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Stanley Kubrick - Enrico Carocci, Sintesi del corso di Estetica del Cinema

Riassunto del libro STANLEY KUBRICK di ENRICO CAROCCI per l’esame ESTETICA DEL CINEMA E DEI MEDIA. Il riassunto è esclusivamente sui capitoli su cui verterà l’esame: quelli introduttivi su Kubrick e la sua vita, 2001: Odissea nello spazio, Arancia Meccanica, Barry Lyndon e Eyes Wide Shut.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 23/06/2023

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Scarica Stanley Kubrick - Enrico Carocci e più Sintesi del corso in PDF di Estetica del Cinema solo su Docsity! KUBRICK, O DELL’OSSIMORO Il cinema di Kubrick è realizzato sulla base di modelli preesistenti. Riorganizza il mondo dandoci qualcosa che non è la realtà ma la sua rielaborazione visiva e mentale. I film di Kubrick sono delle manifestazioni tardo-moderne di istanze e modelli estetico-culturali precedenti. Essere un regista indipendente significava o il rifiuto di ogni rapporto con l’industria dominata dalle major, cercando alternative per la produzione e distribuzione, o trovare un compromesso con queste, cercando di realizzare un prodotto che ne soddisfasse le richieste. Inizialmente si pensava Kubrick appartenesse alla prima categoria, ma poi si capì che si collocava nella seconda: egli infatti cercò di raggiungere un pubblico non di nicchia. Lavorò almeno una volta con quasi tutte le major (United Artists, Universal, Columbia, MGM e Warner Bros) e tra gli anni ’50 e ’60 iniziò ad esercitare un controllo sempre maggiore sui propri film. Bisogna sottolineare come in quel periodo le major seguissero il modello della United Artists, ossia passarono da un sistema basato su producer units ad un sistema di package units, in cui gruppi di indipendenti vennero assunti per realizzare singoli progetti dove i registi riuscivano ad esercitare un certo controllo. Nel 1952 la Corte Suprema pone i film sotto il primo emendamento della Costituzione, affermando così il primo principio di libertà di espressione per ciò che riguardava l’arte cinematografica. Da quel momento furono rilasciati con molta più facilità film che affrontavano temi più “adulti”, il che aiutò il cinema a contrastare la concorrenza con la televisione. Presentare i propri film come fossero delle “sfide” era parte della strategia comunicativa di Kubrick. Dopo Lolita i suoi film sarebbero stati presentati sempre di più come dei pezzi unici secondo una modalità che promuoveva la figura dell’autore. Egli cercava l’attenzione del pubblico e della critica promettendo film fuori dai limiti e autopromuovendosi come giovane regista irremovibile. In realtà però i suoi film restavano frutto di compromessi e riscritture, soprattutto per mantenere l’interesse da parte dell’industria mainstream. Per questo motivo cercò di avere sempre più controllo nella fase della realizzazione dei suoi film, incluso il marketing di lancio. Autodidatta, a soli venticinque anni Kubrick aveva una solida ed eterogenea cultura cinematografica. Convinto di poter imparare anche da film mediocri, guardava quanti più film possibili indipendentemente dal suo gusto. Il suo interesse era soprattutto orientato verso un cinema tecnico. Le sue origini ebraiche e mitteleuropee emergono nei suoi film. Fu influenzato dal gruppo dei New York Intellectuals, che erano per lo più scrittori e critici ebrei; da loro assorbì l’interesse per la psicoanalisi, l’esistenzialismo e l’intellettualismo. La formazione di Kubrick è dunque, in parte, quella di un intellettuale newyorkese ebreo interessato a grandi questioni culturali, non schierato politicamente ed eclettico nei gusti e nei riferimenti. Kubrick si trasferì a Londra ma questo non implicò un allontanamento dall’industria statunitense; infatti, dagli anni Sessanta in poi l’industria inglese divenne una significativa risorsa per la nuova Hollywood in materia di infrastrutture. Il suo fine era quello di arrivare a ricoprire con maestria il ruolo produttivo, quello professionale e quello estetico. Cercava di imporre un modello di autore inteso come “brand”. Il brand kubrickiano è costituito da un dialogo tra superficie e profondità, tra la semplicità dell’esperienza sensoriale e la complessità della ricerca del significato. La filmografia kubrickiana