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Contratto Preliminare e Clausole Abbusive: Lezione sulle Vendite Speciali e Subfornitura, Appunti di Diritto

Diritto Tributariodiritto amministrativoDiritto civile

Questa lezione discute sul contratto preliminare, un accordo provvisorio tra due o più parti in attesa della stipulazione di un contratto definitivo. Viene inoltre esplorata la nozione di clausole abusive nei contratti di consumo, come previsto dall'articolo 33 e seguenti del codice del consumo. La natura e le condizioni del mercato dell'operatore commerciale, l'importanza dell'attività economica in questione e le differenze tra la legislazione comunitaria e italiana sulla conformità dei beni al contratto. Infine, vengono trattati la subfornitura e il franchising come tipi speciali di contratti di compravendita.

Cosa imparerai

  • Quali sono le differenze tra legislazione comunitaria e italiana sulla conformità dei beni al contratto?
  • Che cos'è una subfornitura e come è differente dal franchising?
  • Quali sono le clausole abusive nei contratti di consumo?
  • Che cos'è un contratto preliminare?
  • Come viene valutata la conformità dei beni al contratto?

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 06/11/2019

natascia.di_nunzio
natascia.di_nunzio 🇮🇹

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Scarica Contratto Preliminare e Clausole Abbusive: Lezione sulle Vendite Speciali e Subfornitura e più Appunti in PDF di Diritto solo su Docsity! Diritto civile 19 febbraio: La disciplina del contratto di compravendita si applica in maniera analogica anche a molte altre contrattazioni. Essenzialmente il corpo centrale della disciplina è contenuto nel codice civile quindi è da lì che il nostro studio deve partire in particolare le regole del contratto di compravendita sono contenute negli artt. da 1470 a 1547 del codice civile, la definizione da cui dobbiamo partire appunto è quella contratto che troviamo all’art 1470 c.c.” La vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo”. Accanto alle regole del codice civile è necessario verificare quelle disposizioni del codice del consumo non solo quelle che si occupano in generale del contratto di vendita di beni di consumo che sono gli artt.128 e seguenti ma anche, alcuni profili disciplinari specifici per esempio il diritto di recesso nelle vendite porta a porta che è contenuto anche esso nel codice del consumo; anche qui sempre di contratto di compravendita si tratta ma è un contratto che in questo caso si svolge con modalità e caratteristiche diverse rispetto alle contrattazioni più tradizionali. Le vendite porta a porta infatti sono sollecitate direttamente dagli operatori commerciali al di fuori degli stabilimenti commerciali e questa modalità particolarmente aggressiva di sollecitazione dell’acquirente comporta una serie di rimedi prima di tutto quello del diritto di recesso che è assolutamente nuovo rispetto alla logica del codice civile. Quindi accanto al codice verificheremo in particolare nel codice del consumo intanto la disciplina della vendita di beni mobili e poi tutte quelle regole in primis questo diritto di recesso che riguarda tutte quelle contrattazioni e quindi anche le vendite e forniture che avvengono con queste modalità che in linea generale possiamo definire aggressive nel senso che comportano una certa pressione da parte dell’operatore commerciale nei confronti dell’acquirente che magari viene intercettato per strada o presso il proprio domicilio quindi l ‘operatore puntando su questo effetto sorpresa e sull’impossibilità di verificare adeguatamente la convenienza dell’affare , qualche maniera l’acquirente è spinto ad accettare. È stato introdotto però dal legislatore comunitario e poi dal nostro legislatore interno questo c.d. diritto di ripensamentoche dà la possibilità entro 10 giorni dalla stipula del contratto di tirarsi fuori dall’affare senza avere nessuna conseguenza patrimoniale e senza dover neanche giustificare questa volontà. Quindi nel codice del consumo ci sono questi profili disciplinari specifici. La stessa logica si applica alle contrattazioni telematiche, ai contratti a distanza ecc. Questa è una pratica commerciale che esisteva soprattutto negli anni passati in cui c’era il tentativo da parte delle case di produzione editoriale di mandare libri a casa e una volta accettato e consolidato l’acquisto il venditore richiedeva il pagamento. Attualmente non solo questa pratica è vietata e sanzionata ma il consumatore può trattenere la merce senza dovere nulla in cambio proprio perché questo tipo di bene non era stato in alcun modo sollecitato. Quindi vediamo questo piano di rimedi che sono messi a disposizione dell’utente, del consumatore. Vediamo ora la definizione del contratto di compravendita che è il contratto tipico per eccellenza art 1470 codice civile, possiamo ora sulla base di questa definizione fare delle valutazioni per esempio che i contratti in generale possono essere classificati in base a dei criteri: il primo criterio essenziale è proprio quelli che riguarda le modalità di conclusione dell’accordo e in questo senso rileva la distinzione tra contratti consensuali e contratti reali, quindi la vendita è il contratto consensuale per eccellenza. Per il perfezionamento dei contratti c.d. consensuali è sufficiente il consenso che sia manifestato legittimamente, invece per i contratti reali non è sufficiente l’accordo che sia pure legittimamente manifestato ma è necessaria anche l’effettiva e materiale consegna del bene oggetto della prestazione un esempio è quello del contratto di mutuo che è appunto un contratto reale perché si perfeziona solo con l’effettiva erogazione della somma da parte dell’ istituto bancario. La compravendita è il tipico esempio di contratto consensuale, in questo caso si tratta di un principio riferito in termini generali dal nostro codice all’ art 1376 che disciplina i contratti a effetti reali cioè il c.d. principio consensualistico. L’art 1376 dispone che :”Nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato”. Questo è il principio dell’efficacia traslativa del consenso che è accolto nel nostro codice civile all’esito di processo storico ampio perché se ci ricordiamo non era questa la regola applicata nella tradizione del diritto romano, nel diritto romano non esisteva il principio consensualistico, era necessaria la c.d. traditio. Nell’ordinamento romano quando un contratto prevedeva il trasferimento di un diritto su un bene determinato contro il versamento di un prezzo erano necessari due diversi atti negoziali: un primo atto che impegnava la parte al successivo trasferimento , il c.d. titulus e poi il negozio puro di trasferimento. Quindi un primo negozio con un effetto meramente obbligatorio in cui la parte si obbligava a dare e poi un secondo negozio al quale conseguiva l’effetto traslativo. Nel corso nel tempo in primis nel codice civile francese e poi anche nel nostro codice civ del 1865, invece si fa strada il principio del consenso traslativo in qualche maniera in ossequio alla logica illuministica che premiava e faceva risaltare l’importanza della volontà e si dice che è fondamentale solamente che ci sia l’accordo tra le parti al di là dell’effettiva consegna, dello spossessamento. Questa scelta che cmq nel codice del 1865 conservava qualche ambiguità perché nel codice del 65 c’erano alcune regole che inducevano a dare alla vendita effetti obbligatori cioè obbligo di concludere il negozio di puro trasferimento rispetto a regole che invece deponevano per l’efficacia traslativa del consenso. Nel codice attualmente in vigore questi dubbi sono stati eliminati con l’affermazione che la regola fondamentale è quella dell’efficacia traslativa del consenso, quindi è sufficiente che il consenso sia legittimamente manifestato per produrre l’effetto del trasferimento senza quindi che abbia alcuna rilevanza che il bene sia effettivamente consegnato e che il prezzo sia stato effettivamente pagato né rileva la trascrizione dell’acquisto nei pubblici registri, in questo caso la pubblicità è solo dichiarativa. Ne rileva che alcune regioni a statuto speciale per esempio il Trentino alto Adige che segue invece il sistema romanistico e quindi tedesco il c.d. sistema dell’intavolazione, questa è quindi una eccezione al principio. Altro interrogativo è se questo principio così generale è cmq derogabile dalle parti cioè se è ipotizzabile che le parti costruiscano un contratto differendo il trasferimento del bene ad un momento successivo per esempio all’effettivo pagamento del prezzo e quindi in qualche maniera alterando questa regola di carattere generale. Se pur la dottrina era perplessa su questo punto, generalmente soprattutto la giurisprudenza in ossequio al principio dell’autonomia privata ha ritenuto che sia nella disponibilità delle parti derogare a questo principio e quindi costruire un contratto che segua una regola diversa, salvo poi verificare se a quel tipo di contratto siano effettivamente applicabili le regole della compravendita anche se non c’è questo effetto traslativo. Quindi ricapitolando: il contratto di compravendita è consensuale, si perfeziona con il mero consenso delle parti senza necessità della consegna della cosa o pagamento del prezzo o varie iscrizioni in pubblici registri, una prima conseguenza è che l’operatività di questo principio nell’ ambito della compravendita ha delle implicazioni importanti che riguardano il momento del passaggio del rischio dal venditore al compratore cioè su chi deve gravare il rischio del deterioramento e perimento della cosa considerando che i due momenti cioè il perfezionamento del contratto e dell’effettiva consegna materiale della cosa possono essere non contestuali, per esempio per le vendite a distanza o con trasporto. Nelle direttive comunitarie esiste una prima parte dedicata alle definizione degli ambiti regolamentari che si vanno a disciplinare quindi nella direttiva sulla vendita di beni di consumo ci dice subito all’art 1 che è il venditore cioè l’operatore professionale che agisce nell’ambito della sua attività, ci dice chi è il consumatore, cosa si intende per bene di consumo. Al momento di attuare questi provvedimenti c’è la difficoltà di omologare queste categorie concettuali e quindi poi di applicare concretamente queste regole nel nostro sistema. Altro discorso è che il legislatore italiano è stato carente nel recepire e adottare queste norme comunitarie che molto spesso sono andare a colmare un vuoto normativo esistente ma, nel caso della compravendita invece c’era un quadro normativo strutturato di regole legali e operative cioè che emergono nella prassi della giurisprudenza, ma per ceri versi era cmq carente. Il modello che ci viene consegnato dal codice civile restituisce un modello della vendita che attualmente è inadeguato, obsoleto perché l’idea era quella di uno scambio marginale che si svolge in un contesto economico artigianale, agrario cioè di una economia quale poteva essere quella degli anni 40 diversa dall’economia attuale, infatti si parla di progressiva erosione del modello e alla emersione nella prassi di quelli che sono i c.d. nuovi contratti, cioè a partire dal tronco della compravendita che rimane un modello disciplinare essenziale proprio per l ‘inadeguatezza e inefficacia di queste regole si sono sviluppati nella prassi sociale delle regolamentazioni specifiche, salvo poi avere un espresso riconoscimento da parte del legislatore pensiamo per esempio al contratto di franchising o all’ affiliazione commerciale , questi nuovi contratti perciò nascono sempre dallo schema della compravendita e nascono per una reazione della prassi per l’inadeguatezza del modello. Il franchising non è solo una concessione di vendita cioè io concordo la rivendita di determinati prodotti ma ha tutto un contenuto di prestazioni aggiuntive che nel corso del tempo hanno snaturato l’idea della vendita cioè non possiamo definirlo solo un contratto di vendita perché oltre a concedere la possibilità di rivedere i prodotti oggetto dell’attività concede: brevetti, insegne, marchi entrando in una rete di rapporti di durata che poi nulla hanno più da condividere con la vendita. Pensiamo anche al contratto di factoring cioè una cessione a pagamento di crediti, io vanto dei crediti nei confronti di una impresa e li cedo, strutturalmente è una compravendita ma con problematiche nella prassi complesse infatti se apro il codice civile trovo regole che non mi servono. Non è facile dunque capire quali di questi contratti abbia una sua tipicità sia pure sociale perché per es il factoring non è disciplinato dalla legge attualmente infatti non esiste una specifica disposizione di questo contratto. Quando si parla di tipicità questa non è solo legale cioè che si trova nel codice ma esiste anche una tipicità che si può definire sociale perché deriva dall’applicazione concreta da parte degli operatori di un certo schema contrattuale e quindi anche se un contratto non è perfettamente disciplinato si ritrovano nella prassi determinati modelli che hanno acquisito una loro specificità e vengono ripetuti e applicati come il factoring. Quindi factoring, concessione di vendita, franchising sono definiti contratti affini alla compravendita, nati e sorti nel contesto degli affari commerciali proprio per superare l’inadeguatezza del modello del tipo contrattuale vendita, caso per caso si andrà a verificare quali delle regole della vendita si potranno cmq applicare in via analogica. La vendita è il contratto tipico e la meritevolezza di questo affare è già acclarata dal legislatore, ma un problema che ci possiamo porre è se questo schema vendita che prevede l’alienazione di cosa contro prezzo sia snaturato dalle c.d. prestazioni aggiuntive, cioè allo stato attuale nella contrattazione sono emerse moltissime figure in cui accanto alla consegna del bene che completa lo schema legale della vendita hanno una rilevanza essenziale e fondamentale prestazioni di consulenza e assistenza pre vendita o post vendita cioè questi servizi aggiuntivi integrati vanno in qualche modo a snaturare l’originario impianto di vendita, tendono a mettere in secondo piano la consegna effettiva del bene perché l’importante è fornire questi servizi che consentano l’effettivo utilizzo del bene. Questo è un esempio in cui accanto al nucleo centrale della vendita esistono queste prestazioni. A parte queste nuove discipline di derivazione comunitaria che disciplinano queste vendite che possiamo definire speciali, anche la regolamentazione del codice civile si segnala proprio per la ricchezza e varietà di tipi che presenta, infatti il codice civile quando tratta di vendita distingue in campi diversi la vendita di beni mobili, la vendita di beni immobili e poi ci sono delle regole sulla vendita di eredità. È necessario perciò tener presente alcune regolamentazioni che si riferiscono a specifici profili della vendita esempio la vendita di cose future o con patto di riscatto, la vendita con trasporto o su campione. Andremo quindi a vedere come queste regole diventano operative nella prassi degli affari e nei casi di contenzioni. Il codice è molto ricco di queste ipotesi di compravendita su oggetti specifici e andremo a scegliere insieme alcuni di questi casi. La giurisprudenza ammette la derogabilità del principio consensualistico quindi quando noi diciamo che il contratto di vendita è il contratto tipico , consensuale, con efficacia traslativa, dobbiamo tenere presente che è nella libera disponibilità delle parti concludere una vendita reale cioè una vendita in cui l’effetto traslativo è subordinato all’effettivo pagamento del prezzo ovvero alla consegna effettiva del bene. Quini è vero che si tratta di un caposaldo della nostra tradizione però così come ugualmente importante l’autonomia privata, la giurisprudenza ha ammesso che sia possibile alle parti derogare a questo principio salvo poi verificare se siamo nell’ambito dello schema vendita o meno. Pensiamo per esempio al contratto preliminare ad effetti anticipati: è un contratto con il quale mi impegno a stipulare il definitivo stabilendo sin dal contratto preliminare le condizioni essenziali della compravendita però l’effetto è meramente obbligatorio, ma nella prassi è avvenuto che all’esito della stipula del preliminare la parte il promissario acquirente versa degli acconti o l’integrale prezzo e viene subito immesso nel possesso del bene. Quindi prima di divenire alla stipula del contratto definitivo che è quelli che produce l’effetto traslativo la parte è immessa nel possesso e questo schema contrattuale che integra una sequenza atipica ci interessa di capire se si tratta di compravendita perché l’effetto traslativo non è avvenuto cioè l’effettivo passaggio del diritto di proprietà non c’è, quindi si tratta di possesso? E se io non vado dal notaio e passano 20 anni posso dire che usucapito e non devo pagare il prezzo? La cassazione ha detto che non si tratta di possesso qualificato che mi può consentire di usucapire ma è solo una detenzione proprio perché in questo schema del contratto preliminare manca dell’effetto traslativo tipico della compravendita, quindi effetto di trasferimento del diritto che può seguire solo alla stipula del contratto definitivo e soprattutto che non si può trattare di possesso perché manca l’animus possidendi cioè la volontà di esercitare un diritto come se fossi proprietario perché si ha ben la consapevolezza di non esserlo.Questo è un esempio di schema contrattuale atipico che va a derogare al principio consensualistico ma con effetti rilevanti. 24/02/2014 Ho messo una sentenza sul sito che riguarda il problema di determinare gli effetti anticipati. Quello che mi interessa prima di andare avanti è qual è il problema applicativo posto dal preliminare ad effetti anticipati. Intanto trova largo impiego nel settore delle vendite soprattutto di appartamenti che sono in corso di realizzazione ovvero anche di nuova costruzione, però rispetto alle quali non si è esaurito l’iter urbanistico-amministrativo. Quindi magari il venditore non ha conseguito tutte le certificazioni amministrative necessarie e quindi questo tipo di preliminare consente comunque al venditore di stipulare questo tipo di contratti e d’altra parte al compratore di immettersi direttamente nel bene, pur differendo l’effetto traslativo al contratto successivo. Quindi la figura si caratterizza per il fatto che non solo questo contratto preliminare produce gli effetti obbligatori tipici di ogni contratto preliminare, ma in qualche maniera le parti si impegnano già in questa fase a pagare il prezzo , generalmente solo in parte, e a consegnare la cosa. Quindi sotto il profilo causale si verifica una deviazione rispetto a quelle che sono le azioni tipiche che sorgono da un contratto preliminare,ovvero da un contratto di compravendita. Il problema qual è ? è che sorgono dei problemi applicativi , problemi che non hanno trovato nella dottrina una soluzione chiara e pacifica, soluzione che sembra adesso essere intervenuta la giurisprudenza ,perché c’è stata proprio su questo argomento una sentenza delle Cassazioni a Sez.Unite. la cassazione a Sez. unite viene sollecitata quando su un certo argomento specifico esiste un orientamento non univico. Dobbiamo capire qual è la natura del diritto esercitato dal promissario acquirente. Perché se diciamo che è possesso, cioè diciamo che il promissario acquirente si immette direttamente nel possesso del bene , se parliamo di possesso , noi sappiamo che il possesso ventennale esercitato consente l’usucapione del bene. Allora, nonostante non ci sia stato l’effetto traslativo, alla fine il promissario acquirente può diventare titolare del bene. Altre sentenze si erano pronunciate in senso diverse : dicendo che non si può parlare di possesso , perché nel momento in cui comincio ad esercitare questa situazione di fatto, in realtà ho la piena consapevolezza che non la sto esercitando in nome mio, dato che so che non si è di fatto prodotto nessun effetto reale. Quindi a fronte di questi casi, il giudice può decidere di sospendere un procedimento quando viene sottoposta una questione che non riceva dalla giurisprudenza una soluzione chiara e uniforme e rimettere la questione alle sezioni unite. Nel 2008 si sono pronunciate le Sez. unite , stabilendo che il tipo di rapporto non è quella di possesso, bensì quella di DETENZIONE che come tale non può condurre all’usucapione del bene. Ed è quello che viene poi confermato nella sentenza che sta sul sito del 2011 che richiama il caso del 2008e che ha confermato quello che vi dicevo. Quindi il PRINCIPIO DI DIRITTO che si può desumere da questa sentenza del 2008 si esprime nel senso di dire che il promissario acquirente di un bene immobile, in virtù di un preliminare di compravendita, anticipi in tutto in parte il pagamento del prezzo e d’altro lato ottenga l’immediato trasferimento del godimento del bene, non può essere qualificato come possessore non avendo costui l’animus possidenti. Per la cassazione però è necessario non solo osservare questi contratti preliminare , ma anche altri contratti che possano consentire l’ostruzione dell’intera operazione in un senso diverso. Secondo questa sent del 2008 , è possibile individuare un CONTRATTO DI COMODATO , cioè il promissario venditore concederebbe il bene in base ad un contratto di comodato e dall’altro lato versi la somma, anche l’intero prezzo addirittura , in virtù di un contratto che non ha effetti traslativi, nemmeno effetti reali, ma SOLO EFFETTI OBBLIGATORI, dice che potrebbe essere inquadrato come un CONTRATTO DI MUTUO, come se il pagamento del prezzo da parte del promissario acquirente va a finanziare l’attività edilizia. Si tratta di una costruzione piuttosto complessa , facendo un richiamo ai contratti collegati. Nelle sentenze successive, in realtà non si fa sempre riferimento a questo complesso meccanismo dei diversi contratti collegati. Molto spesso le sentenze successive, che pur richiamano la sent del volontà delle parti. La disciplina del contratto di compravendita, seppur ampia e articolata, è una disciplina suppletiva ovvero volta ad operare nel caso in cui le parti nulla abbiano stabilito su quel punto specifico. Quindi le parti sono liberissime di determinare il luogo, il momento della consegna del bene ,le stesse modalità di determinazione del prezzo, oppure x es. l’ampia autonomia possono anche coordinare il contenuto di clausola che sono nell’ambito del commercio ampliamente utilizzate. Questo x farvi capire come il contrnuto contrattuale può essere conformata dalle decisioni delle parti. Ad es. la clausola risolutiva espressa , a cosa ci serve? A risolvere il contratto nel caso di inadempimento di una specifica obbligazione, specificatamente dettagliata. Rientra nei rimedi stragiudiziali. Oppure la CLAUSOLA PENALE, diffusissima soprattutto nel contratto di appalto x la realizzazione di una certa opera, generalmente, le parti introducono questa clausola. L’opera ,ad es. , deve essere consegnata entro una certa data e per ogni giorno di ritardo , ci sarà questa clausola penale. Un altro es. di clausola è la CAPARRA CONFIRMATORIA che serve a garantire la serietà del contratto, che nel caso di mancata conclusione del contratto , comporta la perdita di questa caparra. Queste , comunque, sono clausole che vengono applicate in caso di inadempimento. Poi ci sono in caso di trasporto , la clausola c.d. CIF (soprattutto x gli acquisti online), infatti in questi tipi di contratto, quando il costo del trasporto è compreso, molto spesso nelle bolle che accompagnano si fa riferimento a questa clausola che è un acronimo di Cost, Insurance and Freight (in italiano: costo, assicurazione e nolo) vuol dire che la merce è assicurata in caso di avarie e altro. Le tecniche di formazione dell’accordo possono essere completamente diverse, nel senso che per addivenire all’accordo delle parti ci possono essere procedimenti molto diversi. Ad es. si può giungere a seguito di una serie di TRATTATIVE. Quindi si può formare ad esito di un incontro tra proposta ed accettazione. Però un contratto si può concludere anche con l’inizio dell’esecuzione. Altro es. di grande rilevanza è quello della contrattazione di massa, la cui disciplina è contenuta nell’art 1341 c.c. (quando prendiamo il treno concludiamo un contratto in base alle condizioni generale del contratto; non sono negoziate da noi al momento dell’acquisto, ma il contenuto è predisposto unilateralmente dall’imprenditore e quindi non vi è la possibilità di incidere sulla decisione contrattuale, ma solo la possibilità di accettare). La dottrina si è molto interrogata, perché sono definiti “scambi senza accordo”. Dopo di chè l’imprenditore deve rendere queste clausole conoscibili a tutti gli aderenti, quindi non si deve preoccupare che tutti i potenziali contrattanti siano effettivamente dotti, l’importante è che abbia predisposto dei mezzi x renderli conoscibili. Caso diverso è quando queste condizioni generali di contratto sono particolarmente gravose x l’aderente. Nel nostro codice si parla di clausole vessatorie che sono appunto quelle clausole ,art.1341 c’è un elenco esemplificativo di clausole di questo tipo , sono clausole che in qualche maniera limitano la responsabilità dell’operatore commerciale in caso di inadempimento ovvero limitano le facoltà riconosciute dall’aderente e quindi la possibilità di recedere dal contratto . secondo le regole del c.c. , nonostante le clausole siano effettivamente vessatorie e quindi particolarmente gravose x l’aderente ,sono comunque efficaci. DIRITTO CIVILE I 26\02 Oggi terminiamo il discorso sulla conclusione dell’accordo di compravendita soffermandoci su una particolare tecnica di formazione dell’accordo che ha un ruolo più ampio negli odierni scambi economici. Vi abbiamo fatto accenno la scorsa volta: il problema dei contratti stipulati per adesione o per condizioni generali di contratto, tipo di contrattazione che riguarda in linea generale la standardizzazione contrattuale. Questa modalità di contrattazione è importante sia dal punto di vista dell’utente, dell’acquirente sia dal punto di vista dell’attività di impresa perché una volta che noi stabiliamo quelli che sono i diritti dei consumatori nei confronti dell’impresa dobbiamo poi mettere la stessa impresa nelle condizioni di non esporsi eccessivamente, dobbiamo sapere quali sono le condizioni di abusitivà di queste clausole contrattuali. Possiamo quindi leggere queste regole sia dalla prospettiva degli utenti che hanno quindi determinati diritti, ma impongono anche all’impresa determinati obblighi che vanno considerati. In generale tutte le modalità di esecuzione del contratto possono essere razionalizzate e programmate. Quindi, accanto a questa esigenza di programmazione, ve n’è una di economicità: con un unico testo contrattuale posso gestire una serie di rapporti. Questi contratti prendono allora il nome di contratti standardizzati e la loro disciplina è contenuta nel nostro Codice Civile e c’è da dire che per l’epoca (1942) questo tipo di previsioni è abbastanza moderna (addirittura si ritiene una delle prime del ‘900 nell’ambito europeo). Sappiamo che nel nostro ordinamento vige il principio di libertà dell’autonomia privata: le parti possono determinare liberamente il contenuto del contratto; in questo tipo di contrattazione esiste una forte deviazione rispetto a questa regola tradizionale che riconosce autonomia alle parti. Quali sono queste differenze? 