Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

La Sociologia dell'Economia: Definizioni e Connessioni, Dispense di Sociologia Economica

Le definizioni economiche secondo due diverse approcci: quello economico e quello sociologico. Sulla natura delle attività economiche, le motivazioni dei soggetti, le regole del mercato e la relazione tra condizioni economiche e violenza collettiva. Inoltre, vengono presentate le idee di w. Rostow, p. Sorokin e m. Weber sul ruolo delle istituzioni, l'etica economica e il capitalismo moderno.

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 30/01/2024

angela_alessandrino
angela_alessandrino 🇮🇹

2 documenti

1 / 62

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica La Sociologia dell'Economia: Definizioni e Connessioni e più Dispense in PDF di Sociologia Economica solo su Docsity! SOCIOLOGIA ECONOMICA E DELLA GLOBALIZZAZIONE INTRODUZIONE La sociologia economica è caratterizzata da un insieme di studi e ricerche volte ad approfondire i rapporti di interdipendenza tra fenomeni economici e sociali. Polanyi suggerisce due definizioni: -Possiamo guardare all’economia come all’insieme delle attività stabilmente intraprese dai membri di una società per produrre, distribuire e scambiare beni e servizi. L’economia riguarda il processo istituzionalizzato di interazione tra gli uomini e la natura per il soddisfacimento di bisogni di una società, tali bisogni non sono fisici e possono essere culturali, scientifici o militari. -La seconda definizione riguarda fenomeni economici come sinonimi di economizzare, cioè su attività che hanno a che fare con la scelta individuale di impiego di risorse scarse, che potrebbero avere usi alternativi, al fine di ottenere il massimo dai propri mezzi. Le motivazioni dei soggetti che svolgono attività economiche sono ricondotte al perseguimento razionale degli interessi individuali, mentre le regole che condizionano l’interazione tra i soggetti sono quelle poste dal mercato attraverso l’influenza che la domanda e l’offerta dei beni esercitano sui prezzi. Dall’incontro tra domanda dei consumatori e dei produttori sul mercato dipenderà la quantità effettiva di beni che saranno prodotti e il loro prezzo. Il fuoco è posto sulle istituzioni che regolano l’attività economica. Per istituzioni si intende un complesso di norme sociali che orientano e regolano il comportamento e si basano su sanzioni che tendono a garantirne il rispetto da parte dei singoli soggetti. Le sanzioni possono essere positive, volte cioè ad incoraggiare un determinato comportamento con l’approvazione o negative tendenti ad impedire un certo tipo di azioni. È opportuno non confondere le istituzioni con le organizzazioni che indicano le collettività concrete che coordinano un insieme di risorse umani e materiali per il raggiungimento di un determinato fine. Mentre ad un’organizzazione possono essere imputate certe azioni, ciò non è possibile con le istituzioni. Il concetto di sistema economico tende a sottolineare le diverse modalità attraverso le quali le istituzioni orientano e regolano le attività economiche. -La sociologia economica secondo Schumpeter e Weber S. attribuisce alla sociologia economica il compito di spiegare come le persone sono giunte a comportarsi in un certo modo, specificando che le azioni devono essere messe in rapporto con le istituzioni che sono rilevanti per il comportamento economico, come lo stato o la proprietà privata e i contratti. La definizione di S. richiede però un’integrazione. Egli si interesserà anche delle conseguenze sociali, culturali e politiche dello sviluppo e sottosviluppo economico. Per W. mentre l’economia si concentra sulla formazione del mercato e dei prezzi della moderna economia di scambio, la sociologia dell’economia si preoccupa di mettere in luce i fenomeni economicamente rilevanti e quelli economicamente condizionati. I primi riguardano l’influenza esercitata da istituzioni non economiche, religiose o politiche, sul funzionamento dell’economia. I secondi mettono in evidenza come non solo gli orientamenti politici, ma anche aspetti della vita sociale apparentemente molto lontani da quelli economici, estetici o religiosi, siano influenzati da fattori economici. -Lo status scientifico della disciplina Per delineare la concezione monista dell’attività scientifica concorrono 4 aspetti: 1. L’attività scientifica ha carattere nomologico, tende a formulare leggi ex (tratto dalla teoria economica): Si prevede che se il prezzo di un prodotto sale A, la domanda di quel economiche. Ciò implica che la produzione e lo scambio di beni legati all’agricoltura o all’artigianato possono essere organizzati sulla base del principio di reciprocità o di quello di redistribuzione, ma non dello scambio di mercato. -Nel caso della reciprocità, si producono e distribuiscono beni e servizi sulla base di obblighi di solidarietà condivisi nei riguardi degli altri membri del gruppo parentale o della tribù. Tali obblighi sono legati alle prescrizioni di una religione prevalente. Il flusso di doni e condoni caratterizza l’economia di queste società primitive. Non è quindi l’incentivo del guadagno individuale che motiva il comportamento economico dei singoli in questa situazione. -Alla reciprocità si affianca la redistribuzione. La redistribuzione su vasta scala si accompagna all’affermarsi di strutture politiche differenziate, di un centro che stabilisce diritti e doveri dei sudditi con riferimento all’economia. Si comincia a far uso della moneta, il comportamento economico è definito da specifiche regole formali fatte valere dal potere politico, pur se di solito legittimate in termini religiosi. Secondo P., reciprocità e redistribuzione sono meccanismi di regolazione dell’attività economica. Tuttavia, a partire dal Medioevo il mercato diventa uno strumento di organizzazione dell’attività economica, a spese delle altre forme di integrazione. Non bisogna però identificare tutti i tipi di scambio con lo scambio di mercato. Lo scambio è un modo pacifico per acquisire beni non immediatamente disponibili attraverso un rapporto bilaterale. A seconda del rapporto tra le parti, si possono individuare 3 forme di scambio: 1. Lo scambio di doni è tipico di una relazione di reciprocità regolata da norme condivise; 2. Lo scambio amministrato è caratterizzato da transazioni controllate dal potere politico. In entrambe le situazioni commercio e traffici non creano ragioni di scambio attraverso il mercato, ma le presuppongono sulla base di norme sociali e politiche. Il tirare sul prezzo non fa parte delle modalità tipiche di questi scambi. Nel corso dell’800 i mercati autoregolati, cioè i mercati che determinano i prezzi attraverso il gioco della domanda e dell’offerta diventano lo strumento primario da cui dipende la produzione e distribuzione di beni e servizi nei paesi più sviluppati. Il comportamento economico non è più condizionato da obblighi sociali o politici e risponde alla speranza di guadagno o al timore della fame. L’ordinamento politico si limita a garantire dall’esterno i diritti di proprietà e la libera contrattazione. P. sostiene che la sociologia economica deve chiarire il posto delle economie nella società. Se l’indagine economica tenderà a ragionare come se le attività economiche fossero regolate solo dai mercati, la sociologia economica si sforzerà di mostrare come tali attività siano collegate alle strutture sociali. -La formazione dell’economia politica Le considerazioni più consistenti sulle attività di produzione e distribuzione di beni si trovano anche in periodi meno recenti come quelle di Aristotele, degli scolastici medievali, in particolare S. Tommaso. Il termine economia è di origine greca ed è usato da Aristotele nel senso di amministrazione del patrimonio domestico. Solo nel 1600 il suo uso si estenderà dall’ambito privatistico a quello pubblicistico, per indicare lo studio dei caratteri e dei problemi economici di una società-stato. Ma a questo punto si parlerà di economia politica. Per Aristotele o per i dottori della scolastica il comportamento economico costituiva sostanzialmente un problema etico-giuridico. Ci si preoccupava di quale sarebbe dovuto essere il comportamento più idoneo rispetto alle norme di organizzazione della società giudicate valide. Da qui le disquisizioni sul giusto prezzo, da qui la condanna come usura di ogni forma di interesse sul denaro dato in prestito. Con il pensiero mercantilista si fa strada una valutazione scientifica dei fenomeni economici, il comportamento economico viene visto come guidato dall’interesse personale in termini di guadagno. L’innovazione mercantilista era resa possibile dal ruolo crescente assunto dall’economia di mercanto a partire dal Medioevo, con il disgregarsi delle strutture feudali e la successiva affermazione degli stati nazionali. Nel ‘600 i commerci avvengono ormai tra gli stati nazionali e ne condizionano la potenza politica. Le monarchie europee erano interessate a promuovere l’attività commerciale e la penetrazione coloniale per rafforzarsi nella competizione internazionale. L’obiettivo primario era quello di garantire un afflusso di moneta metallica. A questo fine si servivano di compagnie commerciali alle quali venivano concessi monopoli nei traffici di determinati beni. Erano favorite le importazioni di materie prime a buon mercato, mentre si sosteneva la produzione nazionale di manufatti con dazi protettivi nei riguardi della concorrenza estera. Il protezionismo riflette una situazione di limitata emancipazione dell’attività