Scarica Sociologia della cultura - Wendy Griswold e più Prove d'esame in PDF di Auxologia solo su Docsity! SOCIOLOGIA DEI PROCESSI CULTURALI. LIBRO 1. Riassunto "SOCIOLOGIA DELLA CULTURA" (Wendy Griswold) CAPITOLO UNO "Cultura e diamante culturale" La cultura può essere distinta dalla società in quanto designa l'aspetto espressivo della società, mentre la società indica l'aspetto razionale. Ma della cultura si può parlare in due modi: punto di vista delle discipline umanistiche= Arnold, Weber, cultura come "quanto di meglio sia stato pensato e conosciuto", (1) la cultura ha a che fare con la perfezione, (2) alcune culture e opere culturali sono meglio di altre, (3) cultura si oppone alla civiltà, rara armonia tra esse, (4) cultura fragile, dev'essere preservata con educazione ed archivi, (5) essa ha un'aura di sacralità e ineffabilità posizione delle scienze sociali= Herder afferma che si deve parlare di culture al plurale, Berger "cultura come totalità dei prodotti dell'uomo" esemplifica "l'assunto (comune a marxismo e funzionalismo) della forte congruenza", cioè che la cultura è una proiezione della propria esperienza sul mondo esterno (esternalizzazione), poi vivono queste proiezioni come fossero indipendenti (oggettivazione) e infine incorporano tali proiezioni nella loro coscienza psichica (interiorizzazione). Gli elementi fondamentali di tale posizione sono quindi che (1) evita valutazioni e opta per il relativismo, si valuta solo l'impatto della cultura sull'ordine sociale, (2) ritiene che vi sia un profondo legame tra cultura e società, (3) enfatizza la persistenza e durata della cultura piuttosto che la cultura non è qualcosa di sacro, è un prodotto umano studiabile empiricamente. DEFINIZIONE GENERALE= La cultura si riferisce al lato espressivo della vita umana‐ comportamenti, oggetti e idee che ossono essere visti come esperimenti, o rappresentanti qualcos'altro. Cercare di capire le connessioni tra una società e la sua cultura vuol dire innanzitutto iniziare l'analisi con un esame ravvicinato di OGGETTI CULTURALI= un oggetto culturale può definirsi "un significato condiviso incorporato in una forma" (Griswold), cioè un'espressione significativa che è udibile, visibile, tangibile o può essere articolata. Esso racconta una storia. Gli oggetti culturali sono creati e legati ad esseri umani, oltre che ancorati ad un contesto sociale. Quattro elementi interconnessi nel DIAMANTE CULTURALE= strumento euristico inteso a far comprendere che una relazione esiste, non quale essa sia CAPITOLO DUE "Il significato culturale" Un oggetto culturale ha un significato condiviso: ad esso è stato attribuito un senso che è condiviso dai membri della cultura. Essa infatti, secondo Geertz, è un "modello di significati" che è durato nel tempo. Il senso o significato si riferisce alla capacità dell'oggetto di suggerire o indicare qualcos'altro. Esso può essere semplice (biunivoca) o complesso (tipico dei simboli, che evocano una varietà di significati, alcuni dei quali possono essere ambigui). La CULTURA è fatta di significati complessi e non semplici, significati "incorporati in simboli", sempre secondo la definizione di Geertz. Gli esseri umani necessitano di significati. Berger afferma che esso è bastione contro il caos, creano le culture con processo di esternalizzazione‐oggettivazione‐interiorizzazione, costruendo così i modi in cui essi agiscono. La cultura fornisce significato e ordine attraverso l'uso di simboli, laddove ciò che abbiamo designato come oggetti culturali sono arricchiti di significati oltre e al di là della loro utilità materiale. La domanda è: da dove provengono e quale differenza fanno i significati? 1. TEORIA DEL RIFLESSO, cultura riflesso della vita sociale, tipica di marxismo e funzionalismo 2. vita sociale che riflette la cultura, di Max Weber N.B. Tutte le teorie si concentrano sull'asse verticale del diamante (mondo sociale ‐oggetto culturale) 1. LA CULTURA COME SPECCHIO ‐ La cultura è specchio della realtà sociale, idea che si rifà al senso comune. Connessione doppia, la sociologia culturale ha preferito il primo modo di descrivere la connessione, chiedendosi come la cultura riflettesse la società e ammettendo il secondo modo ‐società che riflette la cultura‐ solo come considerazione secondaria. Non c'è rapporto di causa‐ effetto, ma una correlazione. Teoria del riflesso acquista credibilità anche attraverso artisti, scrittori e altri creatori sottolineano il legame tra le loro opere e la realtà. Idea che ha un'origine greca, per Platone l'arte era una mimesi, una rozza imitazione della realtà che era a sua volta una copia imperfetta delle idee, Aristotele suggerì un modo di difendere l'arte redifinendone il termine medio, essa imita le verità universali circa l'esistenza umana. Tale concezione è propria, ai tempi moderni, sia del marxismo che del funzionalismo, nello specifico: MATERIALISMO E MARXISMO= la concezione materialista implica che la religione, i valori, l'arte, le idee, le leggi e la cultura in genere sono prodotti della realtà materiale, a differenza dell'idealismo. Idea che c'è già in Feuerbach, Marx la supera ponendo l'attenzione anche sulle radici sociali e storiche del mondo materiale. Cultura, leggi.. come "sovrastruttura" posta su una base fatta di forze materiali di produzione e delle loro fondamenta economiche. Secondo Marx infatti, le idee dominanti in una società sono le idee della sua classe dominante. Sulla scia delle idee marxiste si posero i seguaci della Scuola di Francoforte che avanzarono una nuova teoria critica che organizzava l'analisi culturale empirica in funzione dell'obiettivo di una riforma sociale. FUNZIONALISMO= elementi fondamentali sono da una parte che la cultura riflette la società (aspetto principale della definizione di influenza) e dall'altra che la cultura è testimonianza sociale. Essenza: le società umane per conservarsi esprimono bisogni concreti e le istituzioni sociali