Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Sognando il futuro: da 2001, odissea nello spazio a Inception, Sintesi del corso di Storia Del Cinema Americano

Riassunto dettagliato del libro

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 21/03/2021

Utente sconosciuto
Utente sconosciuto 🇮🇹

5

(1)

2 documenti

1 / 30

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Sognando il futuro: da 2001, odissea nello spazio a Inception e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Cinema Americano solo su Docsity! SOGNANDO IL FUTURO 
 Nel 1968 Kubrick con 2001: Odissea nello spazio, apriva un nuovo cammino per il genere della fantascienza cinematografica. Prima il filone fantascientifico era legato ad una produzione di serie B ed era la fabbrica di piccoli film in cui venivano esorcizzate le paure della nazione americana (es bomba atomica), da Kubrick in poi la fantascienza diventa un genere serio, votato a grandi riflessioni e produzioni. Da allora il genere è cresciuto, divenendo il filone di riferimento del panorama cinematografico americano e quindi mondiale (es come Matrix, Avatar o Inception). 
 
 Kubrick intuì che il cammino della settima arte era: il potenziamento dell’apparato tecnologico e degli effetti speciali (pari passo con l’evoluzione della tecnologia cinematografica) e la ricerca di un cinema capace di interpretare la grande sfida del nuovo secolo (rapporto filosofico ed etico con nuova tecnica). È a partire dall’invenzione del computer e di tutte le tecnologie ad esso annesse che la tecnica si insinua in maniera ancora più pervasiva nella nostra realtà divenendone il centro.  
 - È la nascita del computer che permette la terza rivoluzione industriale e l’avvento della società dell’informazione. L’affermazione, negli anni 60, del pc (personal computer) rivoluzionò il nostro modo di relazionarci con il mondo in una maniera più epocale della tv. Questo è proprio il periodo in cui Kubrick inizia lavorare a “2001”. E da allora assistiamo a un crescendo smisurato, fino alla nascita di Internet del villaggio globale informatico virtuale. Il cinema fin dalla sua nascita è stato lo specchio con cui la società si raccontava, di conseguenza (a pari passo con le evoluzioni della scienza, medicina e tecnologia) ha dovuto adeguarsi. La fantascienza, sia a livello linguistico che tematico, si fa portavoce di questa centralità della tecnica nel mondo contemporaneo. A livello linguistico perché esalta le potenzialità tecnologiche , a livello tematico perché immagina un futuro super tecnologico. 
 
 Proprio nel 1968, anno paradigmatico, Kubrick decide di girare un film di fantascienza in cui raccontare l’umanità, la sua nascita e la sua evoluzione. È da allora che il genere fantascientifico è divenuto il genere portante della cinematografia e si è fatto portavoce del nuovo paradigma (post moderno o tardo moderno). 
 
 L’altro passo fondamentale per l’evoluzione del genere si realizza nel 1977 quando escono “Star Wars" di George Lucas e “Incontri ravvicinati del terzo tipo” di Steven Spielberg. Questi due film consacrano la fantascienza non solo come genere di tensione filosofica ma anche come genere di intrattenimento spettacolare, capace di attirare nuovamente grandi masse di persone al cinema, permettendo all’industria cinematografica americana di riassestarsi dopo un ventennio critico. 
 - Il genere di fantascienza diventa quindi il filone portante della contemporaneità perché si trova al centro tra vari fattori: i fattori tecnici cioè tecnologie sempre più sofisticate, fattori produttivi perché i film fantascientifici facevano guadagnare molto, fattori di riflessione filosofica ed etica e infine fattori legati al nuovo paradigma della contemporaneità (postmoderno).  
 Come nel periodo del classicismo il genere è fondamentale era quello del western, che condensava tutti gli elementi, tecnologici, estetici e di contenuto di quel determinato periodo storico-culturale, allo stesso modo oggi alla fantascienza che può farsi carico dell’atmosfera che domina i nostri tempi. A Kubrick va l’intuizione di aver previsto tutto questo, a Spielberg e Lucas la capacità di renderla un genere popolare. Il discorso di Kubrick prevedeva uno spettatore colto, mentre i due giovani registi provenienti dalla new Hollywood rendono il discorso accessibile alle masse.  
 
 Sulla stessa strada di questi due registi agli inizi degli anni 80 Ridley Scott girerà “Blade Runner” tipico esempio della nuova fantascienza: colta e popolare insieme, ultra tecnologica ma retrò nel design, di difficile definizione temporale e di frammentata geografia spaziale. È con questo film che inizia il vero e proprio filone della fantascienza contemporanea. 1 Per un’analisi esaustiva della storia del cinema non si deve mai mettere da parte l’analisi del contesto in viene realizzato. Il film infatti è frutto dell’ambiente, della cultura, dell’ideologia in cui viene creato e come già detto il cinema è un mezzo attraverso cui la società si specchia e teorizza i discorsi su se stessa. Dunque l’analisi del film deve partire dall’analisi del contesto, per poi passare all’analisi del linguaggio e della grammatica utilizzata. Analizzare i film di fantascienza significa analizzare la società contemporanea e le problematiche insite in essa (visibili e non). Crisi modernità e fine della metafisica -> 2001: Odissea nello spazio 
 
 L’inizio del film è spiazzante per lo spettatore, ci si aspetterebbe di assistere a sequenze ambientate nello spazio, in un futuro prossimo o come aveva detto Kubrick ad un opera che dimostrasse scientificamente l’esistenza di una civiltà “aliena”. Dopo la prima sequenza (+ musica di Strauss ricorrente nei momenti topici), appare la terra vista dall’alto che si allinea al sole e la didascalia “l’alba dell’umanità”. 
 - Invece di parlare di alieni si parte dall’inizio dei tempi dell’uomo: si alternano margini della terra deserta, albe/tramonti e an mali che vivono allo stato brado in cui vige la legge del più forte. Tra questi animali troviamo le scimmie integrate in una società pre-razionale. Improvvisamente (dalla notte al giorno) qualcosa interviene a spezzare l’equilibrio di questo stato, compare un enorme monolite nero dove le scimmie erano solite radunarsi. Questo è totalmente “alieno”, levigato e perfettamente geometrico e le scimmie ne sono attratte. Come è apparso poi scompare, lasciando però un cambiamento nelle scimmie (es una di esse armeggiando un osso si ricorda del monolito e “capisce” di poterlo usare come un’arma). Questa prima parte si conclude con la scimmia che lancia in aria l’osso, con la m musica di Strauss, e tramite un’ellissi questo si trasforma in una navicella spaziale che fluttua/danza a tempo di valzer. Kubrick utilizza il genere della fantascienza per riflettere sui grandi temi dell’umanità (nascita, cultura, il suo futuro tecnologico, la frattura del paradigma) e come genere filosofico che permette di analizzare i temi portanti della nostra cultura. Inoltre per la sua struttura è il genere che permette meglio di altri di fare considerazioni sull’umanità futura non slegandola dal suo passato. - Per parlare dell’uomo che arriva sulla luna bisogna iniziare a raccontare da dove/quando è nato e le scimmie infatti sono i nostri diretti antenati. Il regista poi ci racconta il momento in cui si assiste ad un salto evolutivo: quello che porta il prima a “pensare/capire”. Il momento in cui a razionalità entra in campo e inizia il cammino verso l’affermazione della coscienza razionale che caratterizza l’uomo. L’incipit del film potrebbe sembrare un inno alla razionalità umana ma invece è la sua demolizione. Lo spirito con cui Kubrick si avvicina a mostrare la nostra razionalità è quello critico di chi demolisce punto per punto ogni assunto della concezione illuministica della razionalità (paradigma dominante dell’età modernità. Kubrick smonta ogni visione ottimistica e apre invece le porte a uno scetticismo totale verso le reali possibilità dell’uomo. 
 