economica. Da un lato l’economia comincia a funzionare lasciando più spazi allo stimolo del guadagno e al mercato, soprattutto nei rapporti commerciali internazionali, ma dall’altro essa è pesantemente vincolata da regolamentazioni imposte dai governi per il rafforzamento degli stati nazionali. I mercantilisti sono stati di solito accusati di avere una concezione errata della ricchezza nazionale, identificata con la moneta metallica disponibile. I mercantilisti sono stati più interessati al ruolo della moneta nel processo di formazione della ricchezza reale. Per raggiungere questo obiettivo era necessario avere una bilancia commerciale in attivo. Da qui il sostegno ad una politica protezionistica dell’economia nazionale tendente a limitare le importazioni con (dazi o restrizioni) e sostenere le esportazioni. La visione dell’economia dei mercantilisti è molto pragmatica, si preoccupavano di scoprire leggi generali e di giustificarne il fondamento. I fisiocratici formano una vera scuola scientifica in senso moderno, il periodo di maggior influenza di tale corrente si colloca intorno alla metà del ‘700. Il clima intellettuale in cui maturano le idee dei fisiocratici è quello della Francia negli anni che precedono la modo l’azione umana viene ad essere plasmata dalla società. Dove le norme sociali incoraggiano vincoli di solidarietà, la società è più integrata. Una società basata sullo scambio di mercato richiede il rispetto di regole di giustizia per poter funzionare. Queste si fondano sul consenso condiviso e su leggi positive volte a far rispettare anche coattivamente la proprietà e la sicurezza altrui. Per S. il comportamento economico non può essere spiegato come una naturale tendenza alla ricerca della ricchezza. Se l’azione umana è influenzata dalle norme sociali, il guadagno individuale non deve essere considerato un fine in sé, come obiettivo naturale dell’uomo, ma è uno strumento per ottenere approvazione sociale. La ricerca della ricchezza si attua in una società commerciale consolidata, in cui la ricchezza diventa lo strumento primario per ottenere un elevato riconoscimento sociale. L’azione economica motivata dalla ricerca del guadagno ha origini non economiche, ciò è confermato dall’analisi dello sviluppo capitalistico nelle campagne. Non ci si può aspettare che un interesse al miglioramento produttivo della terra venga dai lavoratori, che come i servi della gleba, sono paragonabili a degli schiavi. Essi non hanno nulla da guadagnare da un maggiore impegno. Avranno piuttosto un interesse a lavorare il meno possibile e le loro prestazioni dovranno essere estorte facendo largo uso della violenza. Diversa è la situazione nelle città che nel periodo medievale hanno visto consolidarsi le libertà comunali, qui si sono potute affermare l’ordine individuale e il buon governo, e con essi la libertà e la sicurezza degli individui. Le istituzioni cittadine stimolano le attività economiche perché quando gli uomini godono dei frutti della loro attività essi cercano di migliorare la loro condizione. Da qui la crescita delle attività commerciali e manifatturiere cittadine, ma con esse cominciano anche a diffondersi nuovi beni di lusso che alimentano il desiderio di affermazione sociale dei grandi proprietari. Per procurarsi questi beni essi ora sono spinti a cercare di aumentare il loro reddito. Secondo S. vi sono 4 stadi dello sviluppo storico che si succedono nel tempo. Ciascuno di essi è caratterizzato da un tipo di organizzazione economica prevalente e cioè: caccia, pastorizia, agricoltura, commercio. Ad ogni stadio corrispondono istituzioni diverse e costumi differenti, in questo quadro le istituzioni che governo la società cambiano storicamente. L’azione economica è socialmente determinata e storicamente variabile. S. passa poi ad esplorare le conseguenze economiche che discendono dal diffondersi dei nuovi comportamenti. -Il primo riguarda le modalità secondo cui avviene la produzione dei beni e la distribuzione dei redditi in una società capitalistica. Qui prevale una prospettiva di statica economica. Si suppone che non si crei nuova ricchezza, ma che si usi quella esistente per soddisfare i bisogni. In questo quadro le istituzioni capitalistiche sono considerate come date. -Per quanto riguarda invece la dinamica dell’economia, cioè la creazione di nuova ricchezza e il problema dello sviluppo, in questo secondo caso le istituzioni capitalistiche non sono più considerate come un dato ma come una variabile. Dalle caratteristiche concrete che esse assumono discende una maggiore o minore ricchezza della nazione. Egli appare consapevole che la sua teoria riguarda il comportamento economico in un particolare contesto istituzionale, quello della società commerciale, ovvero della nascente società capitalistica. -Produzione dei beni e distribuzione dei redditi in una società commerciale In una società commerciale l’attività economica non è più regolata in maniera prevalente dalla reciprocità e dalla redistribuzione, ma dallo scambio di mercato. In un contesto di libero mercato ciò che porta a risultati ordinati e prevedibili dal punto di vista economico sono due questioni: la determinazione della quantità di beni prodotti e la determinazione dei redditi distribuiti ai partecipanti all’attività economica.  Per quanto riguarda la produzione di beni, supponendo che vi siano molti venditori, le informazioni circolino liberamente, e le risorse di capitale e di lavoro possano essere spostate da un impiego all’altro, la quantità di beni prodotti tenderà a corrispondere alla domanda effettiva esistente per tali beni. La domanda dei consumatori determinerà ciò che viene prodotto, dati i costi di produzione di ciascun bene. La concorrenza tra i compratori per ottenere il bene desiderato spingerebbe a pagare dei prezzi più alti, ma proprio per questo diventerebbe più conveniente impiegare risorse aggiuntive nella produzione di quel bene, spostandole da altri impieghi. L’opposto si verificherebbe se la quantità di offerta fosse superiore a quella domandata. Non è infatti possibile che si mantenga a lungo un volume di produzione che non trovi una domanda tale da remunerare almeno il suo costo di produzione. S. distingue dunque tra prezzo di mercato e prezzo naturale. Il primo riflette le oscillazioni di breve periodo della domanda e dell’offerta. Il secondo si afferma nel lungo periodo e riflette il costo di produzione. Nel lungo periodo la quantità di beni prodotti sarà pari al livello della domanda che rende possibile remunerare il costo di produzione. Il costo di produzione è il prezzo naturale di una merce (ovvero ci che serve a pagare la rendita della terra, i salari, i profitti dei fondi impiegati per coltivare e per portare la merce al mercato). La quantità di beni prodotti è collegata ai meccanismi di distribuzione del reddito tra coloro che partecipano all’attività economica.  Anche per quel che riguarda la distribuzione del reddito si suppone l’esistenza di un prezzo definito dal mercato per salari, profitti e rendite. Per il salario vi sono dei meccanismi che spingono il prezzo di mercato verso un prezzo naturale, che è quello minimo di sussistenza ovvero quello necessario affinché i lavoratori possano  Nell’analisi del processo dello sviluppo economico, i fattori non economici, le istituzioni, hanno un ruolo esplicativo essenziale.  Per S. le istituzioni capitalistiche sono più appropriate per sostenere lo sviluppo economico. La divisione del lavoro per S. è importante per la crescita della produttività e della ricchezza. La divisione del lavoro aumenta la produttività per tre ragioni: 1. Perché accresce l’abilità di ogni singolo operaio che si può così specializzare in una determinata mansione; 2. Per il risparmio del tempo che si perde passando da un lavoro ad un altro; 3. Perché viene facilitata l’invenzione di macchine che riducono il tempo di lavoro. Per S. la divisione del lavoro è limitata all’ampiezza del mercato e varia con l’entità degli investimenti. L’accumulazione del capitale è una condizione necessaria per la crescita della produttività, perché favorisce l’allargamento del mercato e la divisione del lavoro. Essa non è però affatto una condizione sufficiente, affinché si abbia un’effettiva crescita economica occorre che l’accumulazione di capitale sia stimolata e regolata da istituzioni appropriate. Lo sviluppo economico è favorito quanto più le istituzioni capitalistiche si avvicinano ad una situazione di concorrenza piuttosto che di monopolio. S. pensava che una situazione di questo tipo dipendesse dal venir meno di ostacoli istituzionali. Da qui la critica alle politiche protezionistiche e di incentivazione del mercantilismo. Le condizioni di monopolio non sono vantaggiose perché alterano i prezzi e le quantità, fanno sì che ciò che viene domandato sia ottenuto in modo più costoso dai consumatori. Si possono individuare 2 importanti condizioni istituzionali che definiscono l’assetto del capitalismo concorrenziale: -l’impegno del capitalista nella gestione dell’impresa; -norme di comportamento che limitano gli effetti della concorrenza sul salario dei lavoratori. Per quel che riguarda il primo aspetto S. manifesta la sua contrarietà al modello della società per azioni. I manager amministrano denaro non proprio e hanno pertanto meno incentivi a comportarsi in modo efficiente di quelli del proprietario-imprenditore. L’altra condizione riguarda la remunerazione del lavoro. S. considerava negativamente l’organizzazione sindacale, per i rischi di distorsione del mercato del