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Soluzioni - I classici nostri contemporanei 2, Esercizi di Italiano

Soluzioni del libro I classici nostri contemporanei 2 - edizione in quattro volumi. Le soluzioni sono del libro del quarto anno.

Tipologia: Esercizi

2021/2022

Caricato il 04/05/2022

Stefaniamontr
Stefaniamontr 🇮🇹

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Scarica Soluzioni - I classici nostri contemporanei 2 e più Esercizi in PDF di Italiano solo su Docsity! Tracce di risposta - Volume 2 L’ETÀ DEL BAROCCO E DELLA NUOVA SCIENZA LA LIRICA BAROCCA T1 GIOVAN BATTISTA MARINO Donna che si pettina 1. Onde, navicella, mano, amore, catene, mare, tempesta, scoglio, golfo. 2. vv. 11-14: l’io lirico è presentato come sofferente, in mezzo a una tempesta, metafora della passione amorosa. 3. Rima inclusiva. 4. Le parole «onde» e «navicella» dei versi 1-2 sono richiamate dai termini «scoglio» e «golfo» del verso 14. 6. «onde» (v. 1), «fendea» (v. 2), «errori» (v. 4), «flutti tremolanti» (v. 5), «rincrespando» (v. 9), «agitato» (v. 11), «gia» (v. 11), «naufragio» (v. 12). T2 CIRO DI PERS Orologio da rote 1. I strofa: Memento mori; l’orologio suddivide il giorno in ore e a chi sa leggerle ricorda che il tempo passa veloce e l’uomo è destinato a morire; II strofa: gli effetti dei rintocchi sul poeta; quando il poeta ode i rintocchi dell’orologio che batte l’ora, sente dentro di sé una triste voce che gli ricorda la crudeltà del destino; III strofa: la fugacità del tempo; i rintocchi dell’orologio negano al poeta riposo e pace, poiché lo rendono consapevole della fugacità del tempo; IV strofa: il rimbombo dei colpi dell’orologio; i tocchi che rimbombano dell’orologio sembrano velocizzare il tempo che passa e accelerare l’avvicinarsi alla morte. 2. L’io lirico quando sente i rintocchi dell’orologio prova una sensazione di angoscia perché gli torna in mente il suo destino crudele e sente con forza l’approssimarsi della morte; non ha più «riposo o pace» (v. 9). 3. «ordigno» (v. 1); «giorno» (v. 2); «ore» (v. 2); «fuor» (v. 3); «more» (v. 4); «core» (v. 6); «tenore» (v. 8); «ognor» (v. 11); «corso» (v. 13); «ognor» (v. 14). La ripetizione del fonema serve a riprodurre il suono ripetuto del battito dell’orologio. 4. «mobile» (v. 1); «fosche» (v. 3); «funesta» (v. 6); «rio» (v. 8). Sono aggettivi di valore negativo, che sottolineano la sofferenza che provoca la consapevolezza del tempo che passa. 5. La parola «metallo» ripetuta nel sonetto serve a sottolineare la rigidità e la freddezza-crudeltà del trascorrere del tempo. A tale parola possono collegarsi i termini: «ordigno di dentate rote» (v. 1); «voce di bronzo» (v. 8); «timpano e tromba» (v. 10). 6. Proposizione finale. T3 GIACOMO LUBRANO Per l’està secchissima del 1680 1. In cielo non governa il Sole ma Fetonte, che avvicina la Terra al Sole; le stelle dell’Orsa Maggiore si comportano come le stelle del Cane Maggiore, portando grandi calori, e anche all’alba la terra emette fumi, per l’aria surriscaldata eccessivamente. Le ombre nelle valli e nei monti emanano calore, ogni campo sembra deserto, nei bacini delle fonti si trova soltanto polvere e i fiumi non raggiungono più il mare. 2. Il «fasto» è superbo, ambizioso, riduce in cenere il mondo e peggiora la situazione continuamente; non teme le punizioni divine, né è disposto a chiedere perdono. 3. Tutta la descrizione della secchezza e dell’aridità presente sulla terra è metafora della situazione morale presente tra gli uomini, che non accenna a migliorare. Le «piogge» del verso 13 sono metafora di un pentimento purificatore che viene però definito impossibile. 4. L’inferno dell’ultimo verso è metaforico, non indica solo il calore infernale ma rappresenta la decadenza morale. 5. Al verso 13 è presente l’allitterazione della lettera /p/. T4 GABRIELLO CHIABRERA Belle rose porporine 1. Le domande sono rivolte alle «belle rose». 2. Il poeta vuole lodare la bellezza della donna ricorrendo a «nuovi modi». 3. Tutti gli elementi naturali sanno gioire se il tempo è bello: la terra è lieta se un ruscello o un venticello percorrono un prato o se i fiori sbocciano in esso; il mare quando soffia un vento primaverile che porta l’acqua sulla spiaggia, il cielo se un velo dorato avvolge l’alba. Tuttavia nulla può creare quell’atmosfera di gioiosa serenità che solo il viso «grazïoso» della donna sa donare. 4. a) iterazione; b) allitterazione del suono /s/; c) allitterazione del suono /ro/; metafora. 5. vv. 1-4 allitterazione del suono /r/; vv. 6-7 del suono /ose/; vv. 10-11 del suono /v/; vv. 16-17 del suono /t/; v. 18 del suono /m/. Le allitterazioni hanno lo scopo di donare musicalità al testo e di rafforzare i legami di coesione all’interno di esso. 6. «porporine» (v. 1); «auretta» (v. 25); «erbetta» (v. 26); «praticello» (v. 28); «zefiretto» (v. 31). I diminutivi e i vezzeggiativi concorrono a creare un’atmosfera di giocondità e ricreare una situazione di idillio primaverile. 1 T5 TOMMASO CAMPANELLA Al carcere 1. Come la forza di gravità attrae i pesi e come la donnola corre verso l’animale che la divorerà con un misto di paura e gioco, così chiunque ami la scienza, e passi dall’acqua stagnante dell’ignoranza al mare della verità, di cui si innamora, è destino che vada a finire nel carcere dove mi trovo. Io so solo dire che alcuni chiamano questo luogo “grotta di Polifemo”, altri “palazzo di Atlante”, altri “labirinto di Creta”, altri ancora “Inferno profondo” (poiché qui non hanno nessun valore i favori, il sapere né la pietà); io tremo in esso perché è una rocca consacrata a una misteriosa tirannia. 2. Campanella segue gli insegnamenti di Telesio, esponente di una filosofia basata sulla conoscenza e sull’esperienza dei sensi. Campanella inoltre è autore del testo Philosophia sensibus demonstrata (“La filosofia proposta dai sensi”) e di Philosophia naturalis. 3. L’io lirico fa riferimento al luogo di disperazione e sofferenza in cui si trova, che definisce «nostro ospizio» (v. 8); egli prova paura di questo luogo di cui non sa dire altro se non come viene chiamato da altre persone (vv. 9-11) e che è un luogo dove domina una misteriosa tirannia. 4. La poesia di Campanella si astiene dai giochi verbali della lirica barocca, perché essa vuole essere ricerca di una verità più profonda, che assume anche toni oscuri in cui si può riconoscere l’influenza dantesca. 5. Si tratta di una subordinata causale. T6 LUIS DE GÓNGORA a) A una Dama, conosciuta bella da bambina, che poi rivide bellissima donna b) Finché dei tuoi capelli emulo vano 1. Sonetto A: Se l’amore appena sbocciato mi tolse la libertà, cosa farà adesso che, dolce signore, agita le ali armato e privo di vestiti? Già prima fui ferito fra le viole da lui, serpente che ora ha la sua sede fra i gigli; tu possedevi il potere della bellezza già quando eri bambina come lo detieni ancora adesso che sei una splendida giovane. 2. Sonetto A: La bellezza suscita Amore che toglie la libertà, ferisce, dona un grande potere alla donna; la bellezza fa «cantare uccelli e piangere la gente» (v. 14). 3. Sonetto B: Il poeta si rivolge a «bocca», «chioma, collo, fronte» (v. 9). 4. Sonetto B: Il sonetto si conclude con un’immagine di morte e del nulla «fumo, polvere, niente». 5. Sonetto A: «Aurora» (v. 7), «Sole ardito» (v. 8); sonetto B: «oro», «garofano», «cristallo lucido» (v. 11): sono delle metafore che hanno come referente delle parti del corpo della donna assunte, per sineddoche, a rappresentare la donna stessa. 6. Sonetto A: Metafora. 7. Prevale il campo semantico legato a elementi naturali, ad esempio nel sonetto A «mammole» (v. 5), «gigli» (v. 6), «Usignolo» (v. 10) e, soprattutto nel sonetto B, ai metalli preziosi, ad esempio «oro» (v. 2-11), «avorio» (v. 8), «cristallo lucido» (v. 11). 8. Sonetto B: Nelle quartine sono presenti 4 temporali che occupano ognuna due versi e iniziano tutte con la congiunzione «finché»; la principale («godi») è posta al verso 9 e fatta seguire da una temporale («prima che … si volga») in cui è inserita una relativa («che fu…», v. 10). T7 WILLIAM SHAKESPEARE O famelico Tempo 1. Il poeta chiede che il tempo distrugga tutto (la «zampa del leone», i figli della «terra», i denti delle «tigri», la «fenice longeva»), che diventi padrone di tutto quello che esiste sulla terra e che governi il mondo a suo piacere. 2. La donna rappresenta la giovinezza e la bellezza, l’amore del poeta, ciò che il tempo deve risparmiare. 3. La poesia ha lo scopo di rendere eterno l’amore del poeta. 4. Sono presenti la figura dell’iperbole e dell’adýnaton. 5. Il tempo è presentato come una bestia vorace, è definito «famelico» (v. 1); i segni che lascia sono «linee della» sua «penna antica» (v. 10); il suo trascorrere è definito un «correre implacabile» (v. 11). 6. «famelico» (v. 1); dal «piè leggero» (v. 6); «fugace» (v. 9); dal «correre implacabile» (v. 11); «vecchio» (v. 13). DAL POEMA AL ROMANZO T1 GIOVAN BATTISTA MARINO Elogio della rosa 1. Ti salvi. Sta parlando Venere e si rivolge al cespuglio di rose che ha permesso alla dea di incontrare Adone. 2. Il Sole non è ancora spuntato del tutto. 3. Sono le caratteristiche tipiche del locus amoenus: è primavera, si ha una leggera e piacevole brezza, sono sbocciati i fiori. 4. Si ha l’allitterazione del suono /r/; è presente la paronomasia tra «rosa» e «riso»; prevale il timbro vocalico /o/. 5. Ottava 155: «luci», «rimirarlo», «vedutolo»; ottava 156: «vermiglia», «odorifera»; ottava 157: «Turba d’aure»; ottava 158: «bere … licori». Viene privilegiato il senso della vista. 2 un’occasione da cogliere al volo. Vi trovo un vantaggio di cui non godrei mai più» (rr. 19-20), «Si tratta di un risparmio considerevole» (r. 25). Inoltre, appena teme che qualcuno possa scoprire il suo denaro nascosto, si precipita in giardino cambiando immediatamente discorso «Non vorrei che qualcuno ce l’avesse con il mio denaro» (rr. 45-46). T4 MOLIÈRE L’inganno delle parole 1. Don Giovanni promette a due donne, Carlotta e Maturina, di sposarle e cerca di dimostrare a ognuna la sua buona fede. Le due donne insistono perché lui dichiari apertamente le sue intenzioni ma Don Giovanni continua a ingannarle con la sua abilità nell’uso della parola. 2. Don Giovanni risulta un «eroe del male» (come detto nell’Analisi del testo) perché non solo inganna entrambe le ragazze, ma le mette anche in cattiva luce; ad esempio: «Non c’è modo di farle intendere ragione» (r. 15), «È ostinata come tutti i diavoli» (r. 17), «è una pazza» (r. 19), «è una stravagante» (r. 21). Sganarello ha il compito di riportare la situazione alla realtà (nella battuta finale definisce «favole» tutto ciò che racconta Don Giovanni e invita le due ragazze a restare ognuna a casa propria) ed esprime disapprovazione per ciò che compie il suo padrone, commiserando le due giovani: «povere ragazze», «ho pietà della vostra innocenza», «vostra disgrazia» (rr. 72-73). 3. Carlotta e Maturina sono rappresentate entrambe come ingenue; nonostante dimostrino inizialmente gelosia e pretendano che Don Giovanni dichiari apertamente chi delle due sposerà, alla fine della scena si fanno ingannare dalle parole del giovane e ognuna risulta convinta di essere lei la futura sposa: «Sono colei che ama» (r. 70), «È me che sposerà» (r. 71). 4. Il traduttore ha voluto rendere il francese regionale usato da Molière, il quale ha fatto ricorso al dialetto per sottolineare l’ingenuità delle due donne, di un livello culturale basso/popolare e quindi facili prede dell’abilità oratoria di Don Giovanni. T5 WILLIAM SHAKESPEARE Amore e morte 1. Romeo trova Giulietta priva di sensi e credendola morta si toglie la vita bevendo del veleno accanto a lei, dopo aver ucciso Paride, che il padre di Giulietta le aveva destinato come sposo. Al risveglio Giulietta trova frate Lorenzo che cerca di invitarla a fuggire, ma la ragazza si rifiuta e si uccide a sua volta sul corpo dell’amato utilizzando il pugnale dello stesso Romeo. 2. Romeo, condividendo la morte con Giulietta, vuole unirsi a lei in simboliche nozze; la chiama «sposa» quando in lei c’è ancora bellezza e le labbra e il viso hanno ancora del colore; egli vuole quasi sfidare la morte: il suo amore, impossibile in terra, proseguirà anche dopo la morte e gli permetterà di rimanere per sempre con la donna amata. 3. «il miele / del tuo respiro» (vv. 93-94); «pallida / bandiera della morte» (vv. 96-97); «squallido mostro» (v. 104); «porta del respiro» (v. 114); «amara guida» (v. 116); «scorta ripugnante» (v. 117); «pilota disperato» (v. 117). T6 WILLIAM SHAKESPEARE «Essere o non essere» 1. Amleto è trattenuto dal passare all’azione dalla riflessione sul senso della vita e sul rapporto con la realtà che, secondo lui, non ha una consistenza oggettiva ma è soltanto apparenza ingannevole. L’uomo non ha certezze né punti di riferimento. Amleto non sceglie la morte per il terrore dell’ignoto, infatti nessuno sa cosa attenda gli uomini dopo la vita. 2. Sono le sofferenze che l’uomo è destinato a provare, specificate ai versi 237-242 («i malanni e le frustate / dei tempi, l’oppressione dei tiranni, / le contumelie dell’orgoglio, e pungoli / d’amor sprezzato e rèmore di leggi / arroganza dall’alto e derisione / degl’indegni sul merito paziente»). 3. «dardi» (v. 222) e «le frustate / dei tempi» (vv. 237-238): i colpi, le sofferenze inferti dalla sorte; «sonno» (v. 226): la morte; «volare a mali ignoti» (v. 251): dirigersi verso dolori che non si conoscono. T7 WILLIAM SHAKESPEARE Lo spettro di Banquo 1. Lady Macbeth dice al marito che ciò che vede è solo frutto della sua fantasia e dei suoi timori; lo accusa di non comportarsi da vero uomo e di aver fatto cessare l’allegria della festa. Paragona il suo comportamento a quello di una «donnicciuola» (v. 64). 2. Avere davanti agli occhi il corpo di un uomo morto. 3. vv. 49-50, v. 71, vv. 92-95, vv. 99-106. 4. «è solo un quadro della tua paura» (v. 60): ciò che Macbeth vede è solo frutto dei suoi timori; «come il pugnale disegnato nell’aria» (v. 61): Macbeth aveva assassinato il re Duncan dicendo di aver seguito un pugnale; «come una cosa normale» (v. 96): lady Macbeth dice che le farneticazioni del marito sono normali, perché egli soffre di allucinazioni; «come una nuvola d’estate» (v. 110): qualcosa di inaspettato. 