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Sociologia Generale Croteau D., Hoynes W., Sintesi del corso di Sociologia

Riassunto del libro Sociologia Generale Croteau D., Hoynes W.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 10/06/2022

Menephy
Menephy 🇮🇹

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Scarica Sociologia Generale Croteau D., Hoynes W. e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! lOMoARcPSD|11710355 Sociologia generale Capitolo 1. Introduzione alla sociologia. Siamo tutti creature abitudinarie, molto più prevedibili e meno spontanee di quanto ci piacerebbe pensare, indipendentemente da età, sesso, lingua madre e luogo di residenza, sapendo dove una persona è stata, è possibile prevedere con una certa accuratezza dove si troverà il futuro. La prevedibilità della nostro quotidianità è un semplice esempio atto a rammentarci che i modelli di comportamento caratterizzano ampiamente la vita umana. Le persone, interagendo fra oro, sviluppano delle routine che, nel loro complesso, creano e reggono la società. Gli essere umani, tuttavia, hanno anche la capacità di modificare il proprio comportamento e, pertanto, di cambiare la società. Cos’è la sociologia? La sociologia è lo studio sistematico del rapporto fra individui e società. L’approccio sociologico può essere ritenuto una prospettiva, un modo di osservare il mondo. Assumere una prospettiva sociologica significa riconoscere e comprendere i collegamenti fra gli individui e i più vasti contesti sociali nei quali essi vivono. La vostra identità e il vostro ambiente sociale influenzano chi siete e chi potete essere. Il nucleo della prospettiva sociologia risiede proprio nella comprensione di questi collegamenti. La prospettiva sociologica. Nel 1959, il sociologo americano C. Wright fornì quella che, probabilmente, è la più nota descrizione della prospettiva sociologica, o meglio, come lui stesso la definì, dell’immaginazione sociologica. Secondo Miils “l’immaginazione sociologica” ci consente di afferrare biografia e storia e il loro mutuo rapporto nell’ambito della società. In altre parole, la nostra condizione di individui (quello che Miils chiama “biografia”) dipende in parte da forze più ampie all’interno della società (la storia). Miils e altri sociologi, tuttavia, non ritengono che le persone siano semplicemente soggetti passivi. La prospettiva sociologica, anzi, rileva che esiste un’interazione fra le condizioni sociali che plasmano la nostra vita e le azioni che compiamo in quanto individui. Non abbiamo la possibilità di scegliere le condizioni in cui viviamo, le opportunità che abbiamo o le difficoltà che dobbiamo affrontare, ma possiamo decidere come rispondere a queste circostanza, sia come persone sia come collettività. Sociologia e buon senso. Non è necessario essere un sociologo di professione per osservare il mondo da una prospettiva sociologica. Molte espressioni oggi in voga riflettono una sorta di saggezza popolare in prospettiva sociologica. Affidarsi alla saggezza popolare per comprendere il mondo può presentare dei problemi; essa, infatti, per quanto perspicace sotto alcuni aspetti, rischia di produrre una serie sconcertante di affermazioni-discorsi. Una comprensione del mondo basata unicamente sulla nostra esperienza individuale potrebbe non esserci d’aiuto in circostanze poco familiari, ciò appare particolarmente vero in un mondo come l’attuale, in cui comunicazione, media, immigrazione e viaggi internazionali stanno unendo come mai prima persone di origini diverse. Per operare in una società così complessa abbiamo bisogno di capire non solo il modo in cui noi percepiamo e concepiamo il mondo, ma anche come lo comprendono gli altri. Se vogliamo intendere in maniera più approfondita il nostro legame con la società al di là della nostra limitata esperienza, abbiamo bisogno di un metodo più sistematico per indagare i modelli di comportamento e i processi che strutturano la vita sociale. La sociologia come disciplina. I sociologi abbinano alla prospettiva sociologica una grande varietà di strategie di ricerca volte a studiare in maniera sistematica i modi in cui le nostre azioni plasmano le più ampie forze sociali e quelli in cui ne vengono a loro volta plasmate. Poiché la prospettiva sociologica può lOMoARcPSD|11710355 essere applicata a qualsiasi aspetto della vita delle persone e a qualsiasi problema sociale, la sociologia abbraccia una vastissima serie di argomenti. La sociologia fa parte delle scienze sociali, un gruppo di discipline basate sulla ricerca empirica che raccolgono e valutano dati al fine di studiare la società umana. È questo aspetto a distinguere le scienze sociali dalle scienze naturali che, al contrario, si concentrano sugli aspetti fisici della natura. I sociologi hanno molti interessi e, nel suo complesso, questa disciplina presenta diverse aree di specializzazione: fra queste la sociologia della salute, della religione, del genere ecc. L’ascesa della modernità. Nel ‘700 la società europea entrò in un nuovo periodo storico, la modernità, caratterizzato dalla crescita della democrazia e della libertà personale, da una dipendenza sempre maggiore dalla ragione e dalla scienze per spiegare il mondo naturale e quello sociale, e da uno spostamento verso un’economia industriale urbana. Nel corso del medioevo la vita intellettuale era dominata da spiegazioni religiose del mondo naturale. Nei periodi transitori del Rinascimento e della Prima Era Moderna, più o meno fra il ‘400 e il ‘600, si posero le basi della scienza moderna con opere in astronomia. L’ascesa della modernità nel XVIII e nel XIX secolo si contraddistinse per alcuni cambiamenti rivoluzionari in ambito culturale, politico, economico e sociale. I primi sociologi cercarono di comprendere i notevoli cambiamenti cui stavano assistendo e di suggerire per affrontare i problemi sociali che ne derivano. Fondamenti del pensiero sociologico. La sociologia moderna affonda le radici nelle idee sviluppate dai primi sociologi oltre un secolo fa. Alcuni di questi studiosi, tuttora molto letti e studiati, si posero domande di grande rilevanza, le loro opere su un mondo in rapido cambiamento contribuirono ancora oggi alla comprensione del mondo sociale. Definire l’ambito della sociologia: Comte e Spencer. Auguste Comte e Herbert Spencer contribuirono a diffondere l’idea che il mondo sociale potesse essere oggetto di indagini sistematiche e scientifiche. - Auguste Comte: stabilità e cambiamento, Auguste Comte, intellettuale francese dai molteplici interessi, coniò all’inizio del XIX secolo il termine “sociologia”. Comte cercò di fondere le basi della sociologia intesa come rigorosa scienza, cioè modellata sulle scienza naturali e volta a individuare le leggi che governano il comportamento umano. Il fulcro del nuovo campo di studi di Comte furono due domande fondamentali sulla vita sociale: come e perché le società cambiamo? (dinamica sociale) e su cosa si fonda la stabilità sociale in un determinato momento storico? (statistica sociale). Il suo interesse era rivolto a come la società si fosse sviluppate dai primi, sparuti gruppi di cacciatori-raccoglitori fino alla società europea del XIX secolo nella quale lui stesso viveva. Secondo la sua teoria, nel corso della storia le società avevano progredito in linea retta passando attraverso diversi stadi: quello teologico, retto dalla religione, quello metafisico, retto dalla filosofia, e quello positivista, retto dalla scienza. Per Comte il positivismo, la convinzione che una conoscenza esatta debba basarsi sul metodo scientifico, permetteva di comprendere in modo più profondo la vita umana ed era la chiave per risolvere i persistenti problemi sociali. Nonostante gli sforzi di Comte di costruire una scienza della società, poche delle sue idee hanno retto alla prova del tempo, ma il nucleo dei suoi studi continua a costituire uno dei maggiori interessi della sociologia. - Herbert Spencer: la società come organismo sociale. L’intellettuale Spencer fu tra i primi ad adottare il termine “sociologia” proposto da Comte. Seguendo l’esempio delle scienze biologiche, affermò che la società è un organismo sociale simile all’organismo umano, egli teorizzò che, analogamente al suo equivalente biologico, la società è costituita da parti separate, ognuna avente una propria funzione unica, che operano insieme per mantenerne in vita l’organismo nel suo complesso. La teoria di Spencer teorizzò che con l’evolversi della società cambiano anche le parti che la compongono e le loro interazioni. Spencer riteneva che l’evoluzione spontanea della società realizzasse sempre un più alto grado di progresso: per questa ragione, egli pensava che il governo dovesse limitare il più possibile i propri interventi, specie in campo economico. A fronte della crescente disuguaglianza creata da un capitalismo industriale privo di regolamentazione, Spencer lOMoARcPSD|11710355 che nella società moderna gli essere umani potessero impegnarsi in azioni significative soltanto all’interno delle grandi organizzazioni, dove venivano loro assegnati compiti ristretti e ben definiti, sacrificando gli obiettivi personali a quelli impersonali dell’insieme. La teoria della razionalizzazione di Weber lo portò a prevedere che le società post-capitaliste non avrebbero generato quel tipo di futuro ugualitario predetto da Marx, ma al contrario sarebbero state ancor più razionalizzate e burocratiche Comprendere la teoria. Una teoria sociale è un insieme di principi e affermazioni che spiegano il rapporto tra fenomeni sociali. Attraverso tali spiegazioni, le teorie ci indicano inoltre il tipo di domande che dovremmo porci nel corso delle ricerche future. I teorici della sociologia, invece, si pongono domande di portata più vasta, come "perché le società complesse non si dissolvono?” e “come mai coesistono ricchezza e povertà?”, oltre a domande più precise. Quando parliamo di approcci alla teoria sociologica, ci riferiamo a spiegazioni di ampia portata date dai sociologi quando si chiedono come mai la società operi come di fatto fa. Anche se in un primo momento il pensiero teorico potrebbe incutere timore, in realtà è abbastanza diretto e comporta la risposta alla domande più interessante in assoluto: perché? È qui importante menzionare alcune altre caratteristiche di una teoria: - Una teoria non è soltanto un’intuizione o un’opinione personale - Le teorie evolvono lasciando sopravvivere solo le idee più utili - Spesso le teorie multifattoriali forniscono un quadro più completo rispetto a qualsiasi teoria monofattoriale Le dimensioni chiave della teoria. Anche le teorie sociologiche variano lungo dimensioni chiave, che comprendono consenso e conflitto, realtà oggettive e soggettive, analisi microsociologiche e macrosociologiche. Pensate a ciascuna dimensione come a un continuum e non come a una suddivisione netta: sapere dove si colloca una teoria in ciascun continuum può aiutare a comprendere come essa si inserisca nel quadro più ampio del pensiero sociologico. Consenso e conflitto: per conflitto si intende la presenza di tensioni e dispute nella società, spesso dovute a una distribuzione ineguale di risorse scarse, che possono contribuire al cambiamento sociale. Il termine consenso, invece, si riferisce alla solidarietà e alla cooperazione, spesso determinate dalla presenza di valori e interessi condivisi che possono contribuire alla stabilità sociale. Anche se le diverse teorie si concentrano generalmente sull’uno o sull’altro, tanto il consenso quanto il conflitto coesistono in ogni società in tutta la vita sociale. Realtà oggettiva e soggettiva: le condizioni oggettive sono gli aspetti materiali della vita sociale, tra cui l’ambiente fisico. Si tratta di qualcosa che esiste al di fuori di noi e che forma le dimensioni oggettive della vita sociale. La dimensione soggettiva della vita sociale, riguarda il mondo delle idee, che include la nostra coscienze di Sé, le norme sociali, i valori e i sistemi di credenze. Questi elementi appartengono tutti all’aspetto culturale della vita sociale. Analisi microsociologiche e macrosociologiche: la terza dimensione della teoria sociologica concerne i diversi livelli di analisi, oltre che i diversi livelli della società stessa: le teorie che si concentrano sull’interazione sociale su piccola scala, solitamente fra due persone, operano a livello di analisi microsociologiche; quelle intrecciate su sistemi e processi sociali su larga scala, come i trend economici, politici e demografici, operano a livello di analisi macrosociologica; infine quelle che si concentrano su un punto qualsiasi fra fenomeni sociali molto grandi e molto piccoli, per esempio le istituzioni, operano a livello di analisi mesosociologica. A partire dalla metà del XX secolo, i sociologi hanno talvolta raggruppato le diverse teorie sociologiche in quattro grandi categorie: teoria struttural-funzionaliste, teorie del conflitto, teorie dell’interazionismo simbolico e teorie femministe e del genere. Teorie struttural-funzionaliste. Le teorie struttural-funzionaliste si concentrano sul consenso e sull’interazione cooperativa lOMoARcPSD|11710355 nella vita sociale, sottolineando come i diversi elementi che compongono la struttura di una società contribuiscano al suo operato generale. Le radici di questa tradizione risalgono alle opere di Spencer e Durkheim. Spesso indicate semplicemente come teorie funzionaliste, dominano negli Stati Uniti verso la metà del XX secolo, quando il loro sostenitore era Parson. Parson considerava la società come sistemi complessi formati da parti interdipendenti per esempio famiglie, scuole, che operano insieme per muoversi verso il normale stato di equilibrio: un mutamento di una parte del sistema comporta il cambiamento di un’altra parte a compensazione. Perché possa perdurare, un’istituzione sociale deve soddisfare una specifica necessità del sistema come insieme; le istituzioni che non danno il proprio contributo si adattano o scompaiono. Parson affermava che qualsiasi organizzazione deve adempiere diverse funzioni chiave per poter sopravvivere, fra cui insegnare ai membri del gruppo i valori essenziali della comunità, integrarne i membri affinché prendano parte in modo produttivo alla vita sociale, definire gli obiettivi comunitari e raggiungerli, adattarsi a un ambiente che cambia. In un importante contributo alla teoria funzionalista, Merton, distinse fra due funzioni: manifeste, le conseguenze riconosciute e volute dei fenomeni sociali, e funzioni latenti, le conseguenze per lo più non riconosciute e non volute di tali fenomeni. Una funzione manifesta delle scuole, per esempio, è l’aiutare a preparare i ragazzi a un futuro impiego, mentre una funzione latente è quella di servire da luogo di socializzazione e di amicizie. Merton ci rammenta che, pur nella loro persistenza, alcuni fenomeni possono essere disfunzionali in quanto inibiscono o disturbano il funzionamento di un sistema nel suo insieme. Per esempio, il costante sovraffollamento di molte scuole è disfunzionale. Teorie del conflitto. Le teorie del conflitto si concentrano sui conflitti, sul potere e sulle diseguaglianze, evidenziando come la vita sociale e il suo sviluppo ruotino intorno alla competizione per le risorse scarse ritenute più importanti. Le radici di tale approccio risalgono alle opere di Marx e Weber. I contribuiti odierni che parlano di classe, etnie, genere e altre forme di disuguaglianza si basano spesso su questa tradizione. L’approccio del conflitto sottolinea come, per soddisfare i bisogni comuni, le persone cerchino di acquisire risorse che possono includere i beni materiali. Poiché spesso tali risorse sono limitate, per ottenerle le persone entrano in competizione, formando gruppi sociali e portandoli al conflitto. Spesso anche quando è invisibile, il conflitto è reso latente dal predominio dei più potenti sul resto della società. Le teorie del conflitto, collocano il potere al centro della vita sociale, poiché esso consente a chi lo detiene di ottenere un vantaggio sugli altri, acquisendo maggiori risorse. In questa lotta incessante, i diversi gruppi si avvalgano dei valori culturali e delle idee come armi per promuovere le proprie posizioni mentre la cultura dominante spesso sostiene e giustifica le disuguaglianze esistenti. Nel tentativo di modificarle, si formano cosi varie contro-culture, che esprimono valori diversi e alternativi rispetto alla cultura egemone. Teorie dell’interazionismo simbolico. L’interazionismo simbolico si concentra sul modo in cui le persone utilizzano i simboli condivisi e costruiscono la società come risultato delle proprie interazioni quotidiane. Il versthehen di Weber, l’approccio per cui il ricercatore cerca di comprendere l’azione osservandola dalla prospettiva dell’attore, ha posto alcune basi di queste teorie, così come le prime opere di Simmel, che scrisse acuti saggi sulle dinamiche della vita quotidiana. Le teorie dell’interazionismo simbolico sono fortemente associate alle dimensioni soggettive della vita sociale; quest’ultima viene spiegata partendo dal fatto che l’interazione fra gli individui su cui si basa il mondo sociale avviene mediante simboli culturali, come le parole e il linguaggio non verbale del corpo. Grazie all’interazione, gli individui sviluppano un senso del Sé e creano una comprensione della realtà condivisa con gli altri, anche se prevalentemente influenzata dalle persone che hanno maggior potere. Il mondo sociale, in perenne evoluzione, è quindi sempre in grado di cambiare le teorie dell’interazionismo simbolico e spiegano quindi la vita sociale sottolineando il ruolo attivo delle persone nella produzione e riproduzione della società. Teorie femministe e del genere. La teoria sociologica si è notevolmente sviluppata a partire dalla metà del XX secolo, quando alcuni sociologici raggruppano le diverse teorie della disciplina in categorie. Spesso, però, le lOMoARcPSD|11710355 prospettive più recenti non si inseriscono con precisione in queste categorie tradizionali. Fra le più importanti teorie contemporanee si può annoverare quella del genere, che si concentra sulle diseguaglianze sociali basate sulle differenze sessuali e sui processi di costruzione del maschile e del femminile al’interno della società, oscillando tra la tradizione della teoria del conflitto e quella dell’interazionismo simbolico. Analogamente a quanto avviene per le altre tradizioni teoriche, non esiste un’unica teoria del genere bensì una grande varietà. Il movimento femminista degli anni ’60 e ’70 contribuì a creare uno spazio per le studiose neo- femministe, dall’iniziativa delle quali, in buona parte, derivò la teoria del genere. Gli uomini avevano storicamente dominato le analisi della vita sociale. La teoria femminista della differenza rifiutava questo concetto, sottolineando invece come tutta la conoscenza fosse costruita seguendo una particolare prospettiva e che le esperienze diverse delle donne dovessero esservi inserite per arrivare a una comprensione accurata della vita sociale. Negli anni che seguirono, questa intuizione di base venne estesa fino a riconoscere che le esperienze femminili variano in funzione di classe, etnia e orientamento sessuale. Il terreno comune della sociologia: cultura, struttura e potere. Le diverse teorie sono unite tra loro da alcuni concetti chiave, che costituiscono il nucleo della prospettiva sociologica, ovvero “cultura”, “struttura” e “potere”. Il funzionalismo mette in rilievo il ruolo della cultura. La teoria del conflitto sottolinea come i gruppi in competizione possano manipolare idee e simboli culturali a proprio vantaggio. L’interazionismo simbolico enfatizza il procedimento grazie al quale gli individui creano la cultura. Cultura. La cultura è l’insieme di valori, credenze, conoscenze, norme, linguaggi, comportamenti e oggetti materiali condivisi da un gruppo e trasmessi socialmente da una generazione all’altra. La cultura opera a qualsiasi livello sociale: attraverso le interazioni quotidiana fra individui, negli uffici ecc… In senso più ampio, la cultura è un modo di vivere. Noi tendiamo a dare per scontato la cultura poiché ne abbiamo interiorizzato i costumi e le affermazioni basilari. Comprendere il concetto di cultura ci aiuta a interagire in un modo di diversità e ci consente di esaminare con occhio critico credenze e comportamenti che, diversamente, potremmo ritenere “naturali”. La cultura non è naturale ed è priva di una base biologica, perché deve essere insegnata e va appresa attraverso il processo di socializzazione. Poiché le persone devono riprodurre la cultura per garantirne la sopravvivenza, è sempre possibile che la cambino adottando nuovi valori, credenze e comportamenti, abbandonando quelle più antichi. Questo processo di evoluzione culturale può creare conflitti, laddove alcune persone scelgano di attenersi ai valori e ai modi di vita più tradizionali, mentre altre abbraccino idee e comportamenti, abbandonando quelli più antichi. Questo processo di evoluzione culturale può creare conflitti, laddove alcune persone scelgano di attenersi ai valori e ai modi di vita più tradizionali, mentre altri abbracciano idee e comportamenti nuovi, di conseguenza, i conflitti culturali sono piuttosto comuni. La struttura. La struttura si riferisce ai modelli ricorrenti di comportamento nella vita sociale. Tali modelli esistono a qualsiasi livello. Le strutture spaziano da modelli estremamente informali a organizzazioni e istituzioni più formali. Le persone creano strutture per aiutarsi a raggiungere un obiettivo, ma a loro volta le strutture intervengono per limitare quello che le persone possono fare. Le regole che definiscono cultura, saranno vincolanti per il comportamento dei membri del gruppo. La vita quotidiana tende a uniformarsi a diversi modelli di comportamento, o strutture sociali, informali. Le strutture devono essere riprodotte attraverso modelli di comportamento continuativi oppure possono cambiare. La storia fornisce numerosi esempi di come le persone possono agire collettivamente per modificare la struttura sociale. Il potere. Il potere è la capacità di raggiungere un obiettivo prefissato malgrado l’opposizione di altri. Anche il potere opera a ogni livello della società, comprese le famiglie, le organizzazioni e le relazioni nazionali e internazionali. Talvolta le persone ottengono da sé il potere di raggiungere lOMoARcPSD|11710355 spiegare. Le due parole chiave che definiscono dunque la scienza moderna sono: “teorizzazione” e “metodo”, i due vettori che consentono allo scienziato di esaminare le proprie idee attraverso prove empiriche. L’epistemologia è quella branca della riflessione filosofica che si occupa dei fondamenti e delle possibilità conoscitive delle scienze, e buona parte di essa si concentra proprio sul ruolo e sul legame tra teorizzazione e metodo. La metodologia è invece quella parte della logica che si occupa dei fondamenti del metodo, con lo scopo di individuare e riflettere sui principi da seguire per giungere a una conoscenza scientifica. Teorizzazione: la base di ogni attività scientifica è la concentualizzazione, definita come quell’attività razionale tramite la quale, con un’operazione di astrazione, vengono formulate idee logicamente definite ed empiricamente controllabili che rappresentano fenomeni reali. Queste particolari idee sono dette concetti scientifici e il loro insieme in un dato campo scientifico costituisce il linguaggio oggettivo di quella disciplina, ovvero l’insieme dei concetti che definiscono gli oggetti e gli eventi oggetto di studio. Questi concetti, in un certo senso, “sostituiscono” i fenomeni reali, rappresentandone un modello astratto. Da un punto di vista generale, si definisce teoria scientifica un insieme circoscritto di concetti legati tra loro da specifiche relazioni, che punta a offrire una spiegazione possibile di uno o più fenomeni. Al’interno di una teoria, le idee che hanno passato il vaglio della prova empirica sono definite proposizioni analitiche, mentre quelle che ancora non hanno raggiunto tale status sono dette ipotesi. Metodo: in prima istanza, possiamo concepire il metodo come un percorso sistematico attraverso il quale una teoria è messa alla prova, mediante procedure codificate. Da questo punto di vista, il metodo è una sorta di ponte tra le nostre idee sul mondo e il mondo stesso, tale da fornirci un affidabile strumento per controllare quanto esse corrispondano ai fenomeni che si intendono analizzare e spiegare. Possiamo distinguere due grandi approcci alla questione dell’utilizzo del metodo nella ricerca scientifica: quello deduttivo e quello induttivo. Secondo l’approccio deduttivo (che va dal livello generale al particolare), la teorizzazione precede la prova empirica, indirizzando l0intera attività di ricerca attraverso le definizioni dei fenomeniche fornisce e il quadro generale che ne deriva. Chi utilizza tale metodo ritiene che solo in questo modo è possibile giungere alla formulazione di generalizzazioni o addirittura di leggi scientifiche, ovvero di proposizioni analitiche in grado di descrivere e spiegare una determinata classe di fenomeni. Tale posizione è stata propria di quelle scuole filosofiche ed epistemologiche che possiamo definite razionaliste. Secondo l’approccio induttivo (che va dal particolare al generale), invece, l’osservazione precede la teorizzazione e quest’ultima deriva direttamente dalla valutazione dei risultati emersi dalla ricerca. Secondo questa posizione solo in tal modo è possibile costruire un sapere davvero aderente alla realtà: si tratta della posizione fatta proprio dall’empirismo. L’ethos della scienza moderna. Oltre a queste caratteristiche “formali”, l’attività scientifica presente altre particolarità insite al “mestiere” stesso dello scienziato. Secondo il sociologo Merton i principi costituiscono un insieme di assunti etici, ritenuti buoni e giusti in sé. Uno scienziato in quanto professionista, non apprende e riproduce solo un habitus tecnico ma anche un’etica professionale che influenza la sua identità sciale e personale. Per Merton “quattro serie di imperativi istituzionali costituiscono l’ethos della scienza moderna: universalismo, comunismo, disinteresse e dubbio sistematico”. L’universalismo è un principio secondo il quale ogni verità che pretende di essere tale deve conformarsi a criteri impersonali prestabiliti. Su questa base di eguaglianza formale, si producono due conseguenze: la soggettività dello scienziato viene messa in secondo piano; il giudizio sulle affermazioni contenute in una ricerca deve dipendere solo da criteri generale e non dalle caratteristiche socioeconomiche dell’autore. Il comunismo scientifico è quella posizione per cui i risultati raggiunti da uno scienziato non sono parte del suo patrimonio personale ma devono essere comunicati e resi trasparenti agli altri membri della comunità scientifica, che possono cosi controllarli, condividerli e discuterli criticamente. Il disinteresse è quell’atteggiamento per cui l’unico criterio che ne deve orientare l’attività dello scienziato è la ricerca rigorosa della conoscenza in quanto tale. Il dubbio sistematico