lavoro. Non sembra però azzardato dire che egli riteneva opportuna, per migliorare la produttività, una politica unilaterale di alti salari da parte degli imprenditori. I salari più alti fanno si che gli operai siano più diligenti. Il ruolo dello Stato è particolarmente importante, esso deve limitarsi ad assolvere 3 funzioni essenziali: assicurare la difesa nazionale; garantire l’amministrazione della giustizia, e provvedere a opere pubbliche necessarie per l’attività economica e all’istruzione. L’efficienza delle istituzioni pubbliche è dipendente dalla capacità di organizzare l’attività di chi lavora sulla base di meccanismi di responsabilizzazione che leghino il più strettamente possibile remunerazione e impregno professionale. In tali condizioni è più probabile che vengano forniti beni pubblici da cui dipende la possibilità di aumentare la produttività delle imprese private, ma che non possono essere prodotti da tali imprese. CAPITOLO 4 -ORIGINI E SVILUPPO DEL CAPITALISMO: SIMMEL E SOMBART SIMMEL, WEBER E SOMBART fondarono insieme a Ferdinand Tonnies, la Società Tedesca di Sociologia. Nella filosofia del Denaro, Simmel, chiarisce i caratteri della società moderna e valuta il significato ultimo che essa assume per la vita degli uomini. La società non è per lui un organismo costituito da varie parti tra loro funzionalmente collegate, è piuttosto formata da un insieme di istituzioni che nascono dall’interazione tra gli uomini e una volta consolidatesi ne condizionano il comportamento. Simmel parla in proposito di <<forme pure>>. La sociologia studia dunque le origini e i caratteri di tali forme, ovvero dei modelli di comportamento istituzionalizzati. Il denaro è una di queste istituzioni e condiziona profondamente le relazioni tra gli uomini nella società moderna. Weber noterà che in tal modo Simmel tende a identificare troppo l’economia monetaria e il capitalismo. Il capitalismo come specifico sistema economico è per Simmel una conseguenza dell’economia monetaria. -Le condizioni non economiche del denaro Simmel indaga sui presupposti non economici del denaro e dell’economia monetaria. Possiamo dire che il capitalismo come sistema economico presuppone l’accumulazione privata del capitale; questa, a sua volta, richiede che il denaro si diffonda come strumento degli scambi, e si allarghi dunque la cerchia dei soggetti coinvolti nell’economia monetaria. Ma affinché il denaro possa svolgere la sua funzione di propulsore delle attività economiche è necessaria una condizione non economica fondamentale: occorre che cresca la fiducia nel denaro come aspettativa che il suo impiego possa sempre disporre di una contropartita in beni concreti. L’accumulazione del capitale presuppone dunque un’accumulazione di fiducia e questa condizione culturale è a sua volta sostenuta da fattori istituzionali: la legittimazione e l’efficacia del potere politico e le garanzie fornite dall’ordinamento giuridico. In questo senso il denaro diventa un’istituzione pubblica. Vi è un rapporto di interdipendenza tra: l’economia monetaria da un lato e lo stato centralizzato e il sistema giuridico, dall’altro. Lo stato moderno poteva così crescere anche attraverso lo sviluppo della tassazione che consentiva il mantenimento di una burocrazia e di un esercito sottoposti al potere centrale. Questi strumenti contribuivano a loro volta a indebolire il vecchio ordinamento feudale e a rafforzare l’economia monetaria garantendo lo sviluppo degli scambi. I soggetti storico nuovi bisogni culturali. Ma in ogni caso, per far fronte a queste esigenze, è sempre necessario produrre dei beni e dei servizi che vengono distribuiti e consumati secondo alcune regole condivise. In ciò consiste appunto l’attività economica. Per Sombart il sistema economico capitalistico è caratterizzato da una mentalità acquisitiva, razionalistica e individualistica, che si esercita nell’ambito di un’organizzazione economica libera, basata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e su aziende che producono beni per il mercato utilizzando lavoro salariato. Sombart distingue questo sistema da altri due tipi: l’economia diretta, nella doppia forma di economia diretta contadina e del proprietario terriero, e l’economia artigianale. Per ogni sistema si possono inoltre individuare 3 periodi: gli albori, la maturità e il tramonto. Questo fa si che, soprattutto agli inizi, un sistema conviva con altri in una fase di transizione. Un’epoca economica è costituita dal periodo storico in cui è dominante un determinato sistema economico. Per quel che riguarda in particolare il capitalismo, Sombart considera una fase iniziale, del primo capitalismo, che si conclude alla fine del ‘700, ed una successiva del capitalismo maturo, in cui questo sistema diventa dominante contrassegnando un’epoca economica che abbraccia tutto il XIX secolo e si conclude con la Prima guerra mondiale. -Le origini del capitalismo Il suo schema si riferisce alla nascita del primo capitalismo e alla sua evoluzione verso il capitalismo maturo. Le forze motrici dello sviluppo che si fanno portatori di una nuova mentalità economica sono gli imprenditori. Il loro comportamento è certo influenzato dalle istituzioni vigenti in una determinata società. Tuttavia, una volta che sotto l’influsso di questi fattori si forma un nuovo spirito economico, gli imprenditori introducono importanti innovazioni. Dapprima esse sono limitate, perché i soggetti coinvolti sono pochi. Nel tempo però la nuova mentalità economica si diffonde e comporta un cambiamento delle istituzioni. -Lo spirito capitalistico Per Sombart la mentalità capitalistica risulta da due componenti distinte: Chiamiamo spirito capitalistico quello stato d’animo risultante dalla fusione in un tutto unico dello spirito imprenditoriale e dello spirito borghese. Lo spirito d’intrapresa è aspirazione al potere intesa come volontà di affermazione e di riconoscimento sociale che spinge gli uomini a rompere la tradizione e a cercare nuove strade. È lo spirito di Faust, uno spirito di cui è profondamente permeata l’anima dell’uomo occidentale. Certo le sue origini sono legate alla storia religiosa dell’Occidente, al cristianesimo, ma Sombart mette in evidenza la progressiva laicizzazione. Questo processo si manifesta dapprima nella sfera politica, con la costruzione dello stato moderno, e in quella della conoscenza scientifica, con le sue applicazioni tecniche. Solo più tardi lo spirito di intrapresa si estende anche all’economia; ovvero si identifica con una ricerca di guadagno che non è più limitata, come in passato, alla conquista di metalli preziosi, ma si esercita nell’organizzazione dell’attività produttiva. È a questo punto che emerge una prima componente di imprenditorialità che si può definire politica. Si tratta di figure che richiamano chiaramente l’organizzazione economica mercantilistica, in cui l’imprenditorialità è più dipendente dal potere politico. Tuttavia, affinché questo processo si possa compiere pienamente è necessario che lo spirito di intrapresa si fonda con quello borghese. -La formazione dell’imprenditorialità L’imprenditorialità borghese costituisce dunque la componente in cui si esplica più pienamente l’imprenditorialità capitalistica. Tuttavia, Sombart ritiene che non bastino la matrice cristiana e l’ambiente urbano per spiegare le condizioni della sua formazione. Accanto a questi fattori di ordine generale occorre considerare delle variabili più specifiche, che consentono di individuare quali gruppi sociali abbiano contribuito ad alimentare maggiormente l’imprenditorialità borghese. L’attenzione è posta in particolare su tre gruppi: gli eretici, gli stranieri e gli ebrei.  Gli eretici sono costituiti dai non appartenenti alla Chiesa di Stato. Tra questi vi sono anzitutto gli ebrei, inoltre i protestanti in paesi cattolici ma anche i cattolici in paesi protestanti. Coloro che non appartengono alla religione prevalente finiscono per avere uno status di semicittadini, per cui per essi precluso l’accesso ai pubblici uffici. Ciò stimola l’imprenditorialità capitalistica.  Gli eretici alimentano l’imprenditorialità anche in un altro modo, e cioè con le migrazioni, che portano alla categoria sociale degli stranieri.  