nascono per soddisfare questi bisogni. Ma in realtà consegue che ogni livello sociale ‐cultura, politica, economia‐ fornisce input e riceve output. Perciò ogni livello riflette l'altro. Altri due elementi sono l'idea che gli esseri umani siano consumatori passivi e che una società possa essere letta direttamente attraverso le sue opere culturali (argomento della "testimonianza sociale"). Ma tutto questo è un po' riduttivo, il puro modello dello specchio è difficile da accettare. Esistono così modelli funzionalisti più complessi, che risolvono alcune tematiche, ad esempio quello di Baxandall che afferma che la cultura non è riflesso diretto della realtà sociale, ma mediato dalle menti degli esseri umani. Obiezione è che si apprezza e si reagisce anche sulla cultura antica. Elaborata l'idea che la cultura sia più una riflessione su che un riflesso di, ma questa è un'idea poco invitante a livello sociologico. 2. CULTURA E SIGNIFICATO IN WEBER ‐ Weber compie uno studio sul rapporto tra capitalismo e religione. Analizza il rapporto inverso. L'influenza, secondo Weber, agisce in entrambi i sensi, ma lui studia soltanto come la realtà influenzi la realtà sociale. La cultura viene comparata con uno scambista ferroviario: "concezioni del mondo create dalle idee hanno spesso determinato ‐come chi aziona uno scambio ferroviario‐ i binari lungo i quali la dinamica degli interessi ha mosso tale attività". Modello che ha generato molta ricerca sociologica. Due critiche: (1) troppo soggettivo, Wuthnow dice che "chiede di entrare nella testa delle persone", (2) troppo semplicistico, uomini agiscono in modi contraddittori, Swider ritiene che si debba parlare più di "cassette degli attrezzi"= culture contengono linee d'azione da usare in diversi contesti, ed esse non sono necessariamente coerenti. L'idea antica della sociologia della cultura era che i presupposti degli scontri culturali stessero sparendo. Non è stato così, anzi la modernità ne ha creati di nuovi. Non si crede più alle storie sul cambiamento sociale, si ha il declino della "metanarrazione", la cultura si sta svuotando. CAPITOLO TRE "La cultura come creazione sociale" istituzionale, dei media (disc‐jokey, presentatori di talk show, recensori di libri), che sono appunto dei "controllori d'accesso" (gatekeepers) e rappresentano il terzo filtro, poichè il consumatore viene a conoscenza dei nuovi prodotti attraverso di essi. Le organizzazioni cercano di fare a meno dei media attraverso tre strategie: (1) producendo (o convincendo i consumatori di averlo prodotto) un bene molto omogeneo, come le collane di romanzi rosa (i lettori sanno benissimo di cosa si tratta), (2) utilizzando personalità famose, cercando di convincere i consumatori che se hanno apprezzato un precedente lavoro (es. il film di Woody Allen) di quella persona, così sarà anche per il nuovo prodotto. Il consumatore finale è appunto il pubblico. In questo sistema si hanno due tipi di FEEDBACK: quello che proviene dai media (e consiste di recenzioni, o in generale dell'attenzione rivolta a un prodotto) e quello dei consumatori, che si misura attraverso le vendite. E' importante sottolineare come il modello di Hirsch possa essere sovrapposto sull'asse orizzontale del diamante culturale, operazione che evidenzia come l'oggetto culturale reale, prodotto del sottoinsieme manageriale, abbia importanza minore nel sistema totale. Il modello di Hirsch, sebbene sia stato sviluppato per prodotti culturali tangibili, può essere applicato alla cultura alta, alle idee o a ogni altro oggetto culturale. Abbiamo fino ad adesso visto come funzionano le organizzazioni culturali. Ma nonostante gli sforzi di controllo, il mercato continua ad avere logiche proprie. Analizziamone la natura. Pearson studia il rapporto tra mercato e musica country, che per esigenze di diffusione perde la sua specificità per avvicinarsi sempre più al pop. I mercati influenzano la produzione culturale, ma non sempre escludendo o rigettando un certo tipo di prodotto: talvolta possono esistere mercati paralleli. Essi cambiano nei periodi di innovazione culturale di cui abbiamo parlato precedentemente, modificandosi insieme alle forme di cultura: modernizzazione, urbanizzazione, guerra, pestilenza, rivoluzione economica, ma anche riconfigurazioni sociali su scala minore. Ma che cosa determina o meno la fortuna sul mercato di un certo prodotto? I creatori producono una quantità in eccesso di tutti gli oggetti culturali. I coniugi Bielby sostengono che "i grandi successi sono imprevedibili", spiegando la loro tesi attraverso l'esempio dei programmatori e di come essi sviluppano gli show secondo la reputazione delle persone coinvolte ed esempi passati, ma in realtà tutto questo non ha alcun legame con quello che sarà il loro piazzamento finale (successo di mercato). Abbiamo parlato già ampiamente dei periodi (di cui parlano Wuthnow e Swidler) più propensi all'innovazione culturale. Certo è che il premio finale per ogni idea promettente è quello di raggiungere l'istituzionalizzazione, che lo rende stabile, quando lo stato o qualche altro potente attore istituzionale introduce l'ideologia nella prassi. Dobbiamo a questo punto soffermarci sul consumatore, che analizzeremo come recettore. Nello spirito del modello di Hirsch, possiamo chiamare questo sottoinsieme "di produzione dell'interpretazione". Per quanto brillante e innovativa possa essere un certa idea, il successo finale di essa dipende dai suoi ricevitori culturali che ricavano da esso i loro significati. A loro sta l'ultima parola. Con quale grado di libertà i consumatori rendono significativi gli oggetti culturali? La "mente sociale", come la chiama Zerubavel, elabora gli stimoli in arrivo. Sono le nostre menti sociali ‐come membri di categorie e gruppi specifici‐ che foggiano ciò a cui prestiamo attenzione, ciò che ci emoziona, i significati che traiamo da segnali dell'ambiente. La ricezione, o meglio il significato