è quel principio lOMoARcPSD|11710355 secondo il quale ogni aspetto del mondo può e deve essere oggetto di critica, sospendendo ogni giudizio fino a quando non vi siano prove empiriche che lo supportino. Come si sviluppa la scienza: dalle rivoluzioni scientifiche alla molteplicità dei programmi di ricerca. Il concetto e la pratica della scienza in generale non sono mai assolute ma relative, cioè storicamente situate, prodotti culturali di una determinata epoca e dunque intrise dei valori e delle lotte da cui esse hanno avuto origine. Kuhn propone innanzitutto il concetto di paradigma scientifico, vale a dire un insieme di assunti, idee e presupposti filosofici sul mondo e sul modo di fare scienza, adottati da una determinata comunità scientifica in un dato momento, all’interno del quale vengono sviluppare le teorie propriamente scientifiche e condotta l’attività scientifica stessa. La sociologia come scienza empirica. La sociologia assume come propria l’idea fondamentale della scienza moderna, vale a dire l’interrogazione empirica della realtà, attraverso un metodo e delle tecniche d’indagine che consentono di mettere alla prova ipotesi e teorie. Da una parte la sociologia è, come tutte le opere umane, un prodotto storico e culturale che ha incluso e ridefinito selettivamente i principi della scienza moderna, anche in base ai diversi contesti nazionali e alle vicende particolari in cui si è sviluppata e istituzionalizzata come disciplina accademica; dall’altra, ha elaborato un linguaggio oggettivo suo proprio, misconoscendo così l’idea generatrice della sociologia, in quanto scienza empirica che si origina dai fatti e deve restare ai fatti. Di conseguenza, le dimensioni di base in cui si articolano l’identità e i dilemmi della sociologia come scienza empirica sono due: il rapporto tra teoria e ricerca sociale; le controversie sul tipo di metodo da utilizzare. Dalle diverse soluzioni adottate e dalla loro permanenza all’interno delle scienze sociali nasce quell’ineliminabile pluralismo di programmi di ricerca. Rapporto tra teoria e ricerca sociale. Occorre trovare un “consenso operativo” sui fenomeni da studiare, una definizione cioè condivisa; a sua volta, questa definizione condivisa e adottata nella ricerca costruisce a priori il fenomeno che stiamo studiando, prima cioè di ogni rilevazione; questi meta-dati (cioè le definizioni che precedono e che fondano uno studio empirico concreto), sono parte essenziale della realtà studiata, e in nessuno modo, il ricercatore può eluderli. Merton afferma che mentre la teoria ha come oggetto alcuni aspetti dell’interazione sociale tra gli uomini, la metodologia riguarda la logica del procedimento scientifico in quanto tale e non è quindi specifica della sola sociologia. Ciò che occorre cercare è una più stretta integrazione tra teoria e ricerca sociale, e a questo compito deve essere indirizzata la specifica riflessione metodologica nel campo delle scienze sociali. Partendo da questi presupposti, Merton distingue la teoria sociologica propriamente detta da ciò che sembra teoria ma, in realtà, non lo è, pur rientrando a vario titolo nelle attività necessarie all’impostazione della ricerca. Queste attività teoriche diverse dalla teoria sociologica propriamente detta sono: gli orientamenti sociologici generali, i concetti sociologici, le interpretazioni post factum, le generalizzazioni empiriche. - Orientamenti sociologici generali: indicano uni schema generale per la ricerca sociale, cioè quali caratteristiche del fenomeno debbano essere prese in considerazione, senza considerarne le interrelazioni. - Concetti sociologici: sono le categorie attraverso le quali un fenomeno viene definito ed è dunque studiabile attraverso l’utilizzo di specifici indicatori, ovvero di concetti che rappresentano una nozione più generale ma non immediatamente osservabile. - Interpretazione post-factum: sono le interpretazioni dei dati raccolti, messe in campi successivamente all’effettuazione dell’indagine e che puntano a rendere coerente ciò che si è rilevato - Generalizzazioni empiriche: Merton distingue all’interno di questo genere due categorie, la generalizzazione empirica propriamente detta, che consiste nell’individuazione di una regolarità nella relazione tra due variabili, per esempio, la nota uniformità tra età e tendenza a commettere reati, per cui quando aumenta la prima diminuisce la seconda, e le leggi scientifiche, che definiscono una invariante nelle relazione tra variabili, secondo quanto previsto da una teoria. lOMoARcPSD|11710355 Secondo Merton occorre abbandonare l’ambizione di costruire teorie generali della società, perché troppo astratte e difficilmente utilizzabili in una disciplina che, come la sociologia, è orientata da criteri scientifici. In secondo luogo, la teoria sociologica deve essere qualcosa che orienti la ricerca e sia da questa a sua volta orientata: nasce così la sua proposta delle teorie a medio raggio, teorie che devono essere caratterizzate da coerenza logica interna e precisione, in modo da porte essere utilizzate e controllate in più ricerche empiriche. La proposta di Merton presenta l’indubbio merito di aver sottolineato lo stretto legame che intercorre tra ricerca sociale e teoria, chiarendo come gli “oggetti” di studio della sociologia siano in un certo senso “pre-costruiti” dall’ineliminabile opera di definizione concettuale messa in campo dagli studiosi. Ciò non significa che Merton pensi che tutto ciò che c’è da sapere sia già predefinito da un processo logico che conduce dalla teoria scientifica alla ricerca sociale e viceversa, ma in alcuni lavori sottolinea al contrario l’importanza della serendipity, cioè della scoperta inattesa che nasce nel corso di un’indagine come prodotto di una mente allenata a osservare e del caso: la scienza non è quindi solo “logica geometrica” ma anche intuizione e imponderabilità. I principali programmi di ricerca della sociologia. L’appello all’ideale delle scienze naturali e l’orientamento a mettere in campo una logica della ricerca sociale alternativa a questo ideale e più vicina a una sensibilità umanistica centrata sull’attenzione per la storia, la cultura e la comprensione delle scelte umane e della soggettività delle persone hanno dato vita a due grandi programmi di ricerca della sociologia: l’asse positivismo-neopositivismo, cui spesso viene affiancato anche il post-positivismo e l’approccio ermeneutico. Nel primo caso, i due termini rappresentano un percorso di “evoluzione” storica, dal positivismo ottocentesco ai giorni nostri, la cui unità è data dalla centralità dell’ideale della scienza moderna. L’approccio ermeneutico è invece una categoria “ominubus” che presenta una minore coerenza interna: esso comprende orientamenti molto diversi, come lo storicismo tedesco del XIX secolo, la fenomelogia sociale o gli approcci materialistico-dialettici, che non accettano l’idea di metodo delle scienze sociali propugnato dal positivismo e dalle sue successive trasformazioni. Per queste ragioni l’approccio ermeneutico è proprio delle sole scienze sociali. A complicare ulteriormente le cose e a rendere davvero pluralistico, quasi frammentato il campo delle scienze sociali, vi è il fatto che i due grandi programmi di ricerca tagliano, trasversalmente le stesse scuole teoriche in cui si organizza la sociologia e si mette in pratica la ricerca sociale. L’asse positismo-neopositivismo. Il positivismo sociologico: il positivismo è alla base della nascita stessa della sociologia come disciplina a sé stante, ed era la tradizione filosofica di riferimento sia di Comte sia di Durkheim. L’olismo metodologico è stato probabilmente il lasciato più duraturo della metodologia positivistica di Durkheim, un atteggiamento che essendo condiviso implicitamente o esplicitamente anche da altre influenti teorie sociali ha fondato per molti decenni lo statuto epistemologico egemone della sociologia stessa. Come programma di ricerca tipicamente ottocentesco, centrato sulla fiducia incondizionata nella scienza e nel metodo scientifico come “mezzo e fine” del progresso umano, il positivismo aveva le seguenti caratteristiche generali. 1. dimensione ontologica: realismo ingenuo, vale a dire la credenza per cui la realtà esiste ed è quella che appare immediatamente ai nostri sensi, per questo motivo, un altro modo di chiamare questa posizione ontologica è realismo del senso comune poiché è proprio di quest’ultimo pensare che oggetti del mondo posseggono e sono definiti esattamente da quelle proprietà che sono percepibili con i sensi. 2. dimensione epistemologica: i positivisti ritengono che la realtà sia conoscibile pienamente dall’uomo, tenendo propria una concezione dualistica del processo conoscitivo: “l’oggetto” conosciuto, cioè il fenomeno, esiste indipendentemente del “soggetto” conoscitore cioè della mente. 3. dimensione metodologica: per il positivismo, l’unico vero metodo scientifico è quello basato sull’osservazione e sull’esperimento attraverso i quali è possibile individuare lOMoARcPSD|11710355 questo approccio: - Oggetto della conoscenza sociologica sono le interazioni sociali reali: tramite le quali gli attori sociali costruiscono culturalmente e simbolicamente il proprio mondo sociale, agendo poi di conseguenza - La realtà sociale va studiata nei suoi contesti naturali - I concetti devono essere utilizzati in funzione sensibilizzante; cioè elementi che fungono da guida, in grado cioè di orientare il lavoro di analisi scientifica ma senza condizionalo in termini di necessità di verifica o falsifica di precisa ipotesi L’approccio di Blumer alla ricerca sociale è basato su presupposti induttivisti, un percorso che ha portato all’elaborazione e poi alla sempre più ampia diffusione dell’approccio della Ground theory, ovverossia di quella strategia metodologica secondo la quale la teoria deve emergere direttamente dai dati, attraverso un lavoro di codificazione e riaccorpamento delle informazioni. Questo approccio presenta due versione; una che possiamo definire naturalistica, per cui il ricercatore sociale è un osservatore attento ed esterno che, attraverso un percorso di risistemazione di ciò che ha osservato e delle informazioni raccolte, costruisce una teoria che riproduce in maniera semplificata ma precisa ciò che avviene effettivamente nella realtà studiata, l’altra versione è quella costruttivista, per cui il ricercatore deve cercare di stabilire un percorso di ricerca collaborativo e condivido con i soggetti studiati, essendo la stessa ricerca sociale il risultato di un processo interattivo. La ricerca sociale in pratica: tecniche quantitative tecniche qualitative. Le tecniche della ricerca sociale sono quell’insieme di procedure pratiche e sistematiche attraverso le quali raccogliamo informazioni sui fenomeni sotto osservazione ed elaboriamo i dati che ne conseguono. Una volta collocati in un programma di ricerca specifico e scelta l’impostazione generale della ricerca, si tratta di disegnare il nostro studio in modo da raccogliere ed elaborare coerentemente i dati. Indipendentemente dall’approccio adottato, vi sono due grandi tipi di indagini: quelle esplorativo-descrittive, volte ad aumentare le nostre conoscenze su un dato accademico si “verifichi” in un certo modo. Inoltre, per l’ottenimento dei dati elaborare, la ricerca sociale può avvalersi di fonti informative primarie e secondarie. Le prime sono direttamente costruite dal ricercatore. Questa prima categoria di ricerca è definita “sul campo”, con riferimento all’atto del raccogliere i dati in maniera diretta. Le fonti informative secondarie, vengono costruite da altri e non sono elaborate per gli scopi specifici della ricerca. In questo caso si parla di ricerca da “scrivania”, risistematizzando le informazioni raccolte da altri per ottenere il dato di cui bisogna. Le due famiglie di tecniche della ricerca sociale sono quella quantitativa e quella qualitativa. In alcune indagini, e oggi sempre più spesso, si gunge anche a un uso congiunto delle due. Le tecniche quantitative si basano su una matematizzazione delle informazione e forniscono dati espressi in un linguaggio statistico. Esse trattano l’attore sociale in modo “anatomico” cioè riconducendolo ad alcuni elementi analitici che vengono sottoposti al processo di ricerca: il suo essere sociale viene scomposto, concettualizzato, matematizzato e poi ricomposto teoricamente. Le tecniche qualitative, al contrario, si basano sull’utilizzo del linguaggio naturale e del linguaggio oggettivo per analizzare e descrivere il mondo sociale, rinunciando all’uso della matematica. In questo caso, l’attore sociale è colto nella sua soggettività, mentre l’analisi si orienta ad analizzare come questa entri direttamente sia nel processo di ricerca sia nella costruzione dei fenomeni sociali. Inoltre, le tecniche qualitative puntano a effettuare lo studio aderendo il più possibile alla situazione “naturale” in cui si svolge il fenomeno analizzato, spesso prevedendo una minor distanza tra ricercatore e soggetti studiati. Dall’operazionalizzazione alla rilevazione: validità e attendibilità. Nella ricerca quantitativa, lo strumento di rilevazione è il questionario a risposte chiuse, cioè un formulario contenente domande pre-confezionate dal team di ricerca che prevedono alternative di risposta date. Il questionario viene proposto nel corso di un’intervista che può essere vis-a-vis, o con l’ausilio del computer, oppure per telefono. Una buona ricerca quantitativa è quella in cui il questionario utilizzato riesce a collegare in modo efficace le ipotesi teoriche del ricercatore ai fenomeni reali che vengono rilevati attraverso di esso. Tale lOMoARcPSD|11710355 funzione è assolta dall’operazionalizzazione, la fase a monte della formulazione vera e propria delle domande, è un processo della ricerca quantitativa tramite il quale i concetti teorici sono trasformati in indicatori, indici e variabili. Sapere a che livello di misurazione è collocata la nostra variabile consente di sapere quali operazioni matematiche e statiche possono legittimamente compiere su di esse. La validità e l’attendibilità delle misurazioni costituiscono il punto più delicato della strategia quantitativa. La validità di uno strumento di misurazione può essere definita come: “il grado in cui le differenze di punteggio riflettono autentiche differenze tra gli individui relativamente alle caratteristiche che cerchiamo di misurare, non errori costanti o casuali”. Il problema della validità comporta due sotto-problemi: che lo strumento di misurazione stia effettivamente misurando il concetto in questione; e che il concetto venga misurato accuratamente. L’attendibilità fa riferimento a un problema diverso, vale a dire al collegamento effettivo tra variazione della misurazione e variazione del fenomeno. Tecniche di ricerca qualitative. A differenza delle tecniche di ricerca quantitative, i disegni della ricerca basati su una logica qualitativa sono molti diversificati e mancano di una codifica in un “canone” prevalente. In generale, si può dire che il ricercatore qualitativo selezionale dimensioni che vuole indagare prima di effettuare lo studio; successivamente scende sul campo per raccogliere i dati in base alla tecnica prescelta e poi utilizza la teoria; come fosse una cassetta degli attrezzi, per decodificare a posteriore i suoi dati. L’osservazione partecipante: l’osservazione partecipante è una tecnica di rilevazione dei dati che si basa sul coinvolgimento diretto dell’osservatore. Immergendosi, per un periodo di tempo relativamente lungo, in un contesto diverso dal proprio, entrando in rapporto diretto con il gruppo oggetto della sua ricerca, condividendone gli atteggiamenti, le convinzioni e i comportamenti, e riuscendo in questo modo le complesse dinamiche dal di dentro. Coordinate spazio-temporali della ricerca sociale. Tanto il disegno di ricerca qualitativo quanto quello quantitativo implicano, il problema di decidere l’ambito spaziale e temporale in cui si svolge l’indagine. -Ambito spaziale: le ricerche possono svolgersi in un singolo ambito territoriale ben definito oppure possono mettere a confronto individui, gruppi e collettivi appartenenti a più ambiti territoriali. In quest’ultimo casi ci troviamo di fronte all’analisi comparativa, che diventa tanto più importante in un’epoca di globalizzazione come la nostra, dove i fenomeni sociali hanno una dimensione che va oltre il semplice ambito nazionale e locale. Questo tipo di analisi può essere utilizzata per due scopi: come mezzo per controllare un’ipotesi oppure come strategia per spiegare le cause di un fenomeno di più vasta portata. Un’indagine comparativa, si articola nelle seguenti: 1. formulazione del quesito di ricerca 2. scelta dell’approccio generale (quantitativa o qualitativa) 3. individuazione dei casi comparabili 4. controllo delle ipotesi o individuazione dei fattori espliciti. -Ambito temporale: le ricerche che si svolgono in un lasso di tempo definito e attraverso un’unica rilevazione, come se “congelassero” le situazioni studiate e poi l’analizzassero, sono definite sincroniche o trasversali; quelle che comportano ripetute rilevazioni nel tempo o che abbracciano un determinato arco storico diacroniche o longitudinali. Le prime mirano a studiare le caratteristiche di un fenomeno così come si presentano nell’istante e mettono in secondo piano il fattore mutamento, mentre le seconde puntano a includerlo e anzi si concentrano su di esso. Possiamo avere due tipi di indagini: - Indagini di trend: quando il gruppo o campione osservato nei diversi momenti, pur appartenendo alla medesima popolazione, non è composto dagli stessi individui e le rilevazioni si svolgono sempre sulle stesse dimensioni. Questa strategia è utile quando si voglia individuare il mutamento di un fenomeno in quanto tale all’interno di una collettività. - Indagine di panel: quando il gruppo o campione esaminato nei diversi momenti appartiene alla medesima popolazione ed è composto dagli stessi individui; questa lOMoARcPSD|11710355 strategia, ci permette di cogliere come cambiano gli attori sociali rispetto a un determinato tema o fenomeno nel corso del tempo. Capitolo 3. La cultura - Definire la cultura. La cultura è uno dei concetti chiave della sociologia, anzi è parte essenziale della definizione stessa di società, un gruppo di persone che vivono insieme in un territorio specifico e condividono una cultura. Molti associano la parola “cultura” a musei: una delle accezioni del termine si riferisce al “coltivare” la mente studiando il “meglio” che la società può offrire. Nel mondo occidentale la cultura è riferita ad attributi come l’educazione e la ricercatezza nelle arti. Per i sociologi ed antropologi, però, cultura ha un significato molto più vasto e globale; è l’insieme di valori, credenze, conoscenze, norme, linguaggi, comportamenti e oggetti materiali condivisi da un popolo e trasmessi socialmente da una generazione all’altra. Una cultura deve essere appresa, in quanto non ha un fondamento biologico. Possiamo pensare alla cultura come l’insieme di tutti gli aspetti della società che vengono trasmessi socialmente anziché biologicamente. Elementi della cultura. La cultura comprende elementi sia materiali sia immateriali. La cultura materiale si riferisce agli oggetti fisici prodotti dalle persone appartenenti a una particolare cultura, come strumenti, abbigliamento, abitazione. La cultura immateriale si riferisce alle idee di una cultura, che includono i valori e le credenze, l’insieme delle conoscenze su come comprendere il mondo e orientarsi in esso, e gli standard o le “norme” inerenti al comportamento ritenuto appropriato. Valori, credenze, conoscenze e norme: le forme della cultura. - Valori, che cosa è desiderabile?: un valore è un principio profondamente radicato, o uno standard, utilizzato dalle persone per giudicare il mondo, in particolare per decidere che cosa sia desiderabile o significativo. I valori possono tradursi in politiche pubbliche. Il legame tra i valori culturali e le politiche pubbliche può avere a volte conseguenze drammatiche, persino mortali, come l’esperienza del Niger, un Paese africano povero colpito da periodiche carenze di cibo. Per molto tempo, ha fatto affidamento su una cultura della generosità, basata sulle tradizioni musulmane della carità e del sostegno comunitario ai poveri durante questi periodi. In base a questa tradizione, il governo nigeriano aveva adottato la politica di mantenere accessibile il prezzo degli alimenti essenziali, in modo da assicurarne una diffusa disponibilità. Spesso i sociologi sono riluttanti a etichettare i valori fondamentali di una determinata società, perché non vogliono sottintendere che quei valori siano immutabili o universali. Per esempio, una delle descrizioni sociologiche maggiormente citate dei valori della società statunitense si trova nel classico di Williams. Diversamente da Williams, i sociologi americano contemporanei hanno cercato di rado di elaborare un elenco dei più importanti valori della società statunitense, pur continuando a porsi domande approfondite sul loro significato sociologico. I valori variano moltissimo tra le diverse culture, ma la ricerca sociologica ha dimostrato che alcuni possono essere condivisi. Il fatto che alcuni diano priorità a un gruppo di valori rispetto a un altro può essere motivo di conflitto anche all’interno di una particolare società. Il sociologo Hunter ha affermato che negli Stati Uniti è in corso una guerra culturale, ovvero un profondo disaccordo sui valori fondamentali e le posizioni morali. Secondo Hunter, le linee di frattura di questo conflitto sono particolarmente evidenti in ambienti come la famiglia, la scuola. - Credenze, che cosa è vero?: laddove i valori di una cultura costituiscono un insieme di principi ad ampio respiro, le credenze in essa presenti possono essere definite come le specifiche convinzioni od opinioni che le persone accettano in genere come vere. Le nostre credenze culturali ci incoraggiano a comprendere i problemi fondamentali del mondo da un punto di vista particolare. - Conoscenze, cosa sappiamo?: nel contesto della cultura, la conoscenza è l’insieme di informazioni, consapevolezza e comprensione che ci aiuta a orientarci nel nostro mondo. Talvolta i sociologi si riferiscono a questo genere di conoscenza con l’espressione “capitale lOMoARcPSD|11710355 cultura tradizionale. Caratteristiche di una subcultura che al suo insorgere potrebbero apparire radicali o minacciose, col tempo potrebbero essere incorporate dalla cultura dominante. Per esempio, una volta nella nostra società i tatuaggi erano appannaggio esclusivo di varie subculture, ormai da tempo sono entrati a far parte della cultura tradizionale. Alta cultura e cultura popolare. Le società non comprendono solo una cultura dominante e diverse subculture, ma includono anche una varietà di espressioni culturali, correlate alla posizione delle persone nella società. Da tempo, i sociologi hanno riconosciuto il rapporto fra cultura e disuguaglianza economica. La locuzione alta cultura è usata in riferimento alle forme culturali associate alla elité e diffusamente riconosciute come valide e legittime. Storicamente, l’alta cultura è stata dominata da persone ricche e molto istruite. I fautori dell’alta cultura potrebbero definire questa forma di cultura la migliore e più durevole rappresentazione della cultura di una nazione. Per contro, la cultura popolare si riferisce a forme culturali diffuse e comunemente accettate in una società. La cultura popolare comprende forme accessibili a una vasta parte della popolazione, come i programmi televisivi. Per godere della cultura popolare non si deve essere particolarmente ricchi, né avere conoscenze specialistiche. All’inizio del XXI secolo, però, la distinzione fra alta cultura e cultura popolare va sempre più sfumando. Un numero sempre maggiore di persone, comprese le elite, consuma una mescolanza variabile dei due. La mercificazione della cultura. La pubblicità occulta è soltanto uno dei molti sistemi con cui la mercificazione, il marketing e la vendita di prodotti, si è inserita nella cultura popolare. Oggi molti oggetti culturali sono beni economici, prodotti da acquistare e da vendere, che vengono fabbricati in numero sempre maggiore dalle grandi corporazioni. Con l’influenza crescente della mercificazione, le persone tendono sempre più a quantificare il valore di gran parte degli oggetti culturali in base al possibile profitto che da essi si può trarre. La mercificazione della vita sociale e culturale è una caratteristica importante del nostro mondo che cambia. La sociologia della religione. In quanto scienza sociale, la sociologia mira a comprendere il mondo sociale, inclusa la religione, sulla base di evidenze empiriche. Tuttavia, gli individui vivono la religione soprattutto attraverso la fede, che nasce dalla convinzione personale o dalla rilevazione divina anziché dell’evidenza scientifica. I sociologi studiano la religione per capire il ruolo che ricopre nella vita sociale. Per i sociologi, l’impatto della religione sulla vita sociale deriva dal fatto che alcuni credono nella verità della propria fede, adeguandovi il proprio comportamento. La religione ha avuto un ruolo di primo piano in tutta la storia dell’umanità e ha attirato di conseguenza l’attenzione di alcuni dei primi sociologi. Ci concentreremo sulle analisi, tuttora influenti,di Durkheim, Marx e Weber, e sul contributo più recente di Peter Berger. Emilè Durkheim: le forme elementari della vita religiosa. Egli si concentrò sulle forme più rudimentali di religione e sulle loro funzioni sociali. Pur essendo non credente, Durkheim conosceva tutta una serie di tradizioni religiose. Egli arrivò alla conclusione che tutte le religioni hanno in comune tre elementi: 1. Una serie di credenze 2. Una serie di pratiche rituali 3. Una comunità di praticanti Nella sua visione, la sua credenza più importante di qualunque religione è che le cose del mondo possono essere suddivise in “sacre” e “profane”. Il sacro è qualcosa di straordinario, da trattare con rispetto, deferenza e timore reverenziale. Praticamente tutto può diventare sacro, anche un oggetto, un’azione o alcune parole. In diverse versioni del cristianesimo, per esempio, la bibbia, l’acqua santa possono essere considerati sacri. Ciò che rende speciale il sacro e la sua distinzione con il profano, ossia il mondo comune della vita quotidiana. Per Durkheim, queste credenze di base sul sacro e sul profano formano una visione del mondo coerente e unitaria. I rituali sono azioni simboliche, praticate in momenti specifici, che contribuiscono a sviluppare un vincolo emotivo tra i partecipanti. Il sacro è incorporato nelle pratiche rituali, che includono la partecipazione alla messa, alla comunione, alla recita della lOMoARcPSD|11710355 preghiera. Queste azioni aiutano a creare un senso di comunità fondato su norme e valori condivisi. I rituali sono quasi sempre fini a se stessi. Le credenze e le pratiche religiose vengono sviluppate e tramandate tramite comunità di credenti: coloro che condividono una fede e partecipano ai suoi