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Fattori sociali che contribuiscono all'obesità: un'analisi sociologica - Prof. Martone, Appunti di Sociologia

I fattori sociali che contribuiscono all'obesità, analizzando la modalità di lavoro sedentaria, l'appiattimento del tempo libero sui consumi domestici, l'uso crescente di alimenti grassi dei cibi ultra-processati e altri fattori. Vengono inoltre esaminate le strutture sociali, le gerarchie sociali, le istituzioni e la cultura come fattori che influenzano il comportamento umano.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 14/02/2024

giuseppina-buono
giuseppina-buono 🇮🇹

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Scarica Fattori sociali che contribuiscono all'obesità: un'analisi sociologica - Prof. Martone e più Appunti in PDF di Sociologia solo su Docsity! Corso di Sociologia SCIENZE INTERNAZIONALI DELLO SVILUPPO E DELLA COOPERAZIONE Primo anno, Secondo semestre docenti: Martone, Moiso Volume: Progetto sociologia. Guida all’immaginazione sociologica. Manza, J., Arum, R., Haney, L. 2018, Milano-Torino: Pearson. Codice ISBN 9788891905680 Prima lezione 21-02-2023 - Immaginazione sociologica e origini della sociologia La sociologia ha cercato di capire come gli uomini, nel mondo, siano reciprocamente connessi. Chi siamo? Il prodotto di diversi contesti; ognuno di noi proviene da un contesto, da un luogo. La prima cosa che ci viene in mente nel domandarci chi siamo è il luogo in cui siamo nati e cresciuti, ma anche chi c’era in quel luogo e chi abbiamo frequentato. Per cui siamo il prodotto di famiglia, quartieri, gruppo dei pari, comunità, scuola, lavoro, associazioni e organizzazioni, web. Quello familiare è sicuramente il primo contesto e si colloca in un luogo specifico, che può essere il paese o il quartiere. Il gruppo dei pari è formato da coloro che frequentiamo e che condividono i nostri stessi interessi, anche se non provengono dal nostro stesso luogo. Queste interazioni, questi rapporti, forgia il nostro modo di essere, il modo in cui ci vestiamo, in cui portiamo i capelli, ecc… Contesti come la scuola, il lavoro, le associazioni sono dei contesti macro. Per capire chi siamo dobbiamo tenere conto di tutti questi “cerchi”, senza però perdere di vista il punto di partenza (ognuno di noi). Il lavoro da fare è definito di network analysis e si propone di modellizzare tutti i contesti che abbiamo visto in “nodi” (gli agglomerati di punti nella figura). La risposta corretta alla domanda “chi siamo?” sarebbe interazione, ovvero siano in costante interazione in “reti sociali”, l’insieme dei legami tra persone, gruppi e organizzazioni. Ciò comporta tre conseguenze: - la nostra esistenza dipende dalle relazioni che abbiamo con gli altri - nelle nostre biografie si può intravedere la storia della società - le nostre relazioni sociali hanno una dimensione spazio- temporale, ma è rilevante anche il livello globale Le relazioni in compresenza hanno grande significatività; dice l’antropologo Marc Augé, nel 1992 nel Non-lieux che la condizione di “surmodernità” (la collocazione sempre più globale degli accadimenti sociali, intellettuali ed economici a partire della fine del XX secolo) va compresa attraverso “tre figure dell’eccesso: la sovrabbondanza spaziale, la sovrabbondanza di avvenimenti e l’individualizzazione dei riferimenti”. - sovrabbondanza spaziale: anche se non tutti possono viaggiare in tutto il mondo, oggi è possibile viaggiare anche sul web, avendo accesso a tutto il mondo. Questo, paradossalmente, riduce il nostro mondo, lo restringe e rimpicciolisce, perché essendo a portata di mano ci appare più piccolo - sovrabbondanza di avvenimenti: con Internet abbiamo accesso a una quantità enorme di informazioni, avvenimenti e possibilità. Possiamo ad esempio ascoltare cinquanta brani al giorno, fare lezione, frequentare persone stando a casa, viaggiare ecc… Ciò rende più breve la vita, rende tutto più istantanei e giungiamo a una presentificazione - eccesso dell’ego: paradossalmente, frequentare una numerosità inimmaginabile di contesti non ci rende integrati in una comunità così vasta come pensiamo. Ci fidiamo di noi stessi, preferiamo il nostro punto di vista e questo è un aumento della riflessività, che porta a un rischio continuo. Nessuna di queste figure dell’eccesso è necessariamente corretta o sbagliata. Per Augé la fermata di una metropolitana è un’immagine di un non-luogo; le persone hanno relazioni tra loro che non hanno significato. I corpi sono vicini, ma ci si ignora, non ci interessa chi ci sta intorno, abbiamo interessi e temporalità diverse. È una circostanza, un luogo in cui non ci sono relazioni significative. Non è tanto la distanza o il media digitale quanto la significatività delle relazioni. Che cos’è la sociologia? Il suo scopo è scoprire e analizzare i modelli, le regolarità, che informano mondi sociali in cui gli individui partecipano e vivono. La sociologia studia la regolarità che diventa norma sociale. L’obiettivo non è quello di studiare il puntino nelle nebulose, ma studiare come gli individui vivono insieme. Il sociologo e politologo britannico, Anthony Giddens, nel libro Fondamenti di Sociologia (2006), ha definito “la sociologia è quella disciplina che studia con metodo scientifico come le diverse forme di vita umana associata (interazioni, relazioni, rapporti sociali, istituzioni, ecc…) influenzano il nostro comportamento, il nostro modo di pensare e vivere, allo scopo di costruire un sapere teorico (razionale e sistematico) su come ‘funziona’ il mondo sociale” Il sociologo Arnaldo Bagnasco (in Prima lezione di sociologia, 2007) ha detto che la sociologia coltiva, sviluppa, applica a fini di conoscenza, diffonde immaginazione sociologica. Che cos’è l’immaginazione sociologica? Potremmo dire che è la linfa, la benzina, che guida questa scienza. L’immaginazione sociologica è la capacità di pensare sistematicamente che molte cose da noi percepite come problemi personali - per esempio le richieste conflittuali di genitori divorziati, l’incapacità di instaurare una relazione sentimentale gratificante all’università o le difficoltà a trovare un’occupazione - siano, in realtà, questioni sociali ampiamente condivise da altri individui nati in un periodo e in un ambiente sociale simile al nostro. Essa implica il considerare come le nostre vite individuali siano influenzate dai contesti storici e sociali in cui sono vissute. Il sociologo Charles Wright Mills (1916-1962), che coniò l’espressione, ha scritto che “l’immaginazione sociologica ci permette di afferrare biografia e storia e il loro mutuo rapporto nell’ambito della società … è la qualità indispensabile per afferrare l’interdipendenza fra uomo e società, biografia e storia, individuo e mondo per affrontare i problemi personali in modo tale da giungere a controllare le trasformazioni strutturali che generalmente sono alla loro base”. Comprendere il mondo che ci circonda significa riconoscere con quanta forza le nostre esistenze individuali siano influenzate dai luoghi e dai tempi in cui siamo nati, da chi nasciamo e dalla serie di esperienze fatte durante l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta. Le nostre opportunità sono sempre influenzate dalle disuguaglianze e dalle ingiustizie che incontriamo. L’immaginazione sociologica ci aiuta a porre delle domande non scontate sui mondi sociali che abitiamo e a cercare le risposte. quelli che sanno sparecchiare la tavola con rapidità, recepire ordini dati a mezza voce ed eseguirli in quattro e quattr’otto e che, in più, sono bravissimi a fare i conti mentalmente. La loro vivacità emergeva da ogni minimo gesto, da ogni risposta, e anche dall’intensità dello sguardo, dalla precisione dei loro lineamenti: argento vivo. Non vi preoccupate per loro, se la caveranno sempre» Jeason Pine, Lavoro Culturale, 2016 Molte persone si rivolgono a farmaci come Adderall (un’anfetamina ampiamente prescritta per il disturbo da deficit di attenzione), Modafinil (un eccitante alternativo sempre più popolare, utilizzato dalle Forze Armate, da paramedici, accademici, broker di borsa e altri professionisti) e ad altre biotecnologie per il miglioramento delle prestazioni gli integratori per una migliore cognizione, sonno e umore, steroidi e testosterone per attività fisica (…). Questi accessori hanno un valore economico in diverse vocazioni e mondi sociali, e le due cose sono in genere correlate. Svolgono funzioni materiali potenti, ma hanno anche un enorme portato simbolico, incidendo sullo stile di vita concreto negli Stati Uniti e altrove, dove le aspirazioni per una migliore posizione sono un imperativo morale. L’immaginazione sociologica nella pratica: immaginare biografia, società e storia Disegno della ricerca: Arum e Roksa studiano il percorso di più di 2000 giovani provenienti da 24 College e università statunitensi, che hanno concluso gli studi con esiti positivi. Il 24% dei laureati del campione, tuttavia, non riesce a trovare un impiego e rientra a vivere dai genitori. Il gruppo di lavoro si è posto queste domande: - come influiscono le esperienze di vita sulle esperienze all’università di studenti e studentesse? - come incide l’organizzazione sociale della vita universitaria? - l'esperienza dell’università avvantaggia tutti in egual misura? - in che modo i percorsi sono influenzati dai mercati del lavoro? Contesti sociali: dagli individui alla società - la famiglia di origine e il livello di istruzione, la ricchezza e il reddito dei genitori - il quartiere e la comunità locale in cui il bambino crescerà o vivrà da adulto - l’istruzione che egli riceverà (inclusa la qualità delle scuole che frequenterà) - i tipi di organizzazione (chiese, club o gruppi) di cui farà parte o a cui avrà accesso, e le persone che incontrerà in quegli ambienti - il tipo di occupazione che troverà Sono importanti ovviamente anche: il paese (ricco, povero o in rapido sviluppo) e il periodo storico Cos’è normale o naturale? la famiglia come istituzione sociale e storica: Scipione Mazzella nella Descrittione del Regno di Napoli del 1601 chiamava famiglia «un ordine di discendenza, la quale, traendo una persona principio, e ne’ figliuoli, e da’ figliuoli a’ nipoti, e così per conseguente, da’ nipoti a’ pronipoti ampliandosi» Nel 1883 Monaldo Leopardi, nella sua Autobiografia, scriveva che la sua famiglia era composta da lui ed altre dodici persone con le quali viveva «in casa e ad una mensa»: la madre, quattro zii, un fratello e una sorella, un prozio canonico, due istitutori, un cappellano e un altro canonico … Papa Benedetto XVI nel 2007 sosteneva che «Matrimonio e famiglia sono istituzioni che devono essere promosse e difese da ogni possibile equivoco sulla loro verità (…): la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna» La sociologia come studio dei “contesti sociali” La sociologia può dunque intendersi come lo studio dei diversi contesti attraverso cui le vite degli individui prendono forma e il mondo sociale viene creato. Interazione sociale: i modi in cui le persone agiscono insieme, modificando o alterando il proprio comportamento in risposta alla presenza altrui. E’ governata da insieme di norme: le regole fondamentali della società, che ci aiutano a sapere che cosa è o non è appropriato fare in una data situazione, ci forniscono delle “linee guida”. Struttura sociale: i modi in cui regole e norme della vita quotidiana diventano modelli durevoli che regolano le interazioni sociali (tradizioni, costumi, norme formali e informali, regolamenti, ecc.) Gerarchie sociali: insieme di posizioni sociali durevoli che forniscono a individui e gruppi differenti tipi di status. Istituzioni: forniscono i modelli su cui si fonda la nostra esistenza. Differenza tra sociologia e altre scienze sociali: La sociologia non ha una specifica area di competenza, ma si occupa del generale. Esempio di ricerca sulla famiglia: come si riproduce la segregazione femminile nei modelli della figura materna? Partiamo col rispondere che cosa influenza la segregazione dei ruoli familiari? La tradizione, la pratica, le consuetudini (proseguo ad agire perché si è sempre fatto così), Bott Elizabeth ha esaminato le reti familiari di alcune famiglie, prevalentemente di immigrati in USA. Le reti a maglia stretta comportano una maggiore segregazione delle reti a maglia larga, più tipiche dei ruoli coniugali congiunti. Più le reti sono strette più c’è un controllo sociale e pressione al conformismo. Reti strette: tutti si conoscono e c’è maggiore controllo sociale. Le reti a maglia lasca caratterizzano la vita urbana, quella a maglia stretta di società pre-urbane. La sociologia nasce quando si instaurano reti a maglia larga. Le reti sociali sono una delle forme di analisi quantitativa e qualitativa per misurare e analizzare i contesti sociali a cui accediamo. La sociologia si occupa di capire come gli individui partecipano alla società in cui vivono e come ne sono influenzati. Definiamo l’influenza della società sugli individui con contesto sociale (gli ambienti sociali, incluse le condizioni economiche e culturali, che influenzano la vita delle persone). La sociologia è dunque lo studio dei diversi contesti sociali attraverso cui le vite degli individui prendono forma e il mondo sociale viene creato. I mondi sociali che gli individui creano hanno due componenti cruciali: - interazione sociale: i modi in cui le persone agiscono insieme, modificando o alterando il proprio comportamento in risposta alla presenza altrui. È governata da insieme di norme: le regole fondamentali della società, che ci aiutano a sapere che cosa è o non è appropriato fare in una data situazione, ci forniscono delle “linee guida”. La violazione delle norme è causa di problemi. Sappiamo ciò che è adeguato o non adeguato fare, ma come facciamo a saperlo? I sociologi ritengono che ci autocensuriamo perché preoccupati delle conseguenze sociali della nostra azione. Anche se non sono scritte da nessuna parte, noi assorbiamo e impariamo le norme attraverso le interazioni con altre figure importanti. Non conoscere le norme che regolano una situazione ci fa sentire fuori luogo e quando ne violiamo una siamo sempre in imbarazzo. - struttura sociale insieme di forze esterne (gerarchie e istituzioni) che producono le norme. La struttura sociale sono i molti modi diversi con cui le regole e le norme della vita quotidiana diventano modelli durevoli che plasmano e regolano le interazioni sociali. La struttura sociale ha due componenti critiche: 1. gerarchie → una gerarchia sociale è l’insieme di importanti e durevoli posizioni sociali che forniscono a individui e gruppi differenti tipi di status. La nostra posizione in queste gerarchie influenza chi siamo e cosa possiamo fare. Ogni ruolo che occupiamo in una interazione (studente, figlio, leader) le nostre azioni e la gamma di opzioni per l’azione che abbiamo sono influenzate dalle regole e dal grado di potere associato a tali ruoli. 