tratto dagli oggetti culturali, non è fermamente inserito nell'oggetto stesso, e dall'altra parte non è nemmeno interamente soggetto all' interpretazione individuale. Gli attributi socili delle persone, le loro posizioni in una stuttura sociale, condizionano quello che piace loro, quello cui danno valore e persino quello che in prima istanza riconoscono. E' la ricerca sociale a confermare quanto appena detto. Si ha una stratificazione culturale, oggetti diversi corrispondono a status sociali diversi, sebbene il nesso tra gusto culturale e posizione socioeconomica non sia sempre diretto. Vi sono molti oggetti che attraversano i confini di classe, genere, etnia e religione (programmi televisivi popolari). Accettiamo quindi la definizione di Gans "cultura di giusto" che non presume niente circa caratteristiche sociali o demografiche. Ma è significativo sottolineare come la classe alta partecipi alla cultura più intensamente di quella operaia. La classe media viene definita da Peterson "classe di onnivori culturali", essi hanno un più ampio repertorio culturale che consente loro di agire in una pluralità di situazioni sociali. Proprio a proposito di questo, una potente teoria sulle conseguenze del gusto è stata elaborata da Bordieu, il quale afferma che la cultura può essere considerata una forma di capitale: il capitale culturale, al pari di quello economico, può essere accumulato, investito o convertito in economico. Riguardo al rapporto tra capitale culturale ed economico, sempre Bordieu ha tracciato una mappa: ci può essere corrispondenza o opposizione (è quest'ultimo il caso degli studenti da un lato e degli imprenditori scarsamente acculturati ma molto ricchi). Poichè si ritiene che il capitale culturale sia importante i gruppi tendono a inflazionare il valore di ciò che già possiedono e cercano di impedire agli altri di possederne. Da tutto questo si deduce che (1) spesso la ricezione di oggetti culturali è stratificata per classe sociale e (2) la gente può consapevolmente o inconsciamente utilizzare la cultura per difendere i propri vantaggi sociali o per superare gli svantaggi. Una chiave di lettura utile a comprendere la ricezione culturale viene offerta da Jauss, critico letterario tedesco. Egli ha rilevato che quando un lettore si avvicina a un libro non si relaziona ad esso come fosse un recipiente vuoto che aspetta di essere riempito dal suo contenuto, ma piuttosto lo colloca entro un "ORIZZONTE DI ASPETTATIVE" che proviene dalla sua precedente esperienza letteraria, culturale e sociale. Un lettore interpreta il testo sulla base di come si adatta alle sue aspettative o le mette in discussione. Costruendo il significato del testo egli finisce al contempo per modificare il suo stesso "orizzonte di aspettative". Questo nuovo concetto introdotto ci aiuta a comprendere come un oggetto culturale posa venire interpretato diversamente da persone diverse conoscenze ed esperienze sociali e culturali. Attribuendogli un significato quindi ogni oggetto può essere trasformato in oggetto culturale. S inserisce qui l'importanza del concetto di framing: se i creatori culturali riescono a dare al loro prodotto una forma che ne evoca una che già appartiene al pubblico è più probabile che lo persuadano a comprare. Talvolta però i creatori non hanno idea di come i loro prodotti verranno ricevuti. La maggiore o minore libertà con cui i ricevitori interpretano gli oggetti culturali ha dato origine a due scuole di pensiero: (1) la teoria della cultura di massa, che propende verso il lato della cultura forte opposta a ricevitori deboli, suggerendo che gli oggetti culturali possono sostanzialmente schiacciare i loro impotenti ricevitori; (2) la teoria della cultura popolare, concepisce la gente come attiva produttrice e manipolatrice di significati. Da queste due teorie dipendono due concezioni dell'INDUSTRIA CULTURALE: 1. Nel primo approccio, essa assume connotati assai poco lusinghieri: viene cosiderata la tecnologia per produrre intrattenimento di massa in cui viene enfatizzato l'aspetto relativo allo spettacolo su quello morale o intellettuale (allo scopo di catturare una porzione di mercato che sia la più grande possibile), e ciò rende i ricevitori apatici e intorpiditi (con due conseguenze: predispone ricevitori passivi alla tirannia politica e spinge i produttori a materiali sempre più violenti e sensazionali per far reagire tale pubblico). Tale concezione si trovava già in Platone e più recentemente nella Scuola di Francoforte. Durante gli anni cinquanta la critica verso tale cultura venne sia da destra (che vedeva soffocata la capacità di critica culturale) che da sinistra (che temeva invece per la capacità di critica politica). Di particolare interesse era l'impatto che poteva avere sui bambini. 2. Per avvicinarci all'approccio della cultura popolare dobbiamo anzitutto definire il termine "popolare" qui inteso come cultura della gente intesa come persone comuni, e comprende chiaramente prodotti come spettacoli televisivi, riviste a grande diffusione e mode fugaci, ma anche saggezza, senso comune, valori, modi di vita della gente. Si può quindi dire che la cultura popolare è il sistema di significati a disposizione della gente comune. La rivalutazione di tale cultura tra i sociologi è stata avviata negli anni sessanta, in due modi (entrambi concepiscono una concezione del pubblico che è diversa dalla passività): da una parte cercando significati nascosti (che erano accessibili ai loro ricevitori ma che restavano ignoti agli accademici e ad altre élite sdegnose), dall'altra guardando il ricevitore non solo come soggetto che decodifica significati ai quali i ricevitori d'élite si sono sottratti, ma anche capace di costuire attivamente significati sovversivi (producendo significati opposti a quelli della classe dominante). Sia i teorici della prima (come Fiske), sia quelli della seconda (come Wertham) sono essenzialmente interessati alla