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SOCIOLOGIA DELLE DISUGUAGLIANZE – TEORIE, METODI, AMBITI (O. GIANCOLA E L. SALMIERI), Sintesi del corso di Sociologia Della Famiglia

Riassunto dei capitoli 2, 3, 5, 7, 8, 9, 10.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica SOCIOLOGIA DELLE DISUGUAGLIANZE – TEORIE, METODI, AMBITI (O. GIANCOLA E L. SALMIERI) e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia Della Famiglia solo su Docsity! SOCIOLOGIA DELLE DISUGUAGLIANZE — TEORIE, METODI, AMBITI (O. GIANCOLA E L. SALMIERI) Capitolo Il: Lo sviluppo delle teorie sulle disuguaglianze Soffermiamoci sugli approcci, le analisi e le ricerche che nel corso della seconda metà del Novecento hanno direttamente affrontato il tema dello studio delle disuguaglianze. La produzione di studi e ricerche sociologiche ha visto prevalere l'interesse per l'analisi delle classi sociali e ha coperto e trattato anche la questione delle disuguaglianze. Tuttavia, l'analisi delle disuguaglianze è stata in un certo senso succube dello smodato interesse dei sociologi nei confronti delle classi. È possibile considerare tre diverse modalità con cui è stato trattato il tema a partire dal secondo dopo-guerra: 1. le classi come base e fondamento delle disuguaglianze strutturate (ovvero le disuguaglianze derivate dal possesso delle risorse economiche e del potere); 2. le classi come gruppi distinti per prestigio, status, reputazione, stile di vita; 3. le classi viste come reali o potenziali attori sociali e politici. Ci occuperemo soprattutto del primo e secondo aspetto Nell'accezione che più ci preme indagare, le classi sono gruppi relativamente omogenei che si differenziano in base alla quota di risorse materiali e simboliche che riescono ad assicurarsi nella competizione che si svolge all'interno delle società capitalistiche. Le classi possono essere definite in termini di reddito. Sebbene le varie classificazioni siano per lo più derivate dalle categorie dei gruppi occupazionali, queste rimandano a redditi e prestigi differenti. 2.1 - Talcott Parsons e la stratificazione sociale nel funzionalismo La sociologia americana del secondo dopoguerra (struttural-funzionalista) si sforzò in tutti i modi di ridurre le disuguaglianze sociali a una mera questione di stratificazione sociale. Ogni caratteristica umana poteva e doveva essere inquadrata nella logica della distinzione gerarchica, secondo scale che potevano riguardare il reddito, il benessere, la salute o l'intelligenza, l'istruzione o la professione, lo status, il prestigio e così via. La posizione individuale secondo ciascuna di queste diverse dimensioni erano concepite come prove dei processi di eguaglianza delle opportunità, secondo una rappresentazione che poneva tutti i soggetti uguali ai blocchi di partenza in termini astratti, ma ciascuno in una differente posizione di classifica una volta che la vita sociale lo avrebbe calato nei regimi di competizione. Tale visione contribuì a strutturare una "scienza del sociale" adatta a dimostrare l'evoluzione delle democrazie capitalistche verso un futuro prossimo a elevata diffusività meritocratica e nel quale i casi palesi di disuguaglianze "illegittime" non erano altro che sopravvivenze del passato, destinate a scomparire. Nella sociologia di Talcott Parsons (1949) la struttura sociale è l'ambiente in cui i soggetti interagiscono, ma è al contempo anche l’ esito delle interazioni funzionali degli attori. L'aggregazione dei diversi status/ruoli degli individui è alla base della formazione delle classi, che producono così specifici strati sociali. Ciascuno di questi strati è connotato da valori, obiettivi “desiderabili", sistemi di mezzi e fini. Parsons distingue tra «status ascritti» e «status acquisiti». Il sociologo americano descrive il modo in cui l'istruzione e i mercati del lavoro forniscono gli elementi di selezione e mobilità sociale sulla scorta delle competenze e degli orientamenti ai vari ruoli di ciascun individuo. Parsons indica che nei processi di selezione l'individuo è chiamato a superare le posizioni ascritte e realizzarsi con riferimento al need for achievement nella sua componente morale oltre che motivazionale. Il need for achievement è l'orientamento all' autorealizzazione, alla pratica acquisitiva e al successo che è tipico delle società moderne, industriali e democratiche. La conversione delle capacità in competenze implica un periodo di addestramento e sacrifici che verranno poi ripagati secondo la logica dell'investimento razionale di energie per Obiettivi posticipati. La stratificazione sociale svolge secondo Parsons una funzione positiva e di equilibrio in quanto «qualifica» e «assegna» meritocraticamente ogni individuo a una specifica posizione nel sistema di differenziazione sociale. Nella visione teorica di Parsons, infatti, non vi è spazio per una dettagliata analisi delle disuguaglianze che, anzi, risultano quasi un semplice effetto collaterale del funzionamento del sistema sociale. 2.1.1 — Sistema sociale, riproduzione e tendenza all' equilibrio | sostenitori del funzionalismo prestavano molta attenzione alla coerenza e all'integrazione normativa dei sistemi sociali. Questa propensione a esagerare la portata della tendenza all'equilibrio della società industriale e capitalista si reggeva anche sull'idea che tutti i paesi avanzati dell'Occidente dovessero convergere verso approdi simili di tipo non conflittuale. La visione di fondo era che nello sviluppo delle società industriali i valori del particolarismo sarebbero stati sostituiti da pratiche e istituzioni di tipo universalistico e meritocratico. Una tale transizione si sarebbe presto completata come risposta «funzionale ai bisogni delle società moderne. La visione parsonsiana del funzionamento sociale contribuì al predominio della prospettiva generale delle disuguaglianze meritocratiche. Parsons previlegiava l'esame della relazione tra gli interi e le loro parti con obiettivo di spiegare le singole parti attraverso la loro collocazione all'interno di un sistema più vasto. La sua sociologia aveva una dimensione generale nel tentativo di collocare le sfere economica, politica, culturale e psicologica all'interno del sistema sociale. La teoria generale dell'azione si fonda sul presupposto dell'esistenza astratta di un sistema basato sulle funzioni fondamentali che si sviluppano in ogni società. Tale schema prevede quattro ambiti analitici, ciascuno con una funzione generale: la funzione di «adattamento» garantisce al sistema sociale il suo mantenimento fisico rispetto all'ambiente materiale; la funzione del «raggiungimento dello scopo» si riferisce al fatto che il sistema sociale tende a perseguire determinati scopi in relazione all'ambiente materiale: la funzione di «integrazione» assolve alla necessità che le varie parti del sistema tendano a una coerenza generale; infine, la funzione che Parsons chiama «conservazione del modello latente» si riferisce alle informazioni di livello simbolico che circolano nel sistema affinché questo resti aderente ai valori condivisi dagli attori sociali (funzione latente poiché essa è materialmente invisibile e si estrinseca negli elementi simbolici dei valori condivisi). La teoria generale dell'azione non deve essere intesa come una legge universale capace di spiegare i vari fenomeni sociali; costituisce piuttosto il quadro generale di ogni società in cui le dimensioni psicologica, sociale e culturale sono intrecciate tra loro. Parsons riprende le argomentazioni della teoria di Durkheim secondo cui la società non potrebbe essere tenuta insieme semplicemente dall'accordo razionale. Ogni relazione presuppone piuttosto una "solidarietà", un sentimento essenziale di fiducia minima tra le persone coinvolte. Le relazioni economiche e politiche sono possibili solo grazie al fondamento di una solidarietà sociale minima che preesiste loro e che si fonda sulla condivisione di valori e simboli, da cui discendono le norme e le istituzioni. | valori basici del sistema sociale sono trasmessi per modellare i «bisogni- disposizioni» degli individui di modo che nel corso della loro socializzazione imparino a canalizzarli nei ruoli e nelle aspettative che la società esige. La concezione di Parsons è quella di un sistema sociale quasi del tutto chiuso e autoriproducentesi, rispetto al quale alcune variabili esterne, provenienti dall' ambiente materiale, intervengono ad alterare i meccanismi altrimenti statici di riproduzione sociale. Parsons ha provato a spiegare in astratto anche le cause del mutamento che hanno una radice interna al sistema, rifacendosi ai fenomeni di devianza e innovazione sociale. La devianza si verifica a seguito di una socializzazione imperfetta: quando i genitori non sono disponibili, o altrimenti quando non riescono a educare adeguatamente il bambino, questi può non riuscire a sviluppare i valori basilari condivisi nella cultura del sistema sociale. Ma la devianza sorge anche ad altri livelli: una persona adulta può svolgere il ruolo di padre in conformità ai valori della cultura dominante, ma sviluppare il ruolo professionale di medico in maniera non conforme a ciò che il sistema sociale si attende. Parsons pertanto ammette la possibilità che il sistema sociale si trasformi in vari suoi punti interni, sebbene la tendenza predominante sia verso l'integrazione, la conformità, l'equilibrio. La questione centrale è che Parsons si aspetta che conformità e controllo alla lunga prevalgano sulla non conformità e sugli squilibri. Tuttavia, non è affatto chiaro da dove provenga e che cosa spieghi questa tendenza intrinseca al sistema verso l'integrazione e la conformità. La questione è per noi importante poiché riguarda la rappresentazione della stratificazione sociale negli Stati Uniti e nei passi capitalisti a partire dal secondo dopoguerra ai giorni nostri. Già nel 1945 si offrì una spiegazione operativa delle caratteristiche universali della stratificazione di chiara marca funzionalista, La tesi di fondo era che «la principale necessità funzionale che spiega la presenza universale della stratificazione è precisamente l'esigenza sentita da ogni società di collocare e motivare gli individui nella struttura sociale. legittimamente come i portatori del benessere e della ricchezza. L'aspetto più interessante del lavoro di Lockwood risale al 1958 quando definì la posizione di classe come combinazione di tre fattori: la situazione di mercato, la situazione di lavoro e la situazione di status. 2.2 — Analisi delle classi e delle occupazioni Stratificazione sociale è un'espressione che descrive le strutture di disuguaglianza aventi caratteristiche sistematico. Buona parte degli studi e delle ricerche sociologiche sulle forme di stratificazione delle società avanzate si è basata sul ricorso agli schemi di classe. Nelle analisi delle disuguaglianze sociali, il termine classe è Stato usato in senso descrittivo: le classi sono distinte come gruppi di occupazioni che condividono caratteristiche simili. Se di solito il termine occupazioni indica insieme più o meno omogenei di figure professionali ovvero specifiche posizioni all'interno della divisione tecnico organizzativa del lavoro, il concetto di classe ha una tradizione più antica in cui l'oggetto è dato dalle relazioni tra gruppi nella società in generale. La classe si riferisce alle posizioni all'interno della divisione sociale dei sistemi di produzione di un'intera società. Ci sono schemi di classe teoricamente fondati e schemi di classe convenzionali. Tra gli approcci teoricamente fondati troviamo le teorie del mutamento sociale e in particolare le analisi di impronta marxista. Gli schemi di classe teoricamente fondati hanno un valore soprattutto in termini di teoria che interpreta le disuguaglianze come esito della struttura dei rapporti economici all'interno di una società. Tali schemi considerano la classe come un insieme di attori potenzialmente in conflitto con attori di altre classi. Viceversa, gli schemi di classe di tipo convenzionale partono dallo studio delle variabili occupazionali e ruotano attorno alla misura dei vantaggi e degli svantaggi dei rapporti di lavoro. Sono utilizzati soprattutto negli studi sugli effetti della mobilità, delle politiche sociali, dei fenomeni di impoverimento o di arricchimento. Gli schemi di classe convenzionali forniscono un contributo utile allo studio delle disuguaglianze specialmente in termini di divari socio economici tra i gruppi di occupazioni. Nel corso del 900 la crescente disponibilità di statistiche raccolte su scala nazionale ha permesso l'adozione di metodi e strumenti che classificano in maniera sistematica i vari gruppi sociali sulla base delle occupazioni. Con la crescita del lavoro dipendente e censito le fonti statistiche sono divenute sempre più attendibili e a esse si sono affiancate informazioni sui redditi e sui salari che hanno consentito di suddividere la popolazione in classi occupazionali ed economiche. L'analisi delle disuguaglianze sociali ha proceduto seguendo le strade tracciate da Marx, Durkheim Weber, qui si è aggiunta quella inaugurata da Bourdieu. Se negli studi americani sulla stratificazione è prevalsa la tendenza a identificare le classi come aggregati di individui, con pochi riferimenti alle proprietà causali della formazione delle classi, al contrario in quelli di marca europea si è a lungo prestata attenzione anche a una qualche fondazione teorica che spiegasse le cause delle disuguaglianze attraverso lo studio dei rapporti esistenti tra le classi. 