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Storia Contemporanea 6 cfu, Sbobinature di Storia Contemporanea

Sbobine di Storia Contemporanea, prof. Gianluca Fiocco.

Tipologia: Sbobinature

2021/2022

Caricato il 06/10/2022

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Scarica Storia Contemporanea 6 cfu e più Sbobinature in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! STORIA CONTEMPORANEA La seconda rivoluzione industriale e la società di massa La Prima Rivoluzione Industriale è costituita dall’Inghilterra del 700 con il vapore, ferro, carbone, industria tessile con il cotone; è questa grande avventura che inizia dalle macchine e che trasforma nel giro di alcuni decenni prima l’Inghilterra e poi aree sempre più vaste dell’Europa e ha una proiezione anche extraeuropea. L’uomo che per secoli era stato vincolato ai limiti della terra, dell’energia animale, diventa un moderno prometeo e cambia la faccia del pianeta. Per tutti i popoli si porrà il problema di passare dall’essere dei contadini a operai, impiegati, lavoratori di una moderna società industriale e dei servizi. L’Inghilterra apre una strada e da quel momento la strada da seguire per entrare nella modernità è quella. La prima rivoluzione industriale vede anche il decollo dell’Europa rispetto alle altre parti del mondo. L’Europa conquista vaste regioni dell’Asia, si è spartita l’Africa, è partita la conquista del mondo grazie a questa superiorità produttiva e tecnologica che poi si è tradotta in una superiorità militare. Questo processo è fondamentale per capire come l’Europa abbia acquisito una posizione dominante sull’intero pianeta. Intorno al 1870 c’è un ulteriore salto qualitativo che ci fa parlare di una Seconda Rivoluzione Industriale; anche qui l’Europa è assoluta protagonista, in particolare l’Europa centro occidentale, perché l’Europa orientale rimane un po’ indietro. C’è questo balzo ulteriore caratterizzato dall’apertura di nuovi settori che sono trainanti dal punto di vista dell’innovazione e dal punto di vista tecnologico-produttivo: l’acciaio, la chimica, il petrolio e l’elettricità (che all’epoca veniva chiamata il carbone bianco). Si aprono dei campi nuovi legati anche alle conquiste tecnologiche. Mentre la prima rivoluzione industriale aveva visto al centro il ferro, adesso c’è l’acciaio, questo nuovo materiale che ha tutta una serie di caratteristiche e proprietà che aprono una serie di possibilità di realizzazione ingegneristiche e sono generatrici di una attività economica frenetica. Simbolo di questa rivoluzione è il centro di Parigi con la torre Eiffel , quando all’Esposizione Universale del 1889 la costruiscono per un’attrazione che sarebbe dovuta durare alcuni mesi e invece diventa un simbolo permanente di un intero periodo storico. La chimica rivoluziona tutto, come: la plastica, l’uso dei fertilizzanti, si aprono interi settori completamente nuovi come il settore del cibo in scatola, i conservanti, i prodotti confezionati. La seconda rivoluzione è un momento in cui prende corpo una società molto più simile alla nostra, non a caso in quel periodo si diffondono i grandi magazzini, quindi anche il settore commerciale della distribuzione si trasforma. Il petrolio e l’elettricità sono importantissimi campi; parte in prospettiva il lungo ciclo della motorizzazione. Una cosa che cambia è anche la fabbrica: mentre al tempo della prima rivoluzione industriale c’era l’industria a domicilio che bastava anche con capitali limitati poiché la dimensione e i costi dell’investimento erano relativamente limitati; con la seconda rivoluzione industriale si entra pienamente nell’età della grande industria con centinaia e migliaia di addetti e operai. Non sparisce la piccola e media industria, ma i simboli dell’epoca diventano la grande industria, i grandi gruppi in cui l’organizzazione del lavoro diventa sempre più scientifica, con procedure uniformi, con dei corsi di addestramento uniformi per tutte le maestranze di un determinato settore, con delle procedure che vengono ripetute, con grado di standardizzazione sempre più alto. Adesso si va verso il sistema che chiamiamo catena di montaggio che troverà il suo massimo sviluppo nel 900 con il fordismo. I capitali che servono per mettere su e mandare avanti questi grandi gruppi sono sempre più ingenti e devono intervenire massicciamente le banche. Rispetto alla prima rivoluzione industriale abbiamo l’intreccio tra banca e industria, che diventerà un tratto caratteristico del capitalismo 900esco, denominato dagli economisti come capitalismo finanziario : grandi gruppi che si sfidano a suon di grandi investimenti, di programmazione. Questo cambia tutto il gioco del mercato