 Un tipo di pensiero molto simile a quello del filosofo-pensatore nichilista Nietzsche. Deduciamo che Kubrick adotta la visione del filosofo tedesco dal fatto che tende a depotenziare l’aspetto apollineo della vita dell’uomo a favore di quello dionisiaco. Nella prima parte del film viene operata una critica frontale alla razionalità, mentre la fine predice l’avvento di un uomo nuovo (completamente diverso da quello attuale). La prima parte è demolizione della realtà perché: 
 1. Il concetto fondamentale del paradigma illuministico dell'uomo moderno è che la razionalità sia una capacità tipicamente e solo umana, mentre nel film viene “donata” dal monolite alieno che compare e regala questa capacità; 2 Somiglianze con Nietzsche: - Dionisiaco;
 - Eterno ritorno dell’uguale; 
 - Zarathustra; 
 - Musica di Strauss;
 - Multi-interpretazione 
 “Star Wars” viene ritenuto da uno studioso francese (Jullier) come il primo esempio di cinema-concerto, esemplificazione del cinema post moderno. 
 - Secondo lo studioso George Lucas, fu il primo a utilizzare una nuova tecnologia audio, il Dolby surround, che divenne poi il must di ogni film contemporaneo e che ha modificato significativamente l’estetica dei nuovi prodotti cinematografici a venire. Da allora quello che verrà mostrato con il film è un bagno di sensazioni audiovisive in cui lo spettatore deve immergersi ed è proprio per questo (nuova attenzione a una dimensione visiva e audiovisiva inglobante) la nuova modalità del linguaggio del cinema contemporaneo è quella del concerto, dell’esperienza sensoriale più che dell’identificazione o della riflessione.  
 Un’altra caratteristica dell’incipit del film, che va di pari passo all’estetica immersiva, è che fin dalle prime immagini (+ didascalia) si respira un’aria retrò, una nostalgia per un passato omaggiato da citazioni dirette/ indirette.“Star Wars” sembra infatti la versione post-moderna dei film western con cavalieri senza macchia e paura che si battono per il bene, le navicelle spaziali sono i cavalli, lo spazio la frontiera. La pellicola da un lato mostra una nostalgia per il passato che viene citato e riprodotto, dall’altro sono presenti riferimenti extra- cinematografici: ai fumetti (logica seriale), ai videogiochi (azione) e alle filosofie orientali (il concetto di Forza). - Può essere paragonato ad un ipertesto: pieno di collegamenti che lo spettatore può riuscire a cogliere o meno. Un ipertesto come quelli presenti nel web, che rimandano sempre ad altri link e quindi testi. 
 “Star Wars” si rifà al genere del passato appiattendolo, facendolo diventare un corpo morto che fa sorgere un senso di profonda nostalgia. La nuova forma di superficialità post-moderna è solo la radicale trasformazione del modo di interpretare le cose/il mondo contemporaneo. Quello a cui assistiamo è una rivoluzione copernicana del pensiero: si abbandonano le modalità logico-razionali per accedere ad una nuova forma di pensiero che lavora sulla superficie, sull’intertestualità senza che questo significhi assenza di significato. Il significato delle cose c’è ma è posizionato in altre forme. 
 
 Si è sempre considerato il post-moderno come qualcosa di negativo che ha distrutto alcune delle più importanti caratteristiche della modernità o forse stiamo assistendo a un riposizionamento delle stesse in nuove modalità. “Star Wars” ne è un esempio: 
 - Il film infatti contiene molte caratteristiche riconducibili a un significato più profondo. 
 In modo particolare ci sembrava che il film contenga in sé stesso una sorta di vademecum metacinematografico e filosofico più in generale. Il concetto di “forza” anima tutta la pellicola, richiama qualche cosa di trascendente che è attorno a noi, anzi dentro di noi e che ci permette di superare ogni ostacolo. Nella scena finale Luke e altri cavalieri Jedi sferrano il loro attacco alla Morte Nera. In questa scena, oltre a tornare l’idea di un luna-park pieno di luci, suoni e azione che investe lo spettatore, Luke (chiuso nella sua navicella spaziale che volteggia) ricorda la frase del maestro Yoda “lasciati attraversare dalla forza”. A quel punto chiude gli occhi e sferra l’attacco decisivo e vincente. Questo momento della sequenza ci pare altamente significativo. - Per 1° a livello filosofico: perché, in una modo superficiale ma chiaro, invita gli spettatori a fare affidamento non sulla razionalità logico-matematica, quella degli occhi aperti, bensì a lasciarsi andare a una razionalità più intuitiva, spirituale, a occhi chiusi. Non siamo lontani dal messaggio di fondo di 2001: abbandonare un paradigma e abbracciarne uno nuovo, salutare la nascita di un uomo nuovo che interpreta il mondo in modo nuovo. 
 5 - Per 2° a livello cinematografico: perché ci pare che in questo momento della sequenza Lucas parli, allo spettatore e gli illustri come dovrebbe essere la modalità di visione del suo film. Quella di chiudere gli occhi e abbandonarsi alle emozioni che l’apparato tecnico audiovisivo cinematografico postmoderno può ferire: lasciare l’esperienza spettatoriale dell’identificazione per immergersi in una realtà totalizzante che sollecita ogni senso. 
 Il film di Lucas non è solo un Blockbuster clorato e caleidoscopico, ma veicola significati profondi a realtà culturale. Rispetto alle modalità linguistiche di Kubrick siamo agli antipodi, ma le linee di pensiero che attraversano le pellicole sono più o meno le stesse. Lucas rappresenta quindi in pieno la modalità della post-modernità: - Per prima cosa l’utilizzo dei movimenti immersivi della macchina da presa per coinvolgere direttamente lo spettatore (già Kubrick l’aveva usate). Il film inizia primi con uno di questi movimenti: didascalie, non sono fisse ma scorrono propio per far immergere lo spettatore; 
 - Un altro aspetto è l’aria scanzonata del racconto e dei personaggi: non ci prende mai sul serio, ma su tutto aleggia un tono ironico. L’ironia non è solo del racconto, ma è anche della macchina da presa e del regista. Lucas è come se volessero farci capire che si tratta di finzione, intrattenimento; - Frantumazione narrativa del racconto, ma non nel senso di non linearità della storia. Questa infatti sembra seguire esattamente la parola del racconto classico, ma frantumazione va intesa come perdita di senso e di forza dei nessi causa-effetto. Per semplificare il concetto: la storia tradizionale è un linea retta in crescendo, il racconto post-moderno è una linea interrotta da molti picchi verticali (sono i momenti in cui abbandona la storia e si concentra sull’azione spettacolare). 
 
 L’incipit e il finale sono un es du queste dinamiche: la storia non evolve ma si intensifica, di ispessisce. Le scene non sono rette dai nessi di causa-effetto, narrativi, ma da nessi emozionali di spettacolarità audiovisiva. Un altro livello di lettura del film è quello che riguarda il suo posizionamento nel mercato cinematografico americano. Le Major iniziarono, alla fine degli anni 60, a diversificare i propri interessi, diventano multinazionali della comunicazione e decidono di investire in modo mirato su 1/2 progetti l’anno strutturati come Blockbuster capaci di recuperare tutti i soldi spesi. “Star Wars” si inserì all’interno di questa dinamica e divenne una pellicola epocale. Alieni e trascendenza -> Incontri ravvicinati del terzo tipo Parlando del 1977 cinematografico non si può non citare l’altro film campione di incassi, anche questo di fantascienza “Incontri ravvicinati del terzo tipo”. Spielberg parte con produzioni di basso budget, come Lucas, ma poi si converte ai blockbuster del rinato sistema produttivo. 
 