5. «chiome insanguinate» (v. 50), «pugnale» (v. 61), «Sangue è stato versato» (v. 74), «delitti» (v. 76), «assassinio» (v. 82), «paura» (v. 115), «sangue» (v. 121). T8 WILLIAM SHAKESPEARE I rischi del commercio per mare 1. Antonio è malinconico, ma non sa spiegarsi il motivo di questo suo stato. Salerio sospetta che ciò sia dovuto alle preoccupazioni per le sue imprese commerciali. 2. Entrambi sarebbero preoccupati delle condizioni del tempo (in particolare del vento) e della difficoltà nel riconoscere secche e insenature; Salerio inoltre sarebbe in pensiero per la possibilità che le imbarcazioni venissero speronate dalle rocce. 3. «carri trionfali dell’oceano» (v. 11): le navi commerciali solcano l’oceano portando ricchezze, come se fossero un trofeo; «volano accanto con ali intessute» (v. 14): il viaggio delle navi è paragonato a un volo per la sua velocità; «che abbassa il capo fin sotto le fiancate / per baciare la 5 sua tomba» (vv. 29-30): si personifica una nave che sta affondando negli abissi. 4. La «libbra di carne» è metafora dell’oro e della vita stessa del mercante. GALILEO GALILEI T1 La superficie della Luna 1. Galileo si rivolge a «quanti studiano la natura» (r. 6), ai dotti e agli scienziati, capaci di comprendere il latino, e a «tutti quanti amano la vera filosofia» (rr. 46-47). 2. Le nuove scoperte sono: le dimensioni della Luna, la sua superficie non «liscia e levigata» ma «scabra e ineguale» (rr. 18-19) e la presenza di numerose macchie lunari, «l’essenza» della Via Lattea (r. 22), la presenza di «quattro astri erranti» (r. 27). 3. Le scoperte si basano su una conoscenza derivata dall’esperienza: «propongo all’osservazione e alla contemplazione» (rr. 5-6), in particolare l’esperienza della vista: «scorgere» (r. 10), «vedute» (r. 11), «vedere» (r. 13). 4. Le macchie sono «grandi o antiche» o «minori per ampiezza» (r. 53) ma molto frequenti e mai viste prima. 5. Galileo pensa che le sue scoperte possano essere utili nella vita quotidiana (ad esempio per lui il cannocchiale può avere significativi risvolti pratici). 6. Lo scienziato si mostra in parte legato all’esperienza religiosa, come si può notare dall’espressione «occhiale che io inventai dopo aver ricevuto l’illuminazione della grazia divina» (rr. 32-33). 7. Galileo cerca di rendere meglio comprensibili i fenomeni che spiega riportando esempi di quanto accade sulla Terra: «E sulla Terra …» (rr. 85- 89), «la Luna sia quasi una seconda Terra» (rr. 114-115). 8. «Grandi cose» (r. 5), «Grandi, dico, e per l’eccellenza» (r. 6), «Grande cosa» (r. 9), «Bellissima cosa e mirabilmente piacevole» (r. 13), «non mi pare si debba stimar cosa da poco» (r. 21), «degno di attenzione» (r. 91). Tali espressioni conferiscono un tono solenne e che esprime stupore per le nuove scoperte; infatti molti termini rimandano al tema della “meraviglia”, «mirabilmente» (r. 13), «meraviglia» (r. 26), «mirabili» (r. 34), collegandosi al clima del Barocco. Interpretazioni critiche Il cannocchiale e il nuovo immaginario (Andrea Battistini) 1. Le illustrazioni facilitano e agevolano la comprensione del testo, sono una «guida didascalica» (rr. 9-10). 2. Gli scienziati usano il cannocchiale per formulare leggi ottiche; i letterati e la «gente comune» ne «subiscono il fascino» (rr. 25-26) e immaginano di allargare i propri orizzonti e di scoprire nuovi mondi. 3. «gusto ornamentale e compiacimento pittorico» (r. 9), «scienziato» (r. 16), «lettura» (r. 16), «logica scientifica» (r. 19), «scienziati» (r. 23), «istruzioni empiriche» (r. 23), «meraviglioso» (r. 31), «mirabili operazioni» (r. 33), «gusto della contraddizione e dell’ossimoro» (r. 34), «magnificenza» (r. 35), «grandi cose (r. 39), «fenomeni grandiosi» (r. 40), «metafora ottica» (r. 46), «artificio e mimesi … razionalità geometrica e spettacolo teatrale» (rr. 54-55), «rappresentazioni simboliche» (r. 57). T2 Lettera a Benedetto Castelli 1. Dal momento che non ci possono essere due verità in contrasto tra loro, occorre che gli esperti di Sacre Scritture le interpretino correttamente, alla luce delle nuove scoperte. 2. rr. 22-24. 3. Tesi: nelle dispute sulla natura si deve ricorrere alle Sacre Scritture come ultimo argomento ed esse non possono essere usate per mettere in discussione le dimostrazioni fondate sulla coerenza logica di ciò che si percepisce con i sensi. Argomentazioni: la Scrittura spesso necessita di esposizioni che trascendono l’esatto significato delle parole; le Sacre Scritture sono dettate dallo Spirito Santo, la Natura è diretta esecutrice degli ordini di Dio; la Scrittura spesso dice cose distanti dal vero in assoluto per renderle più comprensibili agli uomini, la Natura segue le proprie leggi senza preoccuparsi di essere facilmente comprensibile. 4. Ad esempio: «dispute di conclusioni naturali» (rr. 3-4), «Stante dunque» (r. 22), «Stante questo» (r. 43); tipico dell’indagine filosofica è poi l’uso di domande (rr. 61-72). 5. La sintassi del brano è complessa. Per esempio: il periodo si apre con una subordinata causale «Stante dunque che … è non solamente capace» (rr. 22-25) seguita dalla principale («mi par») che regge una soggettiva («che dovrebbe essere riserbata»); dopo i due punti segue una causale con il verbo “essere” sottinteso («perché») e una causale implicita («procedendo»). T3 La favola dei suoni 1. Il protagonista è incuriosito dal suono di uno strumento a fiato che ode una notte. 2. Prima ode uno zufolo, poi un violino, poi i suoni dei ferri di una porta di un tempio, quindi il suono provocato strofinando l’orlo di un bicchiere, il suono prodotto dal battere o scuotere delle ali degli insetti, il suono di tutti gli strumenti, persino dello scacciapensieri, e infine quello di una cicala. 3. Il giovane non riesce a scoprire da dove derivi il suono emesso dalla cicala, pur avendola sezionata; quindi conclude che, nonostante tutte le ricerche, ci sono infiniti modi sconosciuti e impensabili per produrre un suono, tanto è ricca e varia la natura. 6 4. Galileo cerca di “mimare” l’esperienza conoscitiva, fa in modo che il lettore scopra le cose man mano che il suo protagonista le scopre e arriva poco per volta alla verità. 5. rr. 31-32, r. 39, rr. 43-45. L’enumerazione serve per rendere le innumerevoli varietà offerte dalla natura. 6. «Stupefatto» (r. 13), «stupore» (rr. 22-23), «meraviglia» (r. 26), «stupore» (r. 33), «stupore» (rr. 42-43). 7. Opinione soggettiva: «Parmi» (r. 1), «immaginar» (r. 10), «stimando» (r. 17), «si scemò l’opinione» (r. 34). Certezza obiettiva: «conoscendo che» (r. 15), «cominciò a creder» (r. 25), «credendo» (r. 28), «gli venne osservato» (r. 31), «si credeva non poter essere» (r. 37), «credeva d’aver veduto» (r. 42), «credendo che» (r. 46), «teneva per fermo» (r. 51). T4 L’elogio dell’intelletto umano 1. Simplicio sostiene che o l’oracolo o Socrate sono stati bugiardi (r. 14). 2. Nella «favola dei suoni» conoscere equivale a essere consapevoli di ciò che non si conosce; in questo passo Sagredo dichiara che chi presume di sapere tutto in realtà non ha capito nulla, perché chi conosce perfettamente una sola cosa sa che di altri infiniti argomenti non ne comprende nessuno (rr. 4-8). 3. Sì perché tra gli uomini ci sono differenti ingegni e il grado di conoscenza è variabile a seconda dell’intelligenza del singolo. 4. Le capacità degli uomini, per quanto alte siano, sono nettamente inferiori ai meccanismi della natura. 5. Galileo definisce le invenzioni dell’uomo «tante e tanto meravigliose» (r. 48) davanti alle quali prova «stupore» (r. 51). Ricorre anche al verbo «stupire» (r. 56) e «meraviglia» (r. 58). Tale entusiasmo è espresso attraverso l’uso insistito di interrogative retoriche (rr. 53-66). T5 La confutazione dell’ipse dixit e il coraggio della ricerca 1. L’equivoco si crea tra Simplicio e Sagredo; Sagredo sta sorridendo pensando a una discussione a cui ha assistito tempo prima, e Simplicio pensa che Sagredo stia “sogghignando” perché ha detto qualche stravaganza. 2. Righe Titolo 1-24 L’aneddoto del «notomista» 24-70 L’assurdità di accostare affermazioni degli autori sparse in opere diverse, siano di Aristotele o di poeti come Virgilio o Ovidio 71-94 Gli errori degli interpreti di Aristotele 95- 114 La dignità dell’uomo e l’autonomia della ricerca 3. Il «notomista» dimostra che i nervi hanno origine dal cervello, il peripatetico sostiene che tale affermazione sarebbe vera, se Aristotele non affermasse che i nervi nascono dal cuore. 4. Simplicio: bisogna seguire e accettare per vere le affermazioni di Aristotele, altrimenti verrà a mancare una guida sicura nella ricerca. Sagredo e Salviati: occorre basare la ricerca sull’osservazione e non sull’autorità di Aristotele. Gli aneddoti hanno lo scopo di vivacizzare il racconto rendendo anche più chiaro ciò che si vuole dimostrare attraverso esempi concreti. 5. rr. 12-26 e rr. 63-70. 6. Il registro è realistico e a tratti quasi comico, pur mantenendo la precisione del linguaggio e la lucidità dell’argomentazione. 7. «ruminando» (r. 1), «scoppio» (r. 6), «diramandosi» (r. 19). 8. I termini sono concreti e propri di un linguaggio scientifico- medico (ad esempio: «notomia», «notomista», «nervi», «cervello», «nuca», «spinale»). La voce del Novecento Galileo e la rivoluzione scientifica moderna secondo Brecht 1. Galileo dichiara che si è entrati in una nuova era, in cui «ogni giorno si trova qualcosa di nuovo» (r. 41); il mondo è ora dominato dal dubbio e dalla curiosità e tutti potranno ricevere un’istruzione. 2. Perché le navi per prime si sono spinte verso luoghi sconosciuti, hanno scoperto nuovi continenti e hanno eliminato la paura di affrontare il mare. 3. Lo scopo della scienza è «quello di alleviare la fatica dell’esistenza umana» (r. 28). 4. Perché ha messo il suo sapere «a disposizione dei potenti» (r. 43). 5. Galileo nel primo brano è uno scienziato entusiasta per le nuove scoperte e la possibilità di un progresso per l’umanità; nel brano B, dopo aver dichiarato che non crede più di appartenere al mondo della scienza, riflette anche sulle responsabilità che ha la ricerca scientifica, che deve essere usata a vantaggio dell’umanità per alleviarne le fatiche, senza limitarsi ad «accumulare sapere per sapere» (rr. 29-30) e senza essere asservita al potere. 7 alla finalità dell’opera, che è quella di divulgare e promuovere l’idea dell’importanza di un governo costituzionale, che garantisca il rispetto delle libertà di tutti cittadini. 7. «potere» (r. 44): esercizio dell’autorità in un determinato ambito; «diritto» (r. 23): insieme di norme stabilite dalla consuetudine o dalla legge; «legge» (r. 3): norma che regola il comportamento degli uomini; «libertà» (r. 53): condizione di agire senza costrizioni; «tirannico» (r. 58): dispotico, assoluto. T4 JEAN-JACQUES ROUSSEAU Dal “buon selvaggio” alla proprietà privata 1. La natura inizialmente offre di che vivere agli uomini; si presentano però degli ostacoli che l’uomo deve superare (l’altezza degli alberi, la concorrenza e gli attacchi degli altri animali) e la natura spesso si mostra ostile (ci sono terreni, climi, stagioni avverse). 2. Tra gli uomini inizialmente ci sono pace e tolleranza; quando nasce l’idea della stima e l’importanza del rispetto di essa, gli oltraggi vengono puniti severamente, nascono le vendette e gli uomini diventano crudeli. 3. Particolari concreti sono presenti alle rr. 15-40 e 77-81, quando si descrivono le situazioni in cui si trovano gli uomini; ad esempio: «prodotti della terra», «fame», «altezza degli alberi», «archi e frecce», «capanne rustiche», «abiti di pelli con spine di piante e di pesce». Tale attenzione è riferita maggiormente agli aspetti relativi alle modalità con cui l’uomo cerca di superare gli ostacoli che impone la natura. 4. «società civile» (r. 2), «proprietà» (rr. 7-8, 58, 86), «stato di natura» (r. 11), «diritto» (r. 42), «doveri della civiltà» (rr. 43-44), «punendo» (r. 46), «uomo civile» (r. 54), «leggi» (rr. 62, 66), «giudice» (r. 62), «vendicatore» (r. 62), «punizioni» (r. 64), «stato primitivo» (r. 68), «utilità» (r. 71), «liberi» (r. 83), «relazioni indipendenti» (r. 84), «uguaglianza» (r. 86), «lavoro» (r. 86), «schiavitù» (r. 88). 5. r. 1 e rr. 4-6: il discorso diretto dà particolare valore, rendendole più efficaci e incisive, alle affermazioni espresse. LA TRATTATISTICA DELL’ILLUMINISMO ITALIANO T1 CESARE BECCARIA L’utilità delle pene è la negazione della loro crudeltà 1. Gli uomini hanno istituito le leggi quando hanno iniziato a unirsi in società; hanno sacrificato parte della loro libertà perché sono stati fissati dei limiti ai loro comportamenti. 2. Il sovrano è il «legittimo depositario ed amministratore» (rr. 5-6) delle libertà a cui ognuno ha rinunciato ed egli garantisce sicurezza e tranquillità. 3. Le pene hanno la funzione di far rispettare le leggi. 4. La tortura viene utilizzata dalla maggior parte delle nazioni per costringere il reo «a confessare un delitto» (r. 13), o per scoprire chi siano i complici, o perché il colpevole confessi altri delitti di cui non è accusato, o, conclude Beccaria, per qualche inspiegabile «metafisica ed incomprensibile purgazione d’infamia» (r. 15). 5. Una pena è giusta quando ha l’intensità sufficiente ad allontanare gli uomini dal commettere i delitti. L’ergastolo risulta sufficiente a far desistere un uomo dal commettere delitti perché molti vedono nella morte una liberazione, mentre nel carcere a vita l’inizio dei mali; perché l’animo umano resiste più a dolori atroci che alla noia; perché la pena all’ergastolo è una punizione più continua e lunga e può fornire quindi un esempio più duraturo per chi vi assiste. 6. Perché chi osserva la pena di schiavitù considera l’insieme di tutti i momenti infelici che deve vivere il condannato, chi invece subisce la pena è «distratto» dall’infelicità presente e non pensa a quella futura. 7. Il dolore fa sì che emergano e vengano confessati tutti gli elementi che concorrono a formare la verità; Beccaria contesta fortemente questa idea. 8. Perifrasi: «al di là della tomba» (rr. 35-36); metafore: «momenti infelici … stesi sopra tutta la vita» (rr. 43-45); metonimie: «ceppi», «catene», «bastone», «giogo», «gabbia di ferro» (rr. 37-38). T2 PIETRO VERRI «Come sia nato il processo» 1. La vedova «Catterina Troccazzani Rosa» (r. 2) e «Ottavia Persici Boni» (r. 7). 