2.2.1 - Approccio neomarxista Qualunque sia l'analisi di classe cui si giunge adottando le prospettive marxiste, gli schemi di classe che ne risultano sono del tipo teoricamente fondato. Ciò che distingue tale analisi dagli altri approcci è la teoria alla base delle differenze di potere tra i gruppi sociali qui il concetto chiave lo sfruttamento, che fissa il concetto marxista di classe nell'agenda dell'analisi delle disuguaglianze. Il benessere materiale degli sfruttatori dipende in modo causale e diretto dalle privazioni materiali degli sfruttati. Gli interessi nelle relazioni di classe non sono soltanto differenti, ma sono anche e soprattutto antagonisti. L'interdipendenza inversa del benessere tra le classi dipende dall'esclusione dei proletari dall'accesso alle risorse produttive fondamentali dell'assetto economico. Tale esclusione genera a sua volta vantaggi materiali per i capitalisti, poiché offre loro i mezzi e il potere per appropriarsi dell'efficienza del lavoro dei proletari. Lo sfruttamento è una diagnosi del processo attraverso cui la disparità di diritti e di poteri nella gestione delle risorse produttive genera disuguaglianze nei redditi e nelle altre forme di risorse materiali: le disparità si verificano attraverso i modi in cui i capitalisti sono in grado di appropriarsi del surplus generato dal lavoro delle classi subordinate. Le disuguaglianze sono l'esito dell'ingiustizia sociale. I contributi di Erik Olin Wright Trattano le disuguaglianze in una prospettiva soprattutto neomarxista: il controllo delle risorse economiche è la base della stratificazione sociale. Nei primi lavori di Wright emerge l'influenza di Braverman, che aveva previsto lo sviluppo della produzione di massa come causa della dequalificazione professionale delle mansioni dei lavoratori e quindi della continua proletarizzazione della forza lavoro. Il progetto di Wright è poi proseguito mediante un dialogo costante con altri teorici marxisti e grazie alle ricerche empiriche effettuate nell'ambito del Comparative Project On Class Structure And Class Consciousness. secondo Wright, le classi superiori controllano gli investimenti, il capitale finanziario, i mezzi fisici di produzione e la forza lavoro. La classe minoritaria dei capitalisti controlla tutte le risorse economiche principali. | membri della classe lavoratrice sono privi del controllo di tutti e tre gli ambiti dell'economia: il capitale finanziario, i mezzi materiali di produzione e il mercato del lavoro. La distinzione tra classi non può però limitarsi a capitalisti e salariati. Wright rileva mutamente la presenza di gruppi con una posizione meno definita che denomina collocazione di classe contraddittoria: sono classi che riescono a influire sull'organizzazione di risorse appartenenti a uno o più dimensioni. Wright definisce tali posizioni contraddittorie non perché siano in errate o fallaci, ma perché coloro che ne fanno parte mostrano caratteristiche simili tanto alle classi superiori dei capitalisti quanto alle classi inferiori dei lavoratori salariati. Con il passare degli anni Wright ha evidenziato che l'internazionalizzazione delle filiere produttive, i processi di esternalizzazione le dinamiche di globalizzazione dell'economia espandono le occupazioni dirigenziali, intellettuali e impiegatizie nelle aree urbane del capitalismo avanzato, mentre le posizioni proletarie crescono nelle zone marginali, nelle città dei paesi economicamente emergenti, nelle megalopoli e nelle aree semi urbane del terzo mondo. Wright continua a sostenere che la variabile indipendente classe occupazionale possa essere studiata in relazione a numerosi altri fenomeni sociali quale la mobilità, i redditi, il prestigio, lo status, il potere, in una parola le disuguaglianze. La sociologa delle classi Rosemary Crompton ha distinto due Wright: il primo marxista, propone un'analisi teoricamente fondata delle disuguaglianze; Il secondo propugnò un approccio più centrato sulle differenze occupazionali e dunque più vicino allo sguardo neo weberiano di Goldthorpe. Wright sviluppò un’ importante osservazione relativamente al duplice obiettivo dell'analisi del le differenze di classe: il dibattito sociologico sulle classi si è spostato nel tempo sulle questioni pratiche relative all’ inventario ottimale per definire le classi. Questo spostamento è avvenuto poiché una parte crescente della ricerca empirica ha ruotato sempre più intorno ai dati codificati sui singoli individui in modo da collocare ogni soggetto in una precisa posizione della stratificazione sociale nel caso dell'analisi di classe, ciò implica l'assegnazione specifica e univoca all'interno delle relazioni di classe. Qualsiasi esercizio di questo tipo presuppone che vengano stabiliti a priori i criteri da applicare per distinguere le posizioni di classe e quante e quali categorie di classe devono essere generate utilizzando tali criteri. 2.2.2 - Approccio neoweberiano Le impostazioni di weberiano o neo weberiano dell'analisi di classe partono dal presupposto simili a quelle dei filoni di origine marxista punto sia nell'analisi weberiana sia in quella marziana, i diritti i poteri che gli individui esercitano sulle risorse produttive definiscono la base materiale delle relazioni di classe virgola in quella weberiana tali dirittie poteri precedono tutto il resto, dando vita a differenti chance sociali e a differenti possibilità e opportunità all'interno degli scambi di mercato. Gli approcci neoweberiani fanno leva su schemi di classe relativi alle collocazioni interne alle organizzazioni del lavoro, al potere di scambio nel mercato del lavoro e alle dimensioni culturali nella sfera dei consumi da parte dei vari ceti professionali. Weber sostiene che una situazione di classe è quella in cui vi è una condivisione della probabilità di procurarsi beni ottenere una posizione nella vita e trovare soddisfazione interiore: i membri di una classe sono coloro che condividono analoghe opportunità. Le disuguaglianze nelle opportunità di vita non strutturano automaticamente schemi di sfruttamento e dominio. Se il modello marxista vede due nessi causali generati sempre dalle relazioni di classe il modello weberiano si basa su un unico nesso causale calato nella sfera degli scambi. Weber estende le relazioni di scambio ben oltre la produzione in senso stretto, includendo gli ambiti del consumo, del credito e del potere politico; tuttavia, la logica sociale del capitalismo riguarda sempre e comunque lo scambio economico. Sebbene i fattori causali della collocazione di classe assumano una cifra multidimensionali quindi corrispondente a quella caratteristica sociologica per la quale un fenomeno ha sempre più di una causa alle sue spalle, l'approccio weberiano resta centrato su di un'unica dimensione di disuguaglianza, quella dello scambio economico. Nell'impostazione marxista lo scambio assume un carattere sempre asimmetrico in termini di differenziazione di potere tra le parti. Nelle prospettive neoweberiane e dell'analisi delle classi, le relazioni sociali mediate dal mercato distribuiscono opportunità e vincoli a seconda delle risorse che ciascun individuo è capace di portare nel mercato. Tali risorse variano in base alla distinzione tra coloro che detengono i mezzi di produzione e coloro che non detengono nulla, se non la capacità di lavorare. Le risorse variano anche in base alla qualità e alla quantità di competenze, abilità e attitudini di ciascuno. Nel capitalismo tutte le attività hanno valore in un contesto di scambio economico e pertanto la posizione di classe viene identificata in termini di forza sul mercato punto le quattro classi risultanti sono i gruppi imprenditoriali e i proprietari, la piccola borghesia, i lavoratori con credenziali formali e coloro che non ne hanno e la cui unica risorse la forza lavoro. Gli approcci alla stratificazione ispirate a Weber tendono a raggruppare gli individui che possiedono le medesime risorse e che svolgono simili attività nei mercati del lavoro e del consumo. L'attenzione degli approcci neoweberiani e per le situazioni di mercato e per le posizioni socio culturali che possono essere raggruppate come classi. Seguendo questa prospettiva, Goldthorpe ha criticato sia le teorie funzionaliste della stratificazione della disuguaglianza, sia la logica dell’ industrialismo, a essi associata. A suo avviso è del tutto improbabile che le società occidentali convergano verso un unico modello di stratificazione sociale. Il suo metodo pone l'accento sulle disuguaglianze in quanto tali. Su questa scia ha elaborato uno schema di classe in seguito ampiamente utilizzato nell'analisi empirica per tutto l'ultimo ventennio del 900. Lo schema è stato ideato aggregando le categorie occupazionali della scala di desiderabilità generale ideata dallo stesso Goldthorpe insieme a Hope per assegnare i vari tipi di occupazione alle varie classi, Goldthorpe ha fatto riferimento alla situazione di mercato e alla situazione di lavoro. Lo schema combina le categorie occupazionali tra loro equiparabili sia in termini di fonte e il livello di reddito, livello di sicurezza economica e opportunità di carriera, sia in termini di collocazione all'interno del sistema di autorità e controllo che governa il processo di produzione in cui sono coinvolti lavoratori. Goldthorpe ha più volte rivendicato che il suo approccio non è marxista neanche weberiano. Nonostante il distinguo, sono diversi gli autori che hanno rinvenuto le radici dello schema di Goldthorpe nell’ impostazione nelle opere di Weber. In effetti è indubbio che il rapporto degli individui con il mercato del lavoro e con i compiti delle organizzazioni produttive indichi una chiara intenzione di evincere le classi a partire dalle opportunità e dai vincoli di miglioramento delle classi di benessere. L'approccio di Goldthorpe è stato criticato per il fatto di considerare esclusivamente le posizioni occupazionali maschili, dando per scontato che tutti gli impieghi siano a tempo pieno e che il lavoro di cura non retribuito delle donne non sia classificabile come attività a cui fa corrispondere una data posizione di classe dentro e fuori la famiglia. Le studiose femministe hanno disapprovato questa scelta. Goldthorpe ha allungo giustificato la sua posizione convenzionale: a suo avviso, il lavoro femminile retribuito era relativamente poco rilevante rispetto a quello maschile, e dunque le donne potevano essere considerate della stessa classe dei loro mariti. Ha inoltre sostenuto che il suo approccio non sposerebbe affatto un'ideologia sessista della divisione del lavoro, ma attesterebbe un'ingiustizia sociale, denunciando il fatto che la maggior parte delle donne si ritrova in una posizione subordinata, tanto nel mercato del lavoro che all'interno del nucleo familiare conto in seguito, Goldthorpe ha attenuato la sua ritrosia a includere l'occupazione femminile, riconoscendo che il capofamiglia può essere anche una donna, nel caso in cui svolga un lavoro dominante rispetto a quello del marito e all'interno della famiglia. Ma al contempo ha lasciato inalterato il suo modello per quanto riguarda la scelta di far dipendere la classe di un'intera famiglia dalla posizione occupazionale più rilevante al suo interno. 2.2.3 - Approccio neodurkheimiano Per lungo tempo i cosiddetti approcci neo durkheimiani allo studio della stratificazione sociale non hanno goduto di molta visibilità all'interno della sociologia. Gli studiosi di stratificazione hanno preferito considerare l° occupazione in termini di gradiente socioeconomico e il lavoro di Durkheim non forniva alcuna ovvia giustificazione per tale tipo di metodologia. Durkheim aveva preconizzato che il conflitto di classe del primo anticipo rispetto alla ricerca si corra il rischio di trattare le classi come entità autonome, calate dall'alto all'interno delle relazioni dinamiche della realtà. Il sociologo francese sceglie di non porsi affatto il problema che aveva afflitto la sociologia di stampo marxista: come spiegare tutte quelle posizioni di classe che non possono essere ricondotte alla canonica distinzione tra capitalisti e proletari? Il suo mix di ricerca e teoria, anzi, non solo rileva una serie di posizioni eterogenee della classe media, ma tratteggia con dovizia di dettagli anche quelle posizioni altrimenti marginali negli schemi analitici di classe. L'ambito dal quale Bourdieu deriva le classi non si limita al mondo della produzione, ma abbraccia l'intera gamma delle relazioni sociali. Le classi emergono non dai disuguali rapporti dei gruppi rispetto ai mezzi di produzione, bensi dalle differenti condizioni di esistenza, dai differenti sistemi di disposizioni sociali, dai vari condizionamenti e dalle disuguali dotazioni di potere e capitale. 2.3.2 — Capitale La vera rottura teorica di Bourdieu risiede tuttavia nel ruolo di primo piano che egli assegna ai sistemi simbolici, un elemento, questo, che aveva ricevuto scarsa attenzione nei modelli della teoria dell'azione razionale e in quelli di ispirazione neomarxiana. il capitale è concepito non soltanto in termini economici. Prendendo a prestito il concetto marxista, Bourdieu lo estende per inglobare anche altri fattori di posizionamento e traiettoria sociale: l'istruzione e i saperi non ufficiali sono anch'essi un capitale - il «capitale culturale» -; le reti di relazione sociale e l'uso strumentale che se ne può fare sono anch'esse un capitale - il «capitale sociale» -: le capacità di usare a proprio vantaggio le forme codificate, ufficiali e istituzionalizzate di gusti, preferenze e stili nei campi dei consumi e della cultura sono anch'esse un capitale - il «capitale simbolico». È il capitale culturale a costituire la novità principale attraverso cui la tradizionale visione delle strutture di classe viene completamente rivisitata. Bourdieu si riferisce a Weber quando considera lo status «una collettività definita da una certa uniformità di stili di vita», ma sottolinea che l'analisi delle classi non può ridursi alla “misurazione” delle relazioni economiche, né tantomeno al solo discorso simbolico. La separazione tra la stratificazione economica e materialistica delle occupazioni e quella simbolica e culturale dello status e degli stili di vita ha una validità a stento analitica. La distinzione è il titolo che Bourdieu (1979) sceglie per la monografia che più di qualsiasi altra sua pubblicazione ricostruisce le dinamiche delle disuguaglianze sociali con dovizia di particolari, ricchezza di metodi, fonti e combinazioni di strumenti quantitativi e qualitativi. Sulla base dei dati raccolti nella Francia degli anni Sessanta e Settanta, lo studioso traccia il quadro complessivo da cui i diversi gruppi sociali emergono secondo una combinazione dei vari tipi di capitale e status. Sebbene riconosca alle categorie occupazionali una funzione «efficace ed economica» come indicatori di posizione nello spazio sociale, Bourdieu (1978a) non ritiene che siano le occupazioni a determinare la vera posizione sociale delle persone. 2.3.3 — Habitus Il nesso tra le strutture sociali e l'agire e il pensare dei singoli in termini di posizionamento sociale è dato dall habitus, un sistema di orientamenti condivisi da tutti gli individui che hanno vissuto il medesimo tipo di condizionamenti. L'habitus dunque è «un'insieme di schemi inconsci di percezione e di pensiero», una costellazione mentale di agire pratico che è al contempo «strutturata e strutturante». «Strutturata» poiché è gradualmente trasferita dalla famiglia e dall'ambiente sociale ai figli come un insieme di schemi culturali tra loro correlati al punto da porsi come struttura. «Strutturante» poiché tali schemi strutturano il pensiero e l'agire che l'individuo affronta nel corso delle esperienze di vita. L'habitus spiega anche perché il capitale culturale non sia costituito semplicemente dai titoli di studio e dai contenuti appresi nel sistema della cultura ufficiale, ma includa anche l'insieme dei beni simbolici e dei valori trasmessi dalle varie agenzie educative e dalle esperienze di contesto che lo stesso habitus ha favorito. Strettamente collegato alla struttura di un determinato gruppo sociale, l’ habitus genera comportamenti e rappresentazioni regolari per il singolo individuo e per il gruppo sociale da cui questi è stato influenza. È il principio generatore e unificatore che ritraduce le caratteristiche intrinseche e relazionali di una posizione sociale in uno stile di vita abbastanza coerente e unitario, ossia un insieme strutturato di pratiche, rappresentazioni e classificazioni. L' habitus è anche il principale generatore di distinzione. Esso incorpora il principio di «rappresentazione e divisione», una tendenza generale a classificare le cose e le persone in una determinata maniera. Le diverse disposizioni a classificare variano appunto secondo il tipo di habitus e vengono assorbite dal singolo in reazione all'ambiente sociale che lo circonda, durante la socializzazione. Ciò conferisce all'habitus una certa tendenza all'inerzia, cioè alla riproduzione continua: ciascuno di noi tende a riprodurre, nelle proprie pratiche quotidiane, quelle strutture classificatorie sviluppatesi dalle prime esperienze. AI contempo, è improbabile che le strutture classificatorie siano perpetuate all'infinito come schemi sempre identici a sé stessi, senza modifiche o alterazioni. il fatto che lo spazio sociale sia così fortemente differenziato garantisce l'esistenza di sistemi multipli di classificazione, uno in competizione con gli altri, in un moto perpetuo; ed è proprio tale competizione che può generare un'invenzione simbolica. In questo modo, l'habitus è compatibile con la bidirezionalità del rapporto tra struttura e azione. Si tratta ovviamente di una bidirezionalità asimmetrica: la struttura influenza l'agire più di quanto avvenga al contrario: eppure, l'azione, che Bourdieu preferisce chiamare «pratica», ha una dinamica anche trasformativa. L'habitus, inteso come un sistema di disposizioni oggettive, ha soprattutto un’ origine di classe: è posto in relazione non con il singolo individuo o con la classe intesa come aggregato di individui, ma con la classe vista come spazio sociale pratico-simbolico. In altre parole, l'habitus di classe implica pratiche e rappresentazioni che non sono generate né da una esplicita considerazione delle norme né dal calcolo razionale. Dunque, l'agire può procedere su una base preriflessiva di routine, ovvero senza ricorrere a un ragionamento cosciente che rifletta sulle norme o sulla stima dei risultati; l’ habitus non è l'abitudine" del senso comune; al contrario, le diposizioni possono generare pratiche altamente spontanee e inventive. Il processo attraverso cui si costituisce l'habitus è situato solo marginalmente «nell'ambito dei sistemi produzione»: sebbene il sistema occupazionale comprenda il nucleo istituzionale della struttura di classe, per Bourdieu non è né il mercato del lavoro, né la fabbrica o le stanze degli uffici a fungere da fucina dei processi che danno origine a uno specifico habitus di classe. ogni posizione nello spazio sociale corrisponde a un particolare insieme di condizioni di vita, che Bourdieu definisce «condizioni di classe». 