2. istituzioni della società → come matrimonio, famiglia, educazione, merca , forniscono i modelli su cui si fonda la nostra esistenza quotidiana. Nonostante la loro importanza raramente ci rendiamo conto della loro esistenza e questo avviene solo quando vengono a mancare. Diventano evidenti anche quando ci pesano, quando ci impediscono di agire liberamente. Ma sono tuttavia importanti poiché pur ponendo dei limiti danno opportunità; senza di loro, infatti, ci sarebbe il caos. Glossario Ruolo: posizione in un’istituzione o organizzazione legata ad aspettative sociali specifiche su come comportarsi ed essere trattati. Alcuni ruoli possono essere ascritti (assegnati per nascita) e altri possono essere acquisiti. Gerarchia sociale: insieme di importanti relazioni sociali che forniscono agli individui e ai gruppi differenti tipi di status, alcuni considerati superiori ad altri Istituzione: una nozione complessa utilizzata per indicare le pratiche umane strutturate e durevoli costituite attorno a regole e norme ben definite e imperniate su organizzazioni importanti come il governo, i tribunali, le chiese, le scuole o l’esercito. **La ricerca quantitativa e quella qualitativa rappresentano due metodi complementari, da poter associare nelle indagini per ottenere risultati che siano al contempo capillari e approfonditi. In parole semplici, i dati quantitativi forniscono le cifre che dimostrano i punti generali complessivi della tua ricerca, mentre i dati qualitativi forniscono i dettagli e gli approfondimenti necessari per capirne a pieno le relative implicazioni. Nonostante le risposte differenti, ogni teoria sociale (e ogni torico) deve affrontare tre sfide centrali, tre questioni: - qual è la natura dell’individualità? In che modo l’individuo agisce nel contesto sociale? (che ruolo ha l’individuo) - Qual è il fondamento dell’ordine sociale? Che cosa tiene unite le società? (che ruolo ha l’ordine sociale?) - Come cambiano le società, e in quali circostanze avviene il cambiamento? (cambia? come cambia?) Le basi della sociologia moderna possono essere ricondotte agli scritti di alcuni autori influenti della seconda metà del XIX secolo e dell’inizio del XX, un periodo di enorme cambiamento e di grandi trasformazioni: - passaggio da un’economia agricola a un'economia industriale e del lavoro in fabbrica (rivoluzione industriale) - migrazione dalle aree rurali alle città - passaggio dalle monarchie alle democrazie, con la nascita dello Stato-nazione sovrano - mutamento del ruolo della religione e la sua perdita di influenza sulla vita pubblica, con conseguente aumento dell’importanza delle idee laiche La teoria sociale classica Studiamo a partire da Karl Marx, che affronta ciascuna delle grandi questioni centrali in un modo che i critici successivi avrebbero discusso e sviluppato. Vedremo poi Emile Durkheim, Georg Simmel, Max Weber e W.E.B. Du Bois. Karl Marx (1818-1883) Karl Marx fu una figura di spicco del movimento socialista e fondatore del cosiddetto “socialismo scientifico”. Si dedicò a studi di economia, storia e teoria sociale, senza mai definirsi (ed essere definito) sociologo. Ciononostante, le sue opere (scritte assieme alla collaborazione dell’amico Friedrich Engels) hanno aperto un dibattito all’interno della disciplina e molti dei primi sociologi hanno sviluppato la loro teoria in risposta al pensiero di Marx. Gli scritti di Marx si basano su un principio fondamentale: il modo in cui gli esseri umani producono ciò di cui hanno bisogno per vivere costituisce il fondamento di ogni società. Di conseguenza, il sistema economico di una società e le relazioni che scaturiscono da esso definiscono il funzionamento di quella stessa società. Per Marx la storia dell’uomo può essere compresa ricostruendo la storia dei diversi sistemi economici; il sistema economico, nella sua concezione, influenza profondamente anche la cultura e la politica di una società. Il suo ragionamento parte dal fatto che ogni società produce un surplus economico, ovvero produce più beni di quelli necessari a soddisfare i propri bisogni materiali qualora tali beni fossero distribuiti equamente. Dal momento in cui il surplus economico non è distribuito in modo equo, vi sono due domande da cui partire per analizzare la società: chi si appropria di questo surplus e quali mezzi usa per fare ciò? Dal momento in cui il controllo del surplus genera dei ricavi extra che non vengono condivisi con gli altri, per Marx in ogni società ci sono tensioni tra i gruppi in grado di generare conflitti e rivoluzioni sociali. Definisce questi gruppi classi, riferendosi a gruppi di persone con gli stessi interessi economici sulla base della loro relazione con i mezzi di produzione. Per distinguere le classi Marx si basa sul possedere o meno, sulla proprietà dei mezzi di produzione. Per questo distingue due classi principali, la borghesia capitalista che possiede i mezzi di produzione e il proletariato che è costretto a lavorare per procurarsi i beni di necessità. Nel Manifesto del partito comunista del 1848, Marx ed Engels individuano nella storia di tutte le società tre diversi modi di produzione caratterizzanti del sistema economico dominante in un determinato periodo e le classi che esso genera: - società antiche, fondate sulla schiavitù - feudalesimo caratterizzato da pochi proprietari terrieri e i servi della gleba - capitalismo, la cui economia si basa sul mercato Ciascuno di questi modi di produzione si compone di due parti: - forze di produzione (capacità produttiva e tecnologica) → insieme degli strumen u lizza per produrre beni - rapporti sociali di produzione (relazioni e disuguaglianze tra i diversi gruppi di persone nel sistema economico) → il modo in cui le persone si organizzano per svolgere le attività che servono a produrre quei beni Per Marx il modo di produzione di una società influenza e addirittura determina le leggi e i sistemi di governo. Nella sua opera più famosa, Il Capitale (1867), Marx prevede correttamente che il capitalismo sarebbe diventato il sistema economico dominante in tutto il mondo. Egli credeva che al centro delle società capitaliste vi fosse il conflitto tra due classi: la borghesia (che possiede le particolari risorse da lui definite capitale - il denaro e altre risorse da investire -) e il proletariato, assunto dalla borghesia tramite il capitale. Marx inoltre non ignora l’esistenza di altre figure, come piccoli imprenditori, artigiani e commercianti, ma dal momento in cui le imprese più grandi sono in grado di produrre a costi inferiori, predice che queste figure intermedie falliranno e verranno assorbite dal proletariato. Le società capitaliste moderne quindi si sarebbero polarizzate in una borghesia limitata e un proletariato sempre più ampio. Nonostante la possibilità dei modi di produzione di durare a lungo nel tempo, Marx ritiene che essi prima o poi diventino stagnanti ed entrino in crisi, portando a delle rivoluzioni sociali e all’affermazione di un nuovo modo di produzione. Così come in epoca feudale, i capitalisti avevano rovesciato il feudalesimo per creare un nuovo sistema economico, alla fine anche il proletariato avrebbe rovesciato il capitalismo e dato vita a una società socialista, in cui le forze di produzione sarebbero state possedute da tutti tramite l’abolizione della proprietà privata. Il proletariato sarebbe giunto alla rivolta perché i capitalisti, spinti dalla volontà e necessità di mantenere e ampliare i profitti, avrebbero teso a ridurre sempre di più i salari dei lavoratori. Questa teoria è conosciuta come teoria della lotta di classe e si basa sull’idea che in tutti i sistemi economici le classi sociali entrino inevitabilmente in conflitto tra loro. Il mondo in cui viviamo oggi appare diverso da quello teorizzato da Marx; il capitalismo sembra più solido che mai, ma è cambiato in modi che Marx ed Engels non previdero. Ha sviluppato ampi programmi per la sicurezza sociale, come i sussidi per la disoccupazione, le assicurazioni sanitarie gratuite o di basso costo, sistemi scolastici, volti a ridurre la povertà e la disuguaglianza sociale. Marx aveva sottostimato la disponibilità dei capitalisti ad offrire salari dignitosi, soprattutto di fronte alla necessità di assumere personale qualificato. Così invece di peggiorare, la qualità della vita dei lavoratori è migliorata a partire dalla fine del XIX secolo. Ciononostante, il modello di società e cambiamento proposti da Marx oggi sono ancora rilevanti; innanzitutto perché fu il primo a teorizzare ciò che noi oggi chiamiamo globalizzazione. Insieme ad Engels, infatti, prevede la diffusione dell'economia capitalista già a metà del XIX secolo. In secondo luogo, il fallimento del comunismo in Russia e nell’Europa dell’Est concordano perfettamente con quanto previsto da Marx: egli sosteneva che il capitalismo è capace di sviluppare un’enorme capacità produttiva, creando le condizioni per l'affermazione del socialismo. I grandi leader come Lenin e Mao cercarono di saltare questa fase, passando dal feudalesimo al socialismo; al momento della rivoluzione bolscevica, infatti, la società russa è ancora di tipo feudale e non aveva vissuto il passaggio dal feudalesimo al capitalismo, per cui si passò da un modo di produzione fedale ad uno comunista. Ciò risultò infattibile ed infatti i leader di quei paesi introdussero successivamente una svolta capitalistica, i cui effetti economici sono stati impressionanti, soprattutto per la Cina. Karl Marx ha una concezione materialistica della storia (materialismo storico), sostiene che il tempo in cui viviamo (le formazioni storico-sociali) sia determinato dai modi di produzione (dall’organizzazione economica). Per cui la struttura economica determina la sovrastruttura giuridica e politica (per cui Marx è anche deterministico). A un dato modo di produzione corrisponde una data società; per Marx l’esserci organizzati come Stato-nazione è funzionale al sistema capitalistico. Il materialismo dialettico di Marx: per Marx la società cambia, ma ciò non avviene perché cerca l’equilibrio, bensì perché alcuni componenti al suo interno entrano in conflitto. La struttura economica che determina la società sta nelle forze produttive. Nel vocabolario di Marx ogni tempo storico si caratterizza da determinate forze produttive (capacità produttiva e tecnologica). I rapporti di produzione sono relazioni e diseguaglianze tra diversi gruppi di persone all’interno del sistema economico. L’insieme di queste due (forze produttive e rapporti di produzione) formano i modi di produzione (insieme di date forze produttive e dati rapporti di produzione); il capitalismo è un modo di produzione. Marx ha studiato modi di produzione differenti: economia schiavistica, feudale, imperiale e capitalistica. specializzazione; gli individui acquisivano competenze specialistiche e vivevano grazie alla propria occupazione. A tenere unite le società moderne (più articolate e complesse) sono comunque delle credenze profonde e ampiamente condivise per mantenere la propria unità. Durkheim sostiene che il fondamento della società nelle società moderne risieda nel fatto che queste società garantiscono agli individui una libertà che le società primitive non potevano assicurare. Nelle società moderne gli individui sono più liberi di esprimere i propri gusti, le proprie preferenze e i propri interessi, poiché queste società non spingono gli individui a conformarsi agli stessi valori morali. Partendo dalla riflessione sulla natura della solidarietà organica, Durkheim elaborò una teoria sul ruolo della religione nelle società primitive e moderne. Sviluppò una definizione di religione basata sul concetto di sacro, riferito agli oggetti, luoghi e simboli che occupano uno spazio separato dalla sfera della vita quotidiana e che suscitano soggezione e venerazione. Il sacro non fa necessariamente riferimento alla dimensione soprannaturale, oltre agli elementi che fanno riferimento alla divinità, esistono molte altre cose che non hanno a che fare con il soprannaturale; eppure, vengono considerate sacre (bandiera di un paese, morti in difesa della patria, luoghi del ricordo, ecc.). Per Durkheim sono le forze sociali (prodotte dall'uomo) a plasmare il senso del sacro; se la religione non è creata da Dio o da qualche altra forza soprannaturale, allora deve essere stata necessariamente creata dall’uomo. La forza della religione, dunque, è data dalla società stessa e ciò che gli uomini venerano quando adorano una divinità in realtà è il vincolo sociale. La religione può essere anche civile, come la fede nella nazione e nella patria; essa mantiene unite le società e i gruppi sociali e fornisce agli individui una serie di credenze comuni, rafforzando sia gli individui che la società. Durkheim interpreta in modo completamente differente da Marx lo stesso periodo storico. Ne Le regole del mondo sociologico (1895) egli introduce un concetto fondamentale, quello dei fatti sociali, “cose” indipendenti dagli individui, la società che si impone sugli individui. La società è una realtà sui generis che è possibile indagare con una scienza autonoma: la sociologia. Obiettivo della sociologia è quello di estendere alla condotta umana il razionalismo scientifico delle scienze naturali, mostrando come essa sia riconducibile a rapporti di causa-effetto. Qual è la natura dell’individualità? I fatti sono sociali in quanto prodotti dall’agire umano che persistono nel tempo; sono “fatti” o “forze” sociali nel senso che noi nasciamo in un mondo in cui esistono numerose regole e costumi e siamo obbligati a rispettare tali regole per adattarci alla nostra comunità e interagire. I fatti sociali sono esterni all’individuo e esercitano su di esso un potere coercitivo. Devono essere spiegati con altri fatti sociali e non possono essere ridotti alle dinamiche psicologiche degli individui (rifiuto del riduzionismo). “La società non è una semplice somma di individui, al contrario, il sistema formato dalla loro associazione rappresenta una realtà specifica dotata di caratteri propri. Dalla combinazione delle coscienze individuali deriva la coscienza collettiva. Aggregandosi, penetrandosi, fondendosi, le anime individuali danno vita a un essere che però costituisce una individualità psichica di nuovo genere. Perciò bisogna cercare nella natura di questa individualità, e non già in quella delle unità componenti, le cause prossime e determinanti dei fatti che vi si verificano: il gruppo pensa, sente e agisce in modo del tutto diverso da quello in cui si comporterebbero i suoi membri se fossero isolati.” L’uomo è sottoposto a norme e regole coercitive, indipendenti da lui, che lo inducono ad agire in modo appropriato. Per capire ciò, Durkheim propone di studiare individui associati; due innamorati pensano alla loro unione, alla loro relazione affettuosa come una cosa che non è unicamente tra loro due, ma come a qualcosa di terzo che esiste. Per Durkheim persino il suicidio è un fatto sociale e può essere spiegato solo da altri fatti sociali. Quali sono le forze sociali esterne all’individuò che influenzano, per carenza o per eccesso, i tassi di suicidio? - l’integrazione: senso di appartenenza o di inclusione sociale. che crea legami tra l’individuo e il gruppo. Più sentiamo di appartenere e meno siamo propensi al suicidio - la regolazione: le regole e le norme sociali che pongono freni ai comportamenti dettati dalle passioni individuali. Più viviamo in un’epoca in cui la società è organizzata e sono chiare le norme sociali da seguire, meno si + propensi al suicidio. Dall’incrocio di queste due variabili, Durkheim individua quattro tipologie di suicidio: suicidio egoistico, caratterizzato da mancanza di integrazione e regolazione sociale. L’individuo pensa solo a sé stesso e non trova senso nei legami con la società. L’individuo pensa solo a sé stesso, è solo e non sa come risolvere la sua situazione. suicidio altruistico, in cui l’integrazione è forte a tal punto che l’individuo arriva ad annullarsi in suo favore, in favore della società (ad esempio gli eroi risorgimentali, chi muore sacrificandosi per la vita di altri o per la difesa della patria) suicidio fatalistico, caratterizzato da un eccesso di regolazione e una mancanza di integrazione. La società è iper-regolamentata e l’individuo preferisce uccidersi che continuare a subire tale oppressione normativa. È il suicidio che si verifica in carcere, dove l’individuo è regolamentato ma non si sente di appartenere alla società. suicidio anomico, causato da una società che ha smarrito la sua capacità regolatrice e non riesce più a contenere le passioni dell’individuo. È la tipologia di suicidio che per Durkheim prevale nella società industriale, dove ci sono poche norme, c’è disorientamento e non si ha qualcuno a cui appoggiarsi o chi detti delle regole sociali. Quarta lezione - I classici (seconda parte) Per vedere cosa capiva Durkheim, vediamo cosa scriveva: Lo sviluppo dell’industria è stato troppo rapido e non ha ancora potuto creare un sistema di regole a esso adeguato: quando, infatti. la società è scossa da trasformazioni troppo improvvise, negative o positive che siano, il suo fondamentale compito regolativo nei confronti delle coscienze individuali viene momentaneamente meno, generando uno “stato di sregolatezza o di anomia”, che è “ancora più rafforzato dal fatto che le passioni sono meno disciplinate proprio quando sarebbero bisognose di una maggiore disciplina”. L’anomia si ha quando l’assenza di regole coincide anche con una vivacità incontrollabile dell’ego; gli individui nelle città si sentono quasi onnipotenti, tendono a non seguire le regole sociali e proprio quando ci sarebbe bisogno di farlo, manca la struttura che crei ordine. La disorganizzazione sociale dovuta a trasformazione repentine della società di cui parla Durkheim può essere associata anche alla rivoluzione digitale che stiamo vivendo oggi. Questa è una delle questioni che si pongono i sociologi contemporanei. A cosa è dovuta questa anomia? Durkheim