 Del film di Spielberg la sequenza finale dura una quarantina di minuti ed è altamente significativa. L’epilogo della pellicola mette in scena l’incontro tra gli alieni provenienti dallo spazio e una serie di scienziati della NASA americana, oltre che di alcuni cittadini americani, tra cui anche il protagonista, accorsi sul luogo dell’incontro perché sollecitati da strani richiami. 6 Kubrick: - Trova nella profondità e in un cinema d’élite la via migliore per affrontare una serie di problematiche; 
 - È al crocevia tra moderno e post moderno. Lucas: - Utilizza la superficie e la piattezza per dire cose simili e per realizzare la nuova modalità del pensiero e dell’espressione post-moderna; - È pienamente post moderno. L’ufologia è uno dei tratti caratteristici della New Age, come anche per es le filosofie orientali e le religioni tradizionali: la spiritualità della New Age unisce elementi riparati per creare una sorta di religione fai-da-te e che vada bene per tutti. Il soggetto diviene il centro di ogni cosa: il sacro è dentro di noi, non fuori. Quello che dobbiamo fare è sviluppare e aiutare la sacralità a venire fuori. Una delle modalità della New Age è l’ottimismo, la visione che arriveranno tempi migliori e che si assisterà a un passaggio di paradigma in cui entreremo in un’era popolata di pace, dominata dai colori e aperta al progresso in sintonia con il mondo che ci circonda. Il finale di “incontri ravvicinati” sembra la visualizzazione di questo pensiero: assistiamo a un tripudio di colori e musica, una danza tra umani/alieni, alieni che vengono in pace e per aiutare l’uomo. L’uomo si abbandona all’altro, al “diverso”. 
 - Spielberg rende ancora più evidente questa sensibilità nuova spiritualista della new age che già nel film di Kubrick e anche nel film di Lucas aveva trovato una via d’espressione. In “Star Wars”, tutti i riferimenti alla Forza sono sempre rivolti ad un'entità spirituale che nel mondo, anzi nel cosmo, e che si ritrova poi in ognuno di noi. Una scintilla che attraverso la meditazione si può trasformare in fiamma viva. 
 Attraverso i film di fantascienza si veicola un altro tratto rilevante della società post-moderna: il risveglio del sacro. Il tratto della modernità infatti era stato quello di affermare la “morte di Dio” e il trionfo dell’umano, il cinema moderno si era fatto portavoce di queste caratteristiche. Nella post modernità, però, questo atteggiamento di rifiuto del sacro viene abbandonato e si torna a cercare forme di spiritualità e di trascendenza. Certo non si cerca più nelle religioni tradizionali, si attinge alle filosofie orientali e alle più svariate filosofia, ma è senza dubbio che l’uomo torna a confrontarsi con il sacro, a cercarlo e a relazionarsi con un altro e un altrove. “Incontri ravvicinati”, e tutti i film di fantascienza, sono l’esplicitazione di questa ricerca di altrove e altro, il desiderio di proiettarsi al di fuori della terra per cercare il significato dell’uomo e della sua esistenza nei cieli. Non sono più i cieli della religione cattolica o protestante, ma quelli alieni e della misteriosa Forza che guida le galassie. A prima vista sembra che l’incontro umani-alieni si avvenuto grazie alle tecnologie inventate dalla Nasa e di conseguenza grazie alle capacità razionali dell’uomo. Ma non è così: 
 - Per prima cosa: non avviene tramite il linguaggio scritto o parlato, ma attraverso la musica e i colori (un qualcosa che va oltre il razionale ed è quindi emotivo). 
 - Come seconda cosa: l’unico uomo che potrà andare sulla navicella spaziale sarà il protagonista che viene descritto fin dall’inizio del film come un bambinone. Non c’è nulla di più vicino all’emotivo e all’irrazionale di un bambino, che sa guardare il mondo in maniera pura e che ha fede (non è contaminato dalla razionalità). Il protagonista, anche se viene considerato un pazzo, ha fede e crede ciecamente all’esistenza degli alieni. Qui torma il concetto chiave simbolo dei film di fantascienza: l’uomo ha bisogno di credere in qualcosavhe si manifesta in forme non tradizionali. Come per “Star Wars” anche in questo film il regista fa riferimento ad aspetti metacinematografici con cui suggerisce allo spettatore con quale modalità guardare il film e quale linguaggio vuole adottare. Questa tendenza sembra caratteristica del cinema post-moderno. 7 Kubrick: Voleva realizzare un film con il fine di dimostrare l’esistenza di civiltà aliene nello spazio, ma non ne mostra nessuna immagine (se non il monolite); Spielberg: Afferma con forza questo concetto, affrontato già da Kubrick, e ci mostra le sembianze di questi esseri provenienti dallo spazio. che vive in un eterno presente. Inoltre riguardo alla tematica della temporalità è interessante sottolineare che la vita dei replicati è stata progettata perché la loro esistenza duri soltanto quattro anni. Si assiste, dunque, a un accorciamento delle aspettative di vita di questi replicanti che però vivono in maniera più accelerata tutta la loro esistenza. Sono una perfetta metafora dell’accelerazione e personificazione, al tempo stesso che caratterizza il tempo della nostra post modernità. Un altro aspetto che ci pare interessante sottolineare e che si nota nell’incipit del film è che la pellicola di Scott racconta un futuro in cui la società vive una gravissima crisi di desocializzazione: si assiste cioè alla fine di ogni tipo di coesione sociale, di solidarietà, di comunicazione, con l’affermazione di un’atomizzazione e di un’anomia devastante. Nella sequenza iniziale del film vediamo le vie di Los Angeles brulicanti di gente che non si guarda in faccia, ognuno chiuso in sé stesso. Lo si vedrà anche andando avanti nella pellicola: ogni personaggio è solo e perso nella città. Questa caratteristica della desocializzazione/mancanza di valori e relazioni è tipica della post-modernità che ha portato alle estreme conseguenze le situazioni già presenti nella modernità. La città è diventato uno spazio ingovernabile, senza tempo, domandato da immagini e rumori, in cui gli individui devono sopravvivere utilizzando anche la violenza. Non c’è traccia di legami sociali, stato o altre istituzioni, su tutto domina l’eccitamento dei suoni, immagini, azioni. La sovreccitazione porta come conseguenza la depressione nella popolazione. Un altro aspetto fondamentale riguarda una sequenza del finale della pellicola, quella in cui il capo dei ribelli salva il protagonista prima di morire. La sequenza è significativa per 2 motivi: - Ci sono dei chiari riferimenti cristologici: il capo dei replicanti fino a quel momento ci viene mostrato come violento e privo di pietà, decide però alla fine di salvare Dekard e affidare a lui i suoi ultimi ricordi. Il replicante si immola per salvare l’umanità e in cui viene ripreso con una luce improvvisa che arriva dall’alto e una colomba, mentre la pioggia (sempre presente in tutte le scene) cessa improvvisamente. È un chiaro riferimento a Cristo e alla simbologia cristiana, ma non è niente di nuovo per questo genere che è pieno di riferimenti religiosi e spirituali. - Il secondo aspetto è il concetto di identità, la sequenza finale (ma anche tutto il resto del film) ci fa riflettere su quale possa essere la nuova definizione di identità e i criteri per stabilirla. I replicanti infatti molto spesso sembrano più umani dell’uomo stesso, che invece ci appare disumanizzato. La sua definizione è determinata quindi dallo sconvolgimento e dalla confusione che i nuovi strumenti tecnologici hanno introdotto. “Blade Runner” di Scott è un vero e proprio manifesto della nuova forma del cinema di fantascienza che rispecchia la post modernità. È un film che vive per l’estetica, attento all’esaltazione degli effetti speciali, citazioni, ipertesti ed è anche immersivo. Ritorna quindi il concetto di cinema-concerto.
 Infine possiamo dire che è anche un film multi-genere, struttura tipica del cinema postmoderno. Consiste nell’ibridare, mischiare una serie di generi tra loro (noir, film d’avanguardia, fumetti). Spazio e tempo nel postmoderno -> Dune “Uno James Stewart venuto da Marte”: così viene definito David Lynch nel 1980 quando gli venne data l’opportunità di farsi conoscere dal pubblico, dirigendo il film “The Elephant Man”. Un pellicola che venne amata dal pubblico e a cui vennero riconosciuti diversi oscar, ciò permise al piccolo regista di uscire dalla cerchia dei registi cult. Lynch fa parte di una nuova generazione di registi che si muovere fra due poli opposti: da una parte il polo industriale (sistema multinazionali, che costruiscono i Blockbuster a tavolino, con cui bisogna confrontarsi per lavorare) e dall’altra il polo artistico (il desiderio di fare un cinema personale, poco attento alla spettacolarità ma legato alla ricerca estetica/stilistica). Lynch viene da Marte nel senso che non si adegua al modello economico-produttivo americano e a quello d’intrattenimento spettacolare narrativo. Fa un cinema “alieno” diverso per i temi, stile e concezione della funzione spettatoriale. Lynch rappresenta un nuovo tipo di regista: 10 - Si fa strada nel post moderno cinematografico l’idea di un regista-autore, che mantenga un proprio stile e che rifugga la spettacolarità a favore di una maggiore introspettività (le due polarità di cui parlavo prima). Questo non significa il ritorno alla figura autoriale del cinema moderno, perché il post moderno è definito come il periodo in cui lo stile individuale finisce, il periodo della morte dell’autore e del soggetto. Ci pare di riscontrare nella filmografia americana contemporaneamente alcune figure di registi come Lynch, pochi, che perseguono caratteristiche tematiche e stilistiche tipiche del post moderno cinematografico, senza essere però integrati con quelle economico-produttive.  Lynch si cimenta nel 1984 con un film di fantascienza, scegli anche lui questo genere perché rappresenta il paradigma migliore per comprendere il post moderno cinematografico. Il regista sceglie di dirigere “Dune”, tratto dal omonimo Best seller di fantascienza di Herbert. 
 - Un’impresa mastodontica perché il romanzo da cui parte è una saga fantascientifica lunghissima e complessa, in cui la trama è quasi inesistente e di difficile comprensione e la maggior parte del romanzo si struttura con la voce off dei protagonisti che commentano le vicende che gli accadono, (confusione tra aspetto sogg. dei pensieri dei protagonista e ogg. della realtà. I dialoghi vengono spesso interrotti dai pensieri dei personaggi). “Dune” è un kolossal mancato: fin dalla scelta di adattare quel tipo di romanzo (minimalista) in cui l’importanza va ai personaggi più che alla trama. Sarà un disastro al botteghino e questo segnerà la definitiva rottura di Lynch con le case di produzioni più importanti.  Ha tutte le caratteristiche del kolossal: grande budget, scenografie sontuose, effetti speciali ma vedremo che Lynch depotenzia tutte le caratteristiche del kolossal dando vita a un anti-kolossal. Il minimalismo e lo psicologismo imperano contro ogni spettacolarità e forma d’azione. Già dall'incipit del film questo è chiaro: il cielo stellato è una voce di donna fuori campo che inizia raccontare la storia del pianeta Dune e dell’universo che lo circonda. A poco a poco alla voce viene associato un volto, due occhi che compaiono in sovrimpressione sul cielo. Nessuna didascalia, come per Lucas in “Star Wars”, ma una voce prima senza volto e poi identificabile con un volto che ci introduce in un mondo onirico e complicato. - Quello che interessa al regista, fin dall’inizio, non è rendere tutto chiaro, comprensibile e narrativo per lo spettatore (come era per “Star Wars”), ma inserirci in una dimensione emotiva (tra l’onirico ì, l’allucinatorio e il fiabesco). Un cinema dello spazio immersivo audio-visivo, in cui prevalgono i suoni, i colori, la luci e si crei una sorta di spazio denso in cui lo spettatore possa bagnare tutti i sensi. Un film che parla prima all’orecchio e poi all’occhio: un film-concerto in cui audio e video lavorano insieme alla ricerca di una nuova modalità di sollecitazione dello spettatore. In questo film viene curato molto l’aspetto sonoro affondando la colonna sonora a Eno. Lynch inventa uno spazio percettivo (suoni+immagini e non azione, effetti speciali e significati razionali), prima che uno spazio narrativo. Questo aspetto e pienamente postmoderno, Un altro aspetto che caratterizza in modo postmoderno il film è come vengono trattate le dimensioni spazio- temporali: mettendone in evidenza la frammentazione e la confusività. - Nello spazio del film ci troviamo di fronte a mondi eterogenei: si va da alcuni che sembrano l’antico Egitto, altri rinascimentali ed altri ancora quasi preistorici. Mischia stili e tempi così che le coordinate spazio-temporali del film risultino confuse, ambigue, indecifrabili (Lynch è il regista dei mondi paralleli e confusivi). Lo spazio è dunque multiplo ed eterogeneo. - Il tempo, alla stessa modo, è multistratificato. Molto spesso sembra sospeso. Le due dimensioni presentano un livello di oggettivazione allo stato soggettivo (il protagonista si definisce in base alla propria interiorità non all’azione). L’elemento che domina è l’ambiguità, l’indecifrabilità. 11 Questo modo di trattare il tempo è legato ad un’altra caratteristica: l’attenzione nei confronti dell’identità dei protagonisti di cui racconta. - Mette in scena sempre storie complesse perché il soggetto principale è la ricerca e la costruzione di una propria identità da parte del protagonista, ma che non sia più stabile/definita ma aperta/fluida. Per la maggior parte dei sociologi il grande tratto distintivo è proprio il concetto di identità: nel moderno è una e rimane sempre la stessa, nel post moderno è un progetto che si costruisce o decostruisce di volta in volta. 
 