2.3.4 — Assi | risultati della vasta ricerca sulle condizioni di classe in Francia sono riportati in uno spazio fattoriale costituito da tre assi ortogonali relativi al «volume», alla «composizione» e alle «traiettorie» del capitale. Il primo asse differenzia le posizioni nel sistema professionale in base al volume totale di capitale posseduto dai singoli individui. Per Bourdieu, la posizione della classe è una funzione della posizione su tale asse. AI vertice dell'asse del volume di capitale economico e culturale troviamo gli industriali, i dirigenti del settore privato e i professori universitari. Bourdieu si riferisce collettivamente a queste posizioni apicali includendole nella categoria generale della «classe dominante». All'opposto, i lavoratori manuali e quelli agricoli occupano posizioni nell'estremità inferiore dell'asse, poiché nel loro caso si verifica una combinazione di capitale economico e culturale diametralmente opposta alla classe dominante; queste categorie rientrano nella «classe operaia». Nel mezzo, troviamo i proprietari di piccole imprese, i tecnici, gli impiegati e gli insegnanti, in un insieme che occupa lo spazio sociale della «piccola borghesia». Il secondo asse nello spazio fattoriale differenzia le posizioni all'interno di ciascuna classe. La relativa preponderanza del capitale economico o culturale all'interno dell'insieme di «risorse e poteri effettivamente utilizzabili» determina l'appartenenza a una specifica sottoclasse. Le categorie professionali all'interno della classe dominante sono differenziate tra loro in modo tale che i professori e i «produttori nei campi artistici e culturali» si oppongono a industriali, imprenditori, datori di lavoro, commercianti, i quali detengono una capitale economico molto elevato. Tra questi due poli estremi si trovano i soggetti le cui professioni presentano un insieme di risorse più o meno simmetricamente suddivise tra l'economico e il culturale: la piccola borghesia. AI suo interno una frazione di classe, i proprietari di piccole imprese, dotati di capitale economico medio-alto, si distingue da un'altra frazione, quella degli insegnanti, dotati soprattutto di capitale culturale. Anche nelle posizioni intermedie si disegnano diverse collocazioni frazionarie. La divisione tra le varie condizioni di classe è rappresentata anche su un terzo asse, che traduce un trattamento quasi strutturale del tempo. Bourdieu, infatti, analizza anche la dinamica del mutamento e le traiettorie, ascendenti o discendenti, dei vari gruppi sociali. L'asse delle traiettorie differenzia le posizioni in base alla mobilità dei soggetti. In altre parole, i soggetti si posizionano in differenti condizioni di classe o di frazione di classe in base al cambiamento o alla stabilità che hanno sperimentato nel tempo nei volumi e nelle composizioni dei loro capitali di partenza. | dati raccolti da Bourdieu rivelano che gli appartenenti alle professioni di prestigio hanno molte più probabilità di essere nati in famiglie di professionisti rispetto a quante ne hanno coloro che provengono da qualsiasi altra frazione di classe della borghesia. Bourdieu cattura nel movimento temporale le capacità di chiusura all'esterno da parte delle professioni liberali. Il suo approccio apre così una nuova modalità di studio della mobilità e della stabilità dei gruppi sociali, offrendo una rappresentazione molto realistica della riproduzione sociale delle disuguaglianze nel corso del tempo. Oltre ai movimenti verticali, lungo il primo asse la mobilità può comportare anche movimenti lungo il secondo asse che possono essere orizzontali o trasversali. Nel primo caso la posizione della classe e la posizione della frazione di classe di un individuo variano simultaneamente nel tempo; nel secondo caso, la preponderanza di un tipo di capitale lascia il posto alla preponderanza dell'altro tipo di capitale, ovvero si verifica quella che Bourdieu chiama «conversione di capitale». Dunque, i tre assi che costituiscono lo spazio sociale sono dimensioni continue, dal punto di vista sia metodologico sia teorico. Ciò implica che il modello non postula alcuna linea di confine netta e definitiva che stabilisca dove finisce una classe e dove ne comincia un'altra. Il modello descrive un «universo di continuità» identificando posizioni discrete di classe che hanno una valenza meramente euristica. Bourdieu segue gli attori all'interno di uno spazio sociale fatto di posizioni relative, a partire da un'analisi statistica multidimensionale in cui si rapportano tra loro: |. la gerarchia dei differenti volumi di capitale culturale ed economico; 2. la gerarchia delle differenti composizioni di tale capitale; 3. le tendenze nelle dinamiche di mobilità dei gruppi sociali. Si tratta di un intero campo di forza in cui le proprietà che lo definiscono sono delle "agenti", capaci di trasformare anche le sottili differenze di status in gerarchie radicali di disuguaglianze. 2.3.5 — Stili Nella Distinzione è dedicato molto spazio allo studio qualitativo delle varie preferenze e pratiche che si raggruppano in ciascun settore dello spazio sociale allo scopo di identificare il particolare «schema o principio» che orienta gli utilizzi del capitale economico e culturale in modo che diano origine a una coerenza semantica, per ogni specifico stile di vita. Bourdieu (1879) è in grado di dimostrare che i vari indicatori dello stile di vita mostrano una struttura a quella dello spazio sociale. Dimostra che diverse preferenze e pratiche delle persone si raggruppano in diversi settori dello spazio sociale. Questo tipo di habitus si manifesta soprattutto sotto forma di sensibilità all'estetica dominante, o meglio, genera e al tempo stesso aderisce all'estetica dominante. Bourdieu identifica 'habitus delle classi inferiori come in antitesi rispetto a quello della classe dominante e lo definisce il «gusto per la necessità». Ciò che caratterizza lo stile di vita di questa classe è una preferenza estetica per la funzionalità piuttosto che per la forma. I componenti della piccola borghesia esibiscono invece uno stile di vita che nasce dalla combinazione di aspirazioni allo stile di vita borghese e da un capitale economico e soprattutto culturale insufficienti per raggiungere quello stile. La piccola borghesia è quindi incline a mostrare uno sforzo di «buona volontà culturale» ma tende ad abbracciare anche le forme estetiche «popolari». Sull' asse delle traiettorie, Bourdieu traccia la dinamica evolutiva dei posizionamenti nel tempo: le differenze negli stili di vita sono trascinate dalle lotte per la posizione che gli individui intendono raggiungere nello spazio sociale e nei conflitti sulla strutturazione di questo stesso spazio. Ciò comporta che le lotte per la mobilità hanno una componente ineluttabilmente dinamica e simbolica. La dinamica del cambiamento è inscritta nelle caratteristiche dell'habitus che nel suo strutturare l'agire e il rappresentare, produce anche cambiamenti. Quando l'azione si discosta dalle condizioni in cui è stato costituito formazione e/o di azione delle classi, allo scopo di cogliere la mobilità, le divisioni e i conflitti sociali, compararli nel tempo e tra contesti nazionali o regionali differenti. Possiamo individuare sei tipi generali e astratti di schema di classe, ciascuno con uno specifico modello di misurazione e ciascuno con una propria unità di analisi privilegiata in termini di livello di aggregazione (TAB. 3.1). Tra le proposte di “aggregazione occupazionale di tipo categoriale" troviamo i classici schemi di classe basati su macro-raggruppamenti di occupazioni, con un approccio che tende prima a definire le categorie di classe e poi empiricamente a misurare la loro composizione in termini di singoli individui o di aggregati domestici associati a un capofamiglia. Nel campo delle misurazioni con una base categoriale, una prospettiva scientificamente rilevante è certamente quella di Wright che propone una rilettura delle classi sociali contemporanee basata sulle disuguaglianze derivanti dai differenti livelli di controllo dei mezzi di produzione. Wright ha tracciato una netta distinzione tra occupazioni e classificazioni: le prime sono posizioni definite dalle «relazioni tecniche di produzione», le seconde sono posizioni definite dalle «relazioni sociali di produzione». Wright elabora il suo schema delle classi a partire da una teoria sociologica del capitalismo moderno. Controllo e sfruttamento all'interno delle relazioni sociali di produzione occupano un posto di rilievo nella sua analisi, che scompone tali relazioni in tre dimensioni tra loro interdipendenti, poiché legate alla proprietà e allo sfruttamento: 1. il controllo degli investimenti ovvero le relazioni sociali di controllo sul capitale finanziario; 2. il controllo dei mezzi fisici di produzione, ovvero le relazioni sociali di controllo sul capitale fisico; 3. il controllo della forza lavoro ovvero le relazioni sociali di autorità e disciplina nell'ambito dei processi lavorativi. A partire da tali fattori, Wright definisce le classi che sostanziano la stratificazione nelle società industriali avanzate: la «classe capitalistica», che detiene una posizione dominante in tutte e tre le dimensioni di controllo; la «classe operaia», che invece non controlla né le risorse economiche, né quelle materiali, né tantomeno l'uso della forza lavoro; le «classi contraddittorie», che controllano alcuni fattori, ma non altri. Wright applica anche altri due criteri importanti di stratificazione: il rapporto con l'autorità e il possesso di specializzazioni-tecniche che consente un rapporto più stretto con determinate tecnologie di produzione. Ne deriva così uno schema di classi a sei categorie: 1. una borghesia caratterizzata dalla proprietà economica e dal controllo dei mezzi di produzione e della forza lavoro fornita da altri individui; 2. un proletariato che non possiede proprietà e che controlla solo in minima parte la propria forza lavoro; 3. una piccola borghesia proprietaria che controlla alcuni mezzi di produzione materiale senza tuttavia controllare del tutto la forza lavoro degli altri. A queste tre classi fondamentali si aggiungono le «collocazioni di classe contraddittorie»: 4. i dirigenti e supervisori che controllano de facto tanto i mezzi materiali di produzione, quanto la forza lavoro; 5. i lavoratori dipendenti semiautonomi che controllano almeno la propria forza lavoro; 6. infine, i piccoli imprenditori. Nel corso degli anni Wright si è reso conto che il suo schema a sei classi non coglieva in modo preciso le dinamiche dello sfruttamento all'interno dei rapporti di produzione del capitalismo maturo, bensì solo i rapporti distintivi rispetto alle dinamiche di potere e dominio. C'era bisogno di una mappa delle classi occupazionali che considerasse in maniera più precisa l'organizzazione dei sistemi di produzione. Rispetto all'analisi marxista, Wright allarga lo spettro delle risorse sociali, considerando ad esempio il «controllo organizzativo» in grado di sostanziare specifiche forme di disuguaglianze relazionali. Questa versione si avvicina ai principi della stratificazione di tipo neoweberiano. L'impostazione di Wright continua a enfatizzare gli aspetti relativi alla collocazione occupazionale dei soggetti in relazione alle dinamiche di sfruttamento insite nel sistema capitalistico. Anche l'approccio di Goldthorpe si concentra sulle conseguenze delle disuguaglianze sociali che persistono nella sfera lavorativa. Tuttavia, nel suo caso la dimensione relativa alle caratteristiche e alle capacità spendibili sul mercato del lavoro da parte degli individui assume un peso rilevante. Le occupazioni vengono incluse in determinate categorie di classe non solo per la loro posizione rispetto ai mezzi di produzione, all'autonomia e al controllo, ma anche e soprattutto per la loro collocazione nel mercato del lavoro. Diversi anni prima che Goldthorpe elaborasse il suo schema di classe, Blau e Duncan avevano inaugurato il filone degli studi neoweberiani sulle disuguaglianze sociali con l'obiettivo di misurare il cosiddetto status attaimment, ciò che gli individui raggiungono in termini di risorse materiali e simboliche. generation, i primi modelli di ricerca sullo status attainment concepivano le posizioni raggiunte dagli individui come conseguenza di precedenti posizioni e risorse. L'idea era che le esperienze fondamentali nel corso della vita dei soggetti, determinassero le probabilità di raggiungere uno specifico status di arrivo. Il modello di Blau e Duncan del 1967 dette vita alla scala dell'American Occupational Structure, in seguito sviluppata in maniera incrementale. Nel 1972, Duncan e Featherman introdussero in questa scala una serie di variabili cognitive e motivazionali che intervengono nella relazione tra background sociale e risultati scolastici; esaminarono la capacità dell'istruzione di incidere sulla distribuzione dei traguardi accademici, al netto del talento personale; analizzarono il peso degli eventi principali nel corso di vita sulle opportunità di mobilità sociale e sui modelli di classe. vita. La connessione tra l'approccio demografico di Blau e Duncan e gli sforzi tesi a verificare su larga scala il consenso per la meritocrazia produsse una saldatura tra l'interesse sociologico per le disuguaglianze socioeconomiche e il finanziamento di grandi survey. Nel 1979 Goldthorpe, propose un nuovo schema di classe poi divenuto uno dei più utilizzati al mondo con la sigla EGP. Sviluppato in una forma più aggiornata nel corso di uno studio realizzato sotto gli auspici del progetto CASMIN (Comparative Analysis of Social Mobility in Industrial Nations) diret to da Walter Miiller e dallo stesso Goldthorpe, lo schema in questione sfrutta una categorizzazione di classi sociali derivata dalle precedenti ricerche empiriche. Il modello è categoriale ovvero predefinisce lo schema di stratificazione per poi lasciare alla ricerca empirica la funzione di "riempire" ciascuna categoria. Goldthorpe integra due criteri: da un lato la posizione occupazionale nelle gerarchie organizzative e dall’ altro la posizione nel mercato, cogliendo il complesso di vantaggi e svantaggi simbolici e materiali connessi ai vari ruoli professionali. Si tratta di uno schema costituito da tre classi per quanto riguarda il controllo del capitale: 1. gli