Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Sociologia delle migrazioni e politiche migratorie, Sintesi del corso di Sociologia Politica

Una sintesi completa del corso di Sociologia delle migrazioni di L. Zanfrini, esame di Sociologia Politica presso l'Università degli Studi di Salerno. Si approfondiscono le politiche migratorie, il loro ruolo nell'ingresso degli stranieri e la loro regolamentazione da parte degli Stati. Si analizzano i paradossi della 'Fortezza Europa' e la limitazione degli ingressi, nonché l'integrazione dei migranti già presenti.

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 29/01/2024

Atena1995
Atena1995 🇮🇹

4.5

(186)

577 documenti

1 / 13

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Sociologia delle migrazioni e politiche migratorie e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia Politica solo su Docsity! l O M o A R c P S D | 5 6 9 4 2 0 5 SINTESI COMPLETA DI L. Zanfrini, Sociologia delle migrazioni Esame di SOCIOLOGIA POLITICA (Università degli Studi di Salerno) l O M o A R c P S D | 5 6 9 4 2 0 5 LE POLITICHE MIGRATORIE Nel nuovo millennio tutte le nazioni sviluppate del mondo sono divenute paesi d’immigrazione. Come conseguenza, le politiche che governano i volumi, le caratteristiche e le condizioni d’ingresso degli stranieri hanno acquisito in tutto il mondo grande rilevanza. Tuttavia, l’approccio dell’economia neoclassica vede nell’intervento dello Stato in questa materia un intralcio rispetto alle capacità del mercato di collocare nel modo migliore i fattori produttivi prescindendo dai confini delle nazioni. Quella di regolare l’ingresso sul territorio nazionale dei lavoratori stranieri è un’idea moderna. È proprio con l’avvento dei moderni Stati democratici, con la loro promessa di un diritto al lavoro e all’assistenza sociale garantita per tutti, che si è posto il problema di definire giuridicamente la possibilità per gli stranieri di accedere ad alcuni dei diritti e delle opportunità riconosciuti ai cittadini. Il concetto di confine ha assunto il suo significato contemporaneo: da un lato esso delimita l’ambito territoriale d’esercizio dell’autorità statale; dall’altro funge da filtro per selezionare coloro che, pur non essendo cittadini di un determinato Stato-nazione, aspirano a risiedere e lavorare in esso. Il diritto d’emigrazione, affermato dalla Dichiarazione dei diritti umani delle Nazioni Unite, non trova corrispondenza in un diritto di immigrazione. Il concetto di politiche migratorie si riferisce alla capacità di uno stato di esercitare il suo controllo sui flussi migratori importando migranti quando vuole, dove vuole, con le qualità da esso desiderate, nelle quantità da esso specificate, alle condizioni da esso definite e per la durata da esso scelta. Lo Stato può introdurre delle discriminazioni legali con l’obiettivo di garantire ai propri cittadini un diritto di priorità nell’accesso alle risorse e alle opportunità sociali, a partire dal lavoro. Gli obiettivi delle politiche migratorie contemporanee sono molteplici; tuttavia, esiste un principio condiviso da governi e opinione pubblica: uno Stato dovrebbe autorizzare l’ingresso di lavoratori stranieri sul proprio territorio nella misura in cui esso è ritenuto utile al benessere della nazione e a soddisfare le richieste del sistema produttivo. La traduzione di tale principio si è storicamente realizzata attraverso modelli diversi, basati su ideologie differenti in ordine al ruolo degli immigrati nella società e nel mercato del lavoro, alla durata delle loro permanenza, al grado d’accesso ai diritti di cittadinanza. Tradizionale oggetto di studio per i giuristi e i politologi, le politiche migratorie rappresentano, da alcuni anni, un ambito d’interesse anche per la sociologia: in particolare, 1 l O M o A R c P S D | 5 6 9 4 2 0 5 4 voluta, la cui presenza non appare più funzionale alle esigenze dell’economia e risulta più difficile da legittimare agli occhi dell’opinione pubblica. Insomma, si era sottovalutato che la decisione di reclutare forza lavoro all’estero avrebbe modificato il paesaggio politico europeo. L’immigrazione cominciò ad essere avvertita come minaccia all’integrità culturale europea. L’idea di complementarietà ha continuato nel tempo a regolare il rilascio delle autorizzazioni di lavoro, che in molti casi è disciplinato in base al cosiddetto principio di indisponibilità: l’ingresso sul territorio dello Stato è consentito solo a condizione che non vi siano lavoratori autoctoni disponibili a svolgere l’attività per la quale è richiesta l’autorizzazione. Ma essendo che esiste il fenomeno della