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Sociologia Generale Croteau-Hoynes, Schemi e mappe concettuali di Sociologia

Appunti dettagliati riguardanti il corso di sociologia

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2023/2024

Caricato il 13/12/2023

filippo-vpi
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Scarica Sociologia Generale Croteau-Hoynes e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Sociologia solo su Docsity! SOCIOLOGIA 2023 CROTEAU-HOYNES CAPITOLO 1 La sociologia è lo studio sistematico del rapporto fra individui e società(popolazione che vive uno stato/nazione).Essa si distingue dalle altre scienze secondo 3 soluzioni: -Gerarchica: la sociologia è la forma più alta di sapere (Comte); -Residuale: la sociologia studia tutto ciò che le altre scienze non trattano (Runciman); -Analitica(formale): l’analisi sociologica si concentra su un aspetto specifico che è l’interazione sociale. Perciò la sociologia ha un suo metodo ovvero la prospettiva analitica che non studia manifestazioni specifiche, ma deve astrarsi dando una conoscenza più ampia. La sociologia si basa sulla ricerca empirica e formula ragionevoli certezze. Infatti la ricerca empirica, in quanto sociologi, ci aiuta a superare il senso comune (comprensione del mondo per come appare, che si basa su pregiudizi). L'approccio sociologico può essere ritenuto una prospettiva, un modo di osservare il mondo. Assumere una prospettiva sociologica significa riconoscere e comprendere i collegamenti fra gli individui e i più vasti contesti sociali nei quali essi vivono. Infatti Mills affermava che non si può comprendere la vita dei singoli (biografia) se non si comprende quella della società (storia), e viceversa. Da questa descrizione ricaviamo il concetto di immaginazione sociologica. La sociologia nasce in un momento storico caratterizzato da profondi mutamenti sociali (modernità) come crescita della democrazia e della libertà personale, da una dipendenza sempre maggiore dalla ragione e dalle scienze per spiegare il mondo naturale e quello sociale, e dalla diffusione di un’economia industriale urbana. 3 furono le rivoluzioni che hanno innescato la nascita della sociologia: francese, industriale e scientifica. A seguito di questi eventi si scoprì che anche la società poteva essere studiata attraverso il metodo scientifico, così gli studiosi iniziarono ad interrogarsi, con conseguente crollo delle fondamenta della società (famiglia, scienza, religione, politica). Marx, Weber e Durkheim furono i padri fondatori. Tra i dilemmi della sociologia vi è il conflitto tra ordine e cambiamento: -Le persone nel quotidiano stabiliscono delle routine che reggono le società; -Una persona continuando a rispettare le aspettative sociali, non fa altro che mantenere le istituzioni sociali; -L’uomo tuttavia può cambiare. Come avviene dunque il cambiamento sociale? Un evento può essere il motore di un cambiamento sociale (chernobyl, bomba atomica). Tuttavia il cambiamento sociale può avvenire in tempi più lenti, grazie a singole azioni sociali nel lungo periodo. Manifestare, rivendicare le proprie istanze innesca un cambiamento sociale. Un altro dilemma è il rapporto tra azione sociale e struttura sociale: -Secondo Hiddens l’azione sociale è il potere della gente di essere creativa, agire e cambiare le cose (es. Rosa Parks). Secondo Goffman invece le persone sono pericolosi giganti (calpestano e distruggono strutture) non rendendosene conto; -La struttura sociale è l’insieme di ruoli sociali all’interno dei quali una persona può agire. Neanche molti sociologi ne hanno un’idea precisa poiché è un qualcosa di invisibile e potente. Inoltre le strutture sociali sono: -vincolanti:imporre regole; -abilitanti:fornisce la possibilità di agire. Il costruzionismo sociale sostiene che le persone (agenti sociali) creano la realtà sociale attraverso pensieri e azioni. La realtà creata ha una vita propria, diventando una struttura. Le persone possono rifiutare di accettare i vincoli di tali strutture (attraverso il cambiamento). La realtà è la mediazione di strumenti simbolici e cognitivi di natura sociale (linguaggio). Il linguaggio da senso alla realtà sociale. L’interpretazione delle persone costituisce una parte della realtà sociale. I prodotti delle azioni delle persone vengono visti come dati. I fondamenti del pensiero sociologico sono: -il rapporto tra consenso e conflitto; -realtà oggettiva e soggettiva; -analisi micro e macro sociologiche; -azione e struttura sociale. A seconda delle risposte che si danno a queste 4 dimensioni chiave della sociologia possiamo definire il tipo di teoria. Una prima distinzione chiave tra le teorie è rappresentata dal tipo di analisi macro o micro sociologica: -MICRO: si occupano di studiare le interazioni quotidiane tra gli individui. I fenomeni sociali si possono spiegare solo in base al significato che le persone attribuiscono alle proprie interazioni sociali. Attenzione puntata sulle motivazioni, sui comportamenti individuali, sui significati che danno forma e senso alle interazioni sociali; -MACRO:si concentra sulle analisi delle strutture sociali che sorreggono intere società ossia le istituzioni sociali(famiglia, organizzazioni, religiose ecc…). Secondo l’analisi macrosociologica le persone vivono all’interno di queste strutture e ne sono profondamente influenzate, quindi i sociologi che adottare questo approccio studiano i rapporti tra le diverse strutture sociali e i meccanismi che portano al loro cambiamento. -Alcune teorie puntano l’attenzione sul punto di vista individuale dei singoli esaminando la realtà soggettiva. Altre sulla realtà oggettiva, ovvero su come le strutture oggettive della realtà influenzano il comportamento degli uomini. -Le teorie che assumono il consenso come dimensione chiave ritengono che le società siano sostanzialmente stabili. Se per quelle formali il non rispetto della norma comporta una sanzione disciplinare (carcere), per le norme sociali le sanzioni si dividono in: -esterne: attribuite dalla società (scattano raramente) -interne: meccanismo interiore nel momento in cui le norme sono state interiorizzate (scattano all’interno dell’individuo e lo preoccupano di più) La società si aspetta che si rispettino entrambe le norme. Per comunicare gli uni agli altri le idee della nostra cultura, però, abbiamo bisogno dei simboli e, in particolare, del linguaggio. Un simbolo è qualsiasi cosa (suono, gesto, immagine, oggetto) ne rappresenti un’altra. Un linguaggio è un sistema elaborato di simboli, ed è un elemento della cultura che non solo permette alle persone di comunicare, ma rappresenta un insieme di simboli significativi che danno senso alla realtà sociale. Questa seconda funzione del linguaggio è stata indagata da Sapir-Whorf. Questi due studiosi suggeriscono che i diversi linguaggi influenzano il modo di pensare e comportarsi di chi li parla. L’introduzione di una nuova parola può accrescere un certo fenomeno. Nel contesto della cultura, i comportamenti sono le azioni associate a un gruppo che aiutano a riprodurre uno stile di vita ben preciso e i contenuti di una certa cultura (pasti, stretta di mano, ringraziare ecc…). L’accumulo di tante piccole azioni quotidiane da parte delle persone, aiuta a distinguere una cultura dall’altra. Il comportamento, inoltre, richiama l'attenzione sulla differenza fra cultura normativa, ciò che le persone ritengono essere i valori, credenze e le norme della propria cultura, e cultura effettiva, ciò che essi fanno realmente e che può rispecchiare o meno la cultura effettiva. Un modo per comprendere l’incontro fra cultura e potere è capire l’ideologia. Tipicamente i sociologi definiscono l’ideologia come un insieme di credenze condivise che aiuta a definire e spiegare il mondo, fornisce giudizi di valore su di esso, e orienta le azioni delle persone. In poche parole un’ideologia è una visione generale del mondo e non sempre è basata su credenze reali. All’interno di ogni cultura esiste un’ideologia dominante, vale a dire un gruppo di affermazioni ampiamente condivise e