ha messo insieme un complesso intreccio di riferimenti storici, culturali e filosofici. Nei film di Kubrick si riconosce, innanzitutto, una serie di questioni che riguardano la modernità (es. Eyes Wide Shut c’è una critica del Novecento e della città, descritta come regno delle immagini). In particolare c’è una profobda interrogazione sull’occhio (grande figura ossimorica del ‘900) e problematizza la funzione dello sguardo (es. Eyes Wide Shut, che costituisce una sorta di inno alle contraddizioni del cinema, delle sue radici, del suo sguardo). Kubrick può essere considerato come l’ultimo autore viennese: in lui troviamo le sue radici mitteleuropee (filosofia di Nietzsche, psicoanalisi di Freud, letteratura di Joyce e Kafka, artisti come Schiele e Klimt o la sua ammirazione per Max Ophlüs). La cultura viennese ha generato una svolta verso l’interiorità: la visione dell’uomo come ampiamente irrazionale per natura, nonché una volontà da parte degli artisti di esplorare impulsi istintuali come l’aggressività, l’erotismo e l’ansia (es. Eyes Wide Shut). 1 Soprattutto dopo il successo di 2001 il regista cerca di coinvolgere il pubblico puntando su un livello di comunicazione pre-verbale (in termini psicoanalitici): il film ha un impatto sul pubblico, a livello emotivo, maggiore rispetto alle parole. Attraverso il film si possono trasmettere concetti complessi ed astratti senza doversi affidare alla parola scritta. In questo modo si abbraccia un bacino di utenza molto più vasto: le persone si somigliano molto di più sul piano delle emozioni che su quello intellettuale. L’esperienza kubrickiana è un percorso di rigenerazione della conoscenza attraverso la percezione visiva; è immediato sul piano dell’esperienza e complesso su quello del significato (ossimoro). Il suo cinema è ossimorico: coniuga la difficoltà del cinema d’arte con la popolarità del prodotto culturale: i suoi film implicano sia la partecipazione che la distanza. In molti parlano di un “cinema totale”, che comprende riferimenti alla letteratura, musica, pittura, architettura. Kubrick è stato, in effetti, un grande architetto del cinema. Nei suoi film invita gli spettatori ad attraversare percorsi architettonici valorizzati dalla qualità della sua scenografia. Ne è un esempio l’Overlook Hotel di Shining, una delle sue più celebri invenzioni. Il suo environmental storytelling vede, con il pubblico, un grande coinvolgimento scenografico ed uno scarso legame empatico con i personaggi. È difficile raggiungere una totale condivisione delle emozioni di Jack, Wendy o Danny. C’è una sorta di perversione cinica e calcolata che è insita dello stesso scenario architettonico. Si è cercato di esprimere non tanto episodi di paura, quanto un diffuso sentire perturbante (in riferimento al Saggio freudiano del 1919). Ciò che inquieta in Shining è proprio l’hotel, uno spazio geometrico autonomo che resta indifferente ai tentativi dei Torrance di abitarlo e di trasformarlo in una casa. I film di Kubrick ci spingono alla ricerca di significati celati, oltre la superficie; il nostro cervello ha la tendenza a ricercare significati causali per attenuare la spiacevolezza dell’ambiguità emotiva. Siamo spinti all’interpretazione quando ci confrontiamo con eventi che non possiedono il significato situazionale tipicamente espresso da emozioni specifiche. I film di Kubrick sono ancora oggetto di numerose ricerche: la pluralità di valori che li pervadono li trasformano da semplici opere umane in monumenti. LE ETÀ DI STANLEY KUBRICK Lavorò come fotografo per la celebre rivista ‘’Look’’, già allora il suo metodo appariva definito, con una precisa cura del dettaglio: il momento che precedeva ogni scatto era anticipato da una lunga e attenta fase di studio, sopralluoghi e scrittura. Ogni servizio è minuziosamente progettato e ampiamente discusso in redazione prima di essere realizzato. Kubrick ricercava la spontaneità nella fotografia, di cogliere l’attimo attraverso lo scatto. La sua formazione a “Look” si rivela fondamentale per l’acquisizione di una padronanza tecnica e un metodo di lavoro in squadra. Il suo primo lungometraggio è ‘’Paura e desiderio”, del 1953, che ebbe un lungo e complesso lavoro di post-produzione. Appare a tratti come un’opera “sbilanciata”, in quanto Kubrick non riuscì a controllare il suo desiderio