disoccupazione volontaria, una rigida applicazione del criterio dell’indisponibilità rischia di paralizzare l’intero sistema di ingressi legali, alimentando per converso l’immigrazione irregolare e il lavoro nero. 1.3 I paradossi della “Fortezza Europa”: limitazione degli ingressi e integrazione dei presenti Con l’avvio delle “politiche degli stop”, l’immigrazione si trasforma da questione economica a questione politica. Solo tenendo conto di questo passaggio si può comprendere la ritrosia con la quale molti paesi, ancora oggi, guardano alla prospettiva di riaprire le loro frontiere ai flussi di lavoratori immigranti. Proprio in questi anni prende corpo il tentativo di tenere insieme due obiettivi per certi aspetti contraddittori: la drastica limitazione dei nuovi ingressi da un lato, e l’integrazione dei migranti già presenti dall’altro. Durante quegli anni si incrementò la mobilità intra-europea a causa della creazione del mercato unico europeo; dall’altro lato invece l’immigrazione extra-europea si trasformò in permanente. L’immigrazione divenne, allora, un tema di opposte richieste: iniziò un’epoca in cui i paesi dell’Europa occidentale, pur continuando a rifiutare di considerarsi paesi di immigrazione, dovettero prendere atto del fatto di essere divenuti meta di insediamenti stabili di lavoratori, famiglie e comunità immigrate. Si dovette, inoltre elaborare una risposta ad un grande dilemma: come permettere a un individuo di risiedere e lavorare nel proprio territorio senza però garantirgli i diritti e i privilegi che caratterizzano la membership alla società? Le soluzioni escogitate saranno diverse, rispecchiando i caratteri specifici di ciascun contesto l O M o A R c P S D | 5 6 9 4 2 0 5 5 nazionale e il modo in cui, in ognuno di essi, è definito il rapporto tra l’individuo, la società e lo Stato. Si creerà un enorme paradosso, quello dell’<<immigrazione senza migrazione>>: la svolta in senso restrittivo delle politiche migratorie contribuì, infatti, a definire socialmente e politicamente l’immigrazione come un pericolo da cui difendersi e da contenere nelle sue dimensioni. L’apice viene raggiunto a fine anni ’80 inizio anni ’90 dalla cosiddetta <<Fortezza Europa>> che entra in tensione con l’integrazione dei già presenti. Da questo momento in poi, lo scenario europeo sarà caratterizzato da una tendenza, comune ai paesi di vecchia e nuova immigrazione, alla “sicuratization” della questione migratoria, ossia dai tentativi per arrestare l’immigrazione irregolare e per ridimensionare l’immigrazione non voluta, sebbene regolare, composta da migranti per ragioni familiari e umanitarie. 1.4 Verso una politica migratoria europea All’origine del processo di comunitarizzazione delle politiche migratorie si vede l’auspicio degli stati membri di raggiungere, grazie alla collaborazione tra i vari paesi, ciò che essi singolarmente non erano riusciti a realizzare, cioè il controllo dell’immigrazione. L’obiettivo della <<Fortezza Europa>> è di liberalizzare i movimenti interni, abolendo i controlli alle frontiere nazionali e rafforzando quelli esterni. Solo alla fine degli anni ’90 l’immigrazione entra a far parte delle prerogative comunitarie, fino ad allora oggetto principalmente di cooperazione intergovernativa. Contemporaneamente la politica comunitaria ha cominciato ad estendersi anche al tema dei diritti dei cittadini di paesi terzi e alla condizione delle minoranze etniche. All’inizio del nuovo millennio, le istituzioni comunitarie tentano di invadere la principale prerogativa degli stati nazionali in materia, quella della gestione dei flussi d’ingresso. La comunitarizzazione si scontra con le resistenze degli stati che non vogliono rinunciare alla loro sovranità; ma, allo stesso tempo, è l’assenza di una politica comune in materia di regolazione dei flussi migratori a consentire agli Stati membri di adottare decisioni unilaterali. La progressiva, ma lenta, estensione delle competenze comunitarie in questa materia ha concorso a promuovere la convergenza delle politiche in vigore nei singoli Stati. l O M o A R c P S D | 5 6 9 4 2 0 5 6 Già dal 1999 la strategia dell’Unione Europea è quella di addivenire una politica comune europea in materia di asilo e immigrazione articolata in quattro punti: a) Si sottolinea in principio di “partenariato coi paesi d’origine”, per contenere migrazioni irregolari e brain drain, con l’auspicio di incoraggiare gli immigrati a mantenere e sviluppare i rapporti con i paesi d’origine, stimolandoli a partecipare al loro sviluppo, non solo attraverso le rimesse familiari, ma anche sostenendo progetti di sviluppo, iniziative economiche, ecc., eventualmente anche attraverso programmi di rientro volontario in patria e reinserimento assistito; b) Stabilire un regime europeo comune in materia d’asilo, al fine di garantire un’equa suddivisione dei “costi” tra i vari Stati dell’Unione; c) Garantire un equo trattamento dei cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente sui territori e hanno maturato una certa anzianità di presenza, mediante una politica di integrazione che riconosca loro diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini comunitari; d) Gestione dei flussi migratori per contrastare l’immigrazione irregolare. Aspetto di maggiore novità è la riapertura delle frontiere alle migrazioni per motivi di lavoro. L’idea di fondo è che l’immigrazione, pur non essendo una soluzione ai problemi del mercato del lavoro, possa dare un contributo positivo a tale mercato, allo sviluppo economico e alla sostenibilità dei sistemi di protezione sociale. 2. LA TRANSNAZIONALIZZAZIONE DELLE POLITICHE MIGRATORIE Alla base delle regole che disciplinano le labour migrations c’è il principio della complementarietà tra la manodopera immigrata ed autoctona, ritenuto in grado non solo di rendere l’immigrazione funzionale ai fabbisogni dell’economia, ma anche di agevolare l’inserimento del migrante e il raggiungimento del suo progetto migratorio. Ma l’elaborazione di politiche che siano fedeli a tale principio si dimostra molto difficile: a) È difficile individuare e quantificare i fabbisogni di manodopera d’importazione b) Il diritto di definire unilateralmente, sulla base dei propri interessi, i criteri di ammissione, è spesso volontariamente limitato attraverso la sottoscrizione di accordi bilaterali o multilaterali. Es. Schengen l O M o A R c P S D | 5 6 9 4 2 0 5 9 indiretta (rendendo meno conveniente l’immigrazione). Si è anche cercato di ridurre le migrazioni di carattere umanitario con una progressiva comunitarizzazione della materia. Il primo passo in questa direzione è stata la Convenzione di Dublino del 1990, con la quale i membri dell’Unione Europea hanno stabilito l’impossibilità di presentare in uno dei paesi membri domande di rifugio politico che siano già state rigettate da un altro. Se un richiedente è cittadino di uno dei paesi definiti sicuri o sia transitato in uno di questi la sua domanda sarà respinta. Tale provvedimento consente d’espellere i richiedenti asilo senza violare la clausola del non refoulement. Si può quindi gestire le migrazioni di carattere umanitario, mantenendo in vita il diritto d’asilo. 2.3 Il ritorno del modello del lavoratore ospite I dispositivi di reclutamento reintrodotti negli anni ’90 privilegiano due tipologie migratorie: 1- ad alta qualificazione con politiche altamente selettive. Per quanto riguarda paesi come gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia, i filtri d’ingresso sono basati su qualifiche professionali e credenziali formative. In Europa, invece, vari paesi, in particolare Gran Bretagna e Germania, hanno lanciato programmi per il reclutamento temporaneo di alcune categorie di lavoratori. Le ragioni di questa evoluzione delle politiche migratorie sono molteplici. Essa mirerebbe a di coprire quei settori dove c’è un’insufficienza dell’offerta 19 autoctona: diffusa è soprattutto la richiesta di personale con competenze informatiche e paramediche. Tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del nuovo millennio diversi Stati Europei hanno lanciato programmi di reclutamento per professionisti di settori affetti labour shortages, laddove nei paesi di vecchia immigrazione la relazione coi fabbisogni specifici del mercato del lavoro è a volte più sfumata: si mira, più in generale, a stimolare l’arrivo di soggetti a <<elevato potenziale>>, che si presume possano dare un significativo contributo all’economia nazionale. 2- stagionali con le quali si vuole incentivare la temporaneità dell’immigrazione attraverso il ricorso a dispositivi di reclutamento “a tempo e scopo definiti”. Tutti i paesi hanno sempre mantenuto in vita dispositivi per la migrazione stagionale che rilasciano autorizzazioni all’ingresso in genere non convertibili in permessi di soggiorno di carattere permanente. Il passato però dimostra che la logica del lavoratore ospite è difficile da conciliare coi principi di uno Stato democratico, che alla lunga l O M o A R c P S D | 5 6 9 4 2 0 5 10 deve fare i conti con la presenza di lavoratori esclusi dal godimento dei diritti di cittadinanza. 