ricezione, ed entrambi condividono il valore della libertà umana, ma interpretano la relazione tra oggetto culturale e ricevitore in modo molto diverso. Il vero pericolo, non previsto da nessuna delle due teorie, è che le persone smettano del tutto di interpretare gli oggetti culturali. Questo rigetto è già avvenuto in qualche misura e i teorici della cultura postmoderna si aspettano che la tendenza aumenti. Durante una lezione il professore analizza la relazione tra consumatore e produttore, sottolineando lo spostamento del potere da consumatore a produttore (quanto più grande è l'azienda, tanto più avrà potere di pilotare gli acquisti dei clienti, ad esempio promuovendo offerte o prezzi al ribasso). Tali relazioni vengono studiate dal marketing, le cui leve sono prodotto, prezzo, promozione e placement. Collegando l'analisi al diamante culturale, è evidente che stiamo analizzando l'asse orizzontale, creatore (=produttore) e ricevitore (=consumatore). Le dinamiche di promozione sono svariate, tra cui le iniziative di fedeltà. Per quanto riguarda il placement, i grandi marchi cercano di concentrarsi tutti nello stesso luogo (è l'esempio dell' Apple store aperto in centro a Firenze), è appunto un fatto di collocazione. E' evidente come il marketing sia un insieme di sistemi relazionali tra produttori, distributori e consumatori intorno a un dato oggetto. CAPITOLO CINQUE "La costruzione culturale dei problemi sociali" Iniziando dall'analisi della malattie sessualmente trasmissibili (MST), si evidenzia come esse siano problemi sociali sebbene quest'idea non è condivisa da tutti. E' sicuro comunque che i problemi sociali sono costruzioni (Loseke 1999). L'essenza dell' approccio costruttivista è che i problemi sociali potenziali non sono fatti oggettivi, ma sono invece produttori di significati. E' solo quando una situazione ha significato per uno specifico gruppo di persone, e questo significato è negativo, che essa può essere definita come un problema sociale. Perciò, un problema sociale è un oggetto culturale. Esso, nell'analisi di Loseke, è prodotto da agenti specifici ("fabbricanti di questioni"), viene interpretato da uno specifico gruppo di ricevitori (il "pubblico" interessato alle questioni fabbricate), "in parole povere, un problema sociale viene fabbricato quando un pubblico giudica che la questione sollevata è credibile". Se i ricevitori accettano la definizione dei produttori abbiamo una questione, e se si mobilitano per agire abbiamo un movimento sociale. La costruzione di un problema sociale dipende dalla precedente costruzione di un' IDENTITA' COLLETTIVA. Anche l'identità può essere vista come oggettiva o costruita. La riflessione più recente ha enfatizzato la visione costruttivista, che concepisce le identità non tanto come date e stabili ma come malleabili, fluide, soggette all'interpretazione. Melucci afferma come l'identità collettiva non sia una condizione ma un processo: "l'identità collettiva è una definizione interattiva e condivisa prodotta da diversi individui interagenti interessati all'orientamento del loro agire così come al campo di opportunità e vincoli in cui tale agire avviene. Il processo di costruzione, mantenimento e alterazione di un'identità collettiva fornisce agli attori la base per formare le proprie aspettative e calcolare costi e benefici del loro agire. La formazione di un' identità collettiva è un processo delicato e richiede investimenti continui." Da questa definizione emerge il legame con i problemi e i movimenti sociali. Quando un'identità collettiva viene attivata, produce un modo di pensare condiviso, una mente sociale, che considererà certe situazioni coe problematiche e bisognose di intervento. Questa attivazione cognitiva può portare all'azione. Per comprendere meglio l'identità collettiva come costruzione piuttosto che come dato oggettivo, si può pensare alla razza e all'etnia che sembrano forgiare l'identità in modo molto potente. E' facile che la rivendicazione culturale basata su religione, etnia, razza e lingua persista per diverse ragioni: (1) la sua espressione attraverso oggetti culturali è psicologicamente soddisfacente e spesso a basso costo, (2) essa impegna i leader intellettuali del gruppo etnico o razziale che hanno interesse alla sua perpetuazione, (3) i leader politici trovano facile e conveniente appellarsi a sentimenti di appartenenza etnica nella loro caccia al voto. L'espressione culturale dell'eticità è meno diretta di quanto potrebbe apparire a prima vista. I gruppi etnici o razziali hanno le loro suddivisioni, spesso invisibili agli esterni, e la questione di quale vada promossa, quale debba essere assunta come cultura del gruppo intero, può essere fortemente dibattuta. L'etnia stessa è un oggetto culturale, con diversi creatori e diversi ricevitori, tutti che costruiscono significati differenti. Le appartenenze etniche e razziali sembrano naturali, una questione genetica. Ma ancora una volta i sociologi hanno osservato che entrambe sono costruzioni culturali (basti pensare che una persona nera per un ottavo è bianca in Giamaica e nera in Luisiana). Se le persone possono essere accumunate dagli estranei o dalle circostanze storiche, esse possono anche trarre vantaggio da questa appartenenza etnica imposta, è il caso degli Indiani d'America studiati da Cornell che giunsero a riconoscersi un'identità condivisa e una comune agenda politica. Dobbiamo quindi capire che etnia e razza sono costrutti artificiali, il prodotto di contingenze storiche. Allo stesso tempo però esse esercitano un'enorme influenza motivazionale, creando lealtà o inimicizie. Gli stati e i gruppi sociali eterogenei (come le comunità, le scuole, le organizzazioni) sono così obbligate a trovare modi per riconoscere e perfino celebrare la diversità culturale costruendo al contempo una cultura comune, di cui i diversi gruppi etnici o razziali sono subculture, che rivendichi con successo la lealtà fondamentale