2. Il presunto untore avrebbe, verso le otto del mattino, mentre pioveva, sparso del grasso su un muro. 3. L’autore afferma che è normale passeggiare rasente a un muro, soprattutto quando piove, e che un tale delitto non sarebbe stato commesso di giorno, quando c’è alta probabilità di essere scoperti; inoltre il colpevole sarebbe fuggito dopo aver sentito le voci che si stavano diffondendo nel quartiere e dopo aver assistito alla visita del Capitano di Giustizia. 4. Viene perquisita la casa dell’imputato e, pur non trovandosi nessun indizio, egli è incarcerato, interrogato e torturato. L’imputato torturato dichiara di non sapere nulla, geme, urla e chiede più volte di essere ammazzato, invece che sottoposto alle torture; più volte durante l’interrogatorio sviene. 5. Si credeva che ci potessero essere amuleti, o patti con il demonio, nei capelli, nei peli, nei vestiti o negli intestini; i condannati pertanto venivano rasati, spogliati e purgati perché non potessero trangugiarli e ne venissero così liberati. 10 6. Parti narrative: rr. 1-18, 23-27, 33-58, 62-80. Parti argomentative: rr. 19-23, 28-33, 58-62. La voce del Novecento Il rogo di una strega nella Chimera di Vassalli 1. La folla attende uno spettacolo; per essa si tratta di un giorno di felicità perché ci si libera di una strega, causa di tutti i mali. 2. Antonia era considerata la «causa dei bambini che morivano, e della pioggia che non veniva, e del caldo, e dell’estate che non si decideva a finire» (rr. 7-8). 3. Antonia è travolta dagli eventi, è frastornata, forse anche perché ha bevuto qualcosa che l’ha stordita, e incapace di agire e di parlare; ci viene descritta «pallida, con gli occhi spalancati» (r. 19), sente solo un rimbombo nelle orecchie e non riesce a vedere nulla, barcolla «come ubriaca» (r. 53). 4. La folla esplode in una festa chiassosa e caotica. 5. La folla pronuncia le parole in risposta al prete con una forza incredibile e quasi incontrollabile, come il vento durante una tempesta. IL GIORNALISMO T1 PIETRO VERRI «Cos’è questo “Caffè”?» 1. Un greco di Citera, in seguito all’invasione dei Turchi, decide di abbandonare il suo paese e, dopo aver viaggiato a lungo, e aver acquistato in una città yemenita sul mar Rosso dell’ottimo caffè, si è stabilito a Milano dove ha aperto una bottega in cui si beve caffè della migliore qualità. In questa bottega è inoltre possibile fermarsi a leggere i giornali e discuterne. 2. Gli abiti orientali sono più eleganti di quelli occidentali e anche più comodi; infatti gli occidentali che si recano in Oriente vestono alla moda locale, ma non avviene il contrario; inoltre in Occidente si cambia moda di frequente, mentre in Oriente gli abiti sono identici per secoli. Verri conclude criticando la moda del suo tempo che costringe a veri e propri «tormenti» (r. 70). Questo passo dimostra l’apertura nei confronti di civiltà diverse, secondo l’ideale cosmopolita che anima la rivista; è presente inoltre un’implicita critica all’eccessivo sfoggio di lusso delle classi più elevate. 3. Attraverso le brevi domande e risposte iniziali l’autore illustra sinteticamente, ma in modo chiaro ed esplicito, le finalità della rivista; l’intervista ha inoltre lo scopo di coinvolgere maggiormente il lettore, rispondendo a sue ipotetiche domande. 4. Si parla di «taglio narrativo» perché nel brano è inserita la storia del greco di Citera, con attenzione ai particolari (ad esempio si elencano con precisione le città che il greco visita prima di giungere a Milano) cosicché risulta una sorta di breve racconto. 5. Il tono colloquiale del brano è dato innanzitutto dalla fittizia intervista iniziale e da alcune espressioni, come ad esempio: «Il nostro greco» (r. 41), «ride quando vede qualche lampo di ridicolo» (rr. 41-42), «render la pariglia» (r. 49), «mi si tormenti con cinquecento e non so quanti colpi di pettine» (rr. 70-71), «mi s’infarini» (r. 71), «rinchiudere i miei capelli entro un sacco» (r. 72). 8. “Il Caffè” è un «foglio di stampa» che esce ogni dieci giorni con articoli inediti su argomenti vari, di «pubblica utilità», scritti da autori diversi, ognuno con il proprio stile. Al termine di ogni anno si rilegano tutti i fogli creando un volume unico. Esso verrà stampato finché sarà venduto. La finalità del giornale è quella di essere utile ai cittadini e alla «patria» e nello stesso tempo di divertire i lettori. T2 ALESSANDRO VERRI Rinunzia avanti notaio al Vocabolario della Crusca 1. 1. Come Dante, Petrarca e Boccaccio hanno inventato parole nuove e «buone», gli autori contemporanei ne possono inventare anche altre; 2. Tutte le lingue possono arricchirsi e migliorarsi, a meno che esse non siano giunte al loro ultimo stadio di sviluppo; 3. Non c’è nulla che obblighi a seguire i precetti dell’Accademia della Crusca; 4. È opportuno accogliere parole straniere italianizzandole, senza perdere tempo dietro a formalismi retorici e grammaticali; 5. Se ci sono parole di altre lingue che esprimono un concetto in modo migliore della nostra lingua, è opportuno usare tali vocaboli; 6. Occorre evitare eccessive pedanterie e discorsi ridondanti e fini a se stessi; 7. La lingua deve essere comprensibile in tutta Italia, consentendo una libera circolazione delle idee; il giornale inoltre non si sottrarrà alle critiche, purché non provengano dagli «antifilosofi». 2. rr. 8-9, 13-15, 18-26, 32-33, 37-40, 54-56. 3. «purezza della toscana favella» (r. 4), «si scandalizzano di un c o di un t ... acuto» (rr. 20-21), «carrozza va scritto con due erre» (r. 27), «dispotico regno ortografico» (rr. 35-36), «leggi» (r. 36), «replicare le consonanti … capriccioso pedantismo» (rr. 37-38), «riboboli noiosissimi» (rr. 42-43). Tutte le espressioni sono utilizzate con tono ironico. 4. «ragion» (r. 3): modo di pensare; «ingegni» (r. 20, 23): studiosi; «industria» (rr. 24-25): l’intelligenza; «cosa ragionevole» (r. 29): cosa sensata; «ragione» (r. 36): intelligenza, studio. 11 IL ROMANZO INGLESE T1 JONATHAN SWIFT Relatività delle esperienze umane 1. Quando si trova a osservare da vicino i seni della donna che allatta. 2. Il lillipuziano può vedere ingigantiti i più piccoli difetti di Gulliver. 3. Il lillipuziano nota che le donne di corte hanno le lentiggini e difetti nel naso o nella bocca. 4. r. 12, r. 18 (con il riferimento alle «nostre signore inglesi»), rr. 35-36. L’autore cerca il coinvolgimento del lettore perché vuole condurlo ad accettare l’idea illuministica di tolleranza e di accettazione delle differenze. 5. Il sorriso del lettore è ricercato attraverso esagerazioni e paragoni insoliti, come ad esempio nella descrizione della donna che allatta il bambino o nella descrizione che il lillipuziano dà di Gulliver («gli sterpi della mia barba … setole di un cinghiale», rr. 28-29). 6. Iperbole. T2 DANIEL DEFOE Il significato della casa 1. Dal fatto che il terreno è «basso e paludoso, vicino al mare», «poco salubre» (rr. 7-8) e lontano dall’acqua dolce. 2. Il luogo in cui costruire la casa deve essere vicino all’acqua dolce e in una posizione salubre, avere un riparo dal sole e da «animali famelici» (r. 11) e soprattutto possedere una vista sul mare. 3. Robinson mette per scritto la sua esperienza per non lasciarsi sopraffare dallo sconforto e per trovare i lati positivi della situazione in cui si trova. 4. Nel registrare su due colonne, come in un registro di contabilità, vantaggi e svantaggi della situazione in cui si trova, Robinson si comporta come un commerciante, mettendo in atto le qualità di un borghese intraprendente e organizzato. 5. Prevale l’ipotassi: nel primo periodo (rr. 1-5) ci sono sei subordinate condizionali; nel secondo (rr. 6-9) la principale è seguita da un’oggettiva, in cui è inserita una relativa, seguita da tre causali. CARLO GOLDONI T1 «Mondo» e «Teatro» nella poetica di Goldoni 1. Fin da ragazzo Goldoni è stato attratto dal teatro; leggeva spesso testi teatrali e assisteva a spettacoli. In tutte le città in cui è stato ha sempre cercato di coltivare tale passione, anche recitando. Dopo la morte del padre è stato costretto a praticare a Venezia la professione di avvocato. 2. Il teatro comico è per Goldoni «corrotto» (rr. 45 e 49), presenta soltanto «sconce Arlecchinate, laidi e scandalosi amoreggiamenti, e motteggi; favole mal inventate, e peggio condotte, senza costume, senza ordine» (rr. 51-52) che fomentano riso nel pubblico volgare e ignorante ma noia e ira nelle persone di cultura e disprezzo nelle altre nazioni. Il pubblico cui si rivolge è costituito dalla plebe «ignorante», dalla «gioventù scapestrata» e dalle «genti più scostumate» (rr. 54-55). 3. Il «Mondo» mostra i caratteri delle persone e i loro veri sentimenti, i vizi della società e le persone che invece risultano virtuose; il «Teatro» mostra in che modo si debbano rappresentare sulle scene i vari personaggi con le loro passioni, come suscitare riso o meraviglia. 4. Goldoni scopre che nelle «cattive Commedie» (r. 74) c’è qualcosa che suscita l’applauso e «l’approvazion de’ migliori» (rr. 74-75) e soprattutto che mettere in scena ciò che è semplice e naturale è apprezzato più che la ricerca di “meraviglia”. 5. Similitudine. 6. «ignorante plebe» (r. 54), «gioventù scapestrata» (rr. 54-55), «genti più scostumate» (r. 55), «persone dotte e dabbene» (rr. 55-56), «i Dotti … il Popolo» (r. 70), «ottimi giudici del buono» (r. 105), «plebe più bassa» (r. 184). T2 La locandiera 1. Atto primo: Il conte d’Albafiorita e il Marchese di Forlipopoli, avventori della locanda di Mirandolina, si contendono i favori della locandiera facendole regali costosi o promettendole protezione. Giunge alla locanda il Cavaliere di Ripafratta che si dichiara acerrimo nemico di tutte le donne. Mirandolina decide allora di tendergli uno scherzo, facendolo innamorare di lei, suscitando però la gelosia di Fabrizio, suo domestico e a sua volta innamorato di lei. Atto secondo: Mirandolina mette in atto la sua opera di seduzione, preparando per il Cavaliere il pranzo e fermandosi a conversare con lui. Il Cavaliere si accorge di stare per innamorarsi della locandiera e decide allora di partire; fingendo di svenire Mirandolina fa in modo che egli sveli, seppur implicitamente, il suo amore ed è deriso dagli altri avventori. 2. Gli oggetti sono status symbol, talora sostituiscono il denaro e sono utilizzati dai personaggi per “comprare” i favori di qualcuno: Mirandolina accetta i gioielli alla moda del Conte, i vini pregiati e la boccetta d’oro del Conte e del Cavaliere, il fazzoletto prezioso del Marchese, in una sorta di “asta” continua. D’altra parte i tre protagonisti maschili mettono in mostra le loro possibilità economiche (Conte e Cavaliere) o quanto rimane degli antichi agi e possedimenti (Marchese). Mirandolina, rifiutando in un secondo tempo la boccetta d’oro, rifiuta di fatto il Cavaliere. 12 «opposti schermi» (le imposte), «Cimmeria nebbia» (il sonno); aggettivi esornativi: «gentili», «vicino», «propagato», «opposti». Le scelte espressive “alte” accentuano l’aspetto ironico. 4. Lo spalancarsi della bocca del giovane che si risveglia per uno sbadiglio è paragonato all’urlo del «duro capitano» (v. 117) nel mezzo della battaglia che dà ordini alle sue truppe; se il capitano vedesse il gesto dello sbadiglio del giovane proverebbe di sicuro vergogna per la sua poca educazione e la sua rozzezza, così come ha provato vergogna di sé Minerva quando, osservandosi in una fonte mentre suonava il flauto, si vide brutta per le gote gonfie. 5. «noiosi e lenti», «tedio», «fastidio insoffribile», «ozii», «ozio». Poliptoto: «ozii»-«ozio»; dittologia: «noiosi e lenti», «tedio, / e fastidio» (in enjambement). T3 La colazione del «giovin signore» 1. Ma già vedo entrare di nuovo il tuo cameriere ben pettinato; egli ti domanda quale delle bevande più consuete oggi desideri bere nella tazza preziosa: tazze e bevande provengono dall’India; scegli quale desideri di più. 2. La cioccolata alimenta lo stomaco con dolci stimoli e calore ben temprato, e la digestione ne è avvantaggiata. Potrebbe preferire il caffè in quanto bevanda “divina” adatta in caso di malumore e accumuli di adipe. 3. Per portare nuove delizie al palato del giovin signore fu necessaria l’espansione oltremare della Spagna, avvenuta tra mille pericoli e nel dispregio del sangue umano sparso nelle azioni di conquista che detronizzarono i re messicani e uccisero Incas valorosi. 4. vv. 139-140: «de’ tuoi labbri … bevanda». 5. Vocaboli: «ben pettinato» (v. 125), «prezïosa» (v. 128), «indiche» (merci, v. 129), «vezzose» (membra, v. 138), «delizie» (v. 156), «gemma» (v. 157). I termini descrivono ostentazione del lusso e ricerca egoistica del piacere tra le classi alte della società. 6. Il ritmo è lento e ben si accorda con uno stile di vita, quello della nobiltà, che si focalizza su attività per lo più insignificanti. 7. Il distacco tra la realtà dei fatti e il racconto del «precettore» è evidente nell’interpretazione delle azioni di conquista in Centro America, che si giustificano se non altro per l’introduzione del cacao in Occidente. Sempre in quest’ottica “fu giusto” non considerare di alcun valore le vite dei messicani (Maya e Aztechi) e degli Incas che vennero o uccisi o fatti prigionieri. 8. La descrizione della partenza delle navi spagnole alla volta del nuovo continente ha tratti epici: i navigatori europei oltrepassano con grande sfarzo e tra mille pericoli le colonne d’Ercole, verso l’ignoto, opera tentata solo da Ulisse. Il registro lessicale («uopo», «prisco», «procelle» ecc.) è alto e ricorda quello dell’epica. Nella realtà dei fatti l’impresa non fu affatto epica ma provocò l’abbattimento di interi regni e la distruzione di intere popolazioni; inoltre alla partenza non c’erano grandi aspettative, anzi il viaggio era considerato quasi un’azione disperata, soprattutto dai cartografi di corte, un ultimo tentativo per risollevare le sorti della Spagna. T4 La «vergine cuccia» 1. Le lacrime della dama sono paragonate alle gocce che a primavera trasudano dai tralci della vite. 2. Le parole del commensale riportano alla mente della dama l’episodio in cui la sua cagnetta ricevette un calcio da un servo al quale aveva dato un morso. 3. Nella descrizione dell’episodio del calcio del servo alla cagnetta: «il piede villan … soffiò la polvere rodente» (vv. 520-526). La scelta di un tono epico accentua l’ironia. 