regolarmente rafforzate che, in generale, sostengono il sistema sociale. L’ideologia dà forma a ciò che definiamo come “naturale” (naturale che alcuni siano ricchi o poveri ecc…). Perciò, ciò che le persone ritengono naturale e normale è quindi, in realtà, una costruzione ideologica. Anzichè essere formate da un’unica cultura, questa può avere manifestazioni differenti all’interno della società: -dominante: permea la società e rispecchia i valori e le credenze dei gruppi detentori di potere. Le istituzioni politiche ed educative, le grandi aziende, i mass media, fra gli altri, rispecchiano più di tutto la cultura dominante.; -subcultura: associata a un piccolo gruppo della società che accettano gran parte della cultura dominante ma si distinguono da essa per alcune caratteristiche (norme, valori e stili di vita diversi) (gruppi etnici). Gli skater costituiscono una subcultura: definiscono e utilizzano gli spazi pubblici in modo innovativo, trasformando strade e marciapiedi, gradini e ringhiere in spazi per praticare lo skateboard, e sviluppano un atteggiamento ben preciso nei confronti del rischio e dell’autorità. Certe differenze rendono i membri delle subculture dei devianti e ciò è non solo accettato, ma anche apprezzato. A livello microsociologico, persino i gruppi di amici intimi che vino nello stesso quartiere possono sviluppare una subcultura. Una subcultura che si organizza opponendosi alla cultura dominante può essere classificata come controcultura. I membri delle controculture sfidano valori e atteggiamenti ampiamente condivisi e rifiutano le norme culturali convenzionali (hippy, hacker). Le subculture, comprese le controculture, spesso introducono innovazioni e cambiamenti nella cultura tradizionale. Per esempio, una volta nella nostra società i tatuaggi erano appannaggio esclusivo di subculture come marinai e biker, ma ormai da tempo sono entrati a far parte della cultura tradizionale. CAPITOLO 5 La vita sociale prevede dei comportamenti codificati;questi modelli ricorrenti di comportamento costituiscono ciò che i sociologi chiamano struttura sociale. Queste routine (comportamenti ricorrenti) stanno alla base delle istituzioni sociali. Rappresenta un aspetto sociale duraturo e regolare. Comprende l’interazione faccia a faccia, i gruppi e le reti sociali e l’intera società. La struttura, dunque, vincola il comportamento sociale ponendo dei limiti, ma lo agevola anche, mettendo a disposizione delle persone un contesto e dei modelli di comportamento entro cui possono interagire (aula in classe nella quale possiamo scegliere dove sederci, se prendere appunti ecc..). Perciò, anche se la struttura sociale, condiziona il modo di comportarci, conserviamo comunque una capacità di azione, ovvero la capacità di operare indipendentemente dai vincoli sociali. I modelli di comportamento di cui si compone la struttura sociale non sono naturali o immodificabili ma, in quanto prodotto dell’azione umana, gli esseri umani possono modificarli. Inoltre le strutture sociali variano con il tempo e da una cultura all’altra. I cambiamenti avvengono attraverso le azioni di molti individui ripetute nel tempo. L’azione umana crea la struttura, ma poi quella struttura determina l’azione successiva e questa azione affermerà, modificherà o cambierà la struttura. Esistono 3 piani di analisi della struttura sociale: -Microsociologico (interazione tra due persone, piccoli gruppi); -Mesosociologico (strutture come scuole o aziende); -Macrosociologico (es. struttura di disuguaglianza tra Paesi in via di sviluppo e Paesi industrializzati). MICRO Nelle relazioni faccia a faccia siamo immersi in una struttura sociale composta da status e ruoli (due facce della stessa medaglia): -STATUS: posizione che può essere occupata da una persona all’interno di un sistema sociale. Tutti noi abbiamo diversi status (posizioni). Lo status può essere ascritto o conseguito: -ascritto: status assegnati fin dalla nascita senza aver fatto nulla; -conseguito: posizioni acquisite dalle persone sulla base di ciò che compiono volontariamente con i propri sforzi. (status set: insieme di status di un individuo) -RUOLO: Insieme di comportamenti attesi (stabiliti dalla società, dalla cultura) che si associano a determinati status. Per master status si intendono posizioni che hanno la priorità e determinano la posizione di una persona e variano da società a società. Gli status e i ruoli che ricopriamo sono i legami concreti che ci uniscono al resto della società. I ruoli si modificano nel tempo (ruoli di genere) e variano da cultura a cultura. Producono delle norme di comportamento che regolano l’interazione in un gruppo. Le persone infatti imparano a conoscere le aspettative di ruolo connesse ai diversi ruoli sociali. Quindi svolgono ciascun ruolo secondo quelle aspettative. Nei gruppi sociali interagiamo e si sviluppano dei ruoli che possono essere più o meno differenziati: -ruoli specifici: più definiti, riguardano un insieme di comportamenti limitato (medico). -ruoli diffusi: meno definiti, spettro dei comportamenti attesi più ampio (genitori). Un conflitto di ruolo (inter-ruoli) si verifica quando ci sono aspettative contrastanti associate ad una o più posizioni per un singolo individuo (calciatore giovane-studente, madre-lavoratrice). Il conflitto intra-ruolo si verifica invece quando le aspettative associate a un singolo ruolo competono tra loro (insegnanti che devono aiutare gli studenti ma anche valutarli). I sociologi analizzano la struttura sociale a livello microsociologico concentrandosi sui modelli e sui fenomeni ricorrenti che emergono dalle attività di routine. L'etnometodologia studia le pratiche sociali di cui le persone si servono per dar senso alle proprie attività quotidiane, enfatizzando le modalità con cui creano collettivamente una struttura sociale nelle proprie attività di tutti i giorni. Porta alla ribalta la comprensione condivisa tra le persone che partecipano ad un’indagine. L'esperimento degli etnometodologisti mette alla luce infatti l’esistenza di norme inespresse che strutturano innumerevoli aspetti della vita sociale e che, per giunta, diventano visibili solo quando si infrangono. La vita quotidiana è possibile per via della comprensione condivisa e delle convenzioni culturali inespresse. Senza questi elementi l’interazione sarebbe difficile. -potere legittimo: deriva dal ricoprire un certo ruolo, perciò gli altri “dovrebbero” obbedire sulla base di valori culturali condivisi o del rispetto per il ruolo formale che occupano certe persone; -potere referente(carismatico): si basa sull’identificazione, affetto e sul rispetto per un’altra persona, vale a dire doti intrinseche di un individuo (collega molto stimato preso come esempio); -potere esperto: nasce dalla convinzione che una persona abbia conoscenze superiori in un determinato settore (medico); -potere informativo: deriva dal possesso di più informazioni rispetto ad altri all’interno dell’organizzazione. I detentori di informazioni possono accrescere la propria influenza mettendole in comune, tenendole per sè, organizzando le efficacemente, manipolandole o falsificandole. Queste categorie possono sovrapporsi, poiché l’uso che si fa di un certo tipo di potere può incidere su un altro. Le tattiche di potere sono le strategie specifiche che le persone usano per influenzare gli altri nella vita quotidiana. Variano su tre dimensioni: -Hard e soft: le tattiche hard sono dirette o severe, come usare ricompense monetarie, minacce o altri incentivi tangibili. Quelle soft, invece, si focalizzano sulle relazioni come collaborazioni e amicizia per raggiungere scopi; -Razionali e irrazionali: le prime fanno appello alla logica e includono negoziazione e persuasione. Le irrazionali invece fanno leva sui sentimenti (es. spot televisivi che mostrano che guidare una certa auto rende gli uomini più sexy); -Unilaterali e bilaterali:le unilaterali non richiedono la collaborazione, includendo le imposizioni, gli ordini e la negazione dell’Altro. Le tattiche bilaterali comportano delle concessioni reciproche (negoziazioni