rituali. Quando si trasforma in un’organizzazione religiosa più formale, che gode di una vasta accettazione, una comunità di credenti diventa chiesa. Le chiese includono spesso sottogruppi ben organizzati di diverso orientamento, detti anche confessioni, come i battisti tra i cristiani. Una setta è una piccola fazione dissidente di una chiesa, che promuove credenze e pratiche nuove. Quasi sempre, le nuove comunità religiose devono lottare per ottenere una legittimazione sociale; quelle consolidate, a cominciare dalle chiese tradizionali, spesso definiscono culti le piccole comunità religiose le cui credenze e le cui pratiche sono in contrasto con la cultura dominante, con l’obiettivo di screditarle. Le funzioni sociali della religione: la celebra analisi di Durkheim sta alla base di una particolare definizione sociologica della religione; un sistema unificato di credenze e pratiche rituali relative al sacro che associano le persone in una comunità morale. Come si può notare, questa definizione non include alcun riferimento al teismo, ovvero la convinzione che esistano una o più divinità personali. La religione deve includere un’idea del sacro ma non implica necessariamente quella di una divinità. - La religione promuove la solidarietà sociale: quando partecipiamo alle attività religiose, le persone unite dalle stesse credenze sviluppano dei vincoli sociali. In base alla condivisione di queste credenze e di queste pratiche rituali, i seguaci di una religione si considerano spesso membri di un gruppo favorito. - La religione è una forma di controllo sociale: promuovendo norme e valori, le organizzazione religiose possono assumere un ruolo importante nella socializzazione. Quasi sempre, i seguaci di una determinata religione devono aderire a un codice etico, evitando i comportamenti considerati immorali, peccaminosi, malvagi. - La religione può fornire ai credenti vasti benefici di natura sociale e psicologica: per esempio, può attenuare le paure e le ansie su temi angosciosi e può dare forza a chi si trova alle prese con le difficoltà della vita. La fiducia nell’intervento divino può essere fonte di speranza e di conforto. - La religione può motivare l’azione sociale: i principi e i valori appresi attraverso la religione possono indurre le persone ad agire in campo sociale. Tale azione si concentra sul proselitismo in tutte le sue forme, dalle testimonianze alle trasmissioni religiose. Società e religione: per Durkheim, gli esseri umani creano divinità e religioni per dare una forma trascendente ai valori condivisi di una società, che nel loro insieme denominò coscienza collettiva. Poiché questi valori variano da una cultura all’altra e si modificano nel tempo, anche i concetti di divinità e di religione subiscono delle trasfigurazioni. Ciononostante, molte religioni condividono determinate norme e un messaggio di fondo. Una qualche variante dell’etica della reciprocità, la regola aurea che invita le persone a trattare gli altri allo stesso modo in cui vorrebbero essere trattate esse stesse, è presente in tutte le religioni, inclusi il cristianesimo. Il sacro rappresenta i valori condivisi di una società. Karl Marx: la religione come oppio dei popoli. Karl Marx in guardia contro il lato oscuro della religione la definì l’oppio dei popoli. La religione offre un falso conforto ai credenti: Marx affermava che il potere esercitato dalla religione sugli individui derivava dal sollievo temporaneo che essa assicura a fronte dell’oppressione reale e continua e al vuoto della vita quotidiana. Per Marx ciò rappresentava una mistificazione, perché pur incoraggiando la carità nei confronti dei poveri, le religioni considerano inevitabilmente la povertà. Spiegava Marx, la religione offre un sollievo temporaneo a una dolorosa e spietata oppressione, ma non fa nulla per affrontare le condizioni che producono tale dolore. I detentori di potere manipolano la religione; nella teoria di Marx, la religione serve gli interessi della classe dominante, assicurando la sottomissione degli oppressi. Anziché promuovere il cambiamento sociale nel mondo reale, li induce a immaginare un mondo lOMoARcPSD|11710355 fantastico in cui troveranno sollievo dopo la morte. In definitiva, secondo Marx, la religione non è altro che il riflesso della struttura sociale economica che né è alla base. La considerava un problema solo in quanto costituiva una forma di “falsa coscienza” che impedisce alle persone di riconoscere la vera fonte della propria infelicità. A partire dagli anni ’60, alcuni leader cattolici latinoamericani combinarono le proprie credenze religiose con le teorie economiche marxiste per creare la cosiddetta teologia della liberazione, una forma di cristianesimo volto a combattere la verità e altre forme di ingiustizia sociale, subendo però la condanna e la scomunica da parte della chiesa. Marx Weber: il disincanto del mondo. Max Weber studiò in particolare la relazione tra le varie religioni e la vita economica. Weber spiegava che alcuni valori religiosi, in particolare quelli protestanti, contribuirono involontariamente all’ascesa del capitalismo e dell’industrializzazione. I calvinisti credevano nella parsimonia e nel lavoro considerando il successo economico un segno di salvezza e, quindi, del favore divino. Secondo Weber, questo sistema di credenze, che definiva l’etica protestante, associato al desiderio di guadagnare e di risparmiare, che definiva lo spirito del capitalismo, avrebbe consentito ai calvinisti di accumulare il capitale necessario per investire nelle macchine che aprirono la strada all’industrializzazione. Uno dei contributi principali di Weber,tuttavia, consiste nella dettagliata spiegazione del processo di lungo termine che ha portato la razionalità a sostituire la tradizione come base per l’organizzazione della vita sociale ed economica. Questa razionalizzazione della società fu accompagnata da un corrispondente declino nell’influenza della religione. Weber si riferiva non solo alla razionalizzazione e alla secolarizzazione della società ma anche al disincanto personale: in assenza dell’etica della fratellanza espressa dalla religione, la vita individuale non avrebbe avuto né un significato né una direzione precisa. Weber osservò che tutte le religioni nascono proprio dall’assunto che la vita abbia un significato e dalla promessa di renderlo accessibile e comprensibile. Per contro, la scienza non si pronuncia sul tema del significato. Peter Berger: la sacra volta. Poiché la razionalizzazione della società sembra spesso togliere significato alla vita, gli individui continuano a cercare rifugio nel sacro. Mezzo secolo dopo Weber, Peter Berger affermò che la religione rappresenta in primo luogo un tentativo di creare una realtà significativa in cui vivere. La religione ci aiuta a dare senso alla nostra vita e mette in ordine in un mondo altrimenti caotico. L’aspetto più importante di questo ordine socialmente costruito è di natura socio-psicologica: la religione funge da “scudo contro il terrore”, nel senso che difende gli esseri umani dal “pericolo della mancanza di significato”. Dunque, la religione fornisce una “sacra volta” sotto la quale i membri della società possono rifugiarsi assieme. Andare alla ricerca di Dio sul mercato religioso. Negli ultimi anni, la religione è venuta ad assomigliare a una merce esposta in un supermercato, un prodotto venduto da organizzazioni religiose che si contendono i fedeli, e “acquistato” da “consumatori” che fanno quasi sempre i paragoni prima di prendere la decisione finale. I sociologi che utilizzano questo tipo di analisi partono dal presupposto che la “domanda” di religione è più o meno costante; tuttavia, la salute relativa della religione dipende dalla qualità dell’offerta. Poiché le istituzioni religiose tradizionali non si sono quasi mai adattate alle nuove condizioni sociali e ai nuovi “gusti” dei consumatori, le grandi religioni hanno avuto un forte calo di fedeli. L’ampia offerta religiosa e la concorrenza tra fedi sono positive per i credenti, per le organizzazioni religiose e per la religione in sé. Secolarizzazione: la perdita di rilevanza sociale di credenze, delle pratiche e delle istituzioni religiose. Ha investito senza dubbio diverse parti del mondo negli ultimi due secoli, ma restano grossi interrogativi sulla sua natura e sulla sua consistenza effettiva. La resistenza al cambiamento di fondamentalisti. Il rifiuto del pensiero moderno è un tipico esempio di Fondamentalismo, un movimento religioso che predica una stretta adesione ai principi tradizionali in tutti gli aspetti della vita sociale, basandosi quasi sempre sull’interpretazione letterale dei testi sacri di una religione considerati infallibili. lOMoARcPSD|11710355 funzionale è il concetto di equilibrio, il bilanciamento tra varie strutture che mantiene la stabilità sociale. Se una componente della società viene a modificarsi, le altre dovranno adattarsi di conseguenza per ripristinare l’equilibrio. Parson uno dei più grandi sociologi americano del XX secolo e pioniere della teoria funzionalista, era particolarmente interessato al tema della integrazione sociale, ossia del processo mediante il quale i valori e le strutture sociali uniscono le persone all’interno di una società. Secondo i funzionalisti dal momento che le istituzioni sociali sono interdipendenti, il loro equilibrio è precario per definizione. Di conseguenza, un cambiamento che si verifichi in una istituzione indurrà un cambiamento anche nelle altre. La semplice esistenza di una struttura o di un’istituzione sociale non ne implica necessariamente una funzione positiva. Talcott Parsons fu ampiamente criticato per la sua idea, tipica della metà del ‘900, che la separazione tradizionale tra i ruoli di genere all’interno della famiglia, la donna che si occupa della casa e l’uomo che “porta a casa il pane”, fosse funzionale. Come hanno dimostrato i sostenitori della teoria femminista, le distinzioni rigide di genere condizionano sia gli uomini sia le donne, anche se in un’ottica prettamente sessista. In alcuni casi, dunque, determinate strutture hanno funzioni negative: sono disfunzionali. Per esempio, gli aspetti disfunzionali della società americana erano la schiavitù e la discriminazione razziale. Come cambiamo le strutture: l’azione sociale. Gli esseri umani non sono meri prodotti della struttura. Noi pensiamo, decidiamo, agiamo; anche se la struttura sociale ci impone dei limiti, conserviamo sempre una certa capacità di azione. Struttura e azione sociale sono in realtà due facce della stessa medaglia. Se vogliamo capire come la struttura venga influenzata dall’azione umana, dobbiamo capire anche il contesto generale. Tipi di azione sociale. Weber definiva la sociologia come la scienza che studia l’azione sociale, ossia l’azione umana nel contesto sociale. Voleva capire soprattutto cosa motiva le nostre azioni e dimostrò che gli obiettivi dell’azione umana si modificano con il tempo e da una cultura all’altra. Weber identificò quattro ideali- tipi di azione umana: - L’azione tradizionale è motivata dal costume. Guidata dal passato, l’azione tradizionale è vincolata dall’idea che le cose si sono sempre fatte nello stesso modo. - L’azione affettiva è guidata dalle emozioni e dai sentimenti. - L’azione razionale rispetto al valore è orientata da un’ideale sia nel suo svolgersi sia nei fini che intende perseguire. - L’azione razionale rispetto allo scopo è motivata da logiche di efficienza. Quando le persone definiscono i propri obiettivi e decidono come raggiungerli, la loro analisi è un forma di azione razionale. Nella realtà l’azione umana è complessa, e spesso è guidata da una combinazione di queste motivazioni “idealtipiche” che il ricercatore deve ricostruire. L’azione razionale rispetto allo scopo nella società globale: la McDonaldizzazione del mondo. Il sociologo George Ritzer ha affermato che una forma di azione razionale rispetto allo scopo, la cosiddetta “Mcdonaldizzazione” del mondo, sta condizionando sempre più la nostra vita quotidiana. Tale tipo di azione razionale imporrebbe la struttura standardizzata ed efficiente di un fast-food a tutti gli aspetti della nostra vita, dalla scuola al lavoro, dai viaggi al tempo libero. Per Ritzer, la McDonaldizzazione rappresenta una forma estrema di azione razionale. L’azione mira a migliorare l’esperienza umana attraverso la ricerca costante dell’efficienza e del progresso ma, tale azione razionale estrema, denominata McDonaldizzazione può essere, al tempo stesso, inefficiente e disumanizzante. La McDonaldizzazione è un esempio del modo in cui l’azione umana viene influenzata dai modelli strutturali della società, in questo caso la ricerca di efficienza nel business. Il potere. Quello relativo al “potere” è un concetto centrale nella riflessione sociologica, in quanto incide su tutti i livelli della società e influenza la nostra vita quotidiana in un’infinità di modi. Come lOMoARcPSD|11710355 spiegava Russell “il concetto fondamentale della scienza sociale è il potere”. Il potere assume tante forme diverse, ed è essenziale per capire perché le cose vanno nella società. Il potere è strettamente legato alle disuguaglianze sociali. La disuguaglianza può essere basata su una varietà di caratteristiche diverse, tra cui la classe sociale, l’etnia, l’orientamento sessuale e la fede religiosa, ,a le differenti forme di disuguaglianza hanno in comune due cose: il potere e la sua influenza. Definizione di potere. Il sostantivo “potere” significa “essere in grado”. Weber definì il potere come la capacità di ottenere un risultato desiderato, anche andando contro l’opposizione altrui. In questa definizione è possibile distinguere due elementi importanti del potere: il primo è la “capacità di ottenere un risultato desiderato”, il “potere di”, la capacità di ottenere una determinata cosa; il secondo è incentrato sulla capacità di prevalere su un’opposizione, il “potere su”. Obiettivi collettivi ed empowerment: il “potere di”. Due principali approcci che si basano sul concetto di “potere di”: quello funzionalista e quello dell’empowerment. Come sosteneva Parson l’approccio del “potere di” può essere applicato anche a sistemi sociali come le scuole, i governi, secondo il suo schema interpretativo, una collettività detiene il potere nella misura in cui può realizzare i propri obiettivi. Ciò presuppone l’accesso a delle risorse, tra cui il denaro. Le società più ricche hanno più risorse, e quindi più potere, delle società più povere. L’approccio basato sul concetto di empowerment, ovvero l’ampliamento della propria capacità di ottenere un risultato desiderato, enfatizza chiaramente il momento del “potere di”. L’empowerment comporta spesso la crescita personale e professionale di un individuo. Tuttavia, l’empowerment può coinvolgere anche organizzazioni, comunità e intere categorie di persone. Le agenzie di sviluppo internazionale, per esempio, tentano di accrescere il potere dei gruppi di persone povere accrescendone la capacità di prendersi cura di se stessi e delle proprie famiglie. Le strategie finalizzate ad accrescere l’empowerment richiedono generalmente una combinazione di educazione, organizzazione e networking. - L’educazione è probabilmente il più noto approccio all’empowerment. Per raggiungere il proprio obiettivo, le persone o i gruppo devono capire la situazione in cui si trovano, avere un’idea abbastanza chiara di ciò che si deve fare e acquisire la formazione e le competenze di cui hanno bisogno. - L’organizzazione consiste nel mettere assieme delle persone per identificarne gli obiettivi comuni e tentare di raggiungerli - Il networking comporta l’esigenza di uscire dalla cerchia più immediata dei propri contatti per trovare degli alleati. Il dominio: il “potere su”. Le persone discordano a tutti i livelli della vita sociale. Per esempio: un genitore vuole punire il figlio adolescente non facendolo uscire di casa, ma il ragazzo si oppone. In questo caso il tentativo di realizzare un determinato progetto incontra un’opposizione e genera un conflitto. Ecco perché la seconda parte della nostra definizione di potere ha incluso l’idea del conflitto: “la capacità di ottenere un risultato desiderato, anche andando contro l’opposizione altrui”. Questa enfasi caratterizza l’approccio del “potere su”, cosi chiamato perché si focalizza sul tentativo di dominare gli altri. In una celebre definizione del politologo Dahl, il potere viene visto unicamente in termini di dominazione: “A ha potere su B nella misura in cui può indurre B a fare qualcosa che altrimenti non farebbe”. L’utilizzo più evidente del potere come mezzo di dominio è quello che si ha nei conflitti politici ed economici, in cui le elite tentano di mantenere i propri privilegi sugli altri membri della società. Strategie finalizzate a superare un’opposizione: persuasione, ricompensa, coercizione. Le parti coinvolte in un conflitto hanno le stesse tre opzioni di base: persuadere, ricompensare o costringere. 1. Persuadere: vuol dire ottenere il consenso delle persone coinvolgendole della correttezza della propria posizione e dei propri obiettivi. Non sempre l’uso della persuasione è lineare lOMoARcPSD|11710355 ed onesto. Alcuni manipolano, distorcono o nascondono le informazioni per convincere gli altri ad agire in un certo modo, come fanno i governi autoritari che controllano i media. 2. Ricompensare: vuol dire promuovere il consenso delle persone offrendo loro un incentivo positivo. Ricompensare un bambino con parole di elogio. 3. Costringere: vuol dire imporre il consenso attraverso la minaccia, l’intimidazione, la pressione e la violenza. La minaccia di una punizione ha un effetto coercitivo sul comportamento Il potere nella vita quotidiana. Il potere è presente a tutti i livelli della vita sociale, inclusi i rapporti che intrattenere con i familiari con gli amici, con i professori, con il capo. Molti sociologi hanno concentrato la propria attenzione sull’uso del potere a livello macrosociologico, prendendo in esame il potere governativo e il potere economico. Il potere entra in gioco anche nelle interazioni di livello microsociologico. A metà strada tra le intenzioni di livello macro e micro sociologico, si collocano le organizzazione di livello mesosociologico. Il potere nei piccoli gruppi e nelle organizzazioni. I sociologi che studiano il potere nei piccoli gruppi e nelle organizzazioni cercano di capire come essi operano e che ruoli ricoprono i loro leader. In una formulazione divenuta un classico, Frech e Raven identificano sei basi di potere nei piccoli gruppi e nelle organizzazioni: - Il potere di gratificazione: è il controllo che un soggetto esercita su risorse ritenute preziose, che possono essere usate per fornire incentivi positivi. Offendo ai bambini una paghetta settimanale, i genitori possono acquisire potere sul loro comportamento. - Il potere coercitivo: è la capacità di punire - Il potere legittimo: viene esercitato da coloro che fanno leva sul senso del dovere; gli altri “dovrebbero” obbedire, sulla base di valori culturali condivisi. - Il potere referente o carismatico: si basa sull’identificazione, sull’affetto e sul rispetto per un’altra persona, che non vuole necessariamente influenzare il prossimo. Un collega molto stimato potrebbe avere un potere referente, perché gli altri lo ammirano e lo prendono a modello - Il potere esperto: nasce dalla convinzione che una persona abbia conoscenze superiori in un determinato settore. - Il potere informativo: si basa sull’uso che una persona fa di fatti, dati o altre evidenze per argomentare razionalmente o persuadere. I detentori di informazioni possono accrescere la propria influenza mettendole in comune, organizzandole efficacemente, manipolandole e falsificandole. Queste categorie possono sovrapporsi, ma la distinzione ci aiuta a riconoscere le diverse fonti di potere. L’uso che si fa di un certo tipo di potere può incidere su un altro. I sociologi e gli psicologi sociali hanno compiuto numerosi studi sulle dinamiche dei piccoli gruppi, incluse quelle che si associano al potere. I ricercatori hanno dimostrato che quando le autorità fanno affidamento sulle ricompense o sul potere coercitivo, la loro influenza si indebolisce se si riduce la quantità di risorse che hanno a disposizione. Rispetto a chi ricopre effettivamente posizione di potere, coloro che ne sono privi tendono a usare la coercizione in misura maggiore, perché pensano di non avere altri mezzi per raggiungere i propri fini. Tattiche di potere. Le tattiche di potere sono le strategie specifiche che le persone usano per influenzare gli altri nella vita quotidiana. Queste strategie, si basano sul potere: il bambino che continua a ripetere “lo voglio!” quando si trova con la madre in un negozio sta usando una tattica di potere. Le tattiche di potere variano su tre dimensioni: - Hard e soft: le tattiche Hard sono energiche, dirette e severe. Coloro che le impiegano usano ricompense monetarie e altri incentivi tangibili, persino le minacce. Lo sconto per il pagamento in contanti. Le tattiche Soft, invece, si focalizzano sulle relazioni. Chi impiega delle tattiche soft usa la collaborazione e l’amicizia per raggiungere il proprio scopo. Il lOMoARcPSD|11710355 Conoscenza condivisa: il linguaggio è solo un esempio di come un’interpretazione condivisa faciliti l’interazione sociale. Una vita quotidiana che scorre senza intoppi dipende da quella che i sociologi definiscono intersoggettività, una condizione in cui più persone interpretano nello stesso modo la conoscenza, la realtà o un’esperienza. Un’interazione di successo richiede che ogni persona assuma la prospettiva dell’altra per giungere a un’interpretazione comune. In questo modo l’interazione sociale costruisce costantemente il nostro mondo sociale. I membri di una società non condividono solo il linguaggio comune, ma anche norme e costumi che hanno appreso attraverso la socializzazione, hanno una prospettiva comune che permette loro di capire come gli altri vedono il mondo e consente alla società di funzionare senza problemi. La vita quotidiana è ricca di interpretazioni della realtà condivise, date per scontate e inespresse. Il tranquillo funzionamento della vita quotidiana, si basa in parte sull’interpretazione condivisa delle persone di quella che è la natura della realtà. Quando incontrate e interagite con degli estranei, gli elementi condivisi della cultura costituiscono un terreno comune che facilita le interazioni di routine. Le persone che occupano posizioni sociali diverse considerano spesso il mondo da prospettive diverse. Definire “reale” una situazione: il teorema di Thomas. Essendo parte di una cultura, impariamo a vedere il nostro mondo da una prospettiva particolare, e questo punto di vista diviene la nostra realtà. I sociologi affermano che la “realtà” è il risultato di ciò che impariamo dalla nostra società; in altre parole, la realtà viene socialmente costruita. Non solo diamo per scontato le nostre definizioni di realtà, il che di fatto ci impedisce di vedere la complessità della società, ma queste definizione possono mettere in moto conseguenze molto reali. Thomas, sociologo americano contribuì a sviluppare il concetto della necessità di interpretare una situazione sociale prima di agire. In questo processo, che Thomas denominò “definizione della situazione”, prendiamo in considerazione sia la nostra interpretazione spontanea delle circostanze che abbiamo di fronte, sia ciò che la società ci ha insegnato riguardo a queste. La nostra interpretazione influenza la nostra azione. Thomas espresse la sua intuizione, oggi nota come teorema di Thomas, con questo enunciato: “ se gli uomini definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze”. In altre parole, l’interpretazione soggettiva della realtà ha effetti oggettivi. Se dobbiamo capire come e perché gli esseri umani agiscono come di fatto fanno, dobbiamo prestare attenzione al modo in cui definiscono la realtà e a come quella definizione, a sua volta, influenza il loro comportamento. Il teorema di Thomas ci aiuta a capire come le interpretazioni di una situazione diano forma all’interazione sociale a vari livelli. Il teorema di Thomas, ci aiuta a capire come le interpretazioni di una situazione diano forma all’interazione sociale a vari livelli. Il teorema di Thomas, inoltre, ci aiuta a capire il funzionamento degli stereotipi, che definiscono gli individui come esempi tipici di gruppi di persone. Gli stereotipi sono generalizzazioni esagerate, distorte o non vere su categorie di persone, che non tengono conto della specificità di ogni individuo. Spesso gli stereotipi sono negativi; tutti noi abbiamo sentito racconti o storielle che sminuiscono un qualche gruppo etnico. Di fatto, è tipico degli stereotipo perpetuare immagini negative delle persone, che non hanno alcun rapporto con loro né come individui né come gruppo. Trattandosi di definizione condivise, tutti gli stereotipo creano un senso di realtà, quindi possono avere pesanti conseguenze. Tre passi per costruire la realtà sociale. Per Berger e Luckman la società è un prodotto dell’uomo. La società è una realtà oggettiva. L’uomo è un prodotto sociale. I due attori definiscono i tre passi per costruire la realtà sociale: esternalizzazione, oggettivazione e interiorizzazione. - Esternalizzazione: le persone creano la società attraverso una continua attività fisica e mentale. Questo complesso procedimento contribuisce ad assicurare un ambiente stabile entro il quale poter vivere. Per esempio, diventare amici di una persona e interagire in modo da creare un rapporto sociale. - Oggettivazione: attraverso questo processo le disposizioni sociali arrivano a sembrare oggettivamente reali: la società appare separata dalla creazione umana, ma piuttosto “naturale”, inevitabile e al di fuori del controllo delle persone. Per proseguire l’esempio lOMoARcPSD|11710355 dell’amicizia, il rapporto che avere appena formato entra a far parte della vostra realtà. Vi chiamate “amici” uno con l’altro e le altre persone riconoscono il vostro rapporto reale. - Interiorizzazione: è il complesso procedimento attraverso il quale apprendiamo la cultura della nostra società e determiniamo la nostra visione del mondo. Nel corso di questo processo, gli esseri umani giungono a farsi influenzare dalla proprie creazioni: divengono prodotti sociali. Per esempio, la vostra amicizia vi influenza e rispondete a specifiche aspettative associate a questo rapporto. Lo stesso processo in tre fasi avviene sia nelle interazioni sociali di livello microsociologico, sia nelle strutture sociali di più ampio respiro. Le persone creano diverse strutture e istruzioni sociali come la famiglia, la scuola, possono trattare queste entità socialmente costruite come se fossero oggettivamente reali e sono infine influenzate dalla società che creano. Nel caso delle grandi strutture sociali, che spesso impiegano decenni per svilupparsi e consolidarsi, tale influenza spesso viene percepita solo dalle generazioni successive. Proprio perché le persone costruiscono continuamente la società e, a loro volta, ne sono influenzate, il mondo sociale nel quale