 Questo concetto si adatta perfettamente alla concezione di spazio e tempo: sono tutti e due espressioni di un’identità fluida che si muove senza barriere tra i mondi possibili. Rispetto a “Blade Runner” (specchio di situazione oggettiva della realtà), “Dune” presenta lo spazio e il tempo sul piano dell’oggettivazione di uno stato oggettivo. Il protagonista è un giovane che scoprirà la propria missione di Messia nel mondo di Dune. 
 La logicità della narrazione tradizionale è sovvertita in questo film, Lynch crea stesso effetti stranianti per decostruire la linearità e consequenzialità dell’azione. Ricorre ad immagini uguali durante tutto il film da alla pellicola un’atmosfera sospesa. Vengono individuate da uno studioso francese due categorie di discorso filmico: discorsivo e figurale. Per Lynch il discorso filmico è figurale: illogico, irrazionale e assente nel movimento. Quello di Lucas è discorsivo: razionale, logico, ordinato e eccesso nel movimento. 
 
 L’immobilità e la sacralità di alcune sequenze danno la sensazione di trovarsi all’interno di un tempo che non è quello della realtà, ma quello di un sogno o dell’interiorità. Il tempo di un eterno presente, concetto essenziale per la post-modernità. Un altro aspetto importante del film riguarda la spezia, il prezioso materiale che viene estratto solo nel pianeta Dune, di cui tutti si vogliono appropriare perché è in grado di prolungare la vita, espandere la conoscenza e far viaggiare nello spazio e nel tempo (ricorda Avatar). Questa Spezia è la metafora di due concetti: - Da un lato la meditazione trascendentale, mutuato dalle filosofie orientali e che riporta il film all’interno delle influenze della new age che caratterizzano il cinema di fantascienza a partire da 2001. Inoltre il regista stesso ha sempre dichiarato di essere un sostenitore e di praticare la meditazione trascendentale come unica forma di conoscenza di sé stessi e del mondo. L’idea di questa spezia, dunque, è l’idea, che ritorna in un film di fantascienza, di abbandonare il pensiero logico razionale e di aderire a un pensiero filosofico trascendentale, che conduca l’individuo a porsi in maniera completamente differente nei confronti di se stesso e del mondo. - Dall'altro rimanda al concetto tecnologico nel senso che sembra essere il simbolo della contemporanea tecnologia che li circonda, a cui tutti vogliono accedere per ottenere sempre più potere personale e per cui gli uomini sarebbero disposti a combattere pur di ottenerla. Torniamo all’idea di “Blade Runner” che la tecnologia non è negativa di per sé, ma per come viene usata. Un altro aspetto che possiamo attribuire alla Spezia è la funzione simbolica che il regista assegna al suo cinema: capace di espandere le conoscenze degli individui, aprendone la mente attraverso la via della stimolazione sensoriale audiovisiva e catapultandone in realtà multiple fuori dal tempo/spazio. 12 Luke Skywalker: - Si definisce in base alle azioni che compie, come i grandi protagonisti del cinema classico. - Arriva a formare la sua interiorità (seppure fluida) con le illuminazioni, non attraverso logiche deduttive o induttive. Abbandona la razionalità e abbraccia la Forza. Paule Arteides: - Il protagonista di “Dune” lavora invece sui suoi pensieri, sogni, interiorità. Vive la sua identità non nello spazio esteriore, ma in quello interiore. - Anche lui forma la propria l’interiorità con le illuminazioni, non attraverso logiche deduttive o induttive - Es sequenza in cui uomini e macchine lavora insieme come in una danza, questo lavoro si ferma quando il capo si assenta e gli impiegati si fermano per guardare un film nella televisione. È una sequenza giocata sull’ironia, questa viene usata come strumento propedeutico per accedere al grado dell’immaginazione del sogno per l’analisi della realtà. Un altro aspetto importante è uno meta-cinematografico: come accennato nella sequenza precedente gli impegnati grazie al cine si liberano dalle catene delle realtà e dall’oppressione dei potenti. Ma c’è un altro aspetto meta-cinematografico che si deve ricondurre alle difficoltà del regista nel girare il film stesso: Gilliam (facente parte del gruppo di registi che non riusciva a inserti dentro al potere del mercato cinematografico) infatti si batté contro il potere delle case di produzione cinematografiche per avere libertà di espressione della propria poetica. Questi avevano richiesto un happy end e Gilliam non accettò il compromesso. Nel film viene quindi affermato che l’autore esiste ancora e ha un proprio stile da mostrare. Legato all’irrazionale, al sogno, a qualcosa che riesca a colpire lo spettatore in maniera totalizzante e immersiva. La società dell’informazione -> Videodrome “Videodrome” il film del 1982 diretto da David Cronenberg rappresenta un manifesto teorico del cinema del regista canadese, la somma di tutte le caratteristiche stilistiche e tematiche. Il film è un’analisi teorica precisa sul mondo mass mediale (società post-moderna che ci circonda), sulle conseguenze che il villaggio globale determina sugli individui, nel loro modo di porsi nel mondo e anche soprattutto nel loro corpo. Quindi non soltanto una riflessione che riguarda la ridefinizione dell’identità del soggetto, ma la sua modificazione a livello di corpo. Cronenberg sembra visualizzare attraverso “Videodrome” le teorie di uno dei più famosi studiosi della realtà mass mediale Marshall Mac Lhuan. In un famoso testo del 1964, “Gli strumenti del comunicare”, Mc Lhuan afferma che ormai nel mondo dei mass media avanzato, il mezzo è diventato il messaggio e dunque che bisogna studiare i media non per i contenuti che veicolano ma in base ai criteri strutturali con cui organizzano la comunicazione. Ciò che conta non è cosa viene veicolato ma come e come questa modalità di veicolare determini conseguenze sugli individui e sulla loro percezione della realtà. Non si ferma a questa riflessione e afferma anche che ogni nuova tecnologia fornisce nuovi medium che diventano vere e proprie estensioni dei nostri sensi. Le tecnologie permettono infatti un potenziamento delle nostre facoltà umane e la modificazione del nostro corpo. Tutto questo ha determinato oggi la nascita del villaggio globale: grazie all’evoluzione dei nostri mezzi di comunicazione, il mondo è divenuto una sorta di piccolo villaggio, dove tutto è più vicino, abbordabile, dove la comunicazione è istantanea e i sensi degli abitanti sono estesi grazie ai media tecnologici. La visione dello studioso canadese, è una visione positiva dell’evoluzione della nostra società grazie ai mezzi di comunicazione di massa, non c’è nessun’ansia di controllo alla grande fratello come raccontava “Brazil”, c’era solo un accenno al fatto che ogni nuova tecnologia induce una sorta di narcisistico torpore e quindi una sorta di intorpidimento delle menti. Ma l’idea generale è che lo sviluppo tecnologico dei mass-media offre all’uomo infinite possibilità di miglioramento anche soprattutto a livello fisico, di mutazioni del corpo. Questi concetti vengono ripresi e visualizzati punto per punto da “Videodrome”. In particolar modo, il concetto dell’estensione dei sensi a opera delle nuove tecnologie viene perfettamente mostrato dal film: infatti “Videodrome” è il nome di un segnale televisivo clandestino che induce sui soggetti che lo guardano la nascita di un’escrescenza nel cervello, una sorta di tumore che però permette di ampliare la possibilità di vedere la realtà da parte del soggetto e di dare vita a quella che viene definita “la nuova carne”. È un segnale che induce i soggetti ad avere allucinazioni e a non saper più distinguere tra realtà e allucinazione, fra realtà e sua immagine, ma forse è questa la vita che ci aspetta in un futuro sempre più tecnologizzato. Cronenberg mostra da una parte la confusività percettiva a cui inducono le nuove tecnologie e dall’altra l’incidenza sulla natura fisica. La visione sembra molto ambivalente: - Ci racconta l’impossibilità di esprimere a parole la realtà nel mondo in cui i mass-media e la tecnologia distorcono la verità rendendola l’immagine, ma sembra dire che il futuro che ci aspetta sarà quello di un mondo fluido in cui si passa senza continuità da stati di realtà a stati allucinatori e virtuali. 15 - Ci parla con enfasi e trionfalismo della nuova carne, ma la definisce anche un tumore che può portare alla morte del soggetto. Qual è dunque la posizione del regista canadese? Non è ottimista come quella di McLhuan né allo stesso tempo catastrofica. La società dell’informazione non è la società della trasparenza come ci si aspettava, anzi è la società dell’opacità e dell’ambiguità, ma questa non è una caratteristica di per sé negativa anzi è una possibilità di emancipazione per l’individuo. Un altro aspetto del film che recupera le teorie di McLuhan sta nel mostrare come“Videodrome” sia importante come segnale e non tanto per il contenuto che veicola. Le immagini che veicola sono violente ed erotiche e sembrano ipnotizzare gli spettatori, ma la forza del messaggio sta nel mezzo e non tanto nel contenuto in se stesso. È il segnale a determinare i cambiamenti percettivi e fisici importanti nell’uomo e nella realtà, è il mezzo ad avere la preminenza sul messaggio. Un ruolo importante nel film viene ricoperto dal prof. O’Blivion, esperto nel mondo mass mediale, che si scoprirà essere morto e parlare allo spettatore tramite cassette pre-registrate. Il nome del personaggio ci dice molto, richiama il sostantivo “oblio” come a dire che nella società ogni messaggio è destinato a essere dimenticato, si vive nel momento e non esiste più un senso di storia. La post-modernità è caratterizzata da un’assenza di storicità: si vive nel presente, senza senso del passato o futuro. - È un personaggio fondamentale perché alla sua voce il regista affida il compito di veicolare il “verbo” di McLhuan e della nuova carne. In una cassetta indirizzata al protagonista spiega che lo schermo televisivo e ormai l’unico occhio dell’uomo e diventa parte della struttura fisica del cervello. La televisione è la realtà e la realtà è meno della televisione. Queste parole enunciano la teoria del villaggio globale: una realtà interconnessa tramite mezzi di comunicazione e d’informazione. Viviamo in una società dello spettacolo, la realtà viene veicolata dalle immagini e queste diventano più vere della realtà. La televisione è quindi parte del cervello umano: idea della tecnologia come organo aggiunto (il segnale causa un’escrescenza). Questa escrescenza fa avere una visione distorta della realtà, cosa che non solo viene rappresentata nel film ma si cerca di far provare anche allo spettatore. Non viene infatti segnalato il confine tra lo stato di allucinazione e realtà. Molte sono le scene in cui assistiamo ad allucinazioni del protagonista senza capire che lo siano fino alla sequenza successiva. Nel finale del film la m stazione è avvenuta e si saluta la nascita della nuova carne, il nuovo mondo in cui carne e tecnologia si fondono insieme. Un concetto messo in evidenza è la contaminazione umano- tecnologico, per es nella scena finale il ventre del protagonista si apre per farsi penetrare dalle cassate e ne esce anche un pistola che è interamente ricoperta di carne ed ossa. La carne quindi si tecnologicizza e la tecnologia si umanizza, verso una fusione totale. A differenza di Kubrick non troviamo lo stesso ottimismo. Assistiamo a una sorta di loop percettivo in cui immagine e realtà, allucinazione e verità si rincorrono, si specchiano l’una nell’altra, lasciando lo spettatore in un labirinto percettivo da cui sembra impossibile uscire. La società dell’informazione che Cronenberg descrive è una labirintica perché i livelli di realtà, immagine, allucinazione si confondono, immergendosi in uno stato misto, in cui l’individuo si muove a tentoni e non è più lo sguardo che ci aiuta a comprendere questa realtà ma bisogna sviluppare una nuova sensibilità. 
 