tra acquirente e venditore di una casa). Vi è una distinzione importante tra autorità e potere. L’autorità o potere legittimo, è accettata volontariamente da coloro che vi si assoggettano sulla base di un principio di legittimazione. Weber ha identificato così tre tipi di autorità: -tradizionale: la legittimazione si fonda sul rispetto di pratiche culturali consolidate. Questi leader tradizionali traggono il proprio potere da convenzioni culturali e religiose tramandate da secoli (papa); -razionale-legale: la legittimazione deriva da leggi, regole e procedure codificate attraverso un processo socialmente e giuridicamente concordato. -carismatica: la legittimazione deriva dalla credenza nelle caratteristiche straordinarie di un singolo leader, che ispira lealtà e devozione. OBBEDIENZA Il potere è limitato dalle relazioni sociali su cui si basa, come un generale che ha potere solo se i sottoposti accettano di eseguirne i comandi. I regimi autoritari possono crollare quando un certo numero di cittadini si rifiutano di obbedire ai propri leader e scendono in piazza per chiedere un cambiamento. DISOBBEDIENZA Poiché il potere opera all’interno delle relazioni sociali, uno dei grandi paradossi della vita sociale è che coloro che ritengono di non avere potere, in realtà, ne hanno molto. La storia è piena di esempi di comuni cittadini che si sono uniti e hanno sconfitto potenti oppositori (lavoratori, contadini ecc..). POTERE A LIVELLO MACROSOCIOLOGICO: Potere Economico All’interno di un gruppo o di una società, il potere determina chi riceverà risorse importanti e come verranno impiegate. I governi hanno il potere di allocare risorse, generando ricavi attraverso la riscossione delle imposte e dei contributi, per poi distribuire quei soldi tramite progetti di edilizia pubblica, programmi sociali, spese militari e altre iniziative. Potere Culturale Per indurre gli altri a conformarsi alla propria agenda, i detentori del potere definiscono la realtà in un determinato modo, invitandoli a condividere la propria interpretazione. Il potere culturale è quindi il potere di definire la realtà sociale. Antonio Gramsci affermò che la classe al potere mantiene il predominio non solo attraverso l’uso della forza (polizia) ma anche attraverso la manipolazione delle idee. Da qui nasce il suo concetto di “egemonia” , che viene a crearsi quando delle forze politiche e sociali hanno diffuso con successo le proprie idee, fabbricando consenso altrui. Altre opinioni, come quella di Foucault, il potere produce la realtà. Potere Politico Il potere può essere usato anche a fini politici, consentendo ad alcuni soggetti di fissare le condizioni che regolamentano la vita di altre persone. Tre classici approcci di carattere generale ci aiutano a comprendere la distribuzione reale del potere politico nelle società contemporanee: -teoria pluralista: il potere politico è frammentato tra numerosi gruppi in competizione tra loro. Imprenditori, sindacati, insegnanti, pensionati, ambientalisti e molte altre categorie sono rappresentati da organizzazioni che cercano di influenzare le politiche governative informando l'opinione pubblica e sostenendo candidati in sintonia con le proprie idee; -teoria delle élite: è quella teoria secondo cui il potere politico appartiene sempre e comunque a una ristretta cerchia di persone, qualunque sia la forma di regime politico esistente. Si può dire quindi che in tutte le organizzazioni sociali (Stato, partito, volontariato, impresa, sindacati…) esistono 2 classi di persone: i governati e i governanti che, secondo il texano Mills, sono coloro che guidano le principali istituzioni burocratiche della società; -teoria della classe dominante: il potere politico è concentrato nelle mani dei ricchi, che possiedono o controllano gran parte delle risorse economiche nazionali. Secondo questa teoria coloro che controllano l’economia, utilizzano il proprio potere finanziario per influenzare il governo. I media appartenenti ad aziende, inoltre, contribuiscono a limitare l’ampiezza del dibattito politico nei notiziari e in altri programmi. CAPITOLO 6 Grazie alla socializzazione siamo in grado di assumere le prospettive degli altri e di determinare il significato delle loro azioni. Senza il terreno comune di un significato condiviso, l’interazione sociale diventa disorientante. Quando comunichiamo con persone conosciute, spesso la conversazione si basa su riferimenti comuni e interpretazioni condivise. Perciò una socializzazione senza intoppi dipende dall'intersoggettività, ovvero una condizione in cui più persone interpretano nello stesso modo la conoscenza, la realtà o un’esperienza. Un’interazione di successo richiede che ogni persona assuma la prospettiva dell’altra per giungere a un’interpretazione comune. Analogamente, il piacere per una forma d’intrattenimento dipende da una base di conoscenza condivisa. Anche i pubblicitari si affidano spesso a visioni condivise di ciò che è attraente e desiderabile, per questo i loghi e gli slogan riescono ad essere comunicativi. Gli elementi condivisi della cultura costituiscono inoltre, una facile interazione con degli estranei. I sociologi affermano che la “realtà” è il risultato di ciò che impariamo dalla nostra società; In altre parole, la realtà viene socialmente costruita. Ne è un esempio chiaro il teorema di Thomas, che è inoltre la chiave per capire il funzionamento degli stereotipi, ovvero credenze fondate su generalizzazioni esagerate o distorte e spesso non veritiere di alcune categorie sociali che non tengono conto conto della specificità di ogni individuo. Possono essere anche positivi e appaiono frequentemente durante le nostre interazioni sociali orientando e modificando i nostri comportamenti. Trattandosi di definizioni condivise, possono avere pesanti conseguenze (es. operai rappresentati come persone pigre, poco intelligenti (Homer Simpson)). Berger e Luckmann definiscono i tre passi per costruire la realtà sociale: -Esternalizzazione: le persone creano la società attraverso una continua attività fisica e mentale (coppia, amicizia ecc…); -Oggettivazione: la realtà prodotta diventa oggettiva, figurando come naturale e non come una creazione umana (chiamarsi amici); -Interiorizzazione: la realtà creata diventa patrimonio di tutti gli individui. Durante questo processo gli esseri umani giungono a farsi influenzare dalle proprie creazioni diventando prodotti sociali. Questo processo avviene sia a livello microsociologico sia nelle strutture sociali di più ampio respiro. Per quanto riguarda le grandi strutture sociali, spesso impiegano decenni per svilupparsi e la loro influenza viene percepita solo dalle generazioni successive (es. noi non abbiamo creato la nostra forma di governo ma ne siamo influenzati). Secondo Goffman esiste un approccio drammaturgico alla realtà sociale. Questo approccio evidenzia che l’individuo agisca come un attore e che in ognuno di noi ci sia una tensione tra ciò che vorremmo fare spontaneamente e ciò che le persone si aspettano che noi facciamo. Nella vita reale sono le aspettative culturali a determinare il contenuto di un ruolo sociale. Il costume, gli accessori, il linguaggio e le emozioni appropriate sono risorse utilizzate dagli attori per rendere al meglio la propria performance. Per Goffman il nostro sé è il prodotto teatrale dell’interazione tra la persona e il suo pubblico. Le persone agiscono per mantenere la propria rappresentazione di sé: attraverso la nostra interpretazione cerchiamo di controllare l’immagine che gli altri hanno di noi (gestione delle impressioni). In altre situazioni però, le persone cercano di “mantenere le regole e procedure formali, si sviluppò. A tal proposito Weber ha stilato delle caratteristiche in comune della burocrazia in tutto il mondo: -Divisione del lavoro: le burocrazie richiedono specializzazione a causa delle dimensioni; -Gerarchia di autorità e responsabilità: le burocrazie hanno una struttura piramidale; -Impersonalità: il potere risiede in un ufficio, non nella persona che occupa una determinata posizione; -Regole scritte e