di ogni cittadino. Non è un compito semplice, ed è reso ancora più complicato dai costumi locali e dai pregiudizi. Quindi la razza e l'etnia ‐come tutte le forme di identità collettiva‐ sono costruzioni, non dati. Nello stesso tempo però dobbiamo riconoscere che queste particolari costruzioni (e altri elementi basilari per l'identità collettiva come il genere e la religione) creano potenti appartenenze che influenzano pensiero e comportamento. Come si crea un PROBLEMA SOCIALE? La maggior parte di noi è in grado di stilare senza esitazione una lisa di problemi sociali urgenti. Sebbene una simile lista abbia radici in problemi che causano ovunque la sofferenza umana ‐come la violenza, l'odio e la morte prematura‐ le forme che assumono questi problemi sono specifiche di ogni cultura e società. In generale però la vita di ognuno è piena di eventi paurosi, tragedie private, deprivazioni: a volte la sofferenza umana che capita viene trasformata da mero accadimento in oggetto culturale significativo, che viene a sua volta designato come problema sociale. Quando si compie questa trasformazione, diventa possibile per gli individui cercare soluzioni, perchè l'esistenza di un problema implica l'esistenza di una soluzione. Innanzitutto consideriamo come i fatti si trasformano in oggetti culturali: la creazione di un oggetto culturale è simile a quella di un evento ("rapporto creato dall'interpretazione tra accadimento e struttura" afferma l'antropologo Sahlins), esso deve essere articolato con un insieme di idee e istituzioni tra loro intersecantisi. In altre parole, gli oggetti culturali, e da essi i problemi sociali, tendono ad esprimere un comodo adattamento alle idee e alle istituzioni della società in cui essi si sviluppano. Per questa ragione, i problemi pubblici sono generalmente costruiti in modo specifico, e non in altri ugualmente possibili. Essendo culturalmente definiti, i problemi sociali hanno un'evoluzione, ovvero aumentano e calano di popolarità nel corso del tempo. Hilgartner e Bosk hanno cercato di identificare cosa spieghi "il sorgere e il declino dei problemi sociali", cominciando da cosa viene identificato come problema sociale. Questi autori immaginano un'arena pubblica in cui ha luogo una competizione tra le situazioni che potenzialmente possono etichettarsi come problemi sociali. Questa competizione si realizza in due forme: (1) nella definizione o nell'inquadramento del problema, (2) nella cattura dell'attenzione delle istituzioni ‐governo, media, fondazioni‐ le cui risorse o "capacità di azione" sono limitate. Quelle situazioni che vengono selezionate come problemi sociali sono fenomeni che hanno caratteristiche specifiche: esse sono o possono essere drammatizzate, trattano temi mitici profondamente radicati nella cultura, e sono politicamente vitali spesso perchè collegati a potenti gruppi di interesse. I vincitori di questa competizione acquisiscono lo statuto di problemi sociali ampiamente riconosciuti. Ne è un esempio il problema dell'AIDS. Una volta formatosi un problema sociale, non è detto che però da esso si generi un MOVIMENTO SOCIALE: il problema (come oggetto culturale) deve connettersi a un pubblico (come ricevitore) in modo tale che alcuni dei ricevitori siano spinti all'azione. I movimenti sociali richiedono che le persone siano motivate a riconoscere che esiste un problema, ad accettare la possibilità che venga risolt e a considerare una certa linea d'azione come adatta a produrre questo risultato. Secondo Gamson "il trucco degli attivisti è connettere il discorso pubblico e l'esperienza delle persone, integrandoli in un quadro coerente che supporti e sostenga l'azione collettiva". Per collegare un pubblico a un problema occorre formulare il problema in modo tale che il pubblico accetti la sua rilevanza. Questo è un problema di framing. Scondo Erving un frame è uno schema interpretativo (una cornice) che permette alle persone di dare un senso a ciò che sperimentano. Snow e co. hanno mostrato la necessità di un allineamento di frames, che è la "connessione degli orientamenti interpretativi degli individui e delle organizzazioni dei movimenti sociali (OMS), in modo tale che un insieme di interessi, valori e credenze individuali e di attività, obiettivi e ideologie dell'OMS siano congruenti e complementari" (precisando che l'uso del termine individuale non si pone in contrasto con l'idea dominante che i frames degli individui siano in gran parte definiti dal loro senso di identità collettiva. Coloro che creano il frame, i claim‐makers, devono colmare il divario tra la loro visione del problema e quella del pubblico, ma devono anche scuotere le persone, commuoverle, facendo appello non solo alla sfera cognitiva ma anche a quella emotiva. Gli attivisti del movimento spesso usano l'arte (manifesti, teatro di strada, musica) con tale finalità. La musica in particolare aiuta a dar forma a quella che gli autori chiamano "identità cognitiva", poichè la sua azione si basa principalmente su aspetti emotivi, suggerendo al pubblico cosa provare e cosa fare. Un elemento importante comunque rimane il ruolo critico svolto dai media. I problemi sociali competono sempre per l'attenzione dei pubblici rilevanti. I media aiutano i problemi a conquistare o a mantenere tale attenzione. Focalizziamo adesso i concetti chiave del capitolo: 1. Un problema sociale ha un'evoluzione, come ogni oggetto culturale può vedere aumentare la propria popolarità, può istituzionalizzarsi, o può non riuscire a conquistarsi un pubblico e così scomparire 2. L'oggetto culturale che meglio incorpora un problema sociale è quello che (1) identifica senza ambiguità i fatti e li traduce in eventi rilevanti per l'oggetto culturale, (2) cattura l'attenzione del più grande e potente insieme di destinatari, (3) suggerisce soluzioni che sono nei limiti delle capacità delle istituzioni rilevanti significato e degli assunti, dei principi e delle sfumature che