viviamo è in flusso costante. Le donne e gli uomini possono anche cambiare quello che hanno contribuito a creare, quindi la nostra definizione e il nostro modo di intendere lavoro, famiglia, educazione e altri aspetti della società è aperto al cambiamento e all’evoluzione. Status sociali e ruoli. Un’interazione sociale di successo richiede un’interpretazione condivisa della realtà sociale. L’interazione prende forma anche attraverso status sociali e ruoli, che sono parte di quel collante che unisce un individuo a un altro, nonché ai modelli di comportamento che costituiscono la struttura sociale. Uno status è una posizione che può essere occupata da un individuo all’interno di un sistema sociale. Uno status set è l’insieme degli status di un individuo. Per esempio potreste essere allo stesso tempo studenti, impiegati, genitori e vicini di casa. Una categoria di status è uno status sociale che le persone possono avere in comune, come per esempio infermiere, padre o meridionale. Tutti noi ci destreggiamo continuamente tra i molti ruoli associati ai veri status che occupiamo. Il conflitto inter-ruoli avviene quando le aspettative associate a ruoli diversi si scontrano. Sono particolarmente soggetti a questo tipo di conflitto i genitori che devono conciliare la cura dei figli con le esigenze del lavoro. Il conflitto intraruolo, al contrario, si verifica quando le aspettative associate a un singolo ruolo competono le une con le altre. Gli insegnanti vivono un conflitto intra-ruolo a causa della doppia responsabilità che hanno: aiutare e appoggiare i propri studenti, ma anche valutarli, a volte con un’insufficienza. Poiché gli individui possono detenere contemporaneamente molti status con i relativi ruoli, si crea spesso il problema di soddisfare con successo le aspettative sociali. I ruoli rivestono un’importanza cruciale nella costruzione della nostra vita quotidiana perché ci connettono alle altre persone. Questi ruoli interconnessi danno vita a una rete di relazioni sociali che è alla base della struttura sociale. L’approccio drammaturgico: interpretare la vita sociale. L’approccio drammaturgico alla realtà sociale, un approccio allo studio delle interazioni sociali che utilizza la metafora della vita come teatro, è strettamente legato al sociologo Goffman. Egli attinse ad alcuni elementi tipici di una rappresentazione teatrale per delucidare la natura dell’interazione sociale. Aspettative di ruolo: nella vita reale, sono le aspettative culturali a determinare il contenuto di un ruolo sociale. Spesso diamo aspettative per scontate, ma il loro significato diviene ovvio nel momento in cui vengono violate. Il costume, gli accessori, il linguaggio e le emozioni appropriate sono alcune delle risorse che gli attori utilizzano per rendere convincente la propria performance. Un attore, però, deve anche interpretare un ruolo, il che lascia molto spazio alla creatività. Lo stesso vale per i ruoli sociali. Le aspettative associate a un qualsiasi ruolo sono socialmente definite, ma gli individui che godono di un particolare status devono “interpretare” attivamente quel ruolo. Gestione delle impressioni: in genere, un ruolo viene interpretato alla presenza di un pubblico. Gli attori cercano di convincere gli spettatori di essere “veri” e che la loro interpretazione di un personaggio è autentica. In quanto attori sociali, noi siamo impegnati lOMoARcPSD|11710355 nella gestione delle impressioni: attraverso la nostra interpretazione cerchiamo di controllare l’immagine che gli altri hanno di noi. Talvolta le persone si calano a tal punto in un ruolo da considerarne l’interpretazione una parte integrante di se stessi. Palcoscenico e retroscena: tutti gli attori conoscono perfettamente la distinzione fra palcoscenico, che il pubblico può vedere, e retroscena, che è nascosto alla vista. Gli attori interpretano il proprio ruolo quando sono sul palcoscenico, ma dietro le quinte tornano a essere se stessi, riacquistando le energie per la performance successiva. Anche gli attori sociali, secondo Goffman, cambiano il proprio comportamento a seconda del luogo in cui si trovano. Le reti sociali. Le reti sociali sono l’insieme dei legami sociali che collegano le persone le une alle altre. Oggi tale espressione evoca a molti immagini di Facebook, e altri siti internet che servono a mettere in contatto le persone. Tradizionalmente, legami e reti sociali forti si basavano sull’interazione personale, ma oggi internet offre alcuni, chiari vantaggi ai fini della loro costruzione e del loro mantenimento. Natura delle reti: alcuni legami sociali possono influenzare chi siete e potrebbero esservi d’aiuto in diverse situazioni, altri possono servire da legami fra voi e nuovi contatti o aprire opportunità in nuovi ambiti sociali. Comprendere i modelli di associazione nelle reti sociali ci aiuta a capire come le persone sono integrate nella società. Lo studio delle reti sociali ci apporta molte informazioni sui modelli di interazione sociale e la loro analisi può assolvere a molte funzioni: studiare le dinamiche sociali di un quartiere, comprendere meglio la comunicazione sul luogo di lavoro. Le reti sociali sono di dimensioni molto differenti e variano, fra le altre caratteristiche, per la forza dei loro legami, per le caratteristiche di chi ne fa parte, per la distanza fisica fra i loro membri e per il tipo di interazione fra loro. L’analisi delle reti sociali rivela come sia più probabile che, nella nostra rete, si trovino persone simili a noi. Secondo il principio dell’endogamia sociale, infatti, il contratto sociale avviene in percentuale maggiore fra persone simili che fra persone diverse. Forza dei legami di rete: alcune delle nostre reti sono formate da amici intimi, dalla famiglia o da altre persone con cui abbiamo un forte legame e un rapporto di intimità. Più forti sono i nostri legami con le persone, più è probabile che esse ci forniscano un sostegno. Gran parte del nostro supporto sociale deriva da un numero relativamente esiguo di legami molto forti che possono avere un’importanza fondamentale in tempi di crisi. Altre reti sono formate da persone che hanno un legame reciproco relativamente debole: colleghi di lavoro, vicini e conoscenti casuali. Pur nella debolezza dei legami, anche queste reti possono essere un aiuto. Formalizzare la struttura: gruppi e organizzazioni. I nostri legami sociali vanno formandosi attraverso la comunione della cultura e la condivisione dell’interpretazione della realtà, nonché mediante gli status e i ruoli che assumiamo nelle interazioni e le reti sociali alle quali partecipiamo. La vita sociale, però, comporta qualcosa di più delle sole interazioni fra individui. In tutti gli ambiti sociali, le persone interagiscono seguendo modelli che danno vita sia a piccoli gruppi, come le famiglie e le reti di amici, sia a organizzazioni più vaste, come i luoghi di lavoro e le scuole. Quando si creano gruppi, e in particolare organizzazioni, la struttura sociale diviene più formale, pur continuando a comportare interazioni fra gli individui. I gruppi e le organizzazioni sono definite da modelli di partecipazione dei loro membri. Si è parte integrante di un gruppo attraverso una continua partecipazione. Perché esista un’organizzazione formale, i suoi membri devono mantenere un determinato livello di interazione. Gruppi primari e secondari. I gruppi sociali sono un insieme di persone che interagiscono abitualmente le une con le altre e sono consapevoli del loro status di gruppo. Una folla, che casualmente viene a trovarsi in uno stesso luogo nello stesso momento, non costituisce un gruppo in senso sociologico, perché le persone che la compongono si trovano riunite per un avvenimento che accade una sola volta e non si ritengono parte di un’entità collettiva. Lo stesso vale per una categoria di persone, come le persone con gli occhi azzurri. I gruppi possono essere informali e possono essere creati, lOMoARcPSD|11710355 fornire una risposta ovviamente errata. La presenza di un solo complice eliminava l’effetto maggioranza che al contrario si produceva appieno quando i complici erano tre o più. Le azioni altrui spesso promuovono un comportamento di conformità. Le persone ricercano l’approvazione sociale seguendo il gruppo, e il fatto di conformarsi spesso fa parte di uno sforzo più vasto, teso a formare e mantenere i collegamenti sociali. Alcune culture sono più conformiste di altre. Anche le condizioni sociali possono portare a un comportamento conformista, soprattutto in situazioni caratterizzate da un diffuso senso di ansia. È soprattutto la paura per la sicurezza personale a incoraggiare la conformità. L’incidenza dell’influenza dei gruppi sul comportamento individuale varia notevolmente. Malgrado le influenze di gruppo spesso potenti, gli individui hanno ancora la capacità di compiere azioni indipendenti, che operino all’interno di un gruppo informale o in un’organizzazione più formale. Obbedienza: gli sperimenti di Milgram. Gli esperimenti di Milgram vennero condotti in un laboratorio di ricerca, dove scienziati in camice bianco incoraggiavano i partecipanti a somministrare scosse elettriche apparentemente doloroso, e potenzialmente letali, come parte di un presunto studio su come le punizioni influenzino l’apprendimento. Come dimostrano gli esperimenti di Milgram molti di noi si sono socializzati in modo da ubbidire a figure autoritarie e conformarsi alle aspettative sociali, anche se sappiamo che queste azioni sono sbagliate. Anche se alcuni hanno rifiutato di partecipare all’esperimento di Milgram, molti altri hanno fatto tacere il buonsenso e hanno eseguito gli ordini, cedendo il potere a chi aveva autorità. Soltanto quando hanno visto gli altri rifiutarsi di partecipare all’esperimento, una schiacciante maggioranza ha detto no. Il conformismo: è una forma di pensiero acritico, tramite il quale le persone rafforzano il consenso anziché porsi domande o analizzare il problema che hanno di fronte nella sua interezza. Chi si conforma al pensiero di gruppo ignora le prove o le idee che contraddicono il suo pensiero e quello degli altri membri del gruppo. Quanto più simili sono i membri del gruppo tanto più è probabile che essi accettino le affermazioni della maggioranza sul mondo anziché metterle in discussione. Valutando le situazioni in modo analogo, è probabile che i conformisti si accordino sulla soluzione di un problema anziché considerare altre opzioni che contraddicono le loro ipotesi. Poiché sono omogenei e i loro membri si sostengono a vicenda, questi gruppi tendono inoltre a escludere sia i pareri dissenzienti sia il mondo esterno, il che li rende ancor più disfunzionali. I gruppi inclini a questo genere di pensiero minimizzano i conflitti interni, incoraggiando tutti i membri a fare gioco di squadra. I membri possono conformarsi per eludere i conflitti, per evitare di fare la figura degli sciocchi, oppure semplicemente perché è più facile conformarsi che sfidare le affermazioni del gruppo. Non possono risultare, però, decisioni affrettate o irrazionali. Leadership, oligarchia e potere. In gran parte delle organizzazioni, le persone lottano continuamente per potere. Una caratteristica importante di qualsiasi organizzazione, quindi è la struttura del potere. Nelle burocrazie formali le persone, a qualsiasi livello della struttura organizzativa, hanno potere su chi è sotto di loro e sono soggette all’autorità di chi sta sopra. Il sociologo Michels, coniò il termine legge ferrea dell’oligarchia per descrivere ciò che considerava l’ultimo e inevitabile consolidamento del potere al vertice delle organizzazioni burocratiche. Michels affermava che le burocrazie collocano troppo potere nelle mani di chi è al vertice; inevitabilmente, questi pochi prescelti ne fanno un pessimo uso e lo consolidano grazie a un accesso privilegiato a informazioni e risorse. Quando sono ben trincerati dietro il potere, i leader sono esclusi dal contatto con altre persone dell’organizzazione o con il pubblico, il che permette loro di sfuggire a qualsiasi controllo del loro operato. Nel frattempo, chi è sotto di loro nella gerarchia burocratica non ha il potere di sfidarli pur disapprovandoli: da questo deriva la loro tendenza alla passività. Malgrado le affermazioni fatalistiche di Michels, la diseguaglianza burocratica può essere contestata mediante un conflitto politico sotterraneo fra coalizioni organizzative, che comprende sottili forme di mancata collaborazione e persino sabotaggio. Gestione scientifica e controllo sul luogo di lavoro. Per consolidare il proprio potere sul luogo di lavoro, i proprietari dovevano trasferire la conoscenza del processo produttivo da questi lavoratori specializzati a un gruppi di dirigenti, lOMoARcPSD|11710355 riducendo allo stesso tempo lavori complessi in compiti semplici, facilmente eseguibili da lavoratori non specializzati che potessero essere assunti a salari inferiori. Questo tipo di organizzazione dall’alto al basso, associato al controllo della produzione, aveva inoltre il beneficio aggiuntivo di essere estremamente efficiente, incrementando la produzione e gli utili. Il processo di dequalificazione dei lavoratori generici e di ottimizzazione dell’efficienza del luogo di lavoro mediante uno studio calcolato divenne noto come organizzazione scientifica del lavoro. Taylor fu il maggior fautore di questo modello organizzativo e il suo approccio viene spesso definito taylorismo: i dirigenti osservano attentamente i lavoratori all’opera, annotando ogni singolo passaggio e calcolando quanto tempo era necessario per compierlo; gli analisti esaminavano poi le informazioni raccolte, al fine di trovare il modo di fare lo stesso lavoro più rapidamente e con maggiore efficienza. Dividendo la produzione in processi sempre più semplici, i dirigenti potevano assegnare a ciascun operaio un compito specifico. La classica applicazione del taylorismo fu la catena di montaggio. Applicando i principi di Taylor, il lavoro venne suddiviso, in compiti individuali, ciascuno dei quali era eseguito da un operaio diverso che poteva essere assunto a un salario e addestrato in tempi brevi a compiere quel lavoro noioso e ripetitivo. L’organizzazione scientifica non si limita al contesto industriale per il quale venne inizialmente formulata. I luoghi di lavoro altamente tecnologici di oggi utilizzano spesso i principi del taylorismo. Al giorno d’oggi, l’organizzazione scientifica incontra delle limitazioni. I lavoro professionali tendono a basarsi sulla conoscenza, e i dipendenti devono usare la creatività, collaborare e reagire a mercati in rapida evoluzione. Ne deriva un sistema di impiego a doppio livello che riflette il sistema della classi, in base al quale coloro che hanno conoscenza, e i dipendenti devono usare la creatività, collaborare e reagire a mercati in rapida evoluzione. Ne deriva un sistema di impiego a doppio livello che riflette il sistema delle classi, in base al quale coloro che hanno conoscenze specializzate godono di notevole autonomia e flessibilità, oltre che di uno stipendio elevato, mentre gran parte degli altri dipendenti sono strettamente controllati, eseguono ripetitivi compiti di routine e ricevono un salario basso. Capitolo 6. Stratificazione, classi sociali e diseguaglianze globali. Le diseguaglianze strutturate: i sistemi di stratificazione. Per diseguaglianza sociale intendiamo una distribuzione ineguale di risorse economiche, sociali e politiche e culturali all’interno di un determinato contesto sociale. Tra gli individui esiste un’asimmetria dovuta non solo all’avere capacità differenti per ragioni genetiche, ma anche al modo in cui è strutturata la società cui appartengono, che tende a modificare, spesso in modo sostanziale, gli effetti dovuti alla casuale distribuzione genetica delle abilità. Intese in questo senso, le diseguaglianze sociali si basano su una particolare combinazione di desiderabilità, abbondanza e scarsità: esse compaiono in modo vistoso solo nel momento in cui gli essere umani passano dal Paleolitico al Neolitico, cioè con la nascita delle prime città e dell’agricoltura. Esso rese possibile la comparsa di un surplus produttivo, vale a dire di una quantità di risorse aggiuntive che potevano essere utilizzate oltre la soglia della semplice sopravvivenza. Ne derivò non solo il problema di come impiegare tali risorse ma anche quello, in parte connesso al primo, di come distribuirle tra coloro i quali avevano partecipato direttamente al processo produttivo e gli altri membri della comunità. Per esistere, le disuguaglianze abbisognano di una soglia minima di abbondanza. Tuttavia, se questa abbondanza fosse, al contrario, “massima”, per il problema distributivo non si porrebbe più. L’abbondanza che genera disuguaglianze è dunque quella relativa: le risorse disponibili e dotate di valore da distribuire non sono infinite sia per un limite intrinseco ai metodi produttivi utilizzati, sia perché qualcuno è in grado di erigere e far rispettare le barriere al loro utilizzo. Qualunque società umana esistita, dunque, formalizza e istituzionalizza queste diseguaglianze sociali, incluse quelle riguardanti il potere, sviluppando meccanismi appositi. Un sistema di lOMoARcPSD|11710355 stratificazione può essere definito come l’insieme delle strutture e delle norme culturali che producono e mantengono le diseguaglianze sociali dislocando le persone in una gerarchia di gruppi che ricevono risorse diseguali. Nel corso dei secoli, diverse società hanno dato via a differenti tipi di stratificazione sociale. Tutti i sistemi di stratificazione esistiti condividono tre elementi fondamentali: - L’ineguale distribuzione delle risorse dotate di valore sociale e culturale - La presenza di gruppi distinti di persone, che formano strati sociali gerarchizzati. - Un’ideologia che cerca di spiegare giustificare le diseguaglianze esistenti Risorse disuguali. Il primo elemento comune a tutti i sistemi di stratificazione è l’ineguale distribuzione di risorse ritenute preziose. Queste possono includere: 1. Risorse economiche 2. Risorse umane 3. Risorse culturali 4. Risorse sociali 5. Risorse di status 6. Risorse civili 7. Risorse politiche In ogni sistema di stratificazione alcune risorse sono distribuite in maniera più uniforme di altre. Quando una risorsa è disponibile più facilmente per un gruppo anziché per un altro, questa discrepanza può avere effetto sulla distribuzione di altre risorse; per esempio, poiché le persone benestanti possono permettersi un’assistenza legale migliore di quella dei poveri, l’uguaglianza formale su cui si basa il sistema legale giudiziario può essere compromessa. Gruppi stratificati. Il secondo elemento comune a tutti i sistemi di stratificazione è la presenza di gruppi distinti, che formano i diversi strati della società. La stratificazione basata sulla classe sociale, l’etnia e il genere è molto diffusa, il che spiega, in parte, la grande attenzione che i sociologi riservano a questi elementi. Tuttavia, la stratificazione può anche essere basata, tra le altre cose, su età, appartenenza religiosa, orientamento sessuale e disabilità. I gruppi esistenti all’interno di un sistema di stratificazione possono essere basati sia su status ascritti sia su status conseguiti. Uno status ascritto è una posizione sociale assegnata a un individuo indipendentemente dalla sua volontà o dalle sue capacità. I sistemi di stratificazione che si basano primariamente su di essi sono denominati sistemi “chiusi”; tendenzialmente rigidi e impermeabili, essi rendono a un individuo difficile o praticamente impossibile muoversi da uno strato a un altro. Uno status conseguito è una posizione ricoperta da un individuo in larga misura come risultato delle proprie capacità. La laurea, per esempio, è uno status dovuto i gran parte ai propri sforzi. I sistemi di stratificazione basati principalmente sugli status conseguiti sono definiti “aperti”: all’interno di tali sistemi è possibile per un individuo realizzare la mobilità sociale, vale a dire il movimento da uno strato a un altro. Le diverse categorie sociali normalmente associate a situazioni di disuguaglianza non sono naturali, inevitabili o biologicamente fondate. Pertanto, il significato e il senso di ogni categoria è determinato dal suo contesto culturale e dalla struttura sociale, queste categorie sono socialmente costruite. Le ideologie che giustificano le diseguaglianze. Un terzo elemento comune a tutti i sistemi di stratificazione è l’esistenza di un’ideologia, un sistema di credenze che aiuta a definire e spiegare il mondo, nonché a giustificare l’esistenza delle diseguaglianze. Infatti, il modo più efficiente per mantenere un sistema di disuguaglianze è convincere la maggior parte delle persone che esso è giusto o inevitabile, oppure entrambe le cose. Se i gruppi all’interno della società credono nell’ideologia che ne giustifica il sistema di stratificazione, i se sono disillusi circa la possibilità di cambiarlo, molto probabilmente non lo sfideranno. I tre elementi chiave che tutti i sistemi di stratificazione hanno in comune generano differenti configurazioni sociali. I sistemi di stratificazione pre-moderni. I quattro principali modelli di stratificazione che hanno caratterizzato le società del passato sono: la schiavitù, il patriarcato, il modello basato sulle caste e quello fondato sui ceti. In tutti lOMoARcPSD|11710355 La stratificazione delle classi è funzionale? I funzionalisti analizzarono la disuguaglianza economica in base al contributo positivo che essa fornisce alla società nel suo complesso. In questa prospettiva, la stratificazione aiuta a “fare in modo che le posizioni più importanti vengano coscienziosamente occupate dalle persone più qualificate”. Sia per un liberale sia per un socialista, la competizione tra classi produce vincitori e vinti, per i funzionalisti la competizione tra gli individui per l’ottenimento delle posizioni meglio remunerate finisce per produrre un beneficio positivo per l’intera società: per garantire la sopravvivenza della collettività, le posizioni importanti devono essere occupate da persone altamente qualificate. Invece di classi sociali in conflitto tra di loro, i funzionalisti vedono perciò un continuum di occupazioni che offrono un ampio ventaglio di ricompense e contribuiscono alla sopravvivenza e al buon funzionamento della società. I critici della prospettiva funzionalista osservano che il mondo reale non opera in questo modo. Infatti, la diseguaglianza preesistente incide sulla capacità di competere di una persona, mentre le barriere alla mobilità, cioè al mutamento delle condizioni economiche e sociali, spesso impediscono a individui meritevoli di progredire. Un altro problema dell’approccio funzionalista alla stratificazione sociale è che esso non definisce cosa si debba intendere per “le posizioni più importanti”. Chi stabiliste quali sono? Il capitale culturale. Per spiegare la riproduzione delle classi, il sociologo francese Bourdieu partì dall’analisi di Weber della cultura e degli stili di vita. Secondo lo studioso francese, le persone riproducono le classi di generazione in generazioni, trasmettendo ai giovani non solo la ricchezza materiale ma anche il patrimonio culturale. Per descrivere queste particolari risorse, Bourdieu coniò l’espressione capitale culturale; l’insieme dei diversi tipi di conoscenza, competenze e altre risorse culturali. Nei differenti contesti assumono valore forme diverse di capitale culturale. Bourdieu affermò che i giovani vengono socializzati diversamente a seconda della classe sociale a cui appartiene la loro famiglia, apprendendo gusti, comportamenti e atteggiamenti che li distinguono dai membri delle altre classi: essi interiorizzano tali insegnamenti, che diventano praticamente naturali per loro, formando degli habitus sociali e mentali caratteristici. L’automatica capacità nel padroneggiare questi habitus interiorizzati può indirizzare i giovani verso posizioni di classe simili a quelle dei genitori. Bourdieu osservò anche che il capitale culturale interagisce con il capitale sociale, ossia l’insieme delle relazioni potenzialmente preziose sul piano economico che derivano dall’appartenenza a un gruppo. La mobilità sociale. Sulle orme di Durkheim, l’antropologo francese Levì-Strauss distinse le società in “fredde” e “calde”: le prime pongono l’enfasi sulla stabilità, mentre le seconde tendono a valorizzare il mutamento sociale. Le società moderne, che possono essere fatte rientrare in quest’ultimo tipo, presentano un”potenziale di mobilità” certamente più ampio rispetto al passato, perché i loro sistemi di stratificazione si fondano per lo più su una logica acquisitiva. Nella società moderna, caratterizzata da una maggiore dinamicità: i canali di mobilità sono più fluidi rispetto al passato, aumentano le aspettative e le opportunità di scelta degli individui, i quali possono aspirare a migliorare la propria posizione all’interno della scala socio-economica. Naturalmente, la maggior dinamicità può anche comportare un peggioramento della condizione sociale individuale, generando anche situazioni inedite di marginalità. Per descrivere tale situazioni si è soliti far riferimento a un processo sociale fondamentale, riscontrabile in ogni tipo di società: la mobilità sociale, intesa come lo spostamento di un individuo o di un intero gruppo da una posizione sociale a un’altra. La mobilità sociale può essere: - Verticale: si intende il movimento dalle posizioni più basse della piramide sociale a quelle più alte e viceversa. In tal senso, si parla di mobilità ascendente in tutti quei casi in cui si ottiene un miglioramento in termini di reddito o di status; diversa è invece la mobilità discendente, in cui lo spostamento all’interno della piramide sociale avviene dall’alto verso il basso, con il conseguente peggioramento degli standard di vita. Una delle principali cause di mobilità sociale discendente nelle società contemporanee è la disoccupazione. lOMoARcPSD|11710355 - Orizzontale: si intende il passaggio di un individuo da una posizione a un’altra nell’ambito dello stesso livello sociale. In altri termini, si tratta di spostamenti che non producono cambiamenti significativi rispetto alla posizione sociale precedentemente occupata. È il caso di coloro, che pur cambiando lavoro, continuano a svolgere le stesse mansioni senza ottenere ulteriori benefici - Intragenerazionale: è riferita ai mutamenti di posizione socio-economica sperimentati da un singolo individuo durante il corso della propria vita. In genere, tale tipo di mobilità coincide con i cambiamenti relativi alla carriera lavorativa - Intergenerazionale: focalizza il proprio interesse sul rapporto tra le generazioni, raffrontando la posizione sociale raggiunta da un individuo con quella della sua famiglia di origine. Attraverso il confronto tra generazioni permette di capire si siamo effettivamente di fronte a una società capace di mutare Quando ci troviamo di fronte a una modificazione profonda ed estesa della struttura occupazionale e del relativo sistema di disuguaglianza, possiamo parlare di mobilità strutturale. Per esempio, il passaggio di una società da