individuava la causa dell'industrialismo, ovvero nella produzione; egli scrive: “Nel mondo del commercio e dell’industria l’anomia si trova dunque allo stato cronico, poiché, da un secolo a questa parte, il progresso economico è consistito principalmente nel liberare le relazioni industriali da ogni disciplina e il potere governativo, invece di essere il regolatore della vita economica, ne è divenuto lo strumento e il servo. L’industria, anziché continuare a essere considerata come un mezzo in vista di un fine che la supera, è divenuta il fine supremo degli individui e della società” Le trasformazioni troppo improvvise portano al “collasso sociale” e a un clima di violenza e suicidi maggiore; un esempio è il crollo dell’Unione Sovietica. Tra il 1992 e il 1994, crolla l'aspettativa di vita di uomini e donne. Oltre allo stress, crollo del sistema sanitario, malattie infettive, omicidi e consumo di alcolici aumentano. Cresce il tasso di suicidio (specie tra i 50 e i 60 anni). Dopo il 1992 l’aumento dei suicidi è profondamente connesso allo stato dell’economia (Pil) e al consumo di alcool. L’alcolismo ha svolto un ruolo importante in questo caos sociale. Anche il numero di omicidi è triplicato tra il 1988 e il 1995. Gli uomini, spesso ubriachi, rappresentano il 90% degli assassini, mentre le donne, spesso violentate, il 30% delle loro vittime. Il crollo dell’URSS portò infatti a un grande scombussolamento nella società, non c’erano più appartenenza e identità, c’era libertà ma nessuno sapeva cosa fare. Un altro esempio è il nesso tra il collasso ecologico e i suicidi. “Ecological loss” o “ecological grief” indicano la scomparsa o la distruzione fisica (di specie, di ambienti, di ecosistemi ecc.) e la perdita di identità, relazioni e saperi sociali correlati a tali ambienti. In India, negli ultimi trent’anni, l’aumento delle temperature e le conseguenti perdite in campo agricolo hanno causato una disperazione profonda e, si stima, già 60.000 suicidi (2017). Altri studi recenti prevedono che un cambiamento climatico incontrollato (oltre i 4°) potrebbe provocare oltre 40.000 suicidi negli Stati Uniti e in Messico entro il 2050. Come cambiano le società (Durkheim)? Durkheim sostiene che le società cambiano per progressiva specializzazione funzionale; passano da una morfologia semplice, compatta, ad una sempre più complessa in cui ognuno ha una propria specializzazione. Durkheim fa una metafora biologica pensando alla società come un organo vivente e l’evoluzione da forme unicellulari a forme pluricellulari, dal semplice al complesso. Più è diviso nei suoi vari organi, più è evoluto. Si tratta di un processo evolutivo in senso proprio, che presuppone il passaggio da forme inferiori a forme superiori della vita sociale. È un’impostazione evoluzionistica; la società moderna è moderna rispetto a quelle precedenti, perché più complessa. Ma perché è più complessa? Perché ha vissuto un processo di specializzazione funzionale. Come cambiano le società? In particolare, nel passaggio dalla tradizione alla modernità c’è un passaggio dalla solidarietà meccanica alla solidarietà organica. sono fatti e norme sociali, forze che si impongono (pensiamo agli aspetti del sacro). Quando non si impongono c’è un problema di anomia e ci sentiamo smarriti. Le forme sono il risultato della sedimentazione di tali rapporti di interazione. Pensiamo a come funziona una città e a quanto una città riesce a far interagire i diversi gruppi sociali che la abitano. Che potere ha un uomo di periferia di andare al centro? La distanza in chilometri o il costo del biglietto? Lo spazio in sociologia è il potere di poterlo coprire. È molto più vicino andare da Roma a Nairobi che da Nairobi a Roma. Più sono intrecciate le reti più è coesa la forma. Come cambiano le società? Durkheim dice che la società cambia per specializzazione funzionale, non possiamo fare tutto, ognuno si specializza e ci fidiamo. In Simmel il cambiamento è misurato dalle reti sociali. Nella tradizione gli esseri umani vivono in un numero di cerchie sociali limitato, che coinvolgono interamente l’individuo e la sua personalità; c’è molto controllo sociale e il contatto con le realtà più vaste ed esterne alla comunità avviene solo tramite la mediazione del proprio gruppo di appartenenza. Nella modernità gli individui vivono nell’intersezione di più cerchie sociali, nessuna delle quali controlla e coinvolge per intero la sua personalità; c’è poco controllo sociale e gli individui sono differenti tra loro, avvengono i processi di individualizzazione e differenziazione sociale. Qual è la natura dell’individualità? La metropoli è la quintessenza della modernità, condizione umana di continuo mutamento, di crisi permanente. Luogo della differenziazione sociale e dunque della individualità, ma anche di liberazione (a quante più cerchie si appartiene, tanto più cresce la libertà di movimento e di espressione del singolo). L’individualità è invece impossibile nella comunità. Ci sono 3 conseguenze della modernità che Simmel individua: - preservazione del sé → secondo Simmel gli effetti della modernità scaturiscono non da un processo di liberazione dell’individuo (come sostengono gli assertori dell’evoluzionismo sociale, come Durkheim), ma da un istinto a preservare “l’indipendenza e la particolarità del proprio essere”. Il fenomeno di individualizzazione non va visto solo positivamente, ma l’individualismo nella città è una forma di autodifesa. Perdendo l’appartenenza ad una comunità per preservare il proprio essere conserviamo la nostra differenza. Per questo ci vestiamo rispecchiando il nostro essere e frequentiamo i contesti che più ci appartengono. Il passaggio alla città non sempre è liberalizzazione. - consumo di coscienza → “La base psicologica su cui si erge il tipo delle individualità metropolitane è l’intensificarsi della vita nervosa, che è prodotta dal rapido e ininterrotto avvicendarsi di impressioni esteriori e interiori”. L’intensificarsi della vita nervosa di cui parla Simmel è il rapido avvicendarsi di stimoli. Non avere la possibilità di ritirarsi e prendersi il proprio tempo e quindi essere costantemente stimolati. - critica dell’intellettualismo → conseguentemente al consumo di coscienza la vita diventa più “intellettualistica”, cioè si sviluppano le facoltà del calcolo asettico rispetto all’affettività della comunità. Si sviluppa “quell’organo della psiche che è il meno sensibile e più lontano dagli strati profondi della personalità. Questo intellettualismo è una difesa della vita soggettiva contro la violenza della metropoli”. L’intensificarsi della vita nervosa spinge a trasformarci in una figura metropolitana che Simmel chiama individuo blasé: interagisce in modo superficiale secondo un calcolo di costi benefici e non è interessato a instaurare relazioni profonde. Perché deve sopravvivere. Questa pratica della superficialità è intellettualismo, facoltà del calcolo asettico rispetto all’affettività della comunità. L’intellettualismo non è una derivazione dall’intellettuale, ma è una riduzione della coscienza, un eccesso del calcolo. Produce l’individuo blasé, la pratica metropolitana del non interagire. Il calcolo di costi e benefici che ci fa evitare relazioni profonde. L’individuo “metropolitano” è talmente stimolato dalla varietà di stimoli che reagisce sviluppando la capacità di calcolarli limitando la capacità di parteciparvi. Scrive Simmel in Le metropoli e la vita dello spirito che “la smoderatezza nei piaceri rende blasé perché sollecita costantemente i nervi a reazioni così forti che questi alla fine smettono di reagire”. Ciò che ci si domanda è: “se la sensibilità è così attutita, tutto rischia di apparire uniforme, grigio, opaco, privo di interesse, di passione o di dignità di approfondimento?” Qual è la natura dell’individualità? L'individuo tende a preservarsi perché sa che non appartiene, la comunità lo controlla ma gli dava senso di sicurezza e quindi preserva sé stesso limitando gli stimoli. Si passa alla metropoli in cui prevale l’intelletto (calcolo costi-benefici). Mentre nella comunità erano più forti gli strati profondi. Un individuò blasé si mostra indifferente; è talmente stimolato che ha la capacità di non entrare a fondo a quegli stimoli. Quinta lezione - I classici (terza parte) Max Weber (1864-1920) Weber analizzò molte delle più importanti civiltà e religioni dal punto di vista storico e sociale, ma trattò anche argomenti più tecnici. Noi in particolare ci concentriamo su pochi temi: - motivazioni del comportamento individuale - le forme di potere legittimo - il suo concetto dei “gruppi di status” - il processo apparentemente universale attraverso cui i gruppi sociali competono per accaparrarsi risorse e opportunità Uno degli aspetti più importanti della riflessione di Weber è l’importanza data alle motivazioni del comportamento individuale nella produzione dell’ordinamento sociale. Marx si era concentrato sulle motivazioni materiali, Durkheim su quelle morali e sulle forze sociali; Weber invece sosteneva che per capire il funzionamento delle società fosse necessario analizzare le motivazioni che guidano il comportamento individuale, le ragioni sottostanti al nostro modo di agire. Queste motivazioni cambiano nel corso del tempo. L’analisi di Weber contrasta con l’enfasi che Durkheim attribuisce alle forze sociali, proprie di una loro logica oggettiva esterna all’individuo; nell’analisi dei contesti, occorre interpretare le motivazioni che guidano il comportamento individuale, ovvero come le persone interpretano e danno senso al mondo. Weber introduce dunque una nuova dimensione nell’analisi sociologica: l’interpretazione dell’agire individuale; egli scrive che “la sociologia è una scienza che si dedica alla comprensione interpretativa dell’agire sociale”. Questo approccio è definito sociologia interpretativa (o comprendente), traduzione del verbo Verstehen, “comprendere”. Weber teorizzò l’esistenza di quattro tipologie dell’agire individuale, differenti tra loro per le motivazioni e le logiche che lo guidano: - agire razionale rispetto allo scopo → azione orientata al raggiungimento di un obiettivo specifico, pianificata in rapporto alle conseguenze che potrebbero derivarne (calcolo costi- benefici) - agire razionale rispetto al valore → azione guidata dall’obbedienza a un valore fondamentale in cui si crede, senza preoccuparsi delle conseguenze - agire determinato affettivamente → azione guidata da emozioni posi ve o nega ve - agire tradizionale → azione mo vata dal rispe o delle tradizioni e delle abitudini Nelle modernità prevale l’azione razionale rispetto allo scopo poiché quando dobbiamo raggiungere uno scopo agiamo in relazione a questo. L’agire razionale rispetto allo scopo secondo Weber diventa preponderante rispetto alle altre ragioni dell’agire, poiché nella maggior parte dei casi l’uomo tende ad agire seguendo un calcolo costi-benefici. La ragione alla base dell’azione rappresenta il disincanto, serve per evitare che l’uomo agisca seguendo le credenze che imbrigliano la mente dell’individuo. Modernizzarsi significa anche affrancarsi dalla superstizione. Nell’opera L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Weber sviluppa una tesi sull’origine del capitalismo, chiarendone le origini e il motivo per cui esso si sviluppò prima in specifiche parti del mondo. Weber nota che l’influenza del protestantesimo è stata più forte proprio dove l’economia capitalistica si affermò prima e con maggior vigore. Secondo Weber l’affermazione del protestantesimo avrebbe influenzato in maniera sostanziale l’economia di paesi come Gran Bretagna, colonie americane (poi USA), Paesi Bassi, zone della Germania e della Svizzera; i primi protestanti credevano che il successo economico fosse segno di una benevolenza divina e per questo lavorarono in maniera altamente disciplinata e metodica, risparmiarono e reinvestirono i propri guadagni. Questo avrebbe dato ai protestanti un vantaggio sugli altri gruppi religiosi che, incoraggiati dai successi dei protestanti, ne seguirono il comportamento. Un contributo importante di Weber per la sociologia è rappresentato dall'analisi delle ragioni che inducono le persone a rispettare le gerarchie e a obbedire agli ordini; Weber distingue tra potere e autorità. Il potere è la capacità di una persona (o di un sistema) di raggiungere i propri obiettivi anche in presenza di ostacoli e ciò avviene mediante l’uso (o la minaccia) della forza. Per Weber questa forma di potere è un’eccezione poiché non sempre è possibile imporre la propria volontà con la forza. L’autorità invece è la capacità di fare in modo che le persone si comportino nella maniera desiderate, poiché convinte di star facendo la cosa giusta, di doversi conformare alle prescrizioni di chi governa. Qual è l’origine dell’autorità e perché le persone, il più delle volte, accettano l’autorità dei loro leader? Weber ha sviluppato una teoria concernente il modo in cui i leader acquisiscono legittimità, statuto che viene riconosciuto dalla popolazione e rende autorevole un governo/sistema/individuo. L’autorità tradizionale ha un carattere atemporale, eppure la storia insegna che anche i regni più duraturi non resistono per sempre. Weber era particolarmente affascinato dai leader carismatici (dal greco “dono di grazia”); spesso personaggi straordinari hanno dichiarato di possedere doni o poteri speciali, venendo creduti dalla gente e raccogliendo seguaci (come i profeti ebraici, Gesù, Maometto, Buddha), ma il carisma può essere attribuito anche a leader sociali e politici moderni, come Gandhi, Martin Il potere legale-razionale: si fonda su regole esplicite (norme, criteri elettorali, concorrenza e mercato) ed è uno dei pilastri della vita moderna: la burocrazia, emblema della modernità. Come cambiano le società? Nella letteratura di Weber ricorriamo alla risposta ad un altro interrogativo; perché non cambiano le società, quali circostanze permettono ad alcuni gruppi di resistere al cambiamento? Perché si rigenerano le disuguaglianze nonostante gli innumerevoli sforzi per annullarli e ridurli? Weber utilizza il concetto di classi, definite (da Marx) dall’ordinamento economico, come di posizione in relazione a quanto denaro ha (Marx direbbe a chi ha i mezzi di produzione). Weber dice che la società non è divisa solo in classi, ma anche in ceti, un altro tipo di ordinamento sociale, che si basa sul prestigio, sull’onore. La classe si colloca nell’ordinamento economico (ricchezza, reddito, proprietà dei mezzi di produzione). Il ceto si colloca nell’ordinamento sociale, formandosi attraverso la suddivisione del “prestigio sociale” o “onore” (gruppi di status). Ci sono professioni molto povere ma ben remunerate e viceversa. I gruppi non confliggono solo per ottenere più denaro e salire la scala dell’ordine sociale come classe; questo accade anche come ceto. I gruppi con più privilegio con lo stesso status sociale tendono a chiudersi: concetto di chiusura sociale, il processo attraversi cui i gruppi si organizzano per tentare di monopolizzare risorse e opportunità. (I maschi, i bianchi, gli europei hanno praticato chiusura sociale). Sono gruppi che si organizzano per monopolizzare il privilegio. Ci sono due forme per chiudersi: formalizzata attraverso leggi, forme di selezione in ingresso come test e concorsi, albi professionali, ecc.. (immaginiamo il numero chiuso a medicina, in cui gli step si allungano per evitare che altri entrino in quel gruppo). C’è anche la chiusura sociale informale, basata su prassi sociali correnti e non codificate (pensiamo al “tetto di cristallo” del top management, gentrificazione-turistificazione dei centri urbani). Il tetto di cristallo sono regole informali che non permettono a tutti eguali opportunità. Non sono scritte, ma esistono. Perché chi è più povero mediamente vive in quartieri lontani dal centro, più brutti e sporchi? Non c’è una legge, ma una chiusura sociale informale dovuta a una serie di criteri. Ciò porta alla stratificazione sociale. Esempi: Gates communities: sono comunità chiuse, realtà autosufficienti con una gestione privata, norme e divieti orientati al “mantenimento dell’ordine, del decoro e dell’estetica”. Ci sono regole su come vestirsi, quanto rumore fare, una serie di caratteristiche che non riguardano solo il denaro. All’interno possono entrare solo bianchi. In Europa, in contesti extra-bellici sono stati costruiti 1413 km di barriere, di muri, per bloccare i flussi migratori. Cosa