di sperimentazione. Il suo secondo film è ‘’Il bacio dell’assassino’’, del 1955, che si incontra con quelli che erano i generi classici hollywoodiani. Il film si presenta infatti come un perfetto noir classico. Kubrick, in veste di direttore della fotografia, realizza dei tagli di luce molto netti che irrompono nelle ambientazioni prevalentemente notturne del film, creando effetti di chiaroscuro suggestivi ma soprattutto utili alla costruzione della particolare atmosfera che avvolge l’azione. Il film esibisce una trama semplice ma solida, lo stile visivo dà molta importanza alla composizione. Il film colpì profondamente James B. Harris, giovane produttore, che decise di fondare con Kubrick una società di produzione – la Kubrick-Harris Pictures – avviando così una collaborazione che durerà fino al 1962. “Rapina a mano armata”, uscito nel 1956, è il primo film di Kubrick girato a Los Angeles. Il film richiamò l’interesse dei vertici della MGM e riuscì a raggiungere anche L’Europa. La guerra è al centro dei suoi progetti “Orizzonti di gloria” (1957) e “Spartacus” (1960). Sul piano stilistico sembra che, in questi due film, Kubrick sia alla ricerca della forma migliore per armonizzare il conflitto tra il generale (dei concetti) e il particolare (dei gesti e delle parole dei suoi 2 all’immagine fallica introducono una violenza di carattere sessuale: Kubrick cerca di inserire nel visibile una componente figurale correlata all’inconscio e al carattere sessuale dell’aggressività. La lotta tra la donna e Alex è ripresa con una macchina a mano estremamente mobile che sviluppa un movimento circolare molto avvolgente. La morte della donna viene rappresentata attraverso una serie di immagini della bocca come in un fumetto pop e quest’effetto intensifica la dimensione artificiale dell’immagine, riducendo la morte a mero evento di finzione. In aggiunta la donna è narrata da Kubrick anche attraverso alcuni aspetti leggermente antipatici mentre Alex è arricchito da un’attitudine ironica. Kubrick tende ad oggettivare alcuni eventi, come per esempio quello dello stupro di gruppo nel teatro, mostrandoceli in modo distaccato e quasi distratto. In questa scena è evidente come lo spazio venga costruito come una totalità che la mdp può mostrare senza limitazioni. Il film è anche caratterizzato da alcuni sguardi in macchina che si riferiscono allo spettatore e che rappresentano sia un’esibizione del potere comunicativo ed attrattivo del cinema, sia del suo carattere di macchina produttiva. In particolare, lo sguardo di Alex invita lo spettatore ad identificarsi, ma al tempo stesso la trasformazione del suo viso in maschera provoca un distanziamento. BARRY LYNDON (1975) Il “Period movie” Barry Lyndon rappresenta uno dei tanti genere a cui si è approcciato il regista, parte di una filmografia mai scontata e sorprendentemente varia. Kubrick ha cercato per tutta la sua carriera di costruire un cinema tecnicamente perfetto al fine di dimostrarne l’artificiosità e di ritrovare la pulsione illogica di ciò che vediamo. Riflettendo su quali siano le opere in cui Kubrick si è spinto ai confini del vedere, le opere in cui l’indefinibilità del visibile si è quasi intravista, di certo non ci verrebbe in mente Barry Lyndon. Barry Lyndon è l’esempio calzante per spiegare quello che è “il pensiero del visibile” in Stanley Kubrick, dove pensiero sta per produzione concettuale, ma anche per assillo, preoccupazione. Gli studi della pittura Settecentesca che hanno preceduto la realizzazione del film l’hanno reso una sorta di moderno esperimento di reenactment di una cultura a partire dai documenti visivi che ci ha lasciato ma attraverso la sua lettura ed il suo punto di vista. Kubrick usa la pittura per andare oltre le limitazioni dell’occhio e del tipo di sguardo costruito dalla cultura visuale. All’interno del film vengono riutilizzate alcune delle ricerche e addirittura alcuni costumi e oggetti di scena e scenografie già fatti preparare o pensati per il suo progetto mai realizzato “Napoleon”. In Barry Lyndon emerge la funzione del cinema come medium capace di perturbare la storia delle immagini fino a rivelarne, nella forma oltre che nei contenuti, la funzione di potere sociale. In questo caso si assiste alla destrutturazione cinematografica delle immagini del secolo dei Lumi