e c’è una grossa tendenza, soprattutto in alcuni campi, alla concentrazione. Mentre la prima rivoluzione industriale ha visto in netto vantaggio l’Inghilterra sugli altri paesi che diventa l’officina del mondo, invece nella seconda metà dell’800 la musica cambia, finché alla fine degli anni 90 dell’800 ci sono i tedeschi e gli americani che in alcuni settori chiave superano la Gran Bretagna. Quando scoppia la rivoluzione industriale, i tedeschi realizzano tutta una serie di produzione e di impianti ex novo (a partire da zero) e quindi ricorrono a tutte le più moderne tecnologie, mentre gli inglesi le industrie ce l’hanno già, hanno già delle consuetudini e abitudini produttive, per loro non è possibile distruggere tutto e partire da zero, quindi la loro stessa superiorità li condanna all’obsolescenza, per cui le imprese nuove che escono sono più moderne con macchinari più avanti, mentre gli inglesi sfruttano in misura significativa ciò che già hanno. In questi anni di seconda rivoluzione industriali abbiamo anche dei gravi fenomeni di crisi, intesi come trasformazione, cioè: il capitalismo è trasformazione continua e dinanzi a queste trasformazioni c’è chi vince e c’è chi perde, settori che vanno a mille e settori che vanno in crisi. Alcune innovazione che posso trainare in modo spettacolare determinati settori e attività possono invece rappresentare un grave fattore di crisi per altri: negli ultimi decenni dell’800 la navigazione a vapore ha compiuto grandi progressi, il vapore sostituisce definitivamente la vela, contemporaneamente vengono messe a punto delle tecniche di refrigerazione per cui si possono avere navi con locali tenuti a una temperatura bassa, refrigerati, e poi c’è il grande sviluppo dell’agricoltura americana che è una agricoltura moderna e di scala; quindi il boom della produzione americana, lo sviluppo tecnologico della navigazione della refrigerazione, vuol dire che il grano americano e altre derrate che arrivano dall’altra parte dell’Atlantico possono invadere i mercati europei. Ciò comporta un aumento molto forte dell’offerta e il crollo dei prezzi, cosa che comporta la rovina delle campagne in Europa, per piccole e medie aziende che si trovano ad un certo punto fuori dal mercato non potendo reggere la concorrenza di questi prodotti che arrivano dall’altra parte del mondo. Quindi c’è una disoccupazione delle campagne di diverse zone d’Europa e queste persone hanno due opzioni: o cercano di urbanizzarsi e di entrare nelle fabbriche, di svolgere altre attività e inserirsi nel mondo dell’industria oppure l’emigrazione. Con l’accelerazione tecnologica il mondo diventa sempre più piccolo. La storia contemporanea è storia di una crescente interdipendenza tra le diverse parti del mondo e il 900 è alla fine del secolo il mondo che alcuni studiosi hanno chiamato “ il villaggio globale”. Il tipo di società prodotta dalla seconda rivoluzione industriale è una società di massa: ci sono imponenti fenomeni di urbanizzazione, sempre più persone vivono a stretto contatto con i propri simili invece del contadino isolato, nasce la città moderna con migliaia di operai organizzati in turni che seguono determinati percorsi usando mezzi pubblici usati in massa. All’epoca questo percorso venne vissuto anche come un senso di angoscia, l’inizio il Congo, l’Olanda che controlla l’Indonesia. Anche l’Italia nel suo piccolo si inserisce in questo gioco coloniale con Cirenaica, la Somalia, l’Eritrea e sotto il fascismo l’Etiopia. C’è proprio l’idea che se si vuole ambire allo status di potenza bisogna stabilire un dominio coloniale; quindi, l’imperialismo è legato a questa dinamica, definita anche come l’età degli imperi, segna la massima proiezione europea sul mondo. C’è un’età di egemonia, dominio dell’Europa sul mondo che conosce un momento cruciale con la rivoluzione industriale, perché attraverso l’industrializzazione l’Europa acquisisce un vantaggio cruciale sui popoli extraeuropei. Alla fine dell’800 questo predominio tecnologico, industriale, produttivo e militare si traduce nella costruzione di questi grandi imperi e nel dominio diretto sugli altri popoli. Il colonialismo che c’è in questa fase è un colonialismo nuovo anche per le forme di dominio: in passato gli europei avevano puntano a stabilire degli avamposti commerciali, delle basi lungo le coste, la gestione dei territori e i rapporti con le autorità locali più che dalle amministrazioni governative e dai pubblici funzionari erano stati curati da compagnie commerciali a base privata: la Compagnia delle Indie, le indie orientali e le indie occidentali. Per quanto riguarda l’Inghilterra la data chiave è il 1857 perché il cuore dell’impero britannico è