sta difendendo il gruppo sociale che si chiude? In Norvegia, Lettonia, Estonia e Lituania ci sono muri al confine con la Russia, la loro giustificazione era per bloccare flussi migratori. William Edward Burghardt Du Bois (1868 - 1963) Du Bois fu scienziato sociale, giornalista, saggista e attivista politico; la sua origine etnica (la mamma era afroamericana) gli precluse l’ottenimento di una posizione accademica degna del suo contributo alla disciplina. Fu uno dei primi a fare ricerca sociale sul territorio (con interviste, osservazioni e indagini), uscendo dallo studio. La sua ricerca si concentrò soprattutto sul problema della “razza” nella società americana e sulla disuguaglianza tra gruppi sociali. I suoi studi non permisero di comprendere l’ineguaglianza razziale in America, ma furono fondamentali per comprendere il modo in cui pregiudizi e stereotipi condizionano l’esistenza delle minoranze e delle persone svantaggiate. Al suo tempo le teorie dominanti sulla “razza” sostenevano che i bianchi d’origine europea e i neri fossero diversi per ragioni biologiche, specialmente per capacità intellettive, resistenza fisica e predisposizione a comportarsi da buoni cittadini. Per questo motivo l’ineguaglianza che caratterizzava la vita degli afroamericani negli Stati Uniti derivava ed era giustificata da queste differenze; di conseguenza si riteneva che non avesse senso che la società americana offrisse pari opportunità agli afroamericani, perché questi ultimi non avrebbero comunque potuto trarne vantaggio. Du Bois si oppose a questa visione dominante, affermando che la disuguaglianza non avesse fondamento biologico e che fosse invece il prodotto della società americana. Il razzismo (sistema di dominio che si serve dei pregiudizi e/o discriminazioni nei confronti di individui identificati come appartenenti a particolari gruppi razziali o etnici) era in realtà la causa dell’ineguaglianza tra bianchi e neri. Per Du Bois il razzismo svolgeva un ruolo attivo nella creazione di disuguaglianza; in che modo? Egli condusse uno studio sulla comunità afroamericana di Philadelphia; dimostrò come ogni aspetto della vita degli afroamericani fosse influenzato profondamente dalla disuguaglianza, derivante dal fatto che le loro opportunità erano molto limitate. Du Bois ricorse a diversi metodi di osservazione e di analisi dei dati, utilizzò le statistiche e intervistò in prima persona gli afroamericani per ottenere un ritratto approfondito delle loro condizioni di vita. Egli notò inoltre che gli afroamericani più “benestanti” non riuscivano ad aiutare i più disagiati e utilizzò l’espressione di “elevare la razza”. L’opera più conosciuta e importante di Du Bois è Le anime del popolo nero, in cui presenta la sua teoria su come gli stereotipi sui neri visti come persone pigre, prive di intelligenza e inclini al crimine fossero in realtà il risultato della loro posizione nella società americana. L’apparente mancanza di intelligenza era legata all’assenza di istruzione accessibile e non da fattori biologici; allo stesso modo la penuria di opportunità professionali li faceva apparire più pigri dei bianchi. A causa della povertà e della segregazione razziale, gli afroamericani vivevano concentrati in comunità povere, in cui il tasso di criminalità era naturalmente più elevato. Era la struttura sociale, per Du Bois, a causare la parvenza di inferiorità della comunità nera. Nel suo saggio, Du Bois, parla dell’effetto congiunto di razzismo e struttura sociale, che produce negli afroamericani una sorta di “doppia coscienza”; gli afroamericani erano costretti a vivere una doppia vita, quella da americani e quella da neri. Essi soffrivano perché vedendo loro stessi attraverso gli occhi dei bianchi si sentivano sviliti. Per Du Bois la doppia coscienza è la conseguenza di un mondo che non concede loro autocoscienza, ma consente loro solo di vedersi attraverso la rivelazione dell’altro mondo. Du Bois prese in esame anche il contesto più ampio della politica americana e delle relazioni tra etnie diverse; analizza il ruolo giocato dalla popolazione afroamericana del Sud degli Stati Uniti nella ricostruzione post-bellica che seguì la guerra di Secessione. Le diffuse ricostruzioni storiche del tempo sostenevano che le amministrazioni guidate dagli afroamericani si erano dimostrate incompetenti e corrotte nel gestire la ricostruzione. Du Bois dimostrò che tali amministrazioni avevano dovuto affrontare la violenza dell’ostruzionismo dei bianchi, che si erano opposti al loro tentativo di dar vita a un nuovo sistema politico aperto alla partecipazione degli afroamericani e dei bianchi indigenti. Cos’è il razzismo secondo Du Bois? L’adozione acritica della credenza che i membri di un gruppo etnico siano intrinsecamente inferiori a quelli di altri gruppi in virtù di qualche supporto attributo razziale come il colore della pelle. Si dice razzializzazione perché la razza non è un oggetto, ma uno strumento. Du Bois conduce una ricerca a Philadelphia, include dati statistici sul quartiere (vedendo all’anagrafe chi risiede nel quartiere e sceglie aree a maggioranza afroamericana), fa interviste porta a porta e fa un ritratto delle condizioni di chi vive in quel quartiere. Parte da un dato di fatto, un riscontro empirico: le persone afroamericane che vivono in questi quartieri per loro povertà e disuguaglianza è un vincolo per tutti gli aspetti della vita (occupazione, professione, università, abitazione, partner). Gli stereotipi sono il risultato della loro posizione nella struttura sociale e non il contrario. È la struttura sociale di matrice razzista che li ghettizza. Per cui ci si ritrova a vivere in ambiente criminale e a commettere crimini perché è la struttura sociale che mi induce a comportarmi così. Gli stereotipi (persone pigre, poco intelligenti, inclini al crimine), sono in realtà il risultato della loro posizione nella struttura sociale della società americana: ghetti, comunità povere in quartieri con alto tasso di criminalità. Qual è la natura dell’individualità? E’ l’effetto congiunto di razzismo e disuguaglianza, lui parla di doppia coscienza, vivere da neri e da americani. Vuol dire che quando si descrivono devono farlo anche tenendo conto degli occhi di chi li guarda, tenendo conto anche degli occhi di chi li guarda. Sesta lezione - Teoria sociale del secondo XX secolo A partire dagli anni Trenta del secolo scorso la teoria e i teorici sociali seguirono direzioni differenti e il centro della ricerca sociale si spostò dall’Europa all’America. Fondamentale fu il contributo di Talcott Parsons, sociologo di Harvard, che fondò la teoria funzionalista con il tentativo di costruire una teoria generale della società fondata sull’analisi delle dinamiche attraverso cui le diverse parti costitutive di una società contribuiscono al suo mantenimento e ordinamento. La sua opera presentava molte controversie e così come accadde per Marx, anche le teorie di Parsons svilupparono molte critiche e alimentarono il dibattito teorico. Tra il 1937 (Parsons pubblica uno dei suoi libri più importanti) e la metà degli anni ‘60 si svilupparono la teoria funzionalista e altre correnti ad essa opposte, tra cui le più importanti sono la teoria del conflitto e l’interazionismo simbolico. Lo struttural-funzionalismo La teoria struttural funzionalista di Talcott Parsons ambiva a spiegare gli aspetti fondamentali della vita sociale attraverso l’analisi delle funzioni assolte dagli attori e dai processi sociali nel mantenere unita la società. Per Parsons gli elementi fondamentali di ogni società sono strettamente legati ai suoi bisogni, come la religione che viene sviluppata da ogni società al fine di fornire idee e dottrine che rappresentino un codice morale condiviso per la regolazione della vita sociale. Parsons definisce la sua teoria struttural-funzionalismo, basandosi sull’idea che gli individui, i gruppi e le istituzioni di I teorici del conflitto si ispirano a due autori classici: Marx (teorici critici e neomarxisti) e Weber (teorici analitici). Si rifà a Marx Wright Mills (1918-1962), inventore del concetto di immaginazione sociologica, il quale scrisse una serie di testi sulle classi e il potere in America. Mills sosteneva che gli Stati Uniti fossero governati da una élite del potere composta da membri delle più importanti istituzioni politiche e militari che decidevano le politiche, proteggendo i propri interessi, e limitavano l’influenza dei cittadini. Si rifà a Weber Ralph Dahrendorf (1929-2009), secondo il quale le disuguaglianze economiche e sociali e la diversa distribuzione del benessere e del potere nella società non è il risultato naturale della vita sociale, ma prodotto dall’azione di gruppi che possiedono potere sufficiente per proteggere i propri privilegi. Egli sosteneva che i conflitti di altro genere, che non riguardano la sfera economica, fossero invisibili e difficili da individuare ma che rappresentassero delle forme importanti di conflitto. Dahrendorf, appartenendo alla schiera dei teorici del conflitto analitici, cercava di capire in che modo i gruppi privilegiati si chiudevano per proteggere i propri vantaggi. La teoria del conflitto deve il suo successo al senso di inadeguatezza che circondava la teoria funzionalista, incapace di fornire una spiegazione per l’esistenza della disuguaglianza sociale e che, nelle sue visioni estreme, pareva quasi giustificarla, ritenendola funzionale rispetto alla società. La teoria sociale dopo gli anni ‘60 La sociologia visse delle profonde trasformazioni tra gli anni ‘60 e ‘70, periodo in cui movimenti sociali di tutto il mondo chiesero e a volte ottennero cambiamenti di grande importanza; furono i movimenti del femminismo, per i diritti civili, degli ambientalisti, movimenti studenteschi, movimenti contro la guerra in Vietnam, per i diritti omosessuali. In questo clima le teorie sociali classiche e della prima metà del secolo vennero accantonate; il funzionalismo venne abbandonato completamente, la teoria del conflitto uscì di scena e solo l’interazionismo simbolico riuscì a conservare uno spazio marginale. Nacque una nuova generazione di teorie e di teorici; alcune erano connesse ai movimenti dell’epoca, altre miravano a riprendere alcuni aspetti della teoria classica per sviluppare nuovi modi di concepire la relazione tra gli individui e la società. Revival (neo)marxista Una generazione di marxisti cercò di aggiornare il marxismo e di metterlo ai passi coi tempi, riconoscendo che fino ad allora la storia non aveva seguito le logiche indicate da Marx. Uno degli obiettivi dei neomarxisti era quello di sviluppare una teoria dello stato capitalista, ovvero delle istituzioni che governano la società capitalista. L’obiettivo era quello di capire come e perché i governi delle società capitalistiche proteggevano con le loro politiche gli interessi della classe capitalista e in che modo si potesse favorire un’apertura dei governi nei confronti delle necessità e delle richieste della classe operaia. Ad esempio, uno stato capitalista può adottare politiche di welfare introducendo politiche pensionistiche, istruzione e sanità pubbliche, sussidi di disoccupazione, politiche che nel mondo occidentale avevano migliorato la condizione di vita della gente comune. I benefici di questi programmi erano visti dai neomarxisti come un modo per convincere la classe operaia a non avere bisogno del socialismo. Ma tali concessioni sarebbero finite per diventare troppo costose e non più sostenibili per le economie e i governi capitalisti, si sarebbe aperta una crisi che a sua volta avrebbe portato a una serie di sviluppi alternativi, tra cui una nuova rivoluzione socialista. Uno degli esponenti di questa visione è stato James O’ Connor (1930 - 2017). Oltre che a ripensare la visione dello stato, i neomarxisti hanno elaborato anche una prospettiva più complessa della struttura delle classi sociali; il modello a due classi proposto da Marx non poteva essere applicato nelle società capitaliste moderne. Il focus si sposta sulla classe media, fatta di professionisti, manager, avvocati, medici, ingegneri, insegnanti e dirigenti delle grandi aziende. Secondo Wright per spiegare le nuove forme di stratificazione sociale è necessario considerare come “capitale” non solo il possesso di un’azienda e dei mezzi di produzione, ma anche i titoli (es. lauree), l’occupazione di posti apicali nelle aziende, ecc… I teorici neomarxisti furono anche tra i primi a rilanciare l’analisi del capitalismo inquadrandolo come fenomeno globale; Immanuel Wallerstein vedeva il capitalismo come un sistema economico che non esiste soltanto all’interno dello stato, ma anche tra di essi, grazie alle relazioni economiche che consentono, ad esempio, alle nazioni più ricche di sfruttare i paesi poveri, proprio come i ricchi capitalisti sfruttano i lavoratori. La teoria sociale femminista Limite del neomarxismo era l’attenzione posta esclusivamente verso il potere e i rapporti tra le classi, senza guardare ad altre forme di disuguaglianza su cui invece si erano interrogati Weber e Du Bois. La teoria sociale femminista è una delle teorie di critica al neomarxismo e propone una visione alternativa. Già da tempo i sociologi avevano iniziato ad occuparsi di questioni di genere e le prime sociologhe, come Jane Addams, avevano combinato l’attivismo sociale con una produzione intellettuale incentrata sulle questioni di genere. Negli anni ‘70 l’emergere di una teoria sociale femminista mise in discussione gran parte degli sviluppi della teoria sociale classica, mostrandone le distorsioni derivati dalla sua tendenza ad adottare una prospettiva esclusivamente maschile. Una delle più importanti e influenti figure fu Simone de Beauvoir che con il suo lavoro su sesso e genere diede un contributo diretto alla sociologia; nel classico Il secondo sesso, ella analizza il fenomeno della patriarchia, concentrandosi sul modo in cui le società si organizzano per controllare, svalutare ed escludere sistematicamente le donne. La società fa in modo che le donne appaiono differenti ed inferiori agli uomini, in modo da porle in una costante posizione di subordinazione. Ella afferma che “non si nasce donne, lo si diventa”, distinguendo tra sesso e genere, cioè tra le caratteristiche biologiche e il significato sociale dell’essere “uomo” o “donna”. La de Beauvoir fu una delle prime a insistere che il genere e la femminilità sono costruzioni sociali e a sottolineare come le categorizzazioni di genere si trasformino in disuguaglianze tra uomo e donna. L'obiettivo dei teorici femministi è quello di comprendere come e perché il mondo sociale sia organizzato in maniera tale da distinguere tra uomini e donne. Si distinguono tre approcci teorici fondamentali: 1. il primo emerge quando le prime teoriche iniziano ad osservare il mondo sociale dal punto di vista delle donne. Questo cambio di prospettiva porta alla teorizzazione delle differenze di genere, ovvero le disuguaglianze che si creano come conseguenza della distinzione tra uomini e donne. Le teoriche sociali femministe si impegnarono per includere le donne nell’analisi sociologica; esse inoltre sottoposero a un’attenta revisione anche tradizioni teoriche trans- disciplinari come la psicanalisi, utile a comprendere i processi attraverso i quali gli uomini e le donne sviluppano il proprio senso del sé. La sociologa Nancy Chodorow assegnava alla vita familiare le basi psicologiche delle differenze di genere; ella identificò nella divisione del lavoro all’interno della famiglia il fattore che influenza lo sviluppo di due percorsi di crescita distinti tra ragazzi e ragazze, Le differenze di genere sono interiorizzate, radicate nell’inconscio e nell’attaccamento affettivo. Negli anni ‘70 tutte le teoriche femministe cercavano la causa della disuguaglianza di genere, come se questa fosse da ricondurre ad un solo fattore e non a più aspetti della società. Semplicistica era anche la loro visione delle donne, che venivano trattate come un gruppo unico, senza considerare le fondamentali differenze che intercorrono fra loro. 2. teoriche successive come Patricia Hill Collins si dedicarono all’analisi dei diversi modi in cui il genere viene vissuto da donne differenti. Da qui il secondo approccio fondato sullo slittamento dall’analisi generale della disuguaglianza di genere a una nuova considerazione dell’esistenza stessa del genere come qualcosa che è necessario esaminare e contrastare (processi di genere). 