attraverso l’uso dello zoom o l’utilizzo improvviso della macchina a mano (incontro di pugilato tra Barry e Toole, il litigio di Barry e Bullingdon mentre il pubblico cerca di intervenire, il tentato suicidio di Lady Lyndon con della stricnina). Kubrick vuole mosttare che l’occhio umano è sempre più soggetto e limitato da logiche compositive, che vanno esibite, risolte e smontate. Lo zoom diventa lo strumento per l’analisi critica di un secolo e della modernità. Si tratta di un falso movimento, un cambiamento focale che avvicina o allontana gli oggetti e le persone. Veniva utilizzato nei documentari di arte e dunque avrebbe fatto di questo film un saggio audiovisivo sulla pittura settecentesca. In Barry Lyndon tutto sembra muoversi: assistiamo al viaggio del protagonista e al suo tentativo di scalata sociale, ma in realtà tutto resta fermo, sta ai movimenti della macchina da presa mostrarci i segreti del film. Tra l’uso del narratore, che anticipa o scandisce le immagini, la scelta eccezionale della musica e le tecniche utilizzate per il film tendono a mescolare l’ambito dell’iconico e quello diegetico. Kubrick mantiene in equilibrio la ragione della narrazione (gli aspetti diegetici) con la costante sfida data dall'impatto visivo che supera i limiti della logica stessa (gli aspetti iconici). In alcuni casi è l’iconico a travolgere il lato diegetico, come quando viene fatto un profondo zoom 5 all’indietro: l'attenzione viene distolta dallo sviluppo della trama o dai destini dei personaggi generando una sensazione di perturbazione nel pubblico. Nei casi in cui è invece il diegetico a fare da imbuto per l’iconico, con uno zoom in avanti, in direzione della vicenda narrata: lo zoom, che in questo caso simboleggia la determinazione, ci cala dentro una temporalità umana. Lo spettatore si sente in una posizione di debolezza e difficoltà a prevedere cosa svelerà l’occhio della mdp. Inquadrature come quella di Redmond, affranto dalla delusione d’amore per sua cugina, ripreso con lo zoom sempre più indietro fino ad un campo lunghissimo, la sua figura piccolissima con alle spalle uno splendido paesaggio, viene come travolto dall’effetto quadro ed i suoi propositi, d’un tratto, vedono perdere importanza. Per quanto riguarda l’uso dello zoom in avanti, nel film funziona in alcuni casi come falsa soggettiva, ad esempio, quando Barry viene scoperto da Lady Lyndon e dal piccolo Bullingdon con una delle sue amanti, in questo caso, lo zoom in avanti accentua l'effetto di sorpresa e mette lo spettatore nello stesso punto di vista dei personaggi che scoprono l'infedeltà di Barry. In altri casi viene usato per sottolineare l'importanza o il significato di ciò che viene raccontato dal narratore. Redmond non controllerà mai le sue scelte, penserà di farlo ma il narratore lo escluderà da ogni reale possibilità di essere agente della sua fortuna. Il film parla proprio della futilità delle nostre intenzioni. Ogni film di Kubrick si costruisce su soluzioni tecniche o visive: Barry Lyndon = zoom, Arancia meccanica = grandangolo, Shining = steadycam, Full Metal Jacket = rapporto tra carrello e macchina a mano, Eyes Wide Shut = infrazione della continuità classica. EYES WIDE SHUT (1999) Si tratta dell’ultimo film di Kubrick: all’inizio fu respinto dalla critica ma poi a mano a mano venne rivalutato. Il film rappresenta un contrasto tra l’apparente semplicità della trama ed il gran numero di sottotesti ed allusioni che generano numerose interpretazioni. Il film si regge su quattro principi compositivi: la mascheratura della verità, la ipersedimentazione dei riferimenti intertestuali, richiami speculari multipli, la dissonante consonanza tra le prospettive soggettive e quella oggettiva. •MASCHERATURA DELLA VERITA’: Anzitutto, il dualismo tra l’essere e l’apparire è un elemento chiave del film. Bill e Alice appaiono come una coppia felice e di successo nella loro vita diurna, ma il film esplora i loro desideri, gelosie e segreti più profondi che emergono durante una serie di eventi notturni. Questa dualità si riflette anche nella società rappresentata nel film, in cui esistono due dimensioni: quella diurna, che rappresenta l'apparenza, e quella notturna, che svela la verità oscura e nascosta. La festa di Ziegler, che si svolge all'inizio del film, presenta un'atmosfera