l’India (quando la Gran Bretagna nel 700 perde le colonie in nord-America e nascono gli Stati Uniti, il baricentro del suo impero si sposta a est sull’India). L’india fino alla metà dell’800 non è gestita direttamente dal governo britannico bensì dalla Compagnia delle Indie. Nel 1857 c’è la rivolta dei Sepoys, cioè dei corpi indigeni dell’esercito che manteneva lì l’ordine per conto della Compagnia delle Indie che mette a ferro e fuoco l’India; la rivolta viene domata, ma da quel momento subentra il controllo diretto dello stato britannico che manda lì i suoi funzionari, uniforma l’amministrazione, porta le sue regole e leggi e quindi l’India diventa dominio diretto della corona, viene nominato un viceré. Tutto questo culmina nel 1876 con la proclamazione della regina Vittoria come Regina delle Indie. C’è quindi la tendenza a costruire dei veri e propri imperi nel senso pieno anche politico-amministrativo, cioè il grande sviluppo dell’organizzazione della macchina dello stato che applica le sue leggi in tutti i luoghi in cui viene piantata la bandiera. Ci sono delle differenze nazionali, infatti, si parla di modello francese e inglese: i francesi tendono, in questa politica, ad essere più uniformi e a stabilire un pieno controllo portando le leggi e consuetudine francesi nelle loro colonie, mentre gli inglesi curano gli affari, la sicurezza e il controllo, ma se ci sono delle autorità locali a cui appoggiarsi, molto pragmaticamente a seconda della situazione, prendono le decisioni e curano l’assetto. Ad esempio in India, una parte molto grande del territorio del subcontinente continua ad essere governata dai Maragià: ci sono i principati locali, che sono delle autorità che funzionano, che collaborano e si mettono sotto protezione della corona e gli inglesi non hanno interesse a stabilire lì i loro funzionari e portare lì i soldati. La differenza che c’è quindi tra protettorato e colonia è che: la colonia è dove si stabilisce un controllo diretto, mentre il protettorato è quando ti nomini protettore di una autorità locale che però lasci in piedi. I francesi quando prendono in controllo del Marocco stabiliscono il protettorato, lasciano lo stato locale. Tutto questo processo lo possiamo considerare e articolare in due scenari fondamentali: quello asiatico e quello africano. La differenza fondamentale è che, mentre in Asia gli europei arrivano in luoghi dove c’è una maggiore tradizione statuale e quindi tendono più ad appoggiarsi su queste autorità locali, quando parliamo dell’Africa parliamo di zone dove non c’è questa tradizione statuale e c’è ancora una tradizione tribale e lì gli europei tendono a stabilire un controllo pieno. Nel 1914 l’intero continente africano è spartito tra le potenze europee. Rimangono fuori dal controllo europeo: la Liberia (che sotto protezione americana diventa la zona dove idealmente dovevano trovare la libertà gli afroamericani, cose che succede in minima parte, la capitale si chiama Monrovia per il presidente americano Monroe) e l’Etiopia (che viene lasciata libera dal controllo coloniale). Le principali potenze si impegnano in questa corsa per la spartizione dei continenti per alcune motivazioni: la seconda rivoluzione industriale vuol dire necessità di materie prime e c’è il progetto delle principali potenze europee di stabilire il controllo diretto su questi territori (piantando la bandiera diventano proprio territori e si sfruttano le materie prime come si vuole). Molto spesso si occupano dei territori non perché ci sia un progetto preciso già avanzato di sfruttamento delle risorse, ma lo si fa prima che lo facciano gli altri. C’è l’idea di uno spazio vitale di cui hanno bisogno le grandi potenze per mantenere un ruolo mondiale. Ovviamente c’è anche l’idea di assicurarsi degli sbocchi commerciali: il controllo dell’India vuol dire che gli inglesi hanno un enorme mercato per piazzare i prodotti della loro industria tessile. D’altra parte, in questa fase si entra in un’età di protezionismo, cioè una tendenza generale a creare una barriera doganale, all’afflusso di merci dagli altri paesi; quindi è un’età di globalizzazione, di aumento degli scambi ma in un contesto di guerre commerciali in cui ogni paese cerca di tutelare la propria industria nazionale. L’economia e la società dei territori conquistati vengono completamente messe al servizio degli interessi della nazione dominante. Gli indiani vengono messi in una condizione di non avere più una loro produzione tessile perché devono comprare le merci che arrivano dall’Inghilterra. Siamo in un’età in cui vigono le regole della politica di potenza e c’è un acceso clima nazionalista e rispetto a questo si cerca di avere il consenso