archivi: in genere, compiti e doveri di una burocrazia sono fissati in regole scritte e procedure formali. Queste quattro caratteristiche consentono alle burocrazie di coordinare le attività di molte persone. Tutte le organizzazioni hanno un certo grado di burocratizzazione, ma quando diviene eccessiva, essa può essere controproducente e frustrare sia i dipendenti sia le persone che dovrebbero servire. Le organizzazioni possono avere culture ben distinte che influenzano il modo in cui sono strutturate, i valori che esse sostengono e il loro modus operandi. I gruppi possono esercitare il controllo includendo o escludendo i membri tramite un senso di appartenenza e di non-appartenenza. Seguono quindi 2 concetti: -Un in-group è il gruppo sociale con il quale una persona si identifica e verso il quale ha sensazioni positive (i membri hanno un senso comune del “noi”); -Un out-group è un gruppo sociale verso il quale una persona prova sensazioni negative, i cui membri sono considerati inferiori, o “loro”. Per esempio, le persone che hanno un lavoro prestigioso costruiscono le proprie vite in quartieri ricchi e in circoli esclusivi. L’atteggiamento di solidarietà all’interno di questi in-group ricchi può essere accompagnata da atteggiamenti negativi verso le persone meno benestanti (“loro” non lavorano, “loro” non sono in gamba) escludendo “gli altri” dal quartiere. Le dinamiche di in-group e out-group provocano tensioni, ostilità e persino conflitti aperti fra gruppi sociali che, spesso, lottano per il potere, mentre l’in-group cerca di mantenere la sua presunta superiorità. Delle ricerche dimostrano inoltre che l’ostilità cresce quando l’in-group percepisce l’out come una minaccia ai propri interessi (politica). Il conformismo è una forma di pensiero acritico, tramite il quale le persone rafforzano il consenso anziché porsi domande o analizzare il problema che hanno di fronte nella sua interezza. Chi si conforma al pensiero di gruppo ignora le prove o le idee che contraddicono il suo pensiero e quello degli altri membri del gruppo. Se le richieste provengono da chi ha autorità nel gruppo (leader) le persone tendono a conformarsi a tali richieste. Quindi nel gruppo chi esercita una leadership può avere una maggiore capacità di generare conformità (pensiero di gruppo). Troppa conformità però comporterebbe conseguenze negative in quanto i gruppi, essendo omogenei e con membri che si sostengono a vicenda, tendono a escludere sia i pareri dissenzienti sia il mondo esterno, rendendoli ancora più disfunzionali. Una caratteristica importante di qualsiasi organizzazione è la struttura del potere. Nelle burocrazie formali le persone, a qualsiasi livello della struttura organizzativa, hanno potere su chi è sotto di loro e sono soggette all’autorità di chi sta sopra. Il sociologo Robert Michels coniò il termine legge ferrea dell’oligarchia per stabilire che il potere è concentrato ai vertici dell’organizzazione e l’organizzazione opera per soddisfare gli obiettivi dei vertici. Quando sono ben trincerati dietro il potere, i leader sono esclusi dal contatto con altre persone dell’organizzazione o con il pubblico, il che permette loro di sfuggire a qualsiasi controllo del loro operato. Da questo deriva la loro tendenza alla passività. La socializzazione è il processo mediante il quale le persone apprendono le norme basilari, i valori, le credenze e i comportamenti appropriati nella loro cultura. Generalmente si distingue in socializzazione primaria e secondaria: -Primaria: è la prima socializzazione che un individuo intraprende durante l’infanzia e rappresenta il periodo più intenso di apprendimento culturale. È la fase in cui l’individuo diventa membro della società, sviluppando personalità, apprendendo linguaggio, ruoli, norme e valori. Non avviene mai nel vuoto sociale: le sue modalità e suoi contenuti sono profondamente influenzati dalla classe sociale e dalla struttura della famiglia di origine. Getta inoltre le basi per lo sviluppo successivo; -Secondaria: scatta nel periodo post-infanzia e arriva oltre la maturità ed è ogni processo che introduce un individuo già socializzato in nuovi settori del mondo oggettivo della sua società. I vettori fondamentali di entrambi i tipi di socializzazione, primaria e secondaria, sono l’interiorizzazione e l’apprendimento: due processi tramite i quali un individuo incorpora in sé i contenuti della socializzazione, tanto da renderli una parte data per scontata del proprio mondo e della propria personalità. Protraendosi per tutta la vita, il processo di socializzazione ricorre in differenti contesti sociali ed è guidato da una pluralità di agenti di socializzazione, le persone e i gruppi che trasmettono la nostra cultura. Si parte con la famiglia per i bambini, si prosegue con la scuola, i media, i gruppi dei pari, luogo di lavoro, religione e le istituzioni totali: -famiglia: è il primo agente di socializzazione primaria dove si imparano abilità fondamentali quali parlare, curare l’igiene personale oltre che importanti valori come la differenza fra giusto e sbagliato e come trattare gli altri. Molti sociologi hanno studiato il rapporto tra processo di socializzazione e sviluppo della personalità. Tali indagini hanno dimostrato che la socializzazione era diversa tra classi sociali elevate e povere. Le prime infatti per esempio avevano la possibilità di attingere a maggiori opportunità e materiali e tendevano ad utilizzare il ragionamento rispetto all’eseguire ordini, sviluppando un senso critico. -scuola: per molti bambini, la prima esperienza prolungata di contatto con il mondo sociale esterno ha luogo nell'asilo nido o nella scuola per l’infanzia. In questi ambienti essi imparano a interagire con gli altri e a far parte di un gruppo. La scuola trasmette anche la differenza di genere. -media: i media hanno pesantemente alterato la socializzazione dei bambini. Grazie alla televisione per esempio i bambini hanno avuto accesso a un mondo di idee e situazioni tipiche degli adulti. -gruppo dei pari: gruppo di persone, in genere di età simile, che condividono status sociale e interessi. Possono influenzare lo sviluppo e il comportamento degli individui in modo significativo. Estistono diversi tipi di gruppi dei pari. Alcuni sono informali, come un gruppo di amici (con annesse attività diversificate come andare al cinema, giocare ai videogames ecc…). Altri sono più strutturati come il caso dei compagni di classe e dei colleghi di lavoro. -luogo di lavoro: qui avviene la socializzazione professionale ovvero l’apprendimento delle norme informali associate a un tipo di impiego. La socializzazione nelle occupazioni professionali è una delle funzioni più significative delle università, delle scuole e dei tirocini professionali. -istituzioni totali: secondo Goffman sono strutture inglobanti nelle quali un’autorità regola ogni aspetto della vita di una persona. Sono istituzioni totali orfanotrofi e case di riposo, ospedali psichiatrici, prigioni, caserme e collegi, monasteri e conventi e tutti quei luoghi in cui avviene la risocializzazione, ovvero il processo mediante il quale gli individui che passano da un ruolo a un altro o da una fase di vita a un’altra sostituiscono vecchie norme e passati comportamenti con altri nuovi. Affinchè il processo di socializzazione possa riuscire secondo l’approccio funzionalista occorre tener conto di 3 fattori: aspettative di ruolo, propensione alla conformità (adattarsi alle aspettative di ruolo), modifica del comportamento. Attraverso l’interazione sociale sviluppiamo le nostre capacità, diventiamo adulti sani, fisicamente e socialmente, e, in questo processo, sviluppiamo il nostro Sé. Il senso del Sé è l’insieme di pensieri e sensazioni che si provano considerando se stessi come un oggetto. Non nasciamo con il senso del Sé; lo sviluppiamo nel corso del tempo come prodotto della cultura nella quale siamo socializzati e, soprattutto, attraverso le nostre esperienze d’interazione sociale. Charles Cooley ha elaborato il concetto del Sé-specchio (Looking Glass Self) secondo il quale gli esseri umani sviluppano un’immagine di loro stessi che riflette come gli altri interagiscono con loro. Le nostre interazioni con gli altri comportano tre fasi che, ripetute in tutte le nostre interazioni, forgiano il Sé: -un individuo riflette su come gli altri lo vedono; -l’individuo riflette su come gli altri reagiscono rispetto a ciò che vedono; -l’individuo reagisce alla reazione che percepiscono negli altri. La capacità empatica e molte risposte emotive sono funzioni innate del nostro cervello. Come sottintende l’idea del Sé-specchio, il Sé delle persone è determinato dalle loro interazioni con gli altri e quindi varia in funzione delle persone con le quali interagiscono. Un altro modo per esprimere l'equilibrio richiesto per sviluppare un Sé sano viene dal lavoro del sociologo americano George Mead. Secondo Mead, il Sé è costituito da “io” e “me”: -Io: parte del Sé che è spontanea, inconscia e incalcolabile, imprevedibile e creativa. È l’immediata risposta di un individuo agli altri e nessuno sa come l’io risponderà (neanche lo stesso individuo); -Me: equilibria l’io creando un Sé sano. Il me è l’insieme organizzato degli atteggiamenti degli altri assunto dall’individuo.