 Un altro aspetto da sottolineare riguarda una critica che Cronenberg muove a questa società dell’informazione e che in parte ricollega“Videodrome” a “Brazil”: l’idea che se il potere dei mass-media finisce nelle mani di pochi, interessati soltanto ai profitti economici e al comando, questi pochi sono in grado di riprogrammare le nostre menti tramite questi mezzi di comunicazione; i più potenti cercano di controllare la mente della gente. A Cronenberg però interessa l’importanza e la potenza dei media e di come questi possano indurre a cambiamenti epocali, sembra voglia dirci che viviamo nell’estasi della comunicazione che conduce gli individui a perdere la capacità critica e di comprensione della realtà.  16 Si ripresenta quindi un’ambivalenza: da una parte negativa ci mostra l’impossibilità di distinguere la realtà dalla sua immagine, dall’altra positiva quando esalta il paradigma della nuova carne che aprirà le porte ad un nuovo futuro. Questa ambivalenza sembra essere risolta con la dichiarazione della necessità di un nuovo uomo, capace di modificare il proprio corpo grazie alle nuove tecnologie. La società dell’informazione -> ExistenZ “ExistenZ” è una pellicola del 1999 realizzata da Cronenberg 10 anni dopo la prima pellicola, è la riproduzione dei temi precedenti adatti però alle nuove tecnologie digitali. Venne messa in ombra in quanto uscì insieme a Matrix, le due pellicole trattano lo stesso argomento: la realtà virtuale e digitale. In questo film è raccontata una storia che è un rebus percettivo per lo spettatore e che cerca di essere un saggio sullo stato della percezione umana nell’epoca della virtualità. Si parla di videogiochi e di realtà artificialmente costruite al computer tramite il digitale. - Rispetto al mondo di “Videodrome”, dove le immagini analogiche della tv avevano portato ad uno squilibrio percettivo, con le immagini digitali non riconducibili alla realtà la situazione percettiva è crollata. Le immagini sono divenute indecifrabili e lo sguardo dell’uomo naufraga tra la confusività che segna i rapporti fra reale e virtuale. Ormai si vive in un’allucinazione totale senza possibilità di uscita. Se “Videodrome” terminava con un loop percettivo, ma inneggiante a un nuovo paradigma antropologico. Questo film è un loop percettivo infinito (finisce così come è iniziato), non esiste un avanzamento cronologico e di significato. - Si intuisce quindi che l’ottimismo di fondo ci sembrava di riscontrare in “Videodrome” verso un nuovo futuro che stava per realizzarsi a opera delle nuove tecnologie, con “ExistenZ” quel futuro si è realizzato e non ha portato a nulla di buono. La tecnologia è diventata sempre più parte della vita dell’uomo e anche della sua carne (es è dal midollo spinale che si può accedere all’energia per entrare nel gioco). La realtà che si è venuta a creare è un gigantesco gioco, in cui l’individuo non riesce più ad orientarsi. Questo connubio fra organico e inorganico sono giunti al punto estremo per cui si può parlare di obsolescenza del corpo: cioè di inadeguatezza del corpo rispetto alle tecnologie. Non c’è più nessuna “nuova carne”, come veniva detto in “Videodrome”, ma una sua cancellazione a opera della tecnica. Siamo in un modo post- antropocentrico, l’uomo ha dovuto abbandonare il suo ruolo centrale è si è collocato al secondo posto. - Come già “Videodrome” mostrava, ma in più con “ExistenZ” Cronenberg sconfessa il suo credo sulle possibilità che le nuove tecnologie ci offrono per potenziare i nostri sensi, mostrando come non è più l’uomo e il suo corpo l’organo principale a cui le tecnologie offrono nuove possibilità sensoriali, ma è l’uomo ad essere un’estensione di una tecnologia che ha preso il sopravvento. Si è ribaltata l’idea di McLuhan: non è la tecnologia un senso aggiunto all’uomo, ma l’uomo è divenuto un senso aggiunto per una tecnologia che domina il reale. Un altro aspetto da sottolineare è quello che riguarda l’arte, cioè il ruolo del cinema nella post-modernità. 
 Si può leggere il film secondo un’ottica meta-linguistica e dire che la pellicola mette in evidenza l’approccio dell’uomo nel mondo avanzato, non deve avvenire più solo con lo sguardo, ma che bisogna entrare nel gioco artistico con tutte le altre parti del corpo, è tutto l’apparato percettivo che deve immergersi in un’altra dimensione inglobante. 
 - È facile ritrovare in questa affermazione tutto il concetto dello stato dell’arte nel post moderno così come dello statuto del cinema post moderno che abbiamo definito un cinema immersivo. Gli stessi giocatori del videogame, protagonisti del film, vivono sulla loro pelle la storia: ciò sembra voler dire che: l’unico paradigma possibile per l’arte e il cinema è quello di farsi immersivo e inglobante. 17 - Inoltre come per il filosofo Platone anche Neo si troverà ad affrontare l’ostilità degli altri esseri umani che non vogliono in realtà essere liberati dalle loro catene, preferendo la vita soggiogata e virtuale che le macchine hanno costruito per loro e si dovrà immolare per loro.  La pellicola riflette su uno dei temi fondamentali del nostro pensiero occidentale cioè la verità del mondo e la sua conoscibilità e si potrebbe dire che sviluppa anche un altro tema sulla scia del pensiero di Platone: il dubbio cartesiano (cogito ergo sum). Cartesio dice come l’uomo non può essere sicuro di niente a parte della propria esistenza perché dubita sulla realtà delle cose. Neo scoprirà che solo mettendo in dubbio ogni sua certezza si può arrivare a una certa forma di conoscenza, solo arrivando a considerarsi come essere pensante e che dubita si può ripartire alla ricerca di un fondamento di senso della realtà. In “Matrix” tutto è inganno, niente è reale e i nostri sono i primi a darci false verità. Un altro aspetto importante è quello che Canova definisce crisi del visibile: lo sguardo non è più affidabile, non ci permette di conoscere la realtà storpiata dalle tecnologie. Il mondo che Neo ha credeva reale è solo virtuale e la matrice che ha creato tutto questo non è visibile. Dunque torna il concetto di una realtà manipolata, filtrata da tecnologie che diventa opaca e si sgretola ogni certezza. Un altro aspetto che non può essere trascurato è il tema religioso. Notevoli sono le similitudini tra il cammino di Neo (l’eletto) e la religione cristiana. Alla stesso tempo sono evidenti anche i riferimenti alle filosofie orientali come il buddismo, in “Matrix” non esiste un Dio ma ci troviamo di fronte a un mondo dominato da un’eriga che l’uomo può avere solo scavando dentro di sé (= Forza di guerre stellari). Il cammino che Neo compie è simile a quello di un monaco buddista. È stato messo in evidenza come Neo rappresenti una nuova forma di eroe cinematografico, il cosiddetto super-eroe flessibile. Ha molti tratti in comune con gli eroi dei fumetti e la sua vicenda si evolve secondo le tecniche di questo genere, ma è un eroe diverso da Superman. Non è l’immagine di un uomo forte capace di plasmare la realtà grazie alla scienza e alla tecnica, ma è un soggetto debole che piega se stesso per esercitare un controllo sull’ambiente circostante (ambiente a cui non si contrappone ma cerca di rendersi flessibile). C’è molto di filosofia new age in questa concezione. Basti vedere la scena finale del film in cui affronta il suo nemico mister Smith: invece di sferrare colpi e farlo accasciare a terra come avrebbe fatto un Superman o anche un Batman, il nostro protagonista entra letteralmente dentro il suo nemico, per distruggerlo dall’interno. Dunque non forza, ma flessibilità, non certezza ma capacità di disgregarsi per poi ritrovare un’unità. La figura di Neo cerca di dare forma ad un soggetto capace di resistere alle disgregazioni dell’identità e del corpo. Neo tenta di resistere all’erosione della sua identità attraverso la flessibilità. Inoltre c’è un’altra caratteristica che definisce in maniera differente l’eroe che è Neo dall’eroe tradizionale e riguarda il fatto che le tappe che segnano il suo cammino di consapevolezza dalla cecità alla verità assomigliano più ad un videogame che ad una fiaba, sembrano pensate per livelli e mettono in campo tecniche, anche visuali, proprie dei videogiochi più che del cinema o del fumetto. Tutto questo fa di Neo l’eroe postmoderno per eccellenza: fluttuante e virtuale, che riprende le caratteristiche degli eroi del passato e che è in grado di compiere imprese titaniche grazie agli effetti speciali immersivi. Il virtuale -> Avatar “Welcome to Pandora” così inizia il film “Avatar”, nel 1997 di James Cameron, parafrasando la celebre frase di “Matrix”. Una pellicola destinata a rimanere una pietra miliare nella storia del cinema e un grandissimo successo al box-office. Gli incassi furono stratosferici e allo stesso modo le tecniche utilizzate per la realizzazione. Con “Avatar” il regista torna al genere di fantascienza, quello a lui più caro. Cameron è un resista che ama la tecnologia e che sa mettere al servizio di storie semplici, ma efficaci, legate a problemi inerenti al nostro tempo. Per es con “Terminator” il regista fu il primo ad affrontare il problema del rapporto uomo-macchina in un mondo ultra-tecnologizzato che sta diventando post-antropocentrico. 