Infine, gli ebrei hanno dato un contributo allo sviluppo capitalistico, specie attraverso l’imprenditorialità commerciale e creditizia. -Il modello dello sviluppo capitalistico L’imprenditorialità è caratterizzata da una determinata mentalità economica, che è alimentata dalla religione cristiana e dalla città occidentale ed è stimolata dalla condizione di marginalità sociale in cui si trovano determinati gruppi. La mentalità capitalistica si afferma in stretta interdipendenza con un complesso di fattori istituzionali che contribuiscono alla sua formazione e ne sono a loro volta condizionati. In questo senso si può dire che per Sombart gli imprenditori sono quelli che fanno scoccare la scintilla. Sombart considera cruciale il contributo dello stato. Nella costruzione dello Stato moderno si esprime, lo spirito di intrapresa occidentale. Lo Stato stimola a sua volta lo sviluppo tecnico, per aumentare l’efficienza militare. Alla lotta per la supremazia tra i vari stati è anche legato il sostegno alla politica di conquista e alle intraprese coloniali. L’obiettivo è quello di accrescere la disponibilità di metalli preziosi, che aumentano le risorse della finanza pubblica e quindi la potenza militare. importante è venuto secondo S. dalla religione protestante. In ogni caso si trattava però di una situazione limitata ad una fascia ristretta di operai, presenti solo in alcuni paesi. La disponibilità di operai qualificati era limitata e rendeva più elevato il costo del lavoro. Da qui la spinta alla decomposizione del lavoro. Le mansioni complesse vengono scomposte in una pluralità di compiti più accessibili anche ai lavoratori poco qualificati. Si riduce il peso degli operai specializzati, mentre aumentano i semiqualificati e gli operai comuni. Il sistema delle macchine condiziona con le sue modalità il funzionamento della prestazione lavorativa. S. percepisce la subordinazione del lavoratore alla macchina. Tutto ciò comporta diversi vantaggi per l’impresa capitalistica: consente di ridurre il costo del lavoro, facilita l’addestramento dei lavoratori, inoltre permette l’applicazione di nuovi metodi basati sulla pianificazione più rigida dei tempi. Un altro aspetto della razionalizzazione interna è costituito dalla condensazione aziendale. Si tratta della crescente concentrazione delle macchine e uomini all’interno dell’azienda per aumentare la capacità di produzione. La grande azienda concentrata permette di sfruttare al massimo le economie di scala, producendo grandi quantità di prodotti a costi più bassi. Arriviamo così ad un ulteriore aspetto della razionalizzazione, quello del consumo. È essenziale che i consumi siano influenzati dalle imprese, in modo che la domanda di beni possa essere posta sotto controllo sia nella quantità che nella qualità. L’uniformità dei bisogni è l’effetto di un’azione delle imprese, esse si servono della Moda, senza di questa il periodo di utilizzazione di un singolo bene sarebbe più lungo. Le imprese sfruttano le economie di scala e controllano l’offerta, che quindi si impone di più ai consumatori. La moda, prima limitata a gruppi sociali ristretti della classe alta, tende a generalizzarsi e a diffondersi più rapidamente nelle nuove condizioni di vita legate all’urbanesimo. L’industria che da un lato influenza l’andamento della moda, può accelerare il ritmo di introduzione di nuovi prodotti, ma dall’altro ha anche maggiori possibilità di standardizzare i bisogni creando un mercato di massa. Quest’ultima tendenza si realizza attraverso la produzione di beni di qualità inferiore che imitano i modelli di élite imposti dalla moda e richiesti ora da un largo pubblico di consumatori. -Il futuro del capitalismo Il sistema economico capitalistico si indebolisce dall’interno. Nella grande impresa vi è sempre meno spazio per il rischio dell’imprenditore tradizionale. È quindi probabile una tendenza generale alla decadenza della mentalità imprenditoriale. L’organizzazione del sistema economico capitalistico è caratterizzata da crescenti restrizioni alla libera ricerca del massimo profitto. Alcune di queste derivano da vincoli costituiti dall’integrazione delle imprese in organizzazioni che ne condizionano il comportamento per conseguire maggiore stabilità (ex: cartelli, concentrazioni finanziarie industriali). Le organizzazioni sindacali, che si rafforzano con la crescita delle grandi imprese e dell’urbanizzazione, impongono restrizioni ai meccanismi di mercato nella determinazione del salario e delle condizioni di lavoro. CAPITOLO 5 CAPITALISMO E CIVILTA’ OCCIDENTALE MAX WEBER La formazione di Weber fu influenzata dallo storicismo, studiando la situazione agricola tedesca, W. Rimase colpito dalla tendenza dei lavoratori impegnati nelle tenute dei grandi proprietari a lasciare la condizione di contadini fissi, per quella di salariati o ad emigrare. I lavoratori agricoli volevano liberarsi dai pesanti rapporti di dipendenza nei riguardi degli Junker, nonostante la perdita di sicurezza economica che ciò comportava nell’immediato. Anche il comportamento degli operatori di borsa tedeschi non è comprensibile. Sia gli operatori inglesi sia quelli tedeschi desiderano guadagnare il più possibile giocando sui differenziali dei prezzi. Ma il comportamento degli inglesi è istituzionalizzato da un ordinamento tale da ostacolare le degenerazioni della speculazione che il mercato borsistico rende possibili. In GB come negli USA la borsa è un’aristocrazia del denaro che richiede l’osservanza di elevati standard etici e esercita un forte controllo sui suoi membri, questo non avviene invece in Germania dove i valori degli operatori sono più esposti ai rischi di comportamento non corretti. Studiando la società tedesca egli era stato colpito dal problema delle differenze territoriali dello sviluppo economico: quelle interne alla Germania, ma anche tra la Germania ed altri paesi, specie anglosassoni. Andando verso sud predomina la piccola proprietà contadina e verso nord est prevalgono le grandi proprietà fondiarie. Secondo W. occorre guardare alle trasformazioni intervenute all’inizio dell’800. Quando furono aboliti gli obblighi feudali, si affermarono due percorsi distinti. Nel sud la terra finì in gran parte nelle mani dei contadini, mentre nell’est rimase ai proprietari fondiari che cominciarono a gestire le tenute con lavoro libero. Nel sud si diedero le condizioni per il rafforzamento dei contadini, mentre nell’est ciò non accadde. Per W. il ruolo delle città nello sviluppo economico è fondamentale. Per favorire la crescita dell’imprenditorialità secondo W. occorre guardare all’influenza della religione protestante sulla diffusione di un’etica economica che alimenta lo spirito del capitalismo, egli lo considera come un tipo ideale, non si identifica con l’impulso acquisitivo, l’avidità di denaro è sempre esistita ed è sempre presente anche nelle società precapitalistiche. Ciò non porta al superamento del tradizionalismo economico, ma ne costituisce una componente tipica. L’orientamento economico tradizionalistico appare contraddistinto da due aspetti principali: -Il profitto non è giustificato dal punto di vista etico, ma è tollerato; -L’acquisitività si manifesta nel commercio, o nella guerra e in genere in un capitalismo d’avventura, ma non investe invece nella sfera della produzione, che resta governata da routine tradizionali. Il carattere tradizionalistico dello spirito economico può essere proprio anche di un’economia già elettive tra etica protestante e spirito del capitalismo. L’influenza del protestantesimo è rilevante per la fase della genesi del capitalismo, mentre si attenua successivamente. -La definizione del capitalismo moderno Si tratta di una forma di organizzazione economica che consente il soddisfacimento dei bisogni attraverso imprese private che producono beni per il mercato sulla base delle aspettative di profitto e che impiegano forza lavoro salariata formalmente libera. Questa definizione contiene tre elementi che la differenziano da forme di organizzazione economica non capitalistiche: -il primo è costituito dal soddisfacimento dei bisogni tramite il mercato. Ciò permette di differenziare il capitalismo moderno dall’economia domestica, in cui la produzione di beni è volta in misura prevalente all’autoconsumo. -le altre due dimensioni permettono di differenziare il capitalismo moderno da altre forme più tradizionali. Nel primo il calcolo del capitale è sviluppato grazie ad accorgimenti contabili e organizzativi. Questa razionalizzazione del calcolo del capitale è secondo W. favorita da una terza condizione che non si dà nell’economia domestica e nel capitalismo tradizionale: l’organizzazione razionale del lavoro salariato formalmente libero. Ciò che distingue il capitalismo moderno è che la ricerca del profitto avviene nella sfera della produzione per il mercato con forza lavoro salariato. Per W., se si eccettuano il commercio ed il credito, le forme tradizionali sono soprattutto di tipo politico, ovvero si basano sull’uso della forza come nel caso del capitalismo predatorio e d’avventura sull’uso di risorse garantite politicamente, cioè dallo stato. Alla distinzione tra capitalismo economico e politico corrisponde quella tra imprenditorialità economica e politica. L’azione imprenditoriale è un agire orientato in modo autonomo in base al calcolo del capitale. Esso mira ad incrementare il potere di disposizione dell’imprenditore su determinati beni che si realizza attraverso la ricerca di profitto e calcolo del capitale. Il capitalismo industriale è una forma di organizzazione economica che sfrutta opportunità di profitto determinatesi nel mercato dei beni con attività che si localizzano nella sfera di produzione, e non solo in quella della circolazione. W. dunque ritiene che non ci possa essere capitalismo moderno senza classe operaia. Per procedere ad una ricostruzione più matura della teoria di W., consideriamo una serie di presupposti del capitalismo moderno che egli elenca: - La prima condizione è che vi sia appropriazione dei mezzi di produzione da parte dell’imprenditore; - È necessario che vi sia libertà di mercato, ovvero che non operino vincoli di natura culturale e politica al consumo di determinati beni, la libertà di mercato non solo è necessaria per il mercato dei beni, ma anche per quello dei fattori di produzione; - L’esistenza di forza lavoro libera; - Nella stessa direzione agisce la tecnica razionale, in particolare la disponibilità di una tecnologia meccanica che consente di calcolare con esattezza i costi di fabbricazione dei beni; - La commercializzazione dell’economia è un presupposto che fa riferimento alla disponibilità di strumenti giuridici come le azioni e i titoli di credito, che da un lato facilitano la separazione tra patrimonio familiare e patrimonio dell’impresa; - Infine, le transazioni economiche siano garantite da un ordinamento