4. Crudeltà del servo: «fero», «villan», «audace», «sacrilego», «rodente»; nobiltà della cagnetta: «bella», «vergine», «eburneo», «lieve». T5 Alla Musa 1. Non ama la poesia l’uomo che cede all’avidità, all’ambizione e alla lussuria. 2. Ama la poesia colui che conduce una vita moderata e sana, che rifiuta lo sfarzo e l’inutile lusso, e persegue il bene, la verità, la bellezza disinteressata. 3. Il giovane si è allontanato dalla poesia per dedicarsi esclusivamente alla vita familiare. 4. Il poeta chiede alla Musa di rivolgersi alla marchesa perché convinca l’uomo a tornare a lei, anche solo un momento (ovvero a riprendere la poesia). È anche grazie alla Musa, infatti, che egli prova quella «nobil fiamma» (v. 75) per la donna, perché è la poesia che ha addolcito il suo cuore. 5. «Te … non ama» (vv. 1-4) / «te gusta od imìta» (v. 14); «dura avarizia» (v. 3), «alma ambiziosa» (v. 5) in antitesi con le espressioni «ingenuo piacer» (v. 15), «puri affetti e semplice costume» (v. 17), «parco e delicato» (v. 26) e «vano fasto» (v. 27); «donna … procace» (vv. 11-12) / «casto» (v. 25) e «ama innocente» (v. 30); «frode» (v. 7) / «il vero» (v. 30); «torbido sogna» (v. 8) / «passa l’età sua tranquilla» (v. 31). 6. La sintassi è semplice, i periodi non superano mai la lunghezza della quartina e frequente è la coordinazione con la congiunzione «e»; prevale la paratassi. 7. Iperbati: «Te … non ama» (vv. 1-4), «il chiama dura avarizia» (vv. 2-3), «l’alma ambiziosa rode fulgida cura» (vv. 5-6), «la molto … temuta frode» (v. 7), «donna … procace» (vv. 11-12), «chi … gusta od imita» (vv. 13-14); anastrofi (inversioni): «torbido sogna» (v. 8), «ove … più Venere piace» (v. 10), «onde ingenuo piacer sgorga» (v. 15), «umana vita» (v. 16). 8. «mercadante» (v. 1), «alma» (v. 5), «fulgida» (v. 6), «agogna» (v. 6), «tauro» (v. 9), «avito censo» (v. 19), «s’invola» (v. 22), «influssi blandi» (v. 23), «desco» (v. 26), «fea» (v. 38), «pasce» (v. 44), «vago crine» (v. 49), «speme » (v. 55), «forme infanti» (v. 58), «nodria» (v. 74), «tosto» (v. 91), «ascoso» (v. 91). Interpretazioni critiche La delusione storica di Parini (Giuseppe Petronio) 1. Contribuiscono a tale ripiegamento più fattori: la cultura milanese che diventa sempre più scientifica e tecnica; gli eventi storici dello stato 15 lombardo che lo allontanano da un moderato illuminismo; l’isolamento dei singoli intellettuali. 2. Vengono meno l’ardore polemico e l’indignazione morale e civile. Alla satira sociale si sostituisce la satira di costume e Parini ritrae il «vivere raffinato e galante» (r. 27) dell’alta società solo con una blanda ironia. 3. a) Nelle odi precedenti l’utile indicava un’educazione dei propri concittadini per migliorare quella determinata società; nelle nuove odi invece l’utile si riferisce a un’educazione «valida per tutti gli uomini» (r. 39) di qualsiasi epoca storica, che miri a superare i vizi o a coltivare le virtù dell’uomo in generale. b) Nelle odi precedenti Parini si rivolgeva a tutti i propri concittadini, nelle nuove a «uno stuolo “numerato e casto” di spiriti congeniali» (r. 43) che si scostano dal «“vile volgo maligno”» (r. 44). c) La morale delle nuove odi diventa «aristocratica e schiva» (r. 45), riguarda soltanto «pochi simili a sé» (r. 46). VITTORIO ALFIERI T1 Vivere e morire sotto la tirannide 1. Alfieri si rivolge agli uomini che sono degni di trovarsi in un governo libero ma che, colpiti da sorte ingiusta, si trovano in un regime tirannico; ad essi vuole dare consigli su come si possa mantenere una certa dignità di uomo pur sotto una tirannide. 2. Stare lontano dal tiranno, da quelli che lo appoggiano, dagli onori e cariche che egli assegna, dalle sue corruzioni, dai luoghi che frequenta. 3. Ha la possibilità «del pensare, del dire e dello scrivere» (r. 28). 4. «turpissimi armenti» (rr. 2-3): paragona gli uomini che vivono sotto la tirannide a degli animali vergognosi, definendoli quindi indegni del nome stesso di uomini; «satelliti» (r. 15): la metafora indica coloro che attorniano e spalleggiano il tiranno, che gli girano intorno come i satelliti fanno con i pianeti; «la nobile fiamma di gloria» (rr. 25-26): il desiderio di gloria e onore viene paragonato a una fiamma, un fuoco. 5. rr. 26-27, 34, 55, 58, 61. La gloria si collega al concetto di lotta contro il tiranno e la tirannide; è il risultato di uno sforzo che, in quanto sproporzionato alle possibilità di riuscita, risulta eroico, anche se destinato a fallire. È motivo di gloria sfidare il tiranno con scritti critici, ma soprattutto morire da libero, nella difesa della patria e della libertà, per non scendere a patti con il tiranno. T2 Libertà dell’intellettuale e condizionamento economico 1. Alfieri invita gli scrittori poveri a «migliorare la sorte» (rr. 13-14) con qualsiasi mezzo, per poter far uso del loro ingegno in modo indipendente; altrimenti meglio che smettano di scrivere. 2. Alfieri, per argomentare la sua tesi (della libertà intellettuale dell’uomo di lettere), ricorda che nella società dell’antica Grecia solo gli uomini davvero liberi potevano dedicarsi alle arti. 3. I lettori devono riscontrare utilità nelle opere, ottenere conoscenze («lumi», r. 22), essere “dilettati” dagli scritti e “infiammati” di «amore di vera virtù, e di nobile gara in ben fare» (rr. 22-23). 4. L’anastrofe genera una disposizione chiastica degli elementi («ingegno»-«ricchezza» / «ricchezza»-«ingegno»); «non-uomini» definisce una precisa categoria di uomini (lettori e scrittori) in tono spregiativo. È evidente che l’espressione, in sé una litote (nel momento in cui a «uomini» si conferisce un’esplicita valenza aggettivale), è fortemente connotata da ironia. Queste riprese retoriche sono indicative di un’attenzione stilistica, tutta alfieriana, che apre all’uso sarcastico della parola. 5. La presenza è significativa: «grandissimi (ingegni)» (r. 11), «il più nobile, … il più elevato, il più sacro» (r. 21), «grandissimi scrittori» (r. 30), «ottimi scrittori» (r. 40), «pochissimi uomini» (r. 51), «severissimo loro dovere» (r. 54). L’uso di tali aggettivi sottolinea la grande importanza che per Alfieri riveste il tema dell’indipendenza dell’intellettuale. 7. Riga Vocabolo Sinonimi 6 apologia difesa, elogio 7 ingegno intelligenza 10 meschino vile 28 schietta pura 34 riguardi attenzioni, soggezioni 35 diletto piacere, appagamento 52 scapito danno 8. a) finale; b) condizionale esplicita; c) causale; d) relativa; e) condizionale implicita; f) oggettiva esplicita. 16 T3 I conflitti interiori di Saul 1. Ha perso il favore di Dio, che è anche colui che assiste in battaglia. 2. Non ride da molti anni; è feroce, impaziente, facile all’ira, incapace di mostrare affetto verso i suoi cari; non è gradito nemmeno a se stesso; ha un carattere conflittuale e vive eternamente nel sospetto di essere tradito e ucciso; dorme poco e spesso ha incubi. 3. Samuele gli era apparso in sogno, venerabile e radioso, ad assegnargli il trono di Israele; ora lo rivede raggiante in cima a una cupa e orribile valle in cui Saul percepisce di trovarsi. Ai suoi piedi si inginocchia David, che viene consacrato re di Israele. 4. Abner rassicura Saul dicendogli che egli è diventato re per volere del popolo che ha scelto lui, re guerriero, attirandosi in questo modo l’ira del profeta Samuele. 5. Saul chiede ad Abner di condurre in salvo Micol. 6. Non ci sono rime. Il ritmo è spezzato, sono frequenti gli enjambements perché le frasi di senso compiuto non coincidono con il verso. I periodi sono perlopiù brevi, si compongono in media di 1-2 proposizioni che, nel complesso, non sono molto estese. 7. Il verso, come di consueto nella scrittura alfieriana, è spezzato da forti pause sintattiche (rese più evidente dai trattini e dai punti di sospensione) e da pesanti enjambements (vv. 221-222, 222-223, 223-224). Laconico il v. 216, dove le parole «Fui padre» sono enfatizzate dalla posizione metrica; ciò accade per tutte le altre, peraltro particolarmente pregnanti, che cadono in corrispondenza della pausa metrica fra i due emistichi («Dio», «brando», «vieni», «vincitor»). Sul piano fonico il verso è insistentemente allitterante; di particolare rilievo la persistenza del suono /r/, soprattutto ai vv. 220, 223 e 225. T4 Il segreto di Mirra 1. Perèo si uccide con la propria spada perché non è amato da Mirra. Mirra è affranta alla notizia della morte di Perèo e si dichiara «degna … di morte» (vv. 76-77). 2. Mirra è tradita da ogni suo minimo atto: parla in modo rotto, impallidisce e arrossisce; sospira, ha lo sguardo tremante, si confonde e vergogna spesso. 3. Lo stile è rapido e conciso, ad esempio nelle battute di Mirra le frasi sono spezzate e lasciate in sospeso con un ampio ricorso ai puntini di sospensione; si notino poi, ad esempio, i vv. 57-58 in cui il discorso di Ciniro è spezzato da ben cinque punti interrogativi o i vv. 89-94 dove i numerosi punti e virgola e le congiunzioni «e» contribuiscono a rendere concitato il discorso. Lo stile inoltre è aspro e antimusicale: frequenti sono gli enjambements (ad esempio ai vv. 38-39, 41-42, 43-44, 44-45, 53-54), le parole monosillabiche (ad esempio nel v. 97 si hanno quasi in sequenza «Io», «Deh» e «nol»), le inversioni ardite (ad esempio «creduto io mai, no, non l’avrei», v. 38; «convinto / me n’hai», vv. 38-39). 4. Sono presenti reticenze ai vv. 97, 140-142, 166-167; esse servono a Mirra a non rivelare apertamente l’oggetto del suo amore e fanno sì che Ciniro scopra poco alla volta la verità che la figlia cerca di nascondere. 5. «lo impallidire, e l’arrossire» (v. 90), «il consumarsi a lento fuoco il tuo corpo» (vv. 91-92), «oscura fiamma» (v. 100), «turbamento» (v. 108), «tremor» (v. 109), «fiamma» (vv. 118, 164, 167). Interpretazioni critiche Il teatro alfieriano, esperienza anomala nella cultura del Settecento (Vitilio Masiello) 1. Il confronto è con la tragedia classica francese settecentesca, in particolare con Crébillon e Voltaire. 2. Alfieri proietta vicende storiche in una chiave mitica, dando loro una dimensione e un valore atemporali e assoluti. 3. «dismisura» è composto dal termine “misura” e dal prefisso “dis-” che esprime il significato di negazione; significa quindi “mancanza di misura”, “eccesso”, “smoderatezza”. T5 Odio antitirannico e fascino del paesaggio nordico 1. Egli giudica aspramente ogni forma di governo assolutistico, anche quello “illuminato”. Alfieri è impietoso nei confronti di Federico II (re di Prussia) e Caterina II (imperatrice di Russia). 2. Il poeta, affascinato dal viaggio e dallo spettacolo della natura, esclude il sentimento amoroso. 3. Alfieri disprezza gli autori italiani, per lui troppo asserviti e dipendenti dal potere, e considera il gruppo di letterati di libri classici «una fastidiosa brigata di pedanti» (r. 11). 4. rr. 45-56: «mi trasportavano», «spettacolo veramente bizzarro, e che mi sarebbe riuscito poetico se avessi saputo far versi», «incalzato dalla smania dell’andare». I sentimenti non hanno una connotazione negativa. T6 «Bollore» fantastico e disciplina formale 1. Alfieri ricorda la prima volta che assistette a uno spettacolo musicale presso il Teatro Carignano. La «divina musica» (rr. 2-3) gli fece una «profondissima impressione» (r. 3) e gli suscitò una «malinconia straordinaria ma non dispiacevole» (rr. 5-6) che agitava l’insofferenza per gli studi pedanti e un rinnovato desiderio creativo. 2. L’io narrante fornisce di sé un’immagine realistica: cita con precisione il momento e il luogo dove si reca per la prima volta a sentire «opere buffe» (rr. 1-2), riporta fedelmente le impressioni che ha suscitato questo ascolto (rr. 2-9), fa riferimento a ricordi personali (rr. 12-17). 3. «profondissima impressione» (r. 3), «un solco di armonia negli orecchi e nella imaginativa» (rr. 3-4), «malinconia straordinaria ma non dispiacevole» (rr. 5-6), «svogliatezza e nausea per quei miei soliti studi» (rr. 6-7), «singolarissimo bollore d’idee fantastiche» (r. 7), «vivissimi affetti» (r. 8), «più affetti, e più vari, e terribili» (r. 17). 4. La proposizione principale («ritrovo», r. 14) è anticipata da una temporale («andandomi ricordando», r. 12) seguita da una relativa subordinata di secondo grado («ch’io aveva sentite», r. 13), da una coordinata alla temporale («e paragonandone», r. 13) che regge a sua volta una relativa 17 rondine, il gallo…), la quiete che regna, il corno dei cacciatori. Seguono le sensazioni visive nella descrizione del paesaggio: il giorno che muore, la luce fioca, le tenebre, l’ombra dei tassi. Si ravvisano alcune notazioni di sensazioni tattili (la ruvida scorza, i tumuli polverosi) e una sensazione olfattiva (il profumo della brezza mattutina). Nessun riferimento al gusto. 4. Il «Sapere» è come un volume che contiene il ricordo dei fatti che costituiscono la storia dell’umanità. 5. Gli «annali dei poveri» sono le vicende dell’umanità povera e semplice, avvolta nell’oscurità del tempo che passa; si tratta di una metafora che si pone in antitesi al «Sapere» dei grandi. 7. «Possono un’urna istoriata … che fugge? Può la voce … silenziosa? o la lusinga … della morte?» (v. 41 ss.); «Chi mai … ha rinunziato … sguardo di brama e di rimpianto?» (v. 85 ss.). T5 JAMES MACPHERSON Daura e Arindal 1. Blocco narrativo (versi) Riassunto vv. 269- 279 La voce narrante, rivolgendo una invocazione agli elementi della natura, chiede loro di ricordare la notte in cui morirono i suoi figli vv. 280- 286 Daura e Arindallo vv. 287- 313 L’inganno crudele di Erasto vv. 314- 352 La ferita mortale di Arindallo, l’annegamento di Armino e quindi la morte di dolore di Daura vv. 353- 361 La voce narrante (il padre) rivede gli spettri dei figli quando passa dallo scoglio sferzato dal vento del nord 2. In tutto il passo si avverte la presenza della natura che ha in sé una forza primigenia attraverso la quale dispensa la vita e la morte. La natura è alla base di una religiosità, per così dire, animista, come si nota in particolare in apertura e in chiusura, nell’invocazione del padre agli elementi della natura; ricorrono espressioni come «il figlio della rupe» (v. 305) per indicare l’eco, la voce sempre più flebile di Daura è paragonata alla «del monte la notturna auretta» «tra l’erbe» (vv. 347-348). Ci sono elementi di fantasia e magia, come nella trasformazione di Erasto in «figlio dell’onda» (v. 294) o nella presenza degli spettri dei figli nel finale. 3. Allitterazioni: della /m/ e della /n/ ai vv. 276-277, al v. 285, ai vv. 305-307; della /t/ ai vv. 347-348; paronomasia: «memoria amara» al v. 276; assonanze: «frettoloso … rozzo» (v. 315); consonanze: «bella, bella … colle» (vv. 280-281); «amor … sul mare» (v. 303). Ci sono termini fonosimbolici come «muggi» (v. 272), «ghigno» (v. 310), «aita» (v. 313, 341). 4. La voce narrante presenta uno stile veemente, accorato, fa ricorso frequentemente ai vocativi per rivolgersi ora ai figli ora agli elementi della natura. 6. Apostrofi (con anafora): «O Daura», «o figlia»; epanalessi: «bella, bella»; similitudine: «come la luna … Fura»; antonomasia: «di Fura»; analogia: «bianca di neve»; iperbato: «più che auretta dolce». Ricorre il termine «bella» e al campo semantico della bellezza e del candore si riferisce prevalentemente il lessico usato nella descrizione di Daura. Proprio il termine «bella» (nelle varianti bel, begli…) ricorre nella poesia petrarchesca (ad esempio in Chiare, fresche e dolci acque) e così il termine «auretta» diminutivo- vezzeggiativo di “aura”. T6 VINCENZO MONTI Al signor di Montgolfier 1. a) L’impresa dei Montgolfier richiede cantori al pari di Orfeo, che celebrò le imprese degli Argonauti guidati da Giasone. b) La scoperta dell’idrogeno, grazie al progredire della scienza, per riempire il pallone aerostatico ha consentito l’impresa dei Montgolfier. c) L’esaltazione delle potenzialità della scienza porta il poeta a immaginare un giorno l’uomo immortale, che beve con Giove il nettare degli dei. 2. La scienza chimica è vista come un’attività di indagine volta a scrutare gli elementi della natura che inutilmente cercano di opporvisi. 3. Iperboli: «Tace la terra … le vie deserte» (vv. 73-74); «i cardini / fa vacillare del mondo» (vv. 59-60); «mille volti … mille bocche» (vv. 75-76); «l’Olimpo e l’infinito» (v. 124). Le iperboli accentuano il senso del prodigio, dell’eccezionalità delle scoperte scientifiche. 4. «l’aereo tuo tragitto» (v. 24): il volo di Montgolfier; «de’ fulmini / l’inviolato impero?» (vv. 27-28): il cielo; «volator naviglio» (v. 36): la mongolfiera; «potenza chimica» (v. 39): la scienza chimica; «Mirabil arte» (v. 41): la chimica; «l’acre sguardo» (v. 46): l’osservazione acuta; «gl’indocili elementi» (v. 48): la materia sconosciuta; «furor» (v. 52): il dibattito scientifico furibondo; «Sofia» (v. 53): la scienza; «L’igneo terribil aere» (v. 57): l’idrogeno; «marzii corpi» (v. 62): i minerali del ferro; «domator» (v. 64): lo scienziato; «pondo» (v. 65): la gravità; «delle tempeste 20 il regno» (v. 84): il cielo; «etra» (v. 85): il cielo; «Rapisti … folgori» (v. 117): il parafulmine; «Olimpo» (v. 124): il cielo; «vergini fiammelle» (v. 128): la luce delle stelle mai vista prima da occhio umano; «i rai dividere» (v. 129): lo spettrometro; «pesar quest’aria» (v. 130): il barometro UGO FOSCOLO T1 «Il sacrificio della patria nostra è consumato» 1. L’amico vorrebbe che si affidasse a Napoleone per scampare agli Austriaci. Gli affida il compito di consolare la madre. 2. Perché in quel luogo si sente più sicuro. 3. Il narratore e il protagonista coincidono, le vicende descritte sono personali e così i sentimenti; l’autore si rivolge nella lettera all’amico Lorenzo Alderani che non risponde; lo stile è segnato da enfasi retorica con molte interrogative retoriche. 4. Sacrificio: «consumato», «piangere», «salvarmi», «opprime», «commetta». Dolore-morte: «Consola», «lagrime», «sventurati», «sangue», «prigione», «morte», «cadavere», «compianto», «miserie», «ossa». Risorgimento: «patria», «sciagure», «infamia», «lista di proscrizione», «tradito», «persecuzioni», «sciagurato paese», «braccia straniere», «terra», «padri». T2 Il colloquio con Parini: la delusione storica 1. Alle rr. 2-6 compare la descrizione fisica di Parini: venerando, dignitoso, anche se infermo (Ortis si sofferma sui piedi deformi), malfermo sulle gambe. Dopo un silenzio iniziale, il dialogo tra i due si concentra sul tema politico e morale. Il vecchio poeta è disilluso, ha lo sguardo fisso e il sorriso mesto, si sente costretto a protrarre la propria esistenza in un’epoca senza via d’uscita. 2. Il poeta si scaglia contro le antiche e nuove tirannidi (a Milano gli Austriaci), contro la mediocrità dell’epoca in cui vive, la mancanza di eroismo e amor figliale, le «lettere prostituite» (r. 9). 3. Parini è animato dal desiderio di una condotta morale coraggiosa, ferma nelle idee di giustizia e libertà ed eroica; questo comportamento virtuoso del vecchio Parini è condiviso da Jacopo. 4. Machiavelli; in relazione a: fortuna, giudizio negativo del volgo. 5. «si dolesse», «pazienza», «fremeva», «passioni languenti e degenerate», «indolente», «io m’infiammava», «furore» (due occorrenze), «minaccevole», «fremito», «ardore», «passioni» (due occorrenze), «disperazione», «pianto» (due occorrenze), «sospirò», «diruparmi», «implorerebbe», «ansiosi», «fiamma vitale … anima», «speranza», «sorrise mestamente», «infiochiva», «gemiti», «bollente di cuore», «fazioso», «secreto sospiro», «spargerai … sangue», «arderai», «terrore», «spegnerai», «amori», «libidine», «possanza», «tremore», «ardire feroce», «speri … temi», «si raddolciva», «speranze». T3 La lettera da Ventimiglia: la storia e la natura 1. Sequenza Titolo I (rr. 1-11) Il paesaggio naturale II (rr. 12-25) L’Italia coeva sotto il dominio straniero, a dispetto delle antiche glorie III (rr. 25-52) Corsi e ricorsi della storia IV (rr. 53- Virtù e giustizia V (rr. 70-80) La virtù risiede solo in patria, nella compassione VI (rr. 81- Natura crudele VII (rr. 86- 96) Morte in patria, confortata dalla propria terra e dalle persone care 2. Similitudine: «come i vermi e gl’insetti»; metafora: «la soma delle sue infermità»; personificazione: «Natura»; ripetizione: «funesto … funesto»; antitesi: «vita» - «ragione»; ossimoro: «dono … funesto». Danno risalto alla visione di una natura ostile all’uomo. 3. Conferiscono tragicità e solennità al testo le numerose interrogative retoriche, i vocativi destinati a diversi interlocutori, le interiezioni, le scelte retoriche della metonimia («braccio», «voce», «ferri», «ceneri», «sangue», «terre», «cadavere» ...), della metafora («vestito di tristezza», 21 «foresta di belve», «la soma delle sue infermità» …), e dell’ipallage («aspri e lividi macigni», «ignude memorie», «antico letargo» …). Molti i latinismi e i termini dotti: ad esempio «avarizia», «cagione», «rapivano», «invola», «volghi», «are domestiche». T4 Il problema di una classe dirigente in Italia 1. Il clero, «preti e frati; non già sacerdoti» (rr. 2-3), pensa solo al guadagno; i «titolati» sono ignoranti, non propriamente «patrizi» (r. 5) con una funzione politica e militare sul territorio; i borghesi non sono «cittadini» in senso proprio, sono solo più liberi della «plebe» (r. 7). 2. In Italia la borghesia dovrebbe diventare una classe di proprietari, attraverso una rivoluzione pacifica, dopo la tragica esperienza della Rivoluzione francese. 3. I sacerdoti devono riportare la religione al di fuori degli interessi di «bottega» (r. 4). 4. Nella prima parte del brano si nota la ripetizione (epanalessi) dell’avverbio «non» con funzione perlopiù avversativa, altrimenti coordinante, come in «il non fare e il non sapere» (rr. 6-7); alla r. 5 si può considerare anadiplosi «patrizi: da che i patrizi»), alla r. 11 «non è se non»: le due negazioni affermano; «meno» alla r. 12 ripetuto in parallelismo. Nella seconda parte si nota la ripetizione (anadiplosi) prima della preposizione «senza» e poi della negazione «né», a ribadire il rifiuto di metodi cruenti. Si nota anche l’uso ripetuto di «senza» in chiasmo in «terra senza abitatori … popolo senza terra» (r. 12). 5. Il congiuntivo presente con valore esortativo. T5 La sepoltura lacrimata 1. Ortis immagina di passeggiare lungo quei viottoli alberati ormai anziano, e di trovare conforto nei tiepidi raggi del sole. Racconterà la sua giovinezza ormai lontana ai suoi nipotini, godendo dei frutti che allora avranno donato gli alberi piantati da suo padre. E quando sarà morto forse qualcuno verserà una lacrima al suo ricordo. 2. Entrambi affrontano il tema della sopravvivenza del ricordo nelle generazioni future e del legame tra gli esseri umani che va oltre la morte. 3. Il passo si può considerare esemplare del genere epistolare in quanto i sentimenti descritti riguardano la sfera soggettiva del narratore che è anche il protagonista, il tutto espresso nella forma di un racconto destinato a essere letto dall’amico che viene citato, nelle fantasie di morte del poeta, alla r. 44, nell’atto di visitarne la tomba in compagnia della madre. Com’è proprio del genere non mancano esternazioni ricche di pathos come nel finale del secondo passo in cui Jacopo immagina che Lorenzo, di fronte a chi compirà atti sacrileghi sulla sua tomba per indagarne le passioni, lo definirà « uomo, e infelice». 4. «compianto», «aurora della vita», «invano», «rapito», «sventure», «sepoltura», «bagnata dalle tue lagrime», «eterna obblivione», «vide per l’ultima volta», «salutò», «abbandonò», «desiderio», «sospiro», «occhi morenti», «stilla di pianto», «recente cadavere», «l’ultimo nostro respiro», «Geme», «gemito», «il silenzio e l’oscurità della morte», «spegnendo», «tenebre», «raggi languidi», «opacità del mondo malinconico e taciturno», «Distruzione divoratrice», «pietra della mia fossa». Si contrappone l’idea del ricordo che, in futuro, scalderà i cuori di coloro che gli sopravvivranno e penseranno a lui con affetto. È questa l’unica forza consolatoria. Poliptoto: «mia … mie … mie … mia» e «suoi … sue … suoi …suoi» e «nostri … nostro … nostro»: i pronomi personali accentuano la dimensione individualistica del protagonista (nelle prime persone singolari e plurali); epanalessi di «dalle tue lagrime, dalle lagrime»; antitesi tra «aurora della mia vita» (metafora) e «resto della mia età»; domande retoriche coordinate per asindeto con epanalessi di «chi»: «chi mai cede ... chi mai vide ... chi salutò ... chi abbandonò?»: il poeta indaga sul senso della morte e sull’accettazione che ne abbiamo; personificazione della Natura e inversione soggetto e verbo con «Geme» in prima posizione, che costituisce una figura etimologica con «gemito»; latinismo «stilla di pianto»; «pietra della mia fossa» e «ceneri»: metonimie per “lapide” e per “cadavere”, sono temi centrali nella poetica di Foscolo; «rattristarsi dolcemente»: ossimoro; «se qualcuno metterà le mani nella mia sepoltura ... i miei delitti»: metafora che significa il desiderio di indagare sulla vita e le passioni di Jacopo. 5. L’immagine di una società contadina arcaica, che si affida a vecchie credenze assai ingenue e consolatorie, rappresenta evidentemente una visione idealizzata della realtà rurale: le comparse di questo quadretto sono gioiose, cantano vestite a festa, il lavoro dei campi appare un piacere e il poeta è perso nelle sue fantasie. T6 Illusioni e mondo classico 1. Il bacio di Teresa lo innalza al di sopra del piano umano, al piano divino. 2. Alla fine della lettera Jacopo ammette che, se crollassero le «Illusioni» (r. 27), potrebbe anche arrivare a strapparsi il cuore dal petto. 3. La natura è descritta in particolare alle rr. 17-23. È descritta in termini astratti, idealizzati, con elementi mitologici come le Ninfe e le Naiadi, le Muse e Amore. 4. Nel testo si trovano le personificazioni della «Beltà» (r. 6), riprodotta nella fantasia del poeta, della «Pietà» (r. 11), sentimento che può esistere solo in presenza di Amore; nella pienezza della Natura, la Terra è lo scenario della Pietà, l’unica in grado di liberare il Mondo dagli istinti peggiori dell’uomo. Nella Natura insieme alle muse e alle ninfe, compare Amore. Segue il riferimento alle illusioni degli antichi che sacrificano alla Bellezza e alle Grazie. 5. a) Ossimoro e paronomasia. Tema del contrasto interiore e delle passioni. b) Allitterazione della /c/ nella prima parte dell’espressione, similitudine con ellissi del verbo (forma compendiaria). 6. «divino», «compassionevole», «sguardi», «lamentar degli augelli», «zefiri fra le frondi», «soavi», «fuggo», «bellezza e armonia», «Beltà», «terreno», «immaginazione». I termini contribuiscono a descrivere la bellezza eterea dello stato d’animo sognante dopo il bacio di Teresa. 7. Lo stile è piano, prevale la paratassi che esprime uno stato d’animo emozionato, ma sereno, sognante, nel susseguirsi di proposizioni coordinate. Non mancano le esclamazioni, le citazioni del «filosofo» (r. 23), le interrogative perlopiù retoriche, nello stile del genere epistolare. 9. «divino», «alte e ridenti», «gaio», «compassionevole», «soavi». T7 All’amica risanata 22 Machiavelli vv. 155- 158 Insegnando l’arte di governare nel Principe, ne rivela i limiti Michelangelo vv. 159- 160 Realizza la cupola di san Pietro Galileo vv. 160- Teorizza l’eliocentrismo Dante vv. 173- Scrive la Commedia Petrarca vv. 176- 179 Nella sua opera poetica canta l’amore casto e spirituale 7. Il poeta Omero, cantore dei valori della classicità e di una cultura lontana che immortala attraverso la sua poesia, tramanda anche la memoria dei vinti: il troiano Ettore, magnanimo e giusto, forte e perdente, assurge a simbolo dell’umanità sofferente e, forse, si fa carico di rimandi autobiografici dello stesso Foscolo. 8. Perché è un endecasillabo molto duttile, piegato a tutti i toni, attraverso il ritmo degli accenti, gli enjambements, le pause interne e la ricerca di effetti fonico-timbrici. 9. La prima parte del poema presenta maggiormente i caratteri dello stile epistolare per l’enfasi con cui vengono sviluppati gli argomenti, organizzati in un modo che pare più impulsivo e meno meditato che nel resto del poema, più vicino al saggio argomentativo. La prima parte si avverte propriamente come una risposta al dibattito tra Ippolito Pindemonte e Ugo Foscolo sul valore delle tombe, soprattutto qui si concentrano le numerose interrogative dirette retoriche rivolte a lui e anche un vocativo che rimanda al destinatario dell’intero poema (al v.16 e, più avanti, ai vv. 152 e 213- 214). La presenza costante di un destinatario è anche tipica del genere epistolare. 10. Pindemonte è il destinatario a cui Foscolo si rivolge chiamandolo per nome o con perifrasi in forma di apostrofe: ai vv. 8, 16, 152, 213-214, a lui sono indirizzate le quattro domande retoriche iniziali (vv. 1-29); tre apostrofi sono alla musa (o dea) ai vv. 62, 68, 87; alla «Dea» è rivolta la domanda retorica ai vv. 70-72; a Firenze al v. 173; alle palme e ai cipressi, nel discorso di Cassandra al v. 272; a Ettore al v. 292. Interpretazioni critiche La novità dei Sepolcri (Marco Cerruti) 1. Per il gusto per il “sublime” che il romanzo mostra. 2. Foscolo, nel periodo di poco successivo al Concordato napoleonico, esalta i valori patrii tradizionali italiani, critica la situazione sociale e culturale di città come Milano e soprattutto la Francia napoleonica (il «reggitore») e inoltre esalta Alfieri e gli intellettuali italiani da Dante a Galilei a Parini. 3. La memoria di una condotta onesta e valorosa, anche in caso di sconfitta, sarà per i posteri comunque un esempio che la poesia deve immortalare. 4. Il passo di riferimento (v. 201 ss.) mostra un gusto preromantico incontrato nei Canti di Ossian: come il vecchio padre vede gli scheletri dei figli passando presso lo scoglio in cui si consuma la loro morte, così il viandante che costeggi Maratona assiste, grazie al ricordo poetico, alla rievocazione della famosa battaglia. La voce del Novecento La funzione del sepolcro per Lee Masters e Foscolo: visione eroica e visione antieroica 1. I sepolti, «l’abulico, l’atletico, il buffone, l’ubriacone, il rissoso … la tenera, la semplice, la vociona, l’orgogliosa, la felice … figlioli morti e figlie infrante dalla vita, e i loro bimbi orfani … vecchio suonatore», sono quasi tutti accomunati da un destino di morte violenta. 2. Ci sono riferimenti alla rivoluzione americana, alla guerra di secessione e a Lincoln. 3-4. Nel testo ritorna, alla fine di ogni strofa, tranne l’ultima, la doppia anadiplosi di «tutti, tutti» (o «tutte, tutte») e «dormono, dormono», che sottolineano il destino di morte comune dei sepolti. A strofe alterne si nota il ricorrere dell’avverbio interrogativo «dove» che trova risposta a fine verso nell’espressione, ripetuta, «sulla collina»; nella seconda e nella quarta strofa l’anafora di «uno» e «una» scandisce la descrizione della vita di ciascun individuo. T13 Il velo delle Grazie 1. Sequenza Sintesi vv. 153-158 Erato indica a Flora, come figura del ricamo da porre al centro del velo, la Giovinezza danzante piena di speranza, mentre il tempo fugge e la vita non può essere rivissuta vv. 159-163 La descrizione delle corolle di fiori vv. 164-171 Su un lato, un notturno con Espero, due 25 tortorelle e un usignolo che canta inni nuziali vv. 172- 178 L’alloro e i sogni del mattino che fanno vedere al soldato i volti dei genitori vv. 179-186 Il banchetto per gli ospiti e gli esuli e, in disparte, il Silenzio vv. 187-193 Nel bordo estremo su fondo azzurro una donna nella notte veglia sul figlio temendo che i primi vagiti siano presagio di morte vv. 194-196 Considerazione sull’infelicità della vita e sulla morte come liberazione dal dolore 2. Le sezioni sono contraddistinte dai colori di fondo dei fili che vengono utilizzati per il ricamo. 3. Si nota l’antitesi tra il coro delle speranze della Giovinezza e il suono del Tempo, e così tra la Giovinezza, ormai canuta e non più degna del suo nome, e i fiori che continueranno a spuntare e a profumare. 4. Parallelismi: vv. 169-170 «mira(le) occulto», «ascolta / silenzïoso»; vv. 183-184 «libera … gioia», «ilare … biasmo», «candida … lode»; chiasmi: vv. 174-176 «a le pupille / sopite» (+ spec.), «miseri i volti» (+ spec.); vv. 195-196. 5. Le sequenze sono introdotte dal vocativo indirizzato a Flora, con l’anafora «Mesci» (ai vv. 153, 164, 172, 179, 187). T14 Il proprio ritratto 1. Possiedo la fronte rugosa, occhi scavati e attenti, capelli rossi, guance smunte, aspetto fiero; le labbra sono carnose e donano alla mia espressione un’aria seria e intelligente; il capo è inclinato, il collo bello, il petto villoso; le membra sono ben proporzionate. Vesto in modo semplice e distinto; il mio modo di camminare, pensare, agire, parlare è veloce; sono generoso, evito gli eccessi, sono scontroso e sincero; il mondo e gli avvenimenti mi sono contrari. La maggior parte dei giorni mi ritrovo triste e solo; non credo alle speranze né alle paure; la vergogna mi rende vile, l’ira valoroso. La ragione mi induce ad essere cauto ma il mio cuore è in preda al delirio, colmo di vizi e di virtù. La morte mi darà la fama e il riposo. 2. Nella prima quartina dà di sé un ritratto fisico mentre nella seconda descrive i suoi comportamenti; nelle terzine descrive i suoi atteggiamenti nei confronti degli eventi e della vita. 3. Anastrofe v. 1. Ricorre anche in altri casi: «emunte guance, ardito aspetto», v. 2; «bel collo, irsuto petto», v. 4. Il poeta in questo modo vuole dare rilievo alle parole anticipate, in questo caso aggettivi che si riferiscono alla sua caratterizzazione fisica. 4. A partire dal v. 8 «avverso al mondo, avversi a me gli eventi», dove si delinea il conflitto tra l’eroe ed il contesto storico e la sventura a cui è destinato. 5. Il contrasto è tra ragione ed istinto, il poeta sente la presenza della ragione, ma si comporta seguendo l’istinto e le passioni. 6. Nella sua visione materialistica dell’esistenza, la fama è l’unico modo per sopravvivere alla morte. Questo quanto emerge dai sonetti. 7. Parallelismo. 8. Chiasmo. 9. Il verbo «delira» è inserito al fondo del verso, nell’ordine consueto andrebbe posto all’inizio. L’ETÀ DEL ROMANTICISMO IL ROMANTICISMO IN EUROPA E NEGLI STATI UNITI T1 AUGUST WILHELM SCHLEGEL La «melancolia» romantica e l’ansia d’assoluto 1. Caratteristiche dei classici Caratteristiche dei moderni La natura umana basta a se stessa: perfezione L’umanità ha perso il suo posto: «melancolia» Religione sensuale, materiale Tutto ciò che è finito è nulla: cristianesimo Immortalità fittizia Impossibilità del piacere 26 Godimento Desiderio Presente Passato e futuro Tragedia terribile ed energica Varietà di toni della poesia romantica Sensualità Spiritualità Armonia di sensi e anima Disarmonia, dualità del romantico: «anima alle sensazioni, corpo al pensiero» Modelli ben definiti Imperfezione anche nelle opere “sublimi” 2. La «melancolia» è il sentimento di deprivazione che l’uomo moderno vive, egli si sente come un esule che è stato allontanato dal suo paradiso perduto, ovvero dalla condizione di originaria felicità (influenza del cristianesimo). 3. Schlegel fornisce un’interpretazione dello spirito moderno che parte dalla considerazione che il cristianesimo ha svalutato la dimensione terrena dell’esistenza umana e della società degli uomini a favore di una ricerca spirituale, continua, di unità in Dio. Tale ricerca rende l’uomo simile a un esule, da cui le considerazioni sul senso della patria (rr. 28-33). 4. Similitudine. Schlegel paragona la “cattività babilonese” alla ricerca di Dio da parte dell’anima dell’uomo. 5. «Melancolia» (più occorrenze), «sensuale», «immortalità», «contemplazione», «presentimenti», «anime sensitive», «cuore», «piacere», «illusione», «sospira», «godimento», «desiderio», «ricordanza», «presentimento», «tristezza», «gioia», «sentimento/i», «impressioni», «percezioni». T2 WILLIAM WORDSWORTH La poesia, gli umili, il quotidiano 1. L’ambiente rurale è più adatto a far emergere le passioni del cuore; qui i sentimenti risultano più puri e intensi; le attività rurali semplici, quotidiane fanno emergere tali sentimenti; i sentimenti dell’uomo si possono unire alle espressioni della natura. 2. Nella natura si vive tra «minori costrizioni», il linguaggio è «semplice ed enfatico» (rr. 6-7), lo stato è di «maggiore semplicità», insomma, secondo l’autore, «in questa condizione i nostri sentimenti elementari esistono in uno stato di maggiore semplicità e di conseguenza possono essere contemplati più accuratamente e comunicati con più forza» (rr. 8-10): è la tesi di fondo della bontà del “primitivo” di Rousseau e del Romanticismo in genere. 3. Il linguaggio degli umili è reale, spontaneo, non frutto di elaborazioni letterarie e filosofiche di ambito accademico. T3 VICTOR HUGO Il «grottesco» come tratto distintivo dell’arte moderna 1. Il cristianesimo considera come oggetto anche il «brutto», il «deforme», il «grottesco» che nella realtà convivono accanto al «bello» e al «sublime» (rr. 11-12). 2. Nelle tradizioni medievali sono presenti tutti gli elementi anticlassici che Hugo vuole riscoprire. 3. Alle rr. 21-25 e nella parte finale del brano (rr. 45-49). 4. Similitudini ed espressioni figurate sono, ad esempio, la «natura mutilata» (r. 14) perché privata dell’elemento grottesco, la «cosa ... privata dei suoi muscoli» (r. 16), la poesia compirà un passo in avanti che è come «lo scossone di un terremoto» (r. 21), «le cose si tengono per mano» (r. 25), il grottesco «semina ... nell’aria … miriadi di esseri» (rr. 37-38). Si notano poi metonimie come gli «Scaramuccia», gli «Arlecchini» (r. 45) e iperboli come Sganarello che sgambetta intorno a don Giovanni alla fine del brano. T4 NOVALIS Primo Inno alla Notte 1. La luce è all’origine del mondo, nelle sue differenti forme di vita. 2. Le stelle sono «sfere splendenti» (r. 27) disseminate per il cielo. 3. La notte è come una «tomba» (r. 12) intorno al mondo, ha un «manto» (r. 21), ha un «fascio di papaveri» (r. 22), ha il volto di una donna che si china su di lui, dischiude in noi «occhi» (r. 29) più scintillanti delle stelle, la notte per il poeta è quindi «vita» (r. 34) perché nella fusione tra la notte stessa e l’amata, egli ritrova se stesso. 4. Un ossimoro. T5 WOLFGANG GOETHE La scommessa col diavolo 1. Nella prima parte avviene lo scellerato patto tra Faust e Mefistofele: Faust vuole raggiungere una conoscenza totalizzante della natura che arrivi fino ai suoi segreti più reconditi. Dopo aver provato in ogni modo si affida al diavolo che gli appare nello studio: in cambio di anche solo un istante di soddisfazione (Augenblick) Faust gli cederà l’anima mortale. 27 T11 STENDHAL Compromesso e insofferenza: le contraddizioni di un giovane ambizioso 1. Sequenza Titolo rr. 1-16 L’incontro con il signor Valenod rr. 17-115 L’invito al pranzo dai Valenod rr. 116-134 Julien lascia casa Valenod per tornare dal signor de Renal 2. Quando Valenod vieta agli «straccioni» (r. 56) detenuti di cantare canzoni rozze e popolari. 3. Questo atteggiamento si nota all’inizio, quando Julien incontra Valenod e gli parla in modo affettato, evitando di palesare i veri sentimenti: «Giuliano raggiunse un tal grado di perfezione in quel genere di eloquenza che ha sostituito la rapidità d’azione dell’Impero, che finì con l’annoiarsi lui stesso del suono delle proprie parole» (rr. 14-16). Più avanti Julien prova disgusto per l’ostentazione di ricchezza a casa Valenod: «Tutto era nuovo e magnifico, e di ogni mobile gli dicevano il prezzo; ma Giuliano vi sentiva qualche cosa di ignobile, che sapeva di denaro rubato» (rr. 37-38); poi quando il padrone di casa vieta ai detenuti di cantare, Julien evita di prendere posizione contro Valenod: «Giuliano […] aveva i modi, ma non ancora il cuore del suo nuovo stato. Con tutta la sua ipocrisia tante volte esercitata, sentì una grossa lacrima scivolargli lungo la gota» (rr. 57-59); guardando gli squallidi invitati pensa: «la sudicia prosperità a cui giungerai, e non potrai goderne che a queste condizioni e in tale compagnia!» (rr. 64-65) e «Quale ignoranza dei primi principi della religione!» (r. 107). 4. Narratore: ad esempio rr. 1-5; rr. 13- 123. Julien: rr. 5- 13; 124-134. Prevale il narratore onnisciente, che racconta di avere anche una «meschina opinione» su Julien alle rr. 71-74, e lo accusa di essere un ipocrita «cospiratore in guanti gialli». 5. Valenod è descritto come «tutto quell’apparato da finanziere di provincia che si crede uomo col vento in poppa» (rr. 25-26). Julien pensa che sulla porzione di carne dei detenuti «si era forse grattato per procacciarsi tutto quel lusso» (r. 44), tanto che «gli fu assolutamente impossibile fare onore al vino del Reno» (rr. 60-61); inoltre, non ha ancora «il cuore» della sua nuova condizione; i cospiratori pretendono di cambiare l’intero Paese «senza rimproverarsi la minima sgraffiatura» (rr. 73-74); tutti si alzano «facendo uno strappo al proprio decoro» (r. 104). T12 HONORÉ DE BALZAC La mercificazione della letteratura 1. Lucien Chardon arriva a Parigi dalla provincia, è un giovane ambizioso e talentuoso, ma ancora animato da sani princìpi e autentica passione letteraria. Una sera entra nel mondo del giornalismo e dell’editoria grazie all’invito dell’amico Etienne, con cui si reca a teatro per assistere a una scadente commedia di intrigo messa in scena da attricette (Florine e Coralie) che si prestano al gioco dei loro amanti, giornalisti e scrittori, per raccogliere denaro da ricchi commercianti, come il droghiere Matifat o il venditore di sete Camusot. Segue l’incontro con il direttore di Etienne, l’ambizioso e senza scrupoli Finot, che ha appena strappato all’editore Dauriat un terzo delle azioni di un periodico; le pagherà grazie all’opera di Florine che chiederà i soldi al droghiere. La scoperta degli intrighi che stanno dietro al mondo dell’editoria e del giornalismo disgustano Lucien, che chiude la serata riflettendo sui due tipi di corruzione che in quel momento lo circondano. 2. Lucien ed Etienne presentano due visioni antitetiche del mondo. Mentre Lucien vede la «poesia gettata nel fango», Etienne lo rimprovera di farsi «ancora troppe illusioni» e giustifica il perverso ingranaggio che porta a «strisciare e subire questi grossi Matifat e Camusot, come le attrici subiscono i giornalisti, come noi subiamo gli editori». Di fronte al piano, che a Lucien sembra un furto vero e proprio, di far corrompere il droghiere da Florine perché acquisti delle quote del giornale al doppio del loro valore, Etienne si giustifica dicendo che sarà un affare anche per il droghiere, senza che se ne renda conto, e si crogiola al pensiero di diventare capo redattore per «mille franchi al mese». Parlando delle ballerine dice all’amico: « Non avete idea dell’abilità e della devozione di queste care creature» e del droghiere che «non è un uomo, è una cassaforte offerta dall’amore». L’attività del giornalista è un’attività da reddito, sganciata da ideali politici o artistici: «avrete tre franchi a colonna e ne scriverete una al giorno, trenta al mese, che vi frutteranno novanta franchi». Disprezza il talento e l’impegno che non rendono, come nel caso dello scrittore d’Arthez: «Mio caro, ci sono degli uomini di talento – pensate a quel povero d’Arthez che mangia tutti i giorni da Flicoteaux – che ci mettono dieci anni prima di guadagnare cento scudi. Con la vostra penna ricaverete quattromila franchi l’anno, senza contare le entrate dell’editoria». 