rurale a industriale porta con sé una seri di trasformazioni. Politiche pubbliche, disuguaglianze e Welfare State. Oltre che attraverso i meccanismi “interni” di inerzia e fluidità come quelli sopra descritti, la produzione e riproduzione delle disuguaglianze economiche può essere operata dall’esterno, mediante le politiche pubbliche. I mutamenti istituzionali innescati dai conflitti sociali, dai processi storici che hanno portato alla formazione delle diverse società nazionali, costituiscono il contesto generale da cui si dipanano queste politiche. Negli Stati Uniti, la società moderna è il risultato di una costruzione ex-novo, fondata, sin dall’inizio, sull’individualismo. In Europa, invece la modernizzazione ha dovuto scontrarsi con i residui culturali, politici e economici dell’Ancien Regime, qui il problema dell’emancipazione di vasti strati sociali di origine popolare, pose le basi della cosiddetta questione social. Le difformità tra queste due realtà sociali moderne portarono alla costruzione di sistemi e partitici differenti. Tuttavia, si sono avute importanti fasi di convergenza tra le due realtà, anche a causa della loro crescente interdipendenza politico-economica: in entrambi i casi, la dottrina economica dominante fu quella del laissez-faire, basata sull’astensione dello Stato dall’intervenire sulla distribuzione del reddito prodotta dal mercato. Questo modello economico entrò in crisi. Il risultato, fu ciò che il sociologo inglese Marshall, definì come l’affermazione di una nuova cittadinanza sociale, l’insieme dei diritti a contenuto economico e sociale che permettono agli individui di divenire membri a pieno titolo della comunità politica. La cittadinanza sociale ha a che fare sia con lo sviluppo di un più solido senso di appartenenza e identità alla comunità politica, sia con la creazione delle condizioni materiali che permettono l’esercizio degli altri diritti, da questo punto di vista, il riconoscimento della cittadinanza sociale pose le basi per l’intervento delle istituzioni pubbliche ai fini della modifica delle disuguaglianze prodotte dal mercato Politiche pubbliche e disuguaglianze. Le politiche pubbliche tendono a seguire due approcci di base. Il primo approccio mira a produrre risultati più equi, restringendo il gap tra i ricchi e i poveri. Un mezzo per raggiungere questo fine consiste nel fornire a tutti, alcuni servizi di base, come l’assistenza sanitaria e l’istruzione. Un’altra opzione consiste nell’innalzare il “pavimento” (aumentare i redditi) e nell’abbassare il “soffitto” (aumentare le imposte). Il secondo approccio mira a promuovere pari opportunità attraverso la livellazione del terreno di gioco su cui le persone competono per dei buoni posti di lavoro, scarsi per definizione. Questo obiettivo è stato classicamente perseguito promuovendo l’istruzione come mezzo di mobilità individuale, il che, a sua volta, dovrebbe condurre a una competizione più equa. Welfare state. Per Welfare stare, stato sociale, possiamo intendere l’insieme delle istituzioni, delle norme giuridiche, degli attori e delle politiche pubbliche utilizzate per allestire una serie di meccanismi sistematici volti alla gestione dei rischi sociale (per esempio, la disoccupazione) ed esistenziali lOMoARcPSD|11710355 (come le malattie e la vecchiaia). Mentre i primi sono il prodotto diretto tanto dei cicli economici e tecnologici quanto delle diseguaglianze, i secondi sono mediati da quest’ultimi. Affrontare la vecchiaia in condizioni di povertà o ricchezza è ben diverso in termini di durata e qualità della vita. La sfida della cittadinanza sociale sta quindi nell’intervenire tanto sui meccanismi “a monte” quanto sugli effetti “a valle” delle disuguaglianze di classe, che amplificano o riducono i vari tipi di rischi; ciò dovrebbe generare un livello più elevato di coesione sociale. Nelle società contemporanee, la gestione dei rischi è attuata tramite l’interazione di quattro attori principali: la famiglia, lo stato, il settore privato (mercato) e il cosiddetto “terzo settore” (associazioni no-profit). Lo stato sociale è definibile come una forma di intervento e coordinamento istituzionalizzato di questi quattro attori, che vede al centro l’azione dei poteri pubblici. Le classiche aree in cui si articola il Welfare State sono: - L’assistenza, ovvero gli interventi messi in campo per fronteggiare la marginalità sociale e la povertà - Le assicurazioni contro la vecchiaia e gli infortuni sul lavoro - Le politiche del lavoro - Le politiche per la salute. L’istruzione e la formazione non rientrano nel Welfare State ma, data l’importanza crescente che esse assumono sia per lo sviluppo economico sia come canali di promozione sociale, la questione della loro accessibilità e qualità ha ricadute fondamentali sulla dinamica e sulla struttura delle disuguaglianze. Aderson, uno dei maggiori studiosi del Welfare State, ha costatato che storicamente la sua applicazione pratica dipende dalle caratteristiche dei diversi sistemi capitalistici, nonché dal ruolo dello Stato e dalla famiglia. Ciò produce diversi gradi di demercificazione dei rischi con la conseguente affermazione di quattro modelli storici: 1. Modello socialdemocratico, tipico dei Paesi del Nord Europa, le cui tutele sono universaliste e che tende alla realizzazione della piena cittadinanza sociale 2. Modello corporativo, caratteristico della Germania, in cui le tutele sociali sono correlate alla categoria lavorativa di appartenenza, con standard minimi di tutela piuttosto elevati. 3. Modello mediterraneo, sviluppatosi in Italia, che abbina a un mix di tutele a base corporativa e universalistica un ruolo rilevante riservato alla famiglia in quanto “ammortizzatore sociale” 4. Modello liberali, tipico degli Stati Uniti, in cui il mercato e il settore no-profit costituiscono gli attori principali del sistema del Welfare Capitolo 7. Etnie e migrazioni. Il ruolo della cultura: inventare l’etnia e la razza. Molte società classificano le persone in termini di “razza” e di “etnia”. L’etnia designa una comunità caratterizzata da una tradizione culturale condivisa, che deriva spesso da una tradizione culturale condivisa, che deriva spesso da un’origine e da una patria comune. Tale tradizione culturale può includere, tra l’altro, una lingua, costumi, simboli, nonché cibi e musiche particolari. Le etnie sono costrutti che esistono solo nella misura in cui vengono accolti spontaneamente dalle persone o loro imposti da qualcun altro. All’interno di una società possono svilupparsi processi di “etichetta mento etnico” che non trovano consenso nel gruppo al quale sono rivolti. Diversamente dall’etnica, la razza denota una categoria di persone che hanno in comune delle caratteristiche fisiche socialmente significative, come il colore della pelle. L’etnia può essere confusa con la razza perché i due concetti sono potenzialmente sovrapponibili. Pseudoscienza e razza. La parola “razza” ha assunto le sue popolari connotazioni contemporanee nel XVIII secolo, allorché alcuni scienziati europei iniziarono a denominare e a classificare le piante e gli animali. Quando rivolsero la propria attenzione all’umanità, tuttavia, i loro assunti etnocentrici sulla superiorità degli europei fecero si che i loro sforzi si traducessero nella creazione di una lOMoARcPSD|11710355 Nord. Tra la metà degli anni ’50 e la metà degli anni ’70 del secolo scorso, in pieno boom economico, un numero sempre più consistente di persone si trasferì nelle grandi città del Nord Italia, in particolare Milano, Torino e Genova, il cosiddetto “triangolo industriale”. Con l’esaurimento del boom economico, il crollo del muro di Berlino e le trasformazioni avvenute nell’Europa dell’Est, il continente europeo assistette a un’ondata di nuove emigrazioni che ha modificato notevolmente la direzione dei flussi migratori. Negli ultimi decenni l’aggravarsi degli squilibri tra Nord e il sud del mondo e il carattere sempre più globale dei movimenti migratori ha visto l’Europa e in particolare l’Italia diventare una destinazione privilegiata per le migrazioni internazionali. Nonostante le numerose trasformazioni degli ultimi anni, l’Italia continua a essere, per certi versi, un Paese di emigrazione soprattutto per quanto riguarda le giovani generazioni che, a causa della crisi economica e della crescente disoccupazione, scelgono di trasferirsi all’estero. Atteggiamenti e comportamenti individuali: pregiudizio, discriminazione, etnocentrismo, xenofobia, e relativismo culturale. Le teorie socio-psicologiche che si focalizzano sugli atteggiamenti e sul comportamento individuale possono aiutarci a capire come fanno le persone a sviluppare le proprie opinioni sulla disuguaglianza. Gli stereotipo e il pregiudizio si limitano alle credenze e agli atteggiamenti, ma la discriminazione, implica azioni e comportamenti. L’azione discriminatoria è generalmente limitata a coloro che hanno il potere di agire in modo da ostacolare gli altri. Chi ha relativamente poco potere potrebbe si avere dei pregiudizi, ma non avrà mai le risorse o le capacità necessarie per trasformali in azioni discriminatorie efficaci. In questo senso, la discriminazione è “pregiudizio più potente”. Strettamente legato a stereotipi e pregiudizi è il concetto di etnocentrismo, ovvero la prativa di giudicare una cultura diversa utilizzando gli standard della propria e con una presunzione di superiorità. Una visione etnocentrica del mondo può generare xenofobia, l’irragionevole timore od odio per gli stranieri o per persone di una cultura diversa che, portano all’estremo, può degenerare nel genocidio. Diversamente dell’etnocentrismo, il relativismo culturale è la pratica di comprendere una cultura attraverso i suoi stessi standard. Il relativismo culturale non richiede di adottare o accettare idee e pratiche di un’altra cultura, ma di fare lo sforzo di comprenderla utilizzando i criteri suoi proprio e con la disponibilità a riconoscerla come valida alternativa alla propria. In altre parole, per praticare il relativismo culturale dobbiamo comprendere una cultura, non giudicarla, come avviene. Discriminazione istituzionale: barriere strutturali all’uguaglianza. Gli individui possono mettere in atto pratiche discriminatorie, ma l’inuguaglianza etnica e razziale si produce e si rinforza con la discriminazione istituzionale, non con l’azione individuale. La discriminazione istituzionale deriva dall’organizzazione strutturale, dalle politiche e dalle procedure di istituzioni come il governo, le imprese e le scuole, ed è estremamente efficace poiché coinvolge ampie fasce della popolazione. È molto difficile da eliminare, perché non è associata a un individuo in particolare, ma è una caratteristica generalizzate della burocrazia istituzionale. Teorie del pregiudizio e della discriminazione: cultura e interessi del gruppo. Le interpretazioni sociologiche del pregiudizio e della discriminazione oscillano tra due tradizioni teoriche: quelle che enfatizzano l’impatto della cultura e quelle che enfatizzano l’impatto della cultura e quelle che enfatizzano il peso degli interessi materiali del gruppo. Gli studi sociologi sull’argomento tendono spesso a combinare elementi di entrambi gli approcci. Capire il pregiudizio attraverso la cultura. La familiarità genera un senso di sicurezza, mentre la scarsa conoscenza produce quasi sempre ansia o timore. La socializzazione induce spesso i ragazzi a stringere legami con i membri del proprio gruppo, persone simili a loro, e a sviluppare stereotipi negativi sui membri dell’out-group, dissimili da loro. Alcune ricerche indicano che i bambini assimilano stereotipi e sviluppano pregiudizi già a tre anni, spesso prima di comprendere appieno il significato o la rilevanza. Stando l’ipotesi del contatto elaborata da Allport, il contatto tra membri di gruppi diversi può ridurre il pregiudizio se è protratto nel tempo, se coinvolge gruppi di uguale status aventi obiettivi comuni e se viene approvato dalle autorità lOMoARcPSD|11710355 Discriminare per trarne un vantaggio. Le spiegazioni del pregiudizio e della discriminazione che fanno riferimento agli interessi del gruppo si focalizzano sulle modalità di competizione tra gruppi per risorse scarse, come i posti di lavoro o le case popolari. Questa competizione può portare al conflitto e alla discriminazione di un gruppo da parte di un altro come mezzo per ottenere un vantaggio su di esso. In generale, la discriminazione spesso sembra aumentare nei periodi di crisi, quando la competizione per risorse scarse cresce. La split labor market theory afferma che i conflitti etnici e razziali emergono spesso quando due gruppi di etnia o razza differente competono per gli stessi posti di lavoro. I membri di un gruppo possono vedere in quelli di un altro una minaccia, specie nei momenti di difficoltà. Il capro espiatorio è un individuo o un gruppo falsamente accusato di aver creato una situazione negativa. Il multiculturalismo. Uno dei modelli emergenti che risponde alla sempre maggiore eterogeneità culturale e alla crescita delle identità multietniche e multirazziali è il multiculturalismo, ovvero il riconoscimento, la valorizzazione e la protezione delle distinte culture etnico-nazionale che formano una società. Anziché presumere che tutti adotteranno le idee e le pratiche della cultura dominate, attraverso il processo di assimilazione, le società multiculturale accettano, accolgono e possono perfino celebrare le differenze li lingua, religione, abiti ecc.. la natura stessa della società multiculturale porta un significativo numero di persone a crescere e vivere in più di una cultura. Le persone che vivono in una società multiculturale hanno la straordinaria opportunità di conoscere e apprezzare la splendida varietà della cultura. Movimenti migratori. Le migrazione sono antiche quanto l’umanità e tuttavia negli ultimi decenni, a seguito dei processi di globalizzazione. Fattori di attrazione ed espulsione Dal punto di vista analitico, possiamo distinguere due tipi diversi di fattori che generano i processi migratori. Il primo è costituito dai cosiddetti fattori di espulsione vale a dire l’insieme delle problematiche interne al paese d’origine che spingono le persone a migrare nella speranza di trovare migliori condizioni di vita. Il secondo insieme è rappresentato dai fattori di attrazione, tipici dei Paesi di destinazione, che riguardano in particolare maggiori possibilità di lavoro, maggiore liberta e benessere economico. La combinazione di tali fattori ha prodotto i seguenti modelli di regolamentazione dell’immigrazione: La diaspore. Un altro modello migratorio globale è rappresentato dalla diaspora, il fenomeno per cui una popolazione abbandona il proprio Paese d’origine disperdendosi in diversi Paesi stranieri, pur mantenendo la propria identità culturale e spesso, i legami con gli altri gruppi di emigrati. Cohen, individua quattro diverse categorie di diaspora, a seconda delle cause che la determinano: - Diaspore di vittima: generata da eventi particolarmente negativi - Diaspora imperiale: dispersione legata allo sviluppo di un impero e al conseguente trasferimento. - Diaspora di lavorato: trasferimento a causa della ricerca di nuove possibilità di lavoro - Diaspora di commercianti: la dispersione della popolazione è correlata alla creazione di reti commerciali internazionali. Capitolo 8. Genere e sessualità. Biologia e cultura: sesso e genere. Nella vita quotidiana, assistiamo a un uso indifferenziato dei termini “sesso” e “genere”, come se avessero lo stesso significato. I sociologi, tuttavia, distinguono le due dimensioni per mettere in luce la differenza tra biologia e cultura. Il sesso è la distinzione biologica tra femmine e maschi. Per contro, il genere designa le aspettative culturali socialmente costruite che si associano alle donne e agli uomini. La lOMoARcPSD|11710355 biologia ci rende maschi o femmine; la cultura ci insegna a essere uomini o donne. Le distinzioni tra sesso e genere non sono sempre nette, e vi è un dibattito fra gli studiosi riguardo l’influenza delle differenze sessuali biologiche sul comportamento sociale. Tuttavia, gran parte di ciò che la nostra cultura associa alle differenze tra i sessi deriva i realtà da differenze di genere, socialmente prodotte. Sesso e biologia. Il sesso di una persona si determina al concepimento. I caratteri sessuali primari, cioè i genitali e gli organi riproduttivi, sono differenze sessuali coinvolte direttamente nella riproduzione. I caratteri sessuali secondari, inclusi i fianchi larghi e lo sviluppo del seno nelle femmine, oppure la massa muscolare nei maschi, non sono coinvolti direttamente nella riproduzione. Le differenze sessuali possono essere raggruppate, grosso modo, in categorie: differenze assolute e differenze relative. Le differenze sessuali assolute includono quelle che hanno a che fare con la riproduzione: solo le donne hanno le mestruazioni. Quelle relative per esempio, sia gli uomini e sia le donne possiedono gli stessi ormoni, ma in misura diversa. Quasi tutti gli individui sono biologicamente del tutto maschi o del tutto femmine. Tuttavia, alcune persone sono intersessuali, individui nati con un’anatomia riproduttiva o sessuale mista. I limiti della biologia. Effettivamente esistono differenze nell’architettura dei cervelli maschili e dei cervelli femminili, e negli anni a venire quasi certamente scopriremo di più su tali differenze e sui diversi meccanismi di utilizzo del cervello da parte degli uomini e delle donne. Il cervello umano, tuttavia ha una capacità straordinaria di ristrutturarsi e riorganizzarsi in risposta alle esperienze sociali e all’apprendimento. Le aspettative sul genere creano esperienze sociali diverse per gli uomini e per le donne fin dal momento della nascita. Se vogliamo capire la vita sociale delle donne e degli uomini, dobbiamo guardare al di là della biologia, occupandoci invece del genere come costrutto sociale. Il genere come costrutto sociale. Quasi tutte le differenze che associano agli uomini e alle donne sono prodotte culturalmente e non hanno una base biologica. Fin dall’infanzia ci insegnano quelle che sono le aspettative della nostra cultura riguardo al genere, cosicché arriviamo a vedere il mondo con categorie che diamo quasi sempre per scontate. Se guardiamo a come si modificano i concetti di genere nel tempo e da una cultura all’altra, possiamo cogliere una fortissima influenza esercitata dalla cultura Identità di genere e persone transgender. Il genere è un costrutto sociale che si forma nella cultura ma viene a far parte del Sé di una persona. L’identità di genere è l’identificazione di una persona in una donna, in un uomo o in una combinazione dei due. L’identità di genere è prevalentemente appresa; rimane da stabilire, tuttavia se, e in che misura, la biologia potrebbe influenzarne lo sviluppo. È questo un altro esempio che conferma la concorrenza della biologia e della cultura nello sviluppo umano, anche se resta molto lavoro da fare per specificare i termini di questa relazione. Tuttavia, esiste un ampio consenso tra gli studiosi sul fatto che la biologia non determina l’identità di genere. L’espressività di genere è la comunicazione dell’identità di genere di una persona agli altri, tramite il comportamento, l’abbigliamento, l’acconciatura e altri mezzi. Poiché il genere non coincide con il sesso, l’identità e l’espressione di genere non coincidono necessariamente con il dato biologico. La differenziazione tra sesso e genere è fondamentale per l’idea di identità transgender. Le persone transgender sono individui che si identificano con un genere diverso da quello associato al loro sesso. Alcuni transgender dicono di sentirsi intrappolati in un corpo dell’altro sesso. La condizione di transgender non è necessariamente collegata all’orientamento sessuale e non coincidono nemmeno con il travestitismo, che spinge la persona di un sesso ad indossare abiti tipici dell’altro. Alcuni transgender diventano transessuali, persone che si sottopongono a interventi di ricostruzione degli organi sessuali per modificare il proprio aspetto fisico. Questi interventi modificano i genitali e si accompagnano quasi sempre a trattamenti ormonali che favoriscono lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari, come i seni per le donne e la barba per gli uomini. Essendo lOMoARcPSD|11710355 Il sesso e l’origine del patriarcato. Il patriarcato è un sistema sociale dominato dagli uomini. In una società patriarcale gli uomini occupano quasi tutte le posizioni di potere politico ed economico e beneficiano di aspettative culturali che limitano il ruolo e l’influenza delle donne. Le società patriarcali esistono in tutto il mondo, da sempre. Per contro, è possibile individuare esempi, anche se sporadici, di matriarcato, un sistema sociale dominato dalle donne. Esiste tuttavia una differenza fondamentale tra patriarcato e matriarcato: quest’ultimo non è una forma di dominio, di sopraffazione del femminile sul maschile, ma va inteso come matri archè cioè “origine dalle madri”, una società fondata sulla collaborazione e l’equilibrio tra i generi, in cui le decisioni sono prese utilizzando il metodo del consenso e vivendo nel rispetto della natura e delle risorse che essa ci mette a disposizione. La cultura prevale sulla biologia. La cultura può fare molto per spiegare le origini del patriarcato. Tuttavia, la capacità degli esseri umani di modificare l’ambiente sociale si è accelerata esponenzialmente in un paio di secoli, facendo venir meno la significatività delle differenze tra i sessi. Per effetto delle innovazioni cultuali, le differenze biologiche tra uomini e donne sono diventate meno significative. Lavoro e livelli di istruzione. Il differenziale retributivo di genere è un indice che misura la differenza retributiva tra gli uomini e le donne in un determinato mercato del lavoro. Secondo alcune stime, fattori diversi dalla discriminazione lavorativa diretta sono responsabili di almeno tre quarti di tale divario retributivo. L’adozione di un approccio sociologico esauriente nei confronti di questo problema può aiutarci a capire i tanti fattori diversi che contribuiscono a questa diseguaglianza, tra cui il ruolo dell’istruzione. Istruzione, lauree e occupazioni. In passato gli uomini hanno sempre superato le donne quanto a livello di istruzione, anche perché molte università rifiutavano l’iscrizione alle studentesse. Anche se oggi gli uomini e le donne hanno più o meno lo stesso accesso al’educazione, i campo di studio che scelgono per laurearsi e le professioni probabilmente la socializzazione iniziale. Queste differenze tra le scelte universitarie delle donne e degli uomini contribuiscono, parzialmente, al divario retribuito. Anche in settori che non richiedono una laurea, le donne tendono a essere sovra- rappresentate in attività commerciali e di servizio tendenzialmente sottopagate. Partecipazione alla forza lavoro. Gli uomini e le donne, hanno diversi approcci al lavoro, il che contribuisce al divario retribuitivo. Tali approcci riflettono il perdurare delle norme di genere che assegnano alle donne la responsabilità primaria di allevare i figli. Quasi una madre lavoratrice su quattro lascia definitivamente il lavoro. Le donne che tornano al lavoro dopo la maternità hanno perso esperienza e anzianità lavorativa rispetto ai loro colleghi uomini, il che rappresenta una delle ragioni per cui le donne che non hanno figli guadagnano più di quelle che ne hanno. Le coppie sono più disposte a trasferirsi per la carriera dell’uomo, quasi sempre a detrimento di quello delle donne. Anche per queste differenze di partecipazione alla forza lavoro, il gap retribuitivo tra uomini e donne cresce con l’età. La discriminazione e il soffitto di cristallo. Anche se fattori esterni all’ambiente di lavoro contribuiscono in misura considerevole al divario retribuitivo, la discriminazione nei luoghi di lavoro è un dato di fatto per molte donne. Un risultato di questa discriminazione è il cosiddetto soffitto di cristallo, la barriera spesso indivisibile creata dal sessismo individuale e istituzionale che impedisce a donne qualificate di raggiungere livelli elevati nella struttura manageriale. Gli uomini occupano posizioni direttive in misura maggiore delle donne, ma gli studiosi di scienze sociali non hanno ancora raggiunto un accordo su quanto sia sistematico questo gap e se riguardi per lo più i livelli più alti del management o l’intera struttura manageriale. A ogni modo, ai livelli più elevati, la relativa assenza di donne è stupefacente. Il pregiudizio di genere si determina spesso a livello inconscio influenza la valutazione reciproca del lavoro altrui, contribuendo alla discriminazione. lOMoARcPSD|11710355 Negli ambienti professionali, colleghi e capi sono più propensi a considerare, in generale,gli uomini competenti e logici, e le donne inaffidabili ed emotive, con il tempo, queste percezioni distorte influenzano il modo in cui valutano i propri colleghi di lavoro. Le norme culturali promuovono la discriminazione nell’ambiente di lavoro anche dissuadendo le donne dall’avere più successo dei propri mariti o del focalizzarsi sulla carriera anziché sulla famiglia. Il mancato incoraggiamento, accompagnato dalla percezioni negative, può intaccare l’autostima delle donne e limitarne le ambizioni. Queste differenze di ambizione o di competitività vengono poi lette impropriamente come innate, anziché culturalmente costruite. La difficile conciliazione tra tempo di vita e tempi di lavoro. La vita delle donne e degli uomini si è modificata in modo significativo e al giorno d’oggi lavorano fuori casa più donne che in passato. Per indicare le conseguenze di questi cambiamenti, Laura Baldo coniò l’espressione “doppia presenza”, al fine di indicare la duplice responsabilità che grava sulle donne nelle società contemporanee: verso la famiglia e verso il lavoro. In uno studio rilevano che, benché il numero di donne che lavoravano a tempo pieno fuori casa fosse in continuo aumento, al loro ritorno esse continuavano a fare un secondo turno, dovendo far fronte alla responsabilità primaria della casa e dei figli. Nelle famiglie in cui entravano due stipendi, le coppie eterosessuali continuavano a vedere il ruolo del marito la fonte principale di reddito e in quello della donna una fonte integrativa: mentre gli uomini potevano dare una mano in casa, le donne lavorano fuori casa per dare una mano con i conti. Ricerche più recenti dimostrano che le donne hanno dimezzato il numero delle ore dedicate alla casa, mentre gli uomini lo hanno raddoppiato. A prima vista, il modo in cui un coppia si divede le incombenze domestiche sembrerebbe una questione di scelta individuale. Tuttavia, nel suo studio Futwa ha scoperto che il livello delle disuguaglianze di genere in una società tende a influenzare il modo in cui le coppie negoziano proprio sulla suddivisione di tali incombenze. Lo studio suggerisce che la disuguaglianza di genere debba essere affrontata a livello macrosociologico prima che i cambiamenti possano essere applicati a livello microsociologico. La violenza sulle donne. Come in altre relazioni che coinvolgono