3. recentemente è emerso un terzo approccio che sposta l’attenzione sulla relazione tra disuguaglianze di genere e altre gerarchie sociali. Si tratta di un approccio nato nel 1989 da Kimberlé Williams Crenshaw che rende visibile l’intreccio tra razzismo, sessismo e classismo e riunisce a critica al sistema capitalista, patriarcale, colonista fino all’accento sulla devastazione ecologica. Il femminismo intersezionale guarda gli intrecci tra diverse forme di dominio esercitate dagli umani (maschi, bianchi), su altri umani e sulla Terra, con il fine di sovvertirli e di creare nuove modalità di relazione tra esseri umani con altri essere umani, e tra umani e natura coscienti dell’ecosistema in cui siamo inseriti. Il femminismo intersezionale abbraccia il trans-femminismo e i diritti di chi non si riconosce nella divisione binaria di genere, abbandonando l’idea di un’unica chiave interpretativa. Michel Foucault e la questione del potere (microfisica del potere) Il filosofo, intellettuale e storico francese Michel Foucault, autore di libri su prigioni, manicomi, storia della follia e sessualità, si è concentrato sull’analisi del funzionamento del potere nelle sue diverse forme. Egli rifiutava la visione dominante del potere come di qualcosa che alcune persone hanno (politici, gerarchie militari, figure di spicco) e di cui altri sono privi, ma riteneva che il potere fosse ovunque e agisse in forme a volte nascoste e a volte evidenti. Egli era interessato al ruolo focale della disciplina, intesa come processo di auto-disciplinamento e come il modo in cui siamo disciplinati dagli altri e dalle istituzioni. Foucault si concentrò sul modo in cui la scuola, il carcere, gli istituti di sanità mentale, le squadre sportive e altre istituzioni formano gli individui spingendoli a conformarsi a determinate norme, sia mentalmente che fisicamente. Nel suo libro Sorvegliare e punire il filosofo definisce la nostra società come una “società della disciplina” ed utilizza l’immagine di modelli ideale di prigione, il Panopticon, un carcere con una torre posta al centro e che consente di sorvegliare le attività di tutti i detenuti costantemente. Il suo scopo è di “indurre nel detenuto uno stato di visibilità cosciente e permanente che assicura il funzionamento automatico del potere”. Secondo Foucault tutte le società sono strutturata in maniera simile al Panopticon e tutti siamo soggetti al potere della disciplina, anche se resta invisibile ai nostri occhi. Merton parla anche di conseguenze inattese dell’azione sociale, l’idea che qualunque azione possa portare, quando combinata con le azioni degli altri, a risultati inattesi, come quando adottiamo un cane per compagnia e, portandolo al parco, facciamo amicizia con altri proprietari. Merton riteneva che le teorie non dovessero né raggiungere livelli eccessivi di generalizzazione, né essere troppo specifiche e prive di qualsiasi implicazione di carattere generale. Il contributo di Coleman consiste nel tentativo di rispondere a domande come “perché certi atleti hanno iniziato ad attribuire valore alla stretta di mano?” Egli tentò di sviluppare modelli matematici della vita sociale e nella sua opera più importante egli difende l’importanza delle spiegazioni a livello micro; per chiarire il suo punto di vista fornisce un esempio utilizzando l’opera di Weber L’etica protestante e lo spirito del capitalismo; la tesi di Weber che il capitalismo si sia sviluppato originariamente nei paesi dove il protestantesimo era più diffuso, può essere rappresentata attraverso un semplice diagramma: diffusione protestantesimo → sviluppo del capitalismo ma secondo Coleman la tesi è più complessa. Egli propone un diagramma oggi conosciuto come barca di Coleman secondo cui una teoria, per funzionare, deve essere in grado di spiegare come la dimensione macro (in questo caso il protestantesimo) influenzi la dimensione micro (i valori e i comportamenti individuali) per produrre un nuovo effetto macro (nascita del capitalismo) che a sua volta si impone sugli individui. La barca di Coleman ci permette di uscire dalle leggi generali, ovvero che dove c’è protestantesimo si sviluppa capitalismo a prescindere, ma uno studio a medio raggio che non si pone di studiare l’intera umanità. L'interazionismo simbolico E’, insieme alla teoria del conflitto, una risposta allo struttural-funzionalismo e si focalizza sull’interazione sociale e sul ruolo della dimensione simbolica nelle interazioni. L’interazionismo simbolico rovescia la visione di Parsons secondo cui gli individui e l’agire individuale sono influenzati dalla società, ma ritiene che l’ordinamento sociale è il risultato delle interazioni individuali e dei significati che gli attori sociali attribuiscono agli oggetti, alle situazioni e alle relazioni con gli altri. Mentre le altre teorie sociali hanno privilegiato questioni macrosociali (religione, economia, cambiamento sociale), l’interazionismo simbolico si concentra sulle interazioni sociali quotidiane, come il mangiare insieme, interagire in classe, salutarsi per strada (dimensione micro-sociale). Gli autori di riferimento sono tre: George Herbert Mead, Herbert Blumer e Erving Goffman. Perché studiare il comportamento umano? La risposta sta in ciò che distingue gli esseri umani dalle altre specie, ovvero il fatto che quando agiamo e interagiamo con gli altri diamo dei significati a oggetti, attività e persone. Per Mead ciò che ci caratterizza in quanto “animali sociali” è l’essere sia soggetti che agiscono nel mondo, sia oggetti che esistono nel mondo e vengono interpretati e definiti dagli altri. I giudizi si accumulano nel corso della vita e riempiono di senso il nostro senso. Mead dividere l’identità individuale in: - Io → la risposta di un individuo agli a eggiamen degli altri (risposta più imprevedibile, legata agli impulsi), ossia la sua dimensione soggettiva, la parte che interpreta il modo in cui gli altri ci vedono e che agisce in base alla previsione delle percezioni altrui. È la parte di noi che organizza cosa fare, cosa dire e come dirlo, cosa indossare e lo fa ipotizzando che gli altri si aspettino da noi qualcosa. - Me o self → l’insieme organizzato degli a eggiamen degli altri che un individuo impara ad assumere, guardandosi con gli occhi degli altri e assumendo di conseguenza un ruolo; è la dimensione oggettiva del sé, la parte identitaria interpretata dagli altri È mediante questi processi che il nostro senso del sé prende forma in costante relazione con le interpretazioni degli altri. L’interazione e la socializzazione danno forma a ciò che siamo, alla nostra identità, e per questo noi siamo relazioni. Con la socializzazione noi apprendiamo che cosa è appropriato fare e cosa non lo è e al contempo sapere cosa è appropriato fare segna la nostra identità. Herbert Blumer distingue tre tipi di oggetti che possono essere interpretati quando interagiamo: gli oggetti fisici. gli oggetti sociali (le persone) e gli oggetti astratti (come le idee). Gli interazionisti simbolici erano consapevoli della nostra tendenza a tenere in maggiore o minore considerazione i giudizi e le opinioni degli altri in base alle relazioni che intratteniamo con loro. Il nostro comportamento è influenzato dalle opinioni che gli altri hanno di noi. Dal momento in cui il nostro senso del sé è determinato dalle opinioni degli altri e ognuno vuole essere giudicato positivamente, allora ha senso che ci comportiamo in maniera tale da indurre gli altri a interpretare positivamente il nostro comportamento. Su questa idea si fonda l’opera di Goffman; nel libro La vita quotidiana come rappresentazione Goffman si appropria della citazione shakespeariana “tutto il mondo è un palcoscenico” ritenendo che come gli attori noi interpretiamo dei ruoli, seguiamo delle sceneggiature e veniamo giudicati da un pubblico composto dalle persone con cui interagiamo quotidianamente. Quando mettiamo in atto tali comportamenti, pratichiamo la gestione dell’impressione, ovvero organizziamo strategicamente il nostro comportamento al fine di comunicare agli altri una determinata idea di sé. - Interazione sociale Charles Cooley anche riflette su come si costruisce l’identità socializzando; egli dice che ci conosciamo attraverso lo “specchio” degli altri, che ci restituiscono impressioni che creiamo. Cooley parla di looking-glass self (guardare il sé riflesso), indica quanto i nostri giudizi dipendano dal modo in cui gli altri ci vedono. Il sé si riferisce al senso della nostra identità e posizione sociale, in base a come si generano, si sviluppano, si modificano attraverso l’interazione, nelle varie fasi della nostra vita. Cooley studia la prima forma di interazione sociale dell’essere umano, il momento in cui si forma la sua prima identità e questo momento è l’interazione genitori-figlio. I genitori sono le prime persone a cui l’individuo prova ad offrire l’immagine di sé stesso. L’immagine che diamo di noi non è libera, perché nel rapporto con i genitori questi ci trasferiscono le loro aspettative su come si tratta ed è un bambino; per cui la nostra identità è un riflesso e già dalla prima età l’identità dipende dal looking-glass self. Negli individui che non fanno sufficiente esperienza di interazioni umane durante il loro sviluppo non si formano tutte le caratteristiche che contraddistinguono gli esseri umani. Lo confermano gli studi sul comportamento di bambini chiusi in isolamento per periodi prolungati durante l’infanzia, che non sviluppano, in primis, le capacità linguistiche. René Spitz studia una situazione sperimentale data dall’ambiente e conclude che il concetto di sé come senso di identità e di posizione sociale generato dall’interazione è così importante da pregiudicare la sopravvivenza biologica. Spitz confronta la crescita dei bambini in una nursery di una prigione rispetto a un orfanotrofio; quelli in prigione vedono costantemente persone, possono guardarsi attraverso le barre dei lettini e ricevono visite giornaliere. I bambini nell’orfanotrofio, invece, non hanno contatti, sono separati in scompartimenti e non possono vedersi, hanno contatti umani solo quando cibati o lavati. Soffriranno da un punto di vista emotivo e fisico, il 40% morirà entro i due anni. La causa, secondo Spitz, è la mancanza di contatto sociale. Anche per gli adulti, l’isolamento è causa di problemi fisici e mentali (esempio le carceri statunitensi). Gli esseri umani hanno un incombente bisogno di contatto sociale, capace di diventare questione di vita o di morte, poiché si conoscono davvero e sono consapevoli di esistere solo attraverso gli occhi delle altre persone. Implicitamente sono gli altri a dirci cosa siamo, chi siamo e come siamo e noi interpretiamo le loro valutazioni come rappresentative di noi stessi. Ciò inizia, come detto, dal rapporto genitore figlio. Nel corso della vita accumuliamo giudizi che riempiono il nostro senso di sé. Ci vediamo come gli altri ci vedono. L’approvazione degli altri è fonte di motivazione e poiché vogliamo instaurare legami con gli altri, cerchiamo di prevedere come sarà valutato ciò che facciamo. Le persone con cui interagiamo dunque influenzano la nostra percezione di noi stessi e il nostro comportamento, ma ciò non avviene allo stesso modo con tutti; tendiamo a prendere in considerazione il giudizio degli altri in forma maggiore o minore, a seconda della relazione che ci lega a questi individui, alla vicinanza che abbiamo con loro. Mead distingue - l’altro significativo: chi ci è vicino e ha la capacità di motivare e influenzare i nostri comportamenti. Per ogni individuo esistono più altri significativi - gruppo di riferimento: persone le cui posizioni sociali e preferenze hanno rilevanza particolare per la nostra autostima. Si tratta di collettività che influenzano il nostro comportamento. Ognuno di noi ha diversi gruppi di riferimento e tende ad aderirvi. - modelli di ruolo: chi, all’interno dei gruppi, ha un’influenza sproporzionata; ne imitiamo il vestire, il muoversi e lo stile di vita, ecc… Ognuno di noi è legato a differenti gruppi di riferimento, anche in modo simultaneo. Alcuni dei nostri legami sono più lontani rispetto alle nostre ristrette reti sociali. Ognuno di noi sa cosa è appropriato o inappropriato fare in diverse circostanze, come ad esempio indossare i vestiti per andare all’università e rischiamo di fare bruttissima figura se non rispettiamo questo tipo di regole. Perché avviene ciò? Perché, sostiene Mead, esiste il controllo sociale esercitato attraverso implicite intese comuni su ciò che è appropriato in un certo tempo e luogo; è ciò che si definisce l’altro generalizzato (il controllo sociale). Ed infatti l’uomo agisce con la costante impressione di essere osservato e giudicato dall’altro, persino nelle azioni più intime; scrivere su un diario personale per quanto intima possa sembrare resta un’azione sociale, poiché immaginiamo che qualcuno legga ciò che scriviamo. La socializzazione è il processo tramite il quale conosciamo norme e aspettative necessarie per l’interazione sociale nelle varie fasi della nostra vita e che ci trasforma in Interazioni in pubblico Quando le interazioni avvengono in pubblico, tra persone che non conosciamo, modifichiamo le nostre strategie dell’interazione; in particolare stiamo attenti a non avere contatti con persone di cui possiamo non aver avuto esperienza in passato e le cui intenzioni non ci sono note. Ad esempio, quando siamo in un luogo pubblico tendiamo a fissare il volto delle persone solo per un istante, per poi spostare lo sguardo; fissare uno sconosciuto suggerisce un interesse speciale o addirittura un’attrazione. Di conseguenza pratichiamo disattenzione civile, “abbassare reciprocamente le luci”, come l’individuo blasé di Simmel, secondo il quale la disattenzione in luoghi densamente popolati è ciò che rende possibile la vita sociale. Quando le nostre performance in pubblico non sono perfette sappiamo come rimediare; dicendo ad esempio “ops” o imprecando, tecnica che le persone usano per riparare a un potenziale danno (come può essere il fare rumore in biblioteca). Spesso si ricorre a gesti di disaffiliazione, segnali come pause o mancate risposte. A volte però capita che le persone assumono una condotta poco amichevole per motivi indipendenti alla goffacgine o alla mancanza di competenze sociali; i bulli ad esempio fissano volontariamente le vittime e spesso senzatetto e persone che chiedono di vendere qualcosa insistono nelle loro richieste non rispettando le caratteristiche accettabili di un conversazione; in questo modo ci obbligano a essere scortesi e ciò ci irrita- In questi casi gli individui tendono a praticare vandalismo interazionale, ovvero a ignorare i segnali di un passante finalizzati a chiudere la conversazione. Ciò però dipende anche da dove arriva l’attenzione e la richiesta; di solito siamo più tolleranti nei confronti di chi dimostra uno status sociale elevato. Ottava lezione - Interazione sociale (2) Status e ruolo: Con il passare del tempo entriamo in differenti status di vita; uno status è una categoria sociale distinta che è generata da altri ed è associata a un insieme di comportamenti e ruoli da rispettare. Ogni status si accompagna a un insieme di ruoli che gli altri si aspettano che seguiamo; ogni status quindi si connota per un set di ruoli e di aspettative di comportamento considerato “appropriato”. Qualche volta ci si trova in una situazione in cui il rispetto di uno dei nostri ruoli è in contrasto con la soddisfazione delle aspettative che sono legate ad un altro ruolo, ovvero si crea un conflitto di ruolo. Pensiamo al soddisfare le richieste di un amico (e quindi seguire le regole del buono amico) e al dover fare ciò che i nostri genitori si aspettano da noi; questa situazione è un conflitto di ruolo e in casi gravi questo può creare abbastanza stress psicologico. Altro esempio è il conflitto che vivono i medici obiettori di coscienza, che si trovano in contrasto tra ciò che la legge permette e la loro opinione. A causa della varietà dei gruppi di riferimento che esercitano influenza su di noi spesso ci troviamo di fronte a richieste incongruenti. Nonostante la nostra tendenza a conformarci, di solito gli individui sono resi differenti dalle opinioni che gli altri membri del gruppo hanno su di loro. I membri dominanti della società che stabiliscono le regole spesso definiscono devianti degli individui. Secondo la teoria sociologica chiamata teoria dell’etichettamento, l’esistenza dei cosiddetti devianti dipende dall’esistenza di