3. Le figure femminili sono attricette di bell’aspetto, non definite nella loro individualità, sono descritte pronte a ogni compromesso pur di “sfondare”, disposte a corrompere ricchi commercianti, come Florine che sedurrà il droghiere una volta «imbeccata» da Etienne; queste «care creature» sono abili e devote, dice Etienne, la loro passione contrasta con l’ambiente squallido che le circonda. 4. Il narratore è eterodiegetico e racconta la vicenda lasciando ampio spazio a descrizioni e a discorsi diretti in cui non interviene con giudizi personali; è onnisciente in quanto entra anche nei pensieri dei personaggi. 5. Le sentenze vengono da Etienne che vuole indottrinare Lucien su come stanno le cose nel mondo dell’editoria e come si regolano i rapporti umani: «La coscienza, mio caro, è uno dei bastoni che ognuno impugna per bastonare il vicino e di cui non si serve mai per se stesso» (rr. 143-144), «Solo quando sarete in una posizione analoga alla sua potrete giudicare Finot: si può essere giudicati solo dai propri pari» (rr. 211- 212). T13 EDGAR ALLAN POE La rovina della casa degli Usher 1. Il protagonista e narratore, anonimo, contempla il triste paesaggio che aleggia intorno alla casa squallida e sgangherata degli Usher. Tempo 30 prima aveva ricevuto, in una lontana regione dello stato, una lettera dall’amico di infanzia, Roderico Usher, di cui ricordava poco o nulla, che gli chiedeva di raggiungerlo nella casa di famiglia. Il protagonista accoglie la richiesta e raggiunge Roderico che è malato, deperito e con problemi psicologici. Anche la sorella gemella, Lady Madeline, è grave, peggiora e muore nel giro di pochi giorni. Roderico decide, per preservare il corpo della sorella dalla curiosità dei medici, di conservarlo e di seppellirlo temporaneamente, con l’aiuto dell’amico, nei sotterranei della casa. Una notte un forte uragano gli impedisce il sonno: il protagonista allora comincia a leggere ad alta voce un romanzo medievale per tranquillizzare Roderico, ma in casa si odono rumori inquietanti uguali a quelli raccontati nel libro, Roderico è sempre più agitato e nervoso. Si apre d’improvviso la porta della stanza e appare Lady Madeline, che Roderico avverte grazie all’udito finissimo; la donna (o il suo fantasma) si getta violentemente sul fratello trascinandolo a terra morto dal terrore. Il narratore fugge e la casa si inabissa in un vicino stagno. 2-3. Roderico appare al protagonista come lo spettro del suo compagno d’infanzia: pallido, emaciato, con capelli radi e incolti. Roderico dice di soffrire di una malattia per cui i sensi sono esageratamente accentuati, il che gli impedisce di svolgere una vita normale; inoltre la sofferenza psicologica, «gran parte della sua singolare tristezza» (r. 158), gli deriva dalla fobia della solitudine nella casa di famiglia, dovuta alla morte della sorella che avverte come prossima. 4. Il narratore è turbato dalla loro apparenza spettrale. 5. Gli aggettivi qualificativi appartengono al campo semantico del noir, del “mistero”: ad esempio «fosca», «oscura», «sorda», «greve», «insopportabile», «malinconica», «cupe», «fredde», «radi», «amaro», «orribile», «tenebrose», «dolorosa», «scoscesa», «profondo», «lugubre», «sinistri». 6. La descrizione verte intorno ai termini chiave di «casa» («fredde mura», «finestre vuote»), di «paesaggio» («radi filari», «tronchi rinsecchiti») e di «cuore» del protagonista, che rimane condizionato negativamente dalla realtà che lo circonda e che descrive come una sorta di visione triste e terrificante («amaro ritorno», «orribile momento», «gelo nel cuore»). T14 HERMAN MELVILLE «Il gran demonio vagante dei mari» 1. Moby Dick si distingue non solo per «il suo non comune volume» (r. 28), ma anche per la «particolare fronte rugosa, bianca come la neve, e un’alta, piramidale gobba bianca» (rr. 30-32). 2. All’inizio la balena è descritta con accenti leggendari e superstiziosi, è una «spettrale illusione» (r. 20) per i marinai. Alle rr. 70-82 l’autore parla espressamente dell’irrazionale e dell’inconscio di cui, per il capitano Achab, Moby Dick rappresenta la concreta incarnazione; alle rr. 103-113 l’autore parla di Achab e del suo equipaggio come fossero irretiti da un incantesimo, in particolare, la parte finale del brano (rr. 108-111), descrive l’inconscio, «gran minatore» che scava misteriose gallerie nell’animo umano. 3. Achab addossa alla balena «la somma di tutta l’ira e di tutto l’odio provati dall’intera sua razza» (rr. 82-83) e su di lei sfoga la sua rabbia; il vecchio è «roso dentro, e bruciato di fuori, dalle zanne infisse e spietate di una qualche idea incurabile» (rr. 85-86) pronto a scagliarle contro il rampone e a «levare la lancia contro il più spaventoso dei bruti [Moby Dick]», (r. 87). Il motivo esclusivo del viaggio è dare la caccia alla Balena Bianca. IL ROMANTICISMO IN ITALIA T1 MADAME DE STAËL Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni 1. Il teatro è l’autorità, il giudice indiscusso della letteratura (il «magistrato»); a teatro si selezionano testi di altre culture da accostare alla propria con ricadute culturali positive. 2. I letterati «vanno continuamente razzolando le antiche ceneri, per trovarvi forse qualche granello d’oro»: cercano ancora qualche stimolo nella letteratura classica e nel mito; «capitale»: risorsa; «trovan sordi i cuori»: non riscuotono interesse. T2 GIOVANNI BERCHET La poesia popolare 1. Si intende con la prima la capacità di produrre poesia, con la seconda quella di capirla e accoglierla, a seconda delle proprie possibilità e qualità. 2. Categoria sociale Caratteristiche Ottentoti Plebe Vive in ambiente primitivo Parigini Aristocrazia Vive in ambiente raffinato Popolo Classe media Classe interprete del moderno sviluppo economico, capace di 31 cogliere il messaggio risorgimentale grazie al «cuore» e alla «fantasia» 3. Si evidenziano l’iperbole e l’enumerazione per asindeto: il fine di entrambe è sottolineare l’universalità della poesia. 4. a) Sentimento-emozione: «anima», «corda», «simpatiche oscillazioni», «scuotere fortemente l’animo», «sentito applauso», «disposizione», «memoria», «cuore», «desiderio», «fantasia», «commuovono», «noja», «emozioni … Vi si oppone». b) Cultura-civiltà: «agiato ed ingentilito», «civilizzazione». T3 PIETRO BORSIERI La letteratura, l’«arte di moltiplicare le ricchezze» e la «reale natura delle cose» 1. Ai circoli di letterati. 2. A un pubblico preparato, in grado di esprimere un giudizio autonomo, non accademico o scolastico. 3. La cultura deve essere utile immediatamente al maggior numero di persone e indirizzata verso lo sviluppo civile ed economico dell’Italia. L’utilità consiste nell’informazione, nell’educazione alla sensibilità («urbanità» rr. 17-18), nell’«eleganza» “vera” (non formale) e nella funzione di creare momenti di evasione dai problemi quotidiani. 4. Metafora: «lungo sonno della pace» (r. 10) e «tante lezioni della sventura» (r. 12): periodo di pace sotto il dominio asburgico e periodo della Rivoluzione Francese; poliptoto: «Tanti … tante» (rr. 11-12): l’autore prende in esame i motivi di riscossa intellettuale dell’Italia. 5. Il lessico appartiene perlopiù a un registro medio, ci sono alcuni termini tecnici di ambito letterario («gare arcadiche», «epigrammi»). 7. «Andrebbe dunque errato chi» (colui): principale (che) «credesse»: relativa «da noi riposta la critica in un continuo scoppiettar di epigrammi o di censure maligne»: infinitiva (implicita) «e s’ingannerebbe del pari chi» (colui): coordinata alla principale (che) «sospettasse»: relativa «che noi vogliamo farne una vecchia matrona, ispida di precetti, e ognora divisa fra le divisioni della metafisica e i cavilli e le autorità della scuola»: dichiarativa. T4 GIOVANNI BERCHET Il giuramento di Pontida 1. I convenuti di Pontida, giunti da venti città, giurano di lottare contro l’invasore tedesco (Barbarossa) che non ha diritto di risiedere sul territorio italiano; è un uomo come gli altri e sarà annientato dalla spada dei lombardi sostenuti dalle madri e dalle giovani donne che sdegneranno i codardi. La libertà sarà giusto premio di quanti si batteranno con coraggio e l’invasore cadrà sospirando la propria patria lontana. 2. Enjambements: vv. 51-52, 53-54, 55-56, 59-60, 65-66, 67-68, 73-74, 75-76; anafore: «L’han giurato» (vv. 49, 51, 61), «su» (vv. 73, 89, 90), «ma» (vv. 102, 103, 107, 108), «forse» (vv. 86, 87); inversioni: diffuse in tutto il testo, ad esempio «Lo straniero … la tinta darà» (vv. 55-56), «Una terra … Dio lor anco non diede a fruir?» (vv. 67-68). Le figure retoriche dell’anafora e dell’epanalessi, inserite nello scorrevole endecasillabo, rendono il testo incalzante, e sembrano incitare al combattimento; le inversioni, ad esempio soggetto-verbo o complemento- verbo, pongono in primo piano i concetti fondamentali che il poeta vuole trasmettere: la virtù patria e la necessità di riscossa dallo straniero (uso cataforico). 3. «ignoti», «Maledetto (chi usurpa)», «(Questi) scesi con esso (Federico) predando», «irto, increscioso Allemanno», «Allemanno», «insolente», «caduto». Lo straniero è visto come un invasore, uno sfruttatore che non ha legami culturali con la terra italiana e che deve essere punito per l’arroganza. 4. Le interiezioni e le esclamazioni sono frequenti: «Oh», «Su, lombardi!», «Su!», «Presto …!», «Via … branco d’ingordi!», «Giù … lor sir!» così le interrogative retoriche: «Perché ignoti … retaggio?», «Forse madri … sono? Forse il braccio … non val?». A livello stilistico queste espressioni sottolineano il messaggio portante: la necessità di una pronta azione; è evidente la funzione emotiva. T5 CARLO PORTA Una vittima di inganni e soprusi 1. Strofa Titolo I Una notte insonne per amore II La scoperta: le due donne (madre e figlia) in mezzo a tre soldati III Un soldato allaccia il busto alla Tetton IV La furia di Marchionn trattenuta a stento V La fuga di Marchionn giù dalle scale, inseguito 32 4. Lo Spirito Santo è paragonato al sole che fa sbocciare i fiori (vv. 103-104), che scende come piacevole soffio (v. 115), come brezza ristoratrice (v. 116). 5. Analisi retorica della seconda parte. Anastrofi: «E il sen che nutre i liberi / invidiando mira?» (vv. 67-68); iperbato: «nova, ai terrori immobile / e alle lusinghe infide, / pace» (vv. 77-79); chiasmo: «Nova franchigia annunziano / i cieli, e genti nove» (vv. 73-74); anafore: «Nova … nova» (con «nove»: poliptoto) vv. 73-77, «non … non», «e … e … e», «voi … e voi»; enjambements: «annunziano / i cieli», «sciogliere / il grembo doloroso» (vv. 59-60). 6. La Chiesa è vista come un presidio contro le eresie, contro i dubbi che ostacolano la fede autentica e come un’ispiratrice per gli uomini di opera attiva, con la predicazione e l’esempio. La Chiesa deve anche operare contro l’ingiustizia e l’oppressione. Sono vocaboli del campo semantico della guerra: «combatti», «tende», «campo», «mura», «vittoria», «vigile», «segnal», «fiaccola», «destra», «schiava», «conquiste», «gloria», «prove», «pace», «vinti», «mercede», «vincitor», «virtude», «violento», «pietà», «viril proposito», «infallibil segno». 7. «dov’eri mai? qual angolo … del suo sublime altar?» (vv. 11-16), «dov’eri?» (v. 28): le interrogative ribadiscono la necessità che la Chiesa passi da una condizione di passività alla militanza. T4 Il cinque maggio 1. a) La salma di Napoleone, morto a Sant’Elena il 5 maggio 1821, giace immobile e lascia tutto il mondo attonito di fronte alla notizia. Manzoni riflette sulla vicenda biografica di Napoleone, senza esaltare o condannare l’uomo che aveva sconvolto l’assetto politico e sociale d’Europa. Lasciando alla fine «ai posteri l’ardua sentenza» (vv. 31-32), il poeta preferisce rievocare l’eccezionale vicenda umana di colui che ha sperimentato su di sé lodi e biasimo, trionfi e abbandono, fino alla sconfitta fatale e all’esilio. b) Napoleone fu mediatore tra due secoli e, in definitiva, tra due visioni del mondo, quella della Rivoluzione francese e quello reazionaria dell’Impero. La riflessione quindi si sposta sull’umiliazione e sulla solitudine dell’esilio di Sant’Elena, reso ancora più doloroso dai ricordi. c) Nel momento di maggior desolazione, però, giunge la consolazione della fede, per cui «una man dal cielo» (v. 88) giunge a condurlo in una prospettiva celeste. Dio si posa accanto a lui nel momento fatale della morte, quando ormai il grande uomo è abbandonato da tutti. 2. Ai vv. 13-24. La mia ispirazione poetica («genio») non ti ha esaltato in modo servile quando eri nel fulgore della tua gloria, né ti ha oltraggiato quando sei stato sconfitto. Ora commosso celebro la tua grandezza. 3. «una man dal cielo» (antonomasia, in forma di perifrasi): Dio che aiuta e salva è raffigurato con una mano; «Bella Immortal! benefica / fede» (vv. 97-98): la fede è personificata e descritta nella sua bellezza; «il Dio che atterra e suscita, / che affanna e che consola» (vv. 105-106): non si può parlare di antonomasia, Dio è presentato nei suoi tratti di giustiziere, in ossequio alla Provvidenza. 4. Verbi: «cadde», «risorse (e giacque)», «sorge», «scoppiò», «chiuse», «s’avvolve (e pesa)», «scese», «cadde», «venne [da]», «trasportò», «avviò [a]», «si chinò», «atterra e suscita». In tutta la lirica c’è un continuo riferimento all’alterna vicenda di Napoleone: una continua antitesi tra la gloria terrena, limitata e superficiale, e la vera gloria, quella divina; la fede è avvezza ai trionfi veri tanto che anche Napoleone, nel momento di massimo sconforto terreno, viene sollevato al cielo dalla mano divina; la gloria nella storia è svalutata alla luce dell’eterno, e tutto è retto dalla Provvidenza. 