20 L’attenzione del cinema di Cameron è sempre rivolta la tecnologia sia a livello tematico, sia a livello dell’uso di nuove possibilità della macchina cinematografica. La sua attenzione è ambivalente, Cameron è il regista che meglio interpreta quel paradosso del genere fantascientifico contemporaneo: - tecnofobia a livello delle storie e dell’ideologia veicolate; - tecno-esaltazione a livello dei mezzi utilizzati per raccontare le storie e supportare le ideologie. Forse questo paradosso che Cameron sintetizza così bene nei suoi lavori altro non è che lo specchio della condizione dell’uomo contemporaneo nel mondo iper-tecnologizzato: non possiamo fare a meno della tecnologia (viviamo circondati), ma al tempo stesso ne avvertiamo un lato oscuro (proviamo paura e vorremmo metterci in guardia). Avatar rappresenta l’inizio di un nuovo capitolo del cinema in 3D, che preannuncia meraviglie digitali ancora più stupefacenti per il futuro. Per la realizzazione utilizza tecniche cinematografiche note e altre innovative: - Motion Capture: (già nota) è la tecnica che permette di catturare i movimenti dell’attore che indossa una particolare tuta in lycra con dei Led posizionati in particolari punti del corpo (dove c’è maggiore contrattura muscolare). I Led inviano dei segnali ottici che riprodurranno fedelmente la figura di un essere virtuale con movenze realistiche. - Performance Capture: sta nel voler catturare con assoluta precisione anche i movimenti facciali. Il risultato è incredibile, perché si riescono a rappresentare gli stati d’animo e i sentimenti. L’innovazione sta anche nel sostituire i marker posizionati sul volto dell’attore con un casco di micro-telecamere. Quello che si riesce ad ottenere è la creazione di personaggi che nascono dal mix di più persone. - Virtual Camera: è una tecnica che consente di vedere contemporaneamente la scena nel monitor dell’attore che la sta registrando e del suo avatar. Cameron crea una realtà immaginaria, Pandora, che lascia a bocca aperta lo spettatore immergendolo in un ambiente seducente. È un universo in cui vivono pacificamente nella natura i Nav’i, alieni dalle fattezze semi- umane finché non arrivano gli umani. Gli ultimi si vogliono appropriare di una pietra che serve da carburante di cui Pandora è piena. Inizia così una lotta spietata tra umani invasori e alieni che vogliono mantenere il contatto con il loro mando. La storia è raccontata dal punto di vista umano, un ex marine costretto su una sedia a rotelle viene invitato tra gli alieni per spiarli. A contatto con questi riscoprirà una serie di valori che gli uomini sembrano aver dimenticato, accecati da una sete di ricchezza/potere/violenza. Deciderà alla fine di lottare dalla loro parte, essendo spinto anche dall’amore per una di loro. Per questo riguarda la trama niente di nuovo, è per l’apparato tecnologico che il film di Cameron rimarrà nella storia per lo strapotere della tecnologia che certe volte prende il sopravvento sulla trama e pone lo spettatore al centro di una pellicola in cui gli effetti speciali hanno il ruolo primario. Anche “Avatar” è un film-concerto: storia semplicissima e spesso messa da parte per esaltare l’apparato tecnologico audiovisivo. La vicenda narrata infatti è molto schematica e banale, con una contrapposizione netta tra buoni e cattivi, non succedono cose complicate e lo svolgimento dell’azione è perfettamente coerente e comprensibile. Lo spettatore viene investito da un bagno di sensazioni e l’unica cosa che deve fare è lasciarsene attraversare (anche grazie al cinema 3D e i movimenti di macchina in avanti). Ma c’è un’altra caratteristica che fa di Avatar un film pienamente post moderno ed è quell’idea di obsolescenza del corpo umano che attraversa tutte le pellicole fino ad ora analizzate. Ebbene un film che ha per titolo e come soggetto l’avatar dei protagonisti, il clone virtuale di un corpo umano, non fa altro che affermare con ancor più radicalità questa perdita di spessore e consistenza del corpo umano. I film post moderni raccontano la fine del mondo antropocentrico, il disfacimento del primato del corpo, l’erosione dell’identità del soggetto, a contatto con tecnologie sempre più invasive e dirompenti. Il tema dell’identità e del corpo è uno dei temi di riferimento della post modernità in senso lato. Un’identità che si fa multipla, grazie anche alle nuove possibilità legate alla tecnologia. Es il protagonista può vivere un’altra esistenza grazie al suo avatar e riutilizzare le gambe. 21 La post-modernità è il periodo delle identità plurime, della scomposizione prismatica dell’individuo in tanti cloni, virtuali e non. Avatar racconta bene anche quell’idea del fatto che il dato biologico è stato superato nel postmoderno: noi possiamo essere chiunque, siamo ubiqui grazie alle tecnologie. Siamo di fronte al narcisismo postmoderno, all’idea che ogni cosa pensata e voluta sia possibile, anche perché ormai la tecnologia sembra riuscire ad assecondare ogni nostro desiderio. Non ci sono più limiti per l’uomo tecnologico: l’umanità post-moderna ha rotto ogni vincolo con il dato biologico reale e si avvia verso un mondo post-umano. La fantascienza è l’unico genere in grado di proporre una riflessione etica sulla realtà che ci circonda. Le pellicole di oggi offrono uno sguardo nichilista e pessimista, le pellicole di fantascienza invece nel delineare un futuro negativo si sforzano di metterci in guardia su tutto questo e si respira un’aria attenta alla morale. Il genere della fantascienza, proponendo di nuovo agli spettatori storie attente alla morale, all’etica, abbia permesso al cinema americano di risintonizzarsi con la sua audience e soprattutto sia stato in grado di recuperare la grande risorsa del cinema classico: quella di farsi portatore di valori di un sano americanismo basato sul lavoro, la giustizia, la legalità, la solidarietà, la religione. Anche se in forme deboli. Infine nella pellicola troviamo anche chiarissimi richiami all’ecologia, a recuperare un rapporto sano con la natura e non sfruttarla indebitamente. Infatti gli alieni vivono a contatto con la natura attraverso una mistica comunione di comunicazione. Una natura-madre che difende i figli e a cui questi sono devoti (ispirazione filosofie orientali). Altrettanto chiari sono i richiami alla fratellanza e all’accettazione del diverso. Per non parlare poi dei valori della pace e della non violenza. L’identità multipla -> Strange days In una Los Angeles futuristica che aspetta con ansia il passaggio di millennio sembra che tutti gli uomini vivano soltanto per una cosa: lo Squid, una nuova forma di droga tecnologica che permette di assumere l’identità di qualsiasi persona. Basta indossare un casco sensoriale che si collega ai recettori del cervello, caricare su un piccolo hard disk un dischetto, e immergersi nella più straordinaria sensazione mai provata: essere un altro, essere chiunque, vivere l’impossibile. Si entra in un’altra realtà, un’altra dimensione, grazie a questa nuova invenzione creata dalla tecnologia e si può vivere l’impossibile, l’esperienza di un fluttuamento continuo tra identità differenti e sempre più eccitanti. “Strange Days”, è del 1995 ed è stato scritto da James Cameron, racconta proprio questo: la condizione dell’identità dell’uomo in una posta modernità tecnologicizzata. Questo è uno dei primi film di fantascienza contemporanea a mettere in evidenza quello che abbiamo detto essere il tratto distintivo del passaggio dal