una persona o un gruppo che può essere oggetto dell’etichetta “deviante” e di un individuo o di un’istituzione che può incollare questa etichetta. Spesso le etichette vengono usate in modo errato e i sociologi ritengono da tempo che attribuire etichette non sia utile; in passato venivano definiti devianti gli omosessuali o i criminali. Noi sappiamo che le etichette, di uso comune in un determinato tempo e luogo, non corrispondono alla natura degli individui coinvolti. In sociologia si parla di costruzione sociale della realtà, ovvero il processo attraverso cui il sapere sul mondo viene prodotto e codificato. Secondo alcune versioni della sociologia essere etichettato ha come conseguenza il cambiare di fatto condotta e abbracciare il comportamento per il quale si è stati etichettati, inseriti nella categoria deviante. I ragazzi definiti cattivi finiscono per diventare criminali e per unirsi ad altri ragazzi etichettati alla stessa maniera, accomunati dalla definizione e dal giudizio che è stato dato di loro. Questo è un chiaro esempio della profezia che si autoavvera. Alcuni esperimenti condotti da sociologi come Thomas Scheff e David Rosenhan dimostrano che l’etichettamento, ad esempio, delle istituzioni psichiatriche può essere pericoloso. Nella vita di tutti i giorni siamo circondati da organizzazioni a cui dobbiamo rispondere e che hanno tutte delle regole proprie. Le regole possono essere esplicite, ma anche informali e includere norme e aspettative circa i comportamenti individuali. Di volta in volta gli individui devono interpretare i vari status e ruoli all’interno di imprese, istituzioni pubbliche, scuole ecc… Ad esempio l’atto uccidere è condivisamene un atto sbagliato. Tuttavia, nessuno biasima chi uccide una zanzara o spara a un animale feroce che sta per fare del male a qualcuno. O ancora un militare o un agente potrebbe essere costretto ad uccidere qualcuno che sta per compiere un attentato e mettere in pericolo la sicurezza pubblica. Dunque, persino l’importantissima regola del non uccidere richiede di essere interpretata volta per volta e questo succede nella vita quotidiana in ogni ambito e in ogni contesto. Ognuno di noi giudica il contesto e usa le capacità che gli umani hanno per identificare i bisogni organizzativi e mettere in atto il comportamento appropriato. E fa questo spesso derogando a regole. Spesso invochiamo le regole informali (ad esempio “si rispettino i bisogni dei bambini”) per spiegare ad altri e anche a noi stessi le motivazioni che ci hanno indotto a infrangere delle regole. Ciò che ci rende membri competenti della società non è tanto conoscere tutte le regole ma sapere cosa fare nelle diverse occasioni, considerando quello che gli altri si aspettano da noi. Tutti noi agiamo per mantenere la normalità nel mondo. Esistono individui che non sembrano capaci di agire in questo modo, seguono sempre le regole senza interpretare di volta in volta le diverse situazioni e ci appaiono sciocchi o incompetenti. Garfinkel li definisce “giudici inetti” e di solito sono difficili come colleghi, vicini e amici. Conformismo: Il modo in cui le persone si conformano alla propria situazione sociale ha conseguenze su come vivono insieme. Spesso basta molto poco, o addirittura alcuna motivazione, per indurre gli individui a rispondere in modo scorretto ad una domanda. E’ l’esempio dello studio di Solomon Asch e dei segmenti. Cosa provoca un aumento o una riduzione del conformismo? Basta la presenza di un solo alleato per influenzare fortemente il risultato dell’esperimento condotto da Asch e in generale del tasso di conformismo. Questo suggerisce quanto sia importante oer gli individui avere almeno un’altra persona che li sostenga; è molto più facile andare “contro tutti” se si ha un compagno. Nella vita reale cerchiamo, senza dubbio, di piacere agli altri; non desideriamo opporci ad altri significativi che potrebbero bocciarci, licenziarci, ecc… Una lezione ancora più severa impartita dalla sociologia è che gli individui in determinate condizioni possono arrivare a fare del male ad altri individui per conformismo o per seguire gli ordini. Lo studioso Stanley Milgram ha cercato di capire quali siano le situazioni in grado di portare individui per altri versi rispettabili a danneggiare un’altra persona solo perché è stato detto loro di farlo. Nel suo esperimento Milgram ha convinto i soggetti a somministrare quelle che credevano fossero scariche elettriche a estranei che rispondevano in maniera errata a un test di apprendimento. Ciò non era vero, ma era un espediente finalizzato a osservare il livello di danno che i soggetti avrebbero inflitto qualora fossero stati istruiti a farlo. La percentuale crolla quando si introduce il contatto fisico tra lo studente e l’uomo che riceveva le scariche. Nella realtà molta violenza si verifica in maniera indiretta; situazioni come l’Olocausto, ad esempio, non richiedono aggressività diretta, ma solo azioni burocratiche. È un tema questo che indaga la filosofa tedesca Hannah Arendt in La banalità del male. Qualche anno dopo anche un altro sociologo, Philip Zimbardo, ha approfondito il problema dell’obbedienza; Zimbardo in un suo esperimento ha convinto degli individui a vivere per due settimane in un carcere finto e ha assegnato loro casualmente il ruolo di prigioniero e di carceriere. Ciò che è emerso è che, pur essendo consapevoli della funzione, gli individui si sono immedesimati così tanto nei ruoli tanto da diventare crudeli nei confronti dei prigionieri (i carcerieri) e da eseguire gli ordini e le umiliazioni imposte dai carcerieri (i prigionieri). I prigionieri divennero totalmente dipendenti dall’atteggiamento delle guardie nei loro confronti e dopo solo sei giorni fu chiaro che l’esperimento stava mettendo a rischio la salute mentale e il benessere a lungo tempo delle persone. Il modo in cui le persone sono pronte ad accettare così prontamente un ruolo sociale e a conformarsi alle aspettative ad esso legate fa riflettere sul punto fino a cui essi si spingeranno in questo senso, anche con conseguenze catastrofiche. Qualsiasi sia il contesto, io individuo agisco in modo da soddisfare il mio gruppo di riferimento e ciò mi pone in contrasto con il tuo. Le persone si uniscono tra di loro e allontanano altri individui perché devianti o considerati diversi in qualche modo; la nostra diversità è la normalità degli altri e viceversa, ciononostante tendiamo a non considerare questa possibilità seguendo il processo di etnocentrismo, ovvero l’incapacità di comprendere, accettare o porre in relazione modelli di comportamento o credenza differenti dai propri. Il mio ethos è l’unico e vero possibile, gli altri, solo perché diversi, sono inferiori o addirittura malvagi. L’interazione sociale nelle aree di crisi: Nelle aree di crisi, in ambito militare o civile, i contesti diventano più problematici in merito all’etica pratica dell’interazione, che assume una funzione centrale per affrontare l’intercultura, e in merito ai conflitti di ruolo. I principali attori sul campo sono: la popolazione locale (con le proprie culture), i corpi militari (che traducono in pratica direttive politiche/missione), gli operatori civili, i media. In questi contesti è utile “resettare” la mente da preconcetti, stereotipi e ancore mentali, conoscere i contesti e le altre culture in un atto di apertura, tollerare le differenze, nella misura in cui non superano livelli di “accettabilità” che siamo disposti a sostenere, rispettare le differenze tra le diverse culture, che richiede anche l’accoglimento di modelli culturali migliori, che potrebbero tuttavia mettere in discussione quello che ha riguardato la nostra storia personale. Il sociologo Goffman ha una visione drammaturgica della vita sociale: - i nostri comportamenti somigliano alle performance degli attori teatrale: interpretiamo ruoli, seguiamo sceneggiature, veniamo giudicati da un pubblico - ci impegniamo nella gestione dell’impressione, ossia nell’organizzazione strategica dei nostri comportamenti per comunicare agli altri una determinata idea di noi stessi - la vita sociale si pratica in fasi di “ribalta” (sulla scena) e “retroscena” - il sé non è una caratteristica posseduta dall’individuo, ma il prodotto teatrale di un’interazione - ognuno di noi è diverso e interpreta il proprio sé in modo diverso, in ogni contesto, nonostante possibili similitudini legate a origini e caratteristiche comuni - ognuno di noi cambia continuamente, come risultato di interazioni e del proprio percorso di socializzazione e dei risultati cambiamenti di ruolo Nel suo libro Stigma Goffman spiega che questo ordine normativo impone delle cornici di riferimento per mezzo delle quali classifichiamo la realtà e l’ambiente circostante, le identità sociali e le interazioni in cui ci ritroviamo a presentare il nostro sé: - la normatività della vita sociale ci allerta quando qualcuno non si costituisce su di sé allo stesso modo in cui fanno tutti gli altri - i processi di stigmatizzazione sono l’attribuzione a un individuo (o un gruppo sociale) di una o diverse caratteristiche (identitarie, fisiche, morali, caratteriali, ideologiche, ecc…) nel corso delle interazioni sociali, cui consegue una serie di comportamenti reattivi che vanno dal discredito alla derisione, dall’esclusione all’isolamento e alla condanna. - lo stigma non individua soggetti o categorie di individui concreti, ma soprattutto si riferisce a un processo relazionale complesso, che implica due prospettive principali, quella del “normale” e quella dello “stigmatizzato” cerca di opporsi alle richieste di cambiamento. Un esempio è la gerarchia del genere che ha reso impossibile per le donne competere con gli uomini sul mercato del lavoro e aspirare a posizioni di alta dirigenza. Nonostante le numerose battaglie esiste ancora il “soffitto di cristallo” (l’insieme di barriere sociali, culturali e psicologiche che si frappone come un ostacolo insormontabile, ma all’apparenza invisibile, al conseguimento della parità dei diritti e alla concreta possibilità di fare carriera nel campo del lavoro per categorie storicamente soggette a discriminazioni). Dirigenti uomini e consigli di amministrazione trovano modi di limitare le opportunità di mobilità. Ci sono due elementi che influenzano l’impatto delle gerarchie sociali su individui e società: - le gerarchie sociali implicano potere (capacità di influenzare il potere altrui) e il privilegio (la possibilità o il diritto di avere accesso a opportunità e ricompense), attraverso i quali i gruppi dominanti monopolizzano le opportunità. Il meccanismo più comune per il mantenimento del privilegio è la discriminazione, che si verifica laddove un gruppo dominante impiega mezzi legali o informali per controllare le opportunità e ridurre o eliminare le sfide provenienti dai gruppi subordinati. Esistono mezzi legali (come leggi, regolamenti espliciti, sanzioni) che rendono la discriminazione trasparente; in questo caso i cambiamenti derivano dalle proteste dei movimenti sociali il cui obiettivo è far venir meno il fondamento legale che permette a un certo gruppo di servirsi della legge per renderne un altro subordinato. Oggi nella maggior parte dei paesi democratici non esistono barriere esplicite alle pari opportunità che si basino solamente sull’appartenenza a un qualche gruppo. Tuttavia, ancora molto diffusa è la discriminazione perpetuata attraverso mezzi informali, come gli stereotipi negativi, ovvero false o esagerate generalizzazioni su un gruppo subordinato, come gli afroamericani, gli stranieri immigrati, gli zingari, che vengono applicati a tutti i membri di quel gruppo. Secondo alcuni stereotipi classici negativi alcuni gruppi sono pigri, poco intelligenti e inaffidabili. Questi stereotipi in qualche modo giustificano la continua discriminazione attuata, anche dove è stata raggiunta l’uguaglianza formale (si pensi ai neri in America). - altro aspetto importante delle gerarchie sociali è la dimensione dei gruppi che influenza le relazioni tra gruppi che competono per le stesse opportunità. Gli obiettivi che si desiderano maggiormente raggiungere sono le opportunità di lavoro ed economiche e in ambito culturale l’istruzione; poiché le dimensioni dei gruppi sociali che competono per queste opportunità cambiano inevitabilmente nel tempo, anche i conflitti tra loro possono aumentare. Quando un gruppo subordinato diventa più numeroso (per effetto di fenomeni demografici come un aumento della natalità o immigrazione) è possibile che i membri del gruppo dominante si sentano minacciati e reagiscono attuando chiusura di status (sociale). Nella competizione tra gruppi sociali sta una delle cause che porta al cambiamento della struttura sociale (anche se questo avviene molto lentamente). Tre fondamentali tendenze economiche a lungo termine hanno trasformato radicalmente le società mondiali. La prima - il declino a lungo termine della produzione e dell’occupazione agricola, e l’incremento del lavoro manifatturiero - + nota con il nome di Rivoluzione industriale. Vede la scomparsa dell’ancien régime e il passaggio alla modernità industriale e ha comportato il declino del ruolo centrale dell’agricoltura nell’economia. Tantissimi contadini hanno abbandonato la loro occupazione e trovato lavoro nel campo industriale. Il secondo grande mutamento demografico a livello nazionale è ancora in corso; fino agli anni ‘70 del secolo scorso le occupazioni manifatturiere sono state la principale forma di crescita occupazionale nell’economia italiana; centri di questo boom sono state città come Torino, Genova, Milano, Brescia e qui molte parole sono immigrate dal Meridione. Ma a partire dagli anni ‘70 l’occupazione in cambio industriale iniziò a diminuire e ciò ha diminuito la percentuale di occupati nelle imprese manifatturiere nei paesi dell’Europa occidentale. Tra le cause, molto dibattute, c’è sicuramente il progresso tecnologico che ha portato alla sostituzione dei lavoratori con le auto e una maggiore efficienza. Le occupazioni manifatturiere da cosa sono state sostituite? Dai primi anni Duemila è in netto aumento l’occupazione in lavori di concetto, ad alto contenuto conoscitivo. Le nuove occupazioni sono nel settore dei servizi, nella finanza, nell’industria immobiliare, in servizi professionali. Questi mutamenti nel settore lavorativo hanno portato ad un crescente numero di lavori “brutti”, impieghi di servizio e manutenzione, nelle imprese di pulizia ecc… Lavori che in Italia i “nativi” non sono disposti a fare e che ora che la nazione è diventata terra di immigrazione sono sempre più svolti da lavoratori non italiani. Perché per le possibilità di lavoro di un individuo, i cambiamenti nella dimensione del gruppo contano? Perché essi influenzano i tipi di lavoro e di occupazione disponibili. La dimensione dei gruppi in conflitto può variare notevolmente; i gruppi dominanti possono essere costituiti dalla maggioranza (come i bianchi in America) e dalla minoranza (come i bianchi in Sudafrica durante l’apartheid). Esistono, ancora oggi, casi in cui un gruppo molto piccolo può esercitare la propria supremazia su gruppi assai più ampi. La storia è costellata di esempi di disuguaglianza di potere nella struttura sociale. Essa è riscontrabile nella capacità che hanno alcuni, più potenti di altri, di influenzare il comportamento altrui, anche attraverso l’emanazione di leggi che escludono i gruppi subordinati e riproducono l’asimmetria di potere. Decima lezione - Struttura sociale pt2 Seconda dimensione: i poteri di norme e istituzioni La seconda dimensione fondamentale della struttura sociale sono le norme e le istituzioni sociali. Le norme sociali influenzano le nostre interazioni reciproche fornendo delle norme non scritte che conosciamo e seguiamo. Le istituzioni trasformano le norme in modi di fare consolidati nella vita sociale, creando organizzazioni sociali. Norme e regole: le norme sociali influenzano le nostre interazioni reciproche fornendo un complesso insieme di regole che dobbiamo conoscere e seguire: sono i copioni per le nostre azioni quotidiane. Anche se non scritte, funzionano come regole della società che ci dicono cosa è appropriato fare in una data situazione, offrendoci una guida per procedere nelle azioni. Le regole sono linee guide per il comportamento di tipo formale ed esplicito; le norme invece sono qualcosa che semplicemente conosciamo e sono di tipo informale. A volte la distinzione tra norme e regole può essere ambigua. Norme, regole