1) La modalità di conclusione dell’accordo perché la fase di conclusione non è scandita dalle trattative, quindi l’esito di questa contrattazione è già in qualche maniera determinato perché è possibile solo l’accettazione di un complesso di interessi già determinato dall’impresa; 2) Il contenuto del contrattoche non è condiviso ma è predisposto da una sola delle parti per cui è nel potere dell’aderente solo accettare o non adesione. Si chiamano infatti contratti per adesione perché si può solo aderire ad un contratto predisposto da altri. Il codice introduce questa disciplina nell’ottica di semplificare la conclusione del contratto attraverso però dei meccanismi di tutela dell’aderente che comunque deve essere posto nelle condizioni di conoscere le caratteristiche del contratto. Questi meccanismi, che come vedremo sono delineati nell’art 1341 del cc, però nella prassi degli affari si sono rilevati di relativa efficacia ed è intervenuto il legislatore comunitario a disciplinare questa forma di contrattazione con la direttiva 93\13 sulle clausole vessatorie nei contratti di consumo. Tutta questa disciplina è stata introdotta per un primo momento direttamente nel codice civile con un capo specificatamente dedicato alle norme sul consumatore (art 1469bis e ss.), in un secondo momento, quando il codice viene riformato, questa scelta è stata rivista e il legislatore ha ritenuto di privilegiare la specificità dei rapporti di consumo. Sono state quindi raccolte tutte le varie leggi disperse nell’ordinamento che riguardavano la tutela dei consumatori, sia di fonte nazionale (poche in verità) che di fonte comunitaria e sono state raccolte nel Codice del Consumo d. lgs. 206 del 2005. Detto codiceriguarda il rapporto di consumo nelle diverse fasi in cui si articola: dalla fase iniziale in cui l’impresa promuove la vendita dei prodotti (disciplina sulla pubblicità e sulle pratiche commerciali scorrette) sino alla fase dell’esecuzione (modalità di conclusione dei contratti, clausole vessatorie) e poi c’è una parte dedicata al sistema dei rimendi da applicare nel caso in cui vengano violate queste regole o nel caso di inadempimento dei contratti. Quindi troviamo regole generali, ma anche regole dettagliate che riguardano singoli tipi contrattuali: ad esempio, vendita di multiproprietà ovvero vendita telefonica, vendita porta a porta, vendita telematica, vendita di pacchetti turistici all inclusive, etc. Il primo passo che ora ci interessa è quello di distinguere l’ambito di applicazione di questo Codice di consumo che è parzialmente diverso perché la disciplina del Codice civile si applica a tutti i rapporti, viceversa, per quanto il fenomeno disciplinato sia il medesimo, l’ambito di applicazione è diverso perché le regole del codice del consumo si rivolgono esclusivamente ai rapporti tra professionista (inteso come qualunque operatore pubblico o privato che si trovi a svolgere un’attività economica) e consumatore (persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività economica eventualmente svolta). Punto controverso è la considerazione del consumatore soltanto come persona fisica perché si realizza una condizione di disparità di trattamento a fronte di esigenze affini (si pensi alle associazioni non riconosciute o al piccolo imprenditore) però sul punto la legge è chiarissima: solo la persona fisica può fruire delle norme sul consumo. C’è stato un caso giurisprudenziale in cui c’è una piccola deviazione: è stato ritenuto consumatore l’amministratore di condominio rispetto ai beni acquistati nell’interesse dei condomini; nonostante vi fosse un acquisto svolto nell’ambito dell’attività professionale, il giudice ha ritenuto di ricostruire il caso come se l’amministratore contrattasse nell’interesse dei singoli condomini. Le regole del Codice civile sono quindi ancora vigenti, solo che il loro campo applicativo riguarda solo i rapporti tra privati o i rapporti tra imprese. Se eventualmente un professionista stipula come privato dovrà dimostrare qual è la finalità dell’acquisto, il contenzioso si gioca molto su queste cose! Secondo il giudice bisogna andare a verificare l’uso prevalente. Questo tipo di impostazione è una novità per il nostro sistema, perché il codice civile ha predisposto delle regole presupponendo una contrattazione fra eguali e non una contrattazione “sbilanciata” come nel caso dei consumatori. Molti hanno criticato questo approccio come una logica paternalistica, ma in realtà con queste norme si vuole riequilibrare le posizioni di partenza. Tornando alla disciplina del codice civile dei contratti standardizzati, essa è contenuta negli arti. 1341-42. Nella relazione al codice civile leggiamo che “l’esigenza di semplificare sia l’organizzazione sia la gestione delle imprese, inducono l’imprenditore a prestabilire moduli il cui testo non può essere discusso dal cliente che non voglia rinunziare all’affare. Un tal metodo di conclusione del contratto non deve ritenersi illegittimo solo perché non ammette trattative ma costringe ad accettare patti già preparati, la realtà economica odierna si fonda anche su una rapida conclusione degli affari che è condizione per l’acceleramento del fenomeno produttivo. A questa esigenza va infatti sacrificato il bisogno di un’attività di trattativa che porterebbe intralci spesso insuperabili.” Nella dottrina si parla spesso con riferimento a questi atti di quick-handtransition, transazioni veloci senza spazio di ponderazione. La motivazione che emerge dalla relazione è proprio l’esigenza di economicità a fronte di rapporti che sono spesso connotati dall’impossibilità di ponderare adeguatamente l’atto di consumo. L’ambito di operatività dell’art 1341 è molto esteso perché in ogni caso non riguarda solo i rapporti fra imprese ma anche le pubbliche amministrazioni quando agiscono nei confronti dei privati. E’ interessante guardare i due meccanismi di tutela che l’art pone al primo e al secondo comma: agevole ,neanche per il giudice determinare quando effettivamente ricorra lo squilibrio tra prestazioni giuridiche perché ,come abbiamo detto,questo controllo di vessatori età non riveste il prezzo ma la verifica di posizioni. La legge non offre appigli precisi per vedere quando ricorre questo equilibrio di posizioni. Quello che si può dedurre dall’art. 33 è che questo giudizio che deve operare il giudice deve tenere conto delle circostanze esistenti al momento del contratto e quindi possono rilevare tutte quelle modalità con cui si è svolta la contrattazione. Bisogna considerare tutte le altre clausole corrispondente a un contratto collettivo da cui lo stesso contratto dipende. L’esempio è quello del caso del finanziamento all’acquisto ovvero rateizzazione dell’acquisto. Lo stesso venditore professionale che ti da la possibilità di ottenere da un istituto bancario un finanziamento e quindi propone un criterio interpretativo che è estraneo alla logica delle tecniche di interpretazione tradizionale. Ci dice per l’interpretazione di questo contratto di consumo che può essere di offerta di beni o servizi,non ci si può limitare a quel singolo contratto ma è necessario valutare la complessiva contrattazione,quindi le finalità perseguite dalle parti nei contratti collegati. Contratti collegati = strutturalmente diversi,che hanno la loro autonomia ma nell’insieme realizzano uno scopo unitario comune;nel caso di specie realizzano dell’acquisto attraverso il sistema di finanziamento). La valenza di questo criterio si evince dall’articolo 34 che va ad invitare il giudice di verificare tutte le circostanze in cui si è svolta la contrattazione,quindi nella verifica si andrà ad apprezzare come le parti si sono comportate e se ci sia violazione dell’obbligo di buona fede. Esiste una tipizzazione legislativa delle clausole dette abusive cioè il legislatore prima comunitario e poi quello nazionale hanno con la finalità di agevolare il compito del giudice,tipizzato alcune clausole che senz’altro si presumono vessatorie. Un elenco che non ha una natura tassativa ma indicativa e servono ad agevolare il giudizio. Questa riforma legislativa ha introdotto una doppia lista di clausole vessatorie:la lista nera e la lista grigia. La lista grigia di clausole è contenuta negli articoli nell’art 33 secondo comma. Queste clausole sono presunte vessatorie in assenza di una trattativa individuale,quindi sono clausole che non sono state negoziate. Queste clausole in generale sono 20 e il suo senso generale è che sono abusive e intendono escludere o limitare la responsabilità del professionista ovvero all’interno della tutela del consumatore. Queste possono riservare solo all’operatore professionale dei rimedi come il diritto di recedere dal contratto e questi stessi rimedi non è riconosciuto anche al consumatore. Ritroviamo anche delle clausole che tendono a rendere eccessivamente gravosa la difesa dei diritti del consumatore come ad esempio la clausola tipica del contratto e l’individuazione del foro competente per eventuali controversie in luogo diverso dalla residenza o domicilio del consumatore. Nel codice del consumo,nelle controversie che riguardano il consumatore il foro è sempre quello di domicilio o residenza del contraente debole. Rispetto a queste clausole indicate nell’art 33 2°comma,ritroviamo la presunzione relativa. La presunzione relativa:il professionista è legittimato a fornire la prova contraria o può dimostrare che il contenuto della singola clausola è stato negoziato,cioè che il consumatore aveva determinato l’escussione della clausola. La prova dell’avvenuta trattativa incombe sul professionista. Si presumono vessatorie fino a prova contraria per esempio le clausole che hanno per oggetto o per effetto di escludere o limitare le azioni dei diritti dei consumatori in ragione del professionista in caso di inadempimento o adempimento inesatto. Una clausola di questo tipo è stata invocata in un giudizio recente che riguardava diversi ricorsi posti in essere dal consumatore nei confronti della wind. Quest’ultima aveva fatto una massiccia campagna pubblicitaria per promuovere la telefonia fissa ,garantendo delle condizioni particolarmente vantaggiose. Si prometteva che al momento dell’attivazione non si doveva pagare più il canone telecom . In realtà tutti questi contratti della wind,in un’ordinanza del tribunale di Torino sono stati impugnati dai consumatori. A fronte del fatto che i consumatori dovevano corrispondere il prezzo per l’attivazione dell’offerta c’erano nel contratto una serie di clausole tra cui la wind si riservava di iniziare in derogazione delle prestazioni in un regolamento successivo. Quindi questi contratti erano sospesi,nel senso che la compagnia telefonica non erogava il servizio ma d’altro canto il cliente doveva effettuare la prestazione (pagamento prezzo di attivazione più altre spese fisse e più pagamento canone telecom). Questi ricorsi sono stati vinti dai clienti e la wind è stata soggetta al pagamento di un risarcimento di danno nei confronti dei clienti. Questo esempio quindi,ci fa vedere il funzionamento della clausola,cioè un impegno definitivo del consumatore,mentre l’esecuzione della prestazione del professionista è subordinata a una condizione il cui adempimento dipende dalla sua volontà. Oppure consentire al professionista di trattenere una somma di denaro,versato dal consumatore,escludono il contratto che riceve senza prevedere il diritto del consumatore che esige dal professionista il doppio della somma corrisposta. È il meccanismo che il nostro codice civile prevede per l’istituto della caparra. Se questo meccanismo viene meno,si prevede che il professionista possa solo trattenere la somma se il consumatore recede,anche in questo caso la clausola può essere ritenuta abusiva. Ad esempio la clausola al solo professionista e non al consumatore la facoltà di recedere dal contratto ovvero consentire al professionista di recedere da contratto a tempo determinato senza un ragionevole avviso. In tutti questi casi abbiamo visto limitazioni di responsabilità per il professionista e limitazioni di tutele per i consumatori fatta salva la prova contraria,che essenzialmente può consistere nell’approvazione che la clausola fosse stata negoziata. Un'altra differenza rispetto alla dottrina codici sta per i contratti di adesione,è che questa normativa pure se si riferisce ai contratti stipulati per condizioni generali e sottoscritti da privati,è una disciplina di carattere generale che riguarda tutte le contrattazioni. L’importante che ci sia una contrattazione tra professionista e consumatore. Accanto a questa lista grigia esiste anche una lista nera. La lista nera che si può individuare sia nell’art 36 però le stesse clausole sono anche scritte nell’at 33. Sono infatti sempre vessatorie le clausole che hanno per oggetto o per effetto ,di escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danni alla persona del consumatore,oppure sono abusive le clausole che escludono una relazione del consumatore nei confronti del professionista nei casi in cui ci sia stato un inadempimento totale o inesatto delle prestazioni del professionista. Una clausola di questo tipo sarebbe comunque nulla anche secondo la previsione del nostro cod. civile. Sono queste clausole sempre vessatorie,quindi nulle di diritto che non consentono alcuna prova contraria. E in questo caso la presunzione è assoluta. Questo tipo di clausole sono sbilanciata a favore del professionista e quindi sono da considerare nulle anche in virtù dei principi generali (1229 cod cilvile= è nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave. È nullo per qualsiasi parte preventiva l’esonero dell’obbligazione per i casi in cui il fatto del debitore con i suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi e di diritti contrari all’ordine pubblico. In questo caso il giudizio di nullità è ancorato alla prova di responsabilità di dolo o colpa grave. Il vantaggio dell’applicazione della regola del codice del consumo è che il consumatore sarà svincolato da ogni prova contraria,presunzione di vessatori età. Nella normativa comunitaria in materia di interessi economici i dei consumatori c’è sempre un riferimento alla circostanza che eventualmente l’applicazione al contratto della legge di un paese diverso possa privare il consumatore dei diritti che provengono da queste regole,questo avviene nei contratti sottoposti ad una legge straniera. Molto spesso il problema è l’applicabilità della legge di un paese extracomunitario. Il sistema di tipizzazione delle clausole si chiude con una previsione di nullità ,sono nulle tutte le clausole contrattuali che prevedendo eventualmente l’applicabilità al contratto della legislazione del paese terzo abbia l’effetto di privare al consumatore della protezione invece assicurata dalle norme di diritto interno. Questo elencazione non è tassativa quindi anche in violazione di questo tipo di elenco saranno applicabili i criteri interpretativi di tipo estensivo o analogico o in ogni caso vado a considerare come abusive clausole non indicate in quest’elenco ma vi sono i principi indicati all’art. 33 1 comma. Il tipo di verifica che deve fare il giudice riguarda lo squilibrio che potremmo definire normativo e non economico. Lo squilibrio tra posizioni contrattuali. La regola generale è che il giudice si deve disinteressare di questo tipo di criterio perché la parte si ritiene che sia libera di determinare il prezzo di acquisto. Il legislatore e il giudice non entrano nella verifica della congruità dello scambio,adeguatezza del corrispettivo. Ci sono istituti che invece impongono un controllo anche sulla determinazione del corrispettivo,soprattutto quando ricorrono determinate circostanze che in qualche maniera possono aver alterato la capacità della parte per quanto riguarda la convenienza dell’affare. Quali sono gli istituti dello scioglimento del contratto che va a verificare se esiste un equilibrio tra le prestazioni o per esempio parlando della capacità di contrattare tra le parti si è fatto l’esempio del contratto concluso da incapace naturale. La rescissione del contratto concluso in caso di bisogno o di pericolo,altro esempio. Art 1447-8 cod civile. Il caso classico riguarda contratti che sono stati conclusi in particolari condizioni. Di recente alcune normative settoriali hanno previsto un controllo giudiziario sull’equilibrio economico del contratto. Per esempio il contratto su procedura. In quella legge si prevede testualmente che l’abuso su una parte o sull’altra può consistere nell’abuso di condizioni economiche ingiustificatamente gravose. Quindi anche nella normativa c’è un riferimento al controllo sull’equilibrio economico. La disciplina in esame non descrive un controllo sull’adeguatezza dei corrispettivi,ecco perché questa premessa perché il giudizio è ancorato solo a un controllo di tipo normativo. C’è una previsione che richiama la necessità che anche l’oggetto del contratto è manipolata dalla legittimazione del prezzo sia inquadrata in maniera chiara e comprensibile cioè,nella disciplina dei contratti dei consumatori il controllo economico è mediato dalla verifica della trasparenza del contratto. Il professionista ha un ulteriore obbligo di fornire un testo contrattuale che sia chiaro e trasparente come garanzia e conoscenza degli impegni che effettivamente le parti stanno subendo. Quindi ai sensi dell’art 34 del codice del consumo,la valutazione di vessatori età non riguarda la valutazione dell’oggetto del contratto e in particolare l’adeguatezza del corrispettivo purché questi elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile. Questo significa che il controllo economico in astratto non è previsto ma è mediato attraverso questo obbligo di trasparenza. Il giudizio che deve operare il giudice quando c’è vessatori età tenendo presente che ci sono eccezioni ossia si può attivare tutele diverse nel caso in cui si va dinanzi ad un giudice ordinario l’autorità andrà a verificare la legittimità sotto il profilo della vessatorietà di queste clausole e quello che può fare è inibire l’ uso della clausola nel futuro; l’altra via che è sempre percorribile sia dalle associazioni dei consumatori ,ma anche sulla base di una segnalazione dei privati, è quella di intentare la via amministrativa ,cioè il ricorso presso le autorità amministrative, ce ne sono diverse: abbiamo l’ autorità garante delle comunicazioni, della privacy che si occupa, per esempio ,dei minori rispetto ai contenuti televisivi, garante della pubblicità, nel nostro caso in particolare è importante il ruolo dell’ autorità garante della concorrenza e del mercato che si occupa dei profili soprattutto in concorrenza tra gli operatori e tutela dei consumatori. In questa materia delle clausole abusive e soprattutto delle garanzie, l’autorità antitrust ha un ruolo decisivo ,però sul piano delle tutele dei consumatori è più efficace il ricorso giurisdizionale , c’è un’ istruttoria però alla fine la sanzione è amministrativa, cioè si risolve con l’ imposizione di una multa, dunque una sanzione pecuniaria. Cosa diversa è che le associazioni rappresentative o i singoli consumatori sulla base di quella pronuncia possono chiedere un risarcimento al giudice e dunque l autorità può inviare un’istruttoria sulla base delle segnalazioni dei privati, però poi è chiaro che c’è un giudizio di disvalore ,si dice questa clausola è illegittima ,perché viola…però si risolve con una sanzione pecuniaria e sul piano degli effetti amministrativi per ottenere poi il risarcimento bisogna comunque seguire la via della giurisdizione ordinaria. Quindi si parla di tutela collettiva e degli interessi dei consumatori proprio perché punta questo tipo di azione a far accertare dal giudice l’eventuale vessatorietà delle clausole che sono contenute in un contratto ,ed eventualmente il giudice si potrà avvalere anche delle presunzioni di vessatorietà che sono contenute nella cosiddetta lista grigia perché sarebbe sicuramente nulle quelle tre clausole che abbiamo indicato come appartenenti alla lista nera che sono nulle di pieno diritto. Il giudice, avvalendosi sia della clausola generale che si riferisce allo squilibrio significativo tra posizioni contrattuali ,sia avvalendosi delle presunzioni di vessatorietà contenute nella lista grigia ,può ritenere l’ abusività di una clausola, anche al di fuori del caso in cui ci sia stato già un pregiudizio di un consumatore ,cioè è una valutazione anteriore su uno squilibrio anche solo potenziale, quindi può riguardare anche o contratti già stipulati o anche ad esempio contratti predisposti da associazioni ,ma che non sono ancora entrati nel circolo della contrattazione ,come ad esempio l’ associazione bancaria che adotta modelli rispetto ai quali poi sollecita l’ adesione delle singole banche. Quindi rispetto al rimedio individuale che è sempre successivo alla stipula di un contratto, il rimedio collettivo non riguarda effettivi danni che si possono essere verificati a carico dei singoli consumatori, proprio perché è un rimedio attivabile in maniera anteriore ed è rivolto a tutelare la generalità dei soggetti che appartengono alla cerchia dei consumatori. Si parla in questo senso di tutela collettiva, generale, astratta, perché l’ adesione può essere anche solo potenziale. Una specificità della disciplina contenuta nel codice del consumo ce l’abbiamo quando parliamo di azione inibitoria possiamo distinguere un giudizio ordinario ,cioè che si svolge secondo le regole ordinarie ,rispetto ad un giudizio cautelare che è un giudizio connotato da particolari ragioni di urgenza. Si parla di tutela cautelare quando ricorre un motivo che spinge ad un giudizio abbastanza sommario che poi può essere eventualmente approfondito, e quindi se si ha l’urgenza di provvedere in termini rapidi si parla di tutela cautelare. C’è un giudizio cautelare generale che è disciplinato nel codice di procedura civile e nel gergo avvocatesco si dice” facciamo un 700”,perché 700 è l articolo di procedura civile che disciplina i provvedimenti d’urgenza e coincide con il provvedimento urgente. Ad es la casa di fianco alla mia rischia di crollare e se il vicino non vuole fare le opportune modifiche vado dal giudice affinchè condanni il vicino a fare le modifiche ,per evitare che la casa mi cadi addosso. Questo è il caso tipico del provvedimento d’ urgenza. Le regole per attivare una tutela urgente, nel caso delle clausole abusive ,è il codice del consumo che ci dice le regole da seguire distinguendo il caso della inibitoria ordinaria (che è definitiva quindi pronunciata con una sentenza che determina l’abusività della clausola e inibisce l’uso della clausola) rispetto ad un inibitoria che è provvisoria e cautelare dettata da motivi di urgenza e che ha anche il carattere della provvisorietà, ed in questo caso viene emanato con un ordinanza che però può chiaramente essere impugnata e può aprire la strada ad un giudizio più complesso che si chiuderà con una sentenza . Necessario è interpretare questa formula ,cioè l’espressione “ giusti motivi di urgenza che legittima l’ accesso alla tutela cautelare”. Nell’esempio che vi ho fatto io è chiaro che c’è un ‘immediata necessita di provvedere ,ma nel caso di potenziale lesione dei diritti dei consumatori non è sempre facile verificare quando ci sono motivi d urgenza. In generale questa formula ,per espresso richiamo dal codice del consumo, dice che questo tipo di giudizio cosiddetto inibitorio seguirà le regole degli articoli del codice di procedura civile, ovvero l’articolo 700 intitolato ai provvedimenti urgenti. L’articolo 700 richiede un requisito ulteriore, cioè non solo l’ urgenza ,ma la necessità di prevenire un rischio imminente e irreparabile, urgenza di provvedere in ragione di un pregiudizio imminente e irreparabile. Dunque bisogna verificare se nella inibitoria regolata dal codice del consumo riguardo gli interessi dei consumatori oltre al requisito dell’urgenza sia necessario effettivamente individuare questo rischio di questo pregiudizio imminente. La giurisprudenza che finora si è espressa in questi casi ,è giunta a risultati abbastanza restrittivi ,cioè pretendere che anche con riferimento ai diritti dei consumatori sussista questo rischio di questo pregiudizio irreparabile. Questa formulazione presa alla lettera induce ad adottare ordinanze a carattere restrittivo ,perché non è sempre facile che ricorra ,rispetto alla tutela dei diritti dei consumatori ,un pregiudizio di questo tipo, soprattutto se considerate che questo tipo di giudizio ha carattere generale e soprattutto astratto e prescinde da eventuali lesioni che si siano già verificate in relazione a contratti già conclusi. Quindi si potrebbe riferire magari a contratti che non sono stati ancora stipulati ,ma rispetto ai quali si sollecita l’adesione. Sicuramente la premessa è che l’articolo 37 del codice del consumo nel momento in cui disciplina questo tipi di inibitoria, espressamente richiama il l’articolo 700 del codice di procedura civile ,quindi quello che sappiamo per certo è che rientra nella tipologia dei provvedimenti di urgenza che sono disciplinati da questa norma.. però va accertato nel caso delle clausole abusive dei contratti dei consumatori .Ma in che cosa si deve sostanziare questo tipo di pregiudizio ? nel codice del consumo il riferimento testuale è solo a motivi d’urgenza ,cioè non è stato riproposto il criterio del pregiudizio imminente e irreparabile, ed in qualche maniera noi potremmo essere portati a pensare che i requisiti per accedere alla tutela cautelare, nel caso delle associazioni dei consumatori ,siano più semplici e cioè si abbassa la soglia per accedere alla tutela. Sembrerebbe che il riferimento testuale è operato solo, dall’articolo 37 del codice del consumo, a motivi d’urgenza e non anche a pregiudizi imminenti e irreparabili a cui si riferisce l’ articolo 700. Ciò in qualche maniera ci porta a pensare che il legislatore ha ritenuto di abbassare la soglia per accedere a quel tipo di tutela. La giurisprudenza non ci fornisce delle risposte chiarissime su questo punto ,nel senso che per certi versi prevale un orientamento restrittivo ,che è stato condannato dalle istituzioni comunitarie che invece promuovono molto il ruolo delle associazioni rappresentative dei consumatori in funzione di una tutela che sia la più ampia possibile, una tutela che si riferisca alla generalità de consumatori. Secondo la casistica ,che possiamo analizzare dal complesso, non emergono soluzioni precise e uniformi e quello che diciamo in via di estrema semplificazione è che possiamo distinguere due orientamenti diversi : Si chiede dunque quali sono i motivi gravi e urgenti che possono legittimare le associazioni dei consumatori ad agire per far inibire in maniera rapida e provvisoria l’utilizzo di una clausola Secondo l’orientamento più restrittivo, che viene denominato qualitativo ,questi motivi gravi e urgenti ricorrerebbero solamente quando le clausole oggetto del giudizio vadano ad incidere su diritti fondamentali della persona o cmq più in generale quando siano inserite in contratti riguardanti beni o servizi che soddisfano esigenze primarie della vita. quindi questa linea interpretativa è nota nella dottrina come orientamento qualitativo ,perché questa linea interpretativa riconosce la specifica rilevanza della natura del bene o del servizio interessati dalla contrattazione ,cioè un criterio qualitativo degli interessi in gioco che premia in qualche maniera gli interessi primari ,cioè se il contratto incide sui diritti fondamentali della persona o riguarda, per esempio, beni che soddisfano esigenze primarie della persona in questo caso si può ritenere assolta la prova del giusto motivo di urgenza,questo perché chiaramente in un giudizio cautelare esercitato ai sensi dell’articolo 700 del codice di procedura civile saranno le associazioni dei consumatori che per avere questa tutela in tempi rapidi dovranno avere la prova dell’ urgenza, regola che vale per tutti i procedimenti d ‘urgenza,cioè chi agisce in tutela cautelare dovrà provare il tipo di pregiudizio e le ragioni dell’urgenza e sarà l’altra parte a dimostrare che non sussiste il diritto ,ovvero che non ci sono ragioni d’urgenza. Secondo un primo orientamento qualitativo si deve andare a vedere quali sono gli interessi dei consumatori oggetto della contrattazione, quindi se questi contratti riguardano beni che si riferiscono ad esigenze primarie allora si può ritenere assolto il requisito dell’urgenza di provvedere . Ed è chiaro che è un criterio abbastanza impreciso ed incerto perché rimette al giudice un ruolo abbastanza complesso e molto arbitrario, perché non è sempre facile individuare quando un determinato bene assolve ad un esigenza fondamentale perché quello che può essere fondamentale per un soggetto può non essere fondamentale per un altro , ed è soprattutto chiaro che una valutazione di questo tipo restringe eccessivamente le possibilità di accedere alla tutela . Per esempio un caso in cui è stata riconosciuto rilevanza essenziale ad un criterio di questo tipo è stata esaminata dal tribunale di Palermo e riguardava un giudizio cautelare inibitorio (quando parlate di inibitoria mi raccomando a distinguere l’inibitoria ordinaria ,cioè il giudizio ordinario che si conclude con una sentenza ,rispetto a quello cautelare, per quello ordinario problemi non ce ne sono perchè il giudice ha tutto il tempo di fare le sue valutazioni con calma e di valutare quindi poi di inibire con sentenza, mentre in quello cautelare la particolare la necessità di svolgere questo giudizio in tempi rapidissimi conduce ad un alterazione delle regole procedimentali classiche). In un caso esaminato in sede cautela dal tribunale di Palermo , caso di clausole abusive in un contratto di trasporto marittimo, il tribunale di Palermo perché riguardava il vettore del traghetto cioè il vettore ovvero l’organizzazione di tour operator che gestiva la rete di trasporto attraverso il traghetto, alcune condizioni di queste, chiaramente anche lì si trattava di condizioni generale ,di contratti corrisposti da questi operatori turistici ,che contenevano delle clausole che per esempio consentivano al gestore del servizio di sospendere il servizio per motivazioni tecniche in base a formulazioni generiche che non garantivano assolutamente il servizio, tutto ciò svolto in regime di quasi monopolio in quanto solo sono due-tre gli operatori che gestiscono il traffico dei traghetti. È chiaro che il tribunale di Palermo che ha accolto e ritenuto, sia pure in via provvisoria e cautelare , sussistenti le ragioni dei consumatori fatte valere attraverso le associazioni rappresentative proprio ritenendo che questo contratto di trasporto incidesse nei diritti fondamentali ed in particolare sulla libertà di circolare. Quindi nella fattispecie ha contato molto la circostanza che si trattava di un attività svolta in regime di quasi monopolio e che i consumatori che volevano accedere a questo servizio non avevano altra scelta, e poi un po’ forzatamente il fatto che è un contratto che incide sui diritti fondamentali dell’individuo fra i quali quello di circolare liberamente . Questo caso si è concluso positivamente , ma ci sono poi altri in cui è difficile ravvisare questa ricorrenza dei diritti fondamentali e quindi è per la maggior parte dei casi l’applicazione di questo criterio qualitativo conduce a soluzioni negative,tanto che è stato molto criticato dalle istituzioni comunitarie,tanto che si sta facendo strada nella giurisprudenza un secondo criterio”quantitativo” ,cioé secondo questa giurisprudenza la valutazione in ordine alla sussistenza di giusti motivi di urgenza, dovrebbe essere effettuata sulla base della considerazione del grado di diffusione dei contratti, attuale o potenziale ,cioè nei contratti in cui sono impiegate la clausole che si presumono il primo riferimento normativo utile in questa materia è contenuta nel DECRETO LEGISLATIVO N50 DEL 92 CHE HA DISCIPLINATO PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA le VENDITE PORTA A PORTA , nel decreto si parla disciplina dei contratti stipulati fuori dagli stabilimenti commerciali ,quindi o presso il domicilio del consumatore, o presso il luogo di lavoro del consumatore ,o presso luogo di svago , vacanza, o ospedale… Vi è una diretta sollecitazione d’acquisto presso il domicilio del consumatore .In questa disciplina l’art 9 estende anche ad altre forme speciali di vendita ,che siano concluse a distanza ,le speciali tutele che sono riservate all’acquirente , ossia il diritto di recesso . In questa operazione di ricostruzione delle fonti disciplinari la prima regola che si è occupata di tecniche di contrattazione a distanza è appunto tale decreto . Tuttavia il nucleo centrale della disciplina delle vendite a distanza si ritrova in un decreto successivo approvato nel 1999 in particolare nel decreto legislativo n 185 anche questo adottato in attuazione di una direttiva comunitaria la n 7 del 1997 . Prima della approvazione del codice del consumo ,per rintracciare la disciplina per tale negoziazione era abbastanza difficile . La possibilità di recedere dal contratto nonostante il contratto sia stato stipulato ,cioè nonostante ci sia un vincolo perfettamente concluso e quindi vincolante vi è la possibilità di recedere , la tutela è la stessa ,ma la ratio nei due provvedimenti che abbiamo individuato è abbastanza diversa perché la ragione di tutelare il consumatore rispetto alle vendite porta a porta è proprio l’effetto dirompente della sorpresa . Nel caso di tale vendite la finalità è quella di proteggere da una scelta di consumo che potrebbe essere avventata perché non previamente ponderata , ciò lo vediamo nel caso di elettrodomestici che hanno anche prezzi abbastanza alti come per il BIMBI, la FOLLETTO… Dunque proprio per proteggere da questo effetto sorpresa , si riconosce il diritto di recesso . Nel caso delle vendite telematiche, non c’è l’effetto sorpresa perché il consumatore si rivolge ad un sito , il profilo di debolezza nella relazione contrattuale è che in tal caso i contraenti non sono negozialmente presenti nello stesso luogo e ciò non consente di dialogare , a differenza di quanto accade a porta a porta in cui comunque si può fare più domande. Ci sono casi in cui si può scambiare email con operatori ,però questa possibilità non c’è sempre, infatti in quasi tutti i casi si può solo compilare un modulo . La tutela per questa contrattazione non consente di dialogare, infatti nella dottrina Irti lo definisce una scambio senza accordo, in quanto in questo tipo di scambio non c’è l’accordo ed il contratto non sembra esistere più. L’altro profilo è quello della impossibilità di verificare la qualità della merce del servizio. Essenzialmente dunque  non trattativa  non dialogo  impossibilità di verificare in maniera concreta e diretta le caratteristiche del servizio  impossibilità di conoscere le condizioni della vendita ,le caratteristiche del prezzo (es se il prezzo è comprensivo del prezzo del trasporto) Accanto a queste discipline che oggi sono confluite nel codice del consumo è necessario anche considerare un altro testo normativo adottato in attuazione di una direttiva comunitaria, ovvero la direttiva sul commercio elettronico del 2000 n 31 , attuata nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n 70 del 2003 che si riferisce al commercio online nella prospettiva di promuovere la libera circolazione dei servizi nella società dell’informazione , cioè la finalità del legislatore comunitario è sempre quello di uniformare e armonizzare le regole , quindi delineare un quadro giuridico chiaro in cui si debba svolgere il commercio elettronico tra i cittadini degli stati membri diversi, e quindi nella prospettiva di rafforzare la fiducia dei consumatori e di promuovere il mercato . Questa disciplina ha rilevanza limitata nell’ambito della prospettiva del diritto civile perché è una disciplina che spiega i suoi effetti soprattutto sul piano delle esecuzioni amministrative ,cioè è una disciplina che richiama altri testi legislativi e sanziona con una sanzione amministrativa peculiare gli operatori che non si attengono alle regole informative che si rinvengono non solo in questo testo normativo ,ma anche in altri. Questo decreto legislativo n 70del 2003 è importante nelle vendite online ma esaurisce la sua rilevanza nell’imporre delle sanzioni a carico degli operatori professionali che non rispetta no gli ordini informativi che impregnano tutto il discorso della contrattazione a distanza. In generale nelle fattispecie della contrattazione telematica a distanza possono entrare in gioco : in primis le regole appena analizzate sulle clausole abusive perché molto spesso le contrattazioni telematiche avvengono in condizioni che vengono proposte e quindi è chiaro che anche rispetto alla contrattazione online posso attivare una verifica di abusività di eventuali regole, e quindi anche la disciplina studiata fino ad ora può essere astrattamente applicabile ; in secondo luogo saranno certamente applicabili anche alla contrattazione online le regole sulla garanzia di conformità dei beni, ed è il caso classico in cui io acquisto il bene e sono contenta dell’acquisto e non recedo ,e quindi trascorsi i giorni in cui posso recedere ,generalmente 10 giorni, ed allora l’operazione economica è stabilmente compiuta ,però se nel momento in cui ricevo il bene c’è una qualche difformità rispetto a quanto pattuito o rispetto a ciò che avevo visto su internet, o rispetto al materiale informativo, potrò comunque attivare una serie di rimedi perché il bene non corrisponde alle mie aspettative ,ed in questo caso tornano in gioco le valutazioni sugli obblighi aspettativi che gravano su questi operatori . Gli operatori devono dire esattamente quali sono le caratteristiche dei beni promessi in vendita ,ed è chiaro che avranno rilevanza non solo le dichiarazioni specificamente riportate, ma anche le fotografie , le raffigurazioni , cioè se c’è una qualsiasi difformità rispetto a quanto offerto ,non rileva solo il caso della marcia effettivamente difettata dunque , ma rileva qualsiasi diversità rispetto a quanto pattuito , per cui se io ho comprato le scarpe gialle , ma arrivano verdi ,posso mandarle indietro e devono restituire i soldi! Nella disciplina delle garanzie si può ricorrere al venditore se la cosa ha un difetto che incide sulla funzione, sul valore economico, cioè difetto intrinseco materiale. Nella nuova disciplina delle garanzie di fonte comunitaria che chiaramente ha un ruolo essenziale soprattutto nelle vendite telematiche , vi è un cambiamento in quanto non rileva solo il difetto, ma qualsiasi difformità che può riguardare il pregio, il tessuto, il colore rispetto a quanto pattuito . Gli aspetti essenziali della contrattazione telematica da sapere sono : obblighi dell’operatore , attivazione di tutele speciali ovvero il recesso che non espone a nessuna conseguenza per l’uso che avrei potuto aver fatto del bene , uso pur sempre che mantiene l’integrità della merce. Lezione 12 marzo Concludiamo il discorso sulle vendite a distanza Il quadro disciplinare delle vendite a distanza è piuttosto incerto e frammentato perché esistono delle normative che si riferiscono a profili disciplinari specifici riguardanti però in generale le vendite a distanza. Abbiamo già richiamato i d.lgs di fonte comunitaria che hanno disciplinato alcune specifiche modalità di vendita come le vendite porta a porta successivamente al d.lgs 185/99 sulle vendite in generale a distanza, o la normativa sul commercio elettronico. Abbiamo aggiunto che è necessario considerare da un lato che la particolare tecnica di formazione dell’accordo comporta l’applicazione anche a queste vendite della disciplina delle clausole abusive, proprio perché nella maggior parte delle ipotesi dei contratti conclusi online il testo contrattuale è predisposto unilateralmente dall’operatore commerciale. Ugualmente si applicheranno le regole sulle garanzie dei beni nel caso in cui il bene compravenduto a distanza dovesse eventualmente avere dei difetti  quindi diverse fonti disciplinari. Attualmente il compito degli interpreti e di quanto si approcciano allo studio di questa materia è semplificato perché la maggior parte di questi testi normativi è stata accorpata nel codice del consumo; negli artt. 50 e ss. è presente questa disciplina tranne quella sul commercio elettronico nella società dell’informazione (d.lgs 70/2003) perché nonostante contenga dei riferimenti specifici a questa particolare tipologia di vendita, anche sotto il profilo degli obblighi del prestatore dei servizi (cioè di chi appresta un sistema di vendita online), il piano di questa legge spiega i suoi effetti soprattutto sul piano amministrativo e collega all’inosservanza di determinati obblighi (come l’informazione), determinate sanzioni pecuniarie e amministrative. Quindi la disciplina della vendita porta a porta, la disciplina del diritto di recesso del consumatore e la disciplina della vendita a distanza è essenzialmente attualmente contenuta nel codice del consumo, salvo una necessaria integrazione con alcune norme del decreto sul commercio elettronico. In particolare la normativa che ci interessa è contenuta negli artt. 50 e ss. si tratta di una normativa che tende a ricondurre le parti su un piano di parità. Il consumatore è visto come parte debole del rapporto e tutte le contrattazioni che vedono coinvolto il consumatore sono caratterizzate dalla cosiddetta asimmetria di potere: una asimmetria di poteri contrattuali, che poi può svolgere i suoi effetti su piani diversi; infatti può riguardare le informazioni relativamente al tipo di bene o di servizio, può anche essere una asimmetria relazionale per es. quando ci troviamo nei rapporti tra impresa (quindi al di fuori). Il problema della debolezza del contraente non riguarda solo i consumatori, ma anche i rapporti tra imprese perché se una impresa lavora in regime di monocommittenza e fornisce semilavorati solo ad una grande impresa, è chiaro che avendo un unico interlocutore da cui dipende la sua sopravvivenza, si pongono le stesse esigenze di protezione e il tipo di asimmetria in questo caso è detta relazionale. In generale esistono questi rapporti connotati da asimmetria e le disciplina agiscono per apprestare un riequilibrio dei rapporti contrattuali. Nel caso delle vendite a distanza tra professionisti e consumatore, questo riequilibrio delle posizioni contrattuali si ottiene da un lato imponendo al professionista specifici doveri di informazione (cosa è obbligato a comunicare al cliente e quali sono le conseguenze nel caso in cui queste informazioni non vengano fornite), d’altro canto il riequilibrio viene ottenuto tramite il riconoscimento del diritto di recedere dal contratto. L’art. 50 del Cod. Cons. inizia con il definire quello che si intende per contratto a distanza. Quando un contratto è a distanza? “è a distanza il contratto avente per oggetto beni o servizi, stipulato tra un professionista e un consumatore nell’ambito di un sistema di vendita o di prestazione di servizi a distanza organizzato dal professionista, che per tale contratto impiega esclusivamente una o più tecniche di comunicazione a distanza fino alla conclusione del contratto, compresa la conclusione del contratto stesso.” Cosa significa? Quali sono le informazioni fondamentali che possiamo trarre di sfera operativa. Quali sono i soggetti a cui la normativa si applica? Abbiamo più volte detto chi è Il “consumatore”. ATTENZIONE a quando parliamo di “professionista” perché il termine può essere fuorviante! Professionista è una traduzione dai testi inglesi e francesi in cui il termine si riferisce non solo alle professioni che da noi coincidono con le professioni intellettuali o tecniche (medico, ingegnere, avvocato); nel gergo comunitario l’attività professionale coincide più in generale con l’attività economica, quindi non necessariamente professionisti nel nostro senso classico della definizione, ma qualunque persona fisica, pubblica, privata che offra beni e servizi nell’ambito della propria attività economica che può essere artigianale, professionale, commerciale, imprenditoriale, ecc. Molto diffusa nella contrattazione online e in alcuni formulari è la dicitura breve BtoB, BtoC (business to consumer o business to business). Molto spesso nei modelli viene usata questa espressione che rende meglio l’idea del business intesa come qualunque tipo di attività economica e non è limitata alla sfera professionale come erroneamente intende il legislatore italiano. Questa è la prima annotazione informazioni che devono essere date ai consumatori nella prospettiva di consentirgli una scelta di consumo consapevole. “In tempo utile” cioè prima della conclusione del contratto a distanza, “il consumatore deve ricevere le seguenti informazioni” :  Identità del professionista, localizzazione e sede dell’operatore commerciale ovviamente se il contratto prevede il pagamento anticipato (ci sono anche casi in cui si adotta la modalità di pagamento in contrassegno cioè al momento della consegna del bene al vettore) perché lo stesso professionista l’ha imposto di costituzione del contratto al momento stesso della accettazione, devono essere fornite tutte le informazioni relative alla localizzazione cioè l’indirizzo dello stesso per avere la possibilità di rivolgerci a qualcuno per eventuali contestazioni. Chiaramente questa esigenza è maggiore nel caso in cui il pagamento avviene in modo contestuale.  Caratteristiche essenziali del bene o del servizio  è necessario che sul sito siano indicate tutte le caratteristiche relative ai beni offerti in modo essenziale. Esempio: queste caratteristiche si riferiscono a colore, pregio, tessuto, (nel caso dell’acquisto di un maglioncino) a qualità a tipo di fibra, ma anche caratteristiche di funzionalità come nel caso di un prodotto informatico che qualifica il bene in termini di potenza, velocità. Esiste un mercato molto diffuso dell’assistenza online rispetto alle macchine informatiche grazie al quale si possono correggere alcuni difetti delle macchine direttamente online! Quasi sempre quando acquistiamo un servizio online si tratta di un servizio continuativo, di durata, in quel caso il sistema di regole è quello dell’inadempimento e ci sarà la possibilità di recedere. Se avviene tutto online, anche la stessa prestazione, ove il software non dovesse soddisfare le richieste o non essere aderente alle caratteristiche descritte online, c’è la possibilità di chiedere la sostituzione o si potrà aprire uno scenario diverso della eventuale difettosità. (tutto questo è possibile solo nel caso in cui non avviene una vera e propria consegna; per cui rispetto ai servizi bisogna fare delle esclusioni ). Queste caratteristiche essenziali saranno ovviamente diverse a seconda del tipo di prodotto e questa descrizione sarà tanto più importante, quanto più si parla di beni sofisticati ad alto contenuto tecnologico. Più sono semplici, più ci si può limitare al tipo di fabbricazione, ai materiali, ecc. Quanto più sono sofisticati, tanto più questo obbligo informativo diventa più pregnante e le caratteristiche vanno dettate in maniera più puntuale ed esaustiva rispetto agli altri beni di consumo. Se si lascia decorrere inutilmente un termine per recedere e si apre un contenzioso sulle caratteristiche del bene, allora ci saranno tutta una serie di prove e controprove che professionista e consumatore dovranno allegare; per esempio il professionista dovrà dimostrare di aver dato tutte le informazioni possibili e dimostrare l’esatto adempimento dell’obbligo informativo. In una situazione di questo genere, che è già patologica vista la nascita della controversia giudiziaria, avrà rilevanza andare a verificare come questo tipo di obbligo è stato assolto. La formula è generale e si riferisce a tutti i tipi di bene e alle regole e alle caratteristiche generali, chiaramente nelle aule dei tribunali queste formule si vanno a concretizzare sulla base sia di come si è svolto il giudizio, su ciò che ritiene il giudice cioè se si può ritenere che l’obbligo informativo sia stato svolto in maniera corretta o meno, sia conforme o meno. Per non far abusare il consumatore di questo diritto, non ogni minima e piccolissima deviazione può legittimare alla risoluzione del contratto, ma ci può essere una soluzione diversificata come la riduzione del prezzo! Questo è previsto perché è la logica di tutta la normativa comunitaria delle vendite ai consumatori, in generale è vero che si vuole garantire la tutela dell’acquirente ma sempre con un occhio al mercato e alla stabilità dell’operazione. Si tende perciò a conservare il contratto piuttosto che ad annullarlo o invalidarlo con l’utilizzo di questi rimedi, piuttosto che annullare e sciogliere il vincolo c’è la preferenza, quando si può, di ricorrere ad aggiustamenti diversi: riparazione, sostituzione del prodotto o riduzione dei prezzi. Perciò la possibilità della risoluzione del contratto da un lato riguarda i difetti che non siano proprio lievi (c’è quindi una sorta di valutazione della gravità); dall’altro lato è il rimedio a cui è possibile accedere in ultima battuta quando i rimedi precedenti non siano stati espediti con successo per una serie di motivi (es. ci mettono 3 mesi per la riparazione si preferisce risolvere il contratto e non avere più il bene). Si devono però compiere una serie di circostanze. Altro esempio: caso di un bene irreparabile e infungibile in cui necessariamente si giungerà alla risoluzione del contratto. Queste normative comunitarie (che oramai sono di diritto interno) aldilà delle critiche che possono essere mosse al nostro legislatore che non ha integrato queste norme nel nostro sistema, non si è preoccupato di coordinarle con quelle del sistema interno, ma le ha prese in tronco e le ha inserite nei vari decreti legislativi e nel Codice di Consumo. Tutto questo da origine ad una serie di problemi nonostante la previsione di un doppio binario disciplinare. Per esempio quando entrano in applicazione le regole nazionali: se chiedessi il risarcimento del danno, di cui il diritto comunitario non si è occupato. Problema grave e non risolto perché ci si chiede se il regime del risarcimento del danno segua quanto a termini per esercitare l’azione i nuovi termini previsti dal codice del consumo più ampi e garantisti oppure vista la norma del doppio rinvio che afferma “per quanto non espressamente previsto si applica il Codice Civile” (contenuta sia nel codice civile che nel codice del consumo), si applicano i termini del Codice Civile. Non è facile a livello concettuale e la dottrina è assolutamente divisa su quale debba essere il regime perché a fronte di una prestazione difettosa posso decidere di risolvere, ma posso aver subito un danno e potrei agire con la richiesta d risarcimento danni. Secondo alcuni proprio per la finalità di protezione di questo corpo di norme che riguarda la protezione dei consumatori, si dovrebbero applicare i termini di prescrizione molto più ampi di quelli del codice di consumo. Invece altri, in virtù di questa clausola di rinvio, suggeriscono che piuttosto di incorrere in una decadenza, di provvedere subito ad una richiesta di risarcimento entro i termini previsti dal Codice Civile, poi con più calma seguendo il codice del consumo mi posso muovere con più calma. Sarebbe perciò bastato che il legislatore italiano avesse aggiunto una norma per disciplinare anche il caso del risarcimento del danno. Il contratto di compravendita è stato più inciso da parte del legislatore comunitario; poi la disciplina la ritroviamo in diverse discipline, ma in generale ha ricevuto l’impulso anche da parte del legislatore. Sappiamo che effetto di una direttiva comunitaria è quella di obbligare a garantire certi diritti ma è chiaro che c’è uno spazio discrezionale piuttosto ampio sui metodi e le modalità. Siamo accomunati a livello europeo da una prospettiva minimale e lo Stato può sempre migliorare il pacchetto dettato a livello comunitario , sta nella discrezionalità del legislatore adottare legislazioni anche maggiormente garantiste. Tant’è vero che fronte della direttiva sulla compravendita dei beni di consumo, il legislatore spagnolo per esempio ha a riguardo inserito la possibilità di rivalersi non solo nei confronti del rivenditore, ma anche del produttore, in base ad un sistema di responsabilità civile extra-contrattuale; invece il nostro legislatore prende il pacchetto e lo inserisce nel nostro sistema senza modifiche.  Altro elemento  il prezzo: deve essere chiaro per capire se è comprensivo di tasse di trasporto, spesa, ecc. Per esempio nella direttiva del 2011 dei diritti dei consumatori viene ulteriormente rafforzato questo passaggio sanzionando come illecite le pratiche degli operatori commerciali che operano online di aggiungere automaticamente alcune spese (esempio Ryanair che spunta alcuni servizi come il posto macchina o il noleggio dell’auto ecc e spetta al consumatore deselezionare se non vuole questi sevizi aggiuntivi). Nella nuova direttiva del 2011 (che da noi non è ancora stata trasposta) si fa riferimento a questo tipo di pratiche considerate illecite in prospettiva di rendere il prezzo e la sua determinazione quanto più chiaro e trasparente. Quindi le singole voci di prezzo devono essere indicate specificamente e separatamente e deve essere il consumatore a decidere cosa voler aggiungere con un prezzo separato. Si sanzionano le pratiche come queste. Anche le spese di consegna vanno segnalate per valutare se sono congrue o meno. C’è anche da dire che le spese di trasporto sono azzerate nel momento in cui si va a superare una certa soglia di prezzo. Altra informazione da dare è dell’esistenza di un servizio di assistenza, del diritto di recesso e rispetto al prezzo bisogna indicare le varie modalità di pagamento (contrassegno, carta di credito,ecc.) È importante stabilire la Durata dell’offerta: ci sono informazioni che riguardano la durata dell’offerta che dura solo pochi giorni, quindi va indicata la durata entro la quale si può beneficiare di un prodotto a quel determinato prezzo in modo comprensibile! Ciò va indicato in modo chiaro e non con una scrittura piccola e invisibile. Non tutte queste informazioni devono essere fornite tutte per tutti i tipi di contratto, ma vanno modulate in base ai diversi tipi di operatori per la pertinenza del singolo criterio. Per esempio servizio di assistenza in modo continuativo o periodico: in questo caso dovrà essere fornita anche l’informazione rispetto alla durata minima del contratto. Queste sono le informazioni generali, ma chiaramente ci sono vincoli sulla chiarezza e la fruibilità di queste informazioni con riferimento all’utente medio; anche rispetto ai beni complessi e specializzati le informazioni devono essere rese in modo tale che una persona mediamente avveduta e consapevole possa intenderle. Il parametro di riferimento è sempre il consumatore medio (termine di paragone usato in ambito comunitario). Prima della conclusione del contratto telematico, il consumatore deve ricevere per iscritto la conferma di tutte queste informazioni. L’art. 52 ci dice quali obblighi devono essere assolti, successivamente l’art. 53 ci dice che l’operatore deve rendere le info non solo fruibili online, ma ne deve dare conferma per iscritto prima della stipula del contratto più le informazioni specifiche per l’esercizio della modalità del diritto di recesso. Le cui modalità d’esercizio devono essere rese note sia nella fase promozionale sul sito, ma nel momento in cui si attua un contatto col cliente vanno ribadite ai sensi dell’art. 53 e confermare le informazioni relative al recesso per iscritto. Nell’art.53 si parla essenzialmente di tre informazioni: recesso, indirizzo dell’operatore e informazioni sull’esistenza di servizi di assistenza post vendita e sulle garanzie. Ancora prima della conclusione del contratto, l’acquirente deve avere contezza che esiste una disciplina di protezione che gli consente di tutelarmi. Queste disposizioni NON SI APPLICANO AL COMMERCIO DIRETTO DI SERVIZI perché in questo caso la prestazione del servizio online è anche l’esecuzione che si realizza attraverso la comunicazione a distanza. Quindi si riferisce ai contratti conclusi, l’esecuzione non si deve svolgere con la tecnica di comunicazione a distanza perché in questo caso di commercio diretto il servizio è prestato direttamente e il pagamento è contestuale e l’esecuzione è immediata. Diritto civile 1, lezione 2-04-2014 L’altra volta abbiamo concluso il discorso sulle vendite a distanza, quindi andatevi a guardare questo decreto legislativo recentemente adottato, che ha in qualche maniera unificato e modificato sia la disciplina sulle vendite c.d. porta a porta, sia la disciplina sui contratti a distanza che poi si riferisce effettivamente alle contrattazioni telematiche, essenzialmente uniformando e armonizzando, a livello europeo e anche a livello di diritto interno, i termini per l’esercizio del diritto di recesso, con la previsione di un termine unificato per le 2 ipotesi, di 14 giorni, e poi con la possibilità riconosciuta al consumatore, ove l’informazione relativa al diritto di recesso fosse omesso o comunque fosse dato in maniera erronea, con la misura di un ampliamento del termine entro cui eventualmente recedere dal contratto, ampliamento che è abbastanza significativo perché da 90 giorni viene addirittura esteso a 12 mesi. sistema di tutela considerando che queste regole che ci sono nel codice civile, si rivelano attualmente, completamente inefficaci: sia dal punto di vista della professione degli acquirenti, acquirenti sia che siano consumatori sia che siano compratori c.d. professionali, ma soprattutto è proprio una disciplina che si rivela inadeguata rispetto ai termini delle moderne contrattazioni di massa. Il nostro codice civile, in qualche modo, che si rifà in maniera ampia al codice francese, il code civil del 1804, ma volendo andare ancora indietro proprio alla tradizione romanistica, a maggior ragione quello garantistico, perché quando si parla delle garanzie del compratore, si parla di garanzie edilizie, perché il primo riconoscimento delle garanzie del compratore si deve proprio al diritto romano, a un editto romanistico. Nel sistema del diritto romano, questo tipo di garanzie del compratore, si riferiva alle vendite di cose specifiche e soprattutto queste garanzie, che consistevano nella possibilità di risolvere il contratto nel caso di difetti del bene compravenduto ovvero di ottenere una congrua riduzione del prezzo, erano rimedi connotati da specialità, che vuol dire? Che si andavano ad aggiungere ai rimedi tradizionali, contro l’inadempimento del contratto e si andavano ad aggiungere con riferimento specifico a una certa categoria di beni, cioè quella che nel diritto romano si chiamava “vendita di species”, essenzialmente queste garanzie, in origine, si riferivano alla vendita di schiavi e di animali, se lo schiavo non era abbastanza laborioso lo potevi rimandare indietro, ovvero potevi ottenere una riduzione del prezzo. È importante capire l’origine perché ha avuto un’influenza decisiva sugli sviluppi successivi: cioè in una prima parte quando furono concepite dai magistrati, questo sistema era rafforzativo della posizione del compratore perché, oltre ai rimedi tradizionali, nel caso delle vendite, degli acquisti di schiavi ed animali, c’erano altre garanzie, ovvero la possibilità di ottenere la riduzione del prezzo o la risoluzione. Quando poi nel corso del tempo, con le prime codificazioni, questo sistema è stato generalizzato a tutte le vendite, cioè non ha perso quella connotazione specifica che le riferiva solamente alla vendita di cosa specifica, cioè ad un bene individuato, e quindi in qualche maniera ad un modello di compravendita episodica, isolata; quando è stato generalizzato, nelle codificazioni moderne, a partire da quella francese fino al nostro codice attuale, ha perso questo sistema quell’obbiettivo di rafforzamento che si proponeva in un prima momento, perché estendendolo a tutti i tipi di vendite, cioè anche alla vendita di cosa generica prodotta in serie, questo sistema di potere si rivela completamente inadeguato, cioè possiamo dire che muta, proprio viene alterata la scelta di fondo, se in un primo momento era garantista, cioè rispetto a certi determinati tipi di vendite, rafforzare la posizione del compratore; se viene poi esteso alla vendita di tutti i beni, quindi non solo alla vendita di cosa specifica, ma anche alla vendita di beni prodotti in serie, sostanzialmente questo sistema diviene anzi uno strumento per garantire il venditore e prustrare l’esigenza di protezione del compratore . Se noi andiamo a leggere gli artt. 1490 e ss, ripeto è un modello di garanzia che trovate pari pari anche nel diritto romani, solo che mentre nel diritto romano si riferiva in particolare a un certo tipo di vendita, cioè di beni specifici, adesso nel codice civile viene introdotto in maniera generalizzata. Andiamo a guardare quali sono i tipi di difetti cui si riferisce il codice civile, art.1490: tutta la disciplina della compravendita contiene molte regole di protezione, il 1490 è rubricato “garanzia per i vizi della cosa venduta”, e dispone: “il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore”. Questa disciplina in ogni caso è derogabile, ovvero che le parti sono comunque libere di modificare l’oggetto della garanzia, in relazione per esempio ad eventuali vizi coperti o non coperti, ovvero addirittura di escluderla del tutto. Il vizio cui si riferisce l’art.1490 è intanto un vizio materiale (nel testo si dice vizio redibitorio, proprio perché nel diritto romano l’actio redibitoria era proprio l’azione di risoluzione a fronte dei vizi della cosa venduta, per questo vizio redibitorio, cioè che consente la risoluzione del contratto), però il vizio c.d. rilevante, ai senti dell’art.1490, non è che rileva ogni categoria di vizio, anche quello lieve, deve trattarsi di un vizio materiale, derivante quindi da un processo di fabbricazione, produzione, conservazione del bene, ma per essere rilevante deve: o incidere sulla funzionalità della cosa, infatti l’art.1490 dice che “rende la cosa inidonea all’uso cui è destinata” ovvero che “ne diminuisca in modo apprezzabile il valore”, quindi per esempio un difetto che rende la cosa meno valevole anche rispetto al prezzo pagato. Quali sono i diritti del compratore a fronte di questo vizio di natura materiale? Essenzialmente si tratta proprio di azioni c.d. edilizie ed essenzialmente sono i rimedi della: -risoluzione del contratto -della riduzione del prezzo. Anche solo verificando questi tipi di rimedi, salta subito all’occhio la circostanza che non deriva direttamente dalla legge, perché queste sono garanzie naturali, cioè discendono direttamente dalla stipula del contratto di vendita, cioè le parti se vogliono, nel testo del contratto, possono escluderne l’applicazione perché sono disponibili, non è una norma imperativa questa sulle garanzie, però, se le parti nulla prevedono, cioè non escludono l’applicazione di queste regole, sono di applicazione diretta, anche se non è fatta menzione, questo vuol dire essenzialmente garanzie naturali. Tra i rimedi però previsti da questa disciplina, salta subito all’occhio che non c’è la possibilità per esempio di ottenere la riparazione del bene; molto spesso, quello che l’acquirente vuole, è la possibilità di fruire del bene in tempi rapidi, più che di risolvere il contratto con gli obblighi di restituzione del prezzo e quant’altro, o comunque, a fronte di un difetto che incide sulla funzionalità del bene, non appare nemmeno così congruo la riduzione del prezzo, perché si effettivamente pago meno, ma mi ritrovo con un bene menomato nella sua funzionalità. Perché ci serve sottolinearlo? Perché anche questa è una diretta conseguenza di quello di cui vi parlavo prima, cioè dato che queste garanzie che attualmente sono contenute nel codice civile, derivano dal diritto romano in cui si riferivano essenzialmente alla vendita di schiavi e di animali, capite bene che non è tanto possibile l’esatto adempimento o la riparazione in forma specifica rispetto allo schiavo, quando poi il legislatore ha ritenuto di generalizzare questi rimedi, ha omesso di considerare che, oltre alla risoluzione del contratto e alla riduzione del prezzo, ben avrebbe potuto prevedere anche un rimedio in forma specifica, ma in realtà la motivazione discende proprio dalla peculiarità dell’origine di questo sistema di tutela. Oltretutto, quindi inadeguatezza dal punto di vista rimediale, ma in secondo luogo, il punto più problematico, riguarda i termini entro cui fruire delle garanzie, i termini sia di prescrizione sia di decadenza, perché? Perché il legislatore in questa materia ha ritenuto di assecondare l’esigenza di speditezza dei traffici commerciali, di celerità, quindi ha riconosciuto dei termini molto brevi entro cui avvalersi di queste garanzie, proprio per non lasciare situazioni di incertezza, è chiaro, e soprattutto per non intralciare il traffico commerciale, quindi quali sono questi termini? Sono illustrati dall’art. 1495, rubricato “termini e condizioni per l’azione”, che dispone: “il compratore decade dal diritto alla garanzia, se non denunzia i vizi al venditore entro 8 giorni dalla scoperta, salvo il diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge. La denunzia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del vizio o l’ha occultato. L’azione si prescrive, in ogni caso, in un anno dalla consegna; ma il compratore che sia convenuto per l’esecuzione del contratto, può sempre far valere la garanzia, purchè il vizio della cosa sia stato denunziato entro 8 giorni dalla scoperta e prima del decorso dell’anno dalla consegna”. Quindi in ogni caso, anche se l’azione si prescrive nel termine di 1 anno, se io vado in giudizio entro l’anno, denunciando questi difetti, ove io stessa compratrice non abbia accolto all’onere di denunciare i difetti, senza particolari solennità, non è necessario neanche fare questi reclami in forma scritta, in giudizio dovrò dimostrare, per esempio attraverso i testimoni, che ho più volte sollecitato per esempio interventi di assistenza telefonicamente, ecco non ci sono particolari oneri formali per la denunzia del difetto, ma in ogni caso, ove io vado in giudizio a chiedere la risoluzione o la riduzione, senza aver prima notificato il difetto, ed entro 8 giorni dalla scoperta, subito dopo il venditore eccepisce, con l’eccezione processuale preliminare, cioè non si entra proprio nel merito del vizio, se il vizio è rilevante, se incide sulla funzionalità, cioè a livello di processi, il processo si arresta a fronte dell’eccezione di decadenza; quindi se il giudice ritiene che effettivamente questa denunzia del difetto non vi è stata entro 8 giorni dalla scoperta, si decade e non abbiamo più nessuna possibilità di fare nulla. Capite che 8 giorni sono un termine molto, molto, ristretto, tra l’altro, i difetti rilevanti possono essere anche occulti, quindi ci può essere un margine di tempo per apprezzarli, l’importante però, ai sensi di questa disciplina, si deve trattare di vizi o comunque le cause di questi stessi vizi, devono essere preesistenti alla conclusione del contratto, quindi ove poi si manifestino in un momento successivo, è che sarà onere del consumatore dimostrare la data in cui l’ha scoperto e quindi denunziare il difetto, ma in ogni caso, anche rispetto a beni complessi o sofisticati, in ogni caso l’azione si prescrive entro l’anno, o comunque non ho più di un anno di tempo per svolgere l’azione giudiziale, salvo dover dimostrare, perché l’onere è sempre dell’acquirente (il consumatore) di aver in qualche maniera sollecitato l’intervento del venditore, o comunque in qualsiasi modo, di persona o telefonicamente, notificato il problema a livello di difetto. Quindi, essenzialmente, questo sistema di regole esprime un certo “favor venditoris”, cioè tende a favorire la stabilità dell’operazione economica, perché trascorsi questi brevi termini, non vi è più alcuna possibilità di contestazione da parte degli acquirenti. Accanto a questa previsione, cioè la garanzia rispetto al vizio che possiamo definire redibitorio e che è quello che si riferisce a difetti materiali che derivano dal processo di fabbricazione, attenzione il difetto può essere dell’intera serie (molto spesso ci sono intere partite che sono viziate) ma il difetto può essere anche dell’unico esemplare di una serie che invece è perfetta, però tendenzialmente questo tipo di vizio deriva dal processo di fabbricazione ovvero di conservazione, perché molto spesso, soprattutto nei beni imballati, un imballaggio scorretto può portare al difetto della merce, o del bene, cioè tendenzialmente sono questo tipo di difetti materiali del bene che incidono o sulla funzione, o sul prezzo. Accanto a questo tipo di vizio, l’art. 1497 riconosce un’altra possibilità, cioè accorda all’acquirente il solo rimedio della risoluzione del contratto nel caso in cui il bene compravenduto non abbia le qualità promesse o essenziali per l’uso cui la cosa è destinata. Quindi addirittura in questo caso solo la risoluzione, nemmeno la riduzione del prezzo, ma l’unico rimedio è quello della risoluzione, ma entro i brevi termini di prescrizione e decadenza prescritti dall’art.1495 c.c. Ora, la difficoltà in questo settore e che emerge anche dalla giurisprudenza, è quella di distinguere queste ipotesi, cioè sono tutti difetti che in qualche maniera rendono irregolare l’attribuzione traslativa, però hanno una rilevanza in qualche maniera diversa: se concettualmente l’ipotesi della mancanza di qualità promessa ha una sua autonomia concettuale, perché è chiaro che il venditore può essersi obbligato a garantire, rispetto a un bene, un certo premio, cioè in questo caso la garanzia in qualche maniera, non discende direttamente dalla legge, come nel caso dei difetti materiali che sono comunque coperti dalla garanzia legale, in questo caso c’è un obbligo che ha una fonte convenzionale, cioè è il venditore, questo vuol dire qualità promessa, in qualche maniera si allude ad una qualità che per certi versi potrebbe essere superiore rispetto alla media dei beni, e questa è la circostanza che magari si può riferire a quei beni che vengono commissionati, beni da fabbricare, beni da produrre da parte di un artigiano, un’opera d’arte, lavori di artigianato particolarmente importanti, anche l’esclusività può essere una qualità promessa, queste qualità conferiscono al bene compravenduto determinati attributi di pregio rispetto ai maeriali usati, al colore, alla manifattura, allora in questo caso è chiaro che l’autonomia di questa previsione rispetto al concetto di vizio materiale, è abbastanza spiccata, perché nel caso di mancanza di qualità promesse, non necessariamente si deve trattare di un vizio, ma in qualche modo qualunque diversità rispetto all’impegno che il venditore ha assunto, rileva ai fini della tutela, però sempre tutela che viene applicazioni si crea una situazione di totale incertezza perché, è vero che per certi versi una concezione di questo tipo è apprezzabile sul piano degli effetti pratici, soprattutto in situazioni come questa in cui di fatto nessuna possibilità di tutela poteva essere riconosciuta in base all’applicazione di queste regole del codice civile, è chiaro che inventarsi una soluzione di questo tipo consente effettivamente di proteggere gli interessi dell’acquirente, però è anche vero che espone ad una confusione, perché? Perché la logica delle decisioni non è mai prevedibile, ma è sempre strumentale, cioè è legata ad esigenze del caso concreto, mentre alla fine così non dovrebbe essere, è anche una sorta di costruzione rimessa in qualche maniera anche all’arbitrio del giudicante, perché ci può essere chi ritiene in maniera attenta al fatto sostanziale, alle esigenze sostanziali, come in questo tipo, di assicurare giustizia e quindi ricorrere a questa figura dell’aliud pro alio, però a rigore di logica, se noi volessimo strettamente applicare le regole del codice civile, in realtà il giudice probabilmente avrebbe dovuto delegare la tutela nel caso specifico, perché la legge ci dice che l’azione si prescrive entro 1 anno. In quel caso è difficile dire se è prestazione di cosa radicalmente diversa, probabilmente è mancanza di qualità essenziali, cioè il mancato aggiornamento dell’enciclopedia, di fatto rientrerebbe nell’ipotesi della mancanza di qualità essenziali, quindi a volere essere rigorosi, rientrerebbe in quell’ipotesi. La logica invece sottesa all’applicazione della figura di forma giurisprudenziale dell’aliud pro alio, deriva proprio da questa esigenza, cioè brevità dei termini entro cui avvalersi della garanzia per sottrarre ipotesi come quella dell’esempio che vi ho fatto, però la logica delle decisioni è sempre strumentale, legata al caso specifico, e quindi in questa materia non esiste una uniformità di regole, cioè a fronte di queste diverse anomalie del bene compravenduto: cioè vizio redibitorio, mancanza di qualità essenziali, mancanza di qualità promesse, e anche vendita di aliud pro alio, perché comunque si riferisce ad una ipotesi di difetto, a questo punto, alla luce di questa applicazione giurisprudenziale che di fatto, per esempio è chiaro che ha senso parlare di vendita di “aliud pro alio” nel caso di vendita di opere d’arte che siano fasulle, è chiaro che si tratta di cosa radicalmente diversa, perché io sono convinta di comprare un certo autore con un certo pregio, e se invece compro una copia chiaramente vi è una grande differenza, quindi in questo caso un giudice potrebbe ritenere che la mancanza di originalità potrebbe essere considerata come un carattere di essenzialità. Quindi qualificare come vendita di aliud pro alio piuttosto che di vendita di cosa priva di qualità essenziali, ha delle conseguenze sul piano disciplinare parecchio significative. In alcuni casi l’astrazione nell’ambito applicativo dell’aliud pro alio è più immediato, più diretto, come nel caso del quadro non originale, in altri casi, invece è molto più discutibile se vogliamo sul piano dell’argomentazione giuridica, per questo dicevo che la logica delle decisioni è molto frammentata, ed è proprio per questo che, da parte della dottrina, quando è stata adottata la direttiva comunitaria 1999/44/CE che ha unificato tutte queste ipotesi di vizio, di qualità, in un’unica di categoria, cioè il difetto di conformità del bene al contratto, salvo poi vedere che vuol dire conformità del bene al contratto (similmente a quanto prevede la convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di merci) è chiaro che da parte della dottrina si auspicava che non fosse applicato solo con riferimento alle vendite ai consumatori, proprio perché questa normativa del codice civile, sul terreno della giurisprudenza dei casi pratici, aveva dato prova di una assoluta inadeguatezza, ma qualunque fosse l’acquirente, cioè sia che l’acquirente fosse professionale, sia che invece fosse un compratore che acquista per soddisfare i propri bisogni personali. Quindi ci si proponeva, similmente a quanto ha fatto il legislatore tedesco che, in occasione dell’attuazione di questa direttiva, ha messo mano ad un riforma radicale di tutto il sistema delle obbligazioni del venditore, del compratore, e quindi delle garanzie del compratore, ha modificato in qualche maniera l’intero sistema delle garanzie nel quadro di una riforma molto più ampia, quindi riservando solo alcune norme al consumatore ma eliminando tutte queste complesse distinzioni, che si ritrovano similmente nelle altre esperienze europee, come nel codice francese, così come più o meno nel codice tedesco, perchè sono tutte di derivazione romana, quindi eliminando questi problemi. Tanto che questa riforma del diritto delle obbligazioni dei contratti tedesca è contenuta nel codice civile tedesco e ha un suo carattere di generalità. Da noi così non è stato, e infatti la scelta è stata molto criticata da parte della dottrina perché come al solito, nell’attuazione dei provvedimenti comunitari, il legislatore nazionale si limita a prendere la direttiva, tradurla e a farlo un decreto legislativo, senza misurarsi minimamente con problemi del suo ordinamento sistematico, con le altre regole del codice civile, con le sollecitazioni della giurisprudenza, perché è chiaro che questa giurisprudenza, nel momento in cui mi denuncia tutti questi limiti, è come se viene costretta dal legislatore ad operazioni di questo tipo, inventando la formula di cosa radicalmente distinta o comunque incapace di assolvere i bisogni dell’acquirente, perché il legislatore non modifica i termini del codice civile, cioè sarebbe bastato che il legislatore ad un certo punto fosse intervenuto unificando il diverso, cosa che poteva fare già da tempo. Evidentemente così non è stato, e anche in occasione dell’attuazione della direttiva comunitaria, ci si è limitati a mantenere l’ambito applicativo settoriale delle direttive comunitarie in materia di protezione degli interessi dei consumatori, quindi un certo tipo di vendita, un certo tipo di beni, ma soprattutto i soggetti, cioè vendite concluse tra professionista e consumatore, lasciando inalterata la situazione. Quindi è importante parlare di queste regole, perché mantengono tutt’ora la propria attualità con riferimento alle vendite che potremmo definire di diritto comune, cioè le vendite tra privati ovvero le vendite tra operatori professionali. Un’altra connotazione, dato che parliamo di garanzie, il codice civile disciplina un altro tipo di garanzia che riguarda essenzialmente i beni destinati ad un uso durevole; molto spesso si parla di garanzia di fabbrica ovvero di garanzia di buon funzionamento. Questa garanzia di buon funzionamento è disciplinata dall’art.1512 del codice civile. Quindi per completare il modello codicistico delle garanzie al consumatore, è necessario far riferimento anche alla c.d. garanzia di buon funzionamento, con una accortezza: la garanzie di buon funzionamento funziona sempre su base convenzionale, per questo si chiama anche garanzia di fabbrica, perchè può essere assunta da un qualsiasi soggetto coinvolto nella catena di produzione, distribuzione, rivendita del bene, che si obbliga, nei confronti dell’acquirente, a garantire la funzionalità per un certo periodo di tempo. Quindi non è un effetto che discende direttamente dalla stipula del contratto di compravendita, ma è una garanzia che generalmente è prestata direttamente dal fabbricante del bene. Quindi il fondamento in questo caso è convenzionale. Ed è importante perché in qualche maniera, il modello codicistico della garanzia di buon funzionamento, anticipa le soluzioni comunitarie della vendita dei beni di consumo, perché essenzialmente riconosce tra i rimedi, la possibilità di ottenere la riparazione o la sostituzione del bene, cosa che invece le garanzie che io ho definito come edilizie, non riconoscono, invece, con la garanzia c.d. di fabbrica, generalmente è direttamente il produttore, quindi non il venditore, ma spesso il produttore che si obbliga ad interventi di assistenza sul bene proprio per garantirne la riparazione ovvero addirittura la sostituzione, che sono quindi i rimedi tipicamente accordati nell’ambito di quella che vedremo la prossima volta, che si definisce garanzia di conformità, cioè il modello di vendita comunitaria, però qual è il limite? Che a differenza della garanzia di conformità di derivazione comunitaria, anche questa regola, cioè la garanzia di funzionamento, ha natura dispositiva, cioè il produttore, o il distributore, o il venditore, non è obbligato a prestarla, ma può essere anche esclusa; mentre tutta la normativa che troviamo nel codice del consumo è indisponibile, cioè irrinunciabile anche da parte del consumatore, quindi qualsiasi patto che fosse sottoscritto dall’acquirente, non lo vincola, dovrà essere ritenuto nullo, perché qualsiasi clausola che escluda l’applicazione delle regole di derivazione comunitaria è da ritenersi nulla; invece questo modello, per quanto appunto la garanzia di buon funzionamento anticipa le soluzioni che poi sono state proprie della direttiva comunitaria, non hanno la stessa portata così rilevante proprio perché essenzialmente possono essere escluse. Fine. Lezione diritto civile I 8 aprile 2014 La scorsa lezione abbiamo fatto la premessa che una grande parte di disposizioni del codice civile in materia di compravendita sono dedicate al sistema di garanzie, e ci siamo soffermati in particolare sulle garanzie per i vizi della cosa venduta, che sono assistite dal diritto alla risoluzione del contratto ovvero alla riduzione del prezzo. Vedremo che questo quadro disciplinare, che è completato anche dalla previsione della garanzia di buon funzionamento: vi ricordate che abbiamo parlato della garanzia di fabbrica, disciplinata dall’art. 1522, una garanzia di fonte convenzionale che assicura la funzionalità duratura del bene per un certo tempo. Il quadro deve essere completato dalla disciplina della garanzia per evizione: sul bene insistono dei diritti che possono essere fatti valere da terzi e che in qualche maniera pregiudicano l’utilizzo del bene da parte dell’acquirente. Quindi il quadro delle garanzie è composto da:  Garanzie edilizie: di derivazione romanistica, quindi garanzia per i vizi della cosa venduta o della cosa che manchi delle cose essenziali;  Garanzia di buon funzionamento;  Aliud pro alio: prestazione di una cosa radicalmente distinta da quella dovuta, che se in un primo momento si riferiva a cose diverse nel genere merceologico, poi si è allargato a ricomprendere tutti i casi in cui le ipotesi di difetto siano così gravi da alterare …… (questa è di derivazione giurisprudenziale, frutto cioè dell’elaborazione della giurisprudenza). Per completare è necessario sottolineare che nel caso della garanzia per i vizi della cosa venduta, oltre questi due rimedi (risoluzione del contratto o congrua riduzione del prezzo) esiste anche la previsione del risarcimento del danno, e su questo dobbiamo spendere due parole. Mentre nel caso delle garanzie edilizie si prescinde dall’accertamento della colpa del venditore: il venditore risponde quando il compratore riesca a dimostrare che esiste un contratto di vendita e che esiste un difetto che era esistente al momento della conclusione del contratto. Ove si dimostri la presenza di un difetto nel bene che sia rilevante, che incide cioè sulla funzionalità della cosa o incide sul valore economico della stessa. È chiaro che in questo caso le garanzie sorgano automaticamente nel caso di difettosità della cosa compravenduta. Io parlo genericamente di difettosità della cosa compravenduta, ma è chiaro che mi riferisco sia all’ipotesi del 1490, cioè vizio intrinseco, materiale, derivante dal processo di fabbricazione, sia alla mancanza di qualità promesse ed essenziali di cui all’art. 1497. Anche in questi casi è possibile chiedere il risarcimento del danno, e questo lo evinciamo dall’art.1494: “In ogni caso (quindi sia che esperisca l’azione per la risoluzione del contratto, sia nel caso di riduzione del prezzo) il venditore è tenuto verso il compratore al risarcimento del danno, se non prova di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa”. Che cosa vuol dire? Questa è una clausola che consente al venditore di esonerarsi da responsabilità provando di aver adottato la diligenza che si poteva esigere. In questo caso, quindi, a differenza della risoluzione o riduzione, in cui un’eventuale colpa non rileva, cioè il compratore non deve dimostrare alcuna colpa da parte del venditore, che possa aver comunque inciso sul difetto; qui invece la colpa va dimostrata e il venditore è ammesso alla quindi delle garanzie di cui io vi sto parlando, risponde direttamente il venditore finale come ultimo anello della catena. Ciò non toglie che ove il bene difettoso provocasse dei danni fisici, materiali alla persona o ad altri suoi beni, esiste un altro sistema di responsabilità, nato sempre da una direttiva del 1985, intitolata “responsabilità extracontrattuale del produttore dei beni”. Capite bene che i sistemi di responsabilità sono diversi: in questo caso, cioè, è una responsabilità che discende direttamente dalla stipula del contratto, rimedi speciali che derivano da una responsabilità da una responsabilità contrattuale, perché io mi rivolgo direttamente alla mia controparte. Ciò non toglie, nel caso in cui lo stesso bene abbia cagionato danni, posso rivolgermi direttamente al produttore per avere il risarcimento dei danni che posso aver subito da questo bene (e.g. caffetteria che esplode). È un sistema di responsabilità oggettiva, perché nell’ottica di tutelare gli acquirenti, non bisogna dimostrare la colpa ma bisogna dimostrare che esiste un nesso di casualità tra il danno sopportato e il difetto. Vi sono comunque una serie di agevolazioni probatorie, nel senso che non è pretesa una prova così stretta. Se vogliamo leggere la giurisprudenza sulla responsabilità del produttore, c’è una sorta di lettura che tende ad allegerire le prove gravanti sul consumatore per assecondare le esigenze di protezione del consumatore, finalità che sottende tutte queste normative. La responsabilità quindi è, ripeto, oggettiva, perché non è fondato sulla colpa o sulla mancata adozione di quelli accorgimenti che dovrebbero limitare i danni. Prima dell’adozione della direttiva sulla responsabilità del produttore che impone una responsabilità oggettiva dove devo dimostrare il difetto e il danno, se un consumatore o un qualsiasi altro soggetto fosse stato danneggiato da un bene, con lesioni anche gravi, il consumatore doveva dimostrare non solo di aver subito il danno, ma dovevo dimostrare anche l’elemento soggettivo, cioè dovevo dimostrare che vi fosse la colpa o addirittura il dolo del fabbricante. È chiaro che superare questa prova era impossibile, era una prova afflittiva: il dolo non ne parliamo proprio, ma anche la colpa era difficile da dimostrare, perché l’acquirente non ha contezza di quello che è il processo tecnico. Vedete com’è cambiato il sistema della responsabilità civile! Prima dell’adozione della direttiva comunitaria, quasi tutte le cause si risolvevano in senso negativo per gli acquirenti. L’unico caso che esprime un certo favore è un caso che riguarda i biscotti Saiwa, biscotti avariati che provocano una colite febbrile ai consumatori. Questi si rivolgono al venditore, e il venditore (poveretto) li ha conservati bene i biscotti, erano lì al chiuso, imballati perfettamente, non ha nessuna colpa. Il venditore chiama in causa il produttore. In questa sentenza, a fronte di un danno limitato, questo signore che è avvocato, decide di arrivare fino in Cassazione, perché la corte di appello gli aveva dato picche. La Corte di Cassazione, a metà degli anni 60, aveva rivoluzionato il sistema, perché ha detto: è vero che tu consumatore non hai dato la prova, così come richiede l’art. 2043 c.c. che effettivamente ci sia stata la colpa del produttore, però in base ad un criterio logico-presuntivo di qualcuno la colpa deve pur essere se i biscotti erano avariati. Se nel corso del giudizio escludo che ci sia la colpa del venditore, attraverso delle prove che comunque questo i biscotti li ha conservati bene, imballati e in un luogo asciutto; allora a questo punto non posso non ritenere che la colpa sia da attribuire ad un difetto del processo di produzione, e ha rinvenuto quindi la responsabilità. Però anche in questo caso con un artificio giuridico si è arrivati alla responsabilità dei produttori, perché la prova non è stata fornita dai consumatori, quindi anche in questo caso si tratta sempre di logiche strumentali che apre la strada a indirizzi più favorevoli. Questo, ripeto, è un caso isolato. Successivamente, solo con l’adozione della direttiva sulla responsabilità del produttore (ma arriviamo nel 1985) le cose sono sensibilmente cambiate e attualmente, se andiamo ad osservare la casistica giurisprudenziale su questo tema, il trend è favorevole agli acquirenti, perché proprio basta la dimostrazione del difetto e del danno senza andare a operare ulteriori accertamenti sulla eventuale esigibilità di determinati comportamenti da parte del produttore. Tornando alla direttiva comunitaria e alla nozione di conformità, questa si ritrova anche nella direttiva sulla responsabilità del produttore in cui si dice che “è difettoso il prodotto che non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere”. La difettosità è ancorata al giudizio di sicurezza, o meglio a quella attesa legittima del consumatore. Per esempio, rispetto ai giocattoli per bambini, ci vuole una accortezza superiore, perché il consumatore nel momento in cui va ad acquistare un giocattolo per bambini molti piccoli si aspetta che i pezzi non siano ingeribili, o che comunque al contatto con la bocca non sia tossico per il bambino. Questa nozione è importante perché ci fa capire che al di là del vizio della difettosità rileva l’aspettativa ragionevole che ha l’acquirente. Ripeto aspettativa ragionevole, conforme a precisi dati rispetto al bene: oltre a quello che mi ha detto il produttore, anche nel caso della pubblicità devo saper distinguere io acquirente il messaggio che in qualche maniera può vincolare il produttore. Il produttore può anche vantare nel messaggio pubblicitario il suo prodotto, ma quello non può costituire un vincolo! Le descrizioni del produttore e del venditore, che possono essere scritte, orali, telematiche, diventano vincolanti purché ingenerino nel consumatore un’aspettativa ragionevole. Non ogni generica promessa, ma descrizioni che vincolano il venditore a consegnare un bene che sia conforma alle caratteristiche descritte. Quindi sicuramente uno degli apporti innovativi essenziali della direttiva 99/44 è che ha ridisegnato lo strumentario di tutele a disposizione dell’acquirente attraverso una nozione univoca di difetto e di conformità, come formula riassuntiva di tutte le anomalie del bene compravenduto. Poi abbiamo questo giudizio sulla conformità che si avvale dei criteri che sono emersi dalla giurisprudenza. Cioè, che cosa rileva? L’idoneità al consumo tipico, l’idoneità rispetto all’uso eventualmente promesso, la conformità rispetto alle qualità mostrate attraverso un campione o un modello. Questa nozione è vero che è di derivazione comunitaria, ma si avvale comunque dei criteri che erano già presenti nel codice civile, cioè l’idoneità all’uso normale; il vero elemento di novità nella nozione di conformità è la rilevanza al messaggio pubblicitario, sia che provenga dal venditore finale ma sia anche che se proviene direttamente dal produttore. Quindi il venditore è vincolato anche da dichiarazioni pubblicitarie che provengono da terzi, nella specie dal marchio di fabbrica che diventano vincolanti nell’eventualità che vengano offerte in qualunque modo. Il profilo di novità quindi è questo profilo di conformità. La giurisprudenza italiana, nell’applicazione di queste nuove regole, non si è soffermata molto sulla nozione di difetto, nel senso che le cause che attualmente sono in corso riguardano la scelta dei rimedi, quindi la possibilità di esperire un rimedio piuttosto che un altro; c’è un grosso contenzioso sui beni usati, perché queste norme si applicano anche ai beni usati, però le corti italiane attualmente non hanno fornito una interpretazione di cosa voglia dire poi effettivamente conformità del bene al contratto. Per chiarire in cosa consiste questo cambiamento concettuale è utile fare invece un riferimento alla casistica tedesca, che sul punto si è espressa in maniera piuttosto peculiare. A cosa mi riferisco? Un consumatore tedesco ha ottenuto la risoluzione del contratto di compravendita di una autovettura che era stata acquistata in un parco macchine in cui troneggiava un cartello con la scritta “Tutte le merci sono a marcatura CE”. Cioè si garantiva la provenienza delle autovetture, dei pezzi di ricambio dall’UE. A distanza di tempo dall’acquisto, a fronte dell’esigenza di una riparazione, quindi della necessità di avere un pezzo di ricambio, il soggetto che doveva riparare questa autovettura scopre che i pezzi, originali, provenivano dal Sud Africa, cioè erano stati fabbricati, per conto del marchio noto di autovetture, in Sud Africa. Attenzione, devo dirvi una cosa importante! In realtà non si trattava di una sostituzione del pezzo a seguito di un difetto, di una rottura, ma in occasione di un controllo, di una revisione. Quindi nessun difetto! Vado a fare la revisione e il revisore vede dal telaio che il pezzo proviene dal Sud Africa. Il consumatore va dal rivenditore lamentando che quest’ultimo aveva garantito, attraverso la pubblicità, che il prodotto era stato interamente fabbricato in Europa. In questo caso, a prescindere quindi dall’intrinseca difettosità: qui non c’era un vizio della macchina che era perfettamente funzionante, si riconosce al consumatore la possibilità di risolvere il contratto, senza andare ad indagare sulla funzionalità o meno, che invece è sempre stato un elemento qualificante della nostra giurisprudenza. Per accedere alla risoluzione è chiaro che il tipo di difetto deve essere abbastanza grave, e quindi deve incidere in una maniera significativa. Tra l’altro anche nel discorso della mancanza delle qualità promesse: è vero che anche nel caso di mancanza di qualità promesse è ammessa la nel messaggio pubblicitario passava questa idea che il prodotto fosse stato interamente assemblato in Europa. Quello che voglio spiegarvi è proprio questo: attualmente l’impresa deve stare più attenta, perché se prima il gioco si faceva sul difetto, sulla prova, sulla funzionalità del bene, attualmente qualsiasi divergenza, al di là della difettosità effettiva, rispetto alla promessa che deriva direttamente dal mercato, può dar luogo a rimedi drastici quale la risoluzione del contratto. Si va a vedere la promessa del mercato, quindi promessa che deriva da internet, dai cartelloni, al di là della circostanza che ci possa essere una truffa: non rileva più il difetto intrinseco, il difetto del materiale, ma rileva la divergenza rispetto a quanto dichiarato dal rivenditore. Quindi la pubblicità è l’elemento chiave. Ultimamente mi chiedevano informazioni circa le pubblicità dove promuovo l’istallazione di vasche da bagno a 800 €. In realtà è una bufala pazzesca, perché poi iniziano a dire che gli attacchi non vanno bene, e quindi si arriva a conti di 6000 €. Anche in quel caso vedete come è martellante il messaggio pubblicitario? O tu all’esito di una prima verifica immediatamente dici guardi non si può fare a queste condizioni, oppure anche se la vasca mi viene perfetta c’è comunque una divergenza rispetto a quanto tu mi hai promesso nel messaggio pubblicitario. Quindi in qualche maniera il concetto di vizio diventa funzionale, non è più materiale, perché poi alla fine anche quando, ai sensi del 1497 c.c. noi parliamo di mancanza di qualità promesse o essenziali, poi alla fine quasi sempre si trattava in qualche maniera di mancanze che incidono sulle attribuzioni, che derivano da un difetto. Non si era mai posto nella nostra giurisprudenza il caso di un bene, che nonostante fosse privo di difetti, e quindi funzionante, ci potesse essere una reazione dell’acquirente. Con questo nuovo sistema di regole, in qualche maniera, vengono rivalutate le attese legittime del consumatore: si deve trattare di una pretesa che sia legittima! Il difetto di conformità si allarga a ricomprendere non solo le mancanze materiali, ma qualsiasi difformità rispetto al bene promesso. Addirittura rispetto a quanto promesso non solo in sede di contrattazione che si svolge tra gli operatori, ma in una più ampia negoziazione che si svolge nei mercati. SECONDO PUNTO DI NOVITÀ: SISTEMA RIMEDIALE Allora, nelle garanzie c.d. edilizie gli unici due rimedi a disposizione dell’acquirente sono l’actio redibitoria e l’actio aestimatoria, cioè la risoluzione del contratto e la riduzione del prezzo, null’altro. Nella nuova normativa viene introdotta la possibilità di richiedere il ripristino della conformità, la riparazione del bene o la sostituzione del bene. C’è una sorta di gerarchizzazione dei rimedi. Voglio dire che il legislatore europeo, poi anche quello nazionale, per tendere a mantenere il contratto (perché l’obiettivo è sempre quello di salvaguardare il vincolo contrattuale, quindi di mantenerlo in vita) si è inventato questo sistema della gerarchia dei rimedi. Cioè i rimedi, a fronte della difformità, sono distinti in:  Rimedi primari;  Rimedi secondari. La disciplina delle pratiche commerciali scorrette è stata introdotta nel nostro ordinamento giuridico in attuazione di una direttiva comunitaria, la 2005/29 CE, con la quale il Parlamento europeo e il Consiglio hanno inteso contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e al conseguimento di un elevato grado di tutela del consumatore all’interno del mercato. L’esigenza per cui gli organi comunitari hanno sentito di intervenire nel dettare una disciplina specifica per la regolamentazione delle pratiche di mercato e per la tutela dei consumatori trova suo fondamento nei limiti dei precedenti interventi comunitari in materia. Oltre ad un approccio settoriale gli interventi previgenti erano caratterizzati da un livello di armonizzazione minima delle normative interne: agli Stati membri era riconosciuta un’ampia discrezionalità, in sede di attuazione degli interventi normativi comunitari, ed era loro riconosciuta anche la possibilità di mantenere o introdurre un livello di tutela dei consumatori più elevato rispetto a quello previsto dagli organi comunitari. In ultimo, i previgenti interventi volgevano alla tutela degli interessi dei consumatori e alla tutela degli interessi dei concorrenti in maniera congiunta: gli stessi interventi normativi predisponevano delle norme che, al tempo stesso, con un medesimo sistema rimediale, tutelavano tanto i consumatori, quanto i professionisti. Considerato tutto questo, gli organi comunitari hanno adottato una direttiva, la 2005/29 CE, che ha delle caratteristiche peculiari e significativamente diverse da quelle dei precedenti interventi, tanto che la dottrina ne ha parlato come di “una direttiva di ultima generazione”. Infatti, è una direttiva ad APPROCCIO ORIZZONTALE,(schema della full target organization), che volge a regolamentare non specifici aspetti o materie nel rapporto tra professionisti e consumatori, ma che detta una disciplina onnicomprensiva, che regolamenta i comportamenti tra le parti, (business to consumers), in relazione a tutti i settori di attività del professionista. Inoltre, è una direttiva di ARMONIZZAZIONE MASSIMA: è il legislatore comunitario, pertanto, a fissare un livello di tutela dei consumatori unico, che deve essere ugualmente e fedelmente riprodotto e rispettato in tutti gli ordinamenti statali, senza creare delle differenze che rendano poi difficile al consumatore affrontare delle operazioni economiche transfrontaliere. In ultimo, per la prima volta, si realizza una piena separazione delle due principali politiche comunitarie, ovvero quella concorrenziale e quella consumeristica, che vengono divise in maniera netta, in modo da dettare una disciplina che colga la tutela degli interessi degli imprenditori concorrenti all’interno del mercato ed una, invece, che volga alla tutela degli interessi economici dei consumatori del mercato. A tal fine, la direttiva si articola in due diverse parti: una prima parte, costituita dagli artt.2-13, che contengono e dettano la regolamentazione delle pratiche commerciali scorrette nei rapporti di business to consumers tra professionisti e consumatori; una seconda parte della direttiva, costituita dagli artt.14-16, che prevede, invece, una serie di interventi su previgenti normative comunitarie, volti a limitarne l’ambito di applicazione ai rapporti business to business. In particolar modo, è significativo che l’art.14 modifichi l’art.1 della direttiva 84/450 CE, che detta la disciplina della pubblicità ingannevole ed illegittimamente comparativa: questa disciplina, in precedenza, era applicabile posta a tutela sia dei concorrenti, sia dei consumatori, sia del pubblico in generale; con l’attuazione della direttiva viene limitata nel suo ambito applicativo nei rapporti tra professionisti, mentre la regolamentazione della pubblicità ingannevole diretta ai consumatori rientra e viene ricondotta al novero delle pratiche commerciali scorrette. Sul piano dell’attuazione della direttiva in esame e in ossequio/rispetto dell’obiettivo del legislatore comunitario, il nostro legislatore ha scelto di procedere attraverso l’adozione di due distinti decreti legislativi: il d.lgs. 145/2007; il d.lgs. 146/2007. Dopo l’introduzione della direttiva, quindi, la regolamentazione della pubblicità ingannevole ed illegittimamente comparativa è dettata dal d.lgs.145/2007. Il d.lgs. 146/2007, composto di 5art., modificava invece il titolo III della parte II del codice del consumo, introducendovi la nuova disciplina di fonte comunitario. Quindi, il nuovo titolo III si articola, dopo l’intervento del d.lgs. 146/2007, in tre capi: un primo capo, rubricato “disposizioni generali” contiene gli artt. 18-19, che definiscono l’ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo della disciplina e che forniscono una serie di definizioni di carattere generale, utili poi per l’interpretazione e l’applicazione della restante parte della normativa; un secondo capo, rubricato “pratiche commerciali scorrette”, che detta la disciplina sostanziale, individuando e ponendo in essere il divieto di dar vita a pratiche commerciali scorrette e strutturando il sistema di valutazione della scorrettezza della pratica attraverso una serie di criteri; un ultimo capo, rubricato “applicazione”, che è quello che desta maggiori aspetti di problematicità, che è formato dagli artt. 27-27quater, che contiene il sistema di applicazione immediata e sanzionatorio, predisposto dal nostro legislatore per l’applicazione della disciplina delle pratiche commerciali scorrette L’art. 19 del codice del consumo stabilisce che: “la disciplina delle pratiche commerciali scorrette poste in essere tra professionisti e consumatori prima, durante o dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto”. Per quanto concerne l’ambito di applicazione soggettivo questo riguarda i rapporti tra professionisti e consumatori, i rapporti c.d. business to consumers. Le definizioni di professionista e consumatore sono, per quanto concerne l’applicazione del titolo III e, quindi, della disciplina delle pratiche commerciali scorrette, contenute nell’art.18 lettere a,b del codice del consumo. Per consumatore si intende “ogni persona fisica che agisce per finalità esterne rispetto all’esercizio della sua attività professionale (commerciale, artigianale o industriale)”. Primo problema di carattere generale, che vale per tutte le discipline consumeristiche: concerne le ipotesi di operazioni commerciali/ acquisti posti in essere per uso promiscuo. Cosa si intende per uso promiscuo? Nelle ipotesi in cui un soggetto acquista un determinato bene o servizio per farne uso, in parte per fini personali e di consumo, in parte per l’esercizio dell’attività professionale, la dottrina ha ritenuto applicabile il c.d. criterio della prevalenza, cioè si valuta se quel dato bene verrà potenzialmente usato dal consumatore principalmente per finalità di consumo, nel cui caso si riconosce la qualifica di consumatore, o invece principalmente per finalità professionali. Un altro problema, invece, specifico della disciplina delle pratiche commerciali scorrette concerne la difficoltà di applicare a questa disciplina lo stesso principio della agibilità (?) di consumo. Per quanto riguarda, invece, la nozione di professionista:”è professionista colui che agisce nel quadro della sua attività professionale, che può essere artigianale, industriale o commerciale, e colui che agisce in nome e per conto del professionista”,ex. Art.18. Quindi, è sostanzialmente qualificabile come professionista colui che pone in essere atti non solo direttamente connessi all’esercizio dell’attività professionale, ma anche in qualche modo ricollegati o ricollegabili alla stessa. Essenziale è che gli effetti che l’operazione commerciale produce volgano a vantaggio del soggetto medesimo: pertanto, si ritiene che possa qualificarsi come professionista non solo chi è un diretto rappresentante (il professionista che agisce in prima persona), ma anche chi è un intermediario del professionista, ovvero compie delle operazioni acquisendo in primo luogo su di sé gli effetti giuridici dell’operazione medesima, per poi trasferirli al professionista. L’importante è che l’effetto ultimo, l’utilità conseguita, volga a vantaggio del professionista medesimo. Si è deciso di ampliare l’ambito di applicazione della disciplina anche ai rapporti tra professionisti e micro-imprese, fermo restando che però la micro- impresa non è un consumatore, ma è sempre un professionista, tanto che la stessa viene definita all’interno del codice del consumo, non in relazione alle finalità professionali che essa persegue, ma in relazione ai dati strutturali e dimensionali, i quali testimoniano il permanere della qualifica di professionista. Viene, quindi, a crearsi un gap nella logica di sistema. L’art.19 dice che “la disciplina si applica alle pratiche commerciali scorrette, poste in essere prima, durante o dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto”. Per comprendere cosa questa definizione voglia effettivamente dire dobbiamo fare riferimento alla nozione di pratica commerciale, di prodotto e di operazione commerciale. La nozione di pratica commerciale è anch’essa espressamente indicata all’art. 18 del codice del consumo: “si definisce come pratica commerciale qualunque azione, omissione, comportamento, dichiarazione, ivi compresa la pubblicità e il marketing, che siano diretti dal professionista nei confronti del consumatore e siano posti in essere nel quadro della sua attività d’impresa e siano finalizzati alla promozione, alla vendita o alla fornitura di un prodotto ai consumatori”. Ancora, “si indica come prodotto qualunque bene o servizio, ivi compresi i diritti, le obbligazioni e qualunque possibile oggetto di una determinazione economica fra professionista e consumatore”. Ancora, per operazione commerciale si suole definire, in via interpretativa/ in dottrina, un contratto. Andando ad assommare tra di loro tutte queste definizioni singolarmente individuate, vediamo che una pratica commerciale scorretta può essere qualunque comportamento posto in essere dal consumatore attivo, passivo, commissivo od omissivo, relativo alla vendita, alla promozione o alla fornitura di qualunque bene o servizio posto in essere prima, durante o dopo la conclusione di un contratto con i consumatori. Definito a grandi linee l’ambito di applicazione oggettivo, veniamo adesso al Capo II del Titolo III che detta la disciplina sostanziale delle pratiche commerciali scorrette, che si apre con l’art. 20, che al comma1 detta un divieto unico e generale di porre in essere pratiche commerciali scorrette, stabilendo semplicemente che “le pratiche commerciali scorrette sono vietate”. Ovviamente questo divieto spiega i suoi effetti nei confronti di tutti i professionisti che operano nel mercato e trova sua concretizzazione e puntuale definizione nei successivi commi dell’art.20, che delineano il sistema di valutazione della scorrettezza della pratica, ovvero indicano quali criteri devono essere adoperati dall’interprete e applica la disciplina per stabilire se una pratica è o meno scorretta. Criteri che vengono stabiliti dal legislatore secondo uno schema che potremmo definire a generalità decrescente o a piramide o a cerchi concentrici, al cui vertice si pone una clausola generale, prevista dall’art.20,comma 2 del codice del consumo, che indica due criteri generali che devono sussistere sempre a che una pratica possa essere considerata scorretta: la contrarietà a diligenza professionale della pratica e l’idoneità della stessa a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio al quale la pratica è diretta. Nei successivi commi dell’art.20 il legislatore fa riferimento a delle macro-aree e macro-categorie di pratiche commerciali scorrette, che sono le pratiche commerciali ingannevoli e le pratiche commerciali aggressive, che vengono poi definite negli artt. Dal 22 al 25 del codice del consumo e che sono scorrette solo quando ricorrono i requisiti previsti da questi artt. Agli artt. 23 e 26, in ultimo, il legislatore individua due elenchi di pratiche commerciali, che sono considerate in ogni caso scorrette: le pratiche commerciali in ogni caso ingannevoli e in ogni caso aggressive. Cerco di spiegarvelo. Le pratiche commerciali sono scorrette: per essere scorrette devono sempre esserci la contrarietà a diligenza professionale della pratica e l’idoneità della stessa a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio al quale la pratica è diretta. Siccome la valutazione in concreto della sussistenza di questi due requisiti è complessa ed è anche adita a margini di discrezionalità dell’interprete, per semplificare il compito sono state individuate due categorie, quella delle commerciali ingannevoli e le pratiche commerciali aggressive, che sono comunque contrarie a diligenza professionale della pratica e idonee a falsare il comportamento economico del consumatore, secondo la clausola generale, ma che vengono definite con dei parametri più chiari e più nel dettaglio, che rendono più agevole il compito dell’interprete. Infine gli elenchi di pratiche in ogni caso ingannevoli e in ogni caso aggressive semplificano ulteriormente il compito dell’interprete, in quanto se una clausola rientra in quegli elenchi sarà considerata scorretta, e quindi sanzionabile, senza la necessità di verificare la sussistenza dei criteri generali. Partiamo dalla clausola generale. -Contrarietà a diligenza professionale della pratica: “la diligenza professionale è il normale grado di specificità, competenza e attenzione che il consumatore, al qual e la pratica è diretta o che comunque raggiunge, può ragionevolmente attendersi dal professionista nei settori di attività di riferimento, in relazione ai criteri della correttezza e della buona fede”. Quindi, i criteri sono la correttezza e la buona fede, il parametro soggettivo o soggettivato della ragionevole aspettativa del consumatore medio. Il richiamo alla correttezza in materia di pratiche commerciali scorrette sta a significare che il