un particolare oggetto culturale può evocare in questi sistemi. La necessità di stare attenti ai significati multipli e alle sfumature a base culturale ci conduc a oggetti culturali intangibili come sono le parole. Le interpretazioni multiple degli oggetti culturali intangibili possono essere comprese attraverso lo schema del diamante culturale: contesto sociale, orizzonte di alternative, creatore, ricevitore. CAPITOLO SETTE "La cultura in un mondo connesso" Il mondo sta diventando progressivamente interconnesso. La globalizzazione sta esercitando contemporaneamente pressioni verso l'unità e verso la frammentazione. La parola "COMUNITà" possiede significati diversi per i sociologi, ma due sono fondamentali: comunità come concetto territoriale, e comunità come concetto relazionale. Nel primo senso, una comunità è qualcosa che possiamo localizzare su una mappa. Essa ha proprietà spaziali: dei confini, un centro, una periferia. Ha un nome e un insieme di simboli associati ad esso. Le comunità sono significative; esse sono oggetti culturali per i loro residenti, e anche per molti che non vi risiedono. La comunità nel secondo senso è un'entità relazionale: le comunità sono persone legate insieme da reti di comunicazione, di amicizia, di associazione, o di sostegno reciproco. I suoi membri possono essere dispersi geograficamente, possono non conoscersi l'un l'altro, ma costituiscono una collettività significativa, autocosciente. In una società progressivamente mobile e altamente differenziata, c'è sempre meno identità tra le comunità relazionali e quelle territoriali. Entrambi i tipi di comunità sono uniti, almeno in qualche misura, dalla cultura, intesa come complessi non irrilevanti di significati condivisi sono riconosciuti dai membri di ogni collettività che chiamiamo comunità. Ma che cosa succede alle comunità (se accettiamo la tesi durkheimiana secondo cui cultura è il legame che unisce) in tempi di rivoluzione culturale, come quella attuale (siamo infatti nel cuore di una grande rivoluzione culturale, quella della crescita globale delle comunicazioni elettroniche, che è la terza grande rivoluzione che ha trasformato la cultura e la società, insieme a alfabeto fonetico e stampa)? Iniziamo con un pò di storia. Per la maggior parte della sua storia, l'umanità è vissuta in una cultura rigorosamente orale. Le culture orali, in cui la comunicazione dipende da interazioni faccia a faccia, sono caratterizzate della diffusione di un sapere ampiamente condiviso per tutta la comunità. Tali culture richiedono prodigiose operazioni di memorizzazione da parte di alcuni specialisti della memoria, che agiscono da depositari della storia del gruppo e della genealogia, ma la maggior parte del sapere è conservato in comune e continuamente ripetuto, per questo si fa un grande uso di proverbi e di poesia epica. La cultura orale sostiene una comunità, secondo Durkheim, costituita da un' ordine sociale su piccola scala, indifferenziato, in cui la gente pensa, fa e crede in gran parte le stesse cose. In queste comunità la sovrapposizione tra la coscienza di un individuo e la coscienza collettiva è quasi totale. In misura considerevole, noi viviamo ancora in un mondo orale. Le culture delle famiglie, delle amicizie, dei vicinati sono innanzitutto orali. Gli alfabeti fonetici, sebbene prima di essi esistessero altri sistemi di scrittura, sono i più semplici e facili da imparare, e tale facilità di apprendimento ha incoraggiato l'adozione diffusa della scrittura, per questo si parla di prima rivoluzione. La seconda rivoluzione nella comunicazione è stata l'invenzione della stampa a caratteri mobili, ad opera di Gutenberg nel quindicesimo secolo, che rese possibile la comunicazione scritta su molto più larga scala. Fu un altro grande passo verso la diffusione di cultura. Goody e Watt hanno esplicato due conseguenze intellettuali dell'alfabetizzazione: (1) la separazione della storia dal mito, (2) un crescente individualismo basato sul sapere altamente specializzato, nelle culture alfabetizzate, la gente è stratificata sulla base di cosa ha letto. Per quanto riguarda l'impatto sulla comunità, la conoscenza dell'alfabeto rese innanzitutto possibile la comunicazione relazionale come non era mai successo prima. Inoltre, la stampa fece nascere la nazione, che assunse una specificità anche territoriale, oltre che linguistica, nuovi generi a stampa come giornale e romanzo furono causa e conseguenza di nazionalismo e altre identità nazionali. Così la rivoluzione della stampa diede origine a comunità relazionali unite dalla parola scritta e soprattutto stampata, e generò anche lo stato‐nazione. Le comunicazioni elettroniche, compresa la radiodiffusione, hanno segnato la terza grande dimensione nelle comunicazioni dall'era moderna a quella postmoderna. Questa rivoluzione comprende la trasmissione a doppio senso (telegrafo, telefono, fax, reti informatiche, posta elettronica) così come trasmissioni ad un solo senso (radio, televisione, audio, videocassette). Tutte queste tecnologie condividono uno stesso insieme di attributi: 1. mettono in relazione persone situate in luoghi distanti in tempo reale 2. permettono l'espressione diretta di idee ed emozioni, rendendo possibile un'immediatezza ed un'intimità che si erano avute in precedenza solo nella comunicazione faccia a faccia 3. democratizzano l'accesso culturale in termini spaziali e temporali 4. democratizzano l'accesso culturale fondato sull'istruzione, laddove le comunicazioni scritte richiedono la padronanza di un insieme di competenze tecniche, molte forme di comunicazione elettronica ‐specialmente televisione e telefono‐ richiedono ben poche abilità tecniche, praticamente qualsiasi persona competente può utilizzarli Le conseguenze sociali dei media elettronici derivano da questi attributi: a causa dell'ampiezza del loro pubblico e della velocità con cui i messaggi possono essere spediti, influenzare l'opinione pubblica tramite i media è diventato un obiettivo fondamentale di quanti promuovono un determinato programma politico e sociale (Gitlin ha utilizzato una frase tratta dal movimento contro la guerra del Vietnam per descrivere l'uso che quel movimento fece della televisione, frase che si applica in generale ad ogni movimento sociale capace di attirare i media: "l'intero mondo ci sta guardando"). I media elettronici aumentano non solo l'immediatezza dei contatti ma anche la loro intimità. La possibilità di un'immediata e intima comunicazione ha mandato in pezzi antiche barriere sociali, come ci dice Meyrowitz, come nel caso di stili di vita un tempo marginali che oggi vanno a parlare di se' in televisione: le differenze e le emozioni umani sono divenute spettacolo; come pensavano i teorici della cultura di massa, la presenza continua della sofferenza può aver attenuato la nostra sensibilità ad essa. Fino ad adesso abbiamo esplicato le conseguenze dei primi due attributi. Ma anche il terzo e quarto hanno avuto dei profondi effetti sociali. La stampa tende a segmentare il pubblico: gruppi diversi di persone leggono libri diversi. Analogamente, la tradizionale concentrazione di intellettuali, università, teatri, cattedrali e altre istituzioni culturali in poche città significava un tempo che esistevano centri e periferie culturali. Tutto questo sta cambiando. La televisione, in virtù delle minime competenze tecniche e degli sforzi limitati richiesti per decodificare i suoi significati, così come del suo accesso virtualmente universale, tende ad essere vista da pubblici immensi, dispersi, indifferenziati. Se le comunità sono unite da culture, e se le culture nazionali sono sempre più intaccate dall'esterno, allora la cultura globale sostituirà la cultura nazionale in misura sempre maggiore. Ma invece di creare un'unica grande culture, Internet (che molti considerano lo sviluppo più importante nel mondo interconnessa) sembra essere in procinto di creare molte comunità diverse. Wellman e Haythornthwhite hanno passato in rassegna le ricerche sull'uso di Internet disponibili all'inizio del ventunesimo secolo e hanno riscontrato tali elementi: aumento dell'accesso: più persone ‐circa i due terzi degli adulti in America secondo una ricerca‐ navigano in Internet. La distinzione digitale tra membri più o meno ricchi nei paesi occidentali sta svanendo. A livello globale c'è ancora una notevole differenza, con paesi all'avanguardia come le nazioni nordiche e baltiche e paesi molto meno connessi come quelli dall'Africa sub‐sahariana, ma la tendenza è verso un accesso sempre più esteso aumento del coinvolgimento: le persone passano più tempo on line e facendo più cose diverse uso domestico: Internet non è più solo uno strumento che si usa per lavoro, ma anche a casa più ore di lavoro: essendo entrato nello spazio domestico, Internet ha anche consentito di portarsi il lavoro a casa compiti scolastici: le scuole hanno fatto da legame istituzionale tra la casa e Internet. Non solo gli studenti usano di più Internet, ma la presenza di bambini in età scolare fa aumentare radicalmente la probabilità che una famiglia abbia accesso a Internet aggiornamento: chi non usa Internet ‐sempre meno persone‐ afferma che poter avere accesso a Internet significherebbe "essere più aggiornato" una società di rete: le reti sono la formazione più socialmente significativa nell'era di Internet Alcune teorie ritenevano che INTERNET, penetrando nella vita quotidiana, avrebbe sostituito del tuttto la stampa. Almeno per ora non è andato così, Internet non ha avuto l'impatto negativo sulla lettura che molti temevano, in realtà sembra esserci un'associazione positiva tra le due attività. Sembra che le persone che usano di più Internet leggano anche di più (Griswold e Wright). In parte questo è dovuto all'istruzione, in parte al modo in cui Internet rende facile trovare e acquistare libri. Lo stesso vale per l'ascolto di musica. Anche se scaricare musica sta avendo un enorme impatto sull'industria culturale, Internet non compete con l'ascolto di musica ma lo facilita. Sembra possa dirsi lo stesso per la frequentazione di eventi sociali e culturali. Quello che invece Internet fa in effetti è diminuire il tempo trascorso davanti alla televisione. Anche la religione si lega positivamente a Internet: circa un quarto degli americani sono "navigatori religiosi", nel senso che hanno navigato in rete alla ricerca di materiali religiosi. Internet non ha un impatto rivoluzionario sulle pratiche culturali neanche in altre aree come la plitica, la diseguaglianza sociale o quella di genere (i ruoli di genere sono riprodotti in Internet, a volte nei modi più abietti come la pornografia o nel traffico di donne, a volte in modi abitudinari come i maschi che dominano nella conversazione nelle chat room). Al momento il quadro è questo: Internet permette alle persone di fare quello che facevano prima ma in modo più efficiente. Le persone che si trovano inserite in altri contesti culturali (come le donne filippine che lavorano a servizio presso famiglie a Roma e a Los Angeles mentre le loro famiglie rimangono in patria, studiate da Parrenas) tendono a creare "nicchie di stile di vita", secondo la definizione di Bellah et al., cioè luoghi in cui le persone possono scegliere di vivere con altre simili a loro. L'esempio di Parrenas ci fa capire come molti vivono dove sono costretti, non dove vogliono, e per questo si sforzano di creare, quando è possibile, tali nicchie. Ancora una volta siamo di fronte a un paradosso: se la globalizzazione elettronica sembra unire il mondo geograficamente, essa sembra al contempo separarlo relazionalmente. Da un lato, un villaggio globale; dall'altro i mondi autointeragenti dei fan del calcio e delle altre nicchie culturali. Entrambe sono comunità, ma sembrano però prive di spessore. La CULTURA POSTMODERNA è una cultura di superficie, un gioco di immagini che rinnega la profondità, la storia o il significato. Essa presenta le seguenti caratteristiche: 1. assenza di spessore, o meglio un'autoconsapevole superficialità 2. rigetto delle metanarrazioni, da cui un senso indebolito della storia o del destino nazionali (vedi capitolo cinque) 3. frammentazione, cioè rottura delle connessioni; la cultura postmoderna accoglie il frammentario, l'effimero, il discontinuo. Il pastiche, il montaggio di elementi culturali tratti da diversi tempi e luoghi è una convenzione dell'arte e della letteratura postmoderne Ora, una cultura che sconfessa profondità e storia, una cultura che rifiuta qualunque descrizione del suo passato e del suo futuro, una cultura in cui tutto può essere combinato con qualunque altra cosa: una simile cultura, per dirla in modo elegante, non sembra promettente come fondamento su cui edificare una comunità. Un secolo fa, gli uomini che si preoccupavano degli effetti corrosivi della modernità ‐la razionalizzazione, il capitalismo, l'anomia‐ sulla comunità umana furono tra i padri fondatori della disciplina. I media elettronici hanno reso possibile il contatto tra gli esseri umani come non si era mai visto prima. Le teorie della cultura che abbiamo discusso danno motivo per essere tanto ottimisti quanto pessimisti. Sul versante ottimista la comunità ed un senso di solidarietà derivano dall'interazione, perchè è attraverso le interazioni con gli altri che costruiamo sistemi condivisi di significato. Cooley scrisse che i gruppi primari, quei gruppi come la famiglia e il vicinato dove abbiamo le nostre prime e più intime interazioni, danno alla gente il senso di chi è e di come viene identificata. Estendendo il ragionamento di Cooley, se le comuniciazioni elettroniche rendono possibili interazioni intime per un numero sempre più grande di individui indipendentemente da dove si trovano fisicamente, tutto questo può portare ad una maggiore unione tra loro, ad una più grande comprensione di cil che hanno in comune in quanto persone. Ma la sociologia contraddice il suo stesso ottimismo con visioni più nere: Durkheim fece notare il paradosso per cui in una società con una divisione del lavoro particolarmente avanzata, l'unica cosa che le persone hanno in comune è il loro individualismo. Oggi, possediamo i mezzi tecnologici per dare una ricca espressione culturale a questo individualismo. Di fatto, gli ultimi anni hanno prodotto un'esplosione di forme culturali utili a gruppi e interessi molto specialistici. Alcuni sociologi hanno suggerito che il bisogno di erigere e accentuare confini culturali è una risposta a pressioni su altri confini. L'idea di fondo è che le pressioni esterne su una società portino ad una maggiore enfasi sulle gerarchie interne, così come alla difesa delle distinzioni che si percepiscono minacciate. Davies ha evidenziato come questo accada per la devianza sessuale (la sua analisi storica mostra che è proprio quando i gruppi subiscono pressioni dall'esterno che diventano ossessionati dalla purezza interna). Una proposizione più generale dell'osservazione di Davies è che quando le istituzioni e i sistemi di significato vengono minacciati o distrutti, sarebbe forse preferibile non ricrearne di completamente nuovi; una reazione possibile può semplicemente essere quella di dare un maggiore rilievo ai tratti culturali e sulle distinzioni preesistenti. Così anche le "rotture dell'ordine morale" di cui parla Wuthnow possono anche non produrre nuove ideologie, ma rinvigorire le vecchie, compresi i vecchi odi che si credeva fossero scomparsi dal mondo moderno. Sappiamo, attraverso esempi vari, che i LINGUAGGI PUBBLICI sono destinati a una comunità relazionale mentre quelli PRIVATI si rivolgono a una comunità spaziale. La prima è specifica, orientata a uno scopo, formale, impersonale; la seconda è diffusa e intima. Al posto della lingua, supponiamo di mettere la cultura. Otteniamo così l'immagine di un individuo postmoderno, elettronicamente integrato, che può condividere oggetti culturali, comunicare segni e forse anche simboli, in una pluralità di comunità relazionali, non vincolato allo spazio e al tempo. Lo stesso individuo condivide oggetti culturali in una o più comunità locali, comunità fatte di contatti faccia a faccia e di una notevole intimità. Non c'è ragione di supporre che quest persona faccia esperienza nel corso della sua vita di una forma di comunità culturale a detrimento di un'altra. Di fatto, potrebbe essere vero il contrario: i media elettronici e le comunità relazionali globali che essi istituiscon possono rafforzare i legami a livello locale. Così, abbiamo sia ampiezza che profondità, una rappresentazione collettiva che attraversa una comunità relazionale e una rappresentazione collettiva di una comunità locale, una comunicazione di massa e una produzione popolare di significato. Significato condiviso (condiviso localmente) organizzato in una forma (trasmessa su scala globale): ecco cos'è un oggetto culturale. All'alba del ventesimo secolo, Yeats fece una doppia predizione in un solo verso poetico: "le cose crollano, il centro non può reggere". Ma adesso sappiamo che aveva ragione solo in parte. I centri culturali non hanno retto. Siamo passati da un mondo bipolare ad uno policentrico, da un mondo di gerarchie culturali ad un ondo di sistemi di significato multipli e paralleli, da un mondo in cui gli specialisti controllavano l'accesso all'informazione ad un mondo in cui "quanto di meglio è stato pensato e conosciuto" e anche quanto di peggio è accessibile a tutti. Allo stesso tempo tuttavia le cose non sono crollate. Gli esseri umani continuano a evitare il caos attraverso oggetti culturali; l'accettazione del caos tende ad essere un atteggiamento temporaneo e fortemente stilizzato proprio dai giovani. In un mondo decentrato, comprendere le connessioni tra culture e società può richiedere non più una manciata di diamenti culturali, ma le domande classiche sono ancora valide.