giuridico che riduca i rischi e renda più prevedibili le relazioni tra privati, e tra questi e la pubblica amministrazione. Da qui l’importanza di uno stato che sostenga il diritto razionale e renda anche la legge calcolabile. -Le condizioni del capitalismo moderno Lo schema concettuale adottato da W. per spiegare le origini del capitalismo moderno distingue anzitutto tra un complesso di condizioni che egli considera specificamente occidentali, nel senso che si sono manifestate solamente in quest’area territoriale e altri fattori complementari, non sono necessariamente occidentali, ai quali non viene però attribuito un ruolo decisivo. Ne vengono menzionati 4: le vicende belliche, le conquiste coloniali e l’afflusso di metalli preziosi, la domanda di beni di lusso delle corti, le condizioni geografiche favorevoli. Le prime e più importanti condizioni, specificatamente occidentali sono di due tipi. Quelle culturali riguardano l’influenza dell’etica economica di origine religiosa sulla formazione dell’imprenditorialità; quelle istituzionali fanno invece riferimento a tre fattori: la città occidentale, lo stato razionale e la scienza razionale. Tuttavia, i legami tra i due gruppi di variabili e la tradizione religiosa occidentale sono diversi. Questa influenza il capitalismo moderno sia direttamente, tramite la formazione dell’etica economica, sia indirettamente attraverso il contributo che essa dà all’emergere delle condizioni istituzionali. -L’etica economica Le condizioni culturali sono centrate sull’etica economica. In primo luogo, può confermare il ruolo causale dell’etica economica mostrando come le religioni non cristiane prevalenti altrove avessero alimentato un orientamento economico sfavorevole al capitalismo moderno. In secondo luogo, attenua il peso attribuito all’idea di predestinazione e enfatizza il ruolo delle sette protestanti. W. accentua l’importanza della tradizione religiosa occidentale per il superamento del dualismo tra etica dei virtuosi e delle masse. Tutte le etiche economiche sono state caratterizzate dal dualismo, cioè dal rispetto per le pratiche produttive e commerciali tramandatesi nel tempo. Il carattere sacro della tradizione è di solito rinforzato dagli interessi materiali di coloro che sarebbero colpiti dall’innovazione economica. Qualora si creda che il mondo sia dominato da potenze soprannaturali, qualsiasi innovazione è scoraggiata dal timore di una della città sono appartenenti alle tribù o caste caratterizzate da culti diversi. Da qui l’importanza per il comune medievale della chiesa cittadina, del santo protettore e delle feste religiose. La città occidentale del medioevo deve trovare mezzi propri di sussistenza, non potendo contare sulla redistribuzione di risorse di natura militare o amministrativa tipica della città non occidentale. Si spiega così perché la città occidentale si orienti verso attività commerciali e produttive che preparano un capitalismo razionale orientato allo sfruttamento di opportunità di mercato. In questo quadro, il primo contributo rilevante della città ai presupposti del capitalismo riguarda l’allargamento del mercato; ciò avviene inizialmente attraverso lo sviluppo del commercio, che in genere caratterizza la vita economica delle città come comunità politiche autonome. Ma per perseguire questa possibilità le città medievali sono spinte molto presto a sperimentare nuovi strumenti che favoriscono la commercializzazione della vita economica. La borghesia cittadina che così si sviluppa entra in conflitto con l’organizzazione economica originaria delle campagne basata sulla signoria fondiaria, prevalentemente orientata all’economia domestica di autoconsumo. Dall’altra parte, la città maturerà un interesse a liberare i contadini dagli obblighi feudali non solo per accrescere il mercato per i suoi prodotti, ma anche per reperire manodopera per il lavoro a domicilio affidato da mercanti- imprenditori urbani. Infine, vi è un interesse dei gruppi urbani più abbienti a investire il loro capitale in proprietà agricole, anche per motivi di prestigio, e quindi un interesse a liberare la terra da vincoli feudali rendendola commerciabile. È sul terreno del feudalesimo contrattuale che si può sviluppare un’aristocrazia terriera con basi di potere autonome nei propri possedimenti. È vero che i vincoli feudali sono un ostacolo al capitalismo, ma W. nota anche che la maggiore stabilità dell’ordinamento giuridico e dei diritti patrimoniali favorisce in questo caso una lenta trasformazione in senso borghese. Un altro presupposto del capitalismo moderno è l’appropriazione nelle mani dell’imprenditore dei mezzi di produzione. Il punto di partenza del processo si può individuare nel progressivo indebolimento delle corporazioni, su cui si era basata la vita economica delle città medievali. Lo spirito della corporazione si riallaccia al carattere comunitario tipico delle origini della città, quando i suoi membri dovettero lottare per acquisire, per via rivoluzionaria o dietro indennizzo, i privilegi prima concessi dai detentori del potere politico per esercitare determinate attività. A tale scopo venivano regolati il processo di produzione, l’organizzazione del lavoro, i rapporti con il mercato. Già alla fine del Medioevo sono visibili processi di differenziazione sia all’interno che tra le diverse corporazioni. Il controllo dell’acquisto delle materie prime e dei rapporti con il mercato hanno in genere valore strategico e condizionano il processo di differenziazione. Si forma così la figura del mercante imprenditore che alimenta il lavoro a domicilio coinvolgendo anche i contadini. Si possono cogliere i prodromi del processo di appropriazione dei mezzi di produzione. Quest’ultimo passaggio si manifesta soltanto nell’esperienza occidentale. Di particolare rilievo è la tecnica razionale. Questo fattore è a sua volta legato allo sviluppo della scienza razionale in occidente. Il più accentuato processo di demagizzazione che caratterizza la tradizione ebraico- cristiana è per W. il terreno di coltura del pensiero scientifico. Dall’altra parte, il carattere più innovativo delle attività economiche dell’occidente, è un importante stimolo all’applicazione della scienza sul piano produttivo, e quindi allo sviluppo di nuove tecniche. A questo proposito W. attira in particolare l’attenzione sulle attività minerarie e sullo stimolo che da esse è venuto. Il pieno sfruttamento del carbon fossile rese a sua volta possibile l’utilizzazione del ferro come materia prima fondamentale per lo sviluppo industriale; l’accoppiata carbone-ferro fu essenziale per la meccanizzazione. Quest’ultimo fenomeno ebbe due conseguenze di rilievo per il capitalismo moderno. Anzitutto, favorì una produzione di massa a più basso costo, attraverso quella democratizzazione del lusso. In secondo luogo, la meccanizzazione consentì una razionalizzazione del calcolo del capitale per quel che riguarda i costi di fabbricazione. -Stato e diritto razionale Un presupposto essenziale del capitalismo moderno è il diritto razionale. Esso, secondo W., rende la legge calcolabile, ovvero dà maggiore prevedibilità ai rapporti tra i soggetti impegnati in attività economica e tra questi e la pubblica amministrazione. Il tipo ideale dello stato razionale si contrappone a quello patrimoniale, più diffuso in Oriente, in cui il potere politico è un possesso privato del signore e i funzionari sono i suoi dipendenti personali. Tre fattori sono richiamati: o Il primo è di natura religiosa. Si tratta dell’influenza del processo di demagizzazione che ha reso possibile un intervento del potere politico per affrontare problemi che si ponevano nella società. Dall’altra parte, per l’affermarsi dello stato razionale come stato di diritto è particolarmente importante l’elaborazione giuridica del diritto di cittadinanza, e quindi l’esperienza delle città occidentali. o W. si sofferma, soprattutto nella “Storia” che ha consentito ad esse di agire in concreto a favore dell’organizzazione razionale dello stato: il diritto romano. Con la caduta dell’Impero romano, il diritto era stato conservato soprattutto per merito dei notai che lo avevano adattato ai problemi della commercializzazione della vita economica e inoltre nell’ambito delle università, dove si era formata una dottrina giuridica sistematica. D’altra parte, esso si prestava particolarmente alla formazione di una burocrazia specializzata. Nel processo di creazione degli stati assoluti i sovrani trovarono nel diritto formale di origine romana un importante strumento per promuovere la centralizzazione politico-amministrativa attraverso l’unificazione giuridica. Poté così formarsi un diritto motivi per comprendere il comportamento individuale occorre prendere in esame le istituzioni. Ora D. si concentra sulle conseguenze della crescita della divisione del lavoro. I vantaggi in termini di maggior produttività e di benessere, che si verificano con una più alta divisione del lavoro, non potevano essere anticipati e compresi dai singoli individui, spingendoli così a specializzarsi. La causa della divisione del lavoro va ricercata in una direzione non individualistica. Occorre esaminare i cambiamenti che intervengono nella società, cioè nella distribuzione della popolazione e nella qualità dei rapporti sociali. Essi si riflettono nelle forme che assume la solidarietà, determinata dall’insieme delle norme morali condivise che legano tra loro gli uomini e ne regolano i rapporti. La spiegazione di D. si basa sull’analisi dei meccanismi che determinano il passaggio