il potere, la violenza sulle donne è al tempo stesso una conseguenza e una causa delle disuguaglianze. Gli uomini perpetrano questa violenza sia a livello individuale sia con modalità più organizzare e sistematiche. Violenza domestica e aggressione sessuale: per gran parte della storia, la violenza domestica sulle donne è stata largamente accettata. Fino a pochi decenni, fa, in Italia, il cosiddetto “delitto d’amore” era sanzionato con pene attenuate rispetto a un delitto analogo ma perpetrato con un movente differente. La violenza domestica può essere definita un comportamento violento che viene usato da una persona per acquisire o mantenere il potere e il controllo sul proprio partner, sessuale. Questo tipo di abuso può includere componenti fisiche, sessuali, psicologiche, emotive ed economiche. In altri termini, esso include qualunque comportamento che intimida, umilia, isola o ferisce qualcuno. Lo stupro si sovrappone alla violenza domestica perché alcune forme della prima comportano l’aggressione sessuale. La radice della violenza sulla donna sia la sua oggettivazione estrema da parte dell’uomo, che nel suo immaginario la concepisce come un oggetto di sua proprietà; la violenza, soprattutto in una cultura patriarcale, scatta nel momento in cui la donna si sottrae a tale rappresentazione Molestie sessuali sul lavoro: un’altra forma di discriminazione legata al genere è costituita dalle molestie sessuali, proposte sessuali non gradite, richieste di favori sessuali e molestie verbali di varia natura. Le molestie possono avvenire ovunque: sul lavoro, all’università o all’interno della comunità. Quasi tutte le molestie sessuali vengono commesse da uomini nei confronti delle donne, ma in teoria il molestatore e la vittima possono essere di entrambi i generi. Alcune forme di molestie coinvolgono l’abuso di potere. I casi più evidenti sono quelli di scambio, in cui si propone qualche beneficio, o la mancata applicazione di qualche sanzione, in cambio di favori sessuali. Questi casi costituiscono chiaramente un abuso di autorità, espressamente vietato dalla legge. Violenza di stato nei confronti delle donne: noi pensiamo quasi sempre alla violenza sulle donne in termini di crimini commessi da singoli individui, ma anche i governi sono impliciti in lOMoARcPSD|11710355 questo tipo di crimine. Alcuni governi ignorano deliberatamente l’aggressione sessuale, evitando di fare approvare o di applicare leggi che la vietino. Traffico di esseri umani e globalizzazione: un’altra forma di violenza organizzata contro le donne è il traffico di esseri umani, in cui una rete criminale reclutata, sequestra e trasporta persone, trattenendole contro la loro volontà, per sfruttarle sessualmente o come manodopera coattiva. Queste attività si sono intensificate da quando la globalizzazione ha reso più facile la mobilità internazionale di popolazioni sempre più ampie. Mutilazione dei genitali: mutilazione dei genitali femminili è un’espressione generica che sottende tutta una serie di procedure intense a rimuovere parzialmente o totalmente i genitali esterni delle donne. La forma più comune comporta l’esportazione della clitoride e delle piccole labbra, una procedura cheviene tradizionalmente eseguita senza anestesia a qualunque età, dall’infanzia all’adolescenza. Alcune culture usano questa pratica per incorraggiare la verginità sino al matrimonio e la fedeltà dopo di esso, altre la usano come rito di iniziazione per l’accesso alla comunità delle donne adulte. Benché da sempre faccia parte della tradizione culturale e religiosa, molti sostenitori dei diritti umani considerano la mutilazione dei genitali una forma di violenza organizzata contro le donne, e alcune donne di quelle stesse culture che la accettano e la promuovono si sono organizzate per mettere fine a questa pratica. Sessualità. La parola sessualità designa i desideri, i comportamenti e l’identità sessuale di una persona. Come il genere, anche la sessualità ha a che fare con delle caratteristiche sessuali di origine biologica, ma è anche un costrutto sociale: la sessualità va ben oltre la riproduzione biologica. In quanto comportamento sociale, essa è fortemente influenzata da norme e aspettative che variano da una cultura all’altra e che si modificano nel tempo. Biologia, cultura e sessualità. Esistono due approcci fondamentali alla sessualità umana. Da una parte, possiamo considerare gli essere umani come animali super voluti, per i quali il sesso è semplicemente un’attività biologica naturale necessaria alla riproduzione. Gli ormoni contribuiscono ad attivare una pulsione sessuale che consente agli esseri umani di riprodursi con successo. Alcuni chiamano in causa la natura per emettere giudizi su quella che sarebbe un’attività sessuale normale, e taluni condannano l’omosessualità, che sarebbe innaturale perche non può portare al concepimento. Anche in natura, il sesso include una vasta gamma di pratiche finalizzate a scopi differenti. Dall’altra parte, il comportamento umano è il prodotto della cultura, oltre che della biologia, e in questo senso la sessualità umana non è tanto naturale, quanto piuttosto un insieme di pratiche socialmente regolate che variano da una cultura all’altra nel tempo. Le credenze religiose sono sempre state un mezzo per comunicare le norme culturali in materia. Le culture hanno sempre delle norme e delle aspettative riguardo alla sessualità. Culture diverse rispondono in modo differente, ma tutte hanno una qualche forma di tabù dell’incesto, una norma che vieta relazioni sessuali tra determinati parenti. La sessualità come costrutto sociale. Il sesso riflette le norme collettive di una cultura. Quando, con quale frequenza, dove e con chi gli esseri umani praticano il sesso dipende in gran parte dalla cultura a cui appartengono. Nonostante le varianti del comportamento sessuale, gli esseri umani riescono comunque a riprodursi, a esprimere amore, a formare dei solidi vincoli sociali, a provare piacere o semplicemente a divertirsi. Identità sessuale. La teoria queer afferma che, durante la vita di una persona, le identità sessuali sono socialmente costruite, quindi si evolvono e possono essere modificate. L’identità sessuale designa il nostro Sé in relazione al tipo di attrazione sessuale che proviamo nei confronti degli altri. Nella nostra società, la popolazione può essere ripartita in quattro gruppi principali per quanto riguarda l’orientamento sessuale: - Gli eterosessuali, sono attratti da persone dell’altro sesso - Gli omosessuali, sono attratti da persone dello stesso sesso lOMoARcPSD|11710355 pubbliche e politiche. Nell’ultimo mezzo secolo, l’attivismo sociale ha sensibilizzato sempre più l’opinione pubblica sui problemi degli LGBT. È emerso un movimento eterogeneo per i diritti dei gay, che si è fatto carico di una grande varietà di obiettivi: combattere gli atteggiamenti persecutori, supportare i teenager che subiscono atti di bullismo ecc. Capitolo 9. Le famiglie e i processi di socializzazione. La famiglia come istituzione sociale I sociologi definiscono la famiglia come due o più individui, uniti dalla nascita o da un vincolo sociale, che condividono risorse, si prendono cura delle persone a loro carico e mantengono spesso forti legami emotivi. La famiglia è un’istituzione sociale fondamentale. Le relazioni a base biologica hanno un ruolo nella costruzione dei legami familiari, ma anche vincoli sociali come l’adozione e il matrimonio, possono creare una parentela, ovvero vincoli familiari. A ben guardare, il significato della famiglia è definito culturalmente. Le famiglie variano enormemente proprio perché sono costruzioni sociali, e riflettono le norme e le credenze di culture diverse in momenti storici diversi. Come avviene in tutte le istituzioni sociali, sono le azioni degli individui a preservare o modificare le strutture familiari. Infine, la famiglia viene influenzata da forze sociali di più vasta portata, alcune delle quali contribuiscono a creare differenze di potere che perpetuano le disuguaglianze sociali. L’amore è spesso alla base del matrimonio e della vita familiare, ma in alcuni matrimoni e in alcune famiglie la relazione sono oltremodo formali, prive di un’intenzione amorosa e intima. La famiglia nella prospettiva funzionalista. Il funzionalismo è stata una delle prime prospettive teoriche a occuparsi delle famiglia in sociologia. Secondo questo approccio, la famiglia deve contribuire a mantenere l’integrazione della società. Secondo Parsons, per potere assolvere a questa funzione, una famiglia doveva avere una determinata struttura interna, in cui si distinguesse un ruolo strumentale riservato al marito e un espressivo attribuito alla moglie. Partendo da questa prospettiva, i sociologi che si rifanno alla tradizione funzionalista hanno messo in luce diverse altre funzioni positive della famiglia. - Stabilità sociale: le famiglie creano dei legami di parentela. A livello microsociologico, queste relazioni creano un vincolo sociale tra gli individui e i loro parenti, a livello macrosociologico, i legami di parentela possono creare reti sociali intricate, che includono la famiglia allargata e più generazioni. - Aiuto materiale: i membri delle famiglie si aiutano reciprocamente, condividendo risorse materiali e sforzi - Discendenza e successione ereditaria: il termine discendenza fa riferimento al vincolo parentale che si trasmette di generazioni, mentre la successione ereditaria, definisce le regole sulla riallocazione della proprietà all’interno di una famiglia dopo il decesso di uno dei suoi membri. - Cura e socializzazione delle persone a carico: le famiglie si prendono spesso cura di varie persone a carico, soprattutto bambini e anziani. - Regolamentazione sessuale: tipicamente, le norme culturali indicano quali relazioni sessuali sono socialmente accettate. - Conforto psicologico: oltre a svolgere funzioni pratiche, la famiglia moderna dovrebbe anche essere una fonte di conforto psicologico e di intensi vincoli emotivi A partire dalla fine degli anni ’60, questi assunti della teoria funzionalistaca sono stati messi in discussione, soprattutto dalla prospettiva neo-femministe. Queste ultime rinnovarono in modo decisivo la sociologia della famiglia, andando ad analizzare le trasformazioni che si stavano delineando nel tessuto familiare di quegli anni e che ancor oggi influenzano i nostri modelli familiari. Varianti della famiglia e del matrimonio. Le famiglie possono assumere molte forme diverse, non necessariamente riconducibili al lOMoARcPSD|11710355 matrimonio e al modello nucleare borghese 1. Reti familiari. Le famiglie variano per dimensione e per composizione. La famiglia nucleare è coposta da genitori e dai loro figli. La famiglia estesa è composta dalla famiglia nucleare più altri parenti, come i nonni. Le famiglie allargate o ricostruite cioè quelle nelle quali uno degli adulti ha figli nati da una precedente relazione. 1. Matrimonio e convivenza. La natura del vincolo sociale varia da una famiglia nucleare all’altra. Il matrimonio è una relazione sociale che crea legami familiari, comporta intimità sessuale e viene formalizzata da un contratto giuridico e o da una cerimonia religiosa. La convivenza è una relazione sociale che può creare dei legami familiari e comporta intimità sessuale, in cui due persone vivono insieme come partner non sposati. 2. Eleggibilità matrimoniale: le culture variano anche in funzione del modo in cui selezionano persone idonee al matrimonio. Alcune impongono l’endogamia, ossia la limitazione del matrimonio, per legge o per costume, a persone della stessa categoria sociale. In altri casi, le culture consentono o impongono l’esogamia, il matrimonio tra persone di diverse categorie sociali. 1. Matrimoni combinati: in alcune culture, l’amore romantico è alla base del matrimonio e le persone scelgono liberamente i propri compagni di vita. In pratica, in quasi tutti i matrimoni combinati si ha un’interferenza da parte dei genitori e considerazioni di natura pratica predominano sui sentimenti, che vengono messi in secondo piano. 2. Forme di matrimonio: la monogamia è la pratica che restringe le relazioni sessuali a un solo partner. In quasi tutti i matrimoni e in quasi tutte le relazioni a lungo termine, la monogamia è la regola e la violazione di questa norma può mettere fine all’unione. Alcune culture permettono invece la poligamia, un sistema matrimoniale che permette a una persona di avere più coniugi. La forma più comune di poligamia è la poliginia, il matrimonio di un uomo con più mogli; la poliandria, il matrimonio di una donna con più uomini, è meno comune. 3. Identità di genere: le famiglie variano anche nella misura in cui sono organizzate in relazione al genere. In alcune culture, i ruoli delle donne e degli uomini si sovrappongono: le donne lavorano spesso fuori casa e gli uomini hanno un ruolo significativo nell’allevamento dei figli e nella cultura della casa. In altre culture, invece, le distinzioni di genere all’interno della famiglia sono relativamente rigide. Regole di genere ancora più severe impediscono spesso alle donne di lavorare fuori casa e assegnano loro la responsabilità esclusiva del crescere i figli e prendersi cura della casa, mentre gli uomini assumono un ruolo dominante fori dalle mura domestiche e devono soddisfare le esigenze finanziare della famiglia. Trend globali nella vita familiare. Nonostante l’eterogeneità delle strutture familiari esistenti, è possibile identificare alcune macrotendenze, benché esse non siano assolutamente universali né uniforme nelle loro dinamiche. 1. Le famiglie diventano sempre più piccole 2. Le famiglie estese sono meno comuni 3. La libera scelta del partner è sempre più diffusa 4. Le donne si sposano più tardi 5. Le persone restano sposate meno anni 6. Più donne entrano a far parte della forza lavoro 7. Le famiglie includono sempre più spesso gli anziani 8. Uomini e donne omosessuali vivono oggi stabili rapporti di coppia La socializzazione. La socializzazione è il processo mediante il quale le persone vengono a conoscere le norme basilari, i valori, le credenze e i comportamenti appropriati nella loro cultura. Generalmente, si distingue un processo di socializzazione primaria da uno di socializzazione secondaria. La socializzazione primaria è la prima socializzazione che un individuo intraprende nell’infanzia, attraverso la quale diventa un membro della società in quanto tale. Socializzazione secondaria lOMoARcPSD|11710355 è ogni processo successivo che introduce un individuo già socializzato in nuovi settori del mondo oggettivo della sua società. Grazie a un forte attaccamento emotivo verso coloro che si prendono cura di lui, nella socializzazione primaria il bambino apprende la “grammatica fondamentale” della società, le norme e i valori importanti all’interno della sua cultura, acquisendo un senso di sicurezza esistenziale. La socializzazione secondaria, invece, è legata a specifici sottomondi istituzionalizzati, connessi alla complessità della divisione del lavoro sociale, e si lega all’acquisizione delle conoscenze necessarie allo svolgimento di un determinato ruolo. Essa si innesta sempre su un precedente processo di socializzazione primaria più profondo che contribuisce in modo determinate a formare la personalità dell’individuo, laddove la socializzazione secondaria implica un minore impatto emotivo sulla persona. In più, la socializzazione primaria non avviene mai nel vuoto sociale: le sue modalità e i suoi contenuti sono profondamente influenzati dalla classe sociale e dalla struttura della famiglia di origine. Da questo punto di vista, come afferma Bordieu, la socializzazione trasmette sempre un habitus sociale, cioè un sistema di disposizioni, di gusti e di atteggiamenti che riproducono le disuguaglianze presenti nella società. I vettori fondamenti di entrambi i tipi di socializzazione, primarie e secondaria, sono l’interiorizzazione e l’apprendimento: due processi tramite i quali un individuo incorpora in sé i contenuti della socializzazione, tanto da renderli una parte data per scontata del proprio mondo e della propria personalità. Protraendosi per tutta la vita, il processo di socializzazione ricorre in differenti contesti sociali ed è guidato da una pluralità di agenti di socializzazione, le persone e i gruppi che ci trasmettono la nostra cultura. Per i bambini il primo e più importante agente di socializzazione è la famiglia, ma quando crescono, altri agenti di socializzazione assumono ruoli di importanza crescente, e tra questi la scuola, i media, i gruppi di pari, il luogo di lavoro, la religione e le istituzioni totali La famiglia. Le famiglie hanno un ruolo cruciale nel primo sviluppo del senso d’identità di un bambino. All’interno di una stessa società, i metodi educativi possono variare in base alla cultura, in modi che riproducono la struttura sociale. Le ricerche transnazionali suggeriscono che le differenze culturali possono portare a stili genitoriali diversi. Scuola. Per molti bambini, la prima esperienza prolungata di contatto con il mondo sociale esterno ha luogo nell’asilo nido o nella scuola per l’infanzia. In questi ambienti essi imparano a interagire con gli altri e a far parte di un gruppo. Oltre al curriculum accademico formale, le scuole trasmettono anche un curriculum nascosto ovvero lezioni implicite sul comportamento corretto. Queste lezioni varino in funzione della scuola, e spesso cambiano con l’avanzare dei ragazzi negli studi. I media. I bambini e gli adolescenti di oggi sono stati definiti “generazione M” a causa del loro massiccio uso dei media. Il ruolo dei media nella vita di molti giovani è divenuto sempre più significativo, soprattutto nei paesi industrializzati. Per gran parte della storia dell’uomo, i bambini apprendevano morale e valori dai miti e da altre storie ascoltate in famiglia, oggi, nelle nazioni sviluppate, queste lezioni provengono da media commerciarli, il cui primo interesse è vendere prodotti e socializzare i giovani in modo tale che diventino avidi consumatori. I media hanno pesantemente alterato la socializzazione dei bambini anche in altro modo. Grazie alla televisione, in particolare, per la prima volta i bambini hanno avuto accesso a un mondo di idee e di situazioni tipiche degli adulti, anche se non sono in grado di leggere la realtà allo stesso modo di un adulto. Una serie di preoccupazione di molti genitori concerne i contenuti sessualmente espliciti e graficamente violenti di alcuni media Gruppo dei pari. Si definisce gruppo dei pari, un gruppo di persone in genere di età simili, che condividono status sociali e interessi. I gruppi dei pari possono influenzare lo sviluppo e il comportamento degli individui in modo significativo. Il gruppo dei pari da l’opportunità ai giovani di sperimentare valori, credenze e comportamenti diversi da quelli dei loro genitori. Esistono diversi tipi di gruppi dei pari. Alcuni sono informali, come un gruppo di amici che scegli di lOMoARcPSD|11710355 concordano sul punti in cui tracciare la linea di demarcazione. Gli effetti negativi dell’essere definiti devianti possono avere una lunga durata e risultare persino devastanti. Devianza e contesto sociale Come ha mostrato Durkheim affinché si possa assumere una prospettiva sociologica sulla devianza è necessario andare oltre i singoli comportamenti, concentrandosi sul loro rapporto con le norme sociali. Durkheim affermava che il crimine non poteva essere definito soltanto in relazione alle norme sociali che esso viola. Come spiegò lo studioso, spesso ci inganniamo sul rapporto fra crimine e norme sociali. Un’azione non ci offende in quanto crimine, ma definiamo criminale un atto perché offende le norme sociali di base, che contribuiscono a quella che Durkheim definiva la coscienza collettiva, le norme, le credenze e valori condivisi di una comunità. Cosa considerare normale o deviante varia nel corso del tempo e da una cultura all’altra, e spesso accade che la definizione di normale si modifichi in risposta a un cambiamento sociale. Quando parliamo di devianza dobbiamo sempre tenere presente il contesto sociale in cui essa si sviluppa. Teoria dell’etichettamento: definire il comportamento deviante Alcuni atti devianti provocano una condanna diffusa, a volte persino universale. Per altri tipi di azioni, il confine fra normale e deviante spesso dipende dallo specifico contesto sociale. Un comportamento viene definito deviante quando è pubblicamente qualificato come tale da coloro che hanno il potere di consolidare tale etichetta. Quest’idea è il fulcro della teoria dell’etichettamento, secondo la quale la devianza è il risultato di come gli altri interpretano un comportamento, e gli individui etichettati come devianti spesso interiorizzano questo giudizio come parte della propria identità. Il sociologo Erickson spiega che la devianza non è una caratteristiche innata di un qualsiasi tipo di comportamento, è una proprietà assegnata a un comportamento dalle persone che vengono a contatto diretto o indiretto con esso, perche lo considerano tanto pericoloso o imbarazzante da richiedere particolari sanzioni. In questa prospettiva, il comportamento è deviante solo se viene etichettato come tale. Essere considerati devianti: gli effetti dell’etichettamento. È probabile che chi viene etichettato come deviante debba affrontare conseguenze negative e abbia opzioni limitate nella vita. L’etichettamento, può avere conseguenze meno drammatiche. Chi viene etichettato come deviante deve affrontare lo stigma sociale, o la vergogna, associato a quell’etichetta. Lo stigma sociale si riferisce alla vergogna associata a un comportamento o a uno status considerati socialmente inaccettabili o screditanti, può essere motivo di disuguaglianza, perhcè spesso chi viene stigmatizzato subisce un isolamento o una discriminazione che possono ridurre la sua reputazione sociale, economica o politica. La minaccia della stigmatizzazione può costruire una forte forma di controllo sociale. Etichettare una persona come deviante potrebbe farla cadere nella cosiddetta devianza secondaria, un comportamento deviante adottato in risposta alle conseguenze negative dell’etichettamento. In altre parole, l’etichettamento crea una sorta di profezia che si auto avvera. Il ruolo della devianza nelle strutture sociali Durkheim fece rilevare che il comportamento deviante è una caratteristicha di tutte le società. Egli, andò oltre, affermando che la devianza può essere funzionale, avere un ruolo sociale positivo e rafforzare le strutture sociali. Ciò avviene in tre modi: - La devianza aiuta a definire i confini del gruppo - La devianza aiuta a creare solidarietà sociale - La devianza è fonte di innovazione Definire i confini del gruppo Il comportamento deviante aiuta a chiarire i limiti di un comportamento accettabile all’interno di una determinata società. Proprio perché la linea che divide il comportamento deviante da quello non deviante è spesso sottile e difficile da definire, è la devianza a ricordarci continuamente come vivere nei limiti del normale. I confini fra normale e deviante, accettabile inaccettabile, spesso rimangono impliciti. Creare solidarietà sociale Oltre a definire i confini, la devianza aiuta a formar e una solidarietà di gruppo unendo fra loro lOMoARcPSD|11710355 le persone nel contrastare, o nel disapprovare, un nemico comune. Il comportamento deviante rafforza la conformità all’interno di una struttura sociale, oltre a rafforzare i legami fra coloro ch provano indignazione di fronte alle dimostrazioni di devianza. La minaccia della mancata conformità, in particolare quando le persone si mobilitano attivamente per sopprimere un comportamento anticonformista, è una fonte importante di legame sociale fra i conformisti. Il modo in cui le persone rispondo alla devianza può generare una solidarietà di gruppo. Fornire una fonte di innovazione Durkheim affermò che la devianza è una fonte di creatività e innovazione nella vita sociale. Egli, infatti, riteneva che le società avessero bisogno della devianza per essere sane, perché quelle totalmente conformiste sono repressive e limitano le possibilità dell’uomo. I devianti premono sui confini, e cosi facendo, possono facilitare a crescita e il cambiamento delle strutture sociali. Molte idee e comportamenti che oggi riteniamo scontati un tempo erano considerati devianti. La democrazia ne è un esempio. Spiegare la devianza La devianza è il prodotto del rapporto sociale fra coloro che sostengono i confini della normalità e coloro che li superano. Alcune spiegazioni si concentrano sulle cause individuali della devianza, sottolineando i difetti o debolezze di chi è considerato deviante. Queste interpretazioni descrivono la devianza in termini di immortalità o come sintomo di una malattia. Un approccio diverso enfatizza le dinamiche sociali che fanno da sfondo alla devianza, spiegandola come scelta razionale in risposta a una socializzazione inadeguata o erronea, oppure come il prodotto di uno sfasamento fra norme sociali e opportunità economiche. La devianza come immoralità La devianza viene a volte spiegata come la conseguenza di un’immoralità individuale. Il confine fra normale e deviante, visto sotto questa prospettiva, è più o meno analogo alla linea che divide il bene ed il male. Alcune religiosi fondamentaliste tendono a considerare il mondo in questi termini. Anche se questo approccio può avere una risonanza emotiva, non ci aiuta a scoprire la vera natura della devianza. Dal punto di vista sociologico, quindi, spiegare la devianza come conseguenza dell’immortalità ci aiuta ben poco a identificare le condizioni sociali che la provocano o a comprendere come le persone vi rispondano. La devianza come malattia: medicalizzazione Un secondo approccio basato sul comportamento individuale trova le fonti sulla devianza nella patologia, o malattia. In questa prospettiva, gli individui che hanno un comportamento deviante sono malati e soffrono di un disturbo psicologico o biologico. In questo caso il confine fra normalità e devianza coincide con quello che separa chi è in salute da chi è malato, la sanità mentale dalla pazzia. La designazione di un comportamento deviante come malattia che può essere curata da medici specializzati, viene definito dai sociologi medicalizzazione della devianza. In alcuni casi, specifici comportamenti devianti identificati in precedenza come immorali sono stati riclassificati come problemi medici. Un classico esempio è l’alcolismo. Trattare il comportamento deviante come un disturbo può modificare lo stigma sociale associato a esso. È più probabile che le persone con una devianza medicalizzata siano oggetto più di pietà che di disprezzo. Dall’altro canto, se tale devianza è identificata come esito di una malattia ereditaria, può ancora essere oggetto di uno stigma che durerà per tutta la vita. Esistono 5 stadi chiave nella medicalizzazione della devianza: 1. Primo stadio: un comportamento o un’attività vengono definiti devianti. 2. Secondo stadio: viene scoperta una concezione medica di questo comportamento deviante 3. Terzo stadio: interessi organizzati, di ricercatori e medici, incitano alla definizione medica del comportamento deviante 4. Quarto stadio: chi avanza rivendicazioni mediche si appella ai funzionari governati per legittimare la definizione medica della devianza 5. Quinto stadio: la definizione medica della devianza viene istutizionalizzata come parte del sistema di classificazione medico e legale A volte la medicalizzazione può essere fermata, o anche invertita, mediante un processo che i lOMoARcPSD|11710355 sociologi definiscono demedicalizzazione. L’esempio più evidente è l’omosessualità. La devianza come scelta razionale Altre spiegazioni della devianza superano il livello individuale per comprendere i fattori sociali. Secondo uno di questi approcci, la devianza deriva da un processo decisionale razionale: le persone sono inclini a comportamenti devianti nei casi in cui la devianza ha ricompense significative a fronte di costi limitati. Devianza e socializzazione: la teoria dell’associazione differenziale. Altri due approcci sociali spiegano la devianza in termini di socializzazione. Il primo di questi si focalizza sull’inadeguata socializzazione. In questa prospettiva, le persone impegnate in un comportamento deviante non sono riuscite a interiorizzate le norme sociale e, quindi, non sono adeguatamente regolate dalla struttura morale della società. La prima causa alla base di questa devianza è l’incapacità degli attori di base della socializzazione, come la famiglia e la scuola, di trasmettere i valori fondamentali. Un approccio alternativo che si concentra sulla socializzazione considera la devianza il risultato delle interazioni sociali. L’articolazione più celebre di questo approccio è forse la teoria dell’associazione differenziale di Sutherland, che suggerisce che la devianza è appresa attraverso l’interazione con altre persone coinvolte nel comportamento deviante. Le raccomandazioni dei genitori di stare attenti a chi frequentate sono un versione semplificata di questa spiegazione. Secondo tale prospettiva, le persone si socializzano in una subcultura deviante: accompagnandosi ad altri anticonformisti, imparano a essere devianti e a criticare le convenzioni sociali. E possono subire pressioni per comportarsi in modo deviante oppure per unirsi ad attività devianti. Quando il comportamento deviante diviene parte dell’identità collettiva di un gruppo, fra i suoi membri vengono a crearsi forti legami sociali. In questa prospettiva, il più efficace sistema di controllo dei gruppo sociali devianti è limitare l’interazione fra i membri del gruppo, interrompendo in tal modo i legami sociali che li portano a violare le norme. Subculture devianti: tutti noi dobbiamo affrontare una pressione sociale a conformarci. È probabile che la devianza a lungo termine richieda il sostegno sociale di una subcultura deviante, un gruppo che pretende da tutti i propri membri l’impegno a sostenere particolari credenze o comportamenti anticonformisti. Devianza individuale: non sempre la devianza è collegata a una subcultura. In alcuni casi, il comportamento deviante è fortemente individuale, e le relazioni tra coloro che ne hanno di simili sono scarse o addirittura nulle. I sociologi definiscono questo comportamento devianza individuale, ovvero attività devianti che un individuo compie senza il sostegno sociale di altri partecipanti. Uno studio condotto su chi compie atti di autolesionismo ha scoperto che questi individui hanno ben pochi contatti fra loro è raro che condividano informazioni sulle proprie attività autolesioniste, e in genere, cercano di nascondere le ferite auto inflitte. Devianza e struttura: la teoria della tensione di Merton Un’altra spiegazione sociale della devianza sottolinea come le contraddizioni sottostanti l’ambiente sociale o economico possano spingere le persone alla devianza. In questa prospettiva, la non-conformità è causata in primo luogo dalla disuguaglianza insita nella struttura sociale. Un accesso iniquo a denaro, potere, istruzione o divertimento porta alcuni a un comportamento deviante volto a perseguire questi beni sociali considerati preziosi. La forma più efficace di controllo sociale, è diminuire le disuguaglianze, indebolendo in tal modo le fondamenta strutturali della devianza. Merton suggerì che la devianza derivi dal conflitto fra le norme e gli obiettivi che dominano la società americana e i mezzi legittimi per raggiungere quegli obiettivi. L’approccio di Merton fu alla base della teoria della tensione, che mette in evidenza la tensione o la pressione sperimentata da coloro che non hanno i mezzi per raggiungere obiettivi culturalmente definiti e che sono quindi portati a seguire strade devianti nella loro ricerca del successo. Quando tutte le opportunità convenzionali sono bloccate, le persone escogitano diversi sistemi per sopperire alla disparità fra obiettivi e mezzi, e alcuni di questi possono portarle a un comportamento non-conformista. Un comune risposta deviante è quella che Merton definì “innovazione”, ovvero una via per il successo socialmente lOMoARcPSD|11710355 - Comunicazione monodirezionale: i mass media tradizionali non sono interattivi; generano una comunicazione monodirezionale, che non permettere un feedback diretto da parte del pubblico. - Distinzione tra produttori e fruitori: nel panorama dei mass media tradizionali, esiste una netta distinzione tra produttori e fruitori. I produttori di contenuti per i mass media sono generalmente aziende commerciali del settore, mentre i fruitori sono quasi sempre singoli spettatori o lettori. I nuovi media non hanno nulla a che vedere con quelli tradizionali. I media digitali possono essere immagazzinati in un computer sotto forma di codice binario, e possono essere distribuiti su vari canali mediatici. Il collegamento dei media digitali a internet è stato decisivo per lo sviluppo dei nuovi media. Nello stesso tempi, sulla rete è più difficile distinguere tra il singolo fruitore e il pubblico di massa; le persone usano internet per comunicare con i singoli destinatori (e-mail), con piccoli gruppi (siti di social) e con un numero illimitato di destinatori sconosciuti (siti web). Questo indebolimento dei confini tra comunicazione personale e comunicazione di massa ha favorito il generale abbandono, nel linguaggio quotidiano, dell’espressione “mass-media” per il più preciso e onnicomprensivo media. Il concetto di mittente noti e destinatari ignoti non è applicabile all’ambiente dei media digitali. Nell’era di internet, la comunicazione è potenzialmente interattiva, anziché monodireziale. Infine, i nuovi media mettono in discussione la distinzione tra produttori e audience. Oggi praticamente tutti possono creare dei media, specie nei Paesi più ricchi. Chiunque può costruire un sito web. Invece di essere un pubblico che si limita a ricevere dei media, oggi molti sono utilizzatori di media, nel senso che operano simultaneamente da produttori e consumatori di contenuti mediatici. Trend in atto e crescita dimensionale nel settore mediatico. Le organizzazioni formali che costituiscono l’industria dei media producono e mettono a disposizione la stragrande maggioranza dei prodotti mediatici. Oltre ad analizzare le relazioni interne alle imprese mediatiche, i sociologi studiano anche quelle che intercorrono tra di esse. Questa crescita dimensione è avvenuta soprattutto tramite l’integrazione di diverse compagnie. Nell’integrazione verticale, a un’azienda dei media fanno capo le diverse fasi di produzione e distribuzione di un singolo prodotto; per esempio, nel settore librario, un’azienda potrebbe possedere le cartiere, le stamperie. L’integrazione orizzontale, invece, si ha quando un’azienda possiede diverse forme di media, per esempio possedere reti televisione, stazioni radiofoniche e quotidiani. Concentrazione della proprietà. Con la sempre maggiore integrazione dei media, anche la loro proprietà viene a concentrarsi sempre di più. La concentrazione della proprietà dei media si verifica quando più attività mediatiche vengono possedute da un numero sempre minore di grandi imprese del settore. Le grandi aziende mediatiche possono acquisire un grandissimo potere politico. I proprietari dei media possono promuovere una determinata agenda politica o candidarsi a cariche pubbliche attraverso la propria impresa. Silvio Berlusconi ha sfruttato la propria potenza mediatica per diventare quattro volte Presidente del Consiglio. Globalizzazione delle aziende mediatiche. In varia misura, le grandi aziende mediatiche sono diventate entità globali, che commercializzano i propri prodotti in tutto il mondo. Un singolo conglomerato mediatico può avere una vasta gamma di sbocchi commerciali che investono l’intero pianeta. I contenuti mediatici. I contenuti mediatici sono così complessi che i sociologi utilizzano diversi approcci per comprenderne gli sviluppi come i seguenti: - Comparare i contenuti tra due o più tipi di media - Comparare le descrizioni della realtà sociale offerte dai diversi media - Esaminare il contenuto dei media come espressione di valori culturali e credenze più generali - Valutare la qualità e la performance dei media in base a determinati criteri - Esaminare gli effetti potenziali del contenuto dei media sui relativi pubblici lOMoARcPSD|11710355 - Studiare il contenuto dei media come fosse un testo avente una struttura, una grammatica e una sintassi proprie. Poiché i media hanno un ruolo importante nella socializzazione, i sociologi cercano di capire il rapporto esistente tra il contenuto dei media e la realtà sociale. Immagini di classe: nella rappresentazione dei media, la società americana è più ricca di quanto non sia effettivamente nella vita reale. Lo studio più completo della rappresentazione di classe nell’intrattenimento televisivo rimane l’esauriente analisi si Butsch su più di 300 sit-com andate in onda. I mezzi d’informazione orientano i propri servizi sul pubblico delle classi medio e alta, offrendo ampi notiziari economici e finanziari, prevalentemente rivolti a investitori e manager. Altri “servizi di informazione” si concentrano sui detentori di potere. Classe, pubblicità e contenuto dei media: il contenuto dei media è legato agli aspetti economici del processo mediatico. La maggior parte delle aziende mediatiche opera in un mercato dualista, dove un’azienda vende due tipi completamente diversi di “prodotti” a due categorie di acquirenti completamente differenti: i consumatori, che acquistano prodotti mediatici come libri, servizi via cavo, e gli inserzionisti pubblicitari, che acquistano spazi commerciali sulla rete, sui giornali, alla radio e alla televisione. Quasi tutte le aziende dei media cercano di fare audiance per riuscire a vendere pubblicità. I mercati dualisti sono importanti perché il modo in cui sono strutturati stabilisce chi ha il potere di influenzare il contenuto dei media. Il contenuto dei media riflette anche le diverse disuguaglianze presenti nel nostro sistema sociale. Gli studi effettuati sulla rappresentazione mediatica delle etnie e nazionalità, del genere e orientamento sessuale hanno riscontrato un gran numero di stereotipi, ma hanno anche dimostrato che le immagini dei vari gruppo migliorano man mano che questi acquisiscono potere all’interno della società. Per esempio, per decenni le minoranze razziai sono state escluse dai media principali con il ridimensionamento della discriminazione razziale e sono diventate molto più presenti nei contenuti mediatici. Pubblici attivi: un pubblico attivo sceglie come usare i media e ne interpreta attivamente il contenuto. Tuttavia, il modo in cui i pubblici usano e interpretano i media varia in funzione della loro condizione sociale e delle loro caratteristiche socio-demografiche. I pubblici dei media sono attivi anche quando mettono in atto varie forme di partecipazione, come intervenire al telefono nelle trasmissioni radiofoniche e votare per un concorrente in uno dei tanti reality. Effetti sociali dei media: a partire degli anni ’40, diversi studi hanno enfatizzato la capacità di influenzare dei media. Una teoria, denominata “dell’ago ipodermico”, affermava che i mass media fossero in grado di inoculare idee nell’opinione pubblica. La teoria della società di massa affermava che nella società moderna si è avuto un declino dei vincoli sociali tradizionali, come la famiglia, che ha lasciato i pubblici esposti all’influenza dei mass-media. Studi successivi, tuttavia hanno recepito il fenomeno dei pubblici attivi, producendo così una visione più articolata di quelli che sono gli effetti dei media. Per esempio, la teoria dell’agenda-setting afferma che i media potrebbero non essere in grado di dire alle persone cosa devono pensare, ma possono influenzare significativamente ciò a cui pensano. Ciò avviene enfatizzando vari argomenti. Questo effetto è particolarmente evidente per i mezzi di informazione. Attraverso un’esposizione costante, i media possono influenzare la nostra visione della realtà. La teoria della coltivazione afferma che, grazie a una loro esposizione ripetuta e prolungata, le persone arrivano a prendere per buone molte delle rappresentazioni del mondo offerte dai media. La crescita esplosiva dei media. I media sono ormai totalmente integrati in quasi tutte le ore di veglia della nostra vita quotidiana. Nell’era contemporanea, nessun altro cambiamento ha avuto una portata e un’influenza paragonabile alla loro crescita esplosiva. Crescita e saturazione dei media. La saturazione dei media ha modificato non solo ciò che vediamo e che ascoltiamo, ma anche come interagiamo con il nostro mondo. Il nostro rapporto con la realtà è sempre più filtrato dai media. Il modo in cui usiamo i media varia a seconda del contesto sociale. Le persone usano lOMoARcPSD|11710355 spesso più media contemporaneamente. La tumultuosa crescita dei media registrata in questi ultimi anni è dovuta in parte all’evoluzione della tecnologia, che ha reso possibile la convergenza di media differenti e ha facilitato l’ascesa dei dispositivi mobili. Convergenza dei media. In passato, i diversi media sono sempre stati divisi da confini netti, e alcuni continuano ancora oggi a mantenere delle caratteristiche distintive, per esempio i quotidiani non hanno suono. Tuttavia, uno degli sviluppi più significativi degli ultimi anni è costituito dalla convergenza mediatica, ossia dalla fusione di media diversi. La tecnologia digitale ha accelerato tale convergenza. I diversi tipi di media possono anche avere più contenuti. Internet può servire per la comunicazione personale o per la comunicazione di massa. User-genereted content. Fino a pochi anni fa, era sempre un’organizzazione formale a creare i contenuti dei mass media. Oggi, tuttavia, lo user-genereted content (contenuto generato dall’utente) è creato dai comuni utilizzatori dei media, anziché dalle aziende del settore, ed è fruibile da un pubblico potenzialmente vasto. Gli utilizzatori dei media hanno sempre creato contenuti. I contenuti generati dagli utenti possono raggiungere un pubblico di massa, non solo amici e familiari. Indipendentemente dalla tipologia, il contenuto generato dall’utente è un’alternativa all’esperienza mediatica tradizionale offerta dalle aziende del settore Funzioni dei media: i media ottemperano varie funzioni anche per la società nel suo complesso. Fonti di informazioni: i media servono da magazzini e da veicoli di trasmissioni per le conoscenze e le informazioni accumulate da una società, dalle più banali alle più importanti. In questi ultimi anni, i media hanno reso le informazioni più accessibili in tempi più brevi di quanto non sia mai accaduto prima. Questo sviluppo ha trasformato la società umana. Mentre un tempo le informazioni erano scarse e difficili da ottenere, oggi il problema principale è dare un senso alla massa di informazioni che abbiamo a portata di mano. La costruzione massmediatica della realtà: lo studioso Baudrillard ha affermato che, sotto molti aspetti, viviamo in una iperrealtà, ossia in una condizione per cui le rappresentazioni mediatiche sostituiscono l’esperienza del mondo reale. La nostra vita è sempre più saturata da un flusso pressoché costante di immagini mediatiche, che possono creare una realtà a sé stante. La costante esposizione ai contenuti mediatici a cui siamo sottoposti ci informa e ci intrattiene, e con il tempo influenza l’immagine che abbiamo di noi stessi, della nostra società e del nostro mondo. In realtà, quasi tutto ciò che sappiamo del mondo lo abbiamo appreso dai media. Promotori di ideologia: la competizione per il controllo dei messaggi mediatici non avviene a parità di condizioni. In genere, chi ha più potere nella società ha anche un maggiore accesso ai media popolari con cui promuovono le proprie idee. Questo accesso è una delle ragioni che spiegano perché è tanto importante sapere chi possiede e controlla i mezzi di intrattenimento e di informazioni. Potere e media. Il mass-mediologo McLuhan ha conquistato fama planetaria con la celebre frase “il medium è il messaggio”, con cui sottolineava il fatto che la caratteristica più significativa dei media contemporanei è rappresentata dalle loro capacità tecnologiche anziché da qualche contenuto in particolare. L’effetto delle disuguaglianze sociali sull’utilizzo dei media. Negli anni trascorsi dall’opera di McLuhan, la comunicazione globale è diventata una realtà, ma essa è fortemente temperata dalla disuguaglianza sociale. Il digital divide è il divario tra chi ha le conoscenze e le risorse necessarie per usare la tecnologia digitale, in particolare computer e internet, e chi non ne ha. La classe sociale, il grado di istruzione e l’età sono tra le determinati primarie di tale divisione digitale. Le disuguaglianze nell’accesso ai media variano da un mezzo all’altro, ma coinvolgono tutte le forme di media. Le disuguaglianze sociali in senso più generale continueranno a creare squilibri nell’accesso e nell’utilizzo dei media. lOMoARcPSD|11710355 Spazi pubblici e audiance-ostaggio: un modo per vincere la resistenza alle inserzioni pubblicitarie è piazzarle in luoghi pubblici difficili da evitare. Un’altra strategie consiste nel collocarle dove le persone non possono fare a meno di vederle. Integrazione del prodotto: di fronte alla resistenza del pubblico, negli ultimi anni i pubblicitari hanno usato la tecnica del product placament, in cui il prodotto pubblicizzato viene integrato nel contenuto dei media, rendendo inevitabili gli spot. I product placement sono presenti in quasi tutti i media commerciali. Anche molti programmi di informazioni incorporano la pubblcità. Pubblicità occulta e marketing virale: pratiche sempre più diffuse sono la pubblicità occulta e il marketing virale. Chiamata anche guerrilla marketing, la pubblicità occulta è l’inserimento di messaggi pubblicitari indiretti in situazioni di vita reale. Per esempio, molti inserzionisti sfruttano i social network e i siti web dedicati alla recensione dei prodotti da parte dei consumatori per pubblicizzare i propri prodotti in modo furtivo. I pubblicitari arrivano anche a ingaggiare delle persone che promuovono indirettamente i loro prodotti. Disuguaglianze e consumo: quando si considera l’impatto della cultura consumistica è necessario tenere ben presenti le disuguaglianze sociali ed economiche. La cultura consumistica si è sviluppata nelle più ricche società occidentali tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, e solo recentemente si è estesa a Paesi in via di sviluppo che sono ormai integrati nell’economia globale. Debito e insoddisfazione: fin dai tempi di Durkheim, i sociologi hanno capito che la soddisfazione esistenziale deriva dalla comprensione e dal rispetto di limiti e confini. Poiché incoraggiano desideri smisurati che non potranno mai essere soddisfatti, la pubblicità e la cultura consumistica possono essere fonte di instabilità sociale e quindi minare la felicità degli esseri umani. Il consumo eccessivo non può sostituire l’esigenze di emendare le condizioni sociali che sono alla base dell’infelicità. Poiché il ciclo del consumo si basa sostanzialmente su una perpetua insoddisfazione. La mercificazione: la mercificazione è il processo per cui qualunque cosa è trasformata in merce da acquistare e vendere. Le relazioni sociali, che dovrebbero basarsi sulla fiducia e sulla solidarietà reciproca, oggi sono spesso ridotte a mere transazioni commerciali. Per effetto della mercificazione, la vita sociale è sempre più misurata i termini monetari. Degrado ambientale: la diffusione della cultura del consumo in tutto il mondo ha fatto pagare un prezzo molto altro all’ambiente. Questa espansione generale della cultura consumistica si è tradotta in un danno ambientale di proporzioni gigantesche e sempre più insostenibile. Capitolo 12. Politica ed economia. La struttura della politica. La politica è un’istituzione sociale particolarmente importante perché condiziona il modo in cui una società agisce, stabilendone le regole di base e le proprietà. La politica come istituzione sociale. La politica è l’arena in cui le società prendono decisioni collettive su priorità e linee programmatiche. Poiché la posta in gioco della politica è cosi altra, si tratta di un’arena spesso piena di conflitti, inganni, ipocrisia e opportunismo; nei casi peggiori, essa può produrre regimi criminali che opprimono e terrorizzano i cittadini. In quelli migliori, invece, essa può portare numerosi vantaggi alla società, come un governo efficiente. Nel bene e nel male, la politica e i governi sono intrecciati con il tessuto della vita sociale. Sistemi di governo. Il sociologo tedesco Weber osservò che la politica riguarda il potere, ovvero il modo in cui esso viene mantenuto, distribuito, messo in discussione e trasferito. Weber sottolineò il fatto che la sede fondamentale dell’attività polita è il governo, cioè l’organizzazione che esercita l’autorità e prende le decisioni all’interno di una specifica comunità. Secondo Weber, inoltre, i governi hanno una caratteristica specifica che li distingue dalle altre organizzazioni di potere; lOMoARcPSD|11710355 detengono il monopolio sull’uso legittimo della forza in un dato territorio. Dal momento che i processi politici sono costrutti sociali, i governi dei diversi Paesi differiscono nelle modalità di scelta dei leader e nell’impegno politico dei cittadini. Possiamo classificare le strutture di governo in tre tipologie fondamentali: monarchie, governi autoritari e democrazie. Una monarchia è un sistema di governo guidato da una singola persona, il monarca, che in genere eredita il proprio ruolo in quanto membro di una famiglia regnante. I titoli dei monarchi indicano il loro status regale (re, regina) e si trasmettono da una generazione all’altra. Si possono individuare, a grandi linee due tipi di monarchie. Nelle monarchie tradizionali (o assolute), un singolo sovrano gode di un potere sostanzialmente incondizionato. Quasi tutte le monarchie contemporanee, infatti sono monarchie parlamentari, ovvero democrazie che riconoscono alla famiglia reale un ruolo limitato e spesso solo simbolico. Al giorno d’oggi, comunque,rispetto alle monarchie predominano due tipi di governo: quello autoritario e quello democratico. Un governo autoritario presenta tipicamente leader autonominati, che esercitano un forte controllo sulle vite dei cittadini, limitandone pesantemente i diritti civili. In genere, i governi autoritari sono guidati da un singolo partito dominante o dall’esercito; non si basano sul sostegno popolare dei cittadini e non tollerano forme significative di opposizione politica. La democrazia è un sistema politico a suffragio universale, in cui i leader di governo sono eletti tramite elezioni multipartitiche; il significato letterale del termine democrazia è “governo del popolo”. Tuttavia, i meccanismi specifici tramite i quali “il popolo” governa sono variabili. Nella democrazia diretta, i cittadini stessi partecipano alle decisioni politiche attraverso un referendum. Più comune è la democrazia rappresentativa, nella quale i cittadini eleggono i propri delegati, che saranno responsabili dei processi di decisione politica del governo. I sistemi democratici comprendono spesso elementi sia della democrazia diretta sia di quella rappresentativa. Si individuano 5 componenti essenziali in un governo democratico: 1. Elezioni libere e regolari 2. Diritti civili 3. Un governo efficiente che possa mettere in atto le decisioni prese democraticamente 4. Partecipazione politica attiva dei cittadini alla vita pubblica 5. Presenza di una cultura politica democratica, nella quale i sostenitori dei candidati sconfitti accettano il giudizio degli elettori e consentono una transizione pacifica del potere. Struttura politica e azione politica. La struttura politica di una società influenza le possibilità di azione politica, e quest’ultima può talvolta avere un impatto significativo sulla struttura politica. Una società autoritaria offre scarse opportunità di dissenso, limitando le possibilità di azione politica. Persino in una società autoritaria le azioni contano: l’obbedienza e la collaborazione possono rafforzare la struttura politica esistente ma, come ha mostrato in molti casi la storia, se sono sufficientemente diffuse, anche le piccole contestazioni nel corso del tempo possono trasformarsi in proteste pubbliche. I cittadini delle democrazie, invece, possono scegliere tra numerose forme di partecipazione politica senza dover temere rappresaglie. Il modo in cui i cittadini si avvalgono dei propri diritti contribuisce a sua volta a determinare il futuro di una democrazia. Esistono diversi tipi di democrazia. Nei sistemi presidenziali, per esempio, gli elettori scelgono il capo del governo, mentre nei sistemi parlamentari sono i membri dell’assemblea legislativa, in genere, a eleggere il primo ministro. Un’altra importante distinzione tra le democrazie consiste nel fatto che alcune si basano su un sistema elettorale e maggioritario e altre su un sistema elettorale proporzionale. Il sistema elettorale maggioritario è un sistema nel quale la lista che ha ottenuto il maggior numero di voti ottiene tutti i seggi o, più spesso, un premio in seggi. Il sistema elettorale proporzionale è invece un sistema in base al quale i partiti ottengono un numero di seggi al governo proporzionale ai voti ricevuti. La cultura politica. Come ogni istituzione sociale, la politica presenta norme e prassi legate alla cultura. Le usanze culturali che apprendiamo influenzano i temi che consideriamo di rilievo politico e il fatto che enunciamo o meno la nostra opinione su di essi. lOMoARcPSD|11710355 La socializzazione politica. La socializzazione politica ci insegna le norme e le aspettative di base della vita politica e promuove il nostro coinvolgimento in essa. I sistemi politici democratici incoraggiano i cittadini a partecipare alla politica, almeno fino a un certo punto. Fu il sociologo Crouch a coniare il termine post-democrazia in riferimento a un tipo di sistema politico che, pur mantenendo formalmente regole democratiche, le svuota sia mediante una prassi politica anti-democratica sia attraverso la bassa partecipazione dei cittadini. L’opinione pubblica e la “spirale del silenzio” Nei sistemi politici democratici, la legittimità del governo si basa sull’idea che i governi eletti abbiano il consenso dell’opinione pubblica. Le elezioni, però, sono solo uno dei metri di valutazione di quest’ultima, e spesso lunghi periodi separano una consultazione elettorale da quella successiva. Se il significato letterale di democrazia è “governo del popolo”, come può il popolo “governare” tra un’elezione e un’altra? Un modo è dato dall’esprimere le proprie opinioni sui temi di attualità. La spirale del silenzio è una teoria secondo la quale le persone, al fine di evitare l’isolamento sociale, decidono di non esprimersi su temi controversi quando pensano che le loro opinioni non siano ampiamente condivise. Una rassegna esaustiva della teoria e delle ricerche sulla spirale del silenzio ha riassunto le 5 dinamiche fondamentali di questo processo 1. Le società richiedono un certo grado di consenso sui valori e gli obiettivi di base ed esercitano una pressione sociale sugli individui affinchè si conformino alle loro opinioni, minacciando implicitamente di isolare coloro che non lo fanno. 