5. «nunzio», «cruenta polvere», «gloria», «periglio», «fuga», «vittoria», «armato», «imprese», «tende», «manipoli», «cavalli», «imperio»: le espressioni militari rievocano il passato di Napoleone, oscillante tra rapide ascese e altrettanto improvvise cadute, destinato alla gloria terrena, ma bisognoso dell’aiuto divino nel momento del trapasso. 6. Un senso di immobilità. Lo stile è quello delle lapidi funebri. 9. I termini colti sono presenti con rilevanza, e il registro della composizione è alto: «Ei», «siccome», «spoglia immemore», «orba», «spiro», «nunzio», «pié», «solio», «vece assidua», «servo encomio», «subito» (agg.), «cantico», «posteri», «nui», «Fattor», «procellosa», «indocile», «periglio», «tristo esiglio», «fato», «ei fe’», «inestinguibil», «indomato», «prode remote», «alma», «imprese» (verbo), «rai», «sovvenir», «concitato imperio», «celere», «spirto», «anelo», «spirabil aere», «pei», «giammai», «ria», «coltrice». 10. «percossa, attonita», «muta»: la terra; «commosso»: il genio del poeta; «procellosa e trepida / gioia»: di Napoleone artefice di un gran disegno; «l’ansia»: dell’animo indocile di Napoleone che persegue il disegno ambizioso; «tristo esiglio»: l’umiliazione dei giorni dell’esilio (metonimia, così «polvere» e «altar»); «sommessi»: i due secoli inchinati di fronte a lui; «immensa invidia», «pietà profonda», «inestinguibil odio», «indomato amor»: del mondo che si divide tra chi lo ama e chi lo odia; «stanca»: la mano che tenta di scrivere le memorie; «stette»: Napoleone in esilio rimane immobile, preda dei pensieri e dei ricordi; «anelo»: l’animo straziato; «tanto strazio»: sofferenza dell’esilio; «disperò»: l’animo straziato; «pietosa»: la mano che scende dal cielo; «speranza»: dei sentieri che conducono a Dio; «allegrati»: la fede; «affanna … consola»: Dio. T5 Il dissidio romantico di Adelchi 1. L’impresa a cui ambisce è la vendetta nei confronti di Carlo Magno che ha ripudiato Ermengarda, sua sorella. 2. Adelchi deve assalire i territori indifesi del papa per assecondare la volontà del padre Desiderio. 3. Adelchi vorrebbe compiere imprese magnanime invece che abbassarsi a essere un capo di predoni di terre indifese. 4. Soffri e sii grande: il tuo destino è questo, finora: soffri, ma spera. Il corso glorioso della tua vita comincia appena ora; e chi sa dire quali momenti, quali opere il cielo ti riserva? Il cielo, che ti fece re e ti diede un simile cuore. 5. Gli enjambements che si succedono ai vv. 84-87 rendono il discorso fluido, non spezzato dalla metrica; «cor» al v. 84 e al v. 88 è una metonimia per indicare l’animo di Adelchi; vi è la metafora della «via» per cui Adelchi si avventura «strascinato» (v. 86), senza averla scelta. Dai vv. 88 al 90 troviamo la similitudine del grano, paragonato al cuore di Adelchi, che si inaridisce se cade in un terreno infecondo o è portato via dal vento. Si nota anche l’antitesi tra le «alte e nobili cose» che vorrebbe perseguire Adelchi e le «inique» cose che la fortuna gli porta. Vi sono due dittologie: «alte e nobili» e «oscura, / senza scopo», una per poliptoto, l’altra per asindeto. Per quanto riguarda il lessico si notano i latinismi: «cor», «ange» (usato solo in poesia e in terza persona), «rio». A uno sguardo d’insieme si può affermare che il discorso di Adelchi ha il tono di una confessione, che nasce dal cuore ed esprime la sintesi tra la sua indole e i suoi desideri e la ragion di Stato che lo porta a opposte mete. 6. Anche Alfieri utilizza l’endecasillabo sciolto, che consente maggiore discorsività nelle scene. 35 T6 Morte di Ermengarda 1. Sequenza Titolo vv. 1-24 Ermengarda sul letto di morte vv. 25-30 Ermengarda tormentata dal dolore in convento vv. 31-60 Il passato felice di Ermengarda vv. 61-120 L’agonia presente di Ermengarda 2. La morte riporta Ermengarda alla condizione giovanile d’innocenza e di fiducia. 3. La presenza del poeta-narratore è evidente in tutto il coro, che è dedicato alla descrizione dei moti dell’animo della sventurata Ermengarda. La vicenda della sua morte, come quella del fratello Adelchi, è scandagliata in tutti i dettagli: il dolore, la ricerca dell’oblio, i ricordi, la visione dell’aldilà nello sguardo proiettato verso il cielo. Il poeta partecipa al suo dolore, dà voce al coro delle monache, e aggiunge i sentimenti alla mera narrazione dei fatti storici, fermando per un istante lo svolgimento della trama. 4. I punti citati sono la parte del coro che non solo partecipa alla vicenda, ma si rivolge in un compianto a Ermengarda; l’intervento del coro si ripete nei punti più drammatici del testo: sul letto di morte e dopo l’affiorare del ricordo del passato felice. 5. La fede consola e rasserena Ermengarda come la rugiada che si posa su uno stelo riarso, ma subito dopo il ricordo si abbatte su di lei come il sole sullo stelo che aveva preso vita. Le due similitudini si ispirano al mondo della natura: l’una presenta una condizione positiva (lo stelo che si risolleva), l’altra una condizione negativa, di dolore (lo stelo che viene abbattuto dalla vampa del sole). Sono dunque antitetiche. T7 Morte di Adelchi: la visione pessimistica della storia 1. Adelchi è stato intercettato dai Franchi mentre cerca di fuggire in Oriente dopo la presa di Pavia. Ferito a morte, è condotto presso Carlo, che tiene prigioniero il padre Desiderio. Egli spende le sue ultime parole per consolare il padre della perdita del regno, per supplicare Carlo di essere clemente con il vecchio genitore e per riappacificarsi con il nemico. Così come Ermengarda, muore rasserenato dalla prospettiva ultraterrena. 2. E il mio parlare sarà amico, supplice e lontano da ogni ricordo amaro per entrambi, e per costui (Desiderio) per cui ti prego, e la (mia) mano morente ripongo nella tua: non ti chiedo che un prigioniero così importante tu lasci libero, perché mi rendo conto che sarebbe inutile la mia preghiera, vana la preghiera di qualunque mortale. Irremovibile è la tua volontà, né a tal punto arriva il tuo perdono. Ti domando quello che non puoi negare senza essere crudele. Mite, quanto può essere, e priva di oltraggio sia la prigionia di questo vecchio, e quale la imploreresti al padre tuo, se il cielo ti avesse destinato al dolore di lasciarlo in balia di altri. Il (suo) venerabile capo difendi da ogni oltraggio: molti sono coloro che si mostrano forti contro chi è sconfitto, ed egli non deve sopportare la crudele vista d’alcuno che, pur essendo suo vassallo, lo tradì. 3. Sono i duchi e i guerrieri longobardi che hanno tradito Desiderio passando dalla parte dei Franchi, e che chiedono di essere ammessi da Carlo per ricevere la loro ricompensa; Carlo ha appena promesso lealtà ad Adelchi morente e perciò li allontana per proteggere Desiderio dalla loro vista. 4. Intende dire che tutto quello che succede sulla terra, positivo o negativo che sia, è destinato a passare e quindi, letto nella prospettiva provvidenziale, non ha alcun valore. Anche Carlo quindi, che ora gode di un potere solido, è destinato a morire. 5. L’atteggiamento di Adelchi morente è sconsolato e pessimistico: la storia procede attraverso rapporti segnati dalla violenza. I potenti devono agire seminando dolore e ingiustizie per mantenere il potere, la politica è intrisa di sangue, l’ambizione del potere si nutre solo di ferocia, il mondo è fatto di oppressori e di oppressi. 6. Nel mondo non esiste il diritto, ma solo una forza feroce che si fa passare per tale; la violenza è insita nel mondo e si perpetua da sempre, di generazione in generazione. Il male non si può estirpare. 7-8. Nel finale della tragedia sia Desiderio sia Carlo acquistano un carattere più mite e una fisionomia più umana: nel primo prevale l’affetto paterno che lo porta a manifestare il dolore per la perdita del figlio; nel secondo un atteggiamento magnanimo che riconosce al nemico la dignità della prigionia. Desiderio, a differenza di Adelchi, fatica ad accettare la prospettiva del figlio in merito alla morte e al valore della vita terrena. 9. Gli enjambements sottolineano il carattere “di sentenza” del discorso di Adelchi, la disposizione delle parole non lascia spazio a possibili realtà alternative: ad esempio ai vv. 351-352 «chiusa / … ogni via»; ai vv. 353-354 «non resta / che far torto, o patirlo»; ai vv. 359-360 «Reggere iniqui / dolce non è». 10. Esortazione: «Godi» (seguono due affermazioni riguardanti la condizione di Desiderio: «re non sei, … chiusa … via»), effetto. Affermazioni: «che re non sei», «che chiusa … ogni via», causa; «loco a … innocente opra non v’è», causa; «non resta che … patirlo», effetto. I due punti del v. 352 potrebbero essere sostituiti da una congiunzione causale. 11. Antitesi: «reggia» / «prigionia» (Desiderio); mistero («vita») / rivelazione («morte»); «far torto» / «patirlo»; «dritto» / «ingiustizia»; «seminò» (col sangue) / «messe» (di ingiustizia); «felice» / «uom che morrà» (Carlo). 12. Ai vv. 380-385 la sintassi si fa più fluida e ornata; Adelchi chiede a Carlo pietà per il vecchio padre, si conclude la tirata di Adelchi sul senso della storia e sul ruolo della violenza nel mondo. Si individua sia la coordinazione, come nei versi precedenti, sia la subordinazione (relativa, condizionale). Adelchi si rivolge a Carlo da pari a pari, con rispetto; simile la sintassi ai vv. 360-364. T8 «La sventurata rispose» 1. La vicenda inizia in una zona separata dal resto del monastero, abitata dalla badessa, contigua alla casa di Egidio (inizio del passo), poi si cita la cella della conversa sparita (r. 32), quindi la scena spazia, nella ricerca della conversa, tra il monastero (rr. 33-34), e infine Monza e dintorni, Meda, (rr. 37-38) anche se si allude al fatto che fosse stata sepolta nei pressi della casa di Egidio (r. 39). 36 2. Nella parte iniziale del brano Manzoni parla del fatto che Gertrude non avesse l’età per essere badessa, e di Egidio, di cui il manoscritto non cita la casata. 3. Egidio: «un giovine … leggi», «Il nostro manoscritto … casato» (rr. 3-6). L’approccio: «Costui … discorso» (rr. 6-9), qui manca l’avvicinamento dell’educanda adulta, e quindi «La sventurata rispose» (r. 9). La tresca: «Per qualche tempo … più in là» (r. 26); il battibecco con la conversa: «Da quel momento … pace» (rr. 30-31); «la conversa fu aspettata in vano (rr. 31-32); il foro nel muro: «E chi sa … orto» (rr. 34-35); il seppellimento: «Forse se ne sarebbe … vicino» (rr. 38-39). La voce del Novecento Moravia rilegge Manzoni: la corruzione di don Abbondio e di Gertrude 1. «Don Abbondio è corrotto dalla paura che gli fanno i bravi di Don Rodrigo; Gertrude, invece, è corrotta dalla soggezione che le incute il padre e, in genere, la società alla quale appartiene»: il primo rappresenta l’«incarnazione di questa corruzione nazionale», la seconda attraversa una metamorfosi da anima innocente ad anima corrotta. 2. Moravia esplicita la propria posizione soprattutto nella prima parte del brano, quando ricollega il comportamento di don Abbondio al problema “storico” della corruzione italiana, evidente nella contemporaneità. Si uniforma al pensiero comune quando si riferisce alla parte del romanzo dedicata alla monaca di Monza, che ritiene «sempre giustamente lodata come una delle parti più belle de I Promessi Sposi» (rr. 19-20), e aggiunge che l’indagine di Manzoni è estremamente analitica nella definizione di questa conversione “al contrario”, rispetto alla quale non esiste nulla di altrettanto efficace in materia di conversione tradizionale (da malvagio a buono). 3. Si tratta di due similitudini a confronto: la Gertrude di Manzoni è come un pozzo profondo, la Religieuse di Diderot come un limpido e veloce ruscello. T9 La carestia: Manzoni economista 1. Blocco Riassunto rr. 1-20 Nel 1628, dopo due anni di carestia, il raccolto ancora scarso nel Milanese e le conseguenze della guerra resero la situazione insopportabile rr. 21-46 Il popolo chiede provvedimenti più efficaci alle autorità per sopperire alla mancanza di grano rr. 47-55 In assenza del governatore don Gonzalo Fernandez de Cordova, il gran cancelliere Antonio Ferrer abbassa, in modo sconsiderato in rapporto al prezzo del grano, il prezzo del pane rr. 56-85 I fornai non riescono a rispondere alle richieste della folla. Ferrer li accusa di approfittare della situazione, finché i decurioni chiedono di intervenire a don Gonzalo rr. 86-94 Don Gonzalo nomina una giunta che stabilisce un prezzo congruo del pane, che suscita sollievo nei fornai e collera nel popolo 2. Nel capitolo XII Manzoni descrive il “tumulto di San Martino” a Milano che sfocia nell’assalto dei forni  nel 1628, secondo anno segnato dalla carestia. La scarsità del raccolto e la penuria di grano e di pane dipendono dalla cattiva annata nel Milanese negli anni 1627-1628 e dalla guerra per la successione di Mantova e del Monferrato, che impone tasse elevate ai proprietari terrieri e porta a saccheggi sui territori da parte delle soldatesche. Alle cause naturali si aggiungono le cause umane che consistono nell’incapacità delle autorità di gestire la situazione. 3. La sequenza di infiniti accostati per asindeto è un’enumerazione che rende l’attività frenetica a cui sono sottoposti i fornai per rispondere alle esigenze di produzione della legge imposta da Ferrer. 4. Un’iperbole che conferisce all’espressione una sfumatura ironica, data dal contrasto tra il concilio solenne dei deputati e la questione da trattare, estremamente prosaica, del prezzo del pane. L’autore, in questo modo, sottolinea l’incapacità delle autorità di gestire la situazione. 5. Sì, l’autore è scettico sul modo scelto dalle autorità per porre rimedio alla situazione o sul pensiero delle masse, e su questi temi sembra dialogare con il lettore, ad esempio: «Ho detto: più dell’ordinario; perché le insopportabili gravezze, imposte con una cupidigia e con un’insensatezza» (rr. 11-12); «nasce sempre (o almeno è sempre nata finora; e se ancora, dopo tanti scritti di valentuomini, pensate in quel tempo!) nasce un’opinione ne’ molti ... supposizioni che non stanno né in cielo, né in terra» (rr. 21-26); «affacchinarsi, dico, e scalmanarsi più del solito» (rr. 63-64); «giacché, chi può ora entrar nel cervello d’Antonio Ferrer?» (r. 81). 6. «provvisioni», «penuria», «rincaro», «vender(sene)», «consumo», «incettatori», «vendevano», «compravano», «provvedimenti», «prezzo 37
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