formali e leggi sono importanti, ma molto spesso vengono violate; possono esserci costi per la violazione, quando qualche autorità interviene, ma anche se a essere violate sono norme non scritte ci si ritrova in situazioni spiacevoli. Qualcuno che non agisce in accordo alle norme fondamentali può essere considerato strano ed essere evitato dagli altri. Per questo motivo siamo fortemente motivati a rispettare le norme sociali. Norme e regole permettono alla struttura sociale di esercitare un forte potere su di noi; spesso non sappiamo da dove provengono tali norme. Durkheim li chiamava “fatti sociali”, facendo riferimento a quelle parti della società che non dipendono dagli individui ma esercitano pressioni su di loro. Le regole e le norme, se cambiano, lo fanno con grande lentezza e attraverso un processo sociale collettivo. Istituzioni: Le istituzioni trasformano le norme in modi di fare consolidati nella vita sociale, creando organizzazioni sociali di lunga durata come le famiglie, le scuole, le chiese, i governi, che regolano e obbligano il rispetto di norme e costumi in particolari campi dell’attività umana. Possono essere usanze o organizzazioni concrete. Le norme e le regole diventano davvero significative quando vengono istituzionalizzate, ovvero incorporate nelle principali istituzioni della società. Esse emergono quando gruppi di persone iniziano a formalizzare qualcosa che prima rispettavano in modo informale. L’istituzionalizzazione è il processo attraverso il quale una pratica o un’organizzazione sociale diventa un’istituzione; l’introduzione di ruoli e regole formali in forma organizzata. Tale processo è di lunga gestazione e può richiedere decenni o secoli. Un esempio è quello delle religioni organizzate; nell’antichità gli uomini si meravigliavano dei fenomeni naturali, poi col tempo iniziarono ad attribuirli a figure divine, fino alla nascita di templi sacri e alla diffusione di testi, per poi giungere all’organizzazione ecclesiastica. Altro esempio è quello delle scuole e dei sistemi educativi; insegnamento e apprendimento esistono in qualche modo dall’inizio della civiltà umana, tutte le generazioni trasmettono le informazioni utili alla sopravvivenza alle generazioni successive, Con il tempo queste civiltà pensarono che per i bambini fosse più semplice se stavano in gruppo e apparvero le prime scuole, fino ad arrivare a definire un curriculum (programma di insegnamento). A quel punto l’apprendimento si è istituzionalizzato. Tra le principali istituzioni figurano le istituzioni familiari, le istituzioni urbane, le istituzioni giudiziarie, le istituzioni mediche, le istituzioni governative, le istituzioni economiche, quelle globali, e così via. Le istituzioni sono creazioni dell’essere umano e in quanto tali possono essere riformate o reinventate nel corso del tempo. Il matrimonio, ad esempio, oggi è messo in discussione in quanto unione tra uomo e donna si sta modificando, aprendosi alle coppie omosessuali. Dal momento in cui le istituzioni possono essere modificate per ridurre o aumentare l’uguaglianza tra i membri dei gruppi differenti in una gerarchia sociale, la disuguaglianza nelle istituzioni è una costante fonte di conflitto. Le leggi sono una fase di istituzionalizzazione di norme che già rispettavamo. Ad esempio, il non ricorrere alla violenza per difenderci era consuetudine già prima di una legge che lo sancisse, ma oggi come vediamo si sta cambiando la prospettiva; ci appare più giusto, o comunque se ne discute, difenderci con la violenza dalla violenza e si creano leggi che ce lo permettono a livello legale. L’istituzionalizzazione implica un’imposizione di valori e credenze generalmente condivise che vengono però “imposte” a tutti; per cui è interessante anche il dibattito di chi abbia il potere o il compito di decidere quali valori possono essere istituzionalizzati, applicati a tutti e quali no. Il processo di istituzionalizzazione rende comune, solidifica ciò che riteniamo legittimo, il potere legittimo. Quando l’istituzionalizzazione diventa organizzazione ha una gerarchia, si mettono per iscritto i ruoli e ogni ruolo ha i propri comportamenti socialmente appropriati. Nelle burocrazie pubbliche anche l’arredamento degli uffici è scritto nei regolamenti e dipende dal ruolo che si ha nella gerarchia. L’esempio che maggiormente si fa per parlare di istituzioni sono le organizzazioni, definite come un gruppo dedicato a una specifica attività che ha uno scopo o un proposito identificabile e una forma durevole di associazione. Il potere e il raggio delle grandi organizzazioni sono spesso immensi e importanza più grande hanno le istituzioni governative; i governi si elevano al di sopra delle altre istituzioni di una società e quando agisce un governo ha enormi poteri. I sociologi definiscono lo stato come l’insieme di tutte le agenzie e i ministeri appartenenti a istituzioni di governo, incluse le burocrazie governative, il sistema legale e giudiziario e le forze armate. Lo stato continua a funzionare indipendentemente dalle persone che ricoprono i ruoli, è la più grande istituzionalizzazione che regola le nostre vite (si pensi alla Germania nazista degli anni ‘30 e ‘40). I governi possono attuare politiche che contribuiscono a determinare aspetti come la ricchezza e i differenziali di reddito tra i cittadini e definiscono il livello di tolleranza nei confronti della povertà e i danni ambientali. Le politiche governative, associate al welfare state, possono ridurre il livello di povertà e di disuguaglianza presente in una società o, al contrario, permetterne una presenza massiccia. Il welfare state può cambiare le stesse condizioni di vita sociale. Il contesto dell’interazione sociale Una delle domande più importanti sulle strutture sociali è il modo in cui esse penetrano nei nostri pensieri, nelle nostre azioni e interazioni con gli altri e perché sia così difficile che esse cambino. Socializzazione: da dove hanno origine le norme, le istituzioni, i ruoli e le gerarchie? Attraverso la nostra partecipazione a diversi contesti istituzionali, la sperimentazione di diversi ruoli e l’esposizione al potere delle gerarchie sociali nelle nostre vite, siamo costretti ad adattarci a esse e alle regole della società in cui viviamo. La socializzazione è il processo che ci educa a comportarci in modo appropriato nella società o in particolari ambienti sociali ed è il modo in cui comprendiamo le aspettative e le norme dei gruppi cui partecipiamo. Il processo di socializzazione inizia nelle famiglie, quando i figli assumono questo ruolo ascritto e comprendono cosa i genitori si aspettano da loro, cosa è giusto e cosa non è giusto fare. Poi prosegue negli asili, nelle scuole, nel gruppo dei pari che si frequenta, nei luoghi sacri e così via, in cui di volta in volta il bambino assume ruoli differenti. Si apprende anche attraverso i mass media. Crescendo i bambini apprendono la necessità di conformarsi alle regole in luoghi e contesti in cui si trovano. La socializzazione è un processo senza fine, perché è necessario adattarsi a nuove situazioni per tutta la vita (anche gli anziani che entrano nelle case di cura si adattano a un nuovo contesto, a un nuovo ruolo e a nuove norme e gerarchie). Alcune delle idee sulla socializzazione sono state elaborate da Pierre Bourdieu, che ha sostenuto che la socializzazione agisce con Se voglio scioperare devo chiedere al sindacato e poi comunicarlo alle altre parti. Anche lo sciopero che pare il momento del litigio è istituzionalizzato. La grande stagione di conflitto istituzionalizzato ha portato al Welfare state; dal contratto tra padroni e lavoratori con stato da garante si sono fatti accordi, la crescita deve essere coniugata al consenso sociale. Il welfare state è un'istituzione, l’insieme di programmi che forniscono protezione e assistenza sociale a persone che rientrano in una determinata categoria. Quali sono i programmi storici del welfare state, (insieme di programmi che influenzano le vite dei neonati e i loro percorsi di vita): - previdenza sociale: prevedo che gli anziani non ce la fanno a lavorare e lo stato si prende cura del benessere - piani di assicurazione sanitaria (la sanità universale è un’istituzionalizzazione) - sussidi di disoccupazione - programmi di attivazione (di formazione per chi non trova lavoro) Cosa ha comportato l’istituzionalizzazione del conflitto attraverso il Welfare state? La crescita della classe media; che cos’è e perché è una forma di struttura sociale? Anche il modello di conflitto istituzionalizzato è path dependence perché ancora oggi chi ci rappresenta sono i sindacati e le confindustrie per regolare le disuguaglianze. Cos’è la classe? È un gruppo di persone che si trovano in posizioni sociali ed economiche simili, hanno all’incirca le stesse opportunità di vita e traggono vantaggi (o svantaggi) dagli stessi tipi di politica governativa. Hanno un lavoro che ci consente reddito e prestigio simile. Abbiamo anche una posizione sociale simile, consumiamo gli stessi beni. Le stesse opportunità di vita: siamo una classe sociale se tutti abbiamo avuto l’opportunità di iscriverci allo stesso liceo blasonato. Siamo una classe sociale se traiamo vantaggio dalle stesse politiche governative. In sociologia la classe sociale richiede minimamente le tre categorie e devono presentarsi insieme. Chi ha parlato di classe? Marx ed Engels, ma Marx non diceva che c’erano solo due classi, ma due sono le classi che il sistema capitalistico tende ad accentuare e polarizzare. Grazie all’istituzionalizzazione del conflitto si è passati da uno schema a due a uno schema a tre. La classe media è composta da chi ha redditi medi, un punteggio medio nelle tre dimensioni di istruzione, reddito e occupazioni, chi appartiene allo stesso gruppo occupazionale, condividendo al suo interno visioni politiche simili e agendo con gli altri del gruppo per ottenere stipendi più alti o cambiare le politiche governative. La cosa più caratterizzante sono i consumi; siamo classe media se consumiamo da classe media. La classe media, dopo la crisi del contratto sociale, si sta riducendo. In che modo la classe sociale influenza le traiettorie di vita? Rendendo diseguali le loro opportunità di partenza. La classe sociale non offre a tutti le stesse condizioni di partenza. La disuguaglianza delle opportunità indica i modi in cui la disuguaglianza influisce sulle possibilità che bambini e giovani adulti hanno di esprimere le proprie potenzialità. Misurare l’uguaglianza di opportunità è la misura e i modi in cui i membri di una data sociale si muovono, nel corso della loro vita, all’interno dello spazio sociale. In un gruppo di paesi europei vedere quanto è facile fare mobilità sociale tra le classi è un indice di uguaglianza e disuguaglianza. Più è eguale la distribuzione di reddito in un paese più è possibile fare mobilità sociale. Nei paesi scandinavi la disuguaglianza di opportunità è bassa perché è il luogo in cui è nato il modello del contratto sociale. Mercato del lavoro e politiche governative influenzano le traiettorie di vita degli individui. Undicesima lezione - Cultura, media e comunicazione Il termine cultura viene utilizzato nel linguaggio quotidiano per indicare diverse cose, come sinonimo di arte o attività artistiche, di “gusto” come quando definiamo una persona “colta”, ecc… La moderna storia occidentale del concetto di cultura inizia nel XVIII e XIX secolo con l’aumento di viaggi attorno al mondo, quando i mercanti europei entrano in contatto con le popolazioni non europee e notano differenze non solo fisiche ma anche comportamentali. In un primo momento si associavano quest’ultime a motivi biologici, ma verso la fine dell’Ottocento gli antropologi capiscono che responsabili di tali differenze non era la “razza” ma qualcosa che non era ereditato, bensì appreso. Quel qualcosa era la cultura e dalle ricerche iniziali sono derivate tre conclusioni fondamentali: ● la cultura è una caratteristica dei gruppi e non degli individui ● la cultura è un modo per dare un senso alle differenze tra i vari gruppi e alle somiglianze che esistono tra gli individui che compongono ogni gruppo ● la cultura è un aspetto della vita sociale e ciò che la rende fenomeno sociale è il suo non essere naturale All’inizio del XX secolo i sociologi e gli antropologi hanno definito la cultura come il modo di vivere di un popolo nel suo complesso; possiamo dire che la cultura è il sostrato dei sistemi di credenze e conoscenze del mondo “dato per scontato” in cui siamo stati socializzati. Sistemi di credenze o conoscenze condivise dai membri di un gruppo o di una società che influenzano i comportamenti e gli atteggiamenti individuali e di un gruppo. Ne sono parte il linguaggio, i costumi, i simboli, i rituali e altre forme di significato condivise. Una grande domanda è “a quale cultura apparteniamo?” A quella della famiglia? A quella della classe sociale o del genere? A quella della regione o della nazione? Esistono sei concezioni della cultura: 1. pragmatica: formazione, acquisizione di conoscenze teoriche e pratiche, accezione “quantitativa”, chi ne ha di più e chi ne ha di meno 2. valori e credenze: patrimonio di esperienze condivise dai membri del gruppo o società di appartenenza (morale/valori), codici comportamentali condivisi (costumi), senso etico del fine collettivo, visione di un’identità storicamente determinata 3. intellettuale: potere intellettuale, status, privilegio di chi ha “saperi” (expertise, scienza, tecnologia, politica, arte, ecc…) 4. istituzionale: istruzione pubblica, formazione di base e preparazione al lavoro in un’organizzazione sociale meritocratica 5. simbolica: complesso dei simboli di un gruppo, che comunicano un’idea pur rimanendo distinti da quest’ultima 6. comunicazione: condivisione di informazioni significative tra persone. Linguaggio (universale culturale): sistema corrente di parole o simboli che rappresenti concetti, non solo verbale. Noi approfondiamo solo tre aspetti più specificamente sociologici: insieme di significati e simboli, insieme di valori, credenze e pratiche, insieme di forme condivise di comunicazione. Cultura come sistema di significati e simboli Ogni idea è ricca di simboli che comunicano un’idea, pur rimanendo distinti da quest’ultima, come il cuore rosso che nella società contemporanea americana come italiana indica l’amore o un’automobile che sfrecciando ad alta velocità suggerisce l’idea di libertà e passione. Visti nel loro complesso i simboli di un gruppo (e i rituali collettivi a cui gli individui attribuiscono un significato) possono essere considerati la sua cultura e essere utili a interpretare quella cultura. Negli anni ‘50 l’antropologo Clifford Geertz (con il suo studio sulle pratiche culturali ha dato un grande contributo alla sociologia) analizzando un combattimento tra galli in Indonesia ha dimostrato che la cultura consiste fondamentalmente di un sistema di significati collettivi. Egli cercò di comprendere il significato che le popolazioni attribuiscono ai rituali collettivi che si manifestano negli eventi culturali, come il combattimento dei galli, cosa voglia dire parteciparvi; per questo motivo la sua teoria è definita comprendente o interpretativa (come quella di Weber), ovvero tende a capire le motivazioni che spingono gli individui a comportarsi in un determinato modo. Per Greetz un modo efficace di indagare è andare nei luoghi e osservare senza basarsi sui propri pregiudizi e senza cercare di fare dei paragoni con la propria cultura, scindendo anche dalle interpretazioni che i gruppi studiati danno di una pratica. La cultura va intesa come un sistema di significati collettivi, un “testo” da interpretare, attraverso una lunga osservazione etnografica del contesto. Pratica comune, come visto, nell’Indonesia degli anni ‘50 era assistere in massa a un combattimento di galli, allevati proprio con l’intento di combattere fino alla morte e di scommettere moltissimo sulla gara. Osservando questa pratica Greetz riuscì a comprendere, depurandosi dal suo background (che avrebbe suggerito negativo allevare animali per questo scopo e scommettere somme ingenti), del significato che fare ciò ha per i balinesi; la scommessa non si limitava alla vincita o alla perdita del denaro, ma era un modo di indicare e rivedere le gerarchie di status. Chi scommette molto e vince molto ottiene in quel contesto, in quella cultura, un riconoscimento inimmaginabile per gli estranei del gruppo. La stessa