della popolazione da parte dei governanti. Quindi grandezza nazionale, colonialismo, conquista dei territori dove la popolazione in futuro potrà anche stabilirsi e avviare delle attività e quindi il miraggio della ricchezza nazionale. Questo assume anche una chiave antisocialista, perché non serve farsi una lotta di classe tra di noi ma attraverso l’impero ci sarà ricchezza per tutti: di fatto in Inghilterra c’è il fenomeno dell’imperialismo popolare. L’imperialismo è anche una risposta delle classi dirigenti per rendere più coesa la società, quindi motivazioni di politica interna. Un elemento di cui bisogna tenere conto è la visione culturale in cui c’è una forza diffusione di idee razziste, cioè l’idea che non tutti i popoli siano uguali, che alcuni siano superiori agli altri che hanno il diritto di conquistare chi è più deboli per avviarlo sulla strada del progresso. Per quando riguarda l’Africa e l’Asia c’è un’accelerazione in questa corsa negli anni 80 dell’800. C’è la conquista francese della Tunisia nel 1881 e il dominio britannico sull’Egitto nel 1882. Tutto questo avviene anche grazie alla lenta decadenza dell’impero ottomano (turco) che poi crollerà durante la Prima Guerra Mondiale. La chiave della politica britannica era quella di conquistare il dominio e poi il controllo delle rotte commerciali e militari marittime. Bisogna ricordare che da pochi anni è stato aperto il canale di Suez, che permette di andare in India dall’Europa senza il periplo dell’Africa. Per controllare Suez l’Egitto diventa chiave, quindi quando lo stato egiziano è in crisi, gli inglesi stabiliscono il loro controllo su quel territorio prima che lo facciano gli altri. La presenza britannica in Egitto li porta a interessarsi al problema del controllo di tutto il bacino del Nilo e a quello che sta accedendo in Sudan, ma l’attivismo britannico nella zona provoca una grandissima rivolta a base religiosa che impegna gli inglesi. Nel momento in cui viene stabilito il controllo sul Sudan nasce poi la prospettiva di costruire una grande fascia imperiale che attraversi l’Africa dal nord al sud dove piantare la bandiera britannica. Tutto ciò porta gli inglesi a impegnarsi sempre più massicciamente in quel territorio, generando però contrasti con la Francia che anche sta accumulando enormi conquiste coloniali. A Berlino nel 1884-85 le potenze europee e anche i paesi più piccoli si riuniscono e decidono a tavolino come spartirsi l’intero continente africano; a Berlino perché proprio la Germania era un po’ meno coinvolta nelle questioni europee e Bismark poteva fare da arbitro tra le due potenze. Si decide che quando su un tratto di costa hai una presenza sufficientemente radicata, hai piantato la bandiera e hai interessi commerciali e delle truppe, tutta la fascia che si proietta verso l’interno in corrispondenza della costa diventa un tuo legittimo ambito d’azione, fino a quando non si incontra eserciti di altri paesi che stanno arrivando da altre parti del continente. Quindi diventa una grande corsa per conquistare il massimo dei territori possibili prima che lo facciano gli altri. Questo scontro che si crea tra l’avanzata inglese lungo la direttrice nord-sud e l’avanzata francese lungo la direttrice est-over, porta poi alla fine dell’800 nel villaggio di Fascioda in Sudan una situazione di gravissima tenzione di un contingente britannico e uno francese e in quelle settimane sembra che stia per scoppiare una guerra tra Francia e Inghilterra, risolta con il ritiro dei soldati francesi. Tra i motivi che portano alla scelta della ritirata e al dialogo c’è anche il fatto che sia francesi che inglesi iniziano ad essere preoccupati per l’espansione tedesca. La vicenda del Congo diventa il simbolo dello sfruttamento coloniale nella sua forma più drammatica e brutale. Paradossalmente la presenza lì degli europei inizia sotto il manto dell’assistenza umanitaria e l’avviamento al progresso e vede anche la presenza dei missionari. Da questa base umanitaria si arriva a impiantare una vera politica del terrore ai danni di quelle comunità: se i singoli villaggi non collaborano alle campagne per la raccolta del lattice e altri prodotti scattano delle feroci rappresaglie, con forze indigene che collaborano con gli europei perché traggono il loro vantaggio da questo controllo sistematico e brutale del territorio. Intorno al Congo tra fine 800 e inizio 900 parte una delle prime campagne umanitarie di denuncia a livello europeo in cui uomini politici, viaggiatori denunciano gli orrori del Congo, cosa che incide anche sull’opinione pubblica. Uno degli strumenti fondamentali in questa campagna di denuncia è la nuova disponibilità di macchine fotografiche