moderno al posto moderno: cioè il nuovo modo di vivere la propria identità. Il protagonista è uno spacciatore di squid, offre ai suoi clienti di essere chiunque e di vivere ogni situazione. Lo Squid non è semplicemente la proiezione di una situazione, ma andando a stimolare i centri nervosi del cervello è l’esperienza di una situazione in toto, la si vive sulla propria pelle, si sente ogni cosa. Si con lavori su commissione, con una piccolissima tecnologia nascosta sopra la calotta cranica, si registra così l’esperienza di una persona in soggettiva. Es l’amico del protagonista che è costretto su una sedia a rotelle, grazie allo squid può tornare a correre. Il tema centrale della pellicola è proprio l’idea di un’identità fluttuante che tipica del post moderno: non ne Este più una fissa e certa, determinata da limiti biologici. Grazie alle tecnologie possiamo essere chiunque. L’unico Squid che Nero, il protagonista, non tratta è quello che lui chiama il Black Jack e cioè uno Squid che racconta la morte del soggetto che lo ha realizzato. Ma altri lo commercializzano e quindi nel post moderno si può arrivare addirittura a vivere l’esperienza dell’esperienza: quella della morte, da cui si esce vivi e che si può rivivere in playback quante volte si vuole. Sembra quasi che l’uomo abbia sconfitto la morte, l’uomo è onnipotente e può trasformarsi ogni giorno senza limiti. Tutto è raggiungibile, è superabile, è esperibile. Il mantra della post modernità sembra essere non più sii te stesso, “bensì sii un altro” / “sii chi vuoi” e che la tua vita sia una continua fluttuazione tra identità, situazioni e sensazioni differenti. Vinci tutti i limiti. 22 Il tema dell’identità, dunque, quello dell’erosione dei confini tra realtà e sogno-virtualità, quello del funzionamento della mente, la fine della metafisica: eccoli, uno accanto all’altro, i temi che il film affronta e a cui tenta di dare una visualizzazione. In Inception ogni azione è guidata dall’emotività e si mostra che solo grazie ad essa, e cioè grazie alla possibilità di avere accesso al proprio subconscio che la parte di noi in cui le difese razionali si abbassano o di fatto sono nulle, si arriva al cuore della persona, alla sua identità, a ciò che la definisce realmente. I sogni sono il centro del film e il sogno è per eccellenza il luogo primario in cui perdiamo ogni barriera logica e ci abbandoniamo all’illogicità, al pulsionale. - Dunque, un altro tema importante di Inception, che lo rende sempre di più un manifesto della fantascienza post-moderna, è questa attenzione all’emotivo, all’irrazionale, all’illogico e l’idea che bisogna in ogni modo sollecitare questa parte dell’individuo per avere accesso alla sua vera dimensione psicologica; alla vera parte di noi individui. I quaranta minuti finali sono l’esempio di come il cinema postmoderno sia l’unione di elementi classici e moderni. In questa sequenza assistiamo parallelamente a una accelerazione della vicenda spettacolare e ad una accelerazione delle tematiche affrontate: classico e moderno che si compenetrano, attenzione alla trama e alla spettacolarità tipiche della Golden Age e riflessione su temi che richiedono un approfondimento allo spettatore tipica invece dell'autorialità degli anni Sessanta. Con in aggiunta gli effetti speciali che proiettano lo spettatore in un mondo quasi tangibile che invade tutti i suoi sensi. Una ulteriore caratteristica della pellicola è anche quella del particolare trattamento della dimensione temporale: nel film si afferma che nel sogno il tempo è più lento che nella realtà, cinque minuti nella vita vera sviluppano un’ora di sogni nell'attività onirica e tutto il film gioca su questo sfasamento temporale. Tornando ai 40 minuti finali la gran parte della suspense è determinata da questo sfasamento temporale che fa si che i tre livelli del sogno, più quello della realtà siano connessi a temporalità asincrone. A un tempo preciso nei vari livelli corrisponde un’azione, se ciò non avviene si rimarrà imprigionati nell’attività onirica. Un ultimo aspetto riguarda l'interpretazione meta-cinematografica che si può dare della pellicola, non è solo un film ludico e spettacolare ma è un cinema che riflette anche su se stesso e sui propri meccanismi. 
 Il mondo del sogno di cui ci parla il film è il mondo che il cinema ricrea dall'alto dello schermo e dove il sognatore è lo stesso spettatore. È un mondo fatto più di emozionalità che di razionalità, deve colpire il piano delle sensazioni più che il senso. Si torna all’idea che nel cinema postmoderno so assiste da una parte alla realizzazione di pellicole che vogliono invadere i sensi dello spettatore, dall’altra un nuovo spettatore che deve esser sollecitato nella parte emotiva. Prevede una nuova condizione spettatoriale che è quella dell'estetica dell'occhiata in cui l'asse emozionale-sensitiva viene privilegiato rispetto a quello percettivo-cognitivo e il rapporto con il film diventa tattile e immersivi. È anche la tecnologia di questo film, come per il precedente, che ci permette di entrare nei sogni. - Anche questa pellicola, come Strange Days, ci dà una risposta non troppo rassicurante: tutto questo conduce di fatto alla follia, all'incapacità di districarsi nella vita vera, in alcuni casi anche al suicidio. Sono pellicole che rispecchiano un'estetica dei prodotti culturali contemporanei, sono opere che riflettono sul mezzo cinematografico e sui suoi meccanismi, soprattutto in relazione con il proprio pubblico. Riflessioni che si muovono di pari passo con le riflessioni dei teorici del cinema: dagli anni Ottanta in poi, infatti, l'attenzione dei teorici cinematografici si è concentrata soprattutto sullo spettatore, sulla sua condizione e sulle sue modalità di ricezione del film. Problemi bioetici -> Gattaca Il film di Gattaca è del 1997 di Andrew Niccol. Fin dall’inizio lo spettatore viene posto di fronte alla problematica centrale affrontata nel film: cioè il rapporto tra scienza-morale, fra sviluppo tecnologico ed etica. Inoltre il titolo fornisce un’ulteriore delucidazione in merito: Gattaca è infatti l’acronimo delle quattro sostanze che compongono il DNA umano (adenina, citosina, timina, guanina). Dunque l’oggetto della pellicola sarà il rapporto tra tecnica e morale applicata al campo della genetica. 25 In particolar modo il film cercherà di dimostrare come sia necessario avere dei paletti etici che possono indicare il cammino giusto a una scienza che, se lasciata senza limiti, produce soltanto danni. Il genere della fantascienza nella contemporaneità è un genere morale che indica allo spettatore la necessità di un ritorno a determinati valori per non perdersi in un futuro in cui le macchine prendano il sopravvento. Gattaca è una delle pellicole più esemplari, rappresenta anche il miglior esempio di fantascienza bioetica contemporanea. - Molta della fantascienza contemporanea tratta argomenti riguardanti la bioetica e si fa specchio delle questioni più scottanti. Gattaca prende in esame un futuro dell’umanità domando dalla genetica, la manipolazione del DNA è diventato l’unico metro umano. La società è divisa in due categorie: i validi e i non validi. I validi sono gli uomini e le donne nati attraverso la manipolazione genetica e progettati per essere perfetti, fisicamente e mentalmente. I non validi sono gli uomini e le donne nati con parto naturale, soggetti, quindi, a tutte le imperfezioni tipiche dell’essere umano. Il protagonista fa parte di questa seconda categoria e propio per le sue imperfezioni non può inseguire il suo sogno di diventare un aviatore spaziale. Ogni imperfezione umana viene vista con ribrezzo e non viene accettata e fin da bambino il protagonista dovrà confrontarsi con il fratello nato invece in provetta. La parte iniziale del film racconta le difficoltà della vita di un non valido in una società in cui la tecnologia genetica ha preso il sopravvento. Una società così finisce per creare dei cittadini di serie A e cittadini di serie B, dei nuovi schiavi, che non hanno possibilità di accedere a nessun posto importante nella vita sociale. Perché scegliere una persona miope o con problemi cardiaci quando ce ne sono altre perfette? La società è dunque una società razzista, un razzismo determinato non dalla religione, dalla cultura o dal colore della pelle, ma dal codice genetico. 
 
