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Volontarismo e strutture sociali: teorie dell'azione sociale, Appunti di Sociologia

Questo testo d'esame si occupa delle teorie volontaristiche dell'azione sociale, che considerano la razionalità e il calcolo dei mezzi rispetto ai fini come principale movente dell'azione. Viene inoltre discusso il concetto di struttura sociale e le sue diverse interpretazioni, dalla concezione marxista di struttura e sovrastruttura, alla distinzione tra determinismo e volontarismo. Anche critiche al concetto di struttura da parte dell'interazionismo simbolico e degli etnometodologi.

Tipologia: Appunti

2010/2011

Caricato il 21/02/2011

markweber
markweber 🇮🇹

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Scarica Volontarismo e strutture sociali: teorie dell'azione sociale e più Appunti in PDF di Sociologia solo su Docsity! PUNTI RILEVANTI TRATTATI NEL CORSO Poiché il programma del corso è unico sia per frequentanti che non frequentanti, di seguito vengono indicati i punti più rilevanti trattati nelle lezioni che anche i non frequentanti debbono aver presenti. Oltre ai punti qui ricordati, lo studente è comunque tenuto a prepararsi per l’esame sull’intera materia trattata nel testo. Determinismo e volontarismo, comportamenti e azioni Uno dei problemi cruciali nel dibattito sul metodo scientifico, dall’Ottocento ad oggi, riguarda la distinzione tra determinismo e volontarismo. Per determinismo s’intende la spiegazione di un fenomeno in base a “cause” (o “fattori”) esterni. Nelle scienze naturali le spiegazioni deterministiche sono in genere sufficienti, perché si ha a che fare con oggetti o corpi “inanimati”, i cui movimenti e trasformazioni sono dovuti ad una forza esterna. Ma nella scienza sociale ciò non basta, in quanto essa si occupa di “soggetti”, che hanno in sé stessi la “causa”, o fattore interno, di spiegazione dei loro comportamenti. Nella scienza sociale questo punto di vista viene detto volontarismo. Non necessariamente tutti i comportamenti studiati dalla scienza sociale sono volontaristici. Quelli spiegabili in base a fattori interni sono definiti azioni, per mettere l’accento sul loro carattere attivo, mentre quelli che risultano dovuti a fattori esterni, ed hanno quindi per il soggetto un carattere passivo, sono detti reazioni. Vanno inoltre distinti i moventi delle azioni, che hanno un carattere intenzionale o soggettivo, dalle conseguenze delle azioni, che possono avere un carattere non intenzionale. Quest’ultima è una distinzione molto importante (v. nel testo a pp. 33, 49, 75, 114, 120). Le azioni infatti sono da considerarsi intenzionali, e quindi volontaristiche, rispetto al movente individuale ma non necessariamente lo sono anche rispetto alle loro conseguenze a livello sociale e collettivo. Come ha spiegato un grande sociologo contemporaneo, R. K. Merton, se la scienza sociale si limitasse a considerare solo le conseguenze intenzionali dei comportamenti, sarebbe una “scienza dell’ovvio”, mentre il suo compito precipuo è proprio quello di studiare le conseguenze sociali non volute e non previste delle azioni individuali. Il testo d’esame è dedicato alle teorie volontaristiche dell’azione sociale, a cui sono riservati tre capitoli. Nel primo, Scienza sociale e teoria volontaristica dell’azione, si discute appunto il problema di che cosa debba intendersi per volontarismo. Nei capitoli seguenti vengono esposte le due grandi “famiglie” di teorie dell’azione sociale: quella che assume la razionalità e il calcolo dei mezzi rispetto ai fini come principale movente dell’azione (Capitolo 2); e quella che invece fa riferimento ai valori e alle norme o regole sociali (Capitolo 3). Attualmente, però, la distinzione classica e ormai consolidata da oltre un secolo tra determinismo e volontarismo; e quindi il problema di quale sia l’oggetto della scienza sociale viene rimesso in questione dalla possibilità di servirsi di nuove metodologie (teoria della complessità e delle catastrofi, matematica dei frattali) e dalle scoperte che stanno avvenendo nel campo della genetica e delle neuroscienze. Nel testo a queste teorie non volontaristiche (che per altro sono lontane dalle rigide concezioni ottocentesche del positivismo deterministico) viene dedicato uno spazio relativamente ristretto (Capitolo 1, par, 1.3). Nel corso si sono invece fatti maggiori accenni ad esse, e in merito lo studente può prepararsi facendo riferimento ai materiali aggiuntivi qui allegati. Punti a cui porre attenzione: • perché si dice “volontaristico” e non semplicemente “volontario”; • il paradosso stoico della “libertà” dello schiavo; • tra le scienze sociali di base (sociologia, psicologia, economia, antropologia), quale studia anche le reazioni, oltre alle azioni intenzionali; • cosa s’intende per positivismo deterministico e perché Comte riteneva che la psicologia non potesse essere una scienza • che cosa sono la teoria della complessità e la matematica dei frattali (v. di seguito nei materiali aggiuntivi). Azione volontaristica e strutture sociali Il problema delle conseguenze non intenzionali dell’azione va a sua volta riportato a quello dell’esistenza di strutture sociali che da un lato condizionano esternamente i comportamenti individuali, ma dall’altro ne sono il prodotto collettivo, sia pure inconsapevole e “causato” in modo “non intenzionale”. Parafrasando il titolo d’un noto programma televisivo, La storia siamo noi, si può aggiungere che anche “la società siamo noi”. Ovvero, sono gli individui che fanno la storia e la società, ma la fanno perlopiù senza rendersene conto e in condizioni non stabilite da loro (come all’incirca osservava già Marx). Le strutture possono quindi essere considerate come un fattore che è nello stesso tempo interno ed esterno. Nella scienza sociale il termine “struttura” assume significati spesso diversi. Esso inizia a venire usato con una certa frequenza nel campo delle scienze naturali tra settecento e ottocento, negli studi di anatomia comparata e nel dibattito sulla classificazione delle specie e la teoria dell’evoluzione. L’attribuzione d’un esemplare ad una specie piuttosto che ad un’altra, richiedeva l’individuazione di alcune caratteristiche fondamentali, comuni a tutti i membri di essa e mancanti invece nelle altre. Di particolare importanza risultava in proposito la conformazione ossea degli animali, diversa da specie a specie, e considerata appunto come la loro struttura. Il termine venne di conseguenza ad assumere due ignificati, diversi ma a ben guardare complementari fra loro: 1) quello di conformazione di un organismo, ossia come sono collegate l’una all’altra le varie parti di esso, in modo da fortare un tutto; 2) quello di elemento portante, ossia ciò che “regge” un organismo e lo fa “stare su”, sostenendolo e impedendogli di collassare, come appunto avviene con l’ossatura. In questa accezione, il termine struttura è ad esempio impiegato in edilizia e nell’architettura, per indicare la “struttura portante” d’un edificio. E’ a questo significato di elemento portante, applicato a una società, che va ricondotta la distinzione marxista tra struttura (i rapporti economici di produzione) e sovrastruttura (le idee, le forme culturali e politiche). I due significati principali assunti dal termine struttura, per altro, non si oppongono necessariamente fra loro, in quanto entrambi servono a mettere in evidenza i caratteri fondamentali d’un insieme di relazioni. Se intervengono delle modifiche nel modo in cui tale insieme è strutturato, si ha un cambiamento profondo, l’insieme si trasforma e diventa un’altra cosa, sia che si tratti d’una società o di un edificio, come pure di un minerale o di un organismo vivente. Viene da qui anche la concezione della rivoluzione sociale come “cambiamento strutturale”. Nella scienza sociale tende a prevalere il significato di struttura intesa come conformazione, modo in cui le varie parti d’un insieme sono connesse. Questa accezione si ritrova per esempio nella linguistica strutturale, che considera una lingua come una serie di combinazioni e di opposizioni fra significati e significanti, per cui ogni singola parola va considerata in rapporto alla lingua che ne stabilisce le regole e la collocazione. Nel dibattito sul metodo (v. par. 2.4) assume particolare importanza la concezione di cultura che troviamo in Dilthey, intesa come insieme di valori e forme espressive che si richiamano ad un principio comune, che pervade tutte le parti di esso, e che ne costituisce l’identità o lo “spirito”. E’ la concezione che è stata poi recepita dall’antropologia culturale, con la mediazione di Malinowski. In sociologia il termine struttura, inteso come conformazione (o pattern) di un insieme di elementi culturali e normativi, è largamente presente nel funzionalismo, al punto che taluni autori hanno proposto di chiamarlo struttural-funzionalismo, dizione che però oggi è caduta. Tra i funzionalisti che hanno attribuito particolare importanza al concetto di struttura, va ricordato in primo luogo R. K. Merton, come si vede dal titolo stesso della sua opera maggiore, Teoria e struttura sociale. Ma anche T. Parsons ne ha fatto spesso uso. Ad esempio, dando a una delle sue opere più importanti il titolo La struttura dell’azione sociale, egli intendeva appunto mettere l’accento sugli elementi fondamentali dell’azione sociale e sulla loro connessione. Viceversa forti critiche al concetto di struttura sono venute dall’interazionismo simbolico di Blumer, secondo cui si tratterebbe di una mera astrazione sociologica, che allontana dalla realtà dei
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