da un tipo ideale di società semplice caratterizzata dalla solidarietà meccanica ad un tipo di società superiore ad elevata divisione del lavoro, nella quale prevale la solidarietà organica. Il primo tipo ideale di società è caratterizzato da piccole dimensioni, prevalgono insediamenti segmentati, con una bassa divisione del lavoro. L’ordine sociale si basa su caratteri particolari della coscienza collettiva. Le credenze condivise lasciano poco spazio alle scelte dei singoli membri della società. Un indicatore empirico del forte controllo sociale sugli individui può esser visto nel prevalere del diritto penale basato su sanzioni repressive. La pena è una reazione passionale della società che si esprime l’offesa ricevuta dalla morale condivisa: la società castiga per vendicarsi. Un aumento della popolazione porta ad un indebolimento degli insediamenti umani, uscendo dal primitivo isolamento, gli uomini si avvicinano gli uni agli altri e aumenta la <<densità morale>>. Tutto ciò si riflette in una più accentuata lotta per l’esistenza che spinge i singoli individui a specializzarsi maggiormente per sopravvivere nelle nuove condizioni. Questo porta all’emergere del tipo ideale delle società superiori caratterizzate dalla crescita delle dimensioni e dallo sviluppo della divisione del lavoro, essa non è priva di solidarietà. La coscienza collettiva regola i comportamenti individuali in modo meno rigido, indicando dei valori che lasciano più spazio alle scelte individuali. È in questo quadro che si diffondono i valori dell’individualismo. Un indicatore del mutamento intervenuto si può riscontrare nel diritto. Si afferma infatti il diritto restitutivo caratterizzato da sanzioni che hanno finalità di reintegrazione di una situazione preesistente alla violazione di interessi giuridicamente protetti. -Le condizioni non contrattuali del contratto D. mostra come laddove si sia affermato l’individualismo come criterio morale che le regole sociali non sono venute meno. È vero che in questo tipo di società le relazioni contrattuali tendono a crescere, ma persistono anche le <<relazioni non contrattuali>>, regolate da istituzioni di natura giuridica. Affinché le relazioni contrattuali si possano sviluppare sono necessarie delle norme; occorre un diritto contrattuale che non solo garantisca l’efficacia dei contratti stessi e li faccia rispettare, ma stabilisca anche i limiti generali entro i quali è possibile esercitare autonome scelte da parte dei soggetti privati. Tra gli elementi non contrattuali da cui dipende l’efficacia dei contratti vi sono le norme giuridiche, i costumi e le norme morali. -Le origini delle istituzioni Poiché l’ordine sociale possa esistere è necessario porre un freno agli interessi individuali, occorre regolarli e disciplinarli. Ciò può avvenire solo laddove esistano situazioni forti. Le istituzioni sono il frutto dell’interazione tra gli individui. Una volta affermatesi esse acquistano un’autonomia e un carattere costrittivo che si impone ai singoli soggetti, esse però non hanno origine contrattuale, la loro esistenza va cercata in particolari <<momenti di effervescenza>> della società nei quali si fa più intensa, l’interazione tra gli uomini. Ciò porta a sciogliere e ad annullare gli interessi individuali e gli egoismi propri della dimensione quotidiana in forti identità collettive. Esempi di queste fasi della vita sociale si trovano nei periodi di rinascita religiosa del Medioevo, nella Riforma protestante ecc.., essi però sono temporanei, tuttavia gli ideali che in essi si sprigionano sono alla base delle istituzioni sociali. Le istituzioni rendono possibili le relazioni sociali e le stesse attività economiche, non solo perché regolano i conflitti d’interesse, ma perché rendono possibile la definizione stessa degli interessi individuali. -Le conseguenze sociali della divisione del lavoro. La presenza di una solidarietà in una società ad elevata divisione del lavoro non è scontata. Lo sviluppo della divisione del lavoro si accompagna a tensioni e conflitti sociali. Egli distingue tra due modalità prevalenti attraverso le quali la divisione del lavoro produce effetti socialmente destabilizzanti. Il primo caso si manifesta quando essa tende a crescere più rapidamente rispetto alle regole istituzionali: si determina dunque una situazione di anomia, di carenza di norme. Il secondo caso si ha invece quando le regole ci sono ma sono inadeguate rispetto ai problemi: la divisione dei compiti assume allora un carattere coercitivo. -La divisione anomica Per D. il forte sviluppo delle attività economiche è la principale fonte di anomia nelle società moderne, questo processo si è affermato senza un’adeguata istituzionalizzazione. Due forme tipiche attraverso le quali si manifesta l’anomia sono le crisi industriali e commerciali e l’antagonismo tra capitale e lavoro.  Le crisi economiche sono dovute all’espandersi del mercato come meccanismo di regolazione delle attività economiche. La crescita della divisione del lavoro e della produzione per il mercato comportano invece la possibilità che si determini uno scarto tra produzione e consumo che genera crisi ricorrenti. Il mercato tende a ristabilire l’equilibrio, ma ciò avviene attraverso continue destabilizzazioni delle relazioni sociali, di cui i fallimenti e la disoccupazione ne sono un segno tangibile; generale delle disuguaglianze sociali, si sarebbero dimostrati al di là della portata di uno strumento come le corporazioni. -Affinità con Marx Entrambi gli autori riconoscono che la divisione del lavoro è un fattore che contribuisce all’aumento della produttività del lavoro e della crescita della ricchezza, si determina una crescita della disuguaglianza tra capitalisti e lavoratori, che Marx definiva come alienazione dei lavoratori dal loro prodotto e D. come divisione anomica coercitiva. E si manifesta una parcellizzazione e dequalificazione del lavoro che Marx definiva come alienazione nel processo lavorativo e D. come una forma di divisone anomica. Le divergenze si manifestano su due aspetti: -Marx riteneva che lo sviluppo della divisione del lavoro avrebbe aggravato le diverse forme di alienazione, innescando un conflitto sociale che avrebbe travolto le stesse istituzioni capitalistiche. -Per D. invece, il disordine sociale è uno dei fenomeni transitori dovuti alla carenza di regole istituzionali. Egli riteneva che le società sviluppate non potessero fare a meno della divisione del lavoro, pena la regressione. In questo senso la specializzazione è anche un dovere morale che occorre perseguire perché corrisponde alle esigenze funzionali della società moderna. Marx riteneva invece che il problema delle disuguaglianze non fosse risolvibile se non eliminando la stessa divisione del lavoro. D. cerca di distinguere la dottrina del comunismo dalle idee del socialismo. La prima è apparsa più volte nel corso della storia e assume sempre un carattere utopistico (Campanella). L’idea di fondo è che la ricchezza è nociva e occorre estrometterla dalla società, essi si pongono l’obiettivo di limitare la divisione del lavoro e di mettere in comune il prodotto del lavoro. Il socialismo è un fenomeno tipicamente moderno; presuppone la crescita della divisione del lavoro ed esprime l’obiettivo di porre rimedio ai problemi sociali che questo fenomeno ha prodotto tra la fine del ‘700 ed il secolo successivo. Richiede una maggiore regolamentazione delle attività economiche da parte dello stato anche per controllare le disuguaglianze. D. è vicino alla prospettiva del socialismo perché ritiene necessaria una regolamentazione del lavoro, ma se ne distanzia perché convinto che il socialismo trascuri la dimensione morale. -VEBLEN Egli visse in un contesto americano, manifesta presto un’insoddisfazione per l’economia tradizionale classica e neoclassica, che giudica incapace fi fornire strumenti di conoscenza adeguati a comprendere i grandi cambiamenti economici di fine secolo. Egli cercherà di rifondare su basi istituzionali l’analisi economica traendo ispirazione dalla prospettiva evoluzionista, sviluppatasi in biologia e nelle scienze naturali con Darwin. Secondo V. la teoria economica tradizionale condivide una visione della natura umana passiva e sostanzialmente inerte, una visione in cui l’uomo è visto come un calcolatore di piaceri e pene un mero fascio di desideri. In realtà, il comportamento dell’uomo non è comprensibile in termini individualistici. La sua visione dell’uomo è più vicina a quello dell’homo faber, l’obiettivo di fondo è quello di spostare l’attenzione sul ruolo delle istituzioni come elementi che incanalano e plasmano il comportamento. Le istituzioni sono abitudini mentali, modelli di comportamento condivisi e approvati. L’azione umana è socialmente condizionata, gli uomini sono guidati da valori e norme che l’individuo riceve dalla società in cui vive. Con il cambiamento storico si modificano sia le istituzioni sia il comportamento individuale ed anche quello economico. Questa variabilità dell’azione non può essere apprezzata dalla teoria economica tradizionale, che considera le preferenze individuali e lo stato delle conoscenze come dati. L’economia deve essere in grado di dar conto dei grandi cambiamenti in corso, ma per farlo deve guardare alle scienze biologiche e al loro impianto evoluzionista e deve porre al centro le istituzioni. Pur ispirandosi all’evoluzionismo, assume un orientamento non individualistico, al centro di questa impostazione vi sono le istituzioni e non gli individui. La visione evoluzionista delle istituzioni