 Fin dall’inizio però Vincent scopre che anche l’essere umano ha molte più risorse di quanto la scienza possa prevedere e programmare. Per es durante una delle gare in mare con il fratello (in cui perde sempre) a un certo punto accade l’imprevisto: il fratello si sente male e il protagonista lo salva. - In questo momento capisce che la sua vita non è così segnata come la scienza e la genetica vogliono che sia, ma esistono anche per lui delle possibilità. Il regista della pellicola in una scena ci mostra come l’umano (il naturale) vinca sempre sulla tecnica (l’artificiale): l’essere umano, pur con tutte le sue imperfezioni, anzi forse proprio grazie a quelle, è capace di ottenere i risultati che per la scienza, fredda e impersonale, sono impossibili. Vincent dunque decide di inseguire il suo sogno anche se la strada che intraprende è rischiosa e illegale. 
 - Decide di rubare l’identità di un valido che per diversi motivi non può usufruire di questo status. È così che consce Gerome, nato in provetta e progettato per avere ogni dote possibile, ma che è costretto a causa di un incidente su una sedia a rotelle (e per questo gli è precluso ogni privilegio). Così ogni giorno indossa la sua identità genetica e si porta con se tutto ciò che è necessario per dimostrarlo (sangue, capelli, urina). Entra in una società di astronauti e all’inizio del film è pronto a partire per la sua prima missione. Un omicidio compiuto nell’ufficio rischia di far saltare la copertura. Il finale poi ci dice molto sul senso del film: un non valido riesce nel suo scopo, l’umano vince di nuovo sulla scienza e tecnologia. Viene marcato questo concetto, quando il protagonista riesce a realizzare il suo sogno grazie alla sua costanza, perseveranza e al mantenere in vita i propri sogni; cosa che un robot non può avere. Viene analizzato il peso della perfezione: da una parte come un macigno per chi si trova a dover fare i conti con un certo codice genetico e la fallibilità del paradigma medico, dall’altro anche se vengono ideati come i migliori questo non è detto che li porti ad esserlo. 
 - Gerome è il simbolo di una scienza fallibile che crea solitudine. Lo stesso fratello, in un confronto con il protagonista, si rivelerà un detective di seconda categoria con una vita piatta e infelice. Vincent invece, nonostante la sua inferiorità genetica riesce a realizzare il propio sogno. Sono proprio i sogni dell’uomo a renderlo così speciale e capace di superare le sue imperfezioni. 26 Il sogno di Vincent può essere interpretato come una metafora dello spirituale che caratterizza ogni uomo e lo spinge a proiettarsi al di fuori del fisico/terrestre per proiettassi in un Aldilà. Allo stesso tempo è la ricerca del sacro, declinabile in forme diverse che caratterizza l’uomo e lo rende speciale. Il film, ci parla di tante cose: - Di come la scienza non possa non essere guidata da certi valori morali, altrimenti quello che crea è una società assolutamente disumana. - Di come la scienza non sia così infallibile come vuole farci credere e di come l’umanità, grazie allo spirituale che la pervade, è capace di vincere ogni sua imperfezione e raggiungere anche lo spazio infinito. Questo film è una vera e propria parabola cinematografica bioetica e mette in guardia gli spettatori su una serie di problematiche che sono sempre più attuali e pressanti: unire scienza e valori spirituali, dare un’anima alla tecnica grazia a ciò che caratterizza nel profondo l’umano, la sua voglia di relazionarsi sempre e comunque con un altrove con tutta una serie di valori etico-morali. Problemi bioetici -> A.I. Artificial Intelligence Vede come regista Spielberg. È un’altra parabola cinematografica raccontata sotto forma di favola. Il soggetto principale è già annunciato nel titolo “A.I. Artificial Intelligence”, l’intelligenza artificiale cioè i robot. Quello che viene definito un automa metallico para-umano. Come anche per Blade Runner questo film di fantascienza affronta la questione del post-umano e a prima vista sembra conservare lo stesso spirito biocatastrofista della pellicola di Scott. Ma come vedremo, in realtà, la visione di Spielberg è un po’ differente: decisamente più ottimista e ci renderemo conto di come il suo sguardo inquadri il problema in un’ottica più stratificata rispetto alla pellicola di Scott. - Prima di tutto bisogna evidenziare che in Blade Runner si parla di replicanti, cioè di ibridi tra uomo in macchina, mentre in “intelligenza artificiale”, il protagonista è un robot-bambino, solo una macchina, cioè, anche se estremamente sofisticata. Siamo nel campo della robotica e il film, a nostro avviso, c’entra la sua attenzione su quella che è stata definita la roboetica, si intende un’etica della progettazione e dell’impiego dei robot, il cui scopo sia l’analisi degli aspetti etici, sociali, umanitari ed ecologici della robotica. Dunque un’etica umana relativa alla robotica, che sia la precondizione per arrivare a un’etica artificiali da implementare nei robot. La convinzione degli scienziati che si occupano di robotica, infatti, e che sia possibile che i robot siano in grado di sviluppare una loro coscienza, molto simile a quella umana, una sorta di anima che dia loro identità. Il film di Spielberg pone la sua attenzione su questo argomento: il protagonista, il piccolo robot David, programmato per volere bene incondizionatamente ai suoi genitori, a poco a poco sviluppa una sua coscienza che lo porta a voler diventare un bambino vero, cioè a voler vedere riconosciuta in lui un’anima. Dunque tutta la pellicola segue il cammino, impossibile, di questo robot dotato di una sua coscienza, per diventare un bambino vero, alla ricerca dunque e alla conquista della sua anima, rispetto al mondo umano che non vuole accordargliela perché lo considera semplicemente una macchina. Un Pinocchio dell’era del post umano, si potrebbe dati i riferimenti fiabeschi che insegnano una morale. Ed è proprio questa la storia che la madre legge al robot e a suo fratello (figlio naturale) e da quel momento il protagonista non farà altro che cercare di diventare un bambino vero andando alla ricerca della fata turchina. - Il finale è molto fiabesco e poetico, il robot infatti aspetta per secoli davanti ad una statua della fata in attesa di un miracolo che forse avverrà. È attraverso le fiabe che fin dall’antichità si sono tramandati insegnamenti fra generazioni e indirizzamenti etici a cui fare riferimento. Il film racconta due temi importanti, oltre a quello dell’intelligenza artificiale: - La questione bioetica dell’embrione: il film ci pone metaforicamente delle domande, chi è il bambino? Può essere il robot considerato umano? Domande che ricordano la questione dell’embrione dove ci si chieda se sia persona dalla fecondazione o da un certo momento in poi. 
 27
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved