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Sociologia delle migrazioni e delle politiche migratorie, Sbobinature di Sociologia delle Migrazioni

Libro di Maurizio Ambrosini. SBOBINATURE dettagliate

Tipologia: Sbobinature

2021/2022

In vendita dal 09/05/2022

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Scarica Sociologia delle migrazioni e delle politiche migratorie e più Sbobinature in PDF di Sociologia delle Migrazioni solo su Docsity! SOCIOLOGIA DELLE MIGRAZIONI E DELLE POLITICHE MIGRATORIE Testo: Sociologia delle migrazioni - Maurizio Ambrosini Il fenomeno migratorio era al centro dell’attenzione di ogni trasformazione politica presente in Italia. Un partito ha perso e ha vinto le elezioni in base al suo modo di rapportarsi col fenomeno migratorio. Quindi, il fenomeno migratorio è al centro dell’attenzione mondiale, è in continua evoluzione. “Cosa studia la sociologia delle migrazioni?” Cavalli, sociologo italiano, delinea tre soluzioni possibili: - Quella GERARCHICA: cioè pone la sociologia al vertice, è la scienza autorizzata in maniera piramidale ad analizzare questo fenomeno. Assume la posizione primaria. - Quella RESIDUALE: la sociologia va ad osservare all’interno della migrazione tutta ciò che non è stato osservato ed analizzato dalle altre scienze; - Quella ANALITICA O FORMALE: cioè focalizziamo l’attenzione sull’argomento che ci riguarda. “La sociologia si qualifica dunque per il tipo di approccio col quale guarda al fenomeno delle migrazioni, intendendole come un complesso di relazioni sociali che coinvolgono migranti (coloro che hanno già messo in atto un progetto migratorio) non migranti (coloro che non hanno messo in atto nessun progetto migratorio) e coloro che migranti non sono ma che potrebbero diventarlo (coloro che non hanno messo in atto nessun progetto migratorio ma che potrebbero attuare).” Questo è l’ambito di ricerca della sociologia: analizza le relazioni sociali, argomento centrale dell’analisi sociologica. La sociologia ha privilegiato l’analisi dei contesti d’arrivo (va a guardare quali sono le conseguenze sociali del fenomeno dell’immigrazione, cosa succede nei contesti di arrivo), altre discipline hanno spinto la loro attenzione sui contesti d’origine (quali sono le cause che spingono a partire). Tuttavia, come hanno evidenziato i più autorevoli sociologi delle migrazioni, queste ultime costituiscono dei fatti sociali totali. Abbiamo una prima definizione di migrante fornita dall’ONU: “Il migrante è una persona che si è spostata in un paese diverso da quello di residenza abituale e che vive in quel paese da più di un anno.” In questa affermazione non rientrerebbero tanti migranti di oggi, perché qui sono evidenziate tre condizioni: lo spostamento, l’arrivo e il fermarsi. Abbiamo una diversa tipologia di migranti e di migrazioni. Non tutti i migranti sono uguali. La prima distinzione da fare è relativa alla mobilità (orizzontale, verticale, ascendente o discendente), un evento prevalentemente sociale. Per definire un movimento e uno spostamento bisogna tracciare una linea e convenire che è essa sia stata attraversata. Immaginiamo che questa linea sia un confine e che questo sia stato stato attraversato. Se è stato attraversato verso l’esterno parliamo di emigrazione, se è stato attraversato verso l’interno parliamo di immigrazione. Pagina di 1 82 Dove tale linea venga tracciata geograficamente e amministrativamente è sostanzialmente una costruzione sociale e politica. La migrazione costituisce innanzitutto una forma di mobilità territoriale. Una prima e fondamentale distinzione è quella tra migrazioni interne e migrazioni internazionali. Le prime (interne) derivano dalla cosiddetta mobilità interna. Le seconde (internazionali) derivano dalla mobilità internazionale. Ovviamente la migrazione interna e internazionale si distinguono anche a seconda del confine preso in considerazione, cioè: se io dall’Italia emigro in Spagna e considero il confine italiano sto attuando una migrazione internazionale; se invece considero i confini europei, sto attuando una migrazione interna. Le migrazioni interne sono di norma libere, non sono soggette a restrizioni; mentre, quelle internazionali sono quasi sempre soggette a limitazioni, ossia a una regolamentazione: si parla a tale riguardo di politiche migratorie. Le migrazioni internazionali hanno un effetto più traumatico sia per il migrante, sia per la società ospitante, perché ovviamente (come vedremo dopo) ci saranno delle conseguenze sia nel paese di partenza, che nel paese di arrivo. Ogni migrazione internazionale è sempre preceduta da una migrazione interna. Esempio: le persone che provengono dall’Africa devono necessariamente attraversare altri Stati da dove intraprendere altre rotte, quindi prima mettono in atto una migrazione interna per poi migrare a livello internazionale. Dall’esistenza di norme giuridiche che limitano la mobilità internazionale deriva un’altra fondamentale distinzione, quella tra migrazione regolare e migrazione irregolare. I migranti regolari sono non-cittadini che sono stati autorizzati dall’ordinamento giuridico del paese in cui si trovano ad entrarvi, risiedervi ed eventualmente lavorarvi. Possono diventare migranti irregolari, perché magari hanno un’autorizzazione a tempo (ad esempio per un mese) I migranti irregolari sono, all’opposto, coloro che entrano, risiedono e/o lavorano in un paese senza esserne autorizzati. Sono irregolari o perché l’autorizzazione non l’hanno mai avuta o l’hanno avuta per un tempo predeterminato e l’hanno perduta successivamente perché magari non rinnovata. Ovviamente può regolarizzare successivamente la sua presenza. È utile introdurre un’ulteriore definizione, quella di migrazione clandestina. “Il migrante clandestino è colui che elude i controlli alla frontiera presentando documenti falsi, contraffatti o non avendo nessun tipo di documento. I classici clandestini sono quelli che viaggiavano di nascosto nei container o all’interno di camion.” È importante ricordare che all’interno di un gruppo di soggetti clandestini vi possono essere soggetti che fuggono da un paese in guerra o perché perseguitato per ragioni politiche da mettere in sicurezza e proteggere giuridicamente. Tuttavia, un paese democratico e che si dichiara rispettoso dei diritti umani può trovarsi in serio imbarazzo nel rispondere all’immigrazione clandestina. Successivamente, sono smistati nei centri di sicurezza, negli Hotspot, e dislocati nei vari paesi. Come primo step c’è l’identificazione, vengono poste una serie di domande relative alle informazioni personali (nome, cognome), domande in merito alla motivazione dell’arrivo in Italia, se si è vittima di abusi, se si è perseguitati per motivi politici, sessuali. Dopodiché c’è una richiesta ben precisa “di cosa hai bisogno?”, alla quale seguirà una risposta, magari ha bisogno di Pagina di 2 82 rotazione delle presenze (per cui ad esempio, diversi membri di una famiglia si avvicendano sullo stesso posto di lavoro. Io me ne vado e resta mio cugino con la stessa autorizzazione. L’autorizzazione è reale, ma la persona che la utilizza è differente ogni volta) o il fenomeno del transnazionalismo, un concetto che definisce un modello di insediamento che può essere definitivo pur m’intendo costantemente “un piede” nel paese di origine (mantiene la cittadinanza del paesi di origine, ma viaggia da un paese all’altro senza alcun vincolo come gli uomini d’affari, i broker) Dunque, la “durata prevista” dell’immigrazione non coincide con quella effettiva, è sempre superiore e raramente inferiore. Attualmente, le migrazioni temporanee sono quelle di gran lunga privilegiate dagli Stati di destinazione, che le vedono come una strategia per scoraggiare la sedentarizzazione delle popolazioni immigrate e tutti i problemi che quest’ultima comporta e che andrebbero risolti. Se la migrazione diventasse definitiva, si verificherebbero delle conseguenze: prima tra queste la concessione della cittadinanza, alla quale lo Stato non può sottrarsi dopo aver firmato degli accordi. Il motivo di maggiore interesse di tale distinzione è che la migrazione definitiva, tende a trasformarsi in immigrazione da popolamento (mettono su famiglia nel paese in cui sono arrivati), dando vita sia alla formazione di minoranze etniche sia alle cosiddette seconde generazioni, composte dai discendenti dei migranti e che oggi costituiscono un universo di grande interesse per i sociologi delle migrazioni. Più precisamente, si possono distinguere: - Seconda generazione nativa o primaria: comprende tutti quei soggetti che nascono in una famiglia stanziata in un contesto ben chiaro. Ad esempio: una famiglia di senegalesi mette dei figli al mondo. - Seconda generazione impropria: sono tutti coloro che sono nati in un paese dal quale sono emigrati, chiaramente insieme al contesto familiare, in un’età fra 1 e 6 anni, per cui hanno iniziato il loro ciclo scolare nel paese d’immigrazione, di origine. - Seconda generazione spuria: comprende tutti coloro che giungono nel paese d’immigrazione interrompendo il ciclo scolare, o dopo averlo completato, cioè fra gli 11 e i 15 anni, quando i meccanismi fondamentali di socializzazione hanno già sviluppato la loro azione in un contesto sociale e culturale diverso. I problemi non riguardano più solo l’attore del processo d’immigrazione, ma anche tutto ciò che ruota intorno a lui. Ovviamente non si potranno utilizzare le stesse chiavi di lettura per i soggetti di seconda generazione. Infine, occorre menzionare le migrazioni di ritorno, che possono essere anch’esse temporanee (vado e poi ritorno) o definitive, volontarie o forzate (in questo caso è preferibile impiegare il termine rimpatrio). È possibile distinguere in: - I ritorni stagionali, dettati dalla natura dell’attività lavorativa svolta (che può essere appunto di tipo stagionale, come nel caso del lavoro in agricoltura, nell’edilizia o nel turismo). - I ritorni temporanei, seguiti da una permanere prolungata nel paese di origine, cui però succede un’ulteriore migrazione (perché per esempio, è fallito il tentativo di trovare lavoro, o il progetto di avviare un’impresa). - Infine, i ritorni definitivi, che preludono a un reinsediamento a tempo indeterminato. Il ritorno in patria, è da sempre, uno dei possibili esiti del progetto migratorio. Questo per spiegare che quando parliamo di flussi migratori, questi non hanno un’unica direzione. Sicuramente sono di più quelli che restano, rispetto quelli che vanno via. Pagina di 5 82 In ogni caso, soprattutto se si verifica dopo molti anni di residenza all’estero, la migrazione di ritorno può risultare altrettanto problematica della migrazione originaria. Si riproporrà il confronto con una cultura e una società diversa da sé. È chiaro che se un soggetto vive in Germania, suo paese di destinazione, per 30 anni e poi ritorna a vivere nel suo paese d’origine metterà in atto una serie di paragoni, essendo ormai plasmato. Il dibattito intorno alle cause delle migrazioni internazionali è acceso e controverso. Le cause che spingono ad abbandonare (push factors) il proprio paese sono molteplici: - Mancanza di prospettive per il futuro, - Peggioramento delle condizioni di vita, - Cause economiche, - Degrado ambientale (raramente si emigra per questa motivazione) - Cause demografiche, (perché te ne vai? Siamo tanti. Perché vai li? Sono pochi.) - Disgregazione della struttura sociale tradizionale, - Instabilità politica, - Violazione dei diritti umani. Viceversa, le cause di attrazione (pull factors) verso un certo paese sono altrettanto varie: - Aspettative di migliori condizioni di vita, - Presenza di opportunità lavorative, - Minore densità demografica, - Cause psicologiche: curiosità e gusto per l’avventura, - Conoscenza di modelli di vita occidentali e di sviluppo industriale, - Maggiore modernizzazione, - Divariò tecnologico. Le cause di emigrazione non sono da collegarsi solo ed esclusivamente a disperazione economica. Ad esempio: pensiamo all’anziano che a 70 anni decide di andare a vivere in Portogallo. È chiaro che ci andrà perché lì con la sua pensione avrà maggiore potere di acquisto, ci sarà maggiore divertimento per soggetti della sua stessa età ecc. Gli effetti delle migrazioni nelle zone di esodo (paese di partenza) possono essere diversi: - Squilibri tra le fasce d’età della popolazione (ad esempio, se ad emigrare sono esclusivamente giovani, coloro che hanno maggiore forza fisiche per lavorare in specifici contesti, è chiaro che avremo una popolazione prevalentemente anziana). - Effetti economici, - Abbandono delle aree agricole. È chiaro che se manca la forza lavoro, le aree agricole saranno le prime ad essere abbandonate. - Maggiori conoscenze acquisite da chi rientra in patria: pensiamo agli anni ‘60, a tutti coloro che emigrarono al nord per lavoro, quando tornarono al sud apportarono una serie di conoscenze acquistate nel processo migratorio, e quindi portate indietro quando si ritorna. Abbiamo delle conseguenze nel paese di esodo: la partenza dei lavoratori sottoccupati e non qualificati ha un’incidenza sull’occupazione, la produzione, i salari. È chiaro che i primi a partire furono i più giovani. In un primo tempo, il mercato del lavoro e la spesa sociale vengono alleviati, e il reddito delle famiglie rimaste aumenta in seguito all’invio di parte dei guadagni degli emigrati. Non si sente molto la differenza, la famiglia non sente di esser diventata più povera a seguito dell’emigrazione dei figli. La somma complessiva delle rimesse (soldi guadagnati nel paese di emigrazione e inviati al paese di origine) può incidere positivamente sulla bilancia dei pagamenti dello Stato costituendo una entrata di capitale di notevoli dimensioni. Nei paesi in cui le rimesse vengono utilizzate per attuare investimenti, l’emigrazione può costituire un aiuto allo sviluppo. Se invece vengono utilizzate solo per consumi personali possono a lungo termine favorire l’inflazione. Se ad emigrare sono persone la cui crescita e grado Pagina di 6 82 qualificazione è costata allo Stato in termini educativi, sociali e sanitari, si verifica paradossalmente che il frutto di questi investimenti sia goduto nei paesi di arrivo. Ad esempio: per formare una persona io sostengo dei costi, il momento della semina, dell’investimento. Ad un certo punto, è chiaro che bisogna raccogliere i frutti quando la persona che io ho formato mi pagherà i contributi, le tasse. Se invece, questi soggetti vanno via nel momento in cui devo raccogliere i frutti, questi saranno raccolti dal paese di arrivo che non ha sostenuto nessun costo. Ad esempio: la fuga dei cervelli (esempio più importante), ma anche il semplice barista che io ho formato e poi è andato a vivere in Inghilterra che sfrutterà le sue competenze da barista. Se nelle migrazioni temporanee a partire sono i giovani, prevalentemente maschi, la popolazione subirà, per un periodo più o meno lungo, uno squilibrio sia per quanto riguarda le classi di età che per sesso: la popolazione sarà costituita prevalentemente da anziani, bambini e donne. Possono emergere carenze di manodopera, difficili da sanare in quanto è maggiore l’attrazione dei salari dei paesi industrializzati. Ad esempio: gli italiani che all’epoca emigrarono in America, è chiaro che emigrarono perché quello rappresentava un paese ricco di possibilità lavorative e condizioni economiche migliori. Non sarebbero mai emigrati in Nigeria o in Senegal, ma bensì nei paesi industrializzati con salari migliori. Invece, se a migrare sono prevalentemente donne a risentire saranno importanti settori economici come l’agricoltura. Nelle zone d’immigrazione gli effetti possono essere diversi: - Aumento demografico; - Effetti economici; - Conflitti tra generazioni: pensiamo ai giovani che non trovano lavoro. È chiaro che la colpa sarà attribuita alla generazione precedente che ha depauperato le ricchezze, magari sono andati in pensione dopo solo 20 anni di lavoro. Noi ancora oggi paghiamo le pensioni dei nostri nonni. - Xenofobia: cioè essere contro lo “straniero”. - Perdita d’identità culturale. Lezione 4 - 4/11/21 Le conseguenze nel paese di arrivo: - l’arrivo dei lavoratori stranieri può a breve termine abbassare il costo del lavoro e avere quindi un effetto positivo sulla produttività generale e permettere alle imprese di sussistere. - Infatti, il costo della manodopera costituita dagli immigrati è tendenzialmente più basso di quello della manodopera locale, sia purché questi lavoratori accettano salari inferiori, sia perché, nel caos di assunzione illegale, consentono al datore di lavoro di evadere le contribuzione fiscali e previdenziali. Anche perché coloro che costituiscono la manodopera locale si rifiutano di svolgere alcuni tipi di mansioni (italiani che si rifiutano si svolgere la mansione di badante). Pertanto, gli immigrati accettano, spinti dalle necessita, condizioni di lavoro più dure. - Inoltre, sono difficilmente sindacalizzabili. Tutto questo può avere chiaramente degli effetti negativi per quanto riguarda l’azione sindacale tesa a salvaguardare salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Il basso costo della manodopera straniera e, più in generale, la compressione della dinamica salariale disincentivano molte Pagina di 7 82 Non è il livello di reddito che fa sentire un individuo più o meno povero, ma piuttosto la loro collocazione nella stratificazione sociale. In una società in cui i livelli di reddito sono in crescita (proprio perché grazie alla rimesse effettuate dai migranti ai loro migranti rimasti in patria) cresce anche il numero di coloro che improvvisamente si sentono più poveri. La nuova economia delle migrazioni focalizza l’attenzione soprattutto su quelli che sono i fattori di espulsione (cause che spingono a partire), perché i potenziali migranti vanno a misurare il loro benessere e le proprie aspettative in rapporto alla comunità in cui vivono piuttosto che con la comunità di origine. È chiaro che se io vado in Italia e mi rapporto con l’italiano, io povero ero nel paese di origine e poverissimo sono ora. Io devo rapportarmi al Paese di origine. È chiaro che magari in Italia ci sono lavori non abbastanza riconosciuti e valorizzati dagli italiani stessi (ad esempio badante) ma sicuramente io immigrato guadagnerò di più di quanto potessi fare nel mio Paese. Per essere accettati devono adeguarsi alla situazione nuova, inizialmente dovrò rapportarmi in termini economici non con il paese di arrivo, ma con il paese di partenza perché altrimenti sarei perdente in partenza. Uno dei principali fattori d’attrazione è rappresentato proprio dalla socializzazione anticipatoria, poiché induce l’aspettativa di una vita migliore. Ad esempio: vado in Svezia perché c’è un Welfare che sostiene e permette di ricevere un mantenimento adeguato che permetterà di inviare delle rimesse a chi è rimasto in patria anche non lavorando. Un’aspettativa a volte del tutto irrealistica, ma comunque credibile agli occhi dei potenziali migranti, se si tiene conto del mito dell’Eldorado (il fiume dove c’erano le pepite d’oro): vuol dire ricchezza, dove tutto luccica, le strade sono di oro; anche se in realtà, quelle strade saranno anche di oro ma per diventarlo ci sono state stragi, trasformazioni, rivoluzioni e così via. 3). LA TEORIA DEL MERCATO DUALE DEL LAVORO: Da molta importanza ai fattori di attrazione. Il punto di partenza della teoria del mercato duale del lavoro è dunque l’affermazione che le migrazioni internazionali sono causate dal fabbisogno di lavoro immigrato espresso dalle economie delle nazioni sviluppate, ossia da fattori di tipo pull (di attrazione). Al principio, l’arrivo e l’insediamento dei lavoratori migranti sono dovuti alle politiche di reclutamento attivo messe in atto dai paesi d’immigrazione. Tuttavia, una volta avviati i flussi tendono a perdurare nel tempo anche se vengono cambiate quelle che sono le forme di attrazione, continuando a rifornire di manodopera immigrata le economie ricche, indipendentemente dal fatto che esso si esprima o no attraverso politiche che incentivano l’immigrazione. Per dare ragione di questo fabbisogno, anche all’interno di mercati del lavoro in cui la disoccupazione è tutt’altro che assente, si rileva come i salari non riflettano soltanto i livelli della domanda e dell’offerta di lavoro (come supposto dal paradigma economico), ma anche il prestigio sociale associato alle diverse professioni. Io che sono cittadino italiano non accetterò mai di svolgere la professione di badante, etichettato come lavoro di immigrato. Quindi, le persone non lavorano soltanto per produrre un reddito, ma anche poter accumulare e mantenere uno status sociale, realizzare le proprie aspirazioni professionali e garantirsi un buon livello di qualità della vita. Pagina di 10 82 Inoltre, vi sono vari fattori, anche di tipo istituzionale, che assicurano che i salari corrispondano alla gerarchia di prestigio e dello status condivisa e rispettata dalla gente: contratti collettivi, norme di legge, regole burocratiche, organigrammi aziendali. È dunque, certamente preferibile importare dall’estero lavoratori che siano disponibili a ricoprire quei posti di lavoro senza dover crescere le relative retribuzioni. “Quali sono le motivazioni che spingono a questo flusso?” In primo luogo, abbiamo ragioni di tipo culturale: i giovani studiano molto più a lungo prima di affacciarsi sul mercato del lavoro e quando vi approdano sono portatori di aspirazioni professionali decisamente più elevante di un tempo. L’aspettativa di ruolo sarà più alta. Possiamo distinguere il ruolo in ascritto e acquisito: - Ascritto: ruolo assegnato dalla nascita. Non poteva esserci mobilità sociale, il figlio del contadino era contadino. - Acquisito: ruolo conseguito con conseguenti aspettative di ruolo. Ad esempio: nel momento in cui conseguo un ruolo, come quello di AS, svilupperemo delle aspettative di ruolo. Queste aspettative saranno quelle di esercitare la professione di AS, chi non lo eserciterà entrerà nell’incongruenza di ruolo, di status. In secondo luogo, questo vale anche per i giovani meno istruiti, che sempre più spesso condividono la preclusione per i lavori pensati, insalubri, o comunque investiti di una bassa reputazione, specie quando hanno alle spalle una famiglia che permette loro di mantenere un discreto tenore di vita anche senza lavorare. La consapevolezza delle limitate opportunità cui possono accedere li porta ad accettare relativamente di buon grado la loro posizione sociale. Spesso esso consente comunque di realizzare guadagni più alti di quelli percepiti in patria, ed è rispetto alla società di origine che essi hanno la convenienza psicologica a maniere i propri riferimenti identitari e in termini di prestigio sociale. Attraverso le rimesse e i regali portati in occasione delle visite periodiche, sono in grado di esibire il proprio successo riscattandosi dalle frustrazioni quotidiane. E ancora, uno status giuridico precario spesso non gli permette di restar disoccupati nell’attesa di un’opportunità migliore, perché ciò significherebbe rischiare l’espulsione. Bisogna porre l’attenzione anche all’evoluzione della domanda: le trasformazioni dei paradigmi organizzativi e dei modelli di vita hanno contribuito a far lievitare la domanda dei cosiddetti bad jobs, ossia dei lavori che associano scarsi livelli di retribuzione e protezione sindacale. L’invecchiamento demografico ha a sua volta generato un’inedita domanda di servizi di assistenza familiare insopprimibile specie nel caso in cui figlie e nuove, avendo un lavoro, non possono più, come avveniva un tempo, farsi carico direttamente dei familiari bisognosi di cure. Parallelamente, cresce anche la domande di professionisti ad alta qualificazione, ma anche quella di lavoratori disponibili a svolgere le cosiddette “nuove servitù”: camerieri, lavapiatti, addetti alle pulizie, pony express, personale di vigilanza e di custodia, trasportatori, magazzinieri, personale addetto alla movimentazione delle merci negli aeroporti e ala pulizie delle camere d’albergo, addetti all’industria turistica e via dicendo. Altrettanti mestieri in corrispondenza dei quali, quasi dovunque, si registra un’elevata concentrazione di lavoratori immigrati o appartenenti alle minoranze etniche. Infine, anche le trasformazioni dell’apparato industriale determinano una domanda di lavoro a basso costo, che da vita al cosiddetto “sottoproletariato industriale”, ossia una miriade di posti a scarsa tutela generati dal sistema di sub-appalto a catena (ad esempio quanto avviene in Italia nel settore dell’edilizia). Pagina di 11 82 Quella che si evidenzia è dunque una divaricazione nelle condizioni di lavoro: di qui l’idea di un mercato duale del lavoro. In sostanza, mentre una quota sempre più alta dei lavoratori autoctoni manifesta aspettative elevate nei confronti del lavoro (in termini di reddito, condizioni di lavoro e soprattutto di status). Dall’altro canto, una non trascurabile percentuale dei posti offerti corrispondono a lavori poveri scarsamente retribuiti, svolte insalubri, da svolgersi in orari atipici, precari, poco tutelati, non di rado sul confine dell’economia sommersa. LEZIONE 5 - 9 novembre 2021 TEORIA DEL SISTEMA MONDO E LA NUOVA DIVISONE INTERNAZIONALE DEL LAVORO Essendoci varie tipologie di migranti, questo sta a significare che ogni tipologia si è spostata in direzioni differenti per differenti motivazioni (push factors): motivazioni economiche, culturali, di sicurezza (rifugiati e richiedenti asilo). Se teniamo conto dei primi spostamenti, quelli erano causati da cambiamenti climatici, come le carestie, terreno non fertile. La mobilità legata da motivazioni ambientali c’è sempre stata, sin dall’inizio, ma chiaramente è stata un pò sorpassata da problematiche più rilevanti, con una valenza psicologica, economica, politica. Il sociologo che ha estrapolato questa teoria, ha focalizzato la sua attenzione sulla globalizzazione. È una teoria che deriva proprio da questo fenomeno della Globalizzazione. Le cause che hanno provocato questo tipo di fenomeno sono diversi: industrializzazione, l’avvento delle tecnologie, la comunicazione, internet, i mezzi di trasporto (la possibilità di spostarci da un posto ad un altro). Quelle distanze che in passato erano viste come insormontabili, ad oggi si sono notevolmente ridotte. Secondo questa teoria, questa è la penetrazione delle relazioni capitalistiche nelle aree periferiche del globo, a essere principalmente responsabile dei flussi di persone che si originano da queste ultime e si dirigono verso i paesi più ricchi. Non sono le persone che decidono di spostarsi, ma lo fanno perché sono state penetrate da queste relazioni capitalistiche nelle periferie del mondo, cioè il centro (paese ricco) del mondo si è spostato nelle periferie (paesi poveri). Le multinazionali si sono spostate nelle periferie del mondo, cioè nei paesi poveri economicamente ma ricchi di risorse naturali, per produrre sostenendo costi inferiori rispetto al proprio Paese. Ad esempio: aziende italiane multinazionali che si spostano in un altro paese ricco di materie prime, povero di risorse economiche dove potrà continuare a produrre sostenendo un costo nettamente inferiore. La multinazionale spostandosi porta con sé ricchezza, abbigliamento, modelli culturali che spingeranno alcuni soggetti ad avviare il processo migratorio alla ricerca di quel modello da rivivere. Pertanto, tutto questo è responsabile dei flussi di persone che si dirigono verso i paesi di origine della multinazionale, nel centro del mondo. Cioè io decido di emigrare verso l’Italia perché ricerco quel tipo di modello culturale, la cucina, la ricchezza. Per esempio: vivo nella periferia di Milano, so che questa è una città ricca pertanto provo a ricercare quella ricchezza nel centro. Luogo all’interno del quale mi sento non incluso attraverso una serie di comportamenti messo in atto dalle forze dell’ordine, dal controllo sociale, non integrato quindi cerco di nascondermi, di ottenere quel vantaggio che io ricerco ma non evidenziando la mia particolarità. È lo stesso esempio di coloro che si spostano dalle periferie del mondo verso il centro del mondo. Pagina di 12 82 Lezione 6 - 16/11/21 LA STORIA DELLE MIGRAZIONI ITALIANE Si parla di tre grandi fasi migratorie: la fase preistorica, storica e contemporanea. Chiaramente, a noi interesserà la fase contemporanea: ha un suo inizio ben definito, verso il 1815. Coincide con l’indipendenza delle colonie dell’America latina. Successivamente, si focalizza l’attenzione su quella che è la storia della migrazione italiana. Viene distinta in 4 fasi: - La prima grande migrazione dal 1976 al 1900; - La seconda fase va dal 1900 all’inizio della prima guerra mondiale; - La terza fase è il periodo tra le due guerre mondiali; - La quarta fase va dal secondo dopoguerra fino agli anni 60/70. 1. La prima fase che finisce all’inizio del 900 ha una dimensione ridotta, anche se possiamo dire che è discreta nella sua quantità, perché c’è sempre un flusso migratorio che è andato via via aumentando ma sempre in maniera discreta. Non ci sono stati quei massicci movimenti di persone. Questa prima grande emigrazione italiana che riguarda il trasferimento che gli italiani misero in atto verso altri paesi è stata attenzionata in maniera discreta ma non traumatica. Trasferimento di poche persone ma continuo. In questo quarto di secolo si sono spostati quasi 5 milioni di italiani. Se possiamo trovare una motivazione di tipo economica, è stata determinata da una politica protezionistica da parte di quelle che erano le potenze europee (Francia e Germania), che vedevano un po’ colpite quella che era l’attività agricola. L’Italia che era prevalentemente, se non esclusivamente, agricola subì un tracollo economico. La gente fu costretta ad andare via dall’Italia. In questa prima fase, prevalsero le mete europee ma anche extra europee. 2. La seconda fase è quella che parte dal 1900 all’inizio della prima guerra mondiale, concise con quello che venne definito come il primo processo di industrializzazione italiana. Fu definito il periodo della grande emigrazione. In questo particolare momento, si inserisce la storia della migrazione italiana. • Migrazioni verso l’America: Nel secolo XIX e XX, milioni d’italiani hanno lasciato l’Italia, soprattutto come destinazioni l’America del Sud e il Nordamerica. Mai come in quegli anni, si assistette ad un simile esodo dalle regioni meridionali e centromeridionali della nostra penisola. Affascinate dal sogno, intere popolazioni lasciarono i loro villaggi per affrontare la grande avventura. Anche se, statisticamente parlando, i meridionali non erano presenti nella grande migrazione, ma i primi ad emigrare furono gli abitanti del Friuli Venezia Giulia e del Veneto. L’America sognata non era il continente americano, bensì gli Stati Uniti, o meglio ancora, New York e dintorni. Infatti, la stragrande maggioranza dei 4 o 5 milioni di meridionali che varcarono l’Atlantico a fine 1800 si fermò nella nascente metropoli americana, o negli immediati dintorni, e vi si stabilì definitivamente. Nel giro di pochi anni NY diventò la città italiana più popolosa dopo Napoli. La “Little Italy” (Brooklyn) come venne subito chiamato il quartiere abitato dagli italiani, contava infatti città 600.000 abitanti. In questo periodo, Brooklyn (ad oggi uno dei quartieri più ricchi) era un quartiere Pagina di 15 82 molto povero destinato alla distruzione, con costruzioni fatiscenti, dove si insediarono le grandi masse di immigrati. Questa massa enorme di arrivati non mancò di creare problemi gravissimi, soprattutto dal punto di vista igienico. Il primo impatto dei nostri emigranti con la terra sognata fu molto duro. Completamente impreparati ad affrontare il nuovo ambiente, resi ciechi, sordi e muti dall’incapacità di esprimersi in inglese. L’impossibilità di comunicare con gli altri li costrinse anche a raggrupparci fra loro fino a dare vita dei ghetti in cui le condizioni di vita sono insostenibili. A NY, per esempio, l’oltre mezzo milione di italiani che si insediò scelse di stabilirsi nei decrepiti feliciti di legno, abbandonati da tempo dai precedenti abitanti che si allungavano a ridosso del ponte di Brooklyn. Questo improvviso affollamento della zona fece naturalmente la fortuna dei padroni di case, ma trasformò il quartiere in un formicaio dove la miseria, la delinquenza l’ignoranza e la sporcizia erano gli elementi dominanti. Queste erano le condizioni in cui questa grande massa di immigrati viveva all’epoca. Si creano degli agglomerati di gruppi regionali diversi dove ogni domenica si festeggiava qualche santo patrono, dove abbondavano grida in tutti i dialetti del sud italiano, ma dove non si udiva quasi mai una parola in inglese. Un formicaio in continuo movimento, dove i pedoni dovevano essere sempre pronti a scansare le docce di rifiuti che piovevano dalle finestre, dove oltre 5 mila carretti a mano si aggiravano per le strade fangose vendendo di tutto: dai lacci da scarpe ai provoloni. Dimenticati dal loro governo, che si limitava a rallegrarsi per l’attivo della bilancia dei pagamenti favorito dalla politica dell’esportazione delle braccia, dalle rimesse, snobbati dagli aristocratici diplomatici che quasi si vergognavano a rappresentarli, questi nostri sfortunati connazionali finirono ben presto per ritrovarsi, come al paese di origine, alle merce degli speculatori e dei malviventi (sempre italiani, connazionali). Questi ghetti italiani, formatisi a NY e nelle altre città della costa orientale, rappresentarono quasi subito un grosso problema per la polizia americana. In questi ghetti, centinaia di malviventi mafiosi approdati tranquillamente in America grazie alla facilità con cui i governi liberali italiani distribuivano i passaporti per liberarsi di pecore nere, trovarono subito il terreno adatto per trapiantarvi i loro illeciti sistemi. La polizia americana si limitò di parte sua a circondare simbolicamente i ghetti con un cordone sanitario, lasciando praticamente liberi i pochi malviventi italiani di taglieggiare la moltitudine onesta e pacifica dei loro connazionali. Insomma: che gli italiani se la sbrigassero pure fra di loro. L’importante era impedire che i loro sistemi sconfinassero nelle zone più civili della città. Per giunta, gli emigrati italiani trovarono in America un ambiente decisamente ostile. Furono subito gratificati con ogni sorta di nomignoli spregiativi, tra gli i più diffuse ancora in uso sono Guinea, Wop e Dago. L’origine di Wop ha due spiegazioni: chi vuole che sia una definizione fonetica di “guappo” e chi sostiene che sia una sigla, infatti significava “without official permission” (senza permesso ufficiale) ed era una sorta di marchio d’infamia che veniva stampigliato con tale sigla accanto al nome dei clandestini o degli stranieri indesiderabili. In questo clima, gli italiani spesso furono costretti a subire le prepotenze di gangster irlandesi o ebrei che agivano sotto lo sguardo di poliziotti che erano pure irlandesi o ebrei. La polizia di NY, in quegli anni, era infatti costituita dai rappresentanti dei due gruppi ex etnici (i primi ad arrivare negli USA) con i quali gli immigrati italiani, appena giunti a NY, vennero a diretto contatto. Vale la pena sottolineare che per gli italiani immigrati l’America di quegli anni era popolata “soltanto” da irlandesi ed ebrei. Quando in realtà, a livello numerico, la presenza italiana era maggiore. Avevano quindi una scarsa percezione di presenza. Pagina di 16 82 In realtà, a governare e a comandare l’America erano i Wasp, i White Anglo Saxon Protestant, i bianchi anglosassoni protestanti, ossia il gruppo etnico più numeroso e potente del paese, ma questo gli italiani non lo sapevano: essi dovevano fare i conti col poliziotto ebreo o irlandese o col gangster ebreo o irlandese, e questa per loro era l’America. Un’America Amara. D’altra parte è risaputo che la mafia americana nacque qui, in questi ghetti, inserendosi abilmente nel vuoto lasciato dall’assenza delle leggi e da chi avrebbe dovuto farle rispettare. Fu l’apparizione spesso clamorosa di questi focolai di malvivenza italiana ad accrescere la diffidenza e l’ostilità degli americani versoi nuovi arrivati. L’opinione pubblica, solita a fare di ogni erba un fascio, finì ben presto per considerare tutti gli italiani dei potenziali malviventi o comunque gente da tenere alla larga. Fu appunto in questo periodo che si diffuse per l’America l’immagine dell’italiano suonatore d’organetto, piccolo, bruno, di razza incerta, dedito ai lavori più umili e sempre pronto a impugnare il coltello. Esiste una diversità di immagine fra italiani dei sud e italiani del nord. A questo si aggiungeva che i piemontesi, i liguri, i Lombardi erano arrivati in America molto prima dei calabresi, die siciliani e dei napoletani. Fino al 1876, per esempio, oltre 1,85 per cento dell’emigrazione italiana complessiva ere dato dall’Italia del Nord. Costoro, quasi tutti operai specializzati, se non imprenditori fantasiosi e volenterosi, si erano conquistati la stima e prestigio nel Paese ospite sia perché erano pochi (44mila su 50milioni al censimento del 1878) e sia perché erano generalmente più colti dell’americano medio. A quei tempi, d’altra parte, il termine racket aveva ancora il suo significato originale di racchetta (assumerà poi il suo attuale significato di “ricatto”) e i vocaboli esotici quali “mafia” e “camorra” neppure erano presenti all’interno del vocabolario inglese, non esistevano. • Caratteristiche dell’ emigrazione italiana: Quasi il 70% di sei proveniva dalle province meridionali e per tuti l’impatto con il nuovo mondo si rivelava difficile fin dai primi istanti: ammassati negli edifici di Ellis Island, o di qualche altro porto come Boston, Baltimora o New Orleans gli immigrati, dopo settimane di viaggio, affrontavano l’esame, a carattere medico e amministrativo, dal cui esito dipendeva la possibilità di mettere piede nel suolo americano. La severità dei controlli fece ribattezzare l’isola della baia di NY come “l’isola delle lacrime”. Il boom dell’emigrazione negli Stati Uniti fu dovuto a una serie di circostanze, per quello che riguarda l’Italia, e quindi i fattori di espulsione, furono: - la crisi della piccola proprietà; - Il declino dell’ artigianato e delle manifatture rurali; - La crisi agraria. D’altro canto, negli Stati Uniti, lo sviluppo capitalistico degli anni ‘80 dell’Ottocento alla Prima Guerra Mondiale ebbe come obiettivo la massima immigrazione. Un’altra contingenza favorevole all’immigrazione italiana negli Stati Uniti fu dato dal fatto che l’Italia si inserì nelle correnti migratorie internazionali quando i costi dei viaggi toccarono il minimo storico. Quindi, coloro che non avevano il denaro per partire, ebbero la possibilità di farselo prestare. Questo rappresentava un ricatto al quale dovevano sottostare: erano costretti a risarcirlo a dismisura. Spesso i primi arrivati erano i Pionieri, uomini che da soli partirono alla ricerca del sogno americano. Nell’altro caso, parenti, amici e compaesani raggiungevano i primi emigrati, grazie alle notizie che ricevevano attraverso le lettere inviate dall’America. Pagina di 17 82 I figli degli immigrati, grazie alla scuola sono spesso gli unici a parlare inglese in famiglia, si vedono mutamenti profondi apportati alla cultura di origine degli immigrati e lo sviluppo delle divisioni generazionali all’interno della famiglia immigrata. In America, è stato notato che sono i figli ad insegnare ai genitori, il mondo si è rovesciato. • La seconda generazione e le donne: Le prime generazioni di donne spesso rifiutano tutto ciò che è americano, in primo luogo la lingua inglese. Se costrette a lavorare lo fanno accettando lavoro a domicilio mediato da connazionali o prendendo pensionati del proprio paese di origine. Poi viene la città che esse temono e cercano di evitare il più possibile chiudendosi nel quartiere italiano e frequentando negozi gestiti da connazionali. Anche nell’abbigliamento esse tendono a mantenere le tradizioni del paese di origine: i vestiti neri, gli scialli. La drammaticità delle posizioni delle madri è data dall’incapacità di mediare tra la società esterna, che non conoscono, e i loro figli. I conflitti generazionali vengono accettati dall’esperienza migratoria, perché i figli hanno un modello esterno molto forte e nessuno strumento famigliare per farvi fronte. Le madri si sentono spesso oggetto di vergogna da parte dei figli, che sono attratti da tutto ciò che è americano, invece che di rispetto come nel paese di origine. In un rapporto dell’epoca si legge: “Ciò che è più straordinario è che le ragazze amano l’America. Le madri venute tardi qui, rimpiangono l’Italia, ma le giovani amano l’America. Già vengono qui con la conoscenza dell’importanza che ha la donna nella società americana. Le meridionali del popolo sentono per la prima volta qui che la donna è un animale altrettanto di valore quanto l’uomo e per quanto l’uomo meridionale si senta padrone di casa, è tale l’istintivo terrore del poliziotto che è pronto a cedere scettro e corona.” I rapporti più difficili si sviluppano tra madri e figlie a causa della nuova posizione in cui queste ultime si trovano in America. La loro uscita da casa è favorita sia dalla scuola che dal lavoro. Lavorano nelle fabbriche di abbigliamento, di scatole, caramelle, fiori. Anche se il lavoro non è di per sé emancipatorio, perché non vi corrisponde un’aumentata libertà di movimento la richiesta di una parte di salario per usufruire dei beni di consumo, dagli abiti agli svaghi, le porta fuori dall’ottica familistica e a mettere in discussione la finora incontrastata autorità paterna. L’atteggiamento del gruppo etnico nei confronti delle donne era anch’esso ostile. Infatti non era consentito alle giovani donne di disporre nemmeno di una piccola parte del denaro guadagnato ne di usufruire di alcune elementari libertà, se non di lavorare. Ciò era causa di molteplici discussioni in famiglia. Il caso di una ragazza napoletana fuggita di casa, a causa dei maltrattamenti subiti che si rivolse ad una segretaria degli International Institutes è abbastanza significativo in questo senso. Era la sola a guadagnare in famiglia, ciononostante non aveva il permesso di uscire da sola e, avendo disubbidito, era stata picchiata dal padre. La madre dichiarò all’As che non poteva difendere la figlia perché temeva il marito che aveva idee antiquate per quello che riguardava la sua autorità in casa. Un’altra giovane donna si lamentò con un’assistenza sociale per la scarsa libertà di cui disponeva: “Mamma è dolce e tenera con mia sorella e con me..riceviamo molto affetto, ma ogni nostro passo è controllato. Ho lavorato tre anni in una fabbrica tessile. Guadagno bene e se Pagina di 20 82 avessi gli stessi diritti delle ragazze americane so che potrei dare a mia mamma i soldi per il mio mantenimento ed avere abbastanza denaro per vestirmi bene e divertirmi. Ma devo consegnare tutti il mio salario a mio padre ogni giorno di paga. Lui dice che è per me, per la mia dote. Non vedo a cosa mi serve una dote. I ragazzi on si spettano di sposare nessuno per denaro.” Il principale terreno in cui si verificava lo scontro culturale tra vecchio e nuovo mondo era costituito dai rapporti delle figlie coi coetanei maschi e in più generale sulle scelte matrimoniali. Negli Stati Uniti si era ormai affermata per tutte le classi la concezione del matrimonio egalitario moderno, che implicava la libera scelta del coniuge e quindi il matrimonio per amore. Tra gli immigrati vigevano ancora i vecchi codici, che imponevano alle donne una scelta fatta dai genitori all’interno degli stretti recinti del gruppo etnico. Le ragazze, come emerge da moltissime testimoniante, rivendicavano il diritto di scegliere si un connazionale, ma più americanizzato, di poterlo vedere al di fuori dell’ambito familiare, di poter frequentare ragazzi senza essere costrette a sposarseli, non vogliono la dote, vogliono uscire con i ragazzi senza fidanzarsi. Nel primo caso citato, la ragazza si lamentava di non poter portare in casa il ragazzo con cui usciva “perché temeva che il padre chiedesse al ragazzo che intenzioni aveva mentre lei voleva solo divertirsi come tutti i giovani in America e non sposarlo”. Un’altra ragazza dichiarò all’Assistente sociale: “non voglio sposare un italiano, sono troppo bossy, voglio sposare un americanizzato.” Gli americani nativi non nascondevano il loro disgusto per questa nuova ondata di arrivi, e anche gli altri gruppi con cui essi venivano a contatto negli affollati quartieri abitati dagli immigrati, irlandesi, tedeschi e scandivano, tolleravano malvolentieri le abitudini rurali dei contadini italiani. • I pregiudizi: Gli italiani del meridione erano accusati di essere sporchi, di mantenere un basso livello di vita, di essere rumorosi e di praticare rituali religiosi primitivi. Le altre nazionalità si allontanavano dai quartieri all’arrivo degli italiani, denominati di regola con epiteti come “dago” e “Wop”, che suonavano quasi amichevoli rispetto alla definizione di “pesti importate dall’Europa”. I calabresi e i siciliani che approdavano alle città statunitensi da una Commissione parlamentare istituita nel 1911 per analizzare il fenomeno della nuova immigrazione, venivano individuati e descritti come coloro che davano un contributo fondamentale alla crescita esponenziale della delinquenza nelle città americane. La violenza nei ghetti italiani era vera, ma essa era dipinta come un prodotto di importazione, connaturato dalla cultura e alla tradizione dei nuovi arrivati come l’abitudine a cibarsi di pasta al pomodoro. Altri caratteri completavano il quadro dell’indesiderabilità dei nuovi arrivati. Il principale fra essi era la scarsa intelligenza, che con l’insufficiente forza fisica faceva temere che la loro presenza finisse con il corrompere i tratti originari fisici e psichici degli americani. Antropologi e sociologi dal canto loro tentavano di dimostrare i rischi di modificazione degenerativa che il popolo americano correva a causa dell’integrazione con razze la cui inferiorità era dimostrata dai comportamenti non meno che dall’indagine scientifica. Come abbiamo visto, sono proprio la cultura premoderna o contadina degli immigrati che più colpisce in senso negativo gli americani: • Un’apparenza noncuranza nei confronti delle più elementari norme igieniche, • La trascuratezza nei confronti dell’istruzione dei figli, • La condizione di palese subordinazione della donna nella famiglia. Pagina di 21 82 Quindi, la storia ci dice che questo è il passaggio culturale che abbiamo subito nel momento in cui siamo stati costretti a rapportarci con culture diverse. Lezione 7 - 23/11/21 Le politiche migratorie: L’attenzione del governo al fenomeno migratorio non ha avuto la stessa importanza così come la stata avendo ultimamente, nell’ultimo decennio, ventennio. In Italia, le politiche migratorie sono oggetto di conflitti continui, non solo nelle aule parlamentari ma in tutta la società. Ci si chiede, infatti, perché ci siano così tanti clandestini, come è possibile che centinai a di miglioria di stranieri vivano nel nostro paese senza documenti o autorizzazioni, o come è possibile che centinai di stranieri sbarchino sulle nostre coste stipati in imbarcazioni che sono poco più che rottami, anche se in realtà la domanda dovrebbe essere “Come fa uno stato umanitario che si presume rispetti i diritti umani a non intervenire?” E allo stesso tempo: perché è cosi difficile assumere un lavoratore straniero? perché tanti lavoratori stranieri devono prendere giorni di permesso dal lavoro solo per fare la coda davanti alla questura per rinnovare un permesso di soggiorno. O ancora, come è possibile che persone nate e cresciute in Italia vengano spesso considerati a tutti gli effetti come se fosse giunte nel paese il giorno prima? Ovviamente, a tutte queste domande bisogna dare delle risposte. Questi sono solo alcuni degli interrogati vi che noi ascoltiamo quotidianamente nel momento in cui parliamo d’immigrazione in Italia. La risposta a tali domande resta quasi sempre sul vago. Molti pensano che le politiche migratorie italiane siano “sbagliate” o “inadeguate”. Quando si parla di politiche migratorie, spesso ci si dimentica che spesso sotto questo termine vengono raccolte decisioni politiche molto differenti. Nel momento in cui si prende una decisione di tipo politico, bisogna attenzionare entrambi i due fenomeni: emigrazione ed immigrazione. Non ci può essere un politica migratoria che si occupa solo di emigrazione o, viceversa, non può esserci una politica che si occupa esclusivamente di immigrazione. Anche se molto spesso, l’emigrazione è considerata una scelta volontaria. Le leggi sull’immigrazione attualmente in vigore sono: • Legge Bossifini; • Testo Unico “Turco-Napolitano”: riguarda, in particolare modo, la concessione della cittadinanza; • Decreto Salvini. Domanda di Mariagrazia: Se troviamo un’imbarcazione voluminosa, un mercantile con 500 persone a bordo. L’intercettazione avviene nelle acque internazionali (oltre le 18 miglia marine sono internazionali, sotto i 18 sono nazionali). Sono due le possibilità: - Nella prima ipotesi, cercano di entrare in maniera clandestina, non lanciano nessun tipo di allarme, magari hanno un’imbarcazione adeguata per fare la traversata e rischiano; - Nella seconda ipotesi, hanno bisogno di soccorso, ma per economia sommersa, quindi traffico di droga o per altro non chiedono soccorso, qualcuno deve intervenire, parlando degli stati. Pagina di 22 82 Le procedure relative, infatti praticamente non esistono. Una volta giunti nel paese, qualora desiderosi di soggiornarvi, gli stranieri si trovavano ad affrontare due circuiti di procedure che fanno rispettivamente capo al Ministero dell’Interno e al Ministero del Lavoro. Il primo (interno) è interessato principalmente a controllare da un punto di vista politico e dell’ordine pubblico lo straniero, il secondo (lavoro) a proteggere i lavoratori nazionali dalla concorrenza. Non è infrequente che lo stesso straniero possa essere considerato “regolare” per un ministero e “irregolare” per un altro. Quindi, il Ministero dell’Interno poteva considerare lo straniero regolare poiché non pericoloso dal punto di vista politico e dell’ordine pubblico ma, contemporaneamente, il Ministero del Lavoro può considerarlo irregolare poiché rappresenta un ipotetico concorrente per il lavoratore italiano. Già negli anni ‘60, in altre parole, si registra un processo destinato a ripetersi in continuazione negli anni successivi: l’assenza di possibilità di ingresso legale produce il proliferare di stranieri in condizione irregolare, destinati a venir gestiti attraverso un ampio uso della discrezionalità amministrativa (non c’era una legge a regolare tutto ma era a discrezione) e, successivamente, attraverso procedimenti di sanatoria (sanare la situazione, ma una sanatoria individuale) che ratificano posizione ormai consolidate. Nella metà degli anni ‘60, una circolare del Ministero del Lavoro riconosce la possibilità di autorizzare al lavoro, e quindi al potenziale rilascio di un permesso di soggiorno agli stranieri già residenti nel paese, in deroga alle disposizioni di legge, purché questi abbiano fatto ingresso nel paese prima di una certa legge. Tale data, tuttavia, verrà spostata in avanti circolare dopo circolare, sino ad essere fissata per l’ultima volta al 31 dicembre del 1981. Per oltre un decennio, l’Italia ha quindi praticamente vissuto una situazione di sanatoria permanente (“andiamo in Italia tanto prima o poi esce una legge, c’è la sanatoria!”). Gli apparati amministrativi non si limitano ad utilizzare i margini di discrezionalità per gestire le conseguenze dell’irrazionalità legislativa (non c’è legge quindi si limitano a gestire le conseguenze). Tale discrezionalità viene usata anche per costruire una vera e propria politica migratoria parallela, come nel caso dei lavoratori domestici stranieri, che una serie di circolari del Ministero del Lavoro regolamentano in modo da vincolarlo al lavoro domestico co-residente a tempo pieno, al fine di riservare ai domestici italiani il più appetibile lavoro a ore. Il Ministero dell’Interno, invece, è preoccupato dei lavoratori stranieri, del loro numero crescente, mentre segue con apprensione l’aumentare del numero degli studenti stranieri delle università, di cui si sospetta una marcata inclinazione sovversiva e la presenza di un certo numero di stranieri nei movimenti politici di estrema sinistra. Inizia, quindi, ad occuparsene. Lezione 8 - 30/11/2021 La Legge 943/86 La situazione cambia nella prima metà degli anni ‘80, per motivi solo in parte legati alla crescita della popolazione straniera. Il fattore principale è infatti di tipo istituzionale: nel 1975, l’Italia ha sottoscritto una convenzione, la n. 143 dell’Organizzazione Internazionale del lavoro (OIL, istituzione dell’ONU, mentre OIM, organizzazione internazionale delle migrazioni) una convezione volta a contrastare il diffondersi di forme migratorie irregolari e a riconoscere al lavoratore straniero parità di diritti con i lavoratori autoctoni. Si tratta di una convenzione internazionale che l’Italia aveva fortemente sostenuto, essendo interessata a proteggere i propri lavoratori all’estero, molti dei quali versavano in condizione di irregolarità o erano oggetto di discriminazione nell’accesso ai servizi e alle protezioni giuridiche. Questo successo diplomatico, tuttavia, rende necessaria l’emanazione di un quadro Pagina di 25 82 legislativo adeguato, che recepisca i principi per i quali lo stato italiano si è battuto a livello internazionale. Tale legislazione vedrà la luce solo nel 1986, 11 anni dopo aver firmato la convezione. Questo ritardo si deve principalmente a due motivi: - In primo luogo, l’immigrazione resta in quel periodo un oggetto marginale, al quale non si dedicano troppe attenzioni: quando la legge verrà finalmente approvata la notizia verrà, ad esempio, trattata dai quotidiani italiani nelle pagine interne e senza troppo risalto. - Il secondo motivo, invece, è la competizione tra gli apparati burocratici nel corso del processo legislativo: ad ogni passaggio parlamentare, il provvedimento viene continuamente modificato, riflettendo i cambiamenti nella bilancia dei poteri tra le burocrazie. Questa attesa non è prima di conseguenze per gli stranieri: nel 1982 il Ministero del Lavoro, allo scopo dio fare pressione per una rapida approvazione della legge, ha sospeso le regolarizzazioni in deroga, facendo quindi proliferare decine di migliaia di posizioni irregolari e rendendo di conseguenza necessaria, nel 1986, il lancio della prima sanatoria di massa. L’approvazione del provvedimento legislativo rappresenta sicuramene un passo significativo nell’elaborazione delle politiche migratorie italiane. La legge ribadisce infatti: • il principio dell’eguale trattamento dei lavoratori stranieri e introduce: - Alcune misure per attenuare la loro esclusione dall’accesso ai servizi sociali; - Procedure per il ricongiungimento familiare e prevede la possibilità di ingressi su richiesta nominativa di un datore di lavoro italiano. La Legge Martelli (legge 39 del ‘90) Il proliferare delle posizioni irregolari negli anni successivi innesta un nuovo ciclo legislativo, che porterà nel 1990 all’approvazione della legge 39/90, meglio conosciuta come Legge Martelli (Ministro della Giustizia). Questo ciclo legislativo viene di nuovo attivato principalmente da contrasti interni al sistema politico. Nel 1989 (anno prima dell’emanazione), l’allora Ministro del Lavoro emana una circolare in cui sana diversa situazione, autorizzando gli uffici periferici a riprendere la pratica delle regolarizzazioni individuali degli stranieri irregolarmente presenti, sulla falsariga di quanto era avvenuto sino al 1982. Il ministro riconosceva così l’esistenza di una domanda strutturale di lavoro straniero, soprattutto nel settore industriale settentrionale e il fallimento delle politiche d’ammissione perseguite. Tale decisione. Tuttavia, diede inizio ad una competizione politica piuttosto accesa. La componente socialista dell’allora Governo, infatti, decise di sottrarre l’immigrazione dalle mani del Ministro del Lavoro, trasformandola in una grande “questione nazionale” che coinvolgeva l’interno Governo. A questo fine, il governò attirò l’attenzione principalmente su alcuni aspetti sicuramente progressisti del provvedimento, quali una nuova ampia sanatoria degli immigrati irregolari presenti e il ritiro della riserva geografica (cioè della limitazione geografica che consentiva la concessione lo status di rifugiato solo agli stranieri perseguitati dai regimi comunisti) per l’accoglimento delle domande. La questione migratoria diventa fortemente e rapidamente policitizzata. Acquista una centralità mai più persa. Solo quattro anni prima, la legge 943 era stata approvata praticamente all’unanimità e senza che l’opinione pubblica vi dedicasse particolari attenzioni. Mentre, la legge 39/90 vide invece: Pagina di 26 82 • forti dibattiti parlamentari, • l’attivo opposizioni di una partito della maggioranza, • l’ostruzionismo, • l’opposizione sociale delle nascenti leghe. L’approvazione della legge avvenne sotto i riflettori dei media e in presenza di posizioni fortemente polarizzate nell’opinione pubblica. La Legge Martelli viene ricordata esclusivamente per la sanatoria che la accompagnò. Anche se, bisogna tenere presente che l’ossatura principale del provvedimento era rappresentata da una riforma restrittiva delle condizioni d’ingresso nel paese, anche al fine di venire incontro alle richieste che provenivano dagli altri paesi europei preoccupati degli stranieri che, passando sull’Italia, giungevano irregolarmente sul loro territorio. La legge 39/90 introdusse quindi: - l’obbligo di visto per quasi tutti i paesi dai quali provenivano flussi migratori, - Riformò i controlli alle frontiere e attribuì importanza notevoli alle espulsioni, viste come strumento non solo di repressione del comportamento di singoli stranieri, come era stato sino a quel momento, ma anche come strumento di contrasto dell’immigrazione irregolare. Il tracollo dei regimi dell’Europa orientale, simboleggiato dallo sbarco degli albanesi a Bari, comporta tuttavia un cambiamento significativo nella percezione dei processi migratorio da parte del sistema politico e dell’opinione pubblica italiana. Sino alla fine degli anni ‘80, pur con molta ambiguità, l’immigrazione viene vista principalmente come un problema di lavoratori stranieri. A partire dalla legge Martelli, gli stranieri, soprattutto gli extracomunitari (colui che proviene da un paese non appartenente all’UE), vengono visti come una realtà, iniziano ad essere evidenti, ad apparire. Riflettendo anche i cambiamenti nell’impostazione delle politiche migratorie degli altri paesi europei, anche in Italia l’immigrazione viene vista in modo crescente come un problema di ordine pubblico e di difesa delle frontiere. Ricordiamo l’esempio: tra un americano, uno svizzero e un rumeno chi è l’extracomunitario? L’extracomunitario è l’americano (l’America non fa parte dell’UE) ma siamo portati a chiamare così coloro che stanno peggio di noi. Già l’anno successivo all’approvazione della legge 39/90, vengono annunciati ulteriori interventi voltosi a rafforzare controlli di frontiere e a riformare in senso ulteriormente restrittivo la disciplina delle espulsioni, mentre sia la riforma delle procedure d’ammissione di nuovi lavoratori, sia lo sviluppo di una politica d’integrazione sono oggetto solo ti qualche intervento retorico. L’immigrazione resta quindi una grande questione nazionale. Si pensi che per un breve periodo, l’Italia è l’unico paese europeo a dotarsi di un vero e proprio ministero dell’immigrazione. Successivamente, nel 1993, viene nominata una commissione presieduta da Fernanda Contri e incaricata di identificare i cambiamenti legislativi necessari per giungere ad un’impostazione organica delle politiche migratorie italiane. Le proposte della commissione, tuttavia, nonostante godano apparentemente di un largo consenso, sono condannate a restare lettera morta per parecchi anni. Tutto ciò che propone la commissione, in realtà, non viene mai realizzato. La riforma della legge sulla cittadinanza. Come per quasi tutti i paesi d’emigrazione, la legge sulla cittadinanza italiana era diretta principalmente a consentire agli emigrati a mantenere per il periodo più lungo possibile la Pagina di 27 82 opposizione alle proprie proposte. Opposizione non solo da coloro che erano in minoranza, fuori dal governo ma anche da coloro che erano all’interno del governo. Da un lato, ispettori centristi della maggioranza volevano fossero ascoltate le obiezioni della chiesa cattolica, del mondo del volontariato e dell’associazionismo. Dall’altra parte, abbiamo le associazioni imprenditoriali che manifestarono una forte contrarietà nei confronti di un approccio unicamente repressivo, che rischiava di privarli di lavoratori preziosi e, in molti settori, insostituibili. Infine, venne registrata la netta contrarietà di molti settori dell’opinione pubblica, preoccupati che tale riforma finisse per privare le famiglie del lavoro di cura degli stranieri (in particolare modo, ci sono alcune etnie come la popolazione indiana) divenuto ormai una componente cruciale per affrontare le emergenze familiari. Il risultato fu una legge sull’immigrazione, la 189/2002 della Bossi-Fini, che introduce alcune significative novità restrittive in tema di controllo degli stranieri, lasciando tuttavia formalmente inalterate le precedenti norme relativa alle politiche d’integrazione. Per ottenere l’approvazione, inoltre, la maggioranza si è trovata costretta ad accompagnarla con il lancio di una nuova sanatoria. Un aspetto importante della legge è l’introduzione di alcune misure volte a facilitare l’immigrazione irregolare. - Viene infatti introdotto l’obbligo per gli stranieri di rilasciare le proprie impronte digitali al momento di richiedere il permesso di soggiorno e al momento di ogni rinnovo. - Vengono, inoltre, estesi i motivi che rendono uno straniero passibile di espulsione; - Vengono inasprite le pene nel caso lo straniero di sottragga all’esecuzione del provvedimento o ritorni successivamente nel paese, - Viene raddoppiato il periodo nel quale lo straniero irregolare può essere trattenuto coattivamente in attesa dell’espulsione. Con là Turco-Napolitano lo Stato italiano poteva trattenere contro la sua volontà il soggetto che era stato oggetto di un provvedimento di espulsione e se non riusciva ad espellerlo entro questo lasso di tempo, circa 30 giorni, veniva esortato a lasciare il paese. Mentre con la Bossi-Fini viene raddoppiato il periodo di tempo. - Vengono introdotte alcune norme volta a rafforzare i controlli di frontiera, soprattutto per quanto riguarda le frontiere marittime. Queste norme hanno scatenato una vivace polemica politica, facendo parlare molti osservatori di una legge xenofoba e razzista. È anche vero che misure simili sono in vigore in altri paesi democratici e che lo stesso obbligo delle impronte digitali è stato alla fine presentato come un’anticipazione di un provvedimento che riguarderò in futuro anche i cittadini italiani, riducendone fortemente la valenza discriminatoria. La legge n.189 del 30 luglio 2002 fu approvata dal Parlamento italiano durante la XIV Legislatura (col secondo governo Berlusconi). Prese il nome dei primi firmatari, Gianfranco Fini, al tempo leader di Alleanza Nazionale, e Umberto Bossi della Lega Nord, che erano allora vice presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro per le Riforme istituzionali e la Devoluzione. La legge modificava le norme già esistenti in materia di immigrazione e asilo, cioè il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero”, un decreto del luglio 1998. La Bossi-Fini inoltre cambiava e integrava una modifica precedente, la cosiddetta Turco- Napolitano confluita poi nel TU. La Bossi-Fini entrò in vigore il 10 settembre del 2002. Oltre: Pagina di 30 82 - all’inasprimento delle pene per i trafficanti di essere umani in violazione di legge; - A una sanatoria per colf, assistenti ad anziani, malati e portatori di handicap; - All’uso delle navi della marina militare per contrastare il traffico dei clandestini, - Al rilascio dei permessi di soggiorno speciali e relativi al diritto di asilo. Le principali e più discusse modifiche introdotte dalla Bossi-Fini furono: Ingresso: - Può entrare in Italia solo chi è già in possesso di un contratto di lavoro che gli consenta il mantenimento economico. La presentazione di documentazione falsa comporta l’inammissibilità della domanda e una serie di responsabilità penali. Permesso di soggiorno: - Viene concesso solo a chi possiede un contratto di lavoro: dura 2 anni per i rapporti a tempo indeterminato (prima erano 3), un anno negli altri casi. Se nel frattempo la persona diventa disoccupata dovrà rientrare in patria. La legge aveva inoltre aumentato da 5 a 6 gli anni necessari di soggiorno in Italia per ottenere la carta di soggiorno (che permette la permanenza a tempo indeterminato): successivamente e a seguito del recepimento di una direttiva europea, sono stati riportati a 5. Impronte digitali - Per le persone che chiedono il permesso di soggiorno, ma anche per chi ne chiede il rinnovo, la legge ha introdotto l’obbligo di rilevamento e registrazione delle impronte digitali. Espulsioni di irregolari e clandestini: - Come la legge Turco-Napolitano, anche la Bossi-Fini prevede che le persone senza permesso di soggiorno ma con un documento di identità (irregolari) vengano espulse in via amministrativa, cioè dal prefetto della Provincia dove vengono rintracciate. - L’espulsione deve essere eseguito immediatamente con l’accompagnamento alle frontiera da parte della forza pubblica. Se la persona è anche senza documenti di identità (ovvero clandestino) verrà portata in quelli che prima si chiamavano Centri di Permanenza Temporanea (CPT) poi definiti Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) per 60 giorni (la Turco-Napolitano ne prevedeva 30) durante i quali sia volgono le pratiche per l’identificazione. - Nel caso non venga identificato al clandestino verrà ordinato di lasciare l’Italia entro 3 giorni (prima erano 15). Lo straniero espulso che rientra senza permesso commette reato e viene detenuto in carcere. Ricongiungimenti familiari: - Il cittadino extracomunitario in regola con i permessi può chiedere di essere raggiunto dal coniuge, dal figlio minore o figli maggiorenni perché a carico e a condizione che non possano provvedere al loro sostentamento. Ricongiungimenti sono previsti anche per genitori degli extracomunitari a condizione che abbiano compiuto i 65 anni e che nessun altro figlio possa provvedere al loro sostentamento. Falsi matrimoni: - La legge prevede che il permesso di soggiorno venga revocato se ottenuto attraverso un matrimonio con un cittadino o una cittadina italiana o con uno straniero regolarizzato a cui non sia eseguita un’effettiva convivenza. A questa norma c’è un’eccezione, se dal matrimonio sono comunque nati dei figli. Pagina di 31 82 Respingimenti: - La legge ammette i respingimenti al paese in acque extraterritoriali, in base ad accordi bilaterali fra Italia e altri paesi che impegnano le polizie a cooperare per prevenire l’immigrazione clandestina. - L’obiettivo era quello di fare in modo che i barconi non potessero attaccare sul suolo italiano e che l’identificazione degli aventi diritto all’asilo politico o a prestazioni di cure mediche e assistenza avvenisse direttamente in mare. - Per questo motivo spesso i migranti si buttano in mare dai barconi provando ad arrivare a riva a nuoto. Quella dei respingimenti in mare è stata una delle questioni più discusse anche in ambito europeo. Tra i migranti a bordo delle barche intercettare potrebbero esserci profughi in cerca di protezione internazionale e il respingimento senza prima una verifica attenta (che spesso non avviene) viola l’articolo 18 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE che recepisce a sua volta il principio stabilito dalla Convenzione di Ginevra, secondo cui gli Stati non possono rinviare i rifugiati in paesi dove questi sono perseguitati e rischiano la vita. L’assemblea parlamentare del Consiglio D’Europa ha definito “sbagliate o controproducenti” le misure prese in questi ultimi anni dall’Italia per gestire i flussi migratori. Il rapporto criticava in particolare i respingimenti e i ritorni forzati in paesi come la Libia, dove i migranti rischiano la vita. C’è poi un altro punto molto controverso. Dopo il naufragio di Lampedusa, il sindaco Giusi Nicolini ha parlato di tre pescherecci che si sarebbero allontanati e non avrebbero soccorso i migranti in mare perché il nostro Paese ha processato i pescatori che hanno salvato vite umane per favoreggiamenti all’immigrazione clandestina. Il riferimento del sindaco era probabilmente all’episodio dell’8 agosto del 2007, quando i capitani tunisini di due pescherecci salvarono 44 naufraghi provenienti dall’Africa che stavano per affogare e li portarono nel porto più vicino, cioè quello di Lampedusa. Vennero sospettati di essere scafisti, subirono un processo lungo 4 anni (con una prima condanna a più di 2 anni), 40 giorni di carcere e il sequestro degli strumenti di lavoro. Il TU sull’immigrazione prevede il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per chiunque porti in Italia dei migranti senza un visto di ingresso. La Convenzione SAR del 1979 impone sempre e comunque il soccorso in mare e l’accompagnamento dei naufraghi in un luogo sicuro. Del processo contro i pescatori tunisini si occuparono molto la stampa estera e il Parlamento Europeo: nel settembre del 2007, un centinaio di europarlamentari sottoscrissero un appello di solidarietà con i marinai tunisini. Centri per l’immigrazione: (Non nascono con la Bossi-Fini, importante!) I cittadini stranieri entrati in modo irregolare in Italia sono accolti nei centri per l’immigrazione dove ricevono assistenza, vengono identificati e trattenuti in vista dell’espulsione oppure, nel caso di richiedenti protezione internazionale, per le procedure di accertamento dei relativi requisiti. Queste strutture si dividono in: - Centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA) - Centri di accoglienza (CDA) - Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) - Centri di identificazione ed espulsione (CIE) Centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA) Ospitano gli stranieri al momento del loro arrivo in Italia. In questi centri i migranti ricevono le prime cure mediche necessarie, vengono foto segnalati e possono richiedere la protezione Pagina di 32 82 In tal modo, i ricongiungenti familiari si giovano dalla presenza di comunità etniche già stabilizzate che assistono i new comers (nuovi arrivi) nel loro percorso d’inserimento di inserimento sociale. Le procedure di chiamata di lavoratori dall’estero garantiscono al nuovo arrivato un posto di lavoro e l’ammissione di immigrati indipendenti è subordinata al possesso di requisiti ritenuti in grado di assicurare una riuscita integrazione economica e sociale (come un titolo di studio elevato, buone competenze linguistiche, un’esperienza professionale certificata, dei capitali da investire). Canada: Per combattere la mancanza di manodopera qualificata, sin dal boom economico degli anni ‘70 il Canada ha scelto politiche per l’immigrazione che sono particolarmente flessibili e aperte. Secondo gli ultimi dati, risalenti al 2010, circa il 21.3% dell’intera popolazione canadese è composta da immigrati. Toronto ha poi reso ulteriormente flessibile l’accesso al paese e i visti di studio e di lavoro per persone con qualifiche specifiche (si va da ingegneri e architetti a carpentieri e cuochi ad esempio), in modo tale da attirare anche gli imprenditori stranieri e convincerli a insediarsi in Canada per portare avanti il loro business. In sostanza, tutti gli immigrati che ricevono fondi da azienda o gruppi di investimento canadesi per il loro start-Up possono immediatamente richiedere una residenza permanente. Qualora gli affari dovessero andare male, l’imprenditore non è comunque soggetto ad alcuna deportazione e mantiene la residenza nel paese, cosi come la possibilità di iniziare un nuovo business. Diritto di asili politico in Canada: Sulla pagina del governo canadese che riguarda i visiti di ingresso nel paese “ogni persona che patisce una persecuzione ha diritto a essere protetta”. Il Canada ha quindi riconosciuto il diritto all’asilo politico dal 1951,quando è stata siglata la Convenzione sullo status dei rifugiati a Ginevra. Il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona è anche inscritto nella Carta canadese dei Diritti e delle Libertà. Australia: Se il Canada è una sorta di paradiso per gli immigrati, l’Australia è per certo i loro inferno. Il dipartimento per l’immigrazione e la cittadinanza sancisce in modo netto che,in base al Migrations Act del 1958, tutti i non cittadini o tutte le persone che risiedono illegalmente nel paese devono essere arrestate e deportate. Anche tutti coloro che hanno un visto scaduto rientrano nella categoria degli “illegali”, inclusi i bambini e i figli dei richiedenti asilo. Tutti, nessuno escluso, non possono restare sul suolo australiano e vengono deportati in centri di detenzione, come quello di Manus Island in Papua Nuova Guinea. Qui in attesa dell’asilo, possono restare per mesi o anche lunghi anni. Le organizzazioni per i diritti civili e umani hanno denunciato più volte le politiche migratorie australiane, ma l’unica risposta ricevuta dal governo è stato lo spostamento di alcuni bambini (non tutti) dai centri di detenzione alle “comunità di detenzione” o in case famiglia. Nessun barcone di disperati può approdare in Australia, questo è poco ma sicuro. E ancora che i fratellastri neozelandesi (Nuova Zelanda) non scherzano in quanto a inflessibilità: una volta ottenuto il visto, se non si rispettano certi criteri si può essere deportati. Stati Uniti: Gli Stati Uniti sono l’unico paese al mondo dove il visto di residenza può essere ottenuto anche grazi a una cospicua dose di fortuna. Negli USA esiste la lotteria degli immigrati, che, pagando una quota di partecipazione, sognano che il loro nome venga estratto. Ma solo i cittadini provenienti da un Paese con “un basso tasso di immigrazione verso gli USA” (i messicani non Pagina di 35 82 possono partecipare) possono partecipare alla lotteria. Gli Stati Uniti sono terra di frontiera da sempre. Eldorado dei migranti di tutto il mondo, possono vantare la prima legislazione in merito datata 1790, Naturalization Act. Negli ultimi due secoli si sono susseguite norme per fermare il flusso di migranti da particolari paesi del mondo (come il Chinese Exclusion Act, i cinesi sono esclusi) e per fissare delle quote. Ma è nel 1952 che viene creato un Servizio per la Naturalizzazione e l’Immigrazione. Gli USA permettono a più di 1 milione di migranti ogni anno di ottenere la residenza legale e hanno diversi tipi di visto: - uno per tutti coloro che desiderano vivere nel Paese a termine e che non sono da considerare immigrati, pertanto per loro non vale la logica del numero massimo di visti dato ai diversi paesi del mondo. - Poi ci sono tutti coloro che vogliono lavorare negli USA e che devono presentare un’offerta di impiego sul territorio americano, e contestualmente l’azienda che sigla l’offerta deve presentare al dipartimento per l’Immigrazione un certificato che attesta che nessun altro lavoratore americano che possa ricoprire tale ruolo. - Infine, ci sono i visti per gli studenti, famiglie e turisti che appartengono a una categoria separata e sono limitati nel tempo. Le macro categorie si suddividono poi in una serie di sotto- categorie che vanno a normare casi specifici o particolari. A luglio 2013, il Senato USA ha votato la riforma sull’immigrazione voluta dal presidente Barack Obama, che adesso dovrà andare al vaglio della Camera, dove si preannunciano le barricate die Repubblicani. La riforma voluta dal presidente sin dal suo primo mandato promette un percorso che arriva fino alla cittadinanza per milioni di immigrati illegali che vivono e lavorano sul territorio statunitense, la maggior parte die quali sono latinos. In più, vengono stanziati nuovi fondi per rafforzare i controlli di frontiera con il Messico. Giappone: Dire che l’Impero del Sol Levante ha leggi sull’immigrazione i restrittive è un eufemismo. Il Giappone è da secoli promotore dell’isolazionismo culturale e, pertanto, ha sempre messo in campo politiche anti-migratorie, per scoraggiare i flussi nella sua direzione. Ma esattamente come per il Canada, il Giappone sta assistendo ad un lento ed inesorabile declino della natalità di casa, con conseguenze d’invecchiamento della popolazione. Secondo le analisi, nel 2060 il numero dei cittadini del Giappone si ridurrà di un terzo rispetto ai 128 milioni di oggi. Un vero e proprio dramma per l’economia nipponica e cosi il governo di Tokyo ha deciso di correre ai ripari, aprendo le porte agli immigrati. Sostanzialmente, il Giappone ha un sistema a punti per ottenere il visto di residenza e di lavoro sul suo territorio. Il nuovo sistema è entrato in vigore nel 2018: gli immigrasti guadagnano punti sulla base del loro curriculum accademico o sulla loro esperienze nel settore degli affari. Tutti quelli che hanno delle capacità specialistiche (come docenti, medici e manager d’azienda) possono godere di una corsia preferenziale per ottenere un visto di residenza e di lavoro. Insomma, l’impero del Sol Levante premia con la Green card i più meritevoli in vari campi. Per tutti gli altri le porte restano serrate. Diametralmente opposto è il modello del lavoro temporaneo, caratteristico dei paesi europei (in particolare, la Germania, la Svizzera e, per certi aspetti, il Belgio) e più recentemente adottato anche da alcune nazioni medio orientali importatrici di manodopera. Nel confronto con quelli che si rifanno al precedente modello, questi paesi o manifestano una reticenza a riconoscersi nel ruolo dei paesi d’immigrazione e d’insediamento permanente delle famiglie e delle comunità immigrate, privilegiando e dei programmi di rotazione delle presenze. Pagina di 36 82 L’ammissione dei lavoratori stranieri avviene in relazione a specifici fabbisogni di manodopera che riguardano imprese, settori o attività verso i quali sono dirottati i nuovi arrivati. I permessi di residenza sono strettamente collegati al lavoro e soggetti ad un regime vincolistico, che ne fissa la scadenza (alla quale ci si aspetta che i lavoratori stranieri facciano ritorno al proprio paese) o che comunque richiede il loro rinnovo periodico. La mobilità settoriale e professionale è in linea di principio estremamente ridotta. Coerentemente con quest’impostazione, la naturalizzazione è un fatto episodico, regolamentata da un regime altamente restrittivo, al pari delle altre procedure d’accesso alla cittadinanza. La figura idealtipicamente associata a questo modello è quella di Gastarbeiter, ossia il “lavoratore ospite”, presente in relazione ad uno specifico fabbisogno di manodopera: per lui è previsto un accesso limitato ai sistemi di sicurezza sociale, l’esclusione dagli assegni familiari, la negazione del diritto al ricongiungimento familiare, perfino la segregazione dal punto di vista abitativo, altrettanto strumenti per disincentivarne l’insediamento. Un terzo modello, intermedio ai due precedenti, è quello seguito dalla Francia e, con alcune varianti, dalla Gran Bretagna e dall’Olanda. Si tratta di un approccio più flessibile del pretendente, sia dal punto di vista dei controlli sul lavoro straniero, sia da quello della possibilità per il migrante di rafforzare il proprio status e ottenere la cittadinanza. In genere, gli immigrati d’altra provenienza hanno beneficiato di un trattamento di minor favore, pur vedendosi esteso il diritto al ricongiungimento familiare, alla residenza permanente e alla stessa naturalizzazione, in virtù di una legislazione improntata al diritto al suolo (che consente di acquisire la cittadinanza dopo un certo numero di anni di residenza nel paese). Danimarca: Il caso danese è considerato molto controverso ed è oggetto di feroci critiche da parte delle organizzazioni dì per i diritti umani. Il governo offre incentivi per lasciare il paese agli immigrati che non. Riescono ad integrarsi con la cultura della Danimarca. Gli incentivi sono una conquista del partito Xenofobo Danish People’s Party, che sul sup sito recita: “La Danimarca non è un paese per immigrati e non lo è mai stato. Per questo noi non accetteremo mai la trasformazione in una società multietnica”. Spagna: La Spagna, invece, è tra i paesi europei più aperti nei confronti dei migranti, ma negli ultimi due anni il flusso invece che in in entrata è stato in uscita. Ma tra immigrazione e integrazione ci passa il mare e cosi con l’inizio della crisi i rappresentati locali del Partido Popular hanno cominciato a chiedere la riduzione degli ingressi e, al tempo stesso, la diminuzione dei servizi erogati agli immigrati. Chi vorrebbe più vivere in un paese in crisi profonda dove trovare lavoro è un miracolo? Così, il governo conservatore di Rajoy ha lanciato la “residenza per arabi e russi”, come è stata soprannominata. Sostanzialmente, è possibile ottenere un visto per residenti in Spagna contestualmente all’acquisto di un immobile dai 500.000 euro in su. La nuova orma entrerà in vigore il 1 gennaio 2014 e molti ricchi europei, come i Francesi, già stanno oppressando di comprare casa in Spagna per godere della residenza e di un regime fiscale più basso. Svezia: È il primo paese dell’indice MIPEX (Migrant Integration Policy Index) ed è nota per l’accoglienza riservata ai profughi musulmani proveniente da ere di guerra (come Somalia, Iraq e Siria). Ma con Pagina di 37 82 • Nei Paesi occidentali a sviluppo avanzato di culto cattolico, emerge una motivazione migratoria femminile di tipo economico; la donna negli ultimi anni risulta essere, in questi paesi, la protagonista del processo migratorio, arriva sola nel paese di immigrazione e cerca di inserirsi nel mondo del lavoro, spesso accettando si svolgere lavori domestici anche dequalificanti, in quanto il loro titolo di studio è di livello medio-alto, pur di permanere nel loro stato di autonomia e poter portare avanti il proprio progetto migratorio. Con questa figura femminile decade l’immagine, l’etichetta di donna inattiva, invisibile. Sono donne forti, intraprendenti e decise a riuscire nel loro progetto di promozione economica e sociale. • Differenti sono le motivazioni che spingono le donne mussulmane dei Paesi dell’Asia e dell’Africa ad emigrare. In primo luogo, troviamo l’immigrazione effettuata per ricongiungimento familiare, seguita d a una migrazione effettuata per fuggire ad una cultura non più condivisibile. Non è quindi la stessa cosa emigrare da uomo o da donna. Non sono uguali le motivazioni che spingono alla partenza, ne sono uguali le opportunità, una volta raggiunta la meta. Ci sono motivazioni tipicamente femminili come: ricongiungimento familiare, desiderio di emancipazione e rottura dei legami familiari. Pluralità quindi di motivazioni abbiamo detto tipicamente femminili che rappresentano una disponibilità di cambiamento anche sul piano culturale. Non è possibile ridurre le motivazioni delle donne al siglo aspetto del miglioramento economico. A volte la partenza è stata causata da un episodio o da una situazione di frattura: - a volte, è stata una rottura dei legami familiari o di coppia a provocare l’esodo (divorzio, ripudio, abbandono da parte del coniuge); - Altre volte la partenza viene a sancire, in maniera definitiva, la non adesione della donna ai valori tradizionali, e la volontà di sfuggire ad una condizione di vita regolata da norme culturali e sociali che non è più disposta ad accettare. Altre specificità dell’emigrazione femminile. Vi sono altre caratteristiche specifiche, che differenziano la migrazione femminile rispetto quella maschile. Le donne ad esempio sono in una situazione più regolare dal punto di vista giuridico: questo perché spesso inserite in un segmento del mercasti del lavoro come quello domestico che offre occasioni di collocamento diverso. Mentre, l’uomo lavora nell’edilizia, nell’agricoltura, in contesti dediti allo sfruttamento. Non che la donna non venga sfruttata, anzi. Sono meno erranti nel territorio, sanno meglio degli uomini dove andare e cosa fare, seguendo i percorsi indicati da un reticolo informale di sostegno e solidarietà femminile. La donna empira più consapevole e decisa nelle scelte che riguardano il proprio progetto migratorio. Questa maggiore determinazione è dovuta alla sofferenza causata dalla frattura con i legami con la famiglia di origine, che rende più definitiva la scelta. L’esperienza migratoria è segnata, per tutte le donne, da una condizione di solitudine affettiva. È il senso di non appartenenza, di precarietà che viene attribuito da tutte alla disgregazione del nucleo familiare di origine. La lontananza dai genitori, dalle sorelle, la mancanza di parenti in Italia, sono le cause di tale vuoto. Durante la migrazione, inoltre, si modificano e si ridefiniscono, a volte dolorosamente, i ruoli familiari. L’autorità dell’uomo, marito e padre, subisce un processo di cambiamento che può portare a due situazioni opposte: da una parte il tentativo di rimediare alla perdita di potere con un Pagina di 40 82 aumento di autoritarismo, fa prevalere quel non riconoscimento con la forza che porta a degli sfasci familiari non secondari. Dall’altra, il ricorso alle cosiddette alle menzogne socialmente necessarie con le quali si nega in maniera esplicita il cambiamento e le trasformazioni per non vedere la realtà, vivendo nell’illusione che tuto continui ad essere come prima , come nel paese di origine. In queste situazioni, la donna più dell’uomo è chiamata a gestire i conflitti all’interno della coppia e della famiglia. Deve così essere in grado di combinare un nuovo modo di essere e di fare con l’immagine di se che la tradizione esige e richiede (sottomissione, subalternità) per non correre il rischio di costituire una minaccia per l’autorità del capofamiglia, già compromessa dalla situazione di marginalità e di non potere nella quale si trova a vivere l’immigrazione straniero. La donna mediatrice tra culture. La migrazione per molte donne si colloca in momenti cruciali della loro vita (passaggio alla vita adulta, partenza dopo il matrimonio, nascita dei figli) cosicché il soggiorno nel nuovo paese espone a cambiamenti importanti che riguardano aspetti fondamentali dell’identità personale. Esse si trovano a vivere eventi cruciali della loro vita in un contesto completamente diverso. Lavoro e ruolo domestico Il lavoro domestico è sicuramente l’occupazione più diffusa tra le donne immigrate in Italia, ma non l’unica. È tuttavia un dato di fatto l’inserimento delle immigrate anche nella piccola e media impresa manifatturiera e nei servizi connessi alla cura della persona, soprattutto di bambini ed anziani). In questi ultimi anni è avvenuto un cambiamento nell’ambito del lavoro domestico: dalla figura di colf fissa alloggiata presso l’abitazione del datore di lavoro si sta passando sempre di più ad una occupazione ad ore, soprattutto per le donne arrivate in Italia da più tempo. Il lavoro di colf a tempo pieno rappresenta per la donna appena arrivata un’opportunità di risolvere subito il problema della casa e della regolarità giuridica. La famiglia del datore di lavoro può costituire un primo punto di riferimento, data l’iniziale mancanza di strumenti, specie di tipo linguistico. Questo tipo di lavoro implica molte difficoltà: i ritmi di lavoro e gli orari spesso estenuanti, come la mancanza di una vita privata, contribuiscono ad incrementare lo stato di isolamento della donna immigrata ed a relegarla nella situazione nota nella letteratura come invisibilità sociale. La Famiglia mista Tognetti Borgogna fornisce questa definizione di famiglia mista: “Consideriamo una relazione mista, o per usare la definizione più frequente, matrimonio misto, quell’unione fra individui appartenenti a contesti culturali differenti, a paesi diversi, interessati da un’esperienza migratoria.” Qui ci si riferisce unicamente alle coppie formate da una persona autoctona e da un soggetto immigrato. La coppia mista viene vista come un laboratorio in cui si deve elaborare una relazione inedita, con un nuovo linguaggio. I matrimoni misti hanno subito una notevole espansione e tra i fattori che hanno contribuito a questa crescita si riscontra: - Un consolidamento del fenomeno dell’immigrazione; Pagina di 41 82 - Maggiori possibilità di interazione tra appartenenti a razzie diverse; - Minor controllo delle famiglie sulle scelte matrimoniali. Per ovvi motivi, in Italia i matrimoni misti sono più diffusi nel centro nord e non al Sud. Le motivazioni che spingono gli individui a contrarre un matrimonio i misto sono diversi: • Il primo è il matrimonio di convenienza o per le carte. Il legame coniugale con una persona del posto è uno dei metodi legali per riuscire ad ottenere la cittadinanza del paese ospitante. • Il matrimonio riparatore è l’unione che avviene dopo la nascita di uno o più figli. Questo tipo pare sia diffuso in alcune comunità e quando il padre è italiano. • Il matrimonio elettivo viene contratto da due persone con diversa nazionalità per affinità affettiva, in questo caso viene dato spazio al sentimento. • Quando il partner straniero viene spinto al matrimonio per la voglia di raggiungere la modernità dei paesi occidentali, per conoscere culture diverse della propria il matrimonio è definito “intellettuale”. • Il matrimonio d’agenzia o negoziato è più raro, ma presente e consiste nella scelta da parte di un individuo, più frequentemente maschio italiano, di scegliere la propria moglie attraverso catalogo o foto; • Il matrimonio per motivi culturali costituisce una via di fuga dal proprio gruppo, dalla famiglia, non condividendo più i valori tradizionali. Il matrimonio in generale è visto come un modo per prendere le distanze dalla famiglia e dai valori tradizionali. Un’ulteriore conferma di questo è dato dal numero piuttosto cospicuo di figli nati al di fuori del matrimonio nelle coppie miste. All’interno di questa tipologia di unione, l’analisi dello studio di questa famiglia si è focalizzato principalmente sullo studio di tre aspetti: - Identità culturale dei partner; - Rapporti con la famiglia di origine; - L’educazione dei figli. L’identità culturale: L’identità svolge una funzione di sintesi. Essa concorre alla rappresentazione che abbiamo di noi stessi e degli altri, ma anche quella che il nostro ambiente ha di noi e di quelli che siamo. Sono compresi molteplici addetti: la cultura, l’etnia, il corpo e la sessualità. Proprio per questo i componenti delle coppie miste hanno il compito di negoziare e mediare le differenti visioni che hanno della vita e del mondo per riuscire a dare origine ad una nuova identità familiare. L’appartenenza a due culture diverse è stata riconosciuta come fonte dio stress, può essere causa di insoddisfazione della relazione, in quanto ognuno ha aspettative non similari rispetto al matrimoni. Anche per questo le unioni coniugali miste sono viste come più soggette al fallimento. I rapporti con la famiglia di origine. Le reazioni della famiglia di origine al matrimonio misto del proprio figlio sono differenti da coppia a coppia. Esse non sono mai ne totalmente oppositive e ne tanto meno favorevoli. Variano molto a seconda dell’apertura della famiglia verso le diversità. Parlando della famiglia di origine dell’ immigrato si crea certamente una doppia rottura: - la prima perché il figlio si sposta, - la seconda perché il matrimonio in terra straniera sancisce una rottura definiva. La famiglia di origine di entrambi è comunque coinvolta in prima linea nell’unione coniugale, non solo per l’adattamento alla nuova situazione, ma perché spesso devono fungere da cuscinetto tra la nuova coppia e la società d’origine. I genitori spesso sono i destinatari delle disapprovazioni da parte di parenti e conoscenti. Pagina di 42 82 comportamento) creati o condivisi da un segmento della società. Non siamo in presenza di una minoranza, ma di un settore di omogeneizzazione culturale che si diversifica per quanto riguarda alcuni aspetti. Non rinnegano o non fanno parte della cultura dominante, anzi rispecchiano i tratti essenziali della stessa ma si differenziano per altri. Vi sono subculture professionali che si distinguono per la loro specializzazione; subculture etniche e regionali si distinguono per le loro determinazioni storico-sociali. Mentre, le subculture dei tifosi per il loro comune interesse calcistico. Gli elementi della cultura: Abbiamo i concetti, le relazioni, i valori, le norme. I concetti: sono strumenti con cui le persone organizzano la propria esperienza; Le relazioni: ogni cultura ha delle credenze rispetto a come i concetti stanno in relazione nello spazio e nel tempo, cioè cosa significano. I valori: sono degli obiettivi verso i quali gli essere umani dovrebbero tendere, sono idee che definiscono cosa è importante, degno e desiderabile. I valori orientano la nostra azione. Vi sono valori eticamente condivisi o non condivisi. • I valori possono essere universali e/o particolari. • Possono coesistere tanti valori diversi in una stessa società. • Possono essere organizzati tra di loro. • ovviamente possono cambiare nel tempo. Le norme sono regole di comportamento che riflettono e incarnano valori di una cultura. Indicano come è necessario comportarsi per rispecchiare i valori della propria cultura. Abbiamo le: - Norme tecniche: ciò che facciamo per abitudine o per ragion tecniche; - Norme sociali: sono regole scritte o non scritte che descrivono come bisogna comportarsi in determinate situazioni della vita sociale. La maggior parte delle norme sociali sono caratterizzate dall’uso implicito o esplicito di espressioni quali “si deve”, “è fatto obbligo di”, “è giusto che”, “non bisogna, non si può”. Le norme assumono specificazioni diverse che possono essere classificate in più di una tipologia: 1. Norme d’uso: dette anche norme rituali, dono le usanze, le consuetudini, le maniere proprie di una certa società o gruppo. Ad esempio: il modo di vestirsi a seconda della circostanza, oppure l’uso di portare un regalo all’amico che invita a cena a casa sua. 2. Norme di costume: sono norme che si riferiscono a situazioni di maggiore rilevanza sociale come la condotta pubblica e privata di un individui, il modo in cui si svolge il proprio ruolo familiare, l’osservazione dei codici di deontologia professionale. 3. Norme morali: specificazione delle precedenti, sono le norme di costume più prossime ai valori fondamentali che orientano i membri di un sistema sociale. 4. Norme di diritto: sono le norme giuridiche che a loro volta possono essere suddivise in norme di diritto consuetudinario e norme di diritto istituito (leggi e regolamenti). 5. Norme tecniche: sono le norme che intendono regolare le attività produttive ed espressive di carattere ricorrente, allo scopo di ottimizzare sia l’utilizzo delle risorse necessarie sia il risultato finale. Gli esempi sono infiniti. Pagina di 45 82 Per affrontare una discussione sull’idea di una cultura bisogna procedere con una metodologia avalutativa, sgombra di giudizi invalidanti (essere oggettivi). Uno dei migliori contributi che uno scienziato sociale possa dare alla società in cui opera è forse quelli di non lasciarsi guidare solo dalle proprie preferenze politico-culturali, altrimenti il rischio è quello di vedere la realtà attraverso le lenti di un’ottica troppo personale per essere disponibile alla comprensione di quanto è diverso dal proprio punto di vista. Non bisogna guardare le situazioni con i propri condizionamenti culturali, non bisogna interpretare o leggere secondo quella che è la mia cultura. La cultura è al centro degli interessi di tre tradizioni della sociologia classica (sono importanti): - La scuola di Chicago; - La scuola francese di sociologia; - La tradizione tedesca. Principali sociologi: Weber, Durkheim, Simmel, Giddens. (IMPORTANTI DA RICORDARE) La scuola di Chicago: Gli autori sono interessati alla vita culturale nelle città americane. Studiano i nuovi processi di integrazione, di comunicazione (il genitore non sa rapportarsi perché non conosce la lingua, scende di un gradino, di ruolo e utilizza i figli per conoscerla meglio) e di mobilità sociale (la capacità di voler modificare il proprio ruolo iniziale, quella ascendente è agita, cioè io la inseguo per voler migliorare il mio ruolo, per guadagnare di più; mentre, quella discendente è subita, ad esempio: sono lavoratore dipendente e vengo licenziato, da aver un reddito divento disoccupato senza reddito; oppure, la separazione (matrimoniale) che mi “obbliga” a dare un mantenimento economico. Gli autori subiscono molto l’influenza dell’antropologia culturale. All’interno della scuola di Chicago abbiamo William Thomas. Egli studia gli immigrati nelle città statunitensi e ritiene che: - Le differenze di integrazione siano legate alla cultura: ci sono delle culture che si integrano più facilmente rispetto ad altre. - La cultura abbia un carattere interattivo e processuale: è la cultura di appartenenza che è fondamentale nell’integrazione e nel processo di integrazione. Secondo Thomas e Zananiechi (il contadino polacco in Europa e in America, 1918) la cultura di origine degli immigrati incide sul modo in cui si inseriscono nella comunità di arrivo. La comunità di origine è importante nell’inserimento nella cultura di arrivo. I polacchi avevano meno problemi di integrazione rispetto agli italiani. È importante l’interpretazione che l’individuo da della situazione oggettiva in cui si trova. Se io sono radicato nella cultura nel mio paese d’origine è difficile interpretare e adattarsi a situazioni nuove e diverse. Ad esempio: il settentrione di adattava molto meglio in America rispetto al meridione, caratterizzato da sottomissione, patriarcato, non sviluppo. Le differenze tra immigrati non sono legate a diversità biologiche ma allo specifico patrimonio culturale, ovvero all’insieme di atteggiamenti e valori che un gruppo immigrato porta con se. Thomas delinea la teoria dell’uomo marginale che sarà approfondita da Park. L’uomo marginale sperimenta un’incongruenza tra il sistema culturale della comunità da cui proviene e quello della società di arrivo, vivendolo come una duplice perdita: - Di status, perché non viene riconosciuto da parte del suo ruolo; - Di senso del proprio sé, ossia di riconoscimento del suo ruolo all’interno del gruppo. Per la prima volta viene messo in luce lo stretto rapporto tra identità e cultura: tra convenzione di sé e forme del riconoscimento sociale. Pagina di 46 82 All’interno della Scuola di Chicago abbiamo anche i coniugi Lynd che studiano la vita all’interno delle middletowns (città medio grandi) spostando l’attenzione dalle metropoli alle realtà urbane. Evidenziano l’isolamento tra le persone e la distruzione delle comunità e dei vicinati tradizionali: le persone sono isolate, distruggono le tradizioni. Se ad esempio nelle grandi città è giustificato il fatto che non tutti si conoscono, nelle piccole città invece ci si conosce molto più facilmente. Quindi la domanda è “perché la gente si comporta come vivesse nelle grandi città?” Inoltre, scoprono la resistenza al cambiamento culturale nelle piccole città. Robert Park, invece, accentua gli aspetti conflittuali legati alla diversità culturale. Applica il metodo etnografico per studiare le zone e i quartieri in cui si articola una città (i vicinati). È il sociologo per eccellenza che ha studiato il sistema urbano. Bisogna tenere in considerazione delle 6 dimensioni della cultura: - Dimensione soggettiva: i modi di pensare, sentire, credere dell’individuo e che ne caratterizzano la personalità e il comportamento. Anche oggi, nel nostro linguaggio usiamo l’espressione “X è una persona di grande cultura”, in genere intendiamo dire che X è una persona che ha studiato, letto, appreso e interiorizzato, riuscendo a esternare visibilmente, con il suo modo di agire, la conseguente acquisizione di facoltà elevate. - Dimensione oggettiva: l’idea che la cultura esiste al di là dell’individuo, lo precede e lo supera come maniera d’essere collettiva, come eredità sociale e deposito del sapere. La cultura dunque viene concepito come autonoma e costrittiva rispetto al soggetto. La cultura esiste a prescindere dell’individuo. - La dimensione di riduzione della complessità: di fronte all’infinità complessità della realtà e alla sua indeterminatezza, la cultura ci permette di dare senso e significati determinati a ciò che ci circonda. Esempio: fidanzato che il giorno di S.Valentino porta alla sua fidanzata una rosa rossa, lei saprà dare senso e significato a quel gesto. - La dimensione cognitiva: in quanto definisce e spiega la realtà, l’immagine che abbiamo noi del mondo, gli schemi che ho per cercare di capire una società. La cultura consente di acquisire informazioni e conoscenze, di stabilire modelli di pensiero in grado di soddisfare le esigenze. - La dimensione prescrittiva: perché la cultura assolve il compito di regolazione dei rapporti tra i membri di una determinata collettività. Così valori e norme orientano il modo in cui gli individui e le collettività agiscono, rendendo prevedibile e integrabile il loro comportamento affinché sia possibile l’instaurarsi di un ordine sociale, qualunque esso sia. Regole e valori condivisi contribuiscono a rispondere a domande quali: che cosa è buono o cattivo? Adeguato o giusto? Tutte le dimensioni sono collegate tra di loro, sono strettamente intrecciate e trovano legittimità proprio nella loro stretta dipendenza. La cultura dà quindi significato, orientamento e spiega l’efficacia dell’azione umana. Ogni modello culturale non è universale. Risulta essere più conveniente rifugiarsi nella propria zona di sicurezza, cioè nell’ambito culturale di appartenenza. Per conoscere meglio la propria patria bisogna uscire fuori, affrontando nuove realtà da confrontare poi con la propria. Ma neppure in questo caso mancano rischi e imprevisti, come la possibile sopravvalutazione del modello culturale altrui o al contrario il ritorno in patria per esaltarlo come il migliore possibile. Pagina di 47 82 - mercarti privi di regole: ad esempio: il presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, cambiò completamente le regole della quotazione in borsa, dell’economia di mercato. Per lui non era necessario fissare delle regole prima del verificarsi di un problema (per questo mercati privi) per poi arrivare alla crisi del 2008, in cui ci si è resi conto che il mercato era fallimentare. L’economia di mercato (prevalentemente finanziaria e speculativa) fa prevalere la legge del più forte, così chi è più debole soccombe). Valori come la dignità umana, la solidarietà, l’istruzione e la lotta alla povertà sono prodotti esterni al mercato, e vengono sacrificati sotto la spinta della competizione globale. Potere e benessere si concentrano in gruppi ristretti di persone, di nazioni, di grandi aziende multinazionali e tutti gli altri diventano marginali. - Conseguente affermazione di un pensiero unico e di un’unica concezione dell’uomo, quella occidentale (l’uomo faber, laborans ecc); - Crescita della disuguaglianza e del dislivello tra i redditi. Vi erano paesi più ricchi e sviluppati contrapposti a paesi sottosviluppati e poveri economicamente. La Cina, ad esempio, era un paese in via di sviluppo, per poi essere ad oggi una delle più grandi potenze economiche del mondo. - Creandosi queste disuguaglianza, c’è stata gente costretta ad emigrare; - Aumento dell’inquinamento e crisi ecologica; - Degrado delle megalopoli; - Fine dello Stato-nazione e della sovranità nazionale; - Società del rischio “globale” (Beck); - Omologazione dei gusti e degli stili di vita; - Diffusione di valor occidentali secolarizzati (occidentalizzazione del mondo). All’interno di queste trasformazioni, c’è stato il prevalere di una parte su un’altra. I migranti sono stati visti come la parte debole, intesi come coloro che fuggivano, visti in malo modo, come invasori. Così come ci sono delle forze positive che gestiscono o meno questi movimenti migratori, ci sono inevitabilmente delle forze, comportamenti negativi. Ci si è chiesti: “Come mai le migrazioni continuano a perpetuare anche se c’è un cambiamento iniziale?” A questa domanda risponde la teoria istituzionale: ci sono delle istituzioni legali e non legali che favoriscono questo flusso migratorio. Ora andremo a considerare quelle che sono le organizzazioni illegali. Trafficking e Smuggling (Traffico e Passaggio) Con il termine “migranti trafficati” ci si riferisce a quegli individui costretti o persuasi ad emigrare da altri, interessati a trarne profitto o a sfruttarli una volta giunti a destinazione e, trattenuti contro la loro volontà, ridotti in schiavi. Lo smuggling è il semplice aggiramento dei vincoli all’ingresso e il favoreggiamento dell’ingresso irregolare ad opera di un “passatore” (smuggler) incaricato dietro compenso di aiutare clienti consenzienti a varcare le frontiere illegalmente. Con il trafficking invece si identifica il più vasto e grave fenomeno della tratta di esseri umani, per cui il trafficante è colui che facendo entrare che delle persone in un altro paese con l’inganno o con la violenze, le assoggetta al suo potere sfruttandole in diversi modi (prostituzione, lavoro forzato, mendicità) o rivendendole ad altri trafficanti. Sfrutta il desiderio di migrare della gente! Due sono essenzialmente i fattori determinanti del passaggio dalla schiavitù di tipo tradizionale all’esplosivo diffondersi della nuova: boom demografico in quei paesi dove c’è il flusso in uscita Pagina di 50 82 (in Italia siamo sotto il tasso di sostituzione, secondo il quale ogni donna dovrebbe avere almeno 2.48 figli. Siamo un paese vecchio, ogni anno abbiamo più morti che vivi.) e modernizzazione, uno dei mutamenti sociali fondamentali che studia la sociologia. Ma se il nostro è un paese vecchio, come è possibile che ogni anno il numero della popolazione italiana aumenta? Questo è possibile perché vi si aggiungono i nuovi cittadini, ovvero gli stranieri residenti con regolare cittadinanza. 1. Da una parte, è possibile constatare come il drammatico aumento della popolazione mondiale dopo la Seconda Guerra Mondiale abbia fatto crescere verticalmente l’offerta di schiavi potenziali abbassandone il “prezzo”. L’Italia dal ‘60 al ‘66 circa ha subito un boom demografico. 2. D’altra parte, si osserva che il rapido mutamento sociale ed economico portato dalla modernizzazione in molti paesi in via di sviluppo ha concesso immensi benefici a ristrette élite permettendo, nello stesso tempo, il peggioramento del processo di impoverimento di molti individui. Una stima esatta del numero totale delle vittime della tratta è difficile da ottenere a causa della natura clandestina del traffico stesso, e dei problemi legati alla rilevazione e documentazione degli episodi di traffico. Questo poiché la parte clandestina non dovrebbe proprio esserci: se io lo fermo so che è un clandestino ridotto in schiavitù, altrimenti non so nemmeno della sua esistenza. Diversamente, è un fenomeno che o non viene stimato o viene stimato in maniera inferiore. Tra traffico (smuggling) e tratta (trafficking) esistono differenze significative, anche se nel linguaggio comune spesso si tende a confondere. Tuttavia, occorre precisare che i confini sono molto labili e che di frequente episodi di traffico, in itinere divengono casi di tratta. Infatti, i due mercarti, sempre contigui, tendono spesso a confondersi. Talvolta infatti le organizzazione ed i singoli imprenditori svolgono entrambe le attività, e spesso le vie di trasporto internazionale coincidono. Inoltre, non di rado, accade che la persona trasportata, inizialmente richiede il servizio di ingresso migratorio illegale in uno stato, per divenire, in un secondo momento, vittima di tratta. L’industria del passaggio alle frontiere: È una vera e propria industria, un’economia sommersa dal valore di migliaia di dollari. La complessa organizzazione del fenomeno può essere interpretata sotto le vesti di un’industria del passaggio delle frontiere nella quale lo smuggling diviene una fase del trafficking essendo quest’ultimo identificabile come un fondamentale elemento di concessione all’interno di un sistema reticolare più ampio noto come migration business. Nell’analisi condotta da SALT e STEIN (scuole sociologiche: tedesca (Weber), francese (Durkheim) e Chicago (Parson) vengono identificati tre stati del trafficking: - La mobilitazione e il reclutamento dei migranti nei paesi di origine; - Il loro viaggio attraverso i confini tra gli stati; - L’inserimento nel mercato del lavoro e nella società dei paesi di destinazione. Lezione 14 - 1/03/2022 Fin dal 2015, anno in cui la crisi migratoria raggiunse il suo momento più critico, il sistema di gestione dei migranti regolato dalla Convezione di Dublino ha mostrato tutti i suoi limiti: non era riuscita a soddisfare le esigenza che si erano create. Nel 2015 abbiamo avuto il boom di profughi, di richiedenti asilo provenienti dalla rotta mediterranea. Pagina di 51 82 Tutta questa massa di profughi, migranti, giovani, donne, bambini si mette in marcia per cercare di raggiungere alcuni luoghi in cui la qualità della vita è migliore. L’apice di questa dinamica si manifestava appunto nel 2015: 180 mila richiedenti asilo. Le critiche a questo complesso quadro normativo sono giunte tanto da attori istituzionali e politici, quanto da organizzazioni e associazioni vicine al mondo dell’accoglienza dei migranti. L’accusa fatta era rivolta al governo, considerato debole nell’ accettare una Convenzione dove era evidente che sarebbero stati sfavoriti i paesi di primo approdo. L’Italia, considerata un paese di accesso all’Europa, sarebbe stata sfavorita. Quando fu firmata la prima volta la Convezione, non c’era nessuna “barchetta” pronta a sbarcare nel Mediterraneo. Pertanto, ci stava bene visto che il problema proveniva dall’Est, dalla rotta balcanica. Nessuno pensava che ci sarebbero state delle rotte dal Sud. La convenzione e i regolamenti di Dublino: gli obiettivi Innanzitutto, nel creare un sistema comune di gestione dei nuovi arrivi, l’obiettivo dichiarato dall’UE era quello di velocizzare le procedure. Una guida al quale i paesi dovevano sottostare, si cercava di rendere eguali le procedure. Ma come funzione questa procedura di asilo europea? Richiesta di asilo: tutte le richieste di asilo vengono registrate nel sistema Eurodac (banca dati a cui tutti i paesi dell’UE che avevano aderito potevano accedere) e rimangono in attesa che le autorità nazionali competenti decidano se l’interessato possiede o meno i requisiti per potersi veder riconosciuto lo status di rifugiato, la protezione sussidiaria o altro titolo riconosciuto dalla legislazione nazionale. Se l’esito è positivo, all’interessato viene riconosciuto uno status ai sensi della legislazione nazionale e internazionale e questi accede ad una serie di diritti connessi allo status assegnato, mentre, se l’esito è negativo, il richiedente asilo viene espulso o rimpatriato. Differenza tra: - Espulsione: vi è un decreto di espulsione che comunica di lasciare il paese in un determinato lasso di tempo. Avviene in piena autonomia. - Rimpatrio: ci sono diverse forme come il rimpatrio coatto o volontario: • Coatto: ad esempio lo metti in aereo con le forze di polizia; • Volontario: deve andare via, ma ci possono essere delle agevolazioni, come il rilascio gratuito del biglietto aereo o una somma di denaro come forma di sostentamento una volta giunto nel proprio paese. È molto più semplice attuare le espulsioni piuttosto che il rimpatrio che prevede: il bisogno di trovare il paese nel quale far ritornare il soggetto in questione, bisogna essere sicuri al 100% della sua provenienza ufficiale. Dopodiché, se viene constatato che magari proviene dalla Libia, li non è possibile rimandarlo poiché lì vi è uno stato di guerra. Se proviene da tutt’altro paese, bisogna fare delle trattative. Diventa materialmente complesso e complicato mettere in atto il rimpatrio, soprattutto coatto. Il primo passo di questa direzione e, in particolare, nella costruzione di una politica europea di asilo comune, fu la Convenzione di Dublino, firmata nell’omonima città irlandese (poiché era il semestre in cui alla presidenza dell’UE c’era appunto l’Irlanda, Repubblica democratica irlandese) nel 1990 ed entrata poi in vigore soltanto sette anni dopo, limitatamente ai dodici Stati firmatari. Il sistema creato dalla Convenzione era, nei suoi elementi fondamentali, definito dall’articolo 3, il quale disponeva che: “Gli Stati membri s’impegnano affinché la domanda di asilo di qualsiasi straniero, presentata alla frontiera o nel rispettivo territorio sia esaminata, fatta salva la possibilità prevista dal comma 4, che uno Stato membro decidesse di prendere in esame una Pagina di 52 82 **ALL’ESAME CHIEDE QUESTO ARGOMENTO IMPORTANTE. PARLARE DELLE CONVEZIONI DI DUBLINO I, DUBLINO II, DUBLINO III.** I profughi sono profughi di guerra: cittadini ucraini, siriani sono tutti profughi di guerra. I richiedenti asilo, invece, sono coloro che hanno paura per la loro incolumità, poiché pensano di essere in pericolo o che possano essere perseguitati o discriminati per il loro orientamento, razza, religione. Figli dell’immigrazione Le seconde generazioni: Bambini nati e cresciuti nella società ricevente. Adolescenti ricongiunti dopo aver compiuto un lungo processo di socializzazione nel paese di origine. Un altro nodo problematico è rappresentato dal momento dell’arrivo: fino a che età è lecito parlare di “seconda generazione”? Le società riceventi si rapportano con i giorni di origine immigrata secondo diversi approcci interpretativi. Una delle visioni più diffuse per affrontare la questione è quella assimilazionista tradizionale: le seconde generazioni avrebbero l’obbligo di integrarsi il più rapidamente possibile nella cultura e nella società del paese che le accoglie. Ai giovani di origine immigrata si imputa un deficit di socializzazione. Non hanno imparato a vivere secondo le regole dell’accoglienza, tendono a vivere in un mondo estraneo all’ambiente circostante. Come quando noi vediamo un giovane vivere secondo la tradizione del suo paese, non riesce ad integrarsi alla cultura del paese di arrivo. Poi abbiamo la visione neoassimilazionista, che ribadisce che l’assimilazione, in termini di apprendimento della lingua, di inserimento nei vari ambiti del mercato del lavoro, di celebrazione di matrimoni misti e cosi via. I cambiamenti continuano ad avvenire nel passaggio da una generazione all’altra. Poi abbiamo una terza prospettiva, ovvero quella strutturalista, in cui diventano rilevanti i processi di discriminazione: qui si parla di ribellione da parte della seconda generazione, che si contrappone all’accettazione da parte dei padri delle occupazioni generalmente umili e precarie dei settori più instabili del mercato del lavoro. C’è una persistente discriminazione che viene vissuta maggiormente dai figli degli immigrati in tutti gli ambiti, dall’ambito educativo in poi. Se i giovani provenienti da famiglie immigrate non hanno successo a scuola e non trovano spazio in un ambito professionale qualificato, rischiano di alimentare un potenziale serbatoio di esclusione sociale, devianza e opposizione alla società ricevente e alle sue istituzioni. Si rischia di alimentare la devianza, iniziano ad agire e interagire in quei gruppi opponenti alla società ricevente, cioè gruppi di delinquenti o devianti. Rischiano infatti di innescare i circuiti della marginalità che si autoalimenta: - Da una parte, incanalando le seconde generazioni verso percorsi formativi e occupazioni “per immigrati”, operando discriminazioni nelle assunzioni. - Dall’altra parte, generando sfiducia verso la scuola, verso la società ricevente, si rivolgono a subculture oppositive e talvolta devianti, mettendo in atto forme di auto-ghettizzaazione, realizzando cosi la cosiddetta downward assimilation, cioè “assimilazione verso il basso”. I giovani iniziano a crescere nei ghetti urbani, insieme alla popolazione più svantaggiata, subiscono una discriminazione insuperabile e quindi concepiscono l’idea che sia inutile far qualsiasi sforzo per migliorarsi socialmente. Pagina di 55 82 In questa visione, viene proposto anche il concetto di assimilazione segmentata, che coglie il diverso grado di successo raggiunto dalle minoranze immigrate: evidenzia quelle che sono le particolarità di un segmento particolare. Le seconde generazioni ottengono migliori risultati scolastici dei genitori, livello di istruzione più elevato. Molte minoranze incoraggiano un tipo di assimilazione definitiva acculturazione selettiva, che consiste nell’apprendere la lingua e la cultura ma mantenendo anche la lingua, la cultura e i valori della famiglia di origine. Questa forma di acculturazione conduce ad un’integrazione più efficace. Potremmo parlare di pluralismo culturale. Non tutte le posizioni però inclinano al pessimismo. Va ricordata almeno la prospettiva ispirata ai cultural studies e al postmodernismo, in cui: - I giovani di seconda generazione diventano alfieri della costruzione di nuove identità sociali, fluide, ibride, promotori di processi di innovazione culturale nel segno del cosmopolitismo e del multiculturalismo quotidiano. **NON SPIEGATO** Pregiudizio, discriminazione e razzismo Pregiudizio In senso generale giudizio precedente all'esperienza o in assenza di dati empirici, che può intendersi orientato in senso favorevole o sfavorevole, riferito tanto a fatti ed eventi quanto a persone che appartengono ad un determinato gruppo sociale. Se consideriamo il pregiudizio come la tendenza a pensare e agire in modo sfavorevole nei confronti di un gruppo, possiamo aggiungere che tale disposizione sfavorevole poggia sulla convinzione che quel gruppo o categoria possieda in maniera abbastanza omogenea tratti che si giudicano negativi. Il pregiudizio etnico rappresenta una forma di generalizzazione indebita: a tutti i membri di un determinato gruppo sociale, in questo caso etnico, vengono attribuiti comportamenti e caratteristiche (soprattutto intellettuali e morali) considerati tipici del gruppo di appartenenza. Dai pregiudizi nascono gli stereotipi, ossia rappresentazioni rigide e standardizzate, solitamente svalutanti, che si applicano a gruppi sociali considerati collettivamente appiattendo le differenze individuali, si formano categorie collettive in cui vengono incasellati gli individui (“gli zingari rubano”, “gli albanesi sono violenti”, ma anche “le filippine sono docili”). Stereotipo Lo stereotipo è l'insieme delle caratteristiche che si associano ad una certa categoria di oggetti. Comunemente lo stereotipo è l'insieme coerente e abbastanza rigido di credenze che un certo gruppo condivide rispetto ad un altro gruppo o categoria sociale. Gli stereotipi sono basati su: • Semplificazione • Esagerazione o distorsione • Generalizzazione • Generiche caratteristiche culturali presentate come realtà unica. Entra qui in gioco una dinamica psicosociale, l’etnocentrismo, ossia la tendenza a privilegiare il proprio gruppo e a ritenere che le sue norme, valori, codici di comportamento siano migliori di quelli dei gruppi esterni. Pagina di 56 82 Etnocentrismo: può essere definito come l’opinione secondo la quale il proprio modo di vivere è corretto e naturale. Oppure, la tendenza a giudicare o interpretare le culture altrui in base ai criteri della propria. Il peso delle etichette L’etichetta cambia l’identità pubblica dell’individuo: (un uomo che ha rubato diventa un ladro, una persona che ha fatto uso di droga un tossicodipendente). L’etichetta di deviante diventa il tratto distintivo dello status tanto che le altre caratteristiche diventano secondarie. L’etichetta intacca tutte le altre caratteristiche dello status Un derivato del pregiudizio etnico e dell’etnocentrismo è la xenofobia, ossia l’atteggiamento di rifiuto o di ostilità nei confronti degli stranieri. Questi processi generano le forme di razzismo, caratterizzate dalla contrapposizione tra “noi” (gli autoctoni) e “gli altri” (gli immigrati), con la svalutazione e la subordinazione di questi ultimi. L’ostilità razziale si acutizza in determinati contesti e gruppi sociali, ad esempio si innesca in alcune componenti della società la paura di un declassamento e si manifesta in forme più acute in quelle che si sentono più minacciate dai nuovi arrivati. Ecco perché forme più marcate di pregiudizio razziale sono più diffuse generalmente nelle classi inferiori delle società riceventi, cioè quelle componenti della società che sotto il profilo occupazionale e abitativo sono più a contatto con i nuovi arrivati e desiderano distinguersi da loro. Non è quindi la distanza a generare razzismo, ma la vicinanza che genera la paura del contatto e della mescolanza. Non va dimenticato però che altre forme di pregiudizio etnico sono invece tipiche delle classi superiori, come la percezione degli immigrati con minaccia per la sicurezza o per l’ordine sociale. Il razzismo subisce delle variazione nel tempo, cambiano ad esempio i bersagli dell’ostilità, spostandosi su altri gruppi etnici, di solito sui neo arrivati, mentre migliora l‟immagine e lo status degli immigrati già insediati. Anche gli italiani emigrati in passato negli altri paesi sono stati spesso vittime di razzismo: in America e nell’Europa settentrionale gli italiani erano etichettati come diversi e  inferiori, pregiudizi simili si trovavano anche nell’Italia settentrionale nei confronti degli immigrati meridionali. Gli irlandesi al loro arrivo in America non erano neanche considerati di razza bianca, e gli italiani erano più africani che europei. Solo quando irlandesi, polacchi, italiani in America, e i meridionali nel Nord Italia, hanno conosciuto una sufficiente mobilità sociale la percezione della differenza razziale si è modificata. Il razzismo porta a processi discriminatori. La discriminazione razziale consiste in comportamenti concreti che penalizzano singoli e gruppi in ragione di fattori come la nazionalità, la religione, l‟apparenza fisica. Definita come trattamento differenziale e ineguale delle persone a causa delle loro origini, appartenenza, apparenza fisiche, opinioni. Diverse forme di discriminazione razziale: - Forme esplicite o dirette di discriminazione, che incontrano gli immigrati in misura prevalente, per esempio annunci di affitto con la precisazione che non sono accettati inquilini immigrati, il soggetto è escluso da un certo rapporto economico per il solo fatto di essere immigrato o per appartenente ad una specifica nazionalità. La discriminazione è una possibilità insita nel libero mercato, cioè nella libertà di scegliere con chi intrattenere rapporti economici. Va ricordato tuttavia che molto paesi, compreso il nostro, hanno introdotto delle leggi per proteggere gli immigrati e le minoranze etniche almeno contro  le forme più evidenti di discriminazione. Pagina di 57 82 fuggo dal mio paese posso essere equiparato al rifugiato e quindi essere tutelato dalla Convenzione di Ginevra. Se l’atto invece è involontario, poiché esplode magari la petroliera, non sarò tutelato dalla convenzione. Io volontariamente costruisco una petroliera, ma non sono a conoscenza delle conseguenze che posso causare. Se io invece volontariamente costruisco una diga, questa è una modificazione diretta del territorio da parte dell’uomo che mi permette di rientrare nella Convenzione di Ginevra come rifugiato ambientale. Le categorie di rifugiati ambientali Gli stress ambientali possono causare direttamente o indirettamente lo spostamento di individui all’interno o all’esterno dello Stato colpito. Le migrazioni ambientali, a differenza di quelle economiche, avvengono attraverso una migrazione interna. Se c’è un terremoto, io non vado in Francia, ma vado nel paesino in cui magari c’è un parente mi ospita, o dove lo Stato ha allestito degli hotel per i terremotati. Tra le cause dirette is possono individuare: - I disastri ambientali, - Cambiamenti ambientali di lungo periodo; - Incidenti tecnologici; - Costruzioni umane che hanno reso invivibile l’ambiente; Tra le cause indirette abbiamo: - I conflitti per le risorse o la distruzione del territorio in seguito ad un conflitto. A seconda della tipologia di stress ambientale, la tipologia della migrazione ambientale sarà differente: sono cosi individuabili migrazioni circoscritte temporalmente e geograficamente: - Migrazioni permanenti; - Migrazioni circolari; - Sgomberi; - Piani di ritorno; - Piani di reintegrazione e reinsediamento. Secondo una classificazione fatta si possono distinguere: - Sfollati momentanei che si spostano per una pressione ambientale momentanea, restano nel loro paese e intendono far ritorno nel luogo di origine non appena l’emergenza sarà trascorsa. - Migranti a seguito di un cambiamento dell’ambiente (di origine naturale o umana) che non sarò reversibile e quindi si spostano internamente o all’estero alla ricerca di una nuova abitazione. - Migranti che si spostano per fuggire dalle conseguenze dei conflitti o per le risorse o perché non in grado di trovare un sostentamento nel territorio in cui vivono per la difficoltà ad accedere alle risorse principali. Solo in questo caso lo spostamento implicherebbe una scelta volontaria. Piuttosto che una classificazione dei rifugiati ambientali in base alla ragione dello spostamento, si propone una classificazione basata sulla gravità della catastrofe e sull’efficacia degli interventi da attuare. Quindi è possibile individuare: - Environmental emergency migrants (Migranti di emergenza ambientale) migranti che scappano per fuggire a un evento di pericolo immediato. - Environmental forced migrants (Migranti forzati ambientali) costretti a lasciare il luogo di origine a causa del deterioramento ambientale. - Environmentally motivated migrants (Migranti ambientalmente motivati) che potrebbero abbandonare le proprie abitazioni per prevenire le conseguenze del progressivo degrado ambientale in atto, dall’innalzamento del livello del mare all’avanzata della desertificazione. Pagina di 60 82 Questa classificazione è strumentale per individuare in quali casi è possibile individuare i fattori economici come concausa dello spostamento: - Nel primo caso (Migranti per emergenza ambientale) non lo sarebbero per il carattere emergenziale dell’evento; - Nel secondo caso e nel terzo potrebbero esserlo, potrebbero rientrare nei migranti economici (Migranti forzati ambientali e ambientalmente motivati). L’assistenza ai rifugiati ambientali. L’impatto dell’ambiente sulle migrazioni è comprensibile solo se si è consapevoli che i fattori ambientali possono provocare diversi tipi di mobilità con caratteristiche e conseguenze molto diverse tra loro. Sono quindi necessarie tre precisazioni: A. In primo luogo si deve distinguere tra migrazione a breve o lungo termine; B. Secondariamente tra migrazione corta o lunga distanza; C. Tra migrazioni interne o internazionali. Le discussioni acquisterebbero più omogeneità se vi fosse un utilizzo sistematico della distinzione tra spostamento temporaneo (inferiore a tre mesi), migrazione a breve termine (fino a un anno) e migrazione a lungo termine (maggiore a un anno). Nel caso in cui l’evento è catastrofico o immediato ci aspetteranno migrazioni di breve termine e reversibili. La prima risposta ai problemi ambientali dovrebbe interessare: - Il governo nazionale che si dovrebbe quindi mobilitare per elargire l’aiuto umanitario di cui i cittadini affetti dal disastro naturale sono bisognosi ovvero acqua, cibo, assistenza sanitaria e talvolta protezione contro discriminazioni o abusi. - Nel caso in cui il governo nazionale non potesse o non volesse intervenire l’aiuto umanitario dovrebbe essere gestito dalla comunità internazionale, così come se lo spostamento travalicasse i confini nazionali sarebbe il governo ospite il primo soccorritore dei rifugiati. Tuttavia in caso di emergenza umanitaria, tutta la società civile, le organizzazioni non governative, le organizzazioni specializzate in aiuto umanitario e sviluppo sarebbero chiamate a rispondere ai bisogni degli sfollati e a proteggere i loro diritti. A livelli internazionale, l’assistente ai rifugiati ambientali è una problematica contemporanea. Lezione 17 - 22/03/2022 L’agenda europea sulla migrazione È l’intervento che l’Ue decide di attuare nel 2014, quando i flussi migratori diventano ingestibili. Situazione che è stata, col senno di poi, da tutti quei cambiamenti geopolitici come: primavere arabe, cambiamenti di gestione politica nella Libia, intervento militare più massiccia in Siria, esplosione del terrorismo islamico. Il peso gravava e grava tutt’ora sui paesi di primo approdo, mentre per quanto riguarda i paesi che non sono di primo approdo è come se Dublino fosse la rivoluzione dei loro problemi. L’intervento europeo doveva essere garantito in maniera più concreta, motivo per il quale la commissione europea ha adottato il 13 maggio 2015, l’agenda europea sulla migrazione: sviluppa una serie di iniziative mirate a migliorare la gestione dei flussi. Le misure immediate che sono state adottate: - Triplicare le capacità e i mezzi delle operazioni congiunte di Frontex (è un’agenzia composta da guardie costiere dei paesi appartenenti all’Ue che hanno la possibilità di agire nelle acque internazionali), Triton e Poseidon (sono delle operazioni che sostituirono l’operazione Mare Nostrum) - Attivare il sistema di emergenza per distribuire meglio i richiedenti asilo in Europa. È un sistema che deve intervenire nel momento in cui c’è la ridistribuzione dei migranti. Esempio: Pagina di 61 82 100 mila arrivi in Italia, dopo aver fatto una distinzione tra profughi, richiedenti asilo ecc, si redistribuiscono tra i paesi dell’Ue. - Creare un nuovo metodo basato sui “punti di crisi”: per condurre con rapidità le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo e per coordinare le attività di rimpatrio. Questi punti di crisi riguardano i paesi di primo approdo. Per mettere in atto tutto ciò ci sono stati dei finanziamenti. - Sono stati mobilitati 60 milioni di euro aggiuntivi in finanziamenti di emergenza per gli stati membri in prima linea. - Un programma di reinsediamento da 50 milioni di euro per trasferire 20 mila persone in Europa in maniera sicura e legale. - 30 milioni di euro per i programmi di sviluppo e di protezione regionale, a cominciare dall’Africa settentrionale e dal corno d’Africa, nel 2015-2016. Tra le misure immediate è previsto: - Una raccolta di informazioni centralizzata tramite Europol (agenzia nel quale collaborano tutte le forze di polizia dei paesi Ue) per smantellare le reti criminali; - Elaborazione, da parte dio Frontex ed Europol, di profili delle imbarcazioni che potrebbero essere usate dai trafficanti, creano una sorta di banca dati; - Organizzare operazioni di politica di sicurezza e di difesa comune nel Mediterraneo per fermare e distruggere le imbarcazioni utilizzate per i trasferimenti irregolari. - Fare della migrazione una componente specifica delle missioni di politica di sicurezza e di difesa comune. Cioè prendono coscienza che la migrazione è un qualcosa che riguarda l’operato, non la singola azione di uno stato, ma è una componente specifica di una missione globale (per globale si intende sempre Ue). - Creare un centro pilota multifunzionale in Niger, in collaborazione con l’OIM e l’UNHCR (agenzie dell’Onu). - Distaccare funzionari di collegamento europei per la migrazione presso le delegazioni dell’UE in paesi di transito strategici. L’approccio strategico si poggia su 4 pilastri: 1. Riduzione degli incentivi alla migrazione irregolare: - Attraverso piani d’azione per potenziare le indagini e il perseguimento delle reti criminali di trafficanti; smantellare e consegnare i colpevoli alla giustizia. - Creare un manuale sul rimpatrio che è destinato ad armonizzare le prassi di tutti gli stati membri. - Creare partenariati più forti con i paesi terzi, sopratutto per quanto riguarda i traffici di migranti e i rimpatri (io Italia devo essere sicuro che, una volta disposto il rimpatrio del migrante, il paese di origine se lo riprenda). - Maggiore coinvolgimento delle delegazioni dell’Ue nei paesi-chiave. - Rafforzamento del ruolo di Frontex (agenzia europea) nelle operazioni di rimpatrio. 2. Salvare vite umane e rendere sicure le frontiere esterne: - Bisogna revisionare le proposta sulle “frontiere intelligenti” immaginate per agevolare l’attraverso regolare. Luogo da dove è gestito in maniera più efficace l’ingresso regolare, ma dove anche è presente una forza di opposizione in modo tale da contrastare in maniera più forte quelli che possono essere le migrazioni irregolari. - Iniziative finanziarie per rafforzare le capacità dei paesi dell’Africa settentrionale: possono cosi intervenire nel momento in cui ci sono dei migranti in difficolta, senza aspettare le navi coinvolte nelle operazioni dell’Unione Europea - Riflessione sulla creazione di un sistema europeo di guardie di frontiera. - Rafforzamento del ruolo di Frontex. 3. Una politica di asilo forte: - Bisogna applicare in maniera piena il sistema europeo comune di asilo. Pagina di 62 82 Lezione 18 - 29/03/2022 Decreto Salvini È importante perché già durante la campagna elettorale, ci sono stati dei momenti di traino per portare l’elettorato verso di loro. Ciò che ha attirato verso la Lega era la chiusura delle frontiera e i rimpatri massicci, coatti o volontari, per coloro che sono presenti nel paese in maniera irregolare. Salvini pretese che venisse corretto quella che era una legge di per sé rigida. La Bossi-Fini era una legge abbastanza rigida per quanto riguardava il controllo dei flussi e la concessione dei permessi di soggiorno. Il decreto legge n. 113/2018 (Decreto Salvini) è entrato in vigore il 5 ottobre 2018. Il decreto legge ha abrogato la norma che consentiva il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari nei casi in cui la Commissione territoriale, pur non accogliendo la domanda di protezione internazionale (status di rifugiato o protezione sussidiaria), ritenesse sussistenti gravi motivi di carattere umanitario (ad esempio non sta bene fisicamente, economicamente, non può sostenere il viaggio di ritorno), anche derivanti da obblighi costituzionali o internazionali. Questo permesso di soggiorno per motivi umanitari veniva concesso nel momento in cui sussistevano dei reali motivi e, al contempo, venivano negate le concessioni dello status di rifugiato o la protezione sussidiaria. In seguito all’entrata in vigore del decreto (che ha abrogato il permesso di soggiorno per motivi umanitari), potrà essere concesso un permesso di soggiorno per protezione speciale solo nel caso in cui la Commissione territoriale ritenga sussistenti: - Il rischio di persecuzione; - Il rischio di tortura; Salvo, in entrambi i casi, che possa disporsi l’allontanamento verso uno stato che provveda ad accordare una protezione analoga. Si può non dare nel momento in cui c’è un altro stato che può assicurarla. Per coloro che hanno presentato la domanda di protezione internazionale dopo il 5 ottobre 2018: la Commissione territoriale valuta che, pur non sussistendo i presupposti per la protezione internazionale, sussiste il rischio di persecuzione o di tortura: viene rilasciato un permesso di soggiorno per “protezione speciale” che: - Ha validità annuale; - Consente di lavorare; - Alla scadenza può essere rinnovato se la commissione valuta che continui a sussistere il rischio di persecuzione o di torturata; - Non può essere convertito in permesso di lavoro, neanche se il titolare del permesso di protezione speciale ha un contratto di lavoro. Se la Commissione valuta che non sussiste il rischio di persecuzione o tortura, la persona riceve un diniego della domanda di protezione internazionale e, se non presenta ricorso, diventa irregolarmente soggiornante. Se invece, coloro che al 5 ottobre 2018 erano titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari la situazione deve essere reinterpretata. Il permesso di soggiorno in corso di validità resta valido fino alla scadenza. I titolari di permesso di soggiorno in corso di validità al 5 ottobre 2018 potranno convertire tale permesso, alla scadenza o prima, in permesso di lavoro subordinato o autonomo se: - Hanno un contratto di lavoro oppure i requisiti richiesti per il permesso di soggiorno per lavoro autonomo; - Hanno il passaporto o documento equipollente in corso di validità. Se il titolare non ha convertito il permesso per motivi umanitari in permesso per lavoro, alla scadenza la questura interpella la Commissione territoriale: Pagina di 65 82 - Se la commissione valuta che sussiste il rischio di persecuzione o tortura viene rilasciato un permesso di soggiorno per protezione speciale che: • Ha validità annuale; • Consente di lavorare; • Alla scadenza può essere rinnovato nel momento in cui continui a sussistere il rischio per lo stesso; • Non può essere convertito in permesso di lavoro, nemmeno se possiede un contratto di lavoro. Se la Commissione valuta che non c’è rischio di persecuzione o di tortura, la persona riceve un diniego della rischi e sta di soggiorno e, se non presenta ricorso, diventa un soggiornante irregolare, a meno che non soddisfi le condizioni per il rilascio di un ulteriore permesso di diversa tipologia. Il rilascio di altre tipologie di permessi di soggiorno. Il decreto legge 113/18 introduce alcune nuove tipologie di permessi di soggiorno che potrebbero consentire la regolarizzazione del soggiorno. - Permesso per cure mediche; - Permesso per calamità; - Permesso per atti di particolare valore civile; - Permessi di soggiorno per casi speciali; • Permesso di soggiorno per protezione sociale ai sensi dell'Art. 18 d.lgs 268/98; • Permesso di soggiorno per vittime di violenza domestica ai sensi dell’Art 18-bis; • Permesso di soggiorno per particolare sfruttamento lavorativo ai sensi dell’Art.22 d.lgs 268/98. Conversione in permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo: La documentazione attestante l’attività lavorativa è differente a seconda che si richieda la conversione in: - Permesso di soggiorno per lavoro subordinato: contratto di lavoro. - Permesso di soggiorno per lavoro autonomo: iscrizione ai registri di lavoro, partita iva. Permessi di soggiorno per motivi familiari e per assistenza minore. - Permesso di soggiorno per motivi familiari: oltre alla possibilità di conversione in permesso per lavoro, il titolare di qualsiasi tipo di permesso di soggiorno (inclusi dunque i permessi per motivi umanitari, per casi speciali o protezione speciale) può convertire tale permesso in un permesso di soggiorno per motivi familiari/coesione familiare se: • Il coniuge presente sul territorio nazionale è titolare di un permesso di soggiorno per asilo, protezione sussidiaria, lavoro ordinario o subordinato, studio, motivi religiosi o di un permesso di soggiorno UE; • Il coniuge possiede i requisiti di reddito richiesti per il ricongiungimento; • Se il coniuge è titolare dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria non è tenuto a dimostrare i requisiti di reddito; • Il coniuge ha la disponibilità di un alloggio; • Se il coniuge è titolare dello status di rifugiato o protezione sussidiaria non è tenuto a mostrare la disponibilità di alloggio; • Documentazione attestante il legame di coniugio; • Il cittadino straniero che chiede la coesione deve possedere un passaporto o documento equipollente. Pagina di 66 82 - Il permesso di soggiorno per assistenza minore: è rilasciato al familiare (genitore o altro) di minore straniero che si trova sul territorio italiano, allorché il familiare abbia ottenuto dal Tribunale per i minorenni l’autorizzazione ad entrare e/o soggiornare in Italia “per gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore. Le modifiche riguardanti l’accoglienza Il d.l 113/18 ha stabilito che potranno accedere allo SPRAR solo: • I titolari di protezione internazionale (rifugiato o protezione sussidiaria); • I minori non accompagnati; • I titolari di permesso di soggiorno per cure mediche, calamità, atti di particolare valore civile; • I titolari di permesso di soggiorno per casi speciali. Il servizio centrale ha chiarito che verrano accolti nei progetti SPRAR i nuclei familiari dove uno dei membri della coppia sia titolare di protezione internazionale. Non potranno più accedere allo SPRAR, invece: • I richiedenti asilo: è una situazione ibrida, ho fatto richiesta ma non è stata ancora concessa; • I titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari; • I titolari di permesso di soggiorno per casi speciali (regime transitorio) • I titolari di permesso di soggiorno per protezione speciale I richiedenti asilo non possono accedere allo SPRAR ma potranno essere accolti nei CAS o nei centri governativi di prima accoglienza. Al CAS ci va praticamente solo il richiedente asilo. Pagina di 67 82 • Il beneficiario della protezione umanitaria: costituiva una forma residuale di protezione prevista, prima del Decreto Sicurezza (Salvini), dalla legislazione italiana per quanti non avevano diritto al riconoscimento dello status di rifugiato ne della protezione sussidiaria ma non potevano essere allontanati dal territorio nazionale a causa di oggettive e gravi situazioni. Il governo ha poi abolito questa protezione, sostituendola con una forma di protezione speciale. • Le vittime della tratta: è una persona che, a differenza dei migranti irregolari (forzati e non) che si affidano di propria volontà ai trafficanti, non ha mai acconsentito a essere condotta in un altro paese o, se lo ha fatto, l’aver dato il proprio consenso è stato reso nullo dalle azioni coercitive e ingannevoli dei trafficanti o dai maltrattamenti praticati o minacciati ai danni della vittima. • La figura dell’apolide: è colui che non è cittadino di alcuno stato, p di cui la cittadinanza non è dimostrata o dimostrabile. Questa condizione è stata riconosciuta per la prima volta nel 1954, all’interno della convezione delle Nazioni Unite sullo status degli apolidi stilata a NY. Può essere originaria o sopravvenuta. L’apolidia è originaria quando è, appunto, all’origine. Sopravvenuta perché quello stato è venuto meno per ragioni politiche. Ad esempio: se l’Ucraina venisse assorbita dalla Russia, in quel caso ci sarebbero milioni di apolidi. Questo status può essere accertato dal giudice o dal governo e da diritto ad un permesso di soggiorno. In Italia, ad esempio, se c’è un bambino che nasce da genitori apolidi ottiene la cittadinanza italiana. • Il Minore straniero non accompagnato: è il minore o la minorenne che non ha cittadinanza italiana o di altri stati dell’UE che giunge sul territorio di uno stato UE non accompagnato da un adulto per lui responsabile in base alla legge o alla consuetudine e fino a quando non assuma effettivamente la custodia un adulto per lui responsabile. Il minore straniero non accompagnato è colui che arriva minorenne in uno stato UE e proveniente da uno stato extra UE, da solo oppure accompagnato da un adulto che non ha nessun diritto verso di lui (non è il padre, nonno ecc). Non possono essere chiamati immigrati i figli nati in Italia da genitori immigrati e tantomeno possono essere chiamati stranieri. In quel caso, quando parliamo di questi minori in particolare, dovremmo chiamarli figli di immigrati. Questa è una caratteristica sociologica. I figli di immigrati costituiscono le cosiddette seconde generazioni di immigrazione. • La cittadinanza è un legame giuridico, acquisibile tramite la nascita, cioè un processo di naturalizzazione o la discendenza, che vincola un individuo al suo stato di appartenenza. Si può perdere a seguito di rinuncia, di acquisizione di cittadinanza di altrui stato o in base ad un atto di privazione di una pubblica autorità nel momento in cui vengono commesse gravi violazioni. All’interno del dibattito sulla concessione o meno della cittadinanza, abbiamo lo ius sanguinis: ovvero, l’acquisizione della cittadinanza di uno stato per diritto “di sangue”. Si contrappone allo ius soli, che consiste nell’ acquisizione della cittadinanza di uno stato per diritto “del suolo”. • Poi abbiamo i Push Factor (fattori di spinta), cioè la condizione o circostanza che spinge una persona o un gruppo di persone ad abbandonare un paese. Tra i fattori di spinta più diffusi abbiamo: - Problemi politici; - Problemi di realizzazione personale. - Fattori economici (fame e miseria). • Una volta che si mette in atto un processo migratorio, si ha la necessità di ottenere un permesso di soggiorno: ovvero un provvedimento amministrativo, rilasciato dalla questura competente, che autorizza la permanenza in Italia con diverse facoltà a seconda del diverso tipo di permesso. Dopo una rimanenza in Italia c’è il diritto per i soggiornati di lungo periodo di ottenere un permesso di soggiorno UE, con maggiori facoltà. Chi invece fa richiesta di ricongiungimenti familiare, ottiene il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari. Pagina di 70 82 • L’accoglienza consiste nell’insieme delle misure riconosciute da uno stato sovrano a favore dei richiedenti asilo queste possono comprendere alloggio, vitto, vestiario, fornitura di sussidi economici o buoni. L’accoglienza avviene presso precise strutture, quali: - CDA (centri di accoglienza): che sono strutture destinate a garantire il primo soccorso allo straniero appena giunto nel paese indipendente dal suo status giuridico. Non c’è nessuna discriminazione. - CARA (centri di accoglienza richiedenti asilo): sono delle strutture presso i quali vengono accolti i migranti che sono richiedenti asilo in Italia. Non bisogna confonderli con i CDA, nel quale non c’è nessuna differenza, tutti possono essere accolti; mentre nei CARA vengono accolti solo coloro che fanno richiesta di asilo. - SPRAR (sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati): con il decreto di sicurezza è stato trasformato in SIPROIMI (sistemi protezione per titolari di protezione internazionali e per minori stranieri non accompagnati). - CAS (centri di accoglienza straordinaria): hanno il fine di sopperire alla mancanza di posti nelle strutture ordinarie di prima e seconda accoglienza in caso di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti asilo. • Gli hotspot: L’agenda europea sulla motivazione propone la creazione di hotspot, letteralmente “punto caldo”, cioè centri sulle frontiere esterne dell’unione in cui si procederà a registrare i dati personali dei cittadini stranieri appena sbarcati, fotografarli e raccoglierne le impronte digitali entro 48 ore dal lavoro arrivo, eventualmente prorogabili a 72ore al massimo. L’obiettivo è distinguere immediatamente tra quanti hanno diritto a fare domanda di protezione e chi, invece, deve essere rimpatriato (come gli immigrati per motivi economici al quale vengono contestati i diritti che vorrebbero presentare per ottenere un’eventuale forma di protezione alternativa). Se una persona immigrata proviene da un paese in cui non vi sono guerre, carestie è chiaramente una persone fuggita per migliorare la propria vita e che va rimpatriata. Inoltre, vengono limitati i suoi diritti, pertanto non potrà presentare alcuna richiesta di protezione alternativa. • All’interno degli Hotspot l’Italia ha previsto gli hub: È una sorta di centro di smistamento, dove le persone dovrebbero sostare per poco tempo, essere identificati, formalizzare la domanda di protezione e dopo essere destinati nei centri di seconda accoglienza, ovvero i centri della rete SPRAR. Previsti dalla nuova Roadmap, ossia la tabella di marcia del ministero dell’Interno, nella fase di prima accoglienza e concepiti come dei grandi centri a livello regionale o interregionale dove avviene un primo screening dei migranti che abbiano espresso la volontà di richiedere protezione. • Il reinsediamento è il processo attraverso il quale un rifugiato, fuggito dal suo paese di origine e temporaneamente rifugiatosi in un altro paese, è ulteriormente trasferito in un paese terzo, dove troverà una protezione permanente nel caso in cui ci siano condizioni che rendano impossible il ritorno nel paese di origine. Nel caso in cui queste condizioni non sussistano, non verrà rilasciata la protezione permanente, visto il possibile ritorno in patria. Io fuggo dal mio paese di origine e temporaneamente sono in un altro paese, sono nuovamente trasferito in un terzo paese. È stato fortemente richiesto dai paesi di primo approdo. Il gruppo dei migranti che giunge in Italia, viene poi redistribuito in Europa a seconda delle diverse caratteristiche e variabili. Dovrebbero rientrare tra i paesi di reinsediamento anche quelli dell’Est, il gruppo Visegrad (Romania, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca ecc). • Non-refoulement: È il principio fondamentale del diritto integrazione dei rifugiati, che vieta gli stati di far tornare in qualsiasi modo i rifugiati nei paesi o nei territori in cui la loro vita o la loro libertà possano essere messe in pericolo. Pagina di 71 82 • Le Regolarizzazioni (o sanatoria o emersione): è un procedimento eccezionale portato avanti da uno stato con il quale, ai cittadini stranieri irregolarmente presenti nel territorio, viene rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di lavoro (o di attesa occupazione), qualora sussistano determinati requisiti stabiliti nel provvedimento normativo. Il requisito necessario affinché un migrante venga regolarizzato è l’auto-denuncia del lavoro in nero svolto dal soggetto. Lo stato per premiare questo gesto sana, regolarizza la situazione. Le sanatorie riguardavano la motivazione che era alla base delle iniziali immigrazioni, cioè la motivazione di tipo economico. • Il respingimento è definito il rifiuto di ingresso effettuato direttamente alla frontiera esterna nei confronti di un cittadino non comunitario, in quanto non soddisfa tutti i requisiti di ingresso previsti dalla normativa. Questi respingimenti non possono avvenire nei confronti dei minori, donne incinte e coloro che sono vittime di persecuzione. • Il rimpatrio è il ritorno del paese di provenienza dopo aver trascorso un periodo apprezzabile di tempo nel paese di arrivo. Il rimpatrio può essere volontario o forzato (in quel caso si parlerà di espulsione). Il rimpatrio volontario è finanziato dai fondi del Ministero dell’Interno, mentre, il rimpatrio forzato avviene in esecuzioni di un provvedimento di espulsione. • L’espulsione è sia il provvedimento amministrativo (messo in atto dal prefetto o dal Ministro dell’interno), sia il processo fisico di trasporto di una persona al di fuori dei confini dello stato in cui si trovava irregolarmente con destinazione il paese di provenienza. Può avvenire per motivazioni diverse. L’espulsione è riferita ai cittadini non comunitari. Per i cittadini comunitari il termine è di allontanamento. Il provvedimento amministrativo è fermato dal prefetto e dal Ministro dell’interno. Chi interviene fisicamente per trasportare una persona irregolare è il questore. Viene accompagnato alla frontiera, o trattenuto in un CIE, oppure vi è un ordine di lasciare il territorio entro 7 giorni, o coattivamente espulso o allontanato. Non può avvenire l’espulsione per le donne incinte, i minori, per chi ha partorito entro i 6 mesi, per chi è straniero extracomunitario convivente con un coniuge italiano, chi è parente entro il secondo grado di parenti a rischio di persecuzione. Per quanto riguarda lo straniero non accompagnato che si trova in queste situazioni di inespellibilità, ha diritto anche a un permesso di soggiorno. • Operazioni SAR: acronimo che corrisponde all’inglese “search and rescue”, ovvero “ricerca e soccorso”. Con questa sigla si indicano tutte le operazioni che hanno come obiettivo quello di salvare persone in difficoltà in vari ambienti (montagna, mare, dopo un terremoto) effettuate con mezzi navali, aerei o altri mezzi: per ricerca e soccorso si intende l’impiego di ogni risorsa disponibile per assistere. • La zona SAR (o area SAR) si intende l’area marina in cui lo stato è competente per il servizio di ricerca e soccorso, si estende per 500 mila km quadrati. La richiesta di aiuto potrebbe arrivare dal MRCC (Centro nazionale di Coordinamento Marittimo): ovvero il centro incaricato di assumere l’organizzazione efficiente dei servizi di ricerca e di salvataggio nell’ambito dell’intera regione di interesse sul mare, coordinando gli interventi nella zona SAR. - Il concetto di “luogo sicuro” è stato delineato dalla Convenzione di Amburgo nel 1979. Esso deve essere individuato dove: • La sicurezza e la vita dei naufraghi non è più in pericolo; • Le necessità primarie (cibo, alloggio e cure m epiche) sono soddisfatte; • Può essere organizzato il trasporto dei naufraghi verso una destinazione finale. • Per acque internazionali si intende l’area marina sottratta parzialmente o totalmente al controllo dello stato. Per acque territoriali si indica l’area marittima sottoposta al regime giuridico del territorio di uno stato in cui questo esercita la sua piena sovranità; si estende fino a 12 miglia nautiche. Queste non coincidono con la delimitazione delle zone SAR. Pagina di 72 82 6. Sono tutti terroristi! Le gente dice che: - “Gli immigrati sono persone cattive e pericolose. Dovrebbero rimanere a casa loro, sono terroristi pericolosi!”,cit. Dinko Valey, Il Giornale, 9 aprile 2016. - “Alle belle anime che si scandalizzano per le politiche di Trump sull’immigrazione e contro l’Isis, chiediamo a cosa hanno invece portato le scelte dissennate sin qui fatte dall’Italia o dall’Europa. Solo più clandestini e ingressi indiscriminati che hanno lasciato campo libero ai terroristi!”. Cit. Maurizio Gasparri, 30 gennaio 2017. Bisogna attuare un controllo massiccio, questo si deve avvenire. 7. L’Italia agli italiani! La gente dice che: - “Lo ius soli non può trasformare l’Italia in un’immensa sala parto, dove ci si ferma per avere la cittadinanza e poi si va da un’altra parte”, Huffington Post (giornale), 19 giugno 2016, 8. Il business dell’accoglienza Le gente dice che: - “Altro che accoglienza e solidarietà verso i migranti, sono solo una fonte inesauribile di denaro su cui mettere mani”, Movimento Cinque Stelle. - “Piangono, si indignano e ci guadagnano. Il grande affare dell’immigrazione. Soldi a palate per gestire i clandestini”. - “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno!”, Salvatore Buzzi, Il Fatto Quotidiano, 2 dicembre 2014. 9. Con i migranti prostituzione e degrado dilagano La gente dice che: - “Prostituzione, il business tra i migranti: cresce del 300% il numero di nigeriane. Strade a luci rosse nelle città siciliane”. Non sono i migranti che dilagano prostituzione, loro sono vittime. Bensì è un fatto politico. Il discorso è “Chi sta dietro lo sfruttamento della prostituzione?”. 10. Hanno tutti il telefonino La gente dice che: - “Secondo me lo telefono lo paga il governo italiano: costo dell’ apparecchio più costo delle ricariche e della corrente. Io pur lavorando non l’ho mai avuto”. Pagina di 75 82 ***Per quanto riguarda la sociologia delle migrazioni, tra i sociologi abbiamo Maurizio Ambrosini (autore del libro).*** ***ARGOMENTI NON SPIEGATI*** Il dibattito sulle migrazioni, quindi, sembra concentrarsi soprattutto sulle migrazioni internazionali e in particolare sui flussi che dal Sud del mondo si dirigono verso il Nord. Tuttavia, questo punto di vista del fenomeno la dice lunga più sulle paure dei paesi occidentali industrializzati che sulle reali tendenze del fenomeno, infatti la maggior parte degli spostamenti individuali o collettivi avviene all’interno dei paesi colpiti dalle problematiche ambientali ovvero all’interno dei paesi del Sud del mondo. Per quanto riguarda la maggior parte dei migranti che approda sulle coste dell’Europa meridionale, essi scappano dalle disperazioni provocate dalle “nuove guerre”. Nel migliore dei casi possono richiedere lo status di rifugiati, ma se il motivo della loro fuga fosse un disastro ambientale non avrebbero alcuna speranza di vedersi riconosciuto suddetto status, infatti la causa ambientale non viene riconosciuta come fattore di persecuzione. Riconoscimento dello status giuridico L’ampio uso del termine ‘rifugiato’ nelle definizioni proposte dalla dottrina internazionale sul tema non significa che i migranti per ragioni ambientali siano riconosciuti come ‘rifugiati’ alla stregua del diritto internazionale con la protezione giuridica che ne consegue. Nonostante i numerosi strumenti internazionali volti a proteggere l’ambiente, non esiste, attualmente, una protezione legislativa di carattere internazionale adeguata per questa categoria di migranti, perché le cause ambientali delle migrazioni non sono ad oggi riconosciute dal diritto internazionale. Forme complementari di protezione sono state previste da alcuni Stati nei confronti di queste categorie di migranti che non rientrano nella definizione di rifugiato convenzionale, ma che meritano comunque una tutela in virtù dei trattati aventi ad oggetto i diritti umani. I regimi di protezione complementare, però, sono soggetti alle singole legislazioni nazionali che specificano i criteri di ammissibilità, nonché i diritti e le aspettative dei beneficiari della protezione complementare. Coloro che lasciano il proprio paese per cause ambientali potrebbero ottenere, a discrezione delle autorità dello Stato che li ospita, un trattamento de facto, ossia pur non essendo riconosciuti, possono ottenere una protezione per motivi umanitari che si può concretizzare con un permesso di soggiorno oppure un permesso speciale di lavoro e di assistenza sanitaria. Lo status giuridico del ‘rifugiato’ è disciplinato nella Convenzione di Ginevra sui Rifugiati, firmata a Ginevra nel 1951, in seguito modificata dal Protocollo del 1967, il cui articolo 1 accorda tale status a: “chiunque, per un fondato timore di essere perseguitato per questioni di razza, religione o opinioni politiche, si trovi all’esterno del paese di cui possiede la nazionalità e non può, o a causa di tale timore non vuole, avvalersi della protezione di quel paese; oppur chiunque, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori dal paese in cui aveva residenza abituale, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”. Quattro sono dunque gli elementi che un migrante deve soddisfare per essere qualificato “rifugiato” ai sensi della Convenzione, e poter dunque beneficiare della relativa tutela giuridica: 1. trovarsi al di fuori dei confini del suo paese di origine; Pagina di 76 82 2. il suo paese d’origine non deve essere in grado di offrire protezione o rendere possibile il ritorno; 3. la causa della migrazione deve essere inevitabile e cogente; 4. la causa della migrazione deve essere legata a ragioni legate alla razza, alla nazionalità o all’appartenenza del soggetto ad un gruppo sociale o ad un’opinione politica. I migranti che soddisfano i suddetti criteri sono qualificati ‘rifugiati’ secondo la Convenzione, mentre tutti gli altri sono considerati migranti su base volontaria. Questa definizione si fonda sul concetto di diritti umani ed è imperniata sulla necessità di salvaguardia dalla persecuzione così come sulla necessità di assistenza e protezione. Appare chiaro che comunque si interpreti la Convenzione, la categoria dei migranti per ragioni ambientali è esclusa dalla protezione, nonostante i dati mostrino che la maggioranza di coloro che cercano asilo attualmente appartengono a tale categoria. Appare chiaro che comunque si interpreti la Convenzione, la categoria dei migranti per ragioni ambientali è esclusa dalla protezione, nonostante i dati mostrino che la maggioranza di coloro che cercano asilo attualmente appartengono a tale categoria. Internal Displaced Persons Secondo i Guiding Principles on Internal Displacement, adottati nel 1998 dalla Commissione delle Nazioni Unite sui Diritti Umani, Gli sfollati interni (IDPs) sono quelle persone o gruppi di persone che sono stati forzati o obbligati a fuggire o a lasciare le loro abitazioni o i luoghi abituali di residenza, in particolare come conseguenza di un conflitto armato o per evitarne gli effetti, di situazioni di violenza generalizzata, di violazioni dei diritti umani o di disastri naturali o provocati dall’uomo, e che non hanno valicato un confine di Stato internazionalmente riconosciuto. Di conseguenza rimangono cittadini del loro Stato e hanno diritto allo stesso trattamento giuridico e alle stesse libertà del resto della popolazione. A differenza dei rifugiati, però, protetti da strumenti internazionali come la Convenzione di Ginevra del 1951 o altre convenzioni regionali o di specifiche agenzie Onu, per gli IDPs non esistono norme o meccanismi di protezione comparabili. Probabilmente gli IDPs dovrebbero costituire una questione di diritto interno ma molto spesso gli Stati non hanno la possibilità o la volontà di adempiere tale obbligo e, invocando la sovranità nazionale, ostacolano attori internazionali ad agire al loro posto. Al fine di risolvere tale problematica, l’ONU ha prodotto i Principi Guida sugli sfollati interni, i quali identificano i diritti e le garanzie per la protezione delle persone forzate al trasferimento e per la loro protezione ed assistenza durante il trasferimento così come nel ritorno o ristabilimento e reintegrazione. A seguito dell’approvazione di tali linee guida nel 1998, l’UNHCR ha potuto occuparsi anche degli sfollati La maggioranza dei migranti per ragioni ambientali generalmente si sposta all’interno dei confini nazionali e questo li esclude completamente dal regime di cui alla Convenzione di Ginevra, facendoli però ricadere nella categoria più ampia degli ‘Internal Displaced Persons’. L’UNHCR si occupa di queste persone solo in circostanze eccezionali, come lo tsunami nell’Oceano Indiano del 2004, il terremoto del 2005, le inondazioni in Pakistan del 2010 ed il ciclone Nargis in Birmania nel 2008. Pagina di 77 82 Il passaggio al lavoro indipendente Il passaggio al lavoro autonomo rappresenta nei fenomeni migratori delle società contemporanee la novità di maggiore rilievo. Gruppi minoritari, socialmente marginali nelle società ospitanti, spinti dal bisogno e dall’aspirazione alla mobilità sociale, sviluppano una propensione per il lavoro autonomo e l’imprenditorialità. Il fenomeno non si manifesta in modo uguale in tutti i paesi e per tutte le nazionalità di immigrati, esistono infatti profonde differenze tra i contesti locali e tra i diversi gruppi nazionali, alcuni più di altri riescono a sviluppare esperienze di imprenditorialità. Diversi studi hanno cercato di individuare le ragioni di tali diversità in fattori e caratteristiche interne alle popolazioni immigrate: • Teoria culturale: alcuni gruppi etnici sono più propensi di altri alle attività commerciali e al lavoro autonomo per una questione culturale, di valori condivisi, background psicologico, religioso,socioculturale. • Teoria dello svantaggio: quella del lavoro autonomo è una scelta di ripiego contro la difficoltà di accedere al mercato del lavoro “normale”. Quindi minoranze svantaggiate per la scarsa padronanza della lingua, con un capitale educativo poco spendibile, soggette a forme di discriminazione nell’accesso al lavoro, tenderebbero a rifugiarsi, in mancanza di meglio, in attività indipendenti. • Teoria della mobilità bloccata: l‟autoimprenditorialità sarebbe una risposta alla discriminazione incontrata non tanto nell’accesso al lavoro subordinato quanto nelle possibilità di carriera e avanzamento. • Quindi gli immigrati passerebbero al lavoro indipendente perché nel mercato del lavoro dipendente non riescono ad avanzare in maniera corrispondente al loro livello di istruzione o alle loro aspirazioni. • Qui il lavoro indipendente ha un valore positivo, al contrario delle teoria dello svantaggio. • Teoria delle middleman minorities: si tratta di quei gruppi etnici che hanno storicamente ricoperto nel mondo il ruolo di minoranze dedite ad attività commerciali (si pensi agli ebrei, agli indiani in Sudafrica,ai cinesi in Tailandia). Condividono alcune caratteristiche: sono migranti che non si insediano in maniera permanente, si concentrano in determinate attività e settori, dedizione al lavoro, alto grado di solidarietà interna con la formazione di comunità molto organizzate e chiuse in sé stesse, resistenti all‟integrazione. • Teoria della successione ecologica: la piccola borghesia impegnata in attività indipendenti sopravvive mediante il reclutamento di piccoli imprenditori dalle classi più basse, così quando in un quartiere i più anziani operatori nazionali cominciano ad uscire dall’attività e non trovano successori, nuovi lavoratori indipendenti sorti dalle fila della popolazione immigrata tendono a prendere il loro posto. • Teoria delle enclave:  per enclave si intendono delle aree in cui si realizza un‟elevata concentrazione di imprese fondate da stranieri. • Gruppi di immigrati si concentrano in una determinata dislocazione spaziale e organizzano imprese, destinate a servire prima il mercato interno del gruppo, soprattutto per prodotti specifici difficilmente reperibili all‟esterno, poi la popolazione esterna generale. Integrazione tra teoria culturale e teoria dello svantaggio: Non tutti i gruppi svantaggiati si mostrano ugualmente intraprendenti, ciò che fa la differenza allora è la disponibilità di risorse collettive. Quindi alcuni gruppi immigrati hanno sviluppato tassi di imprenditorialità più alti perché hanno potuto disporre di particolari risorse. Negli anni più recenti si è sviluppata una maggiore attenzione alle connessioni dell’imprenditoria immigrata con i sistemi economici delle società ospitanti, quindi l‟imprenditoria immigrata sarebbe legata alle trasformazioni delle economie postindustriali e al funzionamento delle metropoli (che di fatto incoraggiano la proliferazione di piccole imprese). Nelle metropoli della globalizzazione economica si è generata una diffusa domanda di lavoro povero, sia nei servizi alle imprese, sia nei servizi alle persone e alle famiglie. Pagina di 80 82 La penetrazione degli immigrati in questi ambiti, non solo come salariati ma anche come lavoratori autonomi, è favorita dalla diminuzione di iniziativa imprenditoriale da parte dei nativi, attratti da occupazioni più sicure e socialmente elevate. Sfruttamento della manodopera femminile. L‟avvio di attività imprenditoriali nelle società ospitanti resta un‟esclusiva prevalentemente maschile, mentre le donne sono relegate spesso a essere la manodopera impiegata nell’attività a gestione familiare, lavoratrici non retribuite o sottopagate, sottoposte a ritmi e condizioni di lavoro pesanti. • Pertanto alla base di molte imprese di immigrati vi sarebbero relazioni di genere basate sulla disuguaglianza e sullo sfruttamento delle donne. • Condizioni di lavoro. Soprattutto nei settori labour intensive come l‟abbigliamento, basato sulla lavorazione per conto terzi, si rilevano: lavoro a domicilio illegale, impiego di immigrati irregolari condizioni di lavoro malsane, utilizzo di minori, assenza di controlli statali. • Lavoro protratto e problemi familiari. Tipicamente i lavoratori autonomi immigrati si sottopongo a una vita di duro lavoro, le attività immigrate lavorano molto di più di quelle autoctone con orari di lavoro prolungati, che hanno inevitabilmente ripercussioni sulla qualità della vita familiare. • Costi per la società più ampia. L’imprenditoria immigrata con il suo lavoro a basso costo e con tali forme di sfruttamento rischia di abbassare le condizioni di impiego del lavoro anche all’esterno, condizioni l’azione sindacale, inibisce la formazione di una coscienza di classe. Nell’economia italiana il lavoro autonomo è molto radicato, molto più che negli altri paesi avanzati. Per tanto tempo l’ispirazione a mettersi in proprio ha rappresentato per molti italiani il principale canale di mobilità sociale, gli immigrati si inseriscono quindi in un ambiente economico e culturale con una radicata tradizione di lavoro autonomo. D’altro canto però il massiccio insediamento di operatori italiani nel settore rappresenta per certi versi una barriera all’ingresso di lavoratori autonomi stranieri, ostacolando l‟inserimento di nuovi attori per esempio, il settore dei taxi in molte metropoli occidentali è un tipico campo di insediamento di lavoro indipendente immigrato, in Italia non avviene per via delle leggi molto severe nella concessione delle licenze). È probabile che riescano a inserirsi più facilmente nelle attività più sgradite e meno redditizie, gradualmente abbandonate dagli operatori italiani. Dal punto di vista legislativo, la legge quadro del”98 ha liberalizzato la possibilità di avviare ditte individuali aprendo così le porte all’imprenditoria immigrata. Inoltre, anche in Italia, nonostante la relativa giovinezza dell’immigrazione, cominciano a crearsi delle comunità immigrate insediatesi stabilmente nelle nostre città, con le relative conseguenze, ovvero i ricongiungimenti familiari, il consolidamento delle reti migratorie e la creazione di mercati etnici, con la domanda di servizi, negozi, attività connotati etnicamente. Si sviluppa appunto una domanda che a cui da risposta l‟imprenditoria immigrata. Nel nostro paese, è ancora difficile per gli immigrati qualificati vedere riconosciuti i propri titoli di studio e le competenze professionali pregresse, il fenomeno delle skilled migrations è praticamente sconosciuto, pertanto l‟avvio di attività indipendenti sembra essere l’unica possibilità per coloro che cercano un avanzamento sociale. Pagina di 81 82 Donne migranti: Per le donne immigrate l’accesso al mercato del lavoro è ancora più difficile che per gli uomini. Qualunque sia il loro livello di istruzione, le esperienze professionali pregresse, le competenze capacità, viene loro offerto esclusivamente impiego come collaboratrici familiari, in mansioni di cura della casa o assistenza alle persone. • Assistente a domicilio per anziani, il più faticoso, vengono richieste prestazioni di tipo assistenziale e para sanitario, si richiede non solo occuparsi dello stato di salute e pulizia della persona, ma anche compagnia e sostegno emotivo. È richiesta la coabitazione, e quindi senza orari, anche di notte e nei giorni festivi. In questo segmento del mercato è larghissimo l‟impiego di donne immigrate in condizione irregolare. • Collaboratrice familiare fissa, al servizio di famiglie abbienti. Il lavoro in questo ambito è solitamente meno pesante, ma non meno costrittivo per l‟autonomia personale e la vita privata, poiché richiede la coabitazione.La qualità del rapporto di lavoro dipende dall’atteggiamento dei padroni di casa. Vi sono casi sia di lavoro in nero che regolare. • Colf a ore. Il vantaggio è quello di non dover convivere con i datori di lavoro e di acquisire autonomia personale, si può avere una propria casa e vivere con la propria famiglia. Si avvicina di più a un normale lavoro, diminuisce però la convenienza economica per via della necessità di provvedere al vitto e alloggio. Inoltre richiede una certa capacità di muoversi nella società ricevente, per questo spesso è un’evoluzione degli altri due lavori. Viene infatti svolto con maggiore frequenza da donne in possesso di permesso di soggiorno e insediate in maniera stabile nella società ricevente. Molto diffuse restano invece le irregolarità contrattuali e retributive (lavoro non messo in regola). La relativa facilità nel trovare occupazioni di questo genere ha come contrappunto la grande difficoltà a uscirne per inserirsi in attività più qualificate. Stando alle statistiche, non sono rari poi i casi di sfruttamento del lavoro femminile nell’ambito domestico, che vanno dalla violazione degli obblighi contrattuali, fino ad abusi e prepotenze, stabilendo forme di lavoro servile (soprattutto quando la lavoratrice non ha un permesso di soggiorno, e il datore di lavoro può approfittarne con forme di ricatto). Spesso occupazioni che a noi appaiono dequalificate come quella della collaboratrice domestica, sono viste invece dalle donne immigrate come veicolo di emancipazione. Una volta arrivate fanno il confronto con la  povertà e l’arretratezza dei contesti da cui provengono, con la soggezione a rapporti patriarcali e la mancanza di autonomia. L’indipendenza economica che acquisiscono con il salario che guadagnano diventa una prima forma di promozione sociale. Spesso migrare è anche un modo socialmente accettabile di sottrarsi a matrimoni infelici e alla soggezione a mariti e padri, guadagnando l‟indipendenza e l‟autonomia. Anche le stesse migrazioni maschili si riflettono in un aumento dell’autonomia femminile, poiché in assenza dei mariti emigrati, le donne rimaste in patria assumono la guida della famiglia. Le migrazioni femminili sono più dipendenti da ragioni familiari di quelle maschili, e anche il fatto che il denaro guadagnato dalle donne viene mandato a casa per aiutare la famiglia ne innalza lo status e contribuisce ad aumentare la loro autonomia ed emancipazione. Pagina di 82 82
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