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Spazio idillico e spazio cosmico in Leopardi, Esercizi di Lingue e letterature classiche

Riflessione sulla poetica di Leopardi.

Tipologia: Esercizi

2020/2021

Caricato il 20/05/2022

lorellafarruku
lorellafarruku 🇮🇹

Anteprima parziale del testo

Scarica Spazio idillico e spazio cosmico in Leopardi e più Esercizi in PDF di Lingue e letterature classiche solo su Docsity! Spazio idillico e spazio cosmico Lo spazio è una dimensione in cui la poetica leopardiana trova adagio e riparo, ispirazione e slancio interiore, propagandosi verso l’infinito. Un infinito che mira agli astri e alla luna, un infinito che si genera dal desiderio di trovare la felicità oltre la siepe, la quale “il guardo esclude”, eppur aprendo una visione ancor più illimitata. Lo spazio leopardiano, intimo, profondissimo e idillico, apre una finestra a quella che è la vera natura e che accoglie tutti gli uomini, il cosiddetto spazio cosmico. La poesia con cui si entra a contatto sin da quando si comincia a studiare Leopardi è “L’infinito” e non a caso è un idillio che permette di capire come il poeta riesca a trasfigurare la sua interiorità tramite l’immaginazione, destata da una limitazione, che è solo visiva. Infatti l’ostacolo rappresenta una porta chiusa che viene aperta dal chiavistello della fantasia, la scintilla che muove l’iridescente cuore leopardiano. Nel percorso immaginativo che esclude la realtà, ogni opzione è contemplata, ogni mare è navigabile e lo “spazio immaginario” cura il poeta dalla consapevolezza di non poter raggiungere il piacere. I sensi sono guidati nell’infinito spaziale dagli elementi che appartengono alla realtà: l’ermo colle, la siepe, la torre (“Trista quella vita che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione”); essi sono il motivo per cui Leopardi decide di scavalcare i limiti spaziali esistenti restando pur sempre nella sua biblioteca, dove alimenta la sua passione per la vita grazie alla creazione di uno spazio alternativo, uno spazio idillico in cui fuoriesce il desiderio di infinita libertà, dove la ragione è sopraffatta dal “caro immaginar”. Sul colle solitario Leopardi può sognare ad occhi aperti e fuggire dalla prigionia della realtà, costruendosi uno spazio mentale soggettivo e salvifico. “Io nel pensier mi fingo”: egli si perde fra gli spazi della sua immaginazione, ideando illusioni e abolendo ogni legame con la realtà esterna. Ma se l’infelicità poteva essere combattuta tramite questa facoltà, quando il reale comincia a subentrare alla fantasia, cosa succede? Durante il viaggio a Roma, Leopardi crede di poter finalmente vedere com’era fatto il mondo al di fuori della sua prigione, voleva trovare un dinamismo conoscitivo, un centro proliferante di sapere; da tanto tempo aspettava di uscire fuori da Recanati per osservare con i suoi occhi cosa c’era oltre la siepe. Probabilmente avrebbe preferito non saperlo, poichè trovo solo uno spazio vuoto, che osservò con cupa indifferenza. Il ritorno nel 1823 a Recanati lo inibì. Leopardi si richiuse nel suo spazio interiore che di idillico conservava solo la memoria; le percezione di una nuova verità stava giungendo, i desideri si spegnevano mentre l’atarassia prendeva il sopravvento. L’incontro fra Leopardi e “l’arido vero” fece scaturire in lui una nuova riflessione, che vede al centro una visione consapevole del reale, conosciuta nel momento in cui la sensibilità del poeta si raggela a contatto con lo spazio cosmico. L’atteggiamento con cui Leopardi affronta questa nuova dimensione spaziale è notevole; egli non si fa inghiottire dalla spaventosa grandezza della natura, ma la affronta nel modo più originale possibile: dall’ironia all’assurdo, passando per il fantastico sino al nichilismo. L’infelicità umana, il dolore, l’impossibilità di raggiungere il piacere sono i temi che il poeta proietta nel cosmo, con distacco lucido e razionale: “La disperazione che diventa esattezza e pura gioia intellettuale” (citazione di Giorgio Manganelli). Ma la sua immaginazione non si spegne e ci porta con estrema genialità (dai toni moderni) a parlare con personaggi storici ed esseri mitologici. Ne il “Dialogo della Natura e di un Islandese” si evince che la Natura è “nemica scoperta degli uomini”, sottopone l’umanità ad innumerevoli miserie e perpetui affanni (“ora ci minacci ora ci assalti ora ci pungi ora ci percuoti ora ci laceri, e sempre o ci offendi o ci perseguiti;”) e nonostante l’Islandese non abbia mai ricercato godimenti, la Natura l’ha sempre contrastato, in ogni spazio da lui scelto per vivere. Lo spazio cosmico è dominato da una indifferenza verso la condizione umana: “Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra?”; qui si concentra “il circuito di produzione e distruzione” che preserva la conservazione del mondo e la domanda è una sola: “a chi giova cotesta vita infelicissima dell’universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono?”. Lo stesso quesito se lo pone il vecchio pastore errante dell’Asia, confidandolo alla Luna, assidua ascoltatrice dei pensieri dell’uomo sin dall’antichità. La ragione in questo canto esplora lo spazio infinito di cui si appropria, per constatare che di fronte all’immensità dell’universo il male non ha antidoto; dell’infinito idillico leopardiano è rimasta solo la suggestione provocata dagli spazi interminabili (“Che fa l’aria infinita, e quel profondo/infinito seren? che vuol dir questa solitudine immensa? ed io che sono?”. Il naufragio è avvenuto nel mare della ragione, mentre come schiuma si discioglie il “caro immaginar”; il pensier non si finge, perchè a contatto con il vero non può fare a meno di contemplare, fermo e razionale, l’infinito cosmo, pur sapendo che il pastore è frutto della dimensione interiore di Giacomo Leopardi. Ne “La ginestra” lo spazio idillico e lo spazio cosmico convivono per poi respingersi a vicenda; “l’odorata ginestra” cresce su di un solitario deserto. Leopardi affronta il mondo esterno, come la ginestra resiste alla lava con tenacia e umiltà, abbandonando l’arma della fantasia per osservare la realtà, non più idillica. L’io lirico è circondato dalla cruda verità ed eroicamente la affronta per condividere quel malessere che accomuna tutti gli uomini; non ci sono più filtri e illusioni come nei Canti. In “A Silvia” Leopardi viene a contatto con il mondo tramite la finestra, senza mai avere esperienza diretta di ciò che si muoveva fuori dal suo io interiore; e la finestra diventa così il ponte fra l’idillio e il cosmo, fra l’immaginazione e il vero. Nella Ginestra invece Leopardi fa esperienza di ciò che una volta si limitava a far rimanere nell’indefinitezza poetica della distanza… e il cielo non canta più delle rimembranze giovanili, dei moti del cuore, dei desideri. Il cielo riflette con amarezza (vv.158-201) la solitudine umana e la nullità delle cose, in una terra desolata. La scoperta che Leopardi fa immedesimandosi nell’uomo fragile, che si piega ma resiste, è uno spazio reale in cui i rapporti fra gli uomini hanno bisogno di essere coltivati per sostenersi in questa lotta dall’irrimediabile destino. Per arrivare a comprendere il vero, Leopardi attraversa un percorso di maturazione personale, poetica e filosofica; senza l’aspirazione alla felicità e la ricerca interiore Leopardi non avrebbe sperimentato il vivere umano, non sarebbe naufragato nel mare della salvezza, il nulla. Se non avesse conosciuto la delusione, la noia, l’affanno, l’angoscia, non avrebbe appreso lo spirito combattivo necessario per approdare nello spazio cosmico, con la garanzia di avere sempre dentro di sé la conoscenza di uno spazio idillico e “poeticissimo”, che si ricostruisce nell’immaginazione di ogni persona che rievoca la fantasia del giovane Leopardi. l
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