luminosa e brillante che si contrappone e allo stesso tempo pare completarsi con l’orgia notturna a Somerton. Entrambe le feste durano esattamente 17 minuti, suggerendo una connessione simbolica tra di loro. Queste feste rappresentano la tensione tra l'apparenza sociale e la realtà sottostante, rivelando la complessità delle relazioni umane e la dualità intrinseca della natura umana. L’uso delle maschere grottesche e deformate dell’orgia di Somerton sta proprio a sottolineare un più generale principio di mascheramento sociale. Gli ambienti, sia interni che esterni, sono addobbati da luci natalizie come una grande scenografia. Kubrick viola deliberatamente alcune regole del montaggio classico. In varie occasioni (per esempio all’inizio del dialogo tra Alice e Szavost, durante il primo incontro tra Bill e Milich ecc.) effettua il cosiddetto “scavalcamento di campo”. Ciò provoca nello spettatore una lieve ma presente sensazione di “salto” nella linea di continuità della rappresentazione classica. E ancora: il film è attraversato da insistenti ripetizioni verbali nei dialoghi tra i personaggi che danno allo spettatore una sensazione di loop, come un disco rotto. E infine: in molti casi le immagini del film sono bruscamente interrotte e sottratte agli sguardi dello spettatore, come per la conclusione del film, con la battuta finale di Alice che fa appena in tempo ad essere pronunciata che i titoli di coda interrompono bruscamente. Fondamentale è anche il tema della connessione tra denaro e potere. Se Ziegler incarna a pieno tale binomio, i richiami al denaro riguardano principalmente il personaggio di Bill: questi entra in scena cercando il proprio portafoglio; continua a trattare il prezzo di merci e servizi con i tassisti, con Domino, con Milich; il suo stesso nome rimanda d’altra parte al “conto” (the bill). 6 Emerge inoltre il legame tra desiderio sessuale e morte, dal bacio con Marion davanti al cadavere del padre di lei alla pulsione erotica di Bill per cadavere della ragazza morta all’obitorio. •IPERSEDIMENTAZIONE DEI RIFERIMENTI INTERTESTUALI: Il film è costellato di citazioni dove sono evocate molte storie, riferimenti anche al cinema e alla vita privata di Kubrick, una sedimentazione di reperti culturali di epoche e provenienze differenti. •RICHIAMI SPECULARI: Eyes Wide Shut è costellato di ripetizioni a distanza, somiglianze e déjà vu che ne fanno un vasto labirinto di specchi. L’avventura di Bill sembra seguire un percorso circolare ma a guidare gli spostamenti di Bill è piuttosto una logica speculare. La seconda parte (BA) è il riflesso speculare della prima (AB), si crea così un effetto di accordo e di eco tra le due parti. C’è una continua serie di richiami tra scene differenti o all’interno della stessa scena. Alcune espressioni verbali ritornano in situazioni differenti. C’è anche il ritorno, a volte incongruente, di alcuni colori ed anche alcuni ambienti urbani si richiamano tra loro. • DISSONANTE CONSONANZA: L’ultimo principio compositivo consiste nel sovrapporre alla presentazione “oggettiva” del mondo le prospettive “ soggettive” dei singoli personaggi in modo tale che l’esperienza percettiva, narrativa ed epistemica dello spettatore risulti incerta e precaria. L’alternarsi tra dimensione soggettiva e oggettiva segue una strategia in modo da minare le certezze dello spettatore senza tuttavia distruggerle. Anzitutto Kubrick gioca fin dalle prime inquadrature a confondere i confini tra suoni e musica diegetici e non diegetici: il valzer di Šostakovič che sembra extradiegetico si rivela parte della soggettiva sonora di Bill e Alice nel momento in cui il lui spegne lo stereo e la musica si interrompe. Forte è l’incertezza anche sul piano narrativo a causa della sovrapposizione tra i racconti diretti dei personaggi: i due racconti di Alice, quello della infedeltà immaginata e quello dell’orgia nel sogno; i resoconti dei vari “testimoni” della vicenda, dal receptionist dell’hotel che racconta di Nick scortato da degli uomini alla giustificazione ambigua ma rassicurante di Ziegler a Bill. Questi racconti depistano lo spettatore lasciandolo ad una doppia interpretazione e allo stesso tempo ad una percezione del tutto indifferente rispetto ai protagonisti, che gli rimangono estranei. 7
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