È l’adozione da parte dell’individuo dell’altro generalizzato: -altro generalizzato: insieme di atteggiamenti di un gruppo o di una comunità. Si ottiene guardando se stessi all’interno di un gruppo. Dipende dal contesto sociale eeeee e varia enormemente da una cultura all’altra. Quando aderiamo alle norme sociali il “me” domina sull’”io”; quando riflette sull’”io”, questo diviene parte del “me”. La socializzazione comporta la ricerca di un equilibrio fra l'”io" e il “me”. Alla luce delle teorie proposte da Cooley e Mead il Sé è la capacità delle persone di riflettere su loro stesse ovvero vedersi come un oggetto. La chiave per lo sviluppo del Sé è guardare se stessi come fanno gli altri. Le persone hanno bisogno di assumere il ruolo degli altri per comprendere il ruolo di se stessi (interiorizzare l’altro generalizzato). La segregazione consiste nel mantenere fisicamente e socialmente separati i diversi gruppi sociali, attribuendo loro gradi differenti di potere e prestigio. Bauman ha parlato a questo proposito di una vera e propria strategia fondata sulla necessità di “rigettare gli stranieri, scacciandoli oltre le frontiere del mondo ordinato oppure escludendoli da ogni contatto con i suoi legittimi abitanti”. Il genocidio è l’eliminazione sistematica di un gruppo di persone, in base alla loro razza, etnia, nazionalità o religione. Il genocidio comporta quasi sempre il tentativo, da parte di un gruppo maggioritario, di sterminare un gruppo minoritario. I gruppi minoritari possono reagire al predominio del gruppo maggioritario in diversi modi. -Il ritiro consiste nell’autoesclusione, allontanarsi fisicamente in risposta alle forme peggiori di oppressione (Little Italy, Chinatown ecc…); -L’integrazione implica la fusione con il gruppo dominante e di conseguenza, prevede l’abbandono da parte dei migranti dei propri usi e costumi per adeguarsi completamente agli usi e le norme del gruppo maggioritario (discorso simile all’assimilazione); -L’adozione di un altro codice fa riferimento alla strategia secondo la quale la minoranza si adegua alle aspettative sociali della maggioranza, ma ciò è un adeguamento solo di facciata. Infatti in segreto, privatamente essi mantengono i propri usi e costumi, mantenendo un’identità più confortevole; -La resistenza consiste in una reazione attiva da parte della minoranza contro la discriminazione operata dalla maggioranza. Esiste una teoria fondata da Peggy McIntosh secondo cui la maggioranza non deve sperimentare forme pregiudizio e discriminazione, perciò non deve avere difficoltà a capire il punto di vista delle minoranze (PRIVILEGIO BIANCO). Le persone spesso si identificano come membri di un in-group e provano sentimenti negativi verso i membri di un out-group. Il razzismo crea una distinzione in/out-group, quasi sempre basata su uno stereotipo negativo. Di conseguenza, uno stereotipo largamente accettato può diventare la base di atteggiamenti preconcetti verso i membri di un out-group. Gli stereotipi e il pregiudizio si limitano alle credenze e agli atteggiamenti, ma la discriminazione implica azioni e comportamenti. La discriminazione razziale, per esempio, implica azioni che aiutano a mantenere il predominio di una razza sulle altre. Strettamente legato a stereotipi e pregiudizi è il concetto di etnocentrismo, ovvero la pratica di giudicare una cultura diversa utilizzando gli standard e i termini della propria e con una presunzione di superiorità. Una visione etnocentrica del mondo può generare xenofobia, l’irragionevole timore od odio per gli stranieri o per persone di una cultura diversa (portato all’estremo, può generare genocidio). Diversamente dall’etnocentrismo, il relativismo culturale è la pratica di comprendere una cultura diversa attraverso i suoi stessi standard. Il relativismo culturale non richiede di adottare o accettare idee e pratiche di un’altra cultura, ma di fare lo sforzo di comprenderla utilizzando i criteri suoi propri e con la disponibilità a riconoscerla come valida alternativa alla propria. Gli individui possono mettere in atto pratiche discriminatorie ma l’inuguaglianza etnica e razziale si produce e si rinforza con la discriminazione istituzionale, non con l’azione individuale. La discriminazione istituzionale deriva dall’organizzazione strutturale, dalle politiche e dalle procedure di istituzioni come il governo, le imprese e le scuole, ed è estremamente efficace poichè coinvolge ampie fasce della popolazione. Non essendo associata a un individuo in particolare, è molto difficile da eliminare. Stando all’ipotesi del contatto elaborata da Allport il contatto tra membri di gruppi diversi può ridurre il pregiudizio se è protratto nel tempo, se coinvolge gruppi di uguale status aventi obiettivi comuni e se viene approvato dalle autorità. Le spiegazioni del pregiudizio e della discriminazione fondano le proprie basi sul fatto che discriminare porti dei privilegi, in quanto socializzare al pregiudizio (radicato nella cultura) favorisce l’in-group all’interno della società. Altre spiegazioni che fanno riferimento agli interessi del gruppo, si focalizzano sulle modalità di competizione tra gruppi per risorse scarse, come i posti di lavoro o le case popolari. In generale, la discriminazione spesso sembra aumentare nei periodi di crisi, quando la competizione per risorse scarse cresce. La split labor market theory afferma che i conflitti etnici e razziali emergono spesso quando due gruppi di etnia o razza differente competono per gli stessi posti di lavoro. Si verifica perciò anche la chiusura di gruppo, dove la maggioranza adotta dei meccanismi di esclusione per marcare i propri confini (segregare gruppi etnici in determinate zone, creare distanze fisiche). Più in generale, i membri di un gruppo possono vedere in quelli di un altro una minaccia, specie nei momenti di difficoltà. Il capro espiatorio è un individuo o un gruppo falsamente accusato di aver creato una situazione negativa. La maggioranza ricorre a stereotipi scaricando la loro conflittualità su tali individui (es. durante la fine della prima guerra mondiale, a fronte di una crisi economica e politica i nazisti usarono gli ebrei come capro espiatorio di tutti i problemi del paese). Infine, Cohen ha definito le 5 caratteristiche che spiegano il concetto di panico morale: -Aumentare la preoccupazione per un certo gruppo sociale; -Aumentare il conflitto, l’odio verso quest’ultimo; -Si crea consenso sul fatto che tali gruppi siano una minaccia; -Tuttavia la minaccia è infondata o esagerata; -Il panico morale è volatile: va e viene. CAPITOLO 8 Il concetto fa riferimento alla distinzione biologica tra femmine e maschi. Per contro, il genere si basa su distinzioni sociali e designa le aspettative culturali socialmente costruite che si associano alle donne e agli uomini. Esistono 3 prospettive che spiegano le differenze tra uomo e donna: -Differenza naturale: gli aspetti biologici spiegano i comportamenti diversi di uomini e donne, definendo le differenze innate; -Socializzazione di genere: le differenze derivano dall’apprendimento dei ruoli di genere attraverso agenti di socializzazione come famiglia, scuola, media. Per cui le differenze di genere sono un prodotto culturale. -Genere e sesso sono solo costruzioni sociali. Anche il corpo è soggetto a delle forze sociali (pressioni) che lo plasmano. La “cultura” può plasmare la “biologia”. Quest’ultima critica la seconda prospettiva in quanto sostiene implicitamente la teoria della differenza naturale. In sintesi, la biologia ci rende maschi o femmine; la cultura ci insegna a essere uomini o donne. Il genere è un costrutto sociale che si forma nella cultura ma viene a far parte del Sé di una persona. L’identità di genere è l’identificazione di una persona in una donna, in un uomo o in una combinazione dei due (il modo in cui le persone si percepiscono). Si elabora sulla base di caratteristiche sociali e culturali, in una certa cultura. L’identità di genere è costituita da stereotipi ai quali le persone sono socializzate e che distinguono il genere maschile e femminile. L’identità è prevalentemente appresa attraverso copioni sessuali adeguati al proprio genere. Esiste un ampio consenso tra gli studiosi sul fatto che la biologia non determina l’identità di genere. L’espressività di genere è la comunicazione dell’identità di genere di una persona agli altri, tramite il comportamento, l’abbigliamento, l’acconciatura e altri mezzi. Poiché il genere non coincide con il sesso, l’identità e l’espressione di genere non coincidono necessariamente con il dato biologico (le persone transgender ad esempio si identificano con un genere diverso da quello associato al loro sesso, e possono diventare transessuali dopo essersi sottoposti ad interventi di ricostruzione degli organi sessuali). Connell ha proposto il fondamentale concetto di ordine di genere vale a dire l’insieme delle relazioni, norme e rappresentazioni che danno forma a determinati modi di essere del maschile e del femminile in una società definendo la maschilità e la femminilità. Si manifesta particolarmente su 3 dimensioni: -Lavoro: riguarda la divisione sessuale del lavoro in ambito familiare e professionale (es. fenomeno segregazione occupazionale); -Potere: riguarda le relazioni basate sull’autorità, sulla violenza, sull’ideologia che si esprimono nella vita domestica e nelle istituzioni sociali; -Catessi: concerne le dinamiche dei rapporti affettivi, emozionali, intimi. Partendo da questi concetti è possibile identificare delle forme particolari di maschilità e femminilità. In ogni società si producono 3 tipi di maschilità: -Egemone: domina su tutti i tipi di maschilità e femminilità e si manifesta attraverso il sistema educativo e i mezzi di comunicazione. Creano il dividendo patriarcale e, gestendo il potere, questi egemoni permettono agli altri uomini di goderne; -Complice: traggono vantaggio dalla posizione dominante degli egemoni; -Subordinata: rientrano gli uomini che non godono dei vantaggi citati precedentemente (omosessuali) Rientrano nella società anche due tipi di femminilità: -Enfatizzata: orientata al soddisfacimento degli interessi e desideri della maschilità egemone, e si caratterizza per essere empatica e sensuale. Si manifesta nella donne più giovani con la disponibilità sessuale, e in quelle più mature con la maternità; -Resistente: si oppongono al dominio maschile. Si riconoscono ad esempio donne lesbiche, single, femministe. Lo scarto tra le idee proclamate dalle maschilità e dalle femminilità, e le pratiche reali nelle quali ci si allontana dal modello, è uno dei primi possibili motori del cambiamento dell’ordine di genere. Sempre Connell ha sottoscritto riguardo l’ordine di genere alcuni livelli di crisi: -Istituzionalizzazione: la messa in discussione di alcune istituzioni sociali (famiglia); specifici per incentivarla e realizzarla, poiché se da una parte la paternità rende gli uomini più affettivi e partecipi della cura dei figli, dall’altra le strutture sociali (economiche e professionali) continuano a disincentivare e addirittura sanzionare informalmente gli uomini che “sottraggono” tempo al lavoro per la cura dei figli. La disuguaglianza di genere ha dunque bisogno di mutamenti a livello macro e microsociologico. La parola sessualità designa i desideri, i comportamenti e l’identità sessuale di una persona. Per la sociologia è una costruzione sociale (come il genere) che va ben oltre la semplice riproduzione della specie. Esistono due approcci fondamentali alla sessualità umana. Da una parte, possiamo considerare gli esseri come animali “superevoluti”, per i quali il sesso è semplicemente un’attività biologica “naturale” necessaria alla riproduzione, come avviene per gli animali. Dall’altra parte il comportamento umano è il prodotto della cultura, oltre che della biologia, e in questo senso la sessualità non è tanto “naturale”, quanto piuttosto un insieme di pratiche socialmente regolate che variano da una cultura all’altra e nel tempo. Le culture hanno sempre delle norme e delle aspettative riguardo alla sessualità (es. a che età l’attività sessuale può essere considerata appropriata? Il sesso al di fuori del matrimonio è lecito ecc…). Culture diverse rispondono in modo differente a queste domande, ma tutte hanno una qualche forma di tabù dell’incesto, una norma che vieta relazioni sessuali tra determinati parenti, come messo in luce dagli studi di Freud e Levi-Strauss. Poiché l’accoppiamento tra parenti stretti aumenta il rischio di tare fisiche o mentali, i tabù dell’incesto riducono questo rischio. Il fatto di riconoscere differenti identità sessuali è un processo spiccatamente sociale. Così come la percezione del comportamento sessuale, la cultura influenza anche quella dell’identità sessuale. La teoria queer afferma che le identità sessuali sono socialmente costruite e quindi durante la vita di una persona si evolvono e possono essere modificate. L’identità sessuale (orientamento sessuale) designa il nostro Sé in relazione al tipo di attrazione sessuale che proviamo nei confronti degli altri. Tutte le forme di comportamento sessuale esistono da quando esiste l’umanità. Per quasi tutta la storia dell’umanità il comportamento sessuale e ciò che oggi definiamo identità sessuale sono stati separati. Nelle società, la popolazione può essere ripartita in quattro gruppi principali: -eterosessuali; -omosessuali: Focault affermò che gli scienziati iniziarono a studiare i comportamenti sessuali verso la metà del XIX secolo. Fu allora che la sessualità venne per la prima volta sottoposta a un’indagine approfondita. Nel loro studio dei comportamenti sessuali, i medici e gli psichiatri iniziarono a classificarli in categorie separate quali “normali” e “ devianti”. I governi cominciarono a tentare di regolamentare e controllare le pratiche ora considerate “devianti”. Alla fine dell’Ottocento, le società occidentali iniziarono a inquadrare chi si dedicava all’attività omosessuale in una nuova categoria sociale distinta e separata ovvero gli “omosessuali”. Durante la seconda metà del XX secolo, tuttavia, aumentò lo scetticismo nei confronti di tale rigida separazione tra le identità sessuali e in relazione ai tentativi di imporla come un dogma. Nel 1948, Kinsey ipotizzava che, invece di inquadrarsi nell’una o nell’altra di quelle due categorie la sessualità delle persone si posizionava all’interno di un continuum: omosessualità casuale, situata, personalizzata e come stile di vita; -bisessuali; -asessuali. Le diverse culture hanno visione assai divergenti su lesbiche, gay, bisessuali e transgender (nel loro complesso abbreviati in LGBT). L’eterosessismo, un insieme di atteggiamenti e di comportamenti che indica la convinzione che tutti siano eterosessuali, è molto comune. Gli eterosessisti non provano necessariamente sentimenti negativi nei confronti degli LGBT, si limitano a ignorarne l’esistenza. Per contro, l’omofobia è un misto di disapprovazione e di paura nei confronti degli LGBT ed è spesso fonte di ostilità e discriminazione. Talcott Parsons evidenziò la tensione esistente tra i diversi ruoli che la donna americana ricopriva. Parsons accettava acriticamente l’idea che la specializzazione dei ruoli tra i sessi avesse una funzione preziosa per la società. Il lavoro retribuito avrebbe una funzione strumentale perché orientato a un compito specifico e comporterebbe interazioni impersonali di breve termine, mentre la famiglia svolgerebbe le funzioni espressive insite in una relazione interpersonale stabile e di lunga durata. Parsons sembrava presumere che donne e uomini accettassero di buon grado tale situazione, condividendo i valori che vi si associano. Secondo questo studioso, la netta separazione dei ruoli tra i sessi riduce la competizione tra marito e moglie per il primato all’interno della famiglia. Negli anni 60 e 70 il movimento delle donne ha messo in discussione questi assunti. Le teoriche del femminismo (filosofia che promuove l’uguaglianza sociale, politica ed economica tra uomini e donne) osservavano che non c’era alcuna ragione per cui un individuo non potesse svolgere sia funzioni strumentali sia funzioni espressive, o per cui agli uomini dovessero essere assegnate esclusivamente quelle strumentali e alle donne unicamente quelle espressive. Il femminismo da allora è stato identificato come un fenomeno a periodi intensi, detti ondate: -prima ondata: USA e Regno Unito, le attiviste lottavano per i diritti pubblici e civili (voto); -seconda ondata: anni 60 e 70, si affrontavano problemi sulla disuguaglianza di genere; -terza ondata: anni 90 sino ad oggi, promuove l’autostima sessuale, rivendicando il “girl power”. CAPITOLO 9 Per disuguaglianza sociale intendiamo una distribuzione ineguale di risorse economiche, sociali, politiche e culturali all’interno di un determinato contesto sociale. Tra gli individui esiste un’asimmetria dovuta non solo all’avere capacità differenti per ragioni genetiche, ma anche al modo in cui è strutturata la società cui appartengono. Le disuguaglianze sociali si basano su una particolare combinazione di: - Desiderabilità; - Abbondanza: le disuguaglianze abbisognano di una soglia minima di abbondanza. L’abbondanza che genera disuguaglianze è quella relativa - Scarsità. Le disuguaglianze sociale iniziarono a comparire con la nascita delle prime città e dell’agricoltura. Con esse nacquero anche i criteri culturali complessi dando forma a un sistema di potere. I sistemi di stratificazione sono sistemi di disuguaglianza strutturata che presentano 3 caratteristiche fondamentali: - Ineguale distribuzione delle risorse; - Presenza di distinti gruppi che formano differenti strati sociali gerarchizzati; - Presenza di un’ideologia che spiega e giustifica queste disuguaglianze. Il primo elemento comune a tutti i sistemi di stratificazione è l’ineguale distribuzione di risorse ritenute preziose (risorse economiche, umane, culturali, sociali, di status, civili e politiche). Il secondo elemento comune a tutti i sistemi di classificazione è la presenza di gruppi distinti, basata sulla classe sociale, l’etnia e il genere. I gruppi esistenti all’interno di un sistema di stratificazione possono essere basati sia su status ascritti (impossibilità di muoversi da uno strato all’altro) sia su status conseguiti (possibilità di realizzare la mobilità sociale). Il terzo elemento è l’esistenza di un’ideologia, ovvero un sistema di credenze che aiuta a definire e spiegare il mondo, in questo caso a giustificare l’esistenza delle disuguaglianze. Il modo più efficace è quello di convincere la gente che il sistema di disuguaglianze è giusto o inevitabile. Sono quattro i principali sistemi di stratificazione storicamente esistiti e che, in alcuni casi, continuano a intrecciarsi ai sistemi di classe contemporanei: -Schiavitù: forma estrema di disuguaglianza, per cui alcuni individui sono oggetto di proprietà di altri (uomini liberi). Questo sistema di stratificazione costituiva a un tempo sia l’ossatura sociale sia la principale base produttiva del mondo antico. Con l’ascesa dei diritti dell’uomo e dell’idea che che tutti gli uomini sono uguali tra loro, la schiavitù cominciò a scomparire progressivamente; -Patriarcato: è uno dei più antichi e tuttora presenti nel mondo. Si basa sul primato assoluto del pater familias rispetto agli altri componenti della comunità e, in alcune forme estreme, sul suo diritto di vita e di morte, riconosciuto dalla legge, su tutti i membri della propria casa. Enfatizza e giustifica la disuguaglianza e la divisione del lavoro sociale in base alla presunta superiorità dell’uomo rispetto alla donna; -Sistema delle caste: si basa su diverse caratteristiche ascrittive, determinate alla nascita. Lo strato sociale (casta) all’interno del quale le persone nascono ne determina largamente le chance di vita, influenzando, in particolare, il loro accesso all’educazione, le loro possibilità di occupazione, dove essi possono vivere e con chi possono sposarsi; -Sistema dei ceti: il feudalesimo, come viene ora chiamato questo sistema, variava da paese a paese, ma nella maggioranza dei casi era costituito da tre strati principali quali nobiltà, clero e terzo stato. Un ceto sociale è quindi uno strato sociale cui vengono associati diritti, doveri e privilegi specifici, individuati dal diritto, e connotato da un certo stile di vita. Nonostante i primi tre continuino a sopravvivere in diverse forme e con forza variabile all’interno di alcuni contesti odierni, sono i sistemi di classe a caratterizzare la strutturazione delle disuguaglianze nella maggior parte delle società contemporanee. L’espressione classe sociale (utilizzata per la prima volta dai francesi nel primo ottocento) definisce un insieme di persone che condividono una determinata condizione economica. Espressioni come “classe media” o “ tute blu” ricorrono frequentemente nei nostri discorsi e molte di esse affondano le proprie radici nell’analisi sociologica delle classi e della disuguaglianza. La divisione della società in classi è un sistema di stratificazione che coinvolge sia risorse economiche sia risorse culturali. Marx ha studiato le classi sociali in base alla relazione tra i lavoratori e i mezzi di produzione. Secondo Marx nelle economie industriali, la risorsa 2- Modello corporativo: caratteristico in Germania, Francia e nei paesi del Benelux. Anche qui lo stato svolge un ruolo centrale; 3- Modello mediterraneo: sviluppatosi in Italia, Grecia, Spagna e Portogallo, abbina a un mix di tutele a base corporativa e universalistica un ruolo riservato alla famiglia. Anche il “terzo settore” svolge un ruolo fondamentale; 4- Modello liberale: tipico di Stati Uniti, Irlanda e Nuova Zelanda, presenta un sistema dove il mercato e il settore no-profit costituiscono gli attori principali del sistema di Welfare, mentre lo stato interviene in via residuale. Dopo un lungo periodo in cui le disparità sociali erano diminuite (anni 50’ – anni 80’), anche grazie allo sviluppo del Welfare State, si assistette a un’accentuata crescita delle disuguaglianze all’interno degli Stati. Di fronte a questi nuovi fenomeni, sono stati proposti tre approcci: -L’approccio neo-marxiano: ruota attorno a due assunti principali: -lavoro, con le sue trasformazioni legate allo sviluppo tecnologico; -capitale sempre più transnazionale e finanziarizzato e di una tecnologia sempre più pervasiva e centrata sull’elaborazione delle informazioni; -L’approccio neo-weberiano:dedica un’attenzione particolare sia allo studio dei processi di mobilità sociale sia all’influenza del potere nella produzione e riproduzione delle disuguaglianze -Teoria della frammentazione: credenza che con l’avvento della società post-industriale ha comportato mutamenti sociali nel sistema delle classi. Le disuguaglianze si sono frammentate e ricomposte in modo catodico e imprevedibile, così come si è frammentata l’identità stessa dei singoli individui, ora correlata a un insieme sempre più esteso e mutevole di appartenenze spesso contraddittorie. La disuguaglianza interna ai singoli paesi è