2.4 Paradossi delle politiche migratorie contemporanee L’immigrazione irregolare e l’occupazione sommersa sono alcune delle inevitabili conseguenze di possibilità di ingresso legale sottodimensionate rispetto al volume della domanda di lavoro a bassa qualificazione, a maggior ragione nel caso in cui i controlli sui luoghi di lavoro sono deboli o inefficaci. Il ricongiungimento familiare è un diritto dei migranti, ma anche il fondamentale canale di ingresso legale di lavoratori stranieri che fanno lavori che gli autoctoni non vogliono. La crescita delle migrazioni familiari non ha quindi comportato la fine della migrazione da lavoro ma la sua trasformazione. Le migrazioni familiari sfuggono alla pianificazione pur contribuendo ad alimentare l’offerta di lavoro immigrato, ma esse contribuiscono anche a soddisfare la domanda di manodopera d’importazione senza dover cimentarsi col tema insidioso della programmazione degli ingressi. Riguardo alle politiche per l’immigrazione temporanea, è abbastanza evidente che la principale ragione che induce a privilegiare le permanenze temporanee è di prevenire la stabilizzazione di popolazioni immigrate, evitandone il peso sui bilanci dello stato sociale in crisi finanziaria e di legittimità ma anche ripercussioni nel medio periodo sul mercato del lavoro. Le strategie di selezione di immigrati ad alta qualificazione trascura la realtà effettiva del lavoro immigrato: i lavoratori immigrati sono quasi dovunque concentrati nei gradini più bassi della gerarchia occupazionale, anche quando possiedono buone credenziali formative. La conseguenza della scollatura tra realtà e politiche è il brain drain, che spesso si risolve nello sperpero di una forza lavoro istruita che potrebbe giocare un ruolo strategico per lo sviluppo del proprio paese. Le politiche migratorie attive, di richiamo della forza lavoro, obbediscono alla logica del “capitale umano”, ossia all’idea che tanto la scelta d’emigrare, quanto il successo del progetto migratorio, e i vantaggi per il paese di destinazione, dipendano tutti dal capitale umano investito, ossia dal titolo di studio e dal livello di professionalità del singolo migrante. Questo porta, però, a trascurare il “capitale sociale”, vale a dire della principale risorsa di cui i l O M o A R c P S D | 5 6 9 4 2 0 5 11 migranti dispongono per inserirsi nel mercato del lavoro, realizzare progetti emancipativi, ma anche la principale determinante della perpetuazione nel tempo dei flussi, e della stessa adattabilità dei percorsi migratori alle esigenze della società ospite. Altro paradosso è il fatto che le politiche siano prettamente nazionali, chiamate però a governare un fenomeno che si sviluppa tra il livello globale e locale. Lo status dei migranti e il pacchetto dei diritti che sono loro riconosciuti dipendono in larga misura da principi e regole di carattere universalistico, sanciti in dichiarazioni e trattati sottoscritti dai singoli Stati che finiscono però col circoscrivere la loro discrezionalità. Allo stesso tempo, buona parte delle sfide dell’integrazione e della convivenza si giocano a livello locale, segnatamente a livello urbano. In molte città gli immigrati sono accusati di esercitare una concorrenza sleale sul mercato del lavoro, di costituire un peso per gli apparati di welfare, di accrescere il degrado urbano e la microcriminalità; in altre l’immigrazione è ritenuta una necessità strutturale per sostenere lo sviluppo dell’economia. In ogni caso, la giurisdizione territoriale verso la quale è diretta l’immigrazione ha ben poca autorità nel controllare l’ampiezza e la composizione dei flussi migratori. Una situazione che ha provocato, in molti paesi, confronti anche acrimoniosi tra autorità e opinione pubblica locale da un lato e governi nazionali dall’altro, a volte sfociati nel riconoscimento di qualche forma di coinvolgimento degli anti locali nella formulazione delle politiche. Le politiche che regolano le migrazioni da lavoro devono tenere conto di certi vincoli: 1- Esigenza di contenere la pressione migratoria irregolare rendendo il canale legale il più vantaggioso; 2- Necessità di rispettare principi sanciti dalla Costituzione e da accordi internazionali; 3- Armonizzazione le proprie normative con quelle degli altri stati membri nell’UE; 4- Esigenza di coltivare alleanze e relazioni internazionali, alleanze, rapporti commerciali, strategie di espansione della loro influenza in determinate aree geografiche; 5- Opportunità di rafforzare l’integrazione economica regionale e la cooperazione internazionale coi paesi di provenienza dei flussi migratori; 6- Nessuna politica di programmazione degli ingressi può eludere la necessità di avere una politica di integrazione sociale.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved