. Quando la prima cambia, la seconda deve cambiare come risposta. La cultura adattiva è quella parte di cultura non materiale che si adegua alle condizioni materiali. Ci vuole sempre un po’ perché questo adattamento si realizzi completamente, e ciò causa il ritardo culturale. Questa teoria è compatibile con la teoria del riflesso nelle sue vesti sia marxiane che funzionaliste. Si possono trovare però esempi in cui è la cultura non materiale a guidare il cambiamento. 3.2. Le innovazioni culturali L’approccio della produzione collettiva alla cultura suggerisce che, sebbene le innovazioni possano realizzarsi casualmente e in forme non prevedibili, alcuni elementi costanti appaiono evidenti: determinati periodi sono più favorevoli di altri alla produzione di innovazione; anche le innovazioni seguono alcune convenzioni; alcune innovazioni hanno più provabilità di altre di istituzionalizzarsi. Vi sono periodi di cambiamento relativamente contenuto, in cui lo status quo non è in pericolo. In altri periodi la creatività culturale esplode: a certe condizioni, le vecchie regole, culturali e sociali, non sembrano più applicabili. Si crea un vuoto morale e la gente cerca nuove linee di condotta, nuovi significati con cui orientarsi nella vita. L’innovazione culturale emerge come risposta all’incipiente anomia. Per quanto alcuni periodi sembrino esibire più cambiamento culturale di altri, la seconda premessa dell’approccio della produzione collettiva all’innovazione è che le innovazioni culturali possono non essere così eccezionalmente nuove come sembrano a prima vista. 4. Produzione, distribuzione e ricezione della cultura Gli oggetti culturali non sono semplicemente i prodotti naturali di qualche contesto sociale, al contrari essi sono prodotti, distribuiti, commercializzati, ricevuti e interpretati da una pluralità di persone e di organizzazioni. 1. La produzione della cultura Il complesso apparato interposto tra i creatori di cultura e i consumatori comprende meccanismi di produzione e di distribuzione, tecniche di commercializzazione come la pubblicità, l’utilizzo dei mass media e il targeting, la creazione di situazione che mettono a contatto potenziali consumatori di cultura e oggetti culturali. 1.1. Il sistema dell’industria culturale Hirsch (1972) ha elaborato un modello chiamato “sistema dell’industria culturale”, che descrive l’insieme di organizzazioni che producono articoli culturali di massa. Questi oggetti condividono alcune caratteristiche: l’incertezza della domanda, una tecnologia relativamente economica e una eccedenza di aspiranti creatori culturali. Il sistema dell’industria culturale opera per regolare e confezionare l’innovazione e dunque per trasformare la creatività in prodotti commerciabili e prevedibili. Si può sovrapporre il modello di Hirsch sull’asse orizzontale del diamante culturale: l’oggetto culturale reale, il prodotto del sottosistema manageriale, è di importanza minore nel sistema totale. ciò è specialmente vero per i prodotti di cultura di massa che Hirsch ha in mente; l’organizzazione produttiva non ha grande interesse per il singolo prodotto sino a che una certa percentuale dei suoi prodotti non sia diventata di successo. Le organizzazioni di produzione culturale cercano di produrre un flusso regolare di prodotti e di ridurre l’incertezza. Ma nonostante gli sforzi di controllo del sottosistema manageriale rimane una grande dose di aleatorietà del mercato. 1.2. Mercati culturali Peterson (1978) ha studiato la produzione del cambiamento culturale nella musica country, e la sua ricerca costituisce un buon esempio di come mutamenti di mercato possono riverberarsi su tutto il sistema dell’industria culturale. Nel caso della musica country, un nuovo grande mercato ha fatto diminuire la specificità artistica di un oggetto culturale, ma può capitare anche l’opposto: una crescita delle dimensioni del mercato può produrre una maggiore differenziazione culturale. I mercati influenzano la produzione culturale, ma non sempre escludendo o rigettando un tipo di oggetto culturale a favore di un altro. Talvolta possono coesistere mercati paralleli con notevole stabilità. Indipendentemente da quanto possa essere stabile un sistema i mercati culturali reagiscono al mutamento sociale. Sembra che ci siano alcuni periodi di agitazione in cui sia il mono sociale, comprese le sue istituzioni economiche e politiche, sia gli oggetti espressivi che chiamiamo cultura cambiano più rapidamente del solito. Questi sono periodi fertili per la produzione di nuove ideologie e nuovi generi, e in queste circostanze i mercati culturali e le forme della cultura hanno modo di cambiare insieme. Modernizzazione e urbanizzazione – assieme a guerra, pestilenza e rivoluzione economica – sono le occasioni di creatività culturale di più grande impatto, ma anche riconfigurzioni ociali su scala minore possono essere culturalmente produttive. 2. La produzione di idee La nostra definizione di oggetto culturale arriva ad includere concetti e idee. Dal momento che un’idea è stata espressa a parole o con simboli è un oggetto culturale. Dal momento che vi è eccesso di offerta ideologica, soprattutto in momenti turbolenti, le idee devono competere per l’investimento degli inserzionisti. Wuthnow descrive la competizione per le risorse come selezione. La selezione che ha successo diventa stabile attraverso l’istituzionalizzazione. 3. La ricezione Nonostante tutte le strategie adottate dalle maggiori aziende all’interno dei sistemi dell’industria culturale, rimane sempre, comunque, un grande margine di incertezza. Il successo finale di un oggetto culturale dipende dai ricevit0ri culturali che ricavano da esso i loro significati. Perché nonostante il significato di un oggetto culturale possa essere inizialmente suggerito dalle intenzioni dei suoi creatori, chi riceve l’oggetto ha l’ultima parola. Un postulato di base dell’approccio sociologico alla ricezione è che la mente sociale, come la chiama Eviatan Zerubavel (1997), elabora
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