professionista nei confronti e del pubblico in generale, mentre invece la nuova disciplina tutela solo gli interessi dei consumatori. In secondo luogo, proprio il legislatore ha male interpretato questa disciplina: una disciplina che operava su un duplice piano e aveva un duplice obiettivo è stata ricondotta nel novero delle normative volte a tutelare solo il mercato: il procedimento che davanti alla GCM si instaura è un procedimento che non tiene in minima considerazione la posizione del singolo. Innanzitutto, la legittimazione ad agire è riconosciuta tanto ai professionisti quanto ai consumatori, sebbene sempre nell’interesse dei consumatori; non viene assolutamente in rilievo la responsabilità del professionista, la valutazione della sua colpa o dolo; non viene in rilievo il danno subito dal consumatore; non sono rispettati dei canoni processualistici, quali ad esempio il principio del contraddittorio o il principio dispositivo delle prove; si ha un procedimento che sostanzialmente è svolto dall’autorità stessa e mira a dare rilievo al solo aspetto della configurabilità dell’illecito concorrenziale come illecito di pericolo e illecito oggettivo, cosa che è indubbia perché una pratica è scorretta anche se è solo idonea ad alterare il consenso. Tuttavia, la GCM accerta la scorrettezza e, come misure sanzionatorie, prevede l’inibitoria della pratica, vietando al professionista di continuare a porre in essere quella pratica all’interno del mercato o eventualmente chiedendo di conformarla a determinati aspetti o ancora vietando che venga per la prima volta posta in essere, cui si affiancano provvedimenti sanzionatori amministrativi. Tra l’altro è importante sottolineare che, oltre al procedimento dinanzi alla GCM, che permane e mantiene queste caratteristiche, la tutela dei consumatori in ipotesi di pratiche commerciali scorrette può ottenersi attraverso l’azione inibitoria collettiva e l’azione risarcitoria dei consumatori: c’è il riconoscimento della possibilità del consumatore di adire il giudice ordinario, che dovrebbe essere deputato a conoscere dei diritti soggettivi riconosciuti al consumatore, ma questo riconoscimento è espresso solo a mezzo dell’azione inibitoria collettiva (artt.139 ss. Codice del consumo), la quale riconosce non al singolo ma alle associazioni dei consumatori, iscritte negli elenchi di cui all’art. 137 del codice del consumo, la possibilità di adire il giudice ordinario per far sanzionare la scorrettezza di una pratica commerciale. Queste associazioni di consumatori agisco però a tutela non dell’interesse individuale, ma a tutela dell’interesse collettivo, seriale e di categoria: l’accertamento che viene espletato in sede collettiva è sempre un accertamento di natura preventiva e generale, che si conclude, similmente a quello della GCM, con l’adozione di un provvedimento inibitorio, che vieta al professionista di continuare a porre in essere la pratica commerciale che viene qualificata come scorretta. Quindi, nessuna tutela del singolo. Infine, uno strumento più recente introdotto nel 2009 con la legge n.99 è quello della class action, ovvero della possibilità di ricorrere sempre dinanzi al giudice ordinario, esperendo l’azione risarcitoria collettiva. Per quanto concerne questa ipotesi la legittimazione ad agire è riconosciuta al singolo consumatore che finalmente da solo può adire al giudice ordinario per vedere riconosciuti i propri diritti derivanti dalla scorrettezza della pratica. Ma è bene sottolineare che non ogni consumatore può agire in giudizio e non può agire in giudizio con l’azione risarcitoria per vedere sanzionato ogni tipo di danno: perché gli interessi per la cui tutela si agisce in giudizio e che sono tutelati devono essere interessi seriali ed omogenei, sempre cioè riconducibili ad una classe e ad un novero complessivo di consumatori. Inoltre, quand’anche si accerti la scorrettezza della pratica e venga disposto un risarcimento del danno, misura effettivamente privatistica e civilistica di ristoro, da parte del professionista, bisogna considerare che si tratterà sempre di un risarcimento per equivalente, perché comunque le posizioni di ogni singolo consumatore sono diverse l’una dall’altra, ma il giudice in sede collettiva farà un’azione equitativa. Inoltre, affinché la pronuncia effettuata all’esito di un’azione di classe abbia effetto nei confronti dei singoli appartenenti alla classe, nel nostro sistema è necessario che il singolo consumatore abbia aderito all’azione di classe: tutti i consumatori che non hanno aderito e tutti coloro che hanno contratto, non verranno effettivamente e sostanzialmente tutelati dalla possibilità di esperire l’azione di classe. Gli aspetti problematici della questione civilistica sono: sicuramente il fatto che non sia stata prevista la possibilità espressa del ricorso del singolo al giudice ordinario per la tutela di suoi diritti soggettivi riconosciuti dalla normativa, in particolare il diritto alla correttezza delle pratiche commerciali scorrette, contenuto nell’art.2 del codice di consumo; il fatto che non vi sia stato alcun adeguamento del diritto contrattuale comune/codici stico alla disciplina delle pratiche commerciali scorrette. Infatti, lo stesso art. 19, nel definire l’ambito di applicazione della disciplina, oltre che in senso positivo, lo definisce anche in negativo, indicando una serie di settori e discipline che sono escluse dall’ambito di incidenza della disciplina delle pratiche commerciali scorrette, fra le quali viene ricompreso anche il diritto contrattuale che “resta impregiudicato”. Lezione 15-04-14 Contratto preliminare Il contratto preliminare è un accordo di natura contrattuale tra 2 parti,o più parti,che devono obbligarsi in vista della stipulazione di un futuro contratto che assume il nome di contratto definitivo. Questa è la nozione di contratto preliminare alla quale sono pervenute dottrina e giurisprudenza che hanno ricostruito una nozione di un contratto che è nato nella prassi. Infatti non vi è una definizione codicistica di contratto preliminare,il codice civile si occupa di tale istituto in alcune specifiche norme. Sappiamo solo,attraverso la ricostruzione di dottrina e giurisprudenza,che è un contratto ad effetti obbligatori. L’oggetto del preliminare è quello di obbligare le 2 parti a stipulare un futuro contratto. A che serve allora il contratto preliminare se il suo oggetto e i suoi effetti sono solo quelli obbligatori? Anche qui abbiamo una ricostruzione della dottrina e della giurisprudenza e si ritiene che il contratto preliminare abbia una sorta di funzione di verifica,di controllo della conformità della pattuizione che hanno programmato le parti,rispetto ai loro effettivi interessi. Esempio: contratto preliminare che abbia ad oggetto una compravendita immobiliare. Quando 2 parti decidono da una parte di vendere e dall’altra acquistare un bene immobile, prima di addivenire alla stipula del contratto definitivo,si impegnano reciprocamente. Perché lo fanno? A che serve impegnarsi prima rispetto al momento della stipula? A che serve il contratto preliminare? Non è sufficiente giungere direttamente ad un contratto definitivo? Ci può essere l’esigenza di compiere delle verifiche sulla situazione giuridica dell’immobile,oppure ci può essere la necessità in cui il promissario acquirente si procuri la somma necessaria ad acquistare il bene e possa così bloccare l’affare in un momento precedente rispetto a quello nel quale le parti ,in effetti, avranno da una parte la disponibilità economica e dall’altra la possibilità di consegnare il bene. Perché può essere una difficoltà sia non avere soldi sia avere l’immobile ancora occupato,bloccato. Oppure un soggetto vuole comprare un’altra casa,intanto stipula un contratto di alienazione con un terzo poi con i soldi che avrà dall’anticipo,può dare a sua volta l’anticipo per un’altra casa. L’esigenza di inventarsi un contratto intermedio dal nulla al contratto definitivo è sorta da situazioni concrete cioè indisponibilità dell’intero prezzo di vendita,impossibilità di consegnare l’immobile immediatamente. E poi la seconda esigenza fondamentale è quella di verificare la conformità dell’affare rispetto agli interessi delle parti. Può essere il caso degli oneri che ci sono sul bene, può essere il caso,per esempio,nel quale un appartamento abbia una destinazione economica particolare ,esempio è destinato a uffici, e l’acquirente invece lo voglia destinare ad abitazione. Allora c’è bisogno di chiedere l’occultamento della destinazione d’uso al comune con provvedimento amministrativo. Ovviamente io che voglio acquistare questo immobile,lo voglio fare x abitarvi e non per aprire una impresa commerciale per cui a me l’affare interessa solo se l’immobile effettivamente possa essere destinato ad abitazione. Per cui io stipulo il preliminare con l’obbligo per il promissario alienante di ottenere il cambio della destinazione d’uso. Nel momento in cui andrò a stipulare il definitivo,lo potrò fare solo se l’affare sarà conforme ai miei interessi. Norme del codice civile che si occupano del contratto preliminare Art 1351 cc che si intitola “contratto preliminare” ed è l’unica norma che vedrete così intitolata e ci individua soltanto una prescrizione formale. “il contratto preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive x quello definitivo” . Sia chiaro che il contratto preliminare è un contratto come tutti gli altri quindi dovrà necessariamente contenere gli elementi che sono prescritti nell’art 1325cc (i 4 elementi costitutivi dei contratti). Tra questi ,in particolare,l’art 1351 individua un onere formale cioè ci dice che il contratto preliminare deve avere la stessa forma del contratto definitivo per cui,sapete che in materia contrattuale vige il principio della libertà delle forme,se per il contratto definitivo non vi sia un onere formale ovviamente non ci sarà questo onere formale neanche per il contratto preliminare. Viceversa pensiamo ai contratti di compravendita immobiliare x i quali è richiesta la forma scritta, il contratto preliminare dovrà avere forma scritta. Inoltre la giurisprudenza aggiunge che non solo il preliminare dovrà avere la stessa forma del definitivo ma dovrà anche essere conforme al contratto definitivo. Il concetto di conformità è un concetto interpretato in forma molto più spicciola come identicità. per impossibilità sopravvenuta ,e dovete applicarla al caso concreto. Sia in caso di esecuzione specifica,sia in caso di inadempimento e quindi di risoluzione,l’altra parte potrà essere condannata,sempre se la parte che ha proposto la domanda ne faccia espressa domanda e la comprovi nella circostanza ,al risarcimento del danno. Quando si chiede in sede civile il risarcimento del danno si deve sempre provare la fonte costitutiva,il diritto leso. Poi l’onere della prova può essere invertito per altri aspetti ma l’elemento costitutivo che ha creato il danno per il quale si richiede il risarcimento deve essere sempre provato x ottenere il risarcimento. Torniamo alle norme codicistiche sul preliminare. La terza norma inserita successivamente e abbastanza recentemente è l’art 2645 bis. Siamo nell’ambito della trascrizione. La trascrizione è uno strumento che l’ordinamento giuridico appresta nell’ambito del libro VI della tutela di diritti del codice civile,però le norme sulla trascrizione non sono norme processuali ma sostanziali e riguardano però l’effetto,la notizia,l’efficacia,l’opponibilità rispetto ai terzi di una determinata pattuizione. Quando è necessario che un determinato atto sia reso conoscibile a tutti,si deve procedere alla trascrizione. La trascrizione è semplicemente una registrazione di un determinato atto in registri speciali tenuti presso degli uffici che si chiamano “uffici del conservatorismo immobiliare” quando si tratta di beni immobili. Questo registro attesta che vi siano stati dei trasferimenti o della proprietà o di altri diritti reali. Gli atti soggetti a trascrizione sono indicati nell’art 2643 cc. Tale art ci dice che devono essere trascritti i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili perché l’ordinamento giuridico ritiene che sia giusto che tutti debbano sapere di chi sia un certo bene immobile poiché tali beni hanno una rilevanza dal punto di vista economico e patrimoniale ma soprattutto per evitare frodi nella compravendita (esempio:io vendo lo stesso bene a 10persone diverse). Altri atti soggetti a trascrizione sono i contratti di locazione di beni immobili che hanno durata superiore a 9 anni. Queste è una eccezione del principio generale per cui si trascrivono i contratti che hanno ad oggetto diritti reali perché la locazione non è un diritto reale ma un diritto personale di godimento. Nonostante questo i contratti di locazione si trascrivono sempre ai fini di conoscibilità di un atto importante che nello specifico riguarda una locazione ultranovennale,quindi no tutte le locazioni. Ancora,sono soggetti a trascrizione “le transazioni che hanno per oggetto controversie sui diritti menzionati nei numeri precedenti”. Le transazioni sono accordi su una lite pendente. Ovviamente saranno soggette a trascrizione solo quando avranno ad oggetto trasferimento di beni immobili e di diritti reali. Nel 1996 il legislatore introduce l’art 2645 bis che ci dice che: “i contratti preliminari aventi ad oggetto la conclusione di taluno contratto di cui ai numeri 1,2,3 e 4 dell’art 2643,anche se sottoposti a condizione o relativi a edifici da costruire o in corso di costruzione,devono essere trascritti se risultano da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.” Perché c’è stata l’esigenza di introdurre questa norma? È vero che c’è lo strumento specifico dell’art 2232cc oltre quello di risoluzione per inadempimento però questa tutela apprestata dl legislatore era una tutela soltanto formale e non reale. Cosa significa tutela solo formale? Significa che io,bene che andasse, avrei ricevuto il risarcimento del danno perché poi,tra il mio preliminare e la sentenza costitutiva, se l’altra parte avesse venduto il bene ad un altro con contratto definitivo e che quest’ultimo avesse trascritto,ovviamente io non avrei più potuto ottenere il bene. Il giudice avrebbe potuto pronunciare una sentenza costitutiva ma sarebbe cmq intervenuta dopo la trascrizione del contratto definitivo con altri senza effetti retroattivi. Quella sentenza non poteva mandare all’aria il sistema della trascrizione del contratto definitivo perché il terzo acquirente di un bene promesso in vendita ad altri,che va ad acquistare,nn può sapere che il prima i è obbligato con altri a vendere quel bene,proprio perché nn c’era un sistema di pubblicità. Allora il soggetto che avesse ottenuto una sentenza costitutiva avrebbe poi dovuto adire di nuovo il giudice per ottenere il risarcimento del danno. Quindi la tutela era solo formale e non reale. Invece qual’ è il meccanismo di questa norma? Io realizzo un contratto preliminare di vendita di un bene immobile, vado direttamente nello stesso giorno ,perché obbligatorio, a trascrivere il contratto preliminare di acquisto di un appartamento. L’altra parte che nel frattempo ha trovato un acquirente che è disposta a pagare un prezzo maggiore,o stipula un altro preliminare o stipula un contratto definitivo di vendita con il terzo. Nel momento in cui il notaio deve procedere all’atto pubblico di acquisto e si vanno a vedere le trascrizioni, il notaio immediatamente verifica che io ho promesso di acquistare quel bene, e blocca l’acquisto con il terzo. Questa è la tutela reale che si è inserita con l’art 2645 bis. L’art 2932 era solo un mezzo più semplificato per venire incontro a esigenze delle parti ma nn forniva una vera tutela che invece è stata fornita da questo sistema. Sistema che però nn è molto semplice. Il meccanismo di funzionamento di questo sistema è doppio. Comma 2 art 2645 bis: “ La trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione dei contratti preliminari di cui al comma 1, ovvero della sentenza che accoglie la domanda diretta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dei contratti preliminari predetti, prevale sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare.” La tutela non è piena se io mi limito a trascrivere il contratto preliminare. Per avere una tutela piena devo successivamente anche trascrivere il contratto definitivo o la sentenza costitutiva ottenuta dal giudice. Perché altrimenti,chi trascrive in un termine intermedio potrebbe vincere rispetto alla trascrizione del preliminare se la trascrizione del preliminare nn fosse seguita poi dalla trascrizione del definitivo o della sentenza. Comma 3 : “ Gli effetti della trascrizione del contratto preliminare cessano e si considerano come mai prodotti se entro un anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del contratto definitivo, e in ogni caso entro tre anni dalla trascrizione predetta, non sia eseguita la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare o della domanda giudiziale di cui all'articolo 2652, primo comma, numero 2). È chiaro il meccanismo? Io oggi prometto di acquistare un bene,vado a trascrivere il mio acquisti,entro un anno devo andare a trascrivere il definitivo o la sentenza costitutiva,se nn lo faccio decorrono 3 anni e la trascrizione del mio preliminare perde efficacia. Se entro 3 anni poi nessuna delle parti si ricorda che tra di loro c’è un obbligo x cui nn chiede l’esecuzione o nn va dal giudice x ottenere la sentenza costitutiva,è sciolto dall’obbligo. Questo è l’effetto della trascrizione del preliminare:l’effetto prenotativo cioè io prenoto un acquisto che andrò a fare. La mia prenotazione perderà effetto decorsi 3 anni dalla trascrizione perché la legge giustamente individua un ambito temporale in quanto è risaputo che l’ordinamento predilige situazioni dinamiche e è volto invece all’eliminazione delle situazioni di stallo. Abbiamo esaurito la disciplina codicistica del contratto preliminare. Ora guardiamo certi aspetti rilevanti del contratto preliminare. Il principio della conformità del preliminare al definitivo viene messo in pratica dalla giurisprudenza tutte le volte che i giudici si sono interrogati sulla differenza tra il contratto preliminare e altre pattuizioni che hanno una efficacia inferiore al contratto preliminare. Queste pattuizioni sono state definite come minuta o puntazione e intesa. La minuta o puntazione è una intesa parziale che si trova in posizione intermedia tra le mie In questo discorso rientra una questione più complessa: la natura giuridica del preliminare:  la teoria tradizionale sostiene che la natura giuridica del preliminare sia la natura giuridica del contratto definitivo perché sappiamo che il vero contratto che abbia effetti traslativi sia il definitivo,mentre il preliminare ha solo effetto obbligatorio,prenotativo, da cui derivano obblighi solo del contratto stesso e non vi siano quindi obblighi accessori;  una teoria più nuova ha ritenuto,invece,che il vero contratto sia il contratto preliminare perché le parti anticipano già il consenso,mentre il definitivo diventa in questo caso non una vero contratto ma solo un atto dovuto. Io devo necessariamente concludere il definitivo perché mi sono impegnato con il preliminare se ci riflettete entrambe le soluzioni potrebbero essere condivise perché in effetti con tutto il meccanismo giuridico che si è creato attorno all’esecuzione del preliminare e della trascrizione,la parte che si è obbligata con il preliminare poi deve x forza concludere il definitivo. In realtà in giurisprudenza prevale l’orientamento della teoria tradizionale. Si ritiene che il contratto preliminare abbia una sola causa cioè quella di obbligarsi a concludere un certo contratto e solo il contratto definitivo sia un vero contratto. Contratto preliminare a effetti anticipati Qui ritroviamo il discorso della natura giuridica del preliminare e del definitivo perché nella prassi concreta capita spesso che vi siano preliminari che rechino in sé clausole che obbligano le parti a prestazioni anticipate. Esempio: quando si va da una agenzia immobiliare e si decide di acquistare un immobile,la prima cosa che l’agenzia fa fare è quella di compilare un modulo,la proposta di acquisto,che si trasferisce nel contratto preliminare. il preliminare prevede delle scadenze,delle rate di pagamento del prezzo che partono dalla stipula del preliminare fino alla conclusione del definitivo quindi questo snaturerebbe il preliminare perché se noi abbiamo detto che il preliminare ha solo effetto obbligatori,serve solo a decidere prima che le parti devono concludere un certo affare poi le prescrizioni cioè il pagamento del prezzo e la consegna del bene si realizzeranno solo con il definitivo,tutto questo in concreto non è. Perché in concreto a volte capita che alla stipula del preliminare una parte debba dare un piccola somma,poi dopo 5 mesi debba dare un’altra somma e poi alla stipula del definitivo debba pagare la restante parte del prezzo. Oppure può succedere che x esempio la parte acquirente cui il promissario acquirente intenda fare dei lavori di ristrutturazione del bene che acquista,quindi le parti convengono che il bene sarà consegnato prima della stipula del definitivo,quando sarà pagato il prezzo. Quindi il prezzo sarà pagato al definitivo,il bene sarà consegnato 2 mesi prima x consentire al promissario acquirente di fare dei lavori di ristrutturazioni. Questi si sono stati definiti da dottrina e giurisprudenza come preliminare ad effetti anticipati. Se ci pensiamo bene però non è il preliminare che ha effetti anticipati, è il definitivo che anticipa gli effetti al preliminare. si dovrebbe dire preliminare con effetti anticipati del definitivo. Qual è la natura giuridica di questo contratto? La giurisprudenza è abbastanza conforme nel ritenere che non ci sia il consenso,l’effetto traslativo si verificherà comunque al momento del definitivo ma semplicemente si anticipano certi effetti che poi comporteranno eventuali obblighi di restituzioni nel caso in cui poi non si arriverà alla stipula del definitivo. E allora quale è la natura giuridica del titolo con il quale il promissario acquirente vuole quell’immobile prima del definitivo? Cioè io mi obbligo con il preliminare ad acquistare,il promittente alienante consente di entrare nel possesso dell’immobile prima dell’acquisto,in virtù di quale titolo è consentito? Si potrebbe pensare al comodato,anche se il comodato generalmente dovrebbe avere una causa propria,causa propria che in questo caso il comodato non ha. Generalmente i negozi giuridici non dovrebbero avere una causa astratta,l’astrattezza della causa potrebbe comportare anzitutto la nullità del contratto perché la causa deve essere concreta,il contratto deve avere una sua causa. Quindi non si può pensare al comodato. Nn pensate a un titolo contrattuale ,pensate ad una situazione di fatto ossia in virtù di cosa ho disponibilità di questo bene? È una situazione di possesso e non di detenzione. Perché la differenza tra possesso e detenzione è che mentre quando io detengo,detengo nella cd contemplatio domini,cioè sapendo benissimo che il titolare del diritto è un altro e quindi detengo per ragioni di servizio o altro. Invece il possesso è una situazione nella quale il soggetto ha disponibilità di bene per se stesso esercitando un potere corrispondente ad un diritto reale o a un diritto di proprietà. In effetti è proprio questa la situazione del nostro esempio, è vero che formalmente il promissario acquirente non è il proprietario,il proprietario è ancora il promittente alienante perché nn c’è stato ancora il contratto traslativo, ma in concreto,poiché avviane già la consegna del bene e magari c’è già il pagamento di una parte del prezzo,ovviamente sarà una situazione di possesso. Questo è uno dei casi nei quali il possesso con corrisponde ancora alla proprietà. Il contratto preliminare di compravendita di beni immobili È stata recentemente introdotta una disciplina specifica (d.lgs n 122 del 2005)che riguarda il preliminare di compravendita di beni immobili da costruire. Si è posto questo problema perché capitava spesso che nella vendita dei cd immobili sulla carta perché in concreto l’immobile nn c’è,si ha solo la piantina dell’immobile che verrà costruito ,spesso gli immobili nn venivano più costruiti per mancanza di acquirenti o x fallimento dell’impresa costruttrice o x altri problemi. Episodio più famoso è quello di Punta Perotti.Per cui l’ordinamento nel 2005 si è posto il problema di trovare una tutela al soggetto che aveva già acquistato,il promissario acquirente, perché anche la tutela risarcitoria era relativa perché per esempio se l’impresa era fallita,ci si poteva inserire nel fallimento come tanti altri creditori ma nn era certo che avrebbe avuto il risarcimento. Quindi nel 2005 è stata introdotta la disciplina x tutelare gli acquirenti di immobili da costruire. In particolare l’art 2 dispone che “All'atto della stipula di un contratto che abbia come finalita' il trasferimento non immediato della proprieta' o di altro diritto reale di godimento su un immobile da costruire o di un atto avente le medesime finalita', ovvero in un momento precedente, il costruttore e' obbligato, a pena di nullita' del contratto che puo' essere fatta valere unicamente dall'acquirente, a procurare il rilascio ed a consegnare all'acquirente una fideiussione, anche secondo quanto previsto dall'articolo 1938 del codice civile, di importo corrispondente alle somme e al valore di ogni altro eventuale corrispettivo che il costruttore ha riscosso e, secondo i termini e le modalita' stabilite nel contratto, deve ancora riscuotere dall'acquirente prima del trasferimento della proprieta' o di altro diritto reale di godimento. Restano comunque esclusi le somme per le quali e' pattuito che debbano essere erogate da un soggetto mutuante,nonche' i contributi pubblici gia' assistiti da autonoma garanzia.” Come ben sapete la fideiussione è un contratto di garanzia personale con il quale qualcuno personalmente si obbliga a garantire un certo credito. Per cui nel momento in cui il mio debitore non mi pagherà,e voglio che mi sia garantito l’adempimento del credito,vado dai fideiussore e mi faccio pagare il credito. Esistono poi polizze fideiussorie che nella prassi prevedono che questa polizza fideiussoria sia rilasciata da una banca ossia da un soggetto che sicuramente paga. E poi vi è una “garanzia a prima richiesta” cioè io appena verifico l’inadempimento nn devo neanche chiedere al debitore il pagamento ma posso chiederlo direttamente al fideiussore. Questo garantisce all’acquirente che le somme che ha pagato potranno essergli restituite nel momento tale Cacciavillani ha pubblicato un annuncio circa la questione dell’affresco e quella dei parcheggi di cui all’art 41 sexies della legge urbanistica. Dopo di che c’è tutta una giurisprudenza sull’integrazione del prezzo dei parcheggi: alcune sentenze dicono di sì, alcune dicono di no; alcune sentenze dicono che se supera il 5% l’integrazione del prezzo potrebbe essere impegnativa. Altro caso: Faccio un contratto d’appalto: stabilisco il prezzo a corpo di 27000 euro con la piantina allegata al contratto. Dopo di che viene fatto il subappalto dall’appaltatore dove si stabilisce un prezzo a misura. Il subappaltatore finisce il lavoro e presenta il conto a me di 54000 euro. Quello stabilito a corpo è stato fatto su una rappresentazione della realtà che è diversa da quella effettiva. Quindi quel contratto va considerato come se non esistesse, perché non possiamo regolare i rapporti tra le parti sulla base di quel contratto, non si può chiedere un corrispettivo sulla base di quel contratto. Il subappaltatore sarà pagato dall’appaltatore. Il problema è tra appaltatore e committente: come sarà regolato quel rapporto se non sulla base di quel contratto? Sulla base dell’arricchimento: art 936 cc: “Quando le piantagioni, costruzioni o opere sono state fatte da un terzo con i suoi materiali il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle o obbligare colui che le ha fatte a levarle. Se preferisce ritenerle deve pagare a sua scelta il valore dei materiali e il prezzo della manodopera oppure l’aumento del valore arrecato al fondo”. Cioè deve pagare la minor somma tra l’aumento di valore e il costo dell’ opera dei materiali. La risolve come se non ci fosse contratto. Per individuare l’oggetto del contratto di compravendita dobbiamo ricostruire l’unità del bene nel senso che gli effetti dell’atto di acquisto si estendono a tutte le parti, nel senso che se io dimostro ad esempio che il giardino è parte della villa vuol dire che io ho comprato anche il giardino. L’oggetto del titolo d’acquisto è la villa, oggetto del titolo d’acquisto è un bene, è un’ unità immobiliare. Come se io dimostro che la stanza è parte dell’appartamento io compro anche quella stanza. Art 950 cc : AZIONE DI REGOLAZIONE DEI CONFINI: “Quando il confine tra 2 fondi è incerto ciascuno dei 2 proprietari può chiedere che sia stabilito giudizialmente, ogni mezzo di prova è ammesso, in mancanza di altri elementi il giudice si attiene al confine delineato dalle mappe catastali”. Quest’azione di regolamento di confini noi la ricordiamo tra le azioni a tutela della proprietà. Abbiamo sia l’azione di rivendicazione e sia l’azione di regolamento dei confini. Si è detto che l’azione di rivendicazione risolve un conflitto tra titoli d’acquisto e quindi il caso classico è: chi afferma il suo diritto di proprietà conviene in giudizio il possessore. Il possessore e chi si dice proprietario litigano su chi ha il titolo d’acquisto che prevale sul titolo d’acquisto dell’altro. Questa è l’azione di rivendicazione. Il possessore dirà: “Sono io proprietario, perché l’ho comprato da Tizio”. Il giudice dovrà accertare quale titolo d’acquisto è prevalente. Nel caso di regolamento di confini c’è un conflitto tra fondi, cioè quello che è incerto è la reciproca estensione dei fondi. Che vuol dire che è incerto? Quando uno dice una cosa ed un altro ne dice un’altra., cioè quando una cosa è contestata e verrà accertata con una sentenza d’accertamento la quale ha l’effetto preclusivo del giudicato e non sarà più incerto. Anche l’azione di rettifica del confine può essere un’azione di regolamento di confine se il confine non è tra titoli d’acquisto dello stesso bene perché i reciproci proprietari si riconoscono proprietari di 2 fondi distinti. Quando io dico che una parte è parte del mio fondo quella parte (insieme al tutto) è l’oggetto del titolo d’acquisto. L’oggetto di alienazione è l’intero bene, l’unità economica immobiliare. Il problema inizia a sorgere per le PERTINENZE: che succede se c’è una vendita che ha ad oggetto un bene al quale sono collegati funzionalmente altri beni?. Art. 817 cc: “Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole al servizio o ornamento di una cosa principale”. Qual è l’effetto? Art. 818 cc : “gli atti e i rapporti giuridici che hanno ad oggetto il bene principale comprendono anche le pertinenze, se non diversamente disposto”. Possono vendere sia solo la cosa principale sia solo le pertinenze. Si può escludere dalla vendita della cosa principale la pertinenza. Art 1117 cc: “Tutte le parti dell’edificio destinate ad utilità comune sono oggetto di proprietà comune tra i proprietari delle singole unità immobiliari., se non risulta il contrario dal titolo”. Questo è come le pertinenze. Se io vendo un’unità immobiliare, salvo che il contrario non risulti dal titolo, oggetto della vendita sono anche i diritti sulle parti comuni. Ad esempio se ho una villa le fondamenta sono parti della villa. Nel codice il condominio è affiancato alla comunione che non centra nulla perché lì è il diritto che spetta su una cosa in comune a più persone, qui sono delle parti di un edificio che sono in comune a più beni. Quando vendo l’unità immobiliare la vendo insieme a tutti i diritti delle parti comuni che sono tutti quelli destinati all’utilità comune, salvo che il contrario non risulti dal titolo e anche per le pertinenze io posso ad esempio vendere la villa senza il giardino o senza il garage. Perché posso vendere il bene principale senza la pertinenza? Se io voglio vendere il bene principale senza la pertinenza posso togliere la destinazione pertinenziale (che deve avere l’ APPARENZA: cioè deve sembrare un’unità pertinenziale del bene, deve avere il collegamento funzionale OBIETTIVO e APPARENTE). La funzione del titolo contrario è quella di superare le destinazioni apparenti; se non c’è titolo contrario l’oggetto dell’atto d’acquisto è il bene principale e tutto ciò che è destinato all’utilità di quel bene principale comprese le pertinenze, le parti comuni, le servitù. Tutte le parti di quell’ unità economica sono beni oggetto del titolo d’acquisto, salvo che le parti vogliano trasferire non l’unità economica così come risulta ma l’unità economica diversamente da come risulta; come se potessero disinnescare nel titolo quelle destinazioni che risultano allo stato (anche se risulta pertinenza quello non è oggetto del contratto perché gli attribuiamo una funzione diversa da quella che risulta). Questo titolo contrario opera sullo stesso livello in cui operano gli atti di destinazione: per fare di un bene una pertinenza di un altro ci vuole un atto di destinazione economica con cui io pongo una cosa al servizio di un’altra cosa; quel titolo contrario è come se spezzasse quella destinazione. Nel condominio questo è molto importante: dopo la prima vendita cambiare la destinazione delle cose diventa molto più complicato perché devi mettere d’accordo tutti. Se io vendo un appartamento in un condominio come faccio a sapere quali sono le parti comuni? Non bisogna guardare l’elenco, perché ad esempio le scale possono non essere pari comuni, bisogna badare alla funzione, all’utilità comune. La destinazione ad utilità comune deve essere apparente. Ci si deve chiedere: è abbastanza evidente la funzione ad utilità.comune?. L’altro problema è: se per caso nel titolo d’acquisto abbiamo compreso qualcosa in più: ad esempio: il proprietario ha usurpato una parte del fondo del vicino. Questa parte che ho usurpato può essere parte dell’unità economica apparente? Si. Quindi è oggetto del titolo d’acquisto del terzo? Si. Se c’è stata un’usurpazione da parte del vicino ed io compro, su quello che il dante causa ha usurpato, il titolo d’acquisto si estende e compra anche l’azione per ripristinare la legalità. Il titolo di acquisto si estende anche a parti di beni di cui non sono proprietario. Posso vendere una cosa di cui non sono proprietario? Si; ad esempio nella vendita di cosa altrui. Per la pertinenza è la stessa cosa: il titolo di acquisto si estende anche alla pertinenza ( è chiaro che l’acquirente non acquista immediatamente la proprietà se si tratta di beni immobili) però un titolo astrattamente idoneo ce l’ha. Lezione di diritto civile I del 23-04-2014 NOTA SUL PROGRAMMA : i frequentanti possono escludere dal libro i capitoli relativi alla vendita e al fallimento, all'autotutela nella vendita mobiliare e alle vendite speciali. le garanzie di conformità : la scorsa volta abbiamo cominciato a studiare le garanzie previste nel codice del consumo e avevo introdotto gli apporti maggiormente innovativi di questa nuova disciplina . diciamo “nuova”, anche se è stata introdotta in Italia a partire dal 2002 ma tutto sommato è ancora recente perchè rispetto a questa non esiste ancora una casistica giurisprudenziale che renda le regole operative in qualche maniera affidabili : un po' perchè molte di queste controversie tendono a concludersi sul piano stragiudiziale , un po' perchè per la lungaggine del processo civile italiano molte di queste cause non si sono ancora concluse e sono tutt'ora pendenti , per cui ci sono soprattutto sentenze di merito ; quindi tutt'ora lo studio è soprattutto quello delle regole legali, anche perchè molte nozioni di questa disciplina comunitaria sono nozioni ampie ed elastiche che devono essere precisate nella elaborazione dei tribunali : noi possiamo al momento interpretare e studiare il dato normativo , però come si concretizzeranno nella prassi dei tribunali tutto sommato non possiamo ancora definirlo con esattezza. Quando vi approcciate allo studio delle “garanzie di conformità del consumatore” , contenute nel codice del consumo, è necessario individuare preliminarmente l'ambito operativo delle regole ; il riferimento immediato va : 1. ai soggetti 2. ai contratti 3. ai beni per quanto riguarda i contratti : quando il legislatore comunitario va a legiferare, non si riferisce ai “tipi contrattuali” ; noi nel nostro ordinamento siamo abituati a ragionare per “tipi” ( i tipi contrattuali sono quelli disciplinati nel codice civile o categorie concettuali studiate nel codice civile? La nuova direttiva e quindi le nuove regole contenute nel codice di consumo, introducono un concetto unitario di difettosità e cioè difetto di conformità del bene al contratto . Questa formulazione riassume tutte le ipotesi di anomalie del bene compravenduto , senza che dalla diversità del tipo di difetto discendano delle conseguenze sul piano dei rimedi. noi abbiamo visto che dal vizio c.d occulto redibitorio conseguiva la possibilità di risolvere il contratto o di ridurre il prezzo , invece rispetto alla mancanza di qualità promesse o qualità essenziali, l'unico rimedio disponibile era la risoluzione del contratto art 1493. Abbiamo anche parlato della vendita di cosa radicalmente distinta da quella dovuta : l'aliud pro alio . Tutto questo viene in qualche modo spazzato via solo però con riferimento alle vendite l consumatori ; le regole del c.c sono tutt'ora vigenti: quindi voi pensate ad un sistema c.d del doppio binario : DA UNA LATO le regole del consumo , DALL'ALTRO le regole del codice civile che si potranno continuare ad applicare quando ad esempio la vendita intercorre tra operatori professionali ovvero nelle vendite tra privati . Questa disciplina del c.c è in qualche misura inadeguata , sia rispetto alle esigenze del compratore, ma poi rispetto anche alle caratteristiche della produzione o della commercializzazione. L'attuazione della direttiva poteva essere un'occasione per rivedere l'impianto concettuale delle garanzie, cioè non limitarle solo alle vendite ai consumatori , ma generalizzare queste previsioni in relazione a tutte le vendite ( proprio perchè la disciplina del codice civile si era rivelata inadeguata) e in effetti questa è l'opzione regolamentare adottata da molti ordinamenti europei: in Germania per esempio la direttiva 1999/ 44 è stata attuata nell'ambito di una significativa revisione del codice civile , cioè per l'attuazione della direttiva hanno preso queste previsioni e ne hanno modificato il quadro con una riforma di tutto il diritto tedesco delle obbligazioni e dei contratti. In Italia si sperava in tutto questo , ma non c'è stato; per cui sicuramente questa nuova normativa è da guardare con favore perchè è protettiva rispetto ai consumatori, però da un punto di vista sistematico cosa si è creato? Un gran guazzabuglio , perchè attualmente quando dobbiamo studiare lo statuto della vendita diventa molto difficile perchè con questa nuova disciplina si è creata una frantumazione delle vendite, che sono disciplinate da diversi testi normativi . per cui andare a rintracciare le regole non è facile, perchè si deve fare questo tipo di operazione per verificare in quale fattispecie ci troviamo , chi sono i soggetti coinvolti nella negoziazione, per quale tipo di beni e poi rivolgersi al testo normativo e inoltre la situazione è complicata anche dalle previsioni di diritto internazionale uniforme : perchè quando la vendita è internazionale( per es. tra operatori commerciali) , trovano applicazione le convenzioni che sono sottoscritte dagli stati per disciplinare in maniera uniforme le transazioni commerciali , quindi per esempio la convenzione di Vienna del 1980 . quindi la critica rivolta, sia pure nella consapevolezza che questo tipo di disciplina contenuta nel codice del consumo segna un passaggio decisivo per i consumatori , è volta al fatto che l'ordinamento perde di unicità perchè non si parla più di ordinamento giuridico ma esistono tanto micro ordinamenti a seconda del tipo di transazione, a seconda del tipo di interessi coinvolti. Quindi anche se alla fine il contratto è quello della compravendita bisogna però approfondire i vari aspetti perchè bisogna guardare ai soggetti del contratto, al tipo di transazione e quindi vi sono statuti completamente diversi, addirittura a livello internazionale si potranno applicare regole diverse. il principio di conformità dei beni al contratto è proprio mutuato dalla convenzione di vienna , che è stata la prima che in qualche maniera ha assunto il difetto di conformità del bene al contratto come modello di tutte le iniziative di riforma che si sono avute anche in europa ( prima ancora della attuazione della direttiva comunitaria del 1999, ci sono stati altri stati europei che sono molto avanti a livello di tradizione giuridica : Olanda, paesi bassi.. che avevano già adottato questa nozione unitaria) . Quindi non è una novità assoluta ma è una nozione che in altre tradizioni giuridiche già si applicava da tempo, ma l'origine essenzialmente è la convenzione di Vienna del 1980 che si applica solo alle vendite tra operatori commerciali stabiliti in paesi diversi e non riguarda i consumatori. In queste nuove regole : il contenuto della prestazione che grava sul venditore è definito secondo un approccio molto articolato. L'art 129 del codice del consumo intitolato “ alla conformità al contratto”, si apre conuna previsione molto sintetica : “ il venditore ha l'obbligo di consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita” , dopo di che nei successivi commi ci sono una serie di ipotesi molto dettagliate di “ verificazione della conformità” : cioè una serie di criteri legali in presenza dei quali si presume che il venditore abbia adempiuto correttamente al suo obbligo di consegnare beni conformi al contratto . La novità assoluta , che si lega a questa concezione di vendita comunitaria , è la previsione di una obbligazione che riguardi una qualità del bene . Cioè questa disciplina ridisegna tutte le obbligazioni che devono gravare sul venditore , che non sono più limitate alla prestazione traslativa: cioè il venditore professionale comunitario ( il professionista nelle direttive comunitarie) , non si deve limitare a consegnare un bene e quindi ad adempiere alla sua prestazione di dare ma c'è un obbligo ulteriore : cioè non solo consegnare, ma consegnare beni conformi al contratto . Questa è una novità perchè ha esplicitato una possibilità che era stata negata nel tema del codice civile, tanto è vero che esiste una discussione sulla natura giuridica delle garanzie , che è un tema che ha affannato gli studiosi del diritto civile , proprio perchè dotati di una rete di assistenza , ma a loro devono rivolgersi a qualcuno che possa garantire questo tipo di servizio e questo poi si riverbera sul costo finale del prodotto . molto spesso alla fine questo sistema di garanzie grava a livello di costo sugli stessi consumatori che si vogliono proteggere : perchè spesso l'effetto finale è quello di un aumento del costo finale del bene , proprio perchè i venditori possano far fronte a questo tipo di garanzie . È chiaro che esiste nella legge la possibilità di regresso : si crea una canalizzazione della responsabilità per proteggere il consumatore che non deve rincorrere il produttore che magari si trova in un paese europeo diverso da quello di acquisto o extracomunitario.Quindi si canalizza la responsabilità in capo all'ultimo anello della catena di distribuzione. Aldilà di una eventuale colpa relativamente alla origine della difettosità del bene, si tratta di una responsabilità oggettiva, cioè il venditore ne risponde se esiste nella merce questo difetto di conformità. ma il venditore non necessariamente deve sopportare i costi di un difetto che non gli sia imputabile, quindi avrà a sua volta azione di regresso , dice la legge : “ nei confronti dei responsabili” e su questo non è molto chiara in quanto introduce un tipo di responsabilità oggettiva però poi fa riferimento ad una sorta di responsabilità degli intermediari o direttamente del produttore . Quindi secondo la legge sembra che il venditore abbia l'onere di verificare , in questa catena , quale sia stato l'anello debole e cioè a chi sia imputabile il difetto e quindi rivolgersi con una azione di regresso , che comporta ottenere il ristoro delle somme che possa aver pagato al consumatore ovvero il rimborso delle spese necessarie per ottemperare a quelli che sono i rimedi . Il più delle volte il venditore andrà direttamente dal produttore ; a meno che non ci sia un chiaro caso in cui la responsabilità sia di chi ha effettuato il trasporto della merce e quindi c'è stata negligenza nell'imballaggio della merce e in quel caso il venditore potrà richiedere questi rimborsi al trasportatore. Il più delle volte ci si rivolge al produttore : e in questo caso ad eventuali controversie che dovessero sorgere si applicheranno le regole del codice civile perchè si tratta di problemi tra operatori commerciali ( con tutti i problemi che ne sorgono a livello di onere della prova, nel senso che il venditore dovrà comunque dimostrare : di aver rispettato i termini, di aver notificato il difetto quando ne ha avuto conoscenza da parte del consumatore: quindi un meccanismo piuttosto macchinoso ). forse sarebbe stato più semplice prevedere una azione diretta nei confronti del produttore quando si tratti di ottenere la sostituzione o la riparazione, quindi una azione avente natura contrattuale ( io ho una azione diretta nei confronti del produttore però al di fuori del rapporto della vendita, cioè posso ottenere il risarcimento dei danni secondo la disciplina della responsabilità del produttore contenuta nel codice del consumo ) . il legislatore spagnolo ha attuato questa direttiva rimettendo la scelta ai consumatori che si possono rivolgere indistintamente o al venditore o al produttore . Nel codice del consumo c' è una possibilità di rivolgersi direttamente al produttore , ma solo laddove sia troppo oneroso o disagevole rintracciare il venditore ovvero in caso di fallimento del venditore (cioè per evitare che siano compromesse le ragioni del consumatore) . DOMANDA : quali sono le garanzie prestate nelle vendite su internet ( per es. su e bay?) Le negoziazioni che si svolgono su e-bay sono negoziazioni tra privati : quindi si vede chi sono i soggetti coinvolti nella vendita? Sono soggetti privati che non esercitano il commercio a livello professionale . In quel caso è preliminare l'individuazione del tipo di negoziazione : cioè chi sono i soggetti , perchè è chiaro che se il venditore è un privato non è che non è tenuto alle garanzie, però esiste la possibilità di derogarle convenzionalmente quindi se è stato detto che la merce è usata e quindi leggermente logorata, il compratore non si può lamentare perchè le garanzie sono state ridotte convenzionalmente . CASO DIVERSO : ma in questi casi l'onere della prova è piuttosto pesante , il caso in cui il venditore privato abbia taciuto in malafede dei vizi : a quel punto per avere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo si dovrà dimostrare la malafede . Questo con riferimento alle vendite tra privati in cui c'è la possibilità di apporre delle clausole che sono di uso comune tipo la clausola “vista e piaciuta”: io valuto la merce e la accetto così com'è anche con i suoi difetti ( anche perchè molto spesso se c'è un lieve difetto questo si riverbera sul prezzo ), in quel caso non c'è un soggetto da tutelare con una garanzia, perchè io ho contrattato con la consapevolezza di pagare un prezzo minore a fronte di un piccolo difetto . Caso diverso previsto dal codice civile è quello in cui il difetto è occulto e non rilevabile ad una prima occhiata , ma in un momento successivo alla consegna : in quel caso c'è un onere probatorio piuttosto gravoso , cioè devo dimostrare in qualche maniera che il venditore sapeva ma i difetti li ha occultati e taciuti e solo in tal caso si può chiedere la risoluzione o la riduzione del prezzo. Invece per il venditore professionale : si vede quando l'attività è svolta in maniera professionale : c'è la partita iva, c'è l'indirizzo, c'è la sede dell'impresa . In questa disciplina : “ i difetti che emergono entro 6 mesi dalla consegna , si presumono esistenti già a tale data” : cioè c'è una parziale inversione dell'onere della prova : se il difetto emerge nei primi 6 mesi non devo dimostrare nulla , ma solo che c'è il difetto , che non ho fatto un uso improprio del bene e quindi il difetto trae origine già da una difettosità che poi sarà eventualmente il venditore a dover negare ( quindi il venditore in una controversia può solo dimostrare che è stato fatto un uso eccessivo e improprio del bene ). allora molte volte cosa fanno i rivenditori? Quando il difetto si manifesta 6 mesi dopo dicono che la garanzia non c'è più , ma la garanzia dura 2 anni : dopo di che per i difetti che emergono entro i primi 6 mesi vi è una parziale inversione dell'onere della prova , per cui si presume che esistevano già al momento della consegna e quindi il qualche maniera i criteri elaborati dalla giurisprudenza sulla scorta delle regole del nostro codice civile ( che più o meno erano già presenti nelle altre tradizioni giuridiche), che però sono state completate dalla previsione della rilevanza del messaggio pubblicitario. Sicuramente l'apporto più significativo è quello che riguarda I RIMEDI : che sono sempre quelli , ma sono gerarchizzati, cioè esiste una scansione dei rimedi possibili che sono definiti : • primari • secondari quelli primari : sono la sostituzione del bene o la riparazione , in prima battuta il consumatore è obbligato a scegliere la riparazione o la sostituzione , e solo a certe condizioni può poi rivolgersi ai secondi rimedi . Quando la riparazione o la sostituzione siano impossibili ( ad es. se il bene è infungibile) o abbiano un costo eccessivo allora si può accedere direttamente ai rimedi secondari oppure , dice la legge , che il consumatore può accedere direttamente ai rimedi secondari quando il venditore non abbia ottemperato entro un termine congruo . quando passa un congruo termine? in ogni negoziazione vi è un certo termine che tiene conto del tipo di bene, ad esempio se si tratta di un bene ad uso quotidiano 10 giorni sono non congrui : si tratta di valutazioni concrete che vanno fatte dal giudice rispetto al caso concreto ; quindi i rimedi primari devono essere accolti entro un termine definito “ congruo” , se questo non avviene si potrà chiedere direttamente la risoluzione del contratto ovvero , dice l'art 130 “ è possibile accedere direttamente alla risoluzione del contratto o alla riduzione del prezzo se i rimedi primari sono stati accolti creando notevoli inconvenienti al consumatore” : anche questa è una formula piuttosto incerta che può parzialmente coincidere anche con la nozione di tempo. Spesso se passa molto tempo per ottenere la riparazione questo crea un notevole inconveniente . Quindi sono 2 formule sono tendenzialmente coincidenti .IMPORTANTE: il ripristino della conformità deve avvenire senza spese aggiuntive , questo la legge lo dice chiaramente. quindi la sostituzione e la riparazione del bene devono essere realizzati dal venditore entro un termine congruo dalla richiesta e senza arrecare inconvenienti , dice l'art 130 : “ tenendo conto della natura del bene e dello scopo per cui il consumatore si era determinato all'acquisto” , quindi se ad esempio aveva palesato al venditore un utilizzo particolare o la necessità di utilizzarlo in un certo modo , è chiaro che un notevole ritardo potrà concretizzare questa ipotesi di notevole inconveniente che può legittimare l'accesso diretto ai rimedi di tipo secondario . Queste regole di protezione sono presidiate dalla c.d IMPERATIVITà : quando abbiamo studiato le regole del codice civile o anche tra soggetti privati , abbiamo visto che esiste la possibilità di derogare al regime legale delle garanzie fino ad escluderle del tutto. Sarebbe legittima e non abusiva una clausola che escluda il regime delle garanzie. In questo sistema invece i diritti riconosciuti ai consumatori sono irrinunciabili : quindi qualsiasi clausola che limiti i diritti riconosciuti da questa normativa dovrà considerarsi abusiva e quindi nulla . Questo è un punto decisivo rispetto alla disciplina del codice civile che è vero che fa discendere queste garanzie direttamente dalla stipula del contratto : si parla di una sorta di effetto naturale del contratto di compravendita , però può essere escluso direttamente o il venditore può imporre questa esclusione. L'art 134 si riferisce alla imperatività delle regole : carattere non derogabile delle regole di protezione. Le garanzie viste fino ad ora sono le GARANZIE LEGALI DI CONFORMITÀ che gravano sul venditore finale . Poi vi sono LE GARAZIE COMMERCIALI . L'art 133 del codice del consumo , pur rinunciando ad una regolamentazione esaustiva delle garanzie commerciali e cioè quelle offerte in maniera supplementare rispetto alla garanzia legale di conformità ( una garanzia addizionale che può essere garantita dal venditore finale o dal produttore ) , si limita a definire dei requisiti di forma , cioè prescrive una serie di obblighi informativi al fine di rendere quanto più trasparenti le garanzie commerciali . Quando parliamo di garanzia legale di conformità , parliamo di una garanzia che grava sul venditore e che legittima i rimedi primari e secondari . L'art 133 del codice del consumo detta poi alcune regole relativamente alle garanzie definite commerciali . • Da un lato : garanzie legali , cioè discendenti direttamente dalla legge e non derogabili• dall'altro : garanzie commerciali , cioè che hanno una base convenzionale cioè ad esempio le garanzie di fabbrica ( talloncino che trovate nei prodotti e che offrono delle garanzie rispetto a certi beni) : e sono offerte da soggetti che possono essere anche diversi dal venditore. Il codice del consumo prescrive , a chiunque offra queste garanzie, di fornire un certo numero di informazioni in maniera chiara e trasparente : bisogna chiarire che queste garanzie offerte sono addizionali rispetto ai rimedi che discendono direttamente dalla garanzia legale di conformità. Anche questa disciplina si conclude con il rinvio alle norme di diritto internazionale privato come tutte le direttive sui diritti dei consumatori. Lezione 28/04 Oggi, in qualche maniera ,concludiamo il discorso che abbiamo avviato parecchio tempo fa sulle garanzie. Noi fin ora ci siamo preoccupati sia nella prospettiva nazionale,sia in quella di derivazione comunitaria delle garanzie a fronte dell'ipotesi dei difetti della cosa venduta. Abbiamo visto variamente come può essere articolata la nozione di difetto secondo la concezione propria del codice civile, piuttosto che nella concezione di diritto comunitario ovvero internazionale che invece hanno adottato,in senso molto generale e onnicomprensivo il principio di conformità dei beni al contratto. In generale abbiamo esaurito il discorso relativo ad una delle obbligazioni principali del venditore che è quella di garantire il bene a fronte dei difetti della cosa venduta. Se noi andiamo a leggere (mi raccomando al codice e alla dimestichezza con gli articoli del venditore ,il compratore può richiedere la risoluzione del contratto ,il risarcimento del danno secondo le regole che abbiamo visto già nel 1479, quando deve ritenersi secondo le circostanze che chiaramente verranno accertate dal giudice caso per caso che non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte mancante e quindi si va a fare una valutazione della convenienza dell'affare,cioè il compratore si sarebbe determinato comunque l'acquisto solo di una quota. Se dal complesso delle circostanze della compravendita ,che ripeto saranno accertate dal giudice, emerge invece che l'acquirente non avrebbe interesse a stipulare un acquisto di questo tipo allora in questo caso si può ottenere l'intera risoluzione del contratto. Diversamente,perché può essere che permanga l'interesse all'acquisto solo di una quota,si può ottenere una congrua riduzione del prezzo,oltre evidentemente sempre il risarcimento del danno. Io vi ho detto che rileva diversamente la buona fede ovvero la mala fede del compratore. La possibilità di richiedere la risoluzione della compravendita,ovvero la riduzione del prezzo solo nel caso di vendita di cosa parzialmente altrui e il risarcimento del danno,perché attenzione è importante anche il fatto che si possa richiedere oltre alla restituzione del prezzo pagato anche il rimborso di tutte le spese fatte in vista della vendita e questi rimedi sono operativi immediatamente ,cioè nel momento in cui il compratore dovesse avere conoscenza dell'altruità della cosa compravenduta. Che succede invece nel caso in cui il compratore fosse, perché è possibile che si sia in qualche modo messi d'accordo , perfettamente a conoscenza che la cosa era di proprietà altrui? In questo caso o il contratto ha direttamente previsto un termine entro il quale il venditore deve fare acquistare la proprietà e allora in questo caso c'è l'autonomia delle parti che ha stabilito intanto la conoscenza e la consapevolezza ,cioè sappiamo dal testo del contratto che l'acquirente era consapevole che la cosa era altrui e lo stesso contratto ha previsto un termine entro il quale il venditore deve fare acquistare la proprietà. Ove invece il contratto nulla abbia previsto,pur ripeto nella conoscenza del compratore ,in questo caso infatti noi sappiamo che l'art.1479 parla di buona fede e dobbiamo ritenere evidentemente invece che nel caso di mala fede e nel caso di conoscenza che cosa potrà fare l'acquirente ? Potrà chiedere al giudice di fissare un termine,cioè quindi che succede ? Succede che il compratore in qualche maniera è onerato cioè piuttosto che direttamente rivolgersi al giudice per ottenere la risoluzione del contratto avrà un onere ulteriore proprio perché era in mala fede,cioè conosceva l'altruità della cosa e dovrà andare dal giudice e farsi fissare un termine entro il quale il venditore ha ancora la possibilità di adempiere al contratto facendo acquistare la proprietà della cosa ,scaduto inutilmente questo termine solo a quel punto si potrà ottenere la risoluzione del contratto. Quindi la diversa rilevanza della buona fede e della mala fede rileva solo in questi termini cioè nel senso di accesso al rimedio che in un caso è immediato nell'altro caso invece deve rispettare gli eventuali termini previsti dal contratto e ,ove il contratto nulla prevede , dal termine che è fissato dal giudice (il giudice ,verificata che la vendita è di cosa altrui ,impone al venditore,entro il termine evidentemente ragionevole a seconda poi del caso specifico,decorso inutilmente questo termine il compratore potrà ottenere la risoluzione del contratto ). Questa è essenzialmente la disciplina di vendita di cosa altrui che è ,ripeto,un'ipotesi di vendita obbligatoria,cioè di vendita in cui l'effetto reale del trasferimento del diritto è differito in un momento successivo rispetto alla stipula. DOMANDA :”ma se nel contratto non ci sono termini ,come fa poi a provare la mala fede del venditore?” RISPOSTA :”la conoscenza è possibile anche in base alle trattative,comunque è una buona domanda cioè lei dice che se le parti non hanno direttamente fissato un termine che emerga direttamente dal contratto ,è chiaro che la buona fede ,mentre questa si presume sempre perché ricordate che nel nostro ordinamento è che la buona fede la presumiamo,invece la mala fede deve essere espressamente provata,sarà onere del venditore provare . Comunque considerati che questi sono tutti casi che approdano al giudizio del tribunale ,anche nel caso in cui,sapendo che la buona fede si presume,ma chiaramente il venditore per evitare per esempio di dover pagare il risarcimento dei danni può darsi che potrebbe pure contestare,ma in realtà il caso qui è abbastanza piano cioè nel senso che sicuramente c'è già una certezza sul fatto che la cosa è altrui. Quindi partiamo da questo presupposto e cioè che la mala fede è già il venditore che si trova in una situazione in cui fondamentalmente ha alienato,ha disposto di una cosa di cui in realtà non poteva disporre quindi a quel punto provare la buona fede e la mala fede sono sempre questioni che si discutono sul piano giudiziale ,però chiaramente se l'effetto della compravendita e noi sappiamo che è proprio l'acquisto di un diritto,se questo che è l'effetto principale viene frustato è chiaro che dovrà comunque rassegnarsi alla risoluzione del contratto perché il compratore o va in giudizio per chiedere il termine entro cui deve adempiere o va a chiedere direttamente la risoluzione ,ma c'è sempre comunque un rimedio di tipo giudiziale ,cioè per avere il riconoscimento della tutela sempre al giudice mi devo rivolgere per cui alla fine è solo una questione probabilmente di termini ,buona fede o mala fede,ma sempre dal giudice dovrò andare allora a quel punto ,a livello di strategia processuale,potrebbe anche essere che uno va dal giudice e chiede comunque il termine entro cui adempiere e dice che in mancanza il contratto si intenderà risolto,quindi alla fine non rileva molto.” In ogni caso questi sono i punti essenziali della vendita di cosa altrui da ricordare e lo studiamo prima dell'evizione perché in qualche maniera ci sono dei punti di contatto con la cosiddetta garanzia per evizione ,anche infatti in materia di disciplina dell'evizione si parla di garanzia quindi si ripropone tutta quella problematica che abbiamo guardato l'altra volta sul fondamento e sulla natura giuridica di questo tipo di garanzie perché si tratta di una sorta di assicurazione che va oltre quella che è l'obbligazione che resta principale cioè quella che è l'obbligazione di consegna che è essenzialmente l'obbligazione in cui si concreta la prestazione principale del venditore. Noi sappiamo,perché l'abbiamo detto più volte,qual'è la finalità della compravendita: la causa del contratto ,ecc. La vendita è diretta a fare acquistare al compratore il diritto che è oggetto della stessa compravendita e quindi a consentire all'acquirente la piena disponibilità della cosa. Questo risultato evidentemente manca quando si verifica quello che possiamo definire un fatto evizionale. Che cosa vuol dire evizione? Evizione vuol dire perdita parziale o totale di un diritto a causa di un preesistente diritto di un terzo,cioè arriva un terzo e dice che in realtà la cosa acquistata in realtà è sua. Gli esempi possono essere diversi perché molteplici sono i diversi fatti evizionali. L'evizione può essere espropriativa ,risolutoria e via dicendo. Diverse possono essere le cause che originano la perdita del diritto ,per esempio abbiamo studiato il contratto preliminare che adesso è trascrivibile e ci risolve un po' le cose,ma ovviamente il venditore potrebbe con diversi contratti preliminari di vendita impegnarsi a stipulare la vendita,che chiamiamo definitiva ,con diversi soggetti. Nel caso in cui uno di questi cosiddetti promissari acquirenti abbia trascritto il proprio contratto preliminare il suo acquisto prevale anche addirittura sul contratto che sia stato stipulato anteriormente come data ,ma non trascritto. Vi ricordate queste cose? Ne abbiamo parlato più volte . Quindi in questo caso,se anche si è giunti a una vendita definitiva ,a un certo punto può venire fuori un terzo e dire “attenzione,io ho fatto valere in giudizio l'esecuzione forzata,ai sensi dell'art.2932,di concludere il contratto e quindi il bene mi è stato trasferito perché io avevo trascritto per primo il mio contratto preliminare.” In un caso come questo,in cui esiste una sentenza ,quindi un provvedimento che abbia accertato il diritto di un terzo ,si concreterà il cosiddetto fatto evizionale. E' necessario comunque che vi sia un provvedimento che potrebbe essere di natura amministrativa ,per esempio l'espropriazione per pubblica utilità ovvero di una sentenza che abbia accertato che in qualche maniera la cosa è o altrui,perché è stata alienata ad un terzo,ovvero che sulla stessa gravano dei vincoli,degli oneri che in qualche modo sono stati taciuti dal venditore. Quindi i fatti all'origine dell'evizione possono essere anche molto diversi e faremo degli esempi,l'evizione in sé ,quando diciamo che si è consumata l'evizione ,vuol dire che è già avvenuta la perdita del diritto perché appunto un terzo ha fatto valere un diritto concorrente e vittorioso, evidentemente,sulla cosa stessa. Analogamente a quanto abbiamo visto per i diritti della cosa venduta,la garanzia per evizione non richiede una necessaria stipulazione ,ma è un effetto naturale della compravendita,cioè sorge automaticamente per effetto della stipula del contratto di vendita. Dato che siamo in un campo in cui l'autonomia privata si può esprimere liberamente e cioè che questo tipo di norme sono di natura non imperativa ,bensì dispositiva. Ricordate queste differenze?Le norme del Codice civile in tema di garanzie o per i vizi o per evizione sono dispositive. Che vuol dire dispositive ? Che si applicano automaticamente,quale effetto naturale del contratto di vendita ,a meno che le parti non abbiano stabilito una disciplina diversa che può essere o rafforzativa e cioè prevedere ulteriori garanzie o limitativa o addirittura le parti sono libere, questo vuol dire dispositiva. Si parla di queste norme come dispositive o suppletive. Suppletive vuol dire che se le parti nulla hanno stabilito nel contratto e non hanno scritto la clausoletta per l'evizione ,allora a questo punto supplisce la disciplina del nostro Codice civile però è rimessa alla autonomia delle parti la possibilità di rafforzare,modificare o addirittura escludere la garanzia per evizione . Attenzione però ,l'abbiamo già detto quando abbiamo studiato la garanzia per i vizi . Voi sapete che l'autonomia delle parti non è assoluta,ricordate la formula generale? In quale articolo si parla del principio dell'autonomia contrattuale ? Il 1322.Da questo articolo si evince che le parti sono liberissime di perseguire i loro interessi modulandoli come meglio ritengono però nei limiti stabiliti dall'ordinamento giuridico ,si tratta di un potere che in qualche misura deve essere conformato ad interessi che sono ritenuti dall'ordinamento meritevoli di tutela ,c'è sempre un giudizio di meritevolezza di questi interessi. Quindi autonomia privata sì,anche nell'ambito della disciplina dell'evizione ,però entro certi limiti. In primis ,e l'abbiamo già detto altre volte, il limiti che rinvengono dall'art.1229 per il quale sono nulli i patti che limitano o escludono preventivamente la responsabilità del venditore nel caso di dolo o colpa grave. E' chiaro che nel momento in cui il venditore versa in stato di dolo o di grave colpa non è possibile escludere a priori,cioè non è concepibile che sia data tutela ad una norma che aprioristicamente riconosca che il venditore è esonerato da responsabilità anche ove abbia un atteggiamento colpevole che sia doloso o che sia colposo. Inoltre tra le altre cose noi abbiamo studiato anche la disciplina delle clausole vessatorie nei contratti con i consumatori ,allora bisognerà andare a guardare intanto se si tratta di un contratto di consumo ,se è sì,se si tratta di un contratto stipulato con un consumatore,bisognerà verificare se il patto va eventualmente a violare o a sostanziare una di quelle clausole che abbiamo visto negli elenchi ,nella lista grigia,nella lista nera e certamente sarà così perché una clausola che limita i diritti riconosciuti al consumatore o gli renda particolarmente gravoso l'esercizio degli stessi potrà essere ritenuto come attività abusiva. Quindi ,come vedete,l'autonomia privata è vero che ha ampi spazi di manovra però dovete considerare che non è proprio assoluta,perché incontra dei limiti inderogabili sia nell'art.1229 ,come anche nel Codice del consumo ove si tratta di contratti stipulati con i consumatori. Per altro verso,nella interpretazione della giurisprudenza che si è occupata della garanzia per evizione ,dice anche che il patto cosiddetto limitativo della garanzia deve essere chiaro, deve essere chiara la volontà delle parti di escludere questo tipo di garanzia e a tale fine non sono sufficienti quelle che si definiscono,soprattutto nel gergo notarile,clausole di stile che ci sono molto spesso nelle compravendite in cui si dice che la merce,il bene,la cosa,è nota nello stato di fatto e di diritto in cui si trova. Vi ricordate ? Ne abbiamo parlato anche a proposito delle garanzie per i difetti. Cioè dire che la merce è acquistata nello stato in cui si trova ,non è un patto che consente di escludere la garanzia ,proprio perché queste clausole,ecco perché si chiamano di stile,perché sono molto spesso inserite nella garanzia del testo contrattuale ,ma non possono sostanziare ,in vista proprio degli obbiettivi di tutela del compratore l'esclusione di garanzia che invece dev'essere in qualche misura motivata cioè considerando che è idealmente limitativa degli interessi del compratore non è sufficiente il richiamo a queste clausolette,ma dev'essere il patto, da cui si esclude la garanzia,stipulato,espresso in maniera chiara ,specifica e inequivoca,cioè deve emergere in qualche maniera l'accettazione da parte del compratore di questa esclusione . garanzia, con delle azione che studierete in diritto processuale civile ai sensi dell'art.106 ,se non sbaglio,cioè deve all'onere cioè deve chiamare in causa il venditore perché questi eventualmente possa spingere le proprie difese,cioè si deve in qualche maniera far assistere dal venditore che potrebbe in qualche maniera svolgere delle difese nei confronti del terzo. Che succede se invece il compratore decide di difendersi da solo e non chiama in garanzia il venditore? Che il compratore perderà il diritto alla garanzia perché in questo caso è la stessa legge ,sia processuale sia sostanziale,che ci dice che se voglio fruire della garanzia ho l'onere di chiamare in giudizio il venditore per farmi garantire,se non lo faccio perdo il diritto alla garanzia,però questo solamente nell'ipotesi in cui ,tutto questo lo trovate nell'art.1485 del C.c., il venditore riesca a dimostrare che esistevano delle ragioni sufficienti per far respingere la domanda del terzo. Quindi c'è un onere di chiamare in garanzia il venditore se il compratore non lo fa ,è un'eccezione processuale e subito devo invocare l'aiuto,l'intervento da parte del terzo,se non lo fa perde il diritto alla garanzia però solo se lo stesso venditore in un'altra sede che può essere un altro giudizio,riesca a dimostrare che avrebbe potuto apportare una difesa vittoriosa ,cioè dimostrare che invece,in realtà ,il bene era ancora suo DOMANDA “Questo diritto alla garanzia si perde se viene dimostrata,se questa cosa non viene dimostrata il diritto non si perde ?” RISPOSTA “ Sì,purché il venditore dimostri che il suo intervento avrebbe potuto cambiare l'esito del giudizio perché magari poteva svolgere delle difese. Questo, attenzione , perché? Perché questo tipo di giudizio generalmente si svolge contestualmente all'azione petitoria ,cioè quando io faccio un giudizio non è detto che ,è chiaro che se è già stato accertato nulla quaestio ,però quando promuovo questo tipo di giudizio chiamo in causa non solo il soggetto che ha la materiale disponibilità del bene ,il soggetto che ha contestato comunque la proprietà del mio bene ,quindi questi accertamenti si svolgono tutti . E' complicato perché non avendo nozioni processuali mi rendo conto che c'è un problema di opposizione tra sentenze diverse e contro chi la puoi far valere,però la situazione si accerta nell'ambito dello stesso giudizio petitorio quindi in questo caso se la persona convenuta era il terzo compratore che aveva effettivamente la materiale disponibilità del bene ,lui per difendersi avrà l'onere di chiamare in causa il venditore,la garanzia per l'evizione verrà invece esclusa ove il venditore,non chiamato in causa,riesca a dimostrare che invece avrebbe potuto addurre delle prove per far respingere la domanda del terzo. Se invece la domanda del terzo è già stata accolta non possiamo fare proprio più niente. Essenzialmente quando andiamo a studiare ,ai sensi dell'art.1485 ,il caso dell'evizione rivendicatoria ricordatevi che essenzialmente coincide con la vendita di cosa altrui,quindi esiste un terzo soggetto che rivendica la proprietà del bene e quindi poi le conseguenze sono sul piano processuale perché esiste l'onere processuale di chiamata in causa del venditore . Ora è chiaro che l'esclusione della garanzia consegue eventualmente alla sentenza passata in giudicato ,quindi si devono esaurire eventualmente tutti i gradi ,quindi capite che questa chiamata effettivamente si potrà fare anche in un momento successivo,per esempio una condanna a rilascio in primo grado,poi ci potrà essere il grado successivo di appello e a quel tempo io sarò ancora in tempo e quindi dovete considerare prima tutto l'iter processuale attraverso i diversi gradi di giudizio in cui la situazione potrebbe anche cambiare perché si scoprono fatti nuovi o emerge un fatto nuovo,per esempio che nega l'avvenuta usucapione del bene ,cioè nel corso del giudizio possono emergere circostanze che in qualche maniera vanno ad alterare le conclusioni raggiunte in primo grado e quindi si è sempre in tempo fino a che la sentenza non sia passata in giudicato,per chiamare in causa il venditore. Ove questo non è stato fatto e la sentenza sia passata in giudicato ,sia definitiva e non ci siano più mezzi di impugnazione a disposizione allora a quel punto ci sarà la perdita di garanzia per evizione. Quindi a livello di definizione l'evizione rivendicatoria consegue,come sempre ,all'ipotesi di una vendita di cosa altrui ,se leggete l'art.1485 questa cosa emerge chiaramente ,però se non avete ancora studiato procedura civile mi rendo conto che è un pochino macchinoso. Esiste poi l'evizione espropriatoria cioè si ha evizione anche quando il compratore ,a seguito di un intervento di un terzo,perda il diritto che aveva acquistato con la compravendita e in questo caso la perdita può essere causata da procedimenti di natura espropriativa. Ora i procedimenti di natura espropriativa si possono distinguere (anche qui purtroppo c'è la procedura)in : espropriazioni giudiziali ed espropriazioni amministrative. Le espropriazioni giudiziali sono menzionate dall'art.1482 e consistono nell'espropriazione che si realizza in sede di esecuzione forzata ad iniziativa di un terzo creditore che possa opporre un proprio vincolo al compratore. Per esempio l'art.2914 “alienazione anteriore al pignoramento”dice l'art.2914 dice che non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione ,sebbene anteriore al pignoramento ,le alienazioni dei beni immobili che siano state trascritte successivamente al pignoramento e questa per esempio è un'ipotesi che sostanzia un'evizione espropriativa o espropriatoria. Perché quest'articolo che cosa ci dice? Che sono inefficaci nei confronti del creditore pignorante ,cioè che abbia attivato una procedura esecutiva consistente nel pignoramento le alienazioni di immobili o anche di beni mobili iscritti nei pubblici registri che siano state trascritte successivamente al pignoramento. In questo caso,se si verifica un'ipotesi di questo tipo cioè alienazione di un immobile anteriore al pignoramento,ma trascritta in un momento successivo si verificherà questo fatto evizionale che in questo caso possiamo definire giudiziale proprio perché deriva da un provvedimento civile,in questo caso commerciale,che in sede di esecuzione forzata ,si accerta che questo tipo di atti a disposizione non possono essere opposti ai creditori e quindi saranno inefficaci nei loro riguardi. Questo è un esempio utile per capire qual'è il momento in cui si consuma l'evizione ,perché possiamo sempre distinguere,magari anche la prossima volta ci torniamo su questa cosa perché sul libro è fatta abbastanza bene però dovete studiare anche gli articoli del Codice civile per avere dimestichezza con gli stessi ed è un pochino macchinoso ,però possiamo anche distinguere il caso in cui vi sia il pericolo solo di evizione e allora se io ho il sospetto fondato di ritenere che un terzo possa far valere dei diritti sul bene ho a disposizione un certo tipo di rimedi,per esempio posso sospendere il pagamento del prezzo e dico”no,attenzione,chiariamo un po' la situazione”. Se invece l'evizione,per questo io dico che si è già consumata, potrò evidentemente attivare altro tipo di rimedi quindi anche in questo caso,quando parliamo di evizione cosiddetta espropriativa ,qual'è il momento in cui si andrà effettivamente a consumare l'evizione? Il trasferimento coattivo del bene pignorato a favore del creditore aggiudicatario perché il pignoramento è fatto valere dal singolo creditore ,cioè non parliamo di procedura concorsuale in cui tutti sono ammessi, io personalmente, singolo creditore ,faccio valere il pignoramento su quel bene e quindi il bene viene assegnato direttamente in sede di giudizio di esecuzione forzata. Caso diverso è la revocatoria fallimentare a cui tutti possono entrare . Per l'esempio del pignoramento è il singolo creditore. Nel momento in cui il bene dal giudice viene assegnato al creditore ,al giudicatario,in quel momento si consuma l'evizione che non è altro che la perdita ,quindi distinguiamo bene il pericolo di evizione quando cioè esiste il timore che si possa verificare un evento di questo tipo rispetto al caso in cui l'evizione ,evidentemente ,si consuma e chiaramente non esiste una regola generale bisognerà andare a vedere caso per caso . Perché vi sto facendo questi esempi? Perché quando noi parliamo di evizione ,evizione non vuol dire altro che perdita del diritto però i fatti che sono all'origine di questa perdita (totale,parziale o limitativa) sono diversi quindi fondamentale è individuare caso per caso quando effettivamente si può dire che ci sia stata la perdita. Nell'esempio che vi ho fatto prima la perdita coincide con la sentenza passata in giudicato,cioè con la condanna in un g iudizio petitorio,cioè in un giudizio teso ad accertare di chi è la proprietà del bene. Se la sentenza passa in giudicato ed è accertato il diritto del terzo ,a quel punto si sarà verificata l'evizione. In questo caso, nel caso del pignoramento,nel momento in cui il giudice stabilisce il trasferimento coattivo del bene al terzo. Come nell'esempio che vi ho fatto prima l'espropriatoria può anche derivare da l'esercizio di un'azione volta alla esecuzione forzata dell'obbligo di concludere un contratto preliminare,quello che cioè vi ho detto prima e cioè se io ho trascritto per prima posso andare dal giudice e ottenere una cosiddetta sentenza costitutiva ai sensi dell'art.2932C.c. Cioè che produce gli effetti del contratto non concluso . Quindi chiaramente anche nel caso in cui si verifichi una eventualità di questo tipo concreterà eventualmente un fatto evizionale. Ora queste sono espropriazioni giudiziali,quanto invece alle espropriazioni per pubblica utilità ,queste danno luogo ad una evizione solo quando il bene venduto fosse assoggettato ad un vincolo espropriativo già al momento della vendita in una circostanza che evidentemente sia stata taciuta dal venditore perché caso diverso è se io acquisto un bene libero da ogni vincoli e poi nel momento in cui io divento proprietario ,quella zona diventa assoggettata per una variante urbanistica ad una serie di vincoli che prima non esistevano. E' chiaro che in questo caso ,essendo io già il proprietario e formalmente proprietario dovrò chiaramente subire le conseguenze invece in questo caso c'è un vincolo già preesistente che sia evidentemente stato taciuto dal venditore . Può concretare,così concludiamo almeno i tre tipi e le conseguenze e le azioni che possono essere esperite le vediamo la prossima volta ,un fatto evizionale il venire meno del titolo in virtù del quale il venditore ha alienato il proprio diritto al compratore per esempio a seguito di un annullamento del contratto ovvero una risoluzione ,sempre che però le relative sentenze siano opponibili al compratore. Esempio : sentenza di annullamento di un contratto : il venditore ha disposto di un proprio diritto su una cosa ,dopodiché ad un annullamento successivo a quest'atto di disposizione il contratto in base al quale l'originario venditore aveva acquisito questo titolo viene annullato. Noi sappiamo ai sensi dell' art.1445 quali sono gli effetti dell'annullamento nei confronti dei terzi . L'annullamento,tralasciamo l'ipotesi speciale di quando non dipende da incapacità legale ,non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi in buona fede,quindi la regola generale e che noi sappiamo è che l'annullamento ,di norma,non dovrebbe pregiudicare i diritti quando siano acquistati dal terzo che nulla sapeva di questa eventuale causa di annullamento del contratto. Il problema è che il 1445 fa salva un 'ipotesi e cioè fa salvi gli effetti di una trascrizione della domanda di annullamento. Il caso è facile : il venditore ha venduto, nel frattempo magari era pendente questa azione per l'annullamento del contratto con cui lui aveva acquistato il relativo diritto sullo stesso bene. Se quel contratto viene annullato ed era stata trascritta questa domanda di annullamento prima dell'atto di successiva disposizione ,a quel punto l'annullamento può essere opposto anche al terzo ,quindi questo fatto concreterà l'evizione e l'attivazione dei rimedi ovvero la restituzione del prezzo e il risarcimento del danno. Quindi questi sono degli esempi ne possiamo fare anche altri più complicati come per esempio il caso di riduzione della quota di legittima nell'atto di successione e in questo caso un legittimario che venga leso nella sua quota di legittima,può fare un'azione di riduzione. In quel caso se il bene rientra ,che nel frattempo è stato alienato e rientra nella massa ereditaria ,se questa domanda di riduzione della legittima è stata trascritta giudizialmente prima dell'atto di disposizione, questa azione sarà opponibile e quindi il terzo potrà vedere pregiudicato il suo diritto,quindi quale sarà l'effetto? Che può essere condannato al rilascio dell'immobile salvo poi attivare la garanzia per evizione nei confronti del proprio dante causa con la possibilità di risolvere il contratto ,ottenere in dietro il prezzo pagato e ovviamente otterrà il risarcimento ove non fosse a conoscenza di tutte queste complesse vicende. La prossima volta ,in due battute,riassumiamo un pochino la questione ,vediamo meglio i rimedi e poi andiamo avanti . DIRITTO CIVILE l (lezione 30 aprile)
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