imprenditori; 2.i lavoratori autonomi; 3. i lavoratori dipendenti (salariati). Ma passa a sette classi se si considera anche la situazione di mercato: 1. grandi imprenditori e professionisti; . professionisti e dirigenti di livello inferiore; . impiegati di livello superiore e inferiore; . piccola borghesia urbana e agricola; . tecnici di livello basso e supervisori; . Operai specializzati; . operai non qualificati. Nel corso degli anni sono state prodotte ulteriori versioni dello schema EGP. Più aumentano le categorie occupazionali prese in considerazione, più la stratificazione che ne risulta include aspetti di carattere extraeconomico, come la collocazione sociale in termini di opposizione tra aree urbane e aree rurali o tra livelli di istruzione e qualificazione della popolazione. Ne deriva un quadro in cui non tutti i componenti posti in una classe più elevata possiedono mezzi e disponibilità economiche superiori a tutti quelli posizionati nella classe immediatamente inferiore. Queste incongruenze secondo Goldthorpe sono soltanto apparenti, poiché lo scopo principale è considerare la multidimensionalità delle classi sociali. Lo schema di Goldthorpe può contenere ancora più classi, fino a undici categorie, raggruppate in quattro insiemi maggiori. Nella versione con undici aggregazioni, ad eccezione della classe della piccola borghesia (iva, Ivb e Ivc), le altre classi si riferiscono alla presenza di uno, entrambi o nessuno degli asset relativi a "proprieta" "controllo": le classi di servizio (I e II) detengono i mezzi di produzione e/o un elevato livello di controllo di tali mezzi. All'estremo opposto, le classi dei dipendenti (VI, Vila e VIIb), per lo più operai, non detengono i mezzi di produzione, né esercitano il controllo sui processi produttivi, se non in forma minima. Le altre classi (Illa, Illb e V) ovvero gli impiegati esecutivi e i tecnici «comprendono quelle posizioni con rapporti di dipendenza che sembrano avere una forma mista di autonomia e subordinazione» Le occupazioni della classe Ill non presuppongono alcuna proprietà di asset, ma presentano aspettative in termini di supervisione e controllo su alcuni aspetti produttivi, mentre quelle nella classe v godono di evidenti prospettive di carriera, ma riguardano lavori che vengono supervisionati da altre figure professionali e ricevono ricompense sotto forma di salario. - NDOUASWN Lo schema di Goldthorpe è stato oggetto di intense critiche e svariate polemiche. Una critica riguarda la posizione della «borghesia capitalistica»», perché nelle prime versioni dello schema tale classe non c'era e perché, anche quando appare in seguito come classe di large proprietors, viene nominata «classe di servizio» e vi rientrano professionisti, dirigenti e manager, identificati per la capacità di offrire prestazioni fiduciarie particolarmente qualificate. Goldthorpe giustifica questa apparente stranezza con la scomparsa della figura dell'imprenditore. A seconda dell'obiettivo e del tipo di analisi che si intende condurre lo schema può includere o non includere la borghesia dei capitalisti. Nonostante le critiche sensate che lo schema di Goldthorpe ha sollevato, esso resta un contributo fondamentale per lo studio comparativo della stratificazione sociale. Tra i numerosi progetti di ricerca di questo tipo va segnalato quello che Goldthorpe condusse assieme a Erikson e i cui risultati furono pubblicati nella famosa opera The Constant Flux. | due sociologici riuscirono a dimostrare che in tutti i sistemi di stratificazione considerati si riscontrava un nucleo costante, ma minimo, di mobilità sociale e che tale nucleo godeva di miglioramenti soltanto di corto o medio raggio rispetto alle posizioni sociali di partenza. Queste conclusioni sancirono la definitiva disillusione circa la capacità delle società occidentali di garantire una diffusa ascesa sociale a un'ampia fetta della popolazione. La capacità di adattamento dello schema di Goldthorpe è dimostrata dalle trasformazioni che ha subito nel caso della sua applicazione al contesto sociale italiano. Cobalti e Schizzerotto hanno prodotto per l'Italia uno schema che stratifica le occupazioni in dodici classi. La scelta del livello di dettaglio dipende da due aspetti: la numerosità del campione che si intende analizzare e le caratteristiche della popolazione che si sta studiando. Per l'Italia Cobalti e Schizzerotto dovettero introdurre categorie che tenessero conto anche dei rapidi mutamenti sociali ed economici del paese. Lo schema di Goldthorpe fu pertanto modificato così come l'insieme della popolazione da considerare: la categoria di «classe di servizio» e recuperarono quella di «borghesia». Inclusero le donne e scelsero come unità di analisi non i singoli individui ma le famiglie. 3.4). In tal modo le classi erano sei: I. la borghesia, che comprende gli imprenditori medio-grandi, i liberi professionisti e i dirigenti; Il. la classe media impiegatizia, che include i dipendenti non manuali a medio o medio-alto livello di qualificazione; Il. la piccola borghesia urbana, cioè i proprietari e i coadiuvanti di piccole imprese industriali, commerciali e di servizio ovvero artigiani e commercianti; IV. la piccola borghesia agricola, che include i proprietari e i coadiuvanti di piccole imprese operanti nei settori agricoltura, caccia, foreste e pesca; V. la classe operaia urbana, che comprende i lavoratori dipendenti manuali e gli impiegati esecutivi a basso livello di qualificazione, occupati nelle imprese dell'industria, del commercio e dei servizi; VI. la classe operaia agricola, di cui fanno parte i lavoratori dipendenti manuali, occupati nelle imprese dei settori agricoltura, caccia, foreste e pesca. Nell'ambito degli strumenti di misurazione di tipo categoriale di derivazione durkheimiana spicca la proposta di Grusky e Sorensen. Gli autori neodurkheimiani invocano una strategia di «disaggregazione» che mantenga vivo l'approccio all'analisi delle classi, ma lo diriga verso unità di analisi più piccole. Attraverso modelli multivariati, si è riuscito a dimostrare che gli effetti di classe sulle chance e gli stili di vita, sulle opinioni politiche e gli atteggiamenti valoriali risultano più robusti se considerati a partire da mappe con numerose classi occupazionali, istituzionalizzate e profilate a partire dai risultati. Quella di Grusky e Sorensen è dunque un'opera di "decomposizione dei grandi aggregati di classe". Già negli anni Sessanta del Novecento le innovazioni teoriche introdotte a partire dal lavoro di Mancur Olson avevano consentito di precisare il ruolo delle organizzazioni di interesse nell'articolazione della domanda di risorse e nello sviluppo delle azioni collettive. Queste ultime non sorgono spontaneamente: sono il risultato dell'azione di partiti politici, sindacati, associazioni, gruppi di pressione che rappresentano i diversi interessi che agitano le società contemporanee. | neodurkheimiani hanno raccolto questo tipo di stimolo analitico e hanno proposto una ridefinizione disaggregata delle classi sociali. Secondo Gruskv e Weeden, esistono quattro importanti meccanismi attraverso cui gruppi istituzionalizzati si sviluppano in termini di omogeneità interna dei lavoratori: Bourdieu concepisce le disuguaglianze in termini dinamici e non manca di sottolineare che tanto i modelli neomarxisti quanto quelli funzionalisti finiscono per trattare la stratificazione come l'esito di raggruppamenti costruiti dal ricercatore «sulla carta». In questo modo il quadro delle disuguaglianze non solo finisce per restituire soltanto una fotografia incapace di cogliere la dinamica e l'evoluzione dei rapporti tra gruppi, ma non cattura le pratiche e le rappresentazioni dei soggetti. Secondo Bourdieu, sono proprio i soggetti nelle classi a tentare di ridefinire continuamente gli indicatori di appartenenza. Secondo Bourdieu, le disuguaglianze sociali e le gerarchie tra gruppi sono presenti non solo nell'ambito della dimensione economica, del reddito, del lavoro e del controllo del capitale, ma in tutti i campi del sociale. Per «campo sociale», intende un ambito della vita sociale, uno spazio, una dimensione in cui esistono classificazioni ufficiali o informali e in cui le persone agiscono utilizzando, il proprio capitale culturale, economico e sociale per migliorare o proteggere la propria posizione rispetto a gerarchie e a lotte latenti o esplicite di predominio di quel campo stesso o di piccole porzioni di esso. Bourdieu giunge alla seguente conclusione: persino il «gusto», è invece un elemento plasmato dall'eredità culturale, dal contesto sociale, dalle disponibilità materiali, dall'habitus di classe in cui maturano le esperienze, gli apprendimenti e la socializzazione delle persone. Il gusto consente di formulare giudizi estetici e operare scelte di consumo che servono a distinguere e a distinguersi nei campi sociali in cui si lotta per le posizioni di potere. La tesi principale di Bourdieu è che, le disuguaglianze rendono a riprodursi nel corso del tempo, quantunque la loro forma cambi. Detto in altri termini, i gruppi sociali che rivestono posizioni apicali in un determinato campo sociale non solo sono in grado di far valere il proprio prestigio anche nei campi sociali prossimi e affini, ma tendono a bloccare i tentativi di ascesa dei gruppi sociali posti nelle posizioni immediate sottostanti, vanificando gli sforzi di accrescimento del capitale economico, culturale, sociale di questi ultimi. | gruppi sociali dominanti hanno il potere di mutare continuamente e a proprio vantaggio le regole che stabiliscono la gerarchia dei valori e dei giudizi che valgono in un determinato campo del sociale. Tenendo conto della lezione di Bourdieu, Savage e colleghi, hanno sviluppato una «analisi multidimensionale che rivela la polarizzazione della disuguaglianza sociale e la frammentazione delle tradizionali divisioni sociologiche di "classe media" e "operaia" in forme più segmentate». Anche Bagnasco si fa portavoce della capacità euristica e interpretativa degli approcci di tipo "induttivo", ovvero di quelle prospettive dello studio delle disuguaglianze che non partono da una classificazione preesistente degli strati sociali, ma la fanno discendere dai risultati dell'osservazione e dell'analisi. A suo parere, questo tipo di approccio consente tuttavia di cogliere in maniera più profonda le dinamiche di mutamento dovute all'avvento della jobless growth, cioè dell'economia basata sulla crescita degli indicatori economici cui non corrisponde però un aumento dell'occupazione. Capitolo V: Educazione, istruzione e disuguaglianze La fitta trama che si cela dietro le disuguaglianze educative è difficilmente districabile sul piano analitico ed empirico e si sostanzia in una sfida continua ai decisori politici e agli attori dell'education che intendano intervenire su tali disuguaglianze. L'analisi sociologica si è confrontata dalle sue origini con le differenze e le disuguaglianze che producono o si riproducono nei sistemi educativi, ai loro vari livelli, dall'istruzione di base sino all'higher education. 5.1- La visione positiva dell’ istruzione Già Durkheim aveva sottolineato quanto la disuguaglianza nell'accesso alle ricompense nelle società preletterate, fosse forte e con un esito polarizzante tra i gruppi sociali e con un effetto di naturalizzazione delle disuguaglianze stesse. Nelle società complesse il sistema delle disuguaglianze è andato perdendo queste caratteristiche, poiché è lo Stato moderno a sancire un nuovo assetto che riconosce diritti e doveri. Per Durkheim in ogni società esistono ruoli considerati più importanti di altri. Ciò dà origine a una gerarchia di funzioni e competenze. Tali competenze si apprendono o nel sistema scolastico o tramite l'apprendistato. Ma un simile approccio tendeva a sottovalutare il fatto che l'accesso a determinate professioni dipende non solo dalle abilita individuali, ma anche da una serie di altri fattori di varia natura. È a fronte di questa considerazione che la sociologia si è posta per la prima volta il problema della relazione tra posizioni ascritte, sistemi educativi e destini sociali. Il tema è presente anche in Weber secondo il quale l'istruzione è al centro di una contrapposizione fra classi, ceti e gruppi di potere. La preparazione specialistica è promossa dallo sviluppo dell'amministrazione burocratica. E in questa fase che istruzione ed esami assumono la massima importanza. Gli appartenenti ai ceti sociali egemonici, le élite dirigenti, la borghesia puntano a massimizzare le ricompense sociali ed economiche dell'istruzione, restringendone gli accessi a un numero limitato di persone in possesso di determinati requisiti. Lo sviluppo dell'istruzione registratosi nel Novecento non è dovuto tanto all'aumento della domanda di qualificazione tecnica proveniente dall'economia quanto alle azioni, strategie e decisioni messe in atto dai ceti sociali superiori per mantenere e migliorare le proprie posizioni e dai ceti medi e inferiori nel tentativo, graduale, di assicurare ai propri figli condizioni di vita migliori. Sono tali azioni che alimentato il fenomeno del «credenzialismo», una dinamica che vede nei titoli di studio i beni posizionali e strumentali nella competizione per acquisire le posizioni lavorative di maggior prestigio e remunerazione. Anche Parsons sottolinea che alcune capacità e talenti sono più rilevanti di altri per l'equilibrio e il funzionamento del sistema sociale. Dal suo punto di vista, la scuola è l'agenzia di socializzazione e formazione che opera in maniera oggettiva, ma è anche un'istituzione di selezione e mobilità sociale organizzata per garantire l'allocazione delle mansioni lavorative alle persone competenti e l'orientamento positivo all'assunzione degli impegni specifici di ogni specifico ruolo. Nella visione ottimista di Parsons la selezione che il sistema d'istruzione assicura nei vari ordini e gradi scolastici conduce a superare le posizioni ascritte nella società e le disuguaglianze di partenza, premiando il need for achievement. Parsons distingue l’ achievement in due componenti: una di tipo cognitivo, connessa alle capacità e agli schemi di riferimento associati alle competenze e alle abilità; una morale, legata alla capacità di introiettare le regole, la disciplina scolastica, le norme di buona educazione. In questo schema della socializzazione e della trasmissione culturale, i meccanismi di riproduzione delle disuguaglianze non trovano un posto specifico. Sulla scia del funzionalismo conformista di Parsons, le varie diramazioni teoriche del filone definito del «capitale umano» hanno postulato l'espansione dell'istruzione come una risultante dei processi di modernizzazione, specializzazione dei ruoli sociali e differenziazione delle qualifiche professionali. Il sistema scolastico e universitario si specializzano per formare una forza lavoro produttiva, qualificata, specializzata affinché i datori di lavoro possano selezionare sulla base delle abilità e impiegare in virtù delle specifiche credenziali educative di ciascun soggetto. 5.2 — Stratificazione e differenziazione nei sistemi educativi L'evoluzione degli approcci sociologici all'educazione, si caratterizzano per l'espansione dell'istruzione di base per la specializzazione e la differenziazione dei percorsi di apprendimento. In molti paesi, al primo ciclo d'istruzione, si è andata accompagnando una significativa differenziazione nei percorsi di istruzione successivi: trackins: ovvero differenziazione in “filiere” ; oppure streaming, raggruppamento degli studenti in classe sulla base di specifici attributi accademici. Le diverse filiere offrono agli studenti la possibilità di seguite prima un curriculum di base comune e in seguito un indirizzo specifico distinto. La differenziazione e la stratificazione interne ai sistemi scolastici sono distinguibili in base ai seguenti aspetti: - grado di istruzione (gli anni di permanenza nel "tronco comune" della scuola, dopo i quali inizia la suddivisione eventuale in indirizzi); - presenza o meno di punti di «biforcazione» nelle carriere scolastiche al livello dell'istruzione secondaria; - profondità delle differenze tra gli indirizzi di studio, non solo in termini di diversità curricolari, ma soprattutto in funzione di eventuali effetti di segregazione scolastica, intendendo per quest'ultima il livello di omogeneità sociale entro le singole scuole (within schools) e la disomogeneità tra le scuole (between schools). Pertanto, un sistema scolastico è stratificato al massimo grado se è differenziato in rami e indirizzi di carattere accademico e professionalizzante; se questa differenziazione è precoce; se esistono radicali discontinuità tra i contenuti dell'insegnamento degli indirizzi accademici e quelli dei rami professionalizzanti. Numerosi sociologi dell’ educazione, hanno poi affrontato una pluralità di temi, ciascuno dei quali legato anche alla questione delle disuguaglianze: Bourdieu e gli autori del filone della trasmissione e della riproduzione dei divari sociali hanno affrontato i rapporti tra ‘origine sociale degli studenti e lo sviluppo di determinati orientamenti, modi di agire e di pensare tipici degli ambienti scolastici. Essi hanno privilegiato l'analisi dei meccanismi attraverso cui i sistemi educativi finiscono per riflettere o addirittura ampliare le differenze di ceto. Randall Collins si è occupato dell'analisi dei processi di saturazione dei vari livelli di istruzione, rilevando come lo slittamento verso l'alto della competizione per l'acquisizione delle credenziali educative abbia provocato uno svuotamento del valore dei titoli di studio in termini di spendibilità nel mercato del lavoro. La prospettiva dell'individualismo metodologico e sorretta dalle teorie della razionalità limitata di Raymond Boudon, ha invece privilegiato lo studio del rapporto tra scelte educative e impatti su carriere e risultati scolastici. 5.3-L' approccio della riproduzione sociale e culturale Alcune ricerche empiriche hanno fatto venire meno la fiducia nelle capacità dei sistemi di istruzione di allocare le risorse umane nei mercati del lavoro in maniera scientifica e meritocratica. Il lavoro di Blau e Duncan e l'analisi di Bowles e Gintis hanno mostrato che le origini sociali e le variabili ascrittive continuavano ad avere un peso rilevante sui risultati scolastici, sul proseguimento degli studi e sulle carriere accademiche degli studenti. Bowles e Gintis confermarono che la classe dei genitori giocava un ruolo fondamentale per il successo economico dei figli. Gli effetti di tale influenzeranno evidenti: provenire da una famiglia povera o da una benestante continuava a fare la differenza. | due sociologi americani proposero una tesi di chiara impronta neomarxista: l'istruzione non produce soltanto competenze di ordine tecnico e professionale spendibili nel mercato del lavoro, bensi anche una personalità e un orientamento consono al tipo di impiego che si dovrà svolgere in futuro. Gli studenti sono inseriti in una struttura gerarchica che anticipa e corrisponde a quella che si ritrova nelle strutture economiche e politiche del capitalismo. Buona parte degli studenti non studia per amor di conoscenza, ma per ottenere un voto. Bowles e Gintis affermano che il sistema educativo crea gerarchie tra gli studenti, invece che conferite uguali opportunità di successo scolastico e in seguito economico. Il culmine critico nei confronti della (in)capacità del sistema educativo di erodere le disuguaglianze sociali si è raggiunto con le analisi di Bourdieu. Bourdieu svela le dinamiche latenti ai sistemi culturali attraverso cui si compie la legittimazione pacifica dell'egemonia culturale delle classi elevate. Proprio la scuola è il fulcro dei meccanismi che all'interno del sistema sociale riproducono le disuguaglianze. l'istruzione superiore è vista come esito di un processo di selezione che parte dalla famiglia d'origine. Si tratta di un processo a tre stadi: «selezione», «eliminazione», «segregazione». (1) le disuguaglianze legate all'accesso all’ istruzione, (2) riguarda l'eliminazione precoce dal percorso scolastico di alcuni studenti piuttosto che di altri, (3) la logica conseguenza dei primi due: il processo di segregazione poggia su stereotipi, senso comune, consigli e orientamenti da parte degli insegnanti e scelte dei genitori che indirizzano gli studenti delle classi inferiori verso percorsi scolastici più brevi meno orientati all'accesso all'università o considerati meno prestigiosi nel mercato del lavoro, mentre guidano gli studenti dei ceti superiori verso scelte più adatte alla formazione universitaria o comunque verso corsi di laurea di maggior prestigio che si tradurranno in professioni meglio remunerate. La tesi cardine di Bourdieu è che la famiglia d'origine è in grado di trasmette è un’ eredità culturale che incide sull' esperienza scolastica dei figli, al netto del trattamento che gli insegnanti e il sistema riservano a questi ultimi e al netto delle capacità e delle motivazioni che questi esprimono. L'eredità culturale consiste anche nella «cultura libera», cioè in un diverso grado di frequentazione di musei, teatri e concerti e di una diversa pratica di letture, interessi, sensibilità per i vari oggetti e contenuti della cultura. A differenza del capitale economico, il capitale culturale è un corredo speciale di dispositivi che non si esaurisce attraverso gli usi che se ne fanno. La famiglia d'origine è dunque responsabile della trasmissione dei valori impliciti ed espliciti che Bourdieu definisce «ethos di classe»: un insieme di atteggiamenti verso il mondo e in particolare verso la scuola e la cultura ufficiale che influenza di fatto la durata della carriera scolastica, i risultati delle valutazioni, le scelte di indirizzo che ne derivano. L'ethos di classe entra in una relazione conflittuale o coerente con gli atteggiamenti degli studenti nei confronti della scuola e degli insegnanti e, soprattutto, con i pregiudizi e le azioni dei secondi nei confronti dei primi. Problemi non di poco conto si presentano quando si affronta la questione della meritocrazia e dell'approccio il più possibile neutro nei confronti delle origini sociali degli studenti. Il contributo di Basil Bernstein sul linguaggio scolastico e i linguaggi degli studenti delle scuole primarie. Nella sua ricerca, gli alunni provenienti da famiglie operaie mostravano un linguaggio basato su «codici ristretti», gli alunni dei ceti medi o superiori usavano un necessità di uno Stato che intervenga nell'arena sociale ed economica per modificare il normale e "sano" gioco delle forze individuali. Non vi sarebbe infatti alcun pianificatore capace di garantire la giustizia sociale meglio di quanto non sappia già fare da solo il mercato. La posizione opposta è quella che, latu sensu, possiamo definire solidarista e raccoglie un ampio spettro di posizioni liberali e collettiviste. Tali autori ritengono che gli individui, se lasciati al loro destino nell'arena sociale, accentueranno le disuguaglianze, poiché queste sono in fondo sempre sociali, a causa dei meccanismi di esclusione che rafforzano le differenze naturali tra gli individui. Per alcuni autori non c'è alcun bisogno di giustificare la richiesta di uguaglianza: l'eguaglianza non ha bisogno di ragioni, solo la disuguaglianza ne ha. Compito dello Stato sarebbe proprio quello di agire con "mano visibile", razionale e volontaria, al fine di correggere le disuguaglianze sociali e consentire a ognuno la massima espressione della libertà di costruire il proprio progetto di vita. In questa seconda posizione rientrano quindi orientamenti accomunati dall'idea che le disuguaglianze siano accettabili solo se producono benefici per tutti. 7.2- | nodi della disuguaglianza Un tipo di disuguaglianze a cui si pone maggiore attenzione è quello che trasversalmente tocca un po' tutte le altre: l'eccessiva disuguaglianza economica. Si può dire che questa forma di disuguaglianza sia banalmente vecchia quanto il mondo. La distribuzione dello status è diversa a seconda del ruolo occupato e di come questo viene recitato: potere, prestigio e ricchezza, quindi, vengono distribuiti diversamente tra gli individui di una collettività in base all'importanza attribuita ai diversi ruoli e alla loro scarsità. La povertà e la ricchezza discendono dall'idea di competenza nell'esercizio di un ruolo sociale dotato di valore. La diversa disponibilità di capitale umano e sociale condiziona la disponibilità, l'esercizio e la spendibilità delle proprie competenze, determinando l'ammontare del capitale economico e reputazionale cui si può accedere. Ciò incide sulle scelte esistenziali e di consumo dell'attore. Ne deriva un atteggiamento definito nei confronti del futuro e dell'educazione dei figli, così come nelle scelte di consumo fondamentali per la sopravvivenza. L'abbandono della prospettiva materiale ha riorientato gli studiosi verso un concetto di povertà multifattoriale e multidimensionale, in cui è difficile scorgere cause ed effetti e i diversi fattori coinvolti finiscono per intrecciarsi variamente. Ad esempio: si è detto che la povertà economica incide sui consumi anche relativi alla salute, ma l'assenza di salute impedisce di proporsi competitivamente sul mercato del lavoro. Ne deriva che la salute, in questo caso diventa la variabile indipendente che spiega in parte la riduzione in povertà delle persone a causa della perdita o dell'allontanamento dal lavoro per periodi più o meno lunghi. Laddove vi è instabilità lavorativa, la minaccia di esclusione sociale diventa più incisiva; la precarietà del lavoro diventa del resto una delle cause più gravi dell'approfondirsi delle disuguaglianze. In termini di disuguaglianze di reddito ed esclusione, la disoccupazione di lunga durata diventa un problema molto preoccupante. Per chiudere il cerchio, vanno annoverate le disuguaglianze relative all'accesso all'istruzione. | dati sulla povertà confermano la stretta relazione tra basso titolo di studio e povertà, quindi tra basso titolo di studio e redditi. 7.31 modelli di welfare state A partire dalle disuguaglianze di salute, di accesso al lavoro e di istruzione è possibile definire il quadro all'interno del quale si collocano le politiche di welfare state. L'origine del moderno Stato sociale si colloca in Germania alla fine del XIX secolo, quando sotto l'egida del cancelliere Bismarck, il Reich tedesco intraprese la costruzione del sistema obbligatorio di sicurezza sociale. A differenza del passato, da questo momento in poi l'azione diviene pubblica, sistematica, legalizzata e organizzata. È a Lord Beveridge che dobbiamo la nascita della moderna concezione di welfare state. Nasce il welfare state in senso pieno, cioè uno Stato in cui il potere organizzato è usato deliberatamente allo scopo di modificare le forze del mercato in almeno tre direzioni: primo, garantendo a individui e famiglie un reddito minimo indipendentemente dal valore di mercato della loro proprietà; secondo, restringendo la misura dell'insicurezza mettendo individui e famiglie in condizione di fronteggiare certe "contingenze sociali" che porterebbero a crisi individuali e familiari; e terzo, assicurando a ogni cittadino senza distinzione di classe o status i migliori standard disponibili in relazione a una gamma concordata di servizi sociali. Lo sviluppo del welfare ha contribuito a stemperare i conflitti di classe. Gli interventi statali comportavano l'adozione di politiche Keynesiane di regolazione redistributiva. La regolazione, l'istituzionalizzazione e la negoziazione democratica delle tensioni provenienti dagli effetti potenzialmente negativi delle forze del mercato hanno prodotto ciò che Colin Crouch ha definito «compromesso sociale di metà secolo». Il compromesso affondava le radici nel secondo dopoguerra, da quando con la crescita dei partiti e dei sindacati dei lavoratori, con l'avanzare dello spettro di contrapposizioni violente nelle singole democrazie occidentali che potevano allargarsi fino a coinvolgere le due superpotenze di allora si era avviato un periodo di pace. Tuttavia, questo sviluppo comune ai paesi occidentali cela alcune importanti differenze tra i diversi modelli di welfare state, che di Esping-Andersen ha sintetizzato in tre modelli: quello «liberale», quello occupazionale «conservatore - corporativo» e quello universalistico «social-democratico». | tre (poi quattro) modelli di welfare si sono distinti per il diverso ricorso al settore pubblico, al mercato e alle famiglie, determinando livelli molto differenti di decommodification e defamilialization, rispettivamente gradi diversi di riduzione del ruolo del mercato e delle famiglie nella protezione dai rischi economici e sociali. Il modello liberale si è caratterizzato per uno sviluppo limitato del welfare pubblico, rivolto a famiglie di basso reddito, categorie sociali vulnerabili, classi sottoproletarie. Le regole per poter usufruire dei servizi gratuiti o calmierati sono state storicamente abbastanza restrittive e oggi sono diventate ancora più selettive. In questo caso, il processo di decommodification è avvenuto solo in minima parte. Il modello conservatore -corporativo tende a incoraggiare l'assistenza basata sulla famiglia. In questo caso, la demercificazione avvenuta attraverso la “rifamiliarizzazione" di molte attività di cura. In questo regime di welfare ‘assicurazione sociale, soprattutto in passato, escludeva le mogli non lavoratrici, mentre le prestazioni familiari incoraggiavano la maternità casalinga. Il modello social-democratico dei sistemi scandinavi ha promesso un'uguaglianza di trattamento dei cittadini con standard di servizio molto elevati. Un processo molto spinto di demercificazione e defamiliarizzazione delle attività di cura, assistenza, istruzione, formazione e protezione da vari rischi sociali si è sviluppato favorendo anche una certa dose di uguaglianza economica tra le classi dei lavoratori. Il sistema pubblico dei paesi scandinavi si è a lungo basato su una socializzazione preventiva dei costi di cura dei bambini, degli anziani e delle persone vulnerabili, sottraendo alle famiglie gli oneri di sostenere tali categorie sociali. Ciò si è tradotto in un'ingente spesa pubblica per gli oneri sociali, che ha però ridotto al minimo la povertà. La tipologia di Esping-Andersen non include l'Europa mediterranea poiché tali paesi sembravano avere caratteristiche miste. In seguito, lo stesso Esping-Andersen, ha riconosciuto la presenza di un modello sud- europeo, caratterizzato da una forte spesa pubblica per le pensioni e un processo incompleto di demercificazione. Sulla scorta della metodologia di Esping-Andersen, Scruggs e Allan hanno calcolato e analizzato l'indice del livello di demercificazione assicurato dello Stato sociale per i vari paesi avanzati e un indice di generosità dei vari regimi di welfare, basato sulla spesa pubblica per le pensioni, per le misure di sostegno alla disoccupazione e di copertura delle malattie dei lavoratori. ZA — Fine del welfare state o nascita di un nuovo welfare? È importante considerare anche i diversi nessi tra i modelli di welfare e i principi su cui si fondano le modalità di accesso al sostegno e parallelamente le giustificazioni della possibilità di riceverlo. Ciò dipende dalla costruzione sociale del bisogno, che può essere ricondotta alla distinzione classica tra "poveri meritevoli" (deserving poor) e "poveri immeritevoli" (undeserving poor). Tale contrapposizione ha marcato dagli inizi il dibattito tra i promotori dell'intervento pubblico su basi universali e quelli favorevoli alla sola "residualità" ovvero a piccoli interventi mirati a fronte di bisogni acclarati. Dagli anni Settanta del Novecento l'Occidente ha conosciuto un periodo di riduzione della crescita economica e di parallela crisi fiscale e occupazionale. Questo quadro ha riproposto un assetto normativo deregolato e ha rescisso i vincoli solidaristici del periodo keynesiano, riaffermando il carattere ordinativo ed equilibrativo delle forze invisibili del mercato. Il dibattito odierno è tutto incentrato sulla dialettica “libertà versus uguaglianza". Particolarmente influente è stata la chiave di lettura proposta dall'economista Amartya Sen, che ha concettualizzato la povertà, e in genere la condizione di bisogno, non più in termini di assenza di risorse ma in termini multidimensionali. Nei dibattiti contemporanei sembra che la ridefinizione dei principi e delle pratiche di welfare state non rimandi solo alla dimensione pubblica e statale, ma si basi anche sul cosiddetto "terzo settore". Per alcuni, il coinvolgimento attivo del terzo settore nasconderebbe un processo di delega troppo esteso da parte del settore pubblico a soggetti che non possono operare in termini universalistici. Per altri invece, il mix pubblico-privato- terzo settore dovrebbe essere reso più efficace. se è vero che la diffusione di una sempre maggiore sensibilità collettiva ai temi della qualità della vita ha prodotto una crescita dell'attenzione dell'opinione pubblica verso i comportamenti sociali, e se è vero che si è assistito allo sviluppo di iniziative integrative dell'intervento pubblico che hanno coinvolto un insieme diversificato di realtà di diritto privato, è altrettanto vero che le fasce più deboli della popolazione restano ancora tagliate fuori dall'accesso ai servizi che in passato avevano una copertura universalistica. L'obiettivo del welfare non è ormai più compito esclusivo dello Stato, ma è necessario che questo si faccia coordinatore del contributo, più o meno ampio e più o meno riconosciuto, degli attori pubblici e privati, e rimandi a una complessa serie di azioni di rete che coinvolgano enti e istituzioni diverse, impegnate in aree differenti tutte orientate a creare le condizioni, favorire la manifestazione, eliminare gli ostacoli che si frappongono tra il cittadino e il personale fabbisogno di "ben essere". Capitolo VIII: Generazioni e corso di vita 8.1 - Età, generazioni e corso di vita Nel dibattito sociologico sulle disuguaglianze è possibile identificare un ambito di riflessione fondato su tre concetti che, pur nella loro specificità, è opportuno considerare congiuntamente: l'età, le generazioni e il corso di vita. Iniziamo con il primo concetto: l'età. Pur nella consapevolezza che fa anzitutto riferimento a un dato biologico, l'età in sociologia è intesa come un particolare status ascritto. L'età porta con sé un articolato sistema di aspettative, norme e sanzioni attraverso il quale una società indica che cosa l'individuo può o deve fare e che cosa non può o non deve fare. Vi sono però due aspetti da sottolineare. Il primo può essere riassunto rilevando che le aspettative e i ruoli connessi all'età non rimangono stabili, ma sono potenzialmente aperti a continue trasformazioni. Il secondo concerne il fatto che, in una data società, gli individui nati nello stesso periodo, man mano che invecchiano percorrono assieme una sequenza socialmente strutturata di ruoli: indichiamo tale aggregato con il termine "coorte". 196). | due processi qui richiamati sono interdipendenti e la loro analisi congiunta consente non solo di studiare in che modo si (ri) definiscono nel tempo i ruoli le attività e gli atteggiamenti, ma offre anche un valido strumento concettuale per comprendere il delinearsi delle differenze e delle disuguaglianze connesse all'età. Il concetto di generazione muove dall'assunto secondo cui il riferimento alla dimensione anagrafica e cronologica non è di per sé sufficiente a comprendere i processi di mutamento. Secondo Karl Mannheim è necessario considerare la "collocazione" nello spazio storico-sociale, ovvero la possibilità che un insieme di individui, nati nello stesso arco temporale, sia esposto a influenze comuni e possa «fare esperienza degli stessi eventi, contenuti di vita, ecc. [..] partendo dalla stessa forma di coscienza "stratificata"». Ogni specifica collocazione generazionale può, così, favorire la formazione di nuovi modi di sentire, pensare e agire. È necessario che si costituisca un legame tra quanti sono esposti a un medesimo contesto storico-sociale: di norma, ciò si verifica quando gli individui sono esposti a eventi capaci di produrre una forte discontinuità con il passato. All'interno di ogni legame generazionale possono poi sorgere differenti "unità di generazione", ciascuna caratterizzata da un'affinità di fondo negli stili di vita e nei modelli culturali. | processi dimutamento producono un impatto differenziato a seconda che siano vissuti negli anni della formazione o più tardi nell'arco della vita. Il terzo concetto è il corso di vita. Nel lessico delle scienze sociali tale concetto ha sostituito quello di ciclo di vita, fondato sull'immagine di un percorso che torna al punto di partenza. Il corso di vita richiama invece l'attenzione sulla continuità e l'interdipendenza tra le esperienze che ogni individuo attraversa lungo l'arco della vita. Si può scandire il corso di vita in fasi differenti, caratterizzate da un’ articolazione di ruoli e aspettative omogenea all'interno di ciascuna e differenziata nel passaggio da una fase a un'altra. Assumere la prospettiva del corso di che il funzionamento della società moderna abbia portato alla fiammentazione del sé, nel senso che l'individuo, ha una gamma più ampia di attitudini e possibilità comportamentali tra cui scegliere. Le trasformazioni di identità subite dagli anziani sono legate al passaggio da una forte autostima, potenziata dall'adempimento dei ruoli professionali durante il periodo attivo, alla bassa autostima e allo stigma associati agli anni di pensionamento, quando le persone non svolgono più attività retribuite, sperimentando la cosiddetta “sindrome di Hemingway", ovvero il rimpianto causato dal passare del tempo. Uno studio sugli anziani in Europa e Israele sottolinea che le persone ridefiniscono la propria identità post-pensionamento dopo una fase iniziale di disperazione e che una parte molto importante è giocata dalle reti sociali e comunitarie utili a mantenere una certa eguaglianza tra ruoli generazionali. I cambiamenti di identità sono stati analizzati da diverse teorie: il paradigma funzionalista, la teoria del disimpegno, quelle dell'attività, della continuità e l'interazionismo simbolico. La teoria del disimpegno fu sviluppata nel 1961 dai sociologi funzionalisti Elaine Cumming e William Henry, che illustrarono il modo in cui gli anziani iniziano a prendere le distanze dai loro ruoli lavorativi, preparandosi di più per la loro morte. | due affermavano che il graduale ritiro degli anziani dalle sfere professionali e sociali fosse un processo naturale e inevitabile. Il disimpegno è il ritiro dalla società che consiste nella riduzione dei ruoli sociali svolti da un individuo e nella diminuzione delle interazioni sociali che tendono a privilegiare l'affetto piuttosto che la solidarietà funzionale. Il processo di disimpegno ha quattro caratteristiche: la reciprocità tra le persone anziane e la società; la funzionalità; l'irreversibilità; e l'universalità. La progressiva perdita dei ruoli e la disuguaglianza nelle opportunità di accesso a relazioni e servizi nella terza età risulterebbero utili e funzionali alla società. La teoria delle attività evidenzia che gli anziani hanno gli stessi bisogni psicologici e sociali dei giovani e che il processo di disimpegno non è naturale o normale per chi si isola dalla propria vita sociale. Chi gestisce meglio la sua età rimane attivo, resistendo al "restringimento" del proprio mondo sociale, prolungando il più a lungo possibile le attività tramite forme di lavoro, amicizia, impegno sociale, volontariato. Questa teoria vede gli anziani impegnati in azioni di welfare innovativo. Per la teoria della continuità, proposta per la prima volta nel 1968 da George Maddox, lo sviluppo di un individuo è un processo costante e complesso. Continuità della personalità significa che i cambiamenti possono essere incorporati nei tratti della propria individualità, mentre un’ attività continua consente di prevenire, compensare e minimizzare gli effetti dell'invecchiamento e la continuità delle relazioni garantisce il supporto sociale dell'individuo. Le disuguaglianze nel processo di invecchiamento possono essere studiate anche attraverso l'analisi delle trasformazioni identitarie nell'interazione quotidiana. | sociologi affrontano il concetto di identità trovando ispirazione nell'interazione simbolica e nella sua componente relazionale. L'articolazione concettuale di due transazioni che alterano l'identità è rilevante: la transazione biografica e l'autonegoziazione, l'atteggiamento riflessivo di pensare a ciò che “sei ora" in relazione a ciò che "eri nel passato" e ciò che "puoi diventare in futuro". Se vogliamo capire che cosa fanno le persone, dobbiamo studiare il significato che attribuiscono a sé stesse, alla loro situazione, alle loro azioni. | concetti chiave sono la mente, il sé, la socializzazione, il ruolo, la definizione di una situazione. L'interazionismo simbolico evidenzia che il riproporsi o il protrarsi dell'attività dell'individuo è premessa di una percezione soddisfatta di sé, nel mantenimento del numero più elevato possibile di ruoli precedentemente ricoperti; suggerisce che quelli associati allo status di una persona anziana sono costituiti da simboli che rappresentano l'invecchiamento nell'interazione sociale, indipendentemente dalla collocazione della persona in un certo strato di età, come credono i funzionalisti. Un aspetto specifico della crisi economica e di difficile e a volte contraddittoria progettualità sociale riguarda il ruolo dei servizi, sostegno diffuso al processo dell'invecchiare "bene", alla riduzione delle disuguaglianze, al moltiplicarsi delle possibilità di senso collegate allo sviluppo delle opportunità relazionali e sociali, alle diverse realtà dell'invecchiamento, all'obiettivo specifico della conservazione individuale del proprio senso di sé. Fra le teorie che hanno privilegiato questo tipo di studi, quella relativa alle «culture dell'invecchiare» è di particolare interesse, inquanto consente di analizzare come le differenti modalità culturali attuate dagli individui e dai diversi gruppi sociali per affrontare l'invecchiamento interagiscano con i fattori genetici, ecologici, sociali, economici e istituzionali, cercando di ridurre le disuguaglianze che nella terza età potrebbero presentarsi come accesso ai servizi sociali, culturali, sanitari. Tali modalità culturali e gli stili di vita collegati divengono sempre più significativi per i crescenti processi di individualizzazione e disgregazione dei legami sociali tradizionali in una pluralità di identità sociali e habitus culturali derivanti da fattori etnici, sociali, etici, religiosi, economici, determinando variazioni nei concetti di vecchiaia e di terza età e nelle condizioni di benessere degli individui. 8.5 — Intersezionalità Si pensi anzitutto, per fare solo alcuni esempi, all'attenzione dedicata al paradigma della "generazione sociale", inteso come campo di indagine attraverso il quale superare le rigidità epistemologiche e metodologiche che hanno determinato la progressiva separazione tra un approccio orientato a studiare le transizioni e uno orientato a studiare le culture. Oppure si pensi alla prospettiva del corso di vita. Seguendo questa linea di ragionamento, le disuguaglianze che attraversano le esperienze e i vissuti di giovani, adulti e anziani non siano un aspetto legato alla specificità di una condizione; sono piuttosto il risultato di percorsi in cui si intersecano le dimensioni strutturali e quelle dell'agency. Elementi che vanno tenuti assieme per comprendere in che modo si producono e riproducono le disuguaglianze lungo le generazioni e il corso di vita. Una prospettiva di questo tipo consente di sgomberare il campo da un tema ricorrente all'interno del dibattito pubblico e che rischia di tradursi in un pregiudizio: il riferimento è all'ipotesi che si stia assistendo a una "congiura" contro i giovani. Le disuguaglianze abbiano avuto e abbiano ancora oggi un carattere “intersezionale", vale a dire che sono il prodotto dell'interazione tra fattori diversi, che incidono sulle opportunità e le scelte degli individui. Non si tratta di un conflitto agito dai giovani, né dell'idea che le scelte consapevoli di adulti o anziani siano esplicitamente "contro" i giovani. Si tratta di evidenziare come una (lunga) serie di scelte sistemiche e di politiche pubbliche abbia moltiplicato le linee di frattura tra e all'interno delle generazioni. Sono significativi i dati europei sulla qualità della vita: la quota di popolazione che avverte una tensione tra generazioni è appena il 10%. Il modo in cui si configurano le disuguaglianze penalizza i giovanissimi e le generazioni a venire, così come coloro che sono già anziani, e in particolare quanti hanno un'età particolarmente avanzata. Ma se tale dinamica ha portato alla «de -generazione» del patto tra le generazioni, è proprio qui che può prendere vita una nuova negoziazione generazionale, in cui le relazioni sociali e l'attenzione al modo in cui si ridefinisce il corso di vita sono il presupposto per un nuovo modello di welfare, servizi e consumi. Capitolo IX — Genere e disuguaglianze Sin dagli esordi, le analisi sociologiche delle stratificazioni sociali non hanno preso in considerazione le posizioni, le risorse e i ruoli delle donne. Il problema delle differenze di genere e la considerazione del contributo femminile alla posizione tanto delle famiglie che delle donne nella scala delle classi sono stati a lungo tenuti fuori dall'analisi. Ma fino a che punto possiamo comprendere le disuguaglianze di genere in termini di divisione di classe? Il fatto è che tali disuguaglianze preesistono alle disuguaglianze di classe: nelle società del lontano passato basate sulla caccia e sulla raccolta, le distinzioni tra i poteri maschili e quelli femminili erano più importanti rispetto alle divisioni di clan o di gruppo. Quella di genere sembra essere la disuguaglianza storicamente e culturalmente più dura a morire. Sebbene nella quasi totalità dei paesi del mondo vi siano in forza legislazioni e normative che sanciscono e promuovono l'uguaglianza tra donne e uomini, lo status delle donne risulta inferiore a quello degli uomini, A livello globale tra donne e uomini si registrano divari in quasi tutti i settori della vita sociale. Le disuguaglianze sono marcate anche in termini di divario salariale: le donne guadagnano in media il 40% in meno degli uomini. Il nuovo secolo ha registrato senz'altro progressi nelle condizioni di vita delle donne, almeno per quanto riguarda l'accesso ai servizi di base della sanità, dell'istruzione e alla vita pubblica e politica. Ma restano divari molto ampi. È ancora palese che «la maggioranza delle donne in gran parte del mondo manca di qualsiasi sostegno per poter soddisfare a pieno i bisogni fondamentali per una vita pienamente degna». Nell'Africa subsahariana per ogni 180 donne che partoriscono ce ne è una che perde la vita e le donne adulte sono poco istruite e hanno scarso accesso ai mercati del lavoro. Nei paesi in via di sviluppo la maggior parte delle donne che riceve una retribuzione è collocata nel settore informale, nel quale lo sfruttamento è diffuso. Le disuguaglianze nella sfera politica sono ancora più marcate: considerando i paesi di tutto il mondo, nel 2019 le donne occupavano appena il 25% dei seggi parlamentari e il 21% dei ministeri. La rappresentanza politica femminile è spesso osteggiata e vessata con violenza e laddove è scarsa, le donne sono più diffusamente vittime di violenza e minacce. Gli atti violenti e le molestie avvengono negli spazi pubblici, sul lavoro, a scuola e, spessissimo, all'interno delle famiglie e della vita domestica. Nei paesi occidentali e nei paesi dell'emisfero Nord i divari di istruzione tra uomini e donne sono stati eliminati nel corso degli ultimi decenni. | dati mostrano addirittura un sorpasso femminile nei tassi di iscrizione all'università e sul totale dei laureati. Nella maggioranza dei paesi in via di sviluppo le ragazze terminano precocemente gli studi più di quanto facciano i loro coetanei. 9.1 - Gli approcci di genere Nel corso del XIX e del XX secolo, man mano che la consapevolezza della subordinazione delle donne è cresciuta e che l'insostenibilità giuridica, etica e sociale di tale condizione è emersa, sotto la spinta di numerose riforme e delle ondate di emancipazione, il lessico femminista ha assegnato alla disuguaglianza tra uomini e donne denominazioni via via differenti fino alla rottura epistemologicamente più rilevante avvenuta negli anni Settanta del Novecento, con l'irruzione del concetto di genere. In sociologia tale concetto ha rivestito sin dall'inizio una grande importanza e una forte carica innovativa. A partire da quel momento, nel campo degli studi di genere, la nozione di uguaglianza si è confrontata problematicamente con quella di differenza. Nella storia del pensiero occidentale e nelle scienze umane, l'attenzione alle differenze tra uomini e donne era emersa tardi, quando il dilemma tra la disuguaglianza e la differenza tra i due sessi aveva già attraversato alcune tappe significative dell'azione politica nel movimento delle donne, come testimoniano le ricerche storiche di alcune studiose. Le discipline scientifiche, non esclusa la sociologia, hanno a lungo contribuito ad avvalorare una visione statica, quasi naturalistica e biologica, dell'appartenenza al maschile e al femminile; l'hanno data per scontata e trascurata nelle loro analisi. Ma che cosa vuol dire esattamente "genere" e perché è stato preferito a "sesso"? È il nome per indicare il modo sessuato con il quale gli esseri umani si presentano nel mondo e vengono percepiti. Nella società convivono due sessi; il termine "genere" segnala la loro duplice presenza — gli uomini come le donne costituiscono il genere. Ma segnala anche l'insieme dei processi con i quali ogni società trasforma la sessualita biologica in prodotti dell'attività umana e struttura così la vita e le esperienze di uomini e donne differenziandole le une dalle altre. Il sostrato fisico e biologico delle differenze sessuali, il corpo, viene sussunto nel concetto di genere. Il corredo biologico in altre parole non è una stampella naturale con cui si apprendono gli artefatti della cultura. Secondo quanto scrive la studiosa Linda Nicholson, è esso stesso un'entità plastica. Due corollari accompagnano la nozione di genere. Il primo riguarda la disuguaglianza tra i due sessi e dunque la distribuzione del potere. Nella storica partita che si è svolta attraverso i secoli secondo la documentazione delle studiose, il rapporto tra uomini e donne si è protratto in modo squilibrato, asimmetrico, ineguale. Le differenze tra i due sessi in natura si sono prestate alla costruzione di una disparità che si è perpetuata nel tempo e in virtù della quale il genere maschile ha potuto stabilire a proprio vantaggio una divisione del lavoro e un accesso alla sfera intellettuale e simbolica a detrimento del sesso femminile. Il femminismo ha contestato la legittimità di questo vantaggio storico e la supremazia che gli uomini avevano assegnato a sé stessi. Il primo bersaglio del movimento femminista è stato la disuguaglianza e ‘asimmetrica distribuzione del potere tra i due generi. Il secondo corollario ha un valore epistemologico. La creazione di una categoria inedita - "genere" - che svela una faccia nuova della libertà e fa emergere la presenza del maschile e del femminile in tutte le aree dell'esperienza umana e sociale, la loro diversità insieme al loro intreccio, ha in sé la potenzialità dirompente di riformulare i concetti tradizionali, gli strumenti di analisi con i quali gli osservatori della società operano, di introdurre un'ottica diversa nelle operazioni di interpretazione dei fenomeni. Il programma di sviluppo teorico non ha soltanto aggiunto ai dati già disponibili sulle disuguaglianze un dato nuovo, ma ha aperto prospettive diverse sul panorama dei dati nel complesso. La capacità di ribaltare gli assetti sociali e lo sguardo del senso comune sul mondo si arresta di fronte alla constatazione del peso delle disuguaglianze che permangono. L'opera di rimodellamento dei progetti esistenti delle politiche, incluse quelle che riguardano le pari opportunità, sta procedendo con relativa lentezza. La sembrano porsi in maniera proporzionata alla nuova offerta di qualifiche e capacità: è questa una delle ragioni del divario tra le performance femminili nel campo dei titoli di studio e quelle rilevabili nel mondo del lavoro. A un riequilibrio nello scarto educativo non corrisponde un riequilibrio nel trattamento professionale. Si verifica un graduale scoraggiamento delle giovani donne preparate e qualificate nel periodo che segue il loro inserimento nel mondo del lavoro. Il fenomeno della leaky pipeline (una conduttura che perde acqua in diversi punti del suo percorso) fotografa questo pericolo e lo spreco di qualità e di risorse che ne consegue. Tale metafora è stata utilizzata soprattutto in riferimento alla scarsa presenza di donne nelle professioni apicali della scienza applicata, della tecnologia, dell'ingegneria e della matematica. La metafora della leaky pipeline fu richiamata per la prima volta da una Commissione sulla formazione e l'impiego di ingegneri del National Research Council statunitense per descrivere la sequenza di passaggi necessari per diventare scienziati o ingegneri affermati: dalla scuola secondaria, al college, fino all'università nei corsi STEM, da qui alle specializzazioni fino alle prime esperienze professionali e poi alla piena affermazione. Alcuni punti della pipeline, come il passaggio dalla secondaria alle facoltà STEM o dal dottorato alle prime esperienze lavorative, registrano una "perdita" consistente di candidate. Perché? Una spiegazione è che le studentesse STEM scoprono nelle istituzioni accademiche e di ricerca e ancor di più nelle imprese del settore il predominio di valori orientanti alla competizione, alla produttività e al business, anziché alla ricerca disinteressata e alla cooperazione. Una seconda spiegazione richiama la teoria della «densità maschile», ovvero il fatto che più si sale nei gradini gerarchici più prevalgono reti, relazioni e ambienti maschili. Non mancano evidenze relative alle pressioni esterne che riorientano aspettative e obiettivi delle giovani in questione. 9.3 — Pluralità, intersezionalità e differenze Il concetto e le teorie di genere sono dunque andate incontro a diverse vicissitudini. Il binomio originario "maschile -femminile" ha modificato i propri confini sotto la spinta dei movimenti che si sono susseguiti, verso una costellazione di genere più composita, verso un assemblaggio di sesso e genere più complesso. Da un lato, le pratiche sessuali e di genere minoritarie si sono considerate a lungo escluse dal discorso eterosessuale predominante, da norme corporee e teoriche troppo restrittive, "occidentali-centriche", oppositive. Dall'altro lato, il genere ha ampliato la sua sfera di influenza quando si è confrontato con soggettività femminili diverse per nazionalità, razza e religione. Una delle prime contestazioni al programma del femminismo e quindi alla sua visione del genere era stata mossa dalla minoranza femminile afro-americana e dal movimento lesbico. Si obiettava che la discriminazione sperimentata dalle donne afroamericane non era la stessa delle donne bianche, per le quali il problema della razza è assente. Alla voce delle minoranze americane si è aggiunto il forte richiamo delle nuove identità etniche nazionali. Il risveglio di queste culture identitarie in territori con religioni e tradizioni diverse, islamiche, arabe e asiatiche, ha rappresentato una novità e una sfida per il femminismo originario. Molto è stato fatto per accogliere queste differenze, soprattutto a partire dalla Conferenza mondiale di Pechino del 1995. Il genere non è sempre composto in maniera coerente o uniforme nei diversi contesti storici; si interseca con modalità razziali, etniche e nazionali molto differenziate. La conclusione è che è impossibile separare il genere dalle intersezioni politiche e culturali in cui è plasmato e riprodotto. Ancora oggi, gli sguardi femministi dal Nord globale del mondo mantengono ‘egemonia nella produzione teorica e nelle ricerche sulle disuguaglianze di genere. Il femminismo a partire da una posizione di privilegio razziale è fortemente limitato nella comprensione delle esperienze delle donne e delle diverse forme di disuguaglianza. Nella lotta per l'indipendenza diversi paesi del Sud del globo hanno sviluppato nella seconda meta del Novecento del proprio “discorso ordine di genere", constatando come le dittature (Indonesia, Pakistan, Malesia, Arabia Saudita, Iran) abbiano creato e mantenuto nuove configurazioni di potere maschile. Persino nelle democrazie come l'India, i poteri starali hanno assunto una predisposizione benevola nei confronti dei soprusi maschili. Altro esempio è la questione della terra. Le requisizioni forzate e gli espropri di terreni agricoli sono stati una politica ricorrente della colonizzazione. Bina Agarwal ha analizzato il modo in cui i diritti delle donne sulla terra e sulle proprietà familiari nelle zone rurali dell'Asia meridionale producono negoziazioni e contrattazioni molto complesse che incidono sulla libertà di azione delle donne in quattro campi: la famiglia, il mercato, la comunità in generale e lo Stato. Altre autrici rimarcano la continuità tra le gerarchie sociali create dalle vecchie forme dell'imperialismo coloniale e le dinamiche del capitalismo neoliberale e il suo ricorso al contributo, a basso costo, spesso paraschiavistico, delle donne, secondo una divisione di genere del lavoro di stampo tradizionale. Quando le identità di genere si sovrappongono ad altre identita, danno vita a forme di pregiudizio e pratiche discriminatorie distinte. L'intersezionalità rappresenta il modo attraverso cui effetti differenti di discriminazione si abbinano. La teoria sociologica dell'intersezionalità tenta di cogliere la natura sfaccettata delle categorie sociali relative alla dimensione etnica, razziale, religiosa, di classe, età, status, residenza e agency dei soggetti e delle interdipendenze nei meccanismi di discriminazione o di svantaggio di genere. L'. identità sovrapposte devono essere considerate nella ricerca e nelle analisi delle politiche, poiché molteplici e differenti norme sociali e modalità di esclusione agiscono in modo e con intensità differenti su diverse identità. Le identità sociali degli individui possono influenzare le esperienze e le convinzioni sui rapporti di genere. Le persone che si identificano con più gruppi svantaggiati, come ad esempio le donne appartenenti alle minoranze razziali o alle minoranze di origine migratoria, possono essere facilmente escluse e trascurate dalle politiche di inclusione e delle pari opportunità. AI contempo, ‘invisibilità prodotta dalle identità multiple può anche proteggere le donne potenzialmente vulnerabili, rendendole un target meno prototipico di forme comuni di pregiudizio. Sono i paradossi dell’ intersezione di più forme di identificazione sociale. L'incontro del concetto di genere con la prospettiva del multiculturalismo ha comportato anche dei rischi. La rivendicazione di diritti di gruppo, tipica del multi-culturalismo, a preservare le culture di origine milita contro la distinzione fra uomini e donne indispensabile all'analisi femminista e allo smascheramento del potere maschile. Susan Moller Okin ha avvertito che convogliare a favore del "gruppo" una politica di riconoscimento della differenza significa accorpare soggetti ed entità diverse, con diritti diversi in conflitto tra loro, con il risultato di oscurarne appunto le divisioni interne. Poiché il genere femminile costituisce la metà dell'umanità ed è presente con analogo peso numerico in tutti i gruppi, è del tutto improprio confonderlo, come avviene spesso, nei discorsi sui diritti e le rivendicazioni politiche con le minoranze medesime. Non pochi precedenti storici testimoniano che spesso le donne hanno scelto autonomamente di collocarsi accanto a minoranze discriminate e svantaggiate e hanno appoggiato le loro battaglie per la visibilità e ‘emancipazione. Capitolo X - Migrazioni, differenze e disuguaglianze 10.1 — Processi migratori e disuguaglianze: un legame controverso Le migrazioni internazionali non sono un fenomeno recente, eppure rappresentano una caratteristica distintiva delle società contemporanee, in un'epoca in cui la mobilità è alla base di un'economia globale imperniata sull' interdipendenza e sulla circolazione di materie prime e merci, informazioni e idee, capitali e forza lavoro. La mobilità umana è un fenomeno sempre più diffuso. Il XXI secolo viene definito «the age of migration», l'era in cui le migrazioni raggiungono un'estensione globale. All'interno di un processo di politicizzazione della questione migratoria sempre più spiccato, vi sono da un lato i paesi di emigrazione, caratterizzati da una forte pressione migratoria di parti più o meno ampie della propria popolazione, dall'altro i paesi di immigrazione, contesti che attraggono gli immigrati ma che sempre più regolano il fenomeno con rigide politiche di controllo e di chiusura delle frontiere. Anche nelle scienze sociali si verifica la «mobility turn»: il concetto di mobilità non è nuovo in sociologia, ma in questo secolo si afferma un paradigma che esplora vecchie e nuove forme di mobilità, analizzandone modelli, manifestazioni, interconnessioni e implicazioni nelle relazioni sociali e nelle dinamiche internazionali fra Stati. Tale svolta interpretativa generalizza un aspetto della società attuale a detrimento di altre caratteristiche parimenti importanti e insite nel movimento reale e virtuale di persone, conoscenze e prodotti, che rendono la società contemporanea sempre più complessa ed eterogenea. Le attuali migrazioni sono generatrici di «super - diversità», concetto introdotto da Vertovec per descrivere la proliferazione delle diversità di popolazione. Il rapporto tra mobilità e incremento delle diversità può essere considerato utile, soprattutto se collegato a una riflessione critica sul nesso fra mobilità spaziale e mobilità sociale e se ci si pone l'obiettivo di identificare i meccanismi sottostanti la produzione di disuguaglianze subite dagli immigrati. Il rapporto fra migrazioni e disuguaglianze è piuttosto controverso per vari motivi. Le migrazioni internazionali si sviluppano come movimenti di persone che vanno alla ricerca di condizioni economiche, sociali o politiche migliori rispetto a