dunque in relazione con la disuguaglianza globale, che consiste nelle differenze di ricchezza e potere tra i paesi del mondo. I sistemi economici dei singoli stati sono sempre più interconnessi. Gli studiosi usano comunemente aggettivi come “sviluppato”, “emergente” e “poco sviluppato” per sintetizzare il livello di avanzamento industriale e tecnologico di un paese. La distribuzione globale del reddito è estremamente ineguale e l’impatto del Covid-19, secondo un recente rapporto di Oxfam International. ha ampliato ulteriormente il divario tra ricchi e poveri: -allo scoppio della pandemia oltre tre miliardi di persone non avevano pieno accesso all’assistenza sanitaria; -si stima che solo nel 2020 l’aumento del numero totale di persone che vivono in povertà sia tra i 200 e i 500 milioni. Il livello del reddito è radicato un una serie di dimensioni: -Aspettativa di vita e salute: la povertà uccide (mortalità infantile, malnutrizione, polmonite HIV/AIDS ecc..); -Abitazione: quasi un terzo della popolazione mondiale vive in abitazioni instabili, senza acqua potabile e servizi igienici; -Istruzione: grande tasso di analfabetismo nei Paesi poveri. La disuguaglianza esiste in tutti i Paesi ed è determinata in parte dalle scelte di politica pubblica. I livelli più elevati di disuguaglianza si riscontrano in America centrale e meridionale e nell’Africa meridionale. In queste zone, una piccola élite controlla risorse limitate, mentre la maggior parte della popolazione vive in povertà. In definitiva la natura e la dimensione della disuguaglianza dipendono dall’equilibrio di potere che esiste all’interno di una società. Oggi, la maggior parte dei sociologi identificano due grandi cause sociali di disuguaglianze globali: la cultura e il potere. L’industrializzazione ha trasformato le società europee, abolendo gli stili di vita tradizionali e creando un’abbondanza senza precedenti. Ma non tutti i paesi hanno vissuto questo cambiamento. Secondo la teoria della modernizzazione (che attribuisce la disuguaglianza globale alle differenze culturali tra i paesi) alcune società hanno resistito all’industrializzazione perché preferivano mantenere stili di vita tradizionali. Di conseguenza, si venne a creare un divario economico sempre più ampio tra i paesi industrializzati e quelli allora definiti “in via di sviluppo”. La spiegazione alternativa è basata sulla teoria della dipendenza che attribuisce la disuguaglianza globale allo sfruttamento dei Paesi poveri da parte di quelli ricchi. Teoria che individua l’origine in circa cinque secoli fa, dove iniziò una competizione globale sulle risorse, vale a dire il Colonialismo: l’utilizzo del potere militare, politico ed economico per dominare i membri di un’altra società per trarre beneficio. Forme più visibili di colonialismo furono applicate dall’impero britannico e spagnolo verso i paesi dell’Africa, India, Nordamerica, Sudamerica ecc…. Tutti questi paesi guadagnarono la propria indipendenza tra la fine della Prima Guerra Mondiale e gli anni 70. Tuttavia tali stati hanno fatto fatica a lasciarsi alle spalle il passato coloniale che li ha deprivati di enormi risorse, senza prepararli e svilupparsi economicamente in chiave moderna. Alcuni studiosi affermano quindi che il colonialismo è stato sostituito dal neo-colonialismo ovvero un sistema di dominio economico esercitato sui paesi più poveri senza utilizzare un controllo politico e/o occupazione militare. In questo modo le ex colonie continuano a dipendere da un paese più ricco per gli investimenti. Un altro approccio allo studio della disuguaglianza globale è la World System Analysis che si concentra sull’interdipendenza tra i Paesi che fanno parte di un unico sistema economico globale. Il sociologo Immanuel Wallerstein ritiene che la povertà di alcuni Stati sia dovuta dalla ricchezza di altri. Suddivide i Paesi in tre gruppi principali: -Paesi centrali: i più ricchi del mondo, al centro dell’economia globale. Continuano a dominare l’economia tramite multinazionali istituzioni finanziarie (Stati Uniti, Canada, Giappone ed Europa Occidentale); -Paesi periferici: i più poveri e meno potenti del mondo, situati ai margini dell’economia globale (Africa e America latina); -Paesi semiperiferici: paesi dal reddito medio, rispetto a quelli periferici hanno una base industriale più solida. (Cina, India, Pakistan, Argentina, Brasile). Alcune istituzioni finanziarie globali, come Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e World Trade Organization, mirano a incentivare lo sviluppo dei Paesi più poveri ma sono considerate anche un mezzo di dominio “coloniale”, supportato dalle multinazionali e dai Paesi centrali. CAPITOLO 11 Come si definisce un comportamento normale e come possiamo riconoscerlo? Chi o che cosa ha il potere di consolidare un comportamento normale? Ci si pongono queste domande, però, nel momento in cui ci troviamo di fronte a comportamenti o credenze che sfidano le nostre aspettative o deviano da esse. La devianza è un comportamento non conforme alle norme e alle aspettative culturali e sociali di base, nonché sul suo rapporto con il Sé e l’identità. I confini fra normale e anormale, morale e immorale, appropriato e inappropriato, in salute e malato, sano di mente e pazzo, sono flessibili, anche se gran parte dei membri di una società condivide l’interpretazione della distinzione fra normale e deviante. Secondo la prospettiva funzionalista (Durkheim) la devianza svolge alcune funzioni importanti nella società: -Controllo sociale: permette alle società di definire la loro coscienza collettiva, cioè definire valori, norme e credenze condivise. Se non esistesse la devianza, non esisterebbero nemmeno tali norme e valori. Cosa considerare normale o deviante varia nel corso del tempo e da una cultura all’altra, e spesso accade che la definizione di normale si modifichi in risposta a un cambiamento sociale. Alcuni atti devianti provocano una condanna diffusa, a volte persino universale. Non è la risposta individuale che potrà definire deviante un’azione: un comportamento viene definito deviante quando è pubblicamente qualificato come tale da coloro che hanno il potere di consolidare tale etichetta. Quest’idea è il fulcro della teoria dell’etichettamento, secondo la quale la devianza è il risultato di come altri interpretano un comportamento, e gli individui etichettati come devianti spesso interiorizzano questo giudizio come parte della propria identità. Affinchè si verifichi la devianza è necessario avere un’etichetta, un insieme di simboli che stigmatizzano certi comportamenti (alcolista, drogato ecc…) e l’interazione tra una persona o un gruppo che etichettano (agenti del controllo sociali) e una persona o un gruppo che vengano etichettati (persona comuni). È probabile che chi viene etichettato come deviante debba affrontare conseguenze negative e abbia opzioni limitate nella vita. Tuttavia, può avere conseguenze meno drammatiche. In generale, chi viene etichettato come deviante deve affrontare lo stigma sociale, o la vergogna, associato a quell’etichetta. Lo stigma sociale si riferisce alla vergogna associata a un comportamento o a uno status considerati socialmente inaccettabili o screditanti; può generare disuguaglianza che ridurrebbe la sua reputazione sociale, economica o politica. Inoltre lo stigma sociale può essere di lunga durata Etichettare una persona come deviante genera due tipi di devianza: -Primaria: implica precoci atti di devianza casuali (classica marachella, prima ubriacatura…). Fa parte della vita della maggior parte delle persone e raramente genera etichettamento; -Secondaria: comportamento che persiste e diventa comune e induce le persone ad organizzare la propria identità e vita intorno allo status di deviante. Il rapporto con l’etichetta è duplice poiché il deviante tende ad adattare la propria identità a quell’etichetta. Crea una sorta di profezia che si autorealizza. L’etichettamento segna i confini sociali fra normale e deviante, fra un “noi” e un “loro” socialmente definiti.
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