cosa nella nostra cultura non sarebbe vista in modo positivo e anzi spesso chi tende a scommettere grandi somme è giudicato negativamente nella nostra cultura. Sono eventi culturali anche le gare sportive (di rilevanza importante nel Nordatlantico da dopo la Seconda guerra mondiale); le gare sono eventi a cui si attribuiscono un senso di coesione e di unione, la possibilità di poter individuare un eroe, un vincitore, e poi un modo per competere senza fare la guerra. Ma le gare sportive, con la stretta di mano scambiata tra i partecipanti, è anche un modo attraverso il quale si dimostra di saper accettare la sconfitta senza fare guerra, dichiarare inimicizia. Anche i festival come quelli di Sanremo sono momenti in cui si riproduce la cultura. I simboli esistono in ogni contesto sociale e studiare i simboli ci aiuta a comprendere aspetti della società che spesso non sono in disuguaglianza, come le distinzioni d’onore, la disuguaglianza e la competizione. Il metodo di ricerca, basato su un’osservazione lunga e approfondita di un gruppo è chiamato etnografia. Cultura come insieme di valori, credenze e pratiche Rituali come la Coppa Italia o il festival di Sanremo, ma anche celebrazioni e mobilitazioni pubbliche dimostrano dei valori comuni (giudizi su ciò che è intrinsecamente importante e significativo) come il patriottismo, la competitività, il consumismo. Per Geertz la cultura non è negli eventi, ma nel significato collettivo dato ad oggetti ed eventi. In che modo il significato collettivo influenza il nostro comportamento sociale? A prescindere dalla consapevolezza che ne abbiamo, la cultura influenza le decisioni che compiamo nelle nostre vite, sulla base dei valori che abbiamo sviluppato e in cui crediamo. Riproducendo pratiche collettive (consumare di notte, ballare nei locali, fare aperitivi, il Black Friday con lunghissime file) legittimiamo il valore dato alle pratiche stesse. Quando ci accorgiamo di star riproducendo dei rituali? Quando abbiamo degli elementi di frattura che ci fanno riflettere su ciò che era dato per scontato: con la pandemia abbiamo capito l’importanza della socialità, della presenza fisica nei rapporti e nella comunicazione, così come nel 2001 con i fatti del G8 c’è stato un momento di frattura perché la protesta per strada, data per scontato fino ad allora, non lo era più. Il Bataclan fu un elemento di frattura, poiché fece capire che luoghi di musica e concerti non erano privi di pericoli come si pensava. Si tratta di elementi ottenuti da tempo, ma non per questo scontati. la guerra in Ucraina mette in discussione ciò che non è mai appropriato infrangere, come le case delle persone. Anche la crisi del 2008 fu un elemento di frattura. Come apprendiamo queste pratiche culturali e perché sono scontate? Apprendiamo tramite la socializzazione, il processo attraverso il quale gli individui giungono a comprendere le aspettative e le norme dei propri gruppi, così come i vari ruoli che essi assumono nel corso della propria vita e il modo in cui comportarsi nella società o in particolari contesti. La socializzazione parte dall’infanzia e prosegue nell’età adulta con l’accumularsi dei ruoli in cui contribuiscono diversi “agenti di socializzazione”: socializzazione primaria: pone le basi per lo sviluppo della personalità attraverso la figura genitoriale o altre figure che ne prendono cura e socializzazione basa sul multiculturalismo, termine con cui si indicano tendenze che promuovono l’integrazione e l’accettazione, su basi prioritarie, di differenti gruppi etnici o culturali all’interno di una stessa società. Per far sì che cambino gli equilibri nella cultura c’è bisogno di molto tempo e che a cambiare siano anche determinate condizioni politiche ed economiche di una società. Due sono gli approcci che analizzano il conflitto in ambito culturale: ● sfera pubblica → secondo il sociologo tedesco Jurgen Habermas (da associare a un certo ottimismo) una democrazia matura tipica del capitalismo avanzato funzioni e trovi la massima espressione democratica in un’assemblea di privati cittadini in un organismo pubblico, che discutono attorno a questioni di interesse generale (riunione di condominio). A prescindere dal colore della pelle e dal reddito (o da altro), tutti hanno il diritto di dire la propria e ciò che dicono pesa allo stesso modo. Tutti hanno parità di accesso alle informazioni e argomentano le loro scelte. Per Habermas questa forma dal XVIII secolo questa sfera si trova in una serie di istituzioni come giornali, pub, club, caffè, dove ci si incontra per discutere e decidere. Egli aggiunge che questo genere di democrazia permette di tenere a bada i poteri cattivi. ● industria culturale → Theodor Adorno (legato alla scuola di Francoforte) sostiene che il luogo in cui si prendono le decisioni non è la riunione di condominio, ma l’opinione pubblica, È la cultura popolare che pervade la sfera pubblica e alimenta un pubblico passivo e conservatore. La cultura “di massa” offre prodotti standardizzati e mercificati, incoraggia al consumo passivo di ciò che sta guardando anzichè alla partecipazione o all’impegno creativo, alla discussione o critica dello status quo. Cultura globale Ha senso parlare di un’identità di gruppo per un gruppo esteso quanto l’intera razza umana? Esiste una cultura globale che incorpori pratiche e cultura comuni a vaste regioni del mondo? La globalizzazione e l’attuale interconnessione tra le persone del pianeta rende questa idea sempre più possibile. Grazie alla globalizzazione alcuni sistemi culturali sono diventati davvero globali; pensiamo a Microsoft Windows che è usato da centinaia di milioni di persone nel mondo e costituisce la base di un vocabolario tecnologico comune che trascende il linguaggio. Altri aspetti della cultura globale sono più astratti, come cittadinanza, sviluppo economico, diritti umani, ecc… L’interconnessione culturale globale non si traduce nel fatto di guardare tutti gli stessi film o di attribuire ai simboli lo stesso significato; alcuni eventi e prodotti culturali sono ora diffusi, comprensibili, riconoscibili e legittimati quasi ovunque e sono quindi omogenei come mai è accaduto in passato (McDonald’s). Altri aspetti sono più diversificati ed eterogenei; c’è un revival di culture indigene (locali), aspetti culturali autoctoni o minoritari. Culture locali che sono state rifocillate dal tentativo di affermare un’unica cultura globale. Culture nazionali Ancora oggi però la più importante identità di gruppo è la cultura nazionale, ovvero l'insieme di pratiche e credenze condivise all’interno di uno stato-nazione. Oggi sembra ovvio che il mondo debba essere diviso in nazioni, ma fino a pochi secoli fa non era così e anche oggi l’idea di nazione può essere, per certi aspetti, messa in discussione. L’ascesa del nazionalismo (il fatto che le persone pensino a sé come membri appartenenti naturalmente a una nazione) è una trasformazione culturale su larga scala e le nazioni sono in realtà comunità immaginate; i loro membri condividono un assunto di comune appartenenza, anche se provengono da classi e retroterra culturali diversi e, nella maggior parte dei casi, non interagiranno mai tra loro tutti. In genere associamo la “nazione” a un territorio compatto (e già qui pensiamo ad esempio alle isole che compongono le Filippine), con un governo centrale, una lingua comune, confini definiti e una difesa comune. Ma la nazione non è naturale ma il prodotto di processi culturali e concettuali, costrutto artificiale determinato dall’incessante produzione mitopoietica di simboli, dell’invenzione di tradizioni, dai processi di creazione di immaginari comuni e di orizzonti di memorie collettivamente condivise (lingua, autodeterminazione). Le comunità nazionali sono sorte con il capitalismo della stampa, cioè con la produzione di massa di libri e giornali scritti nelle lingue locali, per un consumo di massa simultaneo da parte di un pubblico sempre più alfabetizzato. Cosa rende le culture nazionali l’una diversa dall’altra? Gran parte delle istituzioni sociali, politiche, economiche e culturali sono organizzate a livello nazionale e hanno effetti sistematici sul modo in cui le persone vivono le proprie vite e sul tipo di atteggiamenti e visioni del mondo sviluppato. Classe, status e cultura I segni culturali (il modo di vestire, il modo di parlare, gli sport che pratica, la musica che apprezza, i tipi di cose che ama fare) ovvero il gusto, le preferenze culturali, sono un modo attraverso il quale riusciamo a capire se una persona è ricca o no. La classe sociale non è data solo dal livello economico, ma anche dal gusto, che gioca un ruolo importante nello stabilire e mantenere le distinzioni di classe. Bourdieu ha sostenuto che il gusto è sostanzialmente il disgusto per il gusto altrui. Chi è nato nella classe operaia ha grande probabilità di rimanervi per tutta la vita e la stessa cosa vale per chi nasce in una classe superiore. Un tipo di risorsa è rappresentato dal denaro, un altro tipo sono i legami sociali, reti di amici e conoscenti, che Bourdieu definisce capitale economico e capitale sociale, suggerendo l’esistenza anche del capitale culturale con cui si indica la nostra educazione, i nostri atteggiamenti e le nostre preferenze. Bourdieu enfatizzava il modo in cui le persone manifestano il proprio gusto nella vita quotidiana spesso senza pensarci. Il gusto implica anche il disgusto; anche se non giudichiamo i gusti altrui a livello conscio, è probabile che proprio essi incidano sulla scelta delle persone con cui desideriamo stare e di quelle che, invece, vogliamo evitare. I gusti aiutano a mantenere i confini di status tra differenti gruppi. Nel suo studio Bourdieu ha sottolineato come i gruppi sociali di status più elevato sono in grado di apprezzare le arti e la cultura alta in modi che per i lavoratori ordinari sono impossibili da emulare; tuttavia diversi paesi come Italia e Stati Uniti hanno una cultura di massa più pervasiva rispetto a molti altri che porta persone appartenenti a differenti classi ad ascoltare musica simile o a guardare gli stessi programmi televisivi. Le élite tendono a comportarsi come onnivori culturali, dimostrando il loro alto status con un’ampia gamma di consumi culturali. Le distinzioni che le persone tracciano sulla base del gusto sono solo dei confini simbolici; due altri tipi di confini simbolici sono lo status socioeconomico e la moralità. Il processo definito riproduzione della classe porta a mantenere nel tempo confini e distinzioni di classe. Con cosa si spiega la riproduzione della classe e dello status nel lungo periodo e attraverso le generazioni? Una risposta ovvia è data dal denaro, ma i soldi spiegano solo in parte il fenomeno; le differenze di classe influenzano anche il modo in cui i genitori concepiscono e praticano l’educazione dei figli, quali implicazioni ha tutto ciò per il futuro di questi ultimi. Le condizioni della riproduzione culturale Nel 1848 Marx ed Engels affermano che le persone più ricche e potenti di una società sono quelle con le maggiori possibilità di produrre e distribuire la propria cultura e le proprie idee. Al tempo tali persone erano i capitalisti che usando la loro influenza sui proprietari di giornali e gli intellettuali riuscirono a rendere libertà e indipendenza le idee dominanti del periodo. L’analisi di Marx ed Engels ci permette di inquadrare la produzione culturale come un fenomeno storico; idee e mode non cambiano casualmente nel tempo, ma rispondono ai cambiamenti delle condizioni politiche ed economiche di una società. Oggi con Internet e i social media le persone e le classi potenti hanno ancora il controllo sulla produzione della cultura? Chi controlla la produzione di idee nella società? Una premessa fondamentale è che in una società che si dice e si vuole libera tutti hanno la possibilità di parteciparvi. La partecipazione egualitaria alla vita pubblica si basa sull’idea che esista ciò che il filosofo e sociologo tedesco Jurgen Habermas ha definito come sfera pubblica; secondo Habermas la forma più alta di vita pubblica in una società capitalista è rappresentata dall’assemblea di privati cittadini che si trovano da pari per discutere di problemi di interesse comune (come l’assemblea di condominio). Il loro grado di influenza è legato all’argomentazione delle loro tesi e non alla loro classe o al loro reddito. Per Habermas questa forma dal XVIII secolo questa sfera si trova in una serie di istituzioni come giornali, pub, club, caffè, dove ci si incontra per discutere e decidere. Egli aggiunge che questo genere di democrazia permette di tenere a bada i poteri cattivi. Theodor Adorno (legato alla scuola di Francoforte) sostiene che il luogo in cui si prendono le decisioni non è la riunione di condominio, ma l’opinione pubblica, E’ la cultura popolare che pervade la sfera pubblica e alimenta un pubblico passivo e conservatore. La cultura “di massa” offre prodotti standardizzati e mercificati, incoraggia al consumo passivo di ciò che sta guardando anziché alla partecipazione o all’impegno creativo, alla discussione o critica dello status quo. Il medium è il messaggio Il dibattito sulla natura popolare o democratica della cultura si basa anche sulla sua forma. Lo stesso contenuto diffuso su Twitter o via cavo avrà la stessa influenza? La risposta della teoria della comunicazione è no; Marshall McLuhan con la sua frase “il medium è il messaggio” intendeva che media differenti stimolano differenti modi di comunicare, di organizzare il potere e di centralizzare o decentralizzare l’attività sociale. Ad esempio il web offre un’esperienza più ricca a livello sensoriale rispetto alla radio che invece domina uno dei nostri sensi e spinge a dedicare l’attenzione alla ricezione e all’elaborazione delle informazioni che si stanno ascoltando. I sociologi concepiscono i media come caratterizzati da distorsioni; varie forme di comunicazione incoraggiano diversi tipi di partecipazione. La produzione culturale ha oggi sempre più luogo online e forse si tratta di una transizione ancora più grande di quella dell’età della tipografia all’età della televisione. Dagli anni ‘50 la comunicazione pubblica si è spostata sempre più verso la televisione. La TV è diventata il mezzo principale attraverso cui le persone hanno ricevuto notizie sul mondo. Secondo alcuni studiosi l’età della televisione ha comportato un declino della qualità del discorso pubblico. Media e democrazia I media che trasmettono notizie sono un elemento fondamentale della cultura di una data società. I media sono probabilmente la forma più importante di produzione culturale nella nostra società e se vogliamo comprendere l’impatto generale della cultura all’interno di quest’ultima è fondamentale considerare il loro rapporto con la democrazia. Il giornalismo è una forma di comunicazione culturale, ma le notizie fanno molto più che far conoscere le notizie al pubblico; decidendo in che modo e che cosa coprire (di cosa occuparsi) i giornalisti contribuiscono a crearle e a cambiarle. Gli esponenti politici ritengono che i media esercitino il potere di agenda setting (di decidere di cosa sia importante parlare), in grado di cambiare il corso degli eventi politici e determinare le carriere. Indipendentemente dalle nostre opinioni al riguardo, se sentiamo parlare di una data questione in un notiziario, abbiamo maggiori probabilità di trattarla come un evento importante. Distorsione mediatica, dominio o framing? I media sono trattati? Sono soggetti a sistematiche distorsioni? Sicuramente ci sono temi che vengono coperti molto poco e altri di cui si pubblica molto. L’aborto è un tema dibattuto, come l’evasione delle tasse da parte delle imprese, ma la desiderabilità del capitalismo è menzionata molto raramente. Edward Herman e Noam Chomsky hanno sviluppato un modello dei media basato sull’idea di propaganda: il ruolo dei media, sostengono, è informare, intrattenere e radicare nei cittadini i valori nazionali. Lo spiegano attraverso cinque ragioni: ● la concentrazione dei media nelle mani di un piccolo numero di ricchi proprietari ● la pubblicità è la fonte primaria di entrate per i media ● l’affidamento a funzionari governativi, leader di azienda e uffici di pubbliche relazioni come fonti per la presentazione delle notizie ● la possibilità dei governi e dei consigli di amministrazione delle grandi imprese di punire e minacciare i media che sono troppo critici
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