quelle disponibili nel proprio contesto di vita. Khalid Koser distingue fra migrazioni volontarie, che avvengono per motivi di lavoro, di famiglia, di studio, e migrazioni forzate, causate da conflitti bellici, persecuzioni, disastri ambientali, fame, siccità. Le migrazioni si sviluppano a partire dalla distribuzione disuguale di risorse tra paesi a forte processo migratorio e paesi riceventi, configurandosi come un insieme di azioni che cercano di compensare e contrastare le disparità di partenza nella distribuzione internazionale di beni e opportunità. Il migrante attraverso la mobilità territoriale, persegue la mobilità sociale per sé e per le successive generazioni della sua famiglia. La migrazione può essere provocata da diversi tipi di fattori: i pull factors riguardano l'attrazione esercitata dalle opportunità offerte dai paesi di immigrazione in termini di qualità della vita, opportunità di lavoro e di reddito, sicurezza, chance di formazione; i push factors sono fattori di spinta e pressione a lasciare il paese di origine, a causa di condizioni di vita problematiche. Se da un lato le migrazioni intendono sanare le disuguaglianze globali e intersocietarie, dall'altro la questione si fa meno scontata se si considera che a partire sono i soggetti che risultano "più adatti" alla riuscita del progetto migratorio. Questa selezione dei più adatti alla migrazione segnala disuguali opportunità fra chi si sposta e chi resta. La compresenza di persone "mobili" e "immobili" nei contesti ad alta pressione migratoria si evince dalle ultime stime del World Migration Report delle Nazioni Unite: sono circa 272 milioni i migranti internazionali nel mondo, il 96% circa delle persone rimane nel proprio paese di origine e non oltrepassa i propri confini nazionali. Al massimo, si sposta all'interno del proprio Stato. A essi si aggiungono 41 milioni di sfollati interni o displaced, a seguito di guerre civili o conflitti internazionali, e 26 milioni di rifugiati. Alle disuguali opportunità alla partenza, si sommano poi ulteriori svantaggi che emergono all'arrivo nel paese d'accoglienza. Nonostante il driver verso il successo che guida il loro progetto migratorio, gli immigrati si ritrovano a scoprire che l'esito positivo del loro percorso non è affatto scontato e l'immigrazione in un nuovo paese può rivelarsi fonte di ulteriori problemi. A livello internazionale l'analisi dei principali dati e indicatori di integrazione evidenzia le minori opportunità dei migranti rispetto ai nativi di partecipare alle diverse sfere delle società di accoglienza: i migranti si ritrovano a occupare posizioni socialmente marginali, sono concentrati in occupazioni poco qualificate, hanno scarse possibilità di mobilità socioeconomica, sono politicamente alienati e non partecipano pienamente alla vita della comunità e della società civile, oltre al fatto che i loro figli manifestano difficoltà in campo scolastico- formativo. Dall'analisi dei meccanismi connessi alla partenza e all'arrivo del migrante, appare la questione controversa: le migrazioni originatesi per ridurre le disuguaglianze intersocietarie prodotte dai processi di colonizzazione alla fine del XV secolo in America Latina nei fatti non sembrano eliminare o ridurre le disparità di partenza. Anzi, gli squilibri socioeconomici e di potere, rappresentano le basi ideologiche e culturali che giustificano lo sviluppo di una società gerarchizzata in relazione all'elemento etnico-razziale. In queste società sembra che sia stato per lungo tempo all'opera un progetto razionale e moderno di collocazione di ognuna delle identità etniche in una precisa gerarchia occupazionale. Questa associazione fra disuguaglianze strutturali e culturali giunge fino a noi e costituisce l'eredità del colonialismo e dell'espansione imperialista. Sociologi in diverse parti del mondo propongono un ripensamento delle scienze sociali in un orizzonte non eurocentrico e postcoloniale, più equo e inclusivo: Boaventura de Sousa Santos introduce la prospettiva delle «epistemologie del Sud», considerando l'esistenza di un «Sud globale» presente anche all'interno del Nord geografico, metafora dei gruppi di popolazione esclusi, portatori di altre visioni del mondo. Gurminder Bhambra avanza la proposta delle «sociologie connesse», proponendo una revisione storica delle scienze sociali che ricomprenda i processi da cui si sono generate le disuguaglianze esperite dai migranti nella contemporaneità. Secondo l'autrice l'Europa rifiuta di assumersi le proprie responsabilità nei confronti di richiedenti asilo e rifugiati e non rispetta i propri impegni in materia di diritti umani, dal momento che ignora le storie coloniali e imperiali che hanno segnato il progetto europeo. 10.2- Vocabolario sociologico su diversità etniche e dintorni professionisti qualificati, che fanno emergere una domanda di lavoro subalterno, flessibile e irregolare. Esempi tipici di questo inserimento sono quelli delle colf o delle assistenti familiari che lavorano presso le abitazioni di anziani autosufficienti e non, già discriminate dall'etichetta di "badanti". Le donne che svolgono tali attività, in particolare quelle provenienti dall'Europa dell'Est, subiscono processi di discriminazione: a livello biografico, sociale e strutturale. Fra queste donne emergono esperienze di isolamento e (auto)sfruttamento, con orari di lavoro non stop a causa della convivenza con la persona anziana, irregolarità giuridica e/ o contrattuale, burn out, depressione e sviluppo di dipendenze. Un altro impiego è quello dei riders, presenti soprattutto nelle grandi città e che lavorano per multinazionali come Deliveroo, Glovo, Just Eat, Foodora, utilizzando la propria bicicletta per consegnare pasti a domicilio. La prima ricerca svolta nella città di Milano ha evidenziato come questo tipo di "lavoretti" autonomia, si è poi trasformato rapidamente in una forma di lavoro a tempo pieno, impegnativo per il numero di ore, con forme di contratto di breve durata e reiterate nel tempo, scarsamente remunerato e poco tutelato dal punto di vista dei diritti e della sicurezza. In poco tempo fra i riders milanesi la percentuale di italiani è crollata, mentre è aumentata quella di giovani di origine africana e asiatica: le scarse competenze linguistiche e le limitate informazioni li rendono ancora più vulnerabili e incapaci di difendere i propri interessi in tema assicurativo o di richiedere un miglioramento qualitativo del lavoro. Un ultimo punto di attenzione emerge dal modello delle attività stagionali nel Sud e nel Nord del paese, riguardante in particolare il lavoro agricolo, settore importante in Italia e particolarmente esposto alla tratta internazionale e allo sfruttamento. Come sostiene Zanfrini, il cattivo lavoro è un virus che si diffonde oltre ai settori in cui sono presenti i braccianti, i riders o le badanti. Il fonomeno non ha a che fare solo con la discriminazione degli immigrati, ma con un problema di involuzione sociale e di erosione di diritti, facilitato dalla disponibilità di una manodopera altamente adattabile e a basso costo. 10.4 - Il dilemma multiculturale: coniugare uguaglianza e diversità Le esemplificazioni relative alle disuguaglianze etniche a scuola e sul lavoro conducono a riflettere sulla «funzione specchio» della migrazione: si tratta di un fenomeno cruciale, che mette in evidenza gli aspetti latenti e occulti del funzionamento delle istituzioni della società di accoglienza, in cui problemi e difficolta esperite dai migranti corrispondono ai punti critici delle società di arrivo. Le analisi concernenti i fenomeni migratori, pertanto, non riguardano "solo" migrazioni e migranti, ma rivelano elementi fondamentali sulla natura delle società di accoglienza e dei suoi membri. Spostiamo l'attenzione dalla carriera di vita del singolo migrante alle forme di integrazione dal punto di vista della società che accoglie, alle proposte e alle strategie di governance e gestione delle diversità, alle politiche che intervengono per prevenire, ridurre e contrastare le disuguaglianze su base etnico-culturale. Le istituzioni e gli attori sociali coinvolti nel processo di integrazione dei migranti partecipano, in questi ultimi anni, a un dibattito pubblico sul dilemma del coniugare l'uguaglianza delle opportunità con il riconoscimento delle diversità. La distinzione concettuale tra disuguaglianza e differenze permette di ragionare sulla questione aperta del coniugare le pari opportunità per i migranti con il rispetto della differenza nelle singole carriere di vita, nelle scelte, nei comportamenti e nei traguardi da raggiungere. Ecco allora che emergono alcuni interrogativi fondamentali che possono aiutare a meglio inquadrare i diversi modelli di integrazione, sulla base del modo in cui considerano le diversità etniche e trattano le disuguaglianze: -come vengono garantite agli immigrati le pari opportunità nei diversi ambiti di inserimento delle società che li accolgono? - in che misura e in che modo le diversità culturali di cui sono portatori sono riconosciute e accettate nelle diverse sfere di integrazione dei contesti di arrivo? -uno scambio positivo e alla pari fra soggetti culturalmente differenti è perseguito e realizzato negli interventi e nelle misure che vengono sviluppati e implementati? Per rispondere viene adottata la feconda definizione di Giménez, che scompone i diversi modelli di integrazione sulla base di tre principali dimensioni operative: 1. garanzia del diritto all'uguaglianza, indipendentemente dall'etnia, dalla cultura o dalla religione di appartenenza; 2. accettazione e riconoscimento di diversità e differenze; 3. enfasi sull'interazione positiva fra persone appartenenti a diverse culture. Il primo asse si propone come un «paradigma dell'uguaglianza e delle pari opportunità», ed è fondato su un'analisi verticale della stratificazione socioeconomica e delle relative disuguaglianze strutturali. Questo approccio ha alimentato per lungo tempo politiche e misure di tipo compensativo e apertamente assimilazioniste, che hanno identificato le carenze e i deficit linguistico- culturali di una data minoranza come fonti di disuguaglianza. Tali politiche sono radicate in un habitus monolingue e monoculturale che considera inferiori e assorbe o neutralizza le diversità altrui e le minoranze linguistico- culturali. La seconda dimensione confluisce nel «paradigma della differenza», formulato e diffuso in risposta alla richiesta di autonomia delle minoranze. L'approccio promuove un'analisi orizzontale di etnia, cultura, religione, genere, età, generazione e delle diverse capacità connesse a queste diversità, individuando strategie di empowerment dei singoli gruppi minoritari e privilegiando risposte politiche che si richiamano al multiculturalismo. Tale modello, si basa sulla tolleranza fra gruppi appartenenti a differenti sistemi culturali: nello spazio pubblico, i soggetti si muovono su un piano di uguaglianza, mentre le differenze e le specificità culturali trovano espressione nell'ambito della sfera privata. Il «paradigma della diversità» è formulato attraverso una critica ai modelli assimilazionista e multiculturalista e si sviluppa a partire dal carattere plurale, multisituato, contestuale e ibrido di qualsiasi identità culturale, etnica, religiosa, di classe o di genere, articolata sia individualmente che collettivamente. L'approccio propone una strategia di analisi e di intervento di tipo interculturale, intesa come prospettiva relazionale, trasversale e intersezionale, basata sull'interazione fra identità eterogenee e sulle relazioni di reciprocità in cui avvengono l'incontro e la costruzione di significati condivisi. Quest'ultima proposta, più che sul piano teorico, si è sviluppata negli ultimi due decenni come risposta pragmatica alle preoccupazioni delle città multiculturali, attraverso azioni e pratiche volte a riconoscere gli aspetti positivi della diversità, a promuovere la prossimità e le interazioni tra nativi e immigrati, a rafforzare la coesione sociale e a favorire l'appartenenza di tutti i cittadini alla sfera pubblica. L'interculturalismo non è altro che la gestione democratica della società multiculturale. Il termine “interculturalismo"” indica una specifica visione di integrazione, secondo cui la differenza è migliore dell'uniformità e il sistema sociale trarrà maggiore beneficio dalla varietà piuttosto che dall'omogeneità. Questa opzione pragmatico-teorica non è nuova negli studi sociologici: una definizione ante litteram di intercultura connessa alla democrazia venne introdotta già da Jane Addams e dalla Scuola di Chicago alla fine dell'Ottocento: Addams sperimento attraverso attività di ricerca- azione una pratica di democrazia e di cittadinanza interculturale e interclassista nel celebre Social Settlement Hull House. Fondò con altre donne un centro per favorire una migliore vita civica e sociale, sviluppare iniziative educative e filantropiche, indagare e migliorare la condizione di vita dei quartieri segnati da una povertà fortemente diffusa fra bambini, donne e minoranze etniche. Addams sosteneva che l'esclusione di alcune categorie sociali era da considerare non solo una questione di diritti negati, ma soprattutto un problema di mancata partecipazione e da favorire secondo la sua visione di società costruita dal basso e con il contributo di tutti. Il nostro itinerario di riflessione, più che concludersi, vuole guardare alle disuguaglianze di cui soffrono gli immigrati anche da una prospettiva diversa. Diversità e differenze hanno rivelato la loro natura di risorsa ambivalente per i migranti: da un lato possono limitare e ostacolare scelte e progetti di vita, ma dall'altro sono in grado di offrire vantaggi dal momento che il background migratorio rende i soggetti "capaci" di funzionare in un ambiente urbano multietnico e diversificato. Le differenze sono considerate ambivalenti anche dal sistema sociale, capace di includere o escludere, di rifiutare oppure riconoscere le diversità, confermare, negoziare o trasformare regole e rapporti di forza. Sebbene le diversità etnico-culturali siano state abbondantemente analizzate come fonte di svantaggio, è possibile rintracciare analisi che hanno cominciato a prestare attenzione alle traiettorie di successo di soggetti svantaggiati come i migranti. Negli Stati Uniti: la stragrande maggioranza delle seconde generazioni di origine immigrata ha un livello di istruzione superiore ai propri genitori, parla un inglese fluente ed è integrata nella società americana. Ciò sembra confermare l'ipotesi dell’ «ottimismo degli immigrati», secondo cui la migrazione è un progetto di mobilità sociale intergenerazionale. Anche in Europa si cominciano a studiare le biografie di successo scolastico, sociale e professionale dei giovani di seconda generazione. Questi studi mostrano come sia possibile accumulare nel tempo opportunità sociali e culturali, muovendosi al contempo nella scala sociale, rompendo così il ciclo perpetuo dell'habitus ereditato attraverso la posizione di classe. Piccole possibilità si collegano ad altre possibilità e sono il punto di partenza per ulteriori miglioramenti, con un «effetto moltiplicatore». Ma come e in che misura gli immigrati sono in grado di trasformare lo svantaggio dell'immigrazione in un vantaggio nei diversi ambiti di vita? Come riescono a cogliere le opportunità? Si tratta di interrogativi che considerano questi percorsi non come eccezioni e che piuttosto si concentrano sui microprocessi attraverso cui gli attori criticamente costruiscono, riproducono e cambiano le condizioni sociali e istituzionali in cui si muovono,
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