2. Nello sviluppare le proprie opinioni, gli individui temono l’isolamento sociale e cercano di adeguarsi a quelle che vedono essere le opinioni prevalenti nella loro comunità. 3. Gli individui monitorano il proprio ambiente, prestando molta attenzione alle opinioni altrui quando cercano di individuare le opinioni più diffuse e le tendenze future. 4. È probabile che gli individui esprimano le proprie opinioni quando ritengono che esse siano popolari o destinate a diventarlo, al contrario, quando sono convinti che le proprie opinioni siano impopolari o stiano per diventarlo, è probabile che assumano un atteggiamento prudente e restino in silenzio 5. La “tendenza dell’uno a parlare e dell’altro a restare in silenzio innesca una spirale che porta un’opinione a diventare dominante”. La spirale del silenzio limita il dibattito pubblico, estromettendo le opinioni minoritarie e ingigantendo il grado di consenso pubblico. Questioni politiche e questioni private. Il modo in cui una società definisce la politica è determinato da una mescolanza di cultura e potere. Negli anni ’70, le femministe contestavano le definizioni tradizionali della politica. La politica non riguarda solo ciò che accade nel governo, ma include numerosi aspetti della nostra vita quotidiana e personale. La sociologa Fraser ha sottolineato che per la nostra cultura politica è importante individuare ciò che viene definito “privato” e quindi inappropriato per il dibattito pubblico. Numerosi fenomeni, tra cui gli abusi sui bambini, la violenza domestica, erano fino a poco tempo fa, considerati questioni private e quindi esclusi dalla politica. I cambiamenti sociali e culturali, poi, li hanno trasformati in temi di rilevanza politica, rispetto ai quali è ammissibile il dibattito pubblico. Le teorie del potere politico: pluralismo, èlite e classe dominante. Tre classici approcci di carattere generale ci aiutano a comprendere la distribuzione reale del potere politico nelle società contemporanee, al di là delle forme che esso assume. Secondo la teoria pluralista, il potere politico è frammentato tra numerosi gruppi in competizione tra loro. Imprenditori, sindacati, insegnati e molte altre categorie sono rappresentati da organizzazione che cercano di influenzare le politiche governative informando l’opinione pubblica. La teoria pluralista sostiene che la politica consiste in una negoziazione costante tra questi vari interessi, e che le linee programmatiche del governo cambiano al variare del gruppo di maggiore influenza. Al contrario, la teoria delle élites può essere definita come quella teoria secondo cui il potere lOMoARcPSD|11710355 produzione, i quali sono gestiti in modo da soddisfare i bisogni fondamentali dell’uomo e promuovere la giustizia sociale. In tale sistema, le principali imprese e istituzioni sono pubbliche e appartengono allo Stato. In teoria, invece di concentrarsi sulla generazione di profitto per i proprietari, queste aziende e istituzioni statali dovrebbero soddisfare le esigenze umane di base, rendendo disponibili a tutti i cittadini prodotti e servizi essenziali. In un sistema socialista, il governo deve coordinare le funzioni economiche fondamentali. Poiché esse non mirano all’ottenimento di profitti e sono in grado di eliminare i costi superflui della competizione di mercato, i governo socialisti ben organizzati possono contribuire a soddisfare in modo efficiente le esigenze di base. Giacché le decisioni economiche sono prese in nome del bene comune al fine di promuovere la giustizia sociale, tali governi possono tenere conto dei vantaggi collettivi dei diritti dei lavoratori e della tutela ambientale. Questo sistema, nel suo complesso, valorizza il bene comune,convogliando le risorse verso l’appagamento dei bisogni fondamentali dell’uomo. Spesso confuso con il socialismo, il termine comunismo può riferirsi sia a un sistema economico sia a un regime politico. In ambito economico, il comunismo è un sistema ugualitario, in cui la proprietà è collettiva e non esistono differenze tra le classi. La realtà del capitalismo e del socialismo è molto più complessa delle semplici teorie economiche abbiamo appena illustrato. Nessuno dei due sistemi ha funzionato esattamente secondo i propri principi teorici, anche perché le economie sono condizionate da forze sociali di vasta portata e soprattutto, da ampi squilibri di potere. Il capitalismo nella realtà. Il capitalismo si è dimostrato molto efficace nell’incentivare la produttività e l’innovazione. Perseguire profitti più elevati abbassando i costi motiva i produttori a trovare continuamente nuovi modi per aumentare efficienza e produttività. La teoria capitalistica del “libero mercato” afferma che i governi dovrebbero garantire alle imprese le condizioni necessarie per operare, e poi lasciarle libere di farlo come credono opportuno. Riforma il capitalismo. I governi di tutto il mondo sono dovuti intervenire più volte per arginare gli eccessi del capitalismo e per sostenere economie capitalistiche instabili, soggette a cicli caratterizzati da una rapida crescita seguita dal collasso. Un grande intervento dei governi fu compiuto negli anni ’30, sulla scia della cosiddetta “ Grande Depressione”. Diversi fattori contribuirono a causare questa grave crisi economica, tra cui il crollo della borsa di New York in seguito a un boom di speculazione, il fallimento di migliaia di banche americane e l’alto livello di disparità economica, che contribuì a indebolire l’economia. Roosevelt, non risponde facendo rilevare dal governo le banche e le principali industrie, come sarebbe accaduto in un regime socialista. Al contrario, le politiche New Deal, da lui introdotte furono volte a rinvigorire l’economia e a stabilizzare il capitalismo. Le sue riforme ebbero numerosi riscontri positivi. Tra queste figuravano: - Nuove spese per opere pubbliche destinate a creare posti di lavoro. - La creazione di un sistema di sicurezza sociale, che contribuì a proteggere gli operai di estrazione sociale modesta e a basso reddito dalle crisi economiche - Nuove norme e interventi del governo nel settore finanziario - Una nuova protezione dei lavoratori che riconosceva il diritto di formare sindacati sul posto di lavoro e di scioperare per salari e condizioni di lavoro migliori. Queste riforme divennero una caratteristiche fondamentale del sistema economiche statunitense durante il periodo di prosperità successivo alla Seconda Guerra Mondiale. La bolla immobiliare e la crisi economica globale. Un’analisi approfondita della recente crisi dimostra che l’economia è un sistema sociale integrato, dal micro livello al macrolivello che talvolta può essere disfunzionale. Origini della crisi: la crisi economica globale, definita talvolta “grande recessione”, ha avuto origine da diversi fattori: - a causa della stagnazione dei salati, numerose famiglie americane si sono sempre più affidate al credito. - La liberalizzazione dell’industria dei servizi finanziari permise alle banche commerciali di intraprendere speculazioni ad altro rischio lOMoARcPSD|11710355 - L’industria dei servizi finanziari sviluppò nuove forme di investimento, complesse e non regolamentate che hanno condotto a ingenti speculazione ad alto rischio Quando tutti questi fattori si combinarono, i risultati furono disastrosi. Lo scoppio della bolla immobiliare: si parla di “bolla” quando il prezzo di qualcosa è gonfiato. La recente crisi immobiliari coinvolgeva anche i rapporti sociali tra le vari parti, creando un legame tra le decisioni economiche di micro livello e il macrolivello delle forze economiche. Tutti gli anelli della catena trassero vantaggio da questo sistema: gli acquirenti ebbero la possibilità di vivere il sogno americano di una casa di proprietà; i prestatori, le agenzie di rating, le banche di investimento e gli investitori guadagnarono ingenti somme. Poiché con questo sistema praticamente chiunque riusciva a ottenere un mutuo, il mercato immobiliare visse un autentico boom, creando una bolla artificiale a causa della quale i prezzi delle abitazioni raddoppiarono in medo di dieci anni. Nel 2007 la bolla immobiliare scoppiò. I mutuatari non riuscivano a rispettare le scadenze dei mutui e iniziarono a perdere le proprie abitazioni. Le banche di investimento si trovarono a dover gestire decine di migliaia di mutui il cui valore stava crollando a picco e che non potevano essere venduti. Gli investitori cominciarono a perdere il proprio denaro. Al culmine della crisi, il governo federale degli Stati Uniti rispose con massicci finanziamenti per salvare le principali società commerciali e stimolare l’economia. Le crisi periodiche spingono molti osservatori a concludere che i mercati capitalistici sembrano operare al meglio quando sono ben regolamentati, in modo da impedire frodi e abusi da parte di potenti soggetti economici. Il socialismo nella realtà. Privilegiando le esigenze della società rispetto al profitto personale, le economie socialiste possono ridurre la disuguaglianza in modo efficace e limitare drasticamente, o addirittura eliminare, alcuni problemi tipici delle economie capitalistiche, come la mancanza di alloggi e il difficile accesso all’assistenza sanitaria e all’istruzione superiore Il socialismo democratico. Se il capitalismo esige l’intervento del governo per limitare l’eccessiva concentrazione di potere economico, il socialismo richiede un sistema politico democratico che limiti l’eccessiva concentrazione di potere politico. Dal socialismo di Stato al capitalismo autoritario. La nostra breve rassegna delle diverse forme di economia mostra che esistono quattro tipologie ideali di sistema politico-economico, differenziate in base al grado di intervento del governo nell’economia e alla presenza o all’assenza di un sistema politico democratico. Le economie più potenti e vivace del mondo sono tutte, anche se a differenti livelli, economie miste, e il confine tra socialismo e capitalismo sta diventando ogni anno più labile. Le economie miste combinano elementi del capitalismo di mercato con significativi interventi di stampo socialista del governo. La teoria della convergenza afferma che l’economia capitalistica e quella basata sul socialismo democratico stanno diventando sempre più simili. La globalizzazione sembra aver accelerato questo processo, introducendo mercati competitivi nelle economie di tutto il mondo e rendendole di stampo più capitalistico. Allo stesso tempo, la globalizzazione ha reso molte economie capitalistiche più instabili e vulnerabili alle pressioni della concorrenza esercitata da altre nazioni. I governi delle economie capitalistiche hanno risposto a queste difficoltà intervenendo più attivamente nella vita economica, una tendenza che precedentemente era tipica delle economie socialiste. Il risultato è stato l’ascesa globale delle economie miste. Capitolo13. Il mutamento sociale: globalizzazione e movimenti sociali. La natura del mutamento strutturale e culturale. Il mutamento sociale è la trasformazione dei modelli strutturali o culturali ne corso del tempo. lOMoARcPSD|11710355 Il mutamento strutturale include il cambiamento dei modelli di comportamento e di interazione sociale; il mutamento culturale causa la trasformazione di valori, credenze, conoscenze e norme, oltre all’introduzione e all’adozione di nuovi manufatti culturali, come le tecnologie digitali. La natura continua e parziali del mutamento. Poiché la società non è statica, il mutamento è una caratteristiche continua della vita sociale, nonché uno dei fulcri della sociologia. Gli individui devono costantemente riprodurre le strutture sociali e le norme culturali, e le loro azioni possono modificare la società. Tutto ciò fa parte dell’interazione fra struttura e azione, fondamentale per la prospettiva sociologica. Sebbene il mutamento sia continuo, il suo ritmo varia in modo considerevole. Talvolta il mutamento è lento e difficile da percepire, e lunghi periodi della storia umana sono stati caratterizzati da stabilità e cambiamenti graduali. Altre epoche storiche, invece, sono state attraversate da cambiamenti a un ritmo frenetico. Il mutamento sociale, per quanto continuo, è sempre parziali, e alcuni aspetti della vita sociale sono destinati a durare. Una caratteristica fondamentale delle tradizioni e delle organizzazioni culturali, così come delle istituzioni sociali, è che esse sopravvivono ai singoli individui, garantendo alla società stabilità e solidità. Di conseguenza, alcuni modelli strutturali e culturali sopravvivono anche quando gli altri cambiano. Livelli di mutamento strutturale e resistenze al cambiamento. Un modo utile per studiare i diversi tipi di mutamento strutturale è considerare il livello nel quale esso prende forma. I mutamenti che si originano a livello macro-, meso o microsociologico possono condizionare gli altri livelli. Spesso uno o più segmenti della società resiste al cambiamento. In altri casi, il mutamento sociale pone fine a stili di vita tradizionali. In altre situazioni, gli individui si trovano a loro agio con lo status quo e a disagio con le novità. Spesso, gli individui resistono al cambiamento perché esso rappresenta una potenziale modifica degli equilibri di potere tra i protagonisti sociali, e quindi li minaccia direttamente o indirettamente. Cause del mutamento sociale. I resoconti storici, mettono in evidenza le azioni e i successi di coloro che detengono il potere. Tali individui giocano un ruolo importante nel mutamento sociale. Numerosi storici contemporanei, tuttavia, prendono in esame i più ampi fattori sociali che contribuiscono al cambiamento; in questo caso si parla di storia sociale. Analogamente, diverse teorie sociologiche evidenziano due cause di carattere generale del mutamento, anziché concentrarsi sulle azioni di specifici individui. Alcune teorie considerano i cambiamenti provocati dai fattori materiali nel mondo fisico, come le condizioni economiche e la tecnologia; altre esaminano le trasformazioni causate dalle idee, ovvero pensieri, valori e credenze. I fattori materiali del mutamento: materialismo storico e tecnologia. La più nota teoria materialista del mutamento sociale è quella concepita da Karl Marx. La parte della dottrina di Marx che oggi viene definita materialismo storico-dialettico afferma che la base economica di una società è la principale forza che provoca mutamenti in altri aspetti della vita sociale. Per sopravvivere le necessità materiale dell’esistenza, come nutrirsi, trovare un alloggio e vestirsi. L’economia di una società, i suoi modi di produzione, per usare la terminologia marxista, determina la maniera in cui si creano queste necessità di base. Gli uomini lavorano insieme per soddisfare queste necessità materiali e così facendo intrecciano relazioni sociali o, sempre per citare Marx, rapporti di produzione. Queste relazioni sociali chiamano in causa ruoli che gli individui giocano nel processo di produzione, ma anche altri fattori, come le leggi in base alle quali la produzione stessa è organizzata. Secondo Marx, le forze di produzione determinano gli specifici rapporti di produzione presenti all’interno di una data società. Ciascuno di questi cambiamenti nelle forze di produzione ha innescato cambiamenti nelle comunità e trasformano numerose istituzioni sociali. Un mutamento originato nella base economica della società ha esercitato un forte impatto su altri aspetti della vita sociale. La teoria di Marx ci ricorda che per comprendere il mutamento sociale spesso è necessario esaminare con attenzione l’economia. Gli approcci materialisti successivi elaborarono argomentazioni più specifiche sul ruolo della tecnologia nel mutamento sociale. Il lOMoARcPSD|11710355 I Concetti Fondamentali del Sapere Sociologico 1. Droga Le droghe sono sempre esistite e consumate, non bisogna interessarsi solo all’interazione dell’uomo con esse in questa era. C’è piuttosto una propensione dell’uomo (e negli animali) a cercare più o meno consapevolmente di alterare i propri stati di coscenza secondo modalità sociali e soggettive giustificate in certi ambiti e condannate in altri. Droga = OMS dice -> sostanza dotata di azione farmacologica psicoattiva, la cui assunzione provoca alterazione dell’umore e dell’attività mentale È una definizione non soddisfacente: anche sostanze come lo zucchero e il cibo in generale alterano il nostro equilibrio psico-fisico. È più giusto definirla quindi come una sostanza psicoattiva che viene definita tale da una istituzione che avanza pretese di verità in modo legittimo. La definizione risente quindi del contesto culturale e anche storico in cui viene effettuata. Questo guidizio è ancorato ad una giustificazione scientifica, che in Occidente è il modo di conoscere validato e emergente rispetto a altri (magico, religioso, artistico, …) Nella nostra cultura razionale le droghe hanno avuto riconoscimento come tali con l’avvento della mentalità scientifica e una correlata accezione negativa, salvo forse che nei contesti medici. Ma proprio dalla medicina e dalla chimica farmaceutica provengono le sostanze più temute e potenti. Nel 1952 LSD viene testata come farmaco antidepressivo grazie alla scoperta di un fungo che infesta la segale. Viene isolato il principio attivo e sintetizzato. Da sostanza sconosciuta ai più diventa prodotto chimico capace di catturare l’interesse della comunità scientifica che vuole studiare i misteri della mente e curarne le deviazioni (ansia, depressione, schizofrenia) attraverso l’alterazione di coscenza. Il farmaco tuttavia incontra il favore della corrente psichedelica della fine degli anni ‘60 e viene bandita nel 1970. L’oppio viene isolato da un farmacista nel 1817 con l’intento di essere usato come analgesico. Per i suoi effetti collaterali (dipendenza) viene presto bandita. Nel 1874 da questa sostanza viene sintetizzata l’eroina tramite acetilazione. Viene immessa nel mercato sottostimandone gli effetti collaterali e valorizzando la capacità di poter intervenire sulle vie respiratorie e dunque essendo utile per la tubercolosi, male del secolo. Nel 1925 viene vietata ma continua circolare per vie clandestine. Negli anni ‘70 tuttavia la sua diffusione è molto vasta e negli anni ‘80 la condizione è aggravata dal subentrare di malattie per infezione come l’AIDS. L’alcool è la più antica delle sostanze psicoattive; ha conosciuto fasi alterne di controllo ma di fatto è tollerato nell’impianto sociale. Si inizia a parlare di alcolismo in relazione agli effetti dei super-alcolici, collegando le molteplici evidenti conseguenze del bere già sparsamente rintracciate. La concezione di abuso di alcolici è cambiata nel tempo: una volta la soglia di tollerenza di questo costume era molto più alta. Il divieto di super-alcolici avviene in america dal 1920 al 1933, con un esito controverso e ampiamente criticato. In Europa, sul finire dell’800 l’assenzio fu bandito a ridosso della I guerra mondiale. L’anfetamina fu sintetizzata nel 1987 con uso medico sperimentale fino dal 1920 (Benzedrina). Era ampiamente diffusa tra i militari della II guerra mondiale, e ora diffusa in modo illegale in altre sostanze come lo Speed. lOMoARcPSD|11710355 - Interpretazione sociologica La lettura sociologica del consumo di sostanze si afferma all’interno di una visione di devianza e del suo legame inscindibile con la definizione stessa di controllo sociale Approccio Istituzionale - anni ‘50 chi si droga devia dalle norme istituite e lo fa con un comportamento dannoso per sé e per gli altri. Si affrontano i quadri “normali” e si conclude che chi usa droga non lo è. A inizio ‘900, a Chicago, ci sono i primi studi sul campo con pretesa scientifica sull’uso delle droghe. Esse risultano oggetto di interesse sopratutto come social problems che caratterizzano le nuove grandi città industrializzate. Negli anni ‘50, l’uso di droghe diviene associato a una vera e propria patologia sociale. Parsons associa i drogati alla malattia, dunque li vede come devianti a cui è richiesto uno sforzo di direzionarsi verso la guarigione. Merton associa i drogati ai rinunciatari, ovvero coloro che abdicano alle mete e obiettivi condivisi dalla società. Approccio Critico - anni ‘60 Becher mette in discussione che drogarsi non abbia alcun senso e si domanda invece se di senso ne abbia. Intervista persone che hanno fatto o fanno uso di marijuana. La comparazione delle esperienze narrate mette in luce le motivazioni; vengono evidenziate l’importanza del set (componenti soggettive, personalità) e del setting (contesto ambientale, circostanza). Lo sforzo teorico e empirico di questa fase va verso un “mondo della vita” (verso i soggetti e le loro interazioni), mostrando lo scollegamento della visione istituzionale imposta dall’alto riguardo alle droghe. Szasz ragiona sulla definzione stessa di droga, e la considera un rituale sociale; è l’imposizione del controllo fornito dalle istituzioni che la società asseconda perché giustificata dall’assioma che la droga porta alla dipendenza e quindi faccia male. Tuttavia in particolare la ripartizione delle droghe in legali e illegali e lo stigma di drogati per alcune sostanze e non per altre, non è altro che una mistificazione operata dal sistema. Oggi La sociologia che si occupa di droga esce dall’ambito scientifico della devianza. Ci sono diversi approcci: c’è chi distingue, ad esempio, tra droghe illegali e legali, a da questa distinzione qualifica le sostanze a seconda dello scopo per cui sono usate. Quando parliamo di droghe, pesanti e leggere, terapeutiche e ricreative, legali e illegali, dobbiamo considerare un’aspetto fondamentale, ovvero che. La droga di per sé non esiste come entità univoca. Esistono piuttosto diversi criteri per definirla. Il perimetro di osservazioni non si limita solo alle manipolazioni giovanili, ma si apre ad uno scenario in cui tutti i soggetti sembrano poter essere ritenuti consumatori di una qualche droga. Dalla trasgressione alla normalizzazione di cui una massiccia medicalizzazione della vita quotidiana è l'estremo a cui ci si spinge la riflessione sul presente in cui, nel senso più lato, le droghe sono strumenti anche per ri-progettare la propria salute, di addizionare al vivere "qualcosa" per renderlo più adatto alle proprie richieste e aspettative. lOMoARcPSD|11710355 Ricordiamo che: 1) La droga non vive in un regno semantico neutrale bensì genera un livello simbolico connotato socialmente 2) ogni sostanza psicoattiva va trattata di per sé, dunque con riferimento paziente alle diverse droghe, al plurale, e senza impropria generalizzazione come "droga", che risulta come una lettura eccessivamente semplicistica e inutilmente astratta. Se le sedimentazioni storiche e sanitarie che ci fanno pensare alla droga risultano segnate dall'eroina come referente che, per antonomasia, riassume nell'immaginario più comune cosa e come si comportino le droghe, è necessario scardinarle 3) ogni droga, anche lo zucchero, agisce con modalità di intreccio psico-fisiche e sociali a sé stanti, dunque è impossibile concettualmente unirle in un'unica estensione fenomenica. I rituali sociali entro cui si colloca l'uso/il non uso di una droga, il fatto di farlo da soli, con altri, il motivo per cui si adotta e l'effetto che si vuole ottenere richiamano contesti culturali e soggetti ad essi interrelati, dunque è forse qui più propriamente che si deve concentrare l'analisi e il contributo del sociologo. L’approccio istituzionale e medico convalida un sillogismo che è tipico nella nostra società: la droga (che, tra l'altro, è illegale) fa male, la droga rende le persone drogate, i drogati vanno curati. Le conseguenze sul piano legale, penale o amministrativo, a loro volta rinforzano il correlato di devianza collegato alle sostanze psicoattive. La diffusione della droga viene messa parimenti a quella di un virus che può affliggere e diffondersi tra le persone, mediante un taglio farmaco-centrato che non si presta a considerare le motivazioni, la cultura che soggiace al fenomeno. Come se, in altre parole, la droga agisse da sé, rendendo il soggetto passivo (dipendente), non riconoscendo il suo ruolo attivo. Un consistente corpo di ricerche internazionali mostra che molti consumatori sono in grado di gestire le droghe tramite l'apprendimento di regole sociali e personali, e che queste possono essere volte a impedire che il consumo comprometta la "normalità" quotidiana, dunque ad essa compatibili. il contributo auspicabile della sociologia è l'integrazione tra i saperi e al contempo la possibilità per la disciplina sociologica di intervento nel calibrare politiche sociali secondo i livelli: della prevenzione; della gestione controllata, come strategia che privilegia l'opzione di responsabilità degli individui;verso il recupero, secondo modalità che, per ogni sostanza, vanno individuate in termini adeguati e peculiari di sostegno e intervento 2. Salute Esistono tante definizioni di salute, diverse in base al contesto culturale e al periodo storico. Nel tempo il concetto di salute si è modificato e arricchito, e gli si è affiancato il termine di malattia, perchè salute è anche definita come assenza di malattia. Il Modello Biomedico L’approccio biomedico definisce la salute come assenza di malattia e come conformità alla norma statistica, indipendentemente dalle variabili di tipo psicologico e sociale. La malattia è quindi considerata come l’allontanamento dalla normalità statistica. Nella determinazione del significato di malattia prevale la dimensione disease (malattia-organica) rispetto a quelle di illness (malessere soggettivo) e di sickness (malattia considerata socialmente). La malattia diventa qualcosa che deve essere eliminato dalla scienza medica, e la guarigione avviene solo quando è ristabilita la situazione precedente alla malattia. Secondo questa prospettiva salute e malattia sono due stati opposti e antagonisti. In questo modello lo sguardo medico incontra la malattia e non il malato, e la soggettività del paziente scompare dietro i suoi sintomi
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