emerge per regolare i rapporti tra gli uomini in società. La crescita della popolazione e lo sviluppo della tecnologia fanno sorgere problemi di adattamento. Le istituzioni ereditate dal passato tendono ad essere difese dai gruppi sociali che sono privilegiati nell’ambito del vecchio assetto: essi si oppongono al mutamento e riescono spesso ad influenzare anche le classi sociali inferiori. Alla lunga un adeguamento delle istituzioni, tale da consentire la piena valorizzazione delle nuove conoscenze e tecnologie avverrà, ma i termini di questo processo non sono definibili a priori. Da questa teoria delle istituzioni discendono due conseguenze diverse: 1. Quanto maggiore sarà il ritardo nell’adeguamento delle istituzioni, tanto più grande sarà il costo al quale una determinata società andrà in contro in termini di spreco di risorse (disoccupazione e perdita del benessere collettivo); 2. Riguarda la possibile coesistenza di società in cui il rapporto tra tecnologia e istituzioni è diverso. La tesi di fondo è che ci possono essere percorsi di sviluppo differenti, basati sulla capacità di innestare le tecnologie più moderne applicabili al processo industriale in un contesto istituzionale ancora permeato da valori tradizionali. -I contesti sociali del capitalismo V. utilizza la sua teoria del cambiamento per mettere a fuoco i problemi di adeguamento delle istituzioni nella società moderna che egli osservava tra la fine dell’800 in grande trasformazione. Nella prima fase della rivoluzione industriale, si era affermato il sistema dell’industria meccanica. In questo periodo la produzione faceva capo a delle imprese private in cui i proprietari-imprenditori erano insieme capitalisti e organizzatori della produzione, dato le conoscenze e le tecniche disponibili, le imprese erano di dimensioni ridotte. In questa situazione la ricerca di profitto da parte degli imprenditori avveniva attraverso miglioramenti di efficienza, sotto lo stimolo della concorrenza con altre imprese che competevano nel mercato. Egli riconosce che le istituzioni economiche portano ad una La Grande Crisi trascinò l’economia dei paesi più sviluppati in una gravissima depressione, con crollo della produzione, fallimenti a catena delle imprese e picchi di disoccupazione mai raggiunti in precedenza. Il capitalismo liberale viene sostituito in forme diverse da un nuovo quadro istituzionale. È su questo sfondo che si collocano le riflessioni di Polanyi e Schumpeter. Essi cercano di dare una risposta agli interrogativi sulle cause del declino, e insieme delineano i cambiamenti che si vanno sperimentando a partire dagli anni ’30: la formazione di un capitalismo più regolato, in cui lo spazio del mercato si riduce e l’economia viene reincorporata nella società. Essi vengono da percorsi intellettuali diversi: P. è un socialista mentre S. un liberista conservatore. -L’economia come processo istituzionale P. è un’istituzionalista, ovvero che per lui l’azione economica non è comprensibile in termini individualistici, ma è influenzata dalle istituzioni sociali. Anch’egli critica l’idea dell’uomo economico, caratterizzato da una propensione psicologica individuale al baratto, allo scambio e al commercio. La ricerca del guadagno è una motivazione che non è stata sempre alla base del comportamento economico. Le economie primitive funzionano sulla base di complesse reti di obbligazioni condivise che motivano il comportamento individuale. Solo negli ultimi anni il perseguimento del guadagno è diventato rilevante. Ciò è avvenuto perché l’economia ha cominciato ad essere regolata sempre di più dal mercato. Per P. l’indagine economica non può essere separata dal contesto storico. Nella realtà storico empirica esistono tipi di economie, sistemi economici in cui le attività di produzione, distribuzione e scambio dei beni, senza le quali la società non potrebbe sussistere, sono regolate da particolari istituzioni che si modificano storicamente. P. individua tre principi fondamentali di regolazione delle attività di produzione, distribuzione e scambio dei beni, che egli chiama <<forme di integrazione>> dell’economia: Reciprocità, Redistribuzione e Scambio di mercato. Ciascuna di queste forme si differenzia dalle altre sia per l’organizzazione delle attività economiche che per i rapporti tra tali attività e le altre sfere della vita sociale. Quando prevale la reciprocità, come nelle economie primitive, beni e servizi vengono prodotti e scambiati sulla base di aspettative di ricevere altri beni e servizi secondo modalità e tempi fissati da norme sociali condivise. Tali norme di reciprocità si fondano su specifiche istituzioni che le sostengono e sanzionano in varie forme coloro che non le rispettano. Si tratta in particolare della famiglia e della parentela: è tra familiari o gruppi di parenti che si sviluppano rapporti economici di reciprocità. P. sottolinea che le istituzioni che sostengono i comportamenti di reciprocità come forme di integrazione stabile dell’economia sono strutture organizzate sistematicamente. Già nelle economie primitive, alla reciprocità si affianca la redistribuzione. In questo caso i beni vengono prodotti e allocati sulla base di norme che stabiliscono le modalità delle prestazioni lavorative, l’entità delle risorse che devono essere trasferite ad un capo politico, il quale a sua volta le redistribuisce ai membri della società secondo determinate regole. Si possono quindi avere meccanismi di redistribuzione più egualitari e altri invece che comportano più forti disuguaglianze tra i gruppi sociali. Le istituzioni politiche diventano quindi più importanti di quelle familiari e parentali per le economie organizzate in base alla redistribuzione, la quale presuppone qualche forma di organizzazione statuale e di centralizzazione amministrativa, che permetta di regolare le attività economiche e faccia rispettare, anche con la coercizione, gli obblighi di fedeltà politica, di solito giustificati su base religiosa. Lo scambio di mercato è una forma di integrazione economica che appare di recente e raggiunge il suo culmine nel corso del XIX secolo. Questa forma implica non solo che lo scambio di beni attraverso il commercio sia regolato dal mercato, ma richiede anche che la produzione di beni e servizi e la distribuzione dei redditi siano dipendenti da mercati regolatori dei prezzi. P. vuole sottolineare come l’esistenza di forme di commercio con prezzi regolati dal mercato è un fenomeno che si ritrova anche nelle economie antiche mentre molto più tarda è la diffusione di questo meccanismo nella sfera della produzione e della distribuzione dei redditi, ma solo quando ciò avviene su larga scala che si può parlare di scambio di mercato come forma di integrazione dell’economia. In questo caso è essenziale l’esistenza di mercati regolatori dei prezzi (mercati autoregolati), ciò comporta che siano presenti quei prerequisiti istituzionali dei mercati autoregolati: la proprietà privata dei mezzi di produzione, il lavoro salariato, la piena commerciabilità di tutti i fattori produttivi. L’idea di sistema economico viene utilizzato legandolo a quello di forma di integrazione. Quest’ultima acquista un carattere prevalente in una determinata economia, nella misura in cui si estende alla sfera produttiva ed in particolare quando regola l’uso della terra e del lavoro. Le forme di integrazione non rappresentano stadi dello sviluppo. Non vi è una sequenza temporale necessaria lungo la quale esse si avvicendano, e di solito più forme si combinano in un sistema economico in cui una è prevalente. Egli introduce la distinzione tra significato formale e sostanziale di economia. Nel primo significato, quello formale, economia è sinonimo di economizzare, indica il processo razionale di allocazione di risorse scarse. Questa definizione è tipica dell’economia neoclassica. Il significato sostanziale di economia fa invece riferimento alla sussistenza umana; vuole sottolineare che l’uomo dipende per la sua sopravvivenza dalla natura e dagli altri uomini. Questo processo di interazione è l’oggetto dell’economia. -La grande trasformazione Per P. un’economia di mercato è un sistema economico controllato, regolato e diretto soltanto dai mercati; l’ordine nella produzione e distribuzione delle merci è affidato a questo meccanismo autoregolantesi. Per questa modalità di organizzazione delle attività economiche appare decisiva l’invenzione e la realizzazione di lato dell’economia genera vincoli crescenti che intralciano il funzionamento dei mercati autoregolati nel campo dei fattori produttivi. Si riduce la flessibilità e cresce il costo del lavoro, mentre le tariffe doganali limitano gli scambi commerciali. L’aumento del costo della vita, legato al protezionismo agrario fa salire il prezzo dei beni alimentari per i consumatori nazionali, alimenta le rivendicazioni salariali degli operai e ciò spinge gli industriali a chiedere nuovi dazi e protezioni anche per il loro settore. L’effetto è un restringimento del commercio e degli scambi internazionali, che limita le possibilità di smercio dei beni proprio nel momento in cui il progresso delle tecniche aumenta la produttività delle imprese. Si manifestano inoltre due tentativi di alleviare e allontanare le crisi di sovrapproduzione. Il primo riguarda la diffusione delle politiche coloniali e dell’imperialismo economico, che P. considera come uno strumento per procurarsi materie prime a basso costo. Il secondo meccanismo che frenava le crisi economiche è costituito dal diffondersi dei prestiti e del credito a livello internazionale. In tal modo, la crisi economica veniva evitata col ricorso al credito che alimentava le imprese e sosteneva la bilancia dei pagamenti dei vari paesi. Ma a lungo andare questo meccanismo non poteva reggere. Le cause della crisi sono quindi sociali e politiche. È il nuovo protezionismo istituzionale innescato dall’autodifesa della società che irrigidisce e alla fine blocca il funzionamento dei mercati. -Declino della borghesia e politiche anticapitalistiche Per Schumpeter, il cambiamento economico deve essere posto al centro dell’indagine. Tale prospettiva lo spinge inevitabilmente a misurarsi con il ruolo delle istituzioni. -Economia e sociologia economica Egli sottolinea come nell’ambito della scienza economica occorre distinguere tra “teoria economica”, “storia economica”, “sociologia economica”. Ciascuna di queste prospettive d’indagine ha una sua legittimità, ma bisogna evitare di confonderle usandole insieme. Tuttavia, l’economista teorico deve conoscere anche gli strumenti delle altre discipline perché non è possibile passare dai modelli analitici astratti all’indagine sulla realtà sociale senza una conoscenza della storia e del ruolo delle istituzioni. La teoria economica è per lui caratterizzata da un insieme di proposizioni analitiche di cui viene argomentata la validità a determinate condizioni. S. difende dunque per via analitica, la validità dell’economia neoclassica, egli sottolinea che per analizzare le attività economiche concrete occorre tenere conto della loro collocazione nel processo storico. Per S. l’economia scientifica comprende il complesso delle tecniche storiche, statistiche e teoriche insieme coi risultati che esse aiutano ad ottenere. L’economia intesa in questo senso corrisponde all’economia sociale che Marx cercò di diffondere in Germania. -Imprenditorialità e sviluppo economico S. si allontana dall’economia neoclassica tradizionale, il punto di partenza della sua analisi si individua nell’insoddisfazione per i limiti della prospettiva economica tradizionale. Essa non è in grado di spiegare la discontinuità nel modo tradizionale di produrre, non riesce a cogliere le rivoluzioni produttive. La crescita è distinta dallo sviluppo, essa è un fenomeno graduale, fatto di continui aggiustamenti, il secondo implica invece una discontinuità. Lo sviluppo è caratterizzato dall’introduzione di nuove combinazioni. La novità può riguardare cinque dimensioni: la creazione di prodotti, l’introduzione di metodi di produzione, l’apertura di mercati, la scoperta di fonti di approvvigionamento di materie prime o semilavorati, la riorganizzazione di un’industria. Egli riconosce la discontinuità di un’economia che si perpetua senza un’alterazione sostanziale dei modi di produrre e dei rapporti tra consumatori e produttori. Il suo interesse si concentra però sullo sviluppo legato al fatto che taluni individui, scavalcando l’esperienza economica e la routine sperimentata, riconoscono e attuano nuove possibilità entro i rapporti dati della vita economica. Lo sviluppo è il risultato dell’azione degli imprenditori. La concezione degli imprenditori di S. si distingue da quella della teoria economica tradizionale. Occorre distinguere nell’ambito delle attività di direzione e gestione delle imprese tra quelle che hanno un carattere di routine e quelle che portano all’innovazione, a realizzare cose nuove. A queste ultime va collegato in senso specifico il concetto di imprenditore. Da questa impostazione discendono una serie di conseguenze:  L’imprenditore può essere il classico uomo di affari autonomo, ma può anche essere un lavoratore dipendente, cioè un manager;  Non è necessario un rapporto continuativo con una singola impresa;  Gli imprenditori non appartengono ad una specifica classe sociale. Per effetto della loro attività possano conseguire un successo economico che li trasforma in proprietari dei mezzi di produzione o del capitale, cioè li fa diventare capitalisti. Non è necessario che essi lo siano quando svolgono la loro attività innovativa. S. sottolinea il legame tra credito ed innovazione. Egli è consapevole che anche la moltiplicazione di potere d’acquisto dei mezzi di produzione non sarebbe sufficiente per la realizzazione effettiva dell’innovazione se non ci fossero delle risorse non economiche che consentono di utilizzare concretamente il capitale a fini di sviluppo. Si tratta di particolari qualità di leadership che non sono ugualmente diffuse tra i membri di una determinata società. Tale visione appare plausibile solo nell’ambito di un’economia routinaria. Le cose cambiano quando si realizza un’innovazione. In questo caso è anzitutto necessario misurarsi con carenze di informazioni, con condizioni di maggiore incertezza. In secondo luogo, bisogna combattere e vincere le resistenze che vengono dall’interno stesso del soggetto che deve innovare, cioè dai suoi schemi mentali già consolidati. Infine, occorre superare le resistenze dell’ambiente politici. Col tempo lo sviluppo del capitalismo alimenta un’atmosfera ostile che spinge verso politiche anticapitalistiche. -Le cause culturali e sociali del declino Gli aspetti sui quali si concentra l’attenzione sono essenzialmente tre: l’indebolimento sociale e politico della borghesia, la distruzione degli strati sociali che sostenevano la borghesia stessa, il diffondersi di un’atmosfera ostile al capitalismo. L’indebolimento della borghesia è un processo complesso che chiama in causa fattori legati alle trasformazioni economiche e alle loro conseguenze sociali e politiche. -Vi è la decadenza della funzione imprenditoriale. Le grandi imprese burocratizzate soppiantano sempre più le piccole e medie aziende. L’imprenditore individuale perde quindi la sua funzione sociale, ma ciò finisce per indebolire la borghesia che in passato era alimentata dal continuo formarsi di nuovi imprenditori di successo. -Un altro fattore che indebolisce la borghesia è costituito dalla disintegrazione della famiglia borghese. L’attaccamento alla casa e la preoccupazione per il futuro della famiglia erano le molle principali del tipo specificamente borghese di movente del profitto. Al suo posto si diffonde uno spirito utilitaristico, che si manifesta anche in una spinta a mettere al mondo meno figli. Tra le cause sociali del declino del capitalismo liberale vi sono poi dei fattori relativi alla stratificazione sociale e ai suoi rapporti con la politica. -Si tratta anzitutto del ruolo dell’aristocrazia, che nei paesi europei era sopravvissuta alla distruzione del feudalesimo assumendo un ruolo essenziale per la formazione della classe dirigente. Col tempo questa impalcatura precapitalistica della società viene progressivamente erosa. – Un mutamento sociale di rilievo è legato alla distruzione dell’impalcatura di istituzioni della società capitalistica. Qui il riferimento è al processo di concentrazione della struttura produttiva, con la progressiva eliminazione di piccole imprese agricole, artigianali, industriali e commerciali. D’altro canto, la burocratizzazione delle grandi aziende e la separazione tra proprietà e gestione fanno crescere nuovi gruppi di manager che mancano di quel vigore politico che sarebbe necessario per difendere il capitalismo liberale dagli attacchi dei suoi nemici. In questo quadro si creano condizioni favorevoli al diffondersi di un fattore che S. giudicava decisivo: un’atmosfera sociale ostile al capitalismo liberale. I motivi di scontento sociale non sarebbero sufficienti a generare un’aperta ostilità se non ci fossero gruppi di interessati a fomentare e a organizzare il risentimento, e a farsene i portavoce, a prenderne la guida. Gli intellettuali sono visti come leader di opinione. Due fattori favoriscono in particolare questo processo: da un lato la crescita dei livelli di istruzione e di disoccupazione o sottoccupazione intellettuale, che aumentano la frustrazione e il risentimento; dall’altro lato, il fatto che le istituzioni capitalistiche non possono limitare le libertà di espressione e di organizzazione del malcontento, e quindi facilitano la diffusione del fenomeno. Il risultato è che gli intellettuali influenzano, sia direttamente che indirettamente, la politica e le sue decisioni. Le politiche anticapitalistiche portano all’indebolimento del capitalismo liberale. S. indica un complesso di misure legislative e amministrative che si vanno diffondendo nei vari paesi. Si tratta di tutti quegli interventi che estendono il ruolo dello stato o della contrattazione collettiva. S. vede nel capitalismo americano del New Deal e in quello che si sarebbe affermato successivamente a guerra conclusa, una sorta di capitalismo laburista, in cui le imprese private sono sottoposte a oneri fiscali e regolativi crescenti. Secondo alcuni, questa forma di capitalismo più regolato politicamente potrebbe sopravvivere a lungo. Il capitalismo è più legato ad una specifica struttura istituzionale e ad uno schema di valori: è una civiltà. Gli risulta quindi difficile credere che un capitalismo che abbia eroso le basi istituzionali su cui poggiava possa continuare ad esprimere un elevato dinamismo economico. P. e S. sono due autori che non appartengono allo stesso ambiente culturale e non hanno avuto interazioni tra loro. L’uno era socialista, l’altro un conservatore, ma entrambi mettono a fuoco un problema importante di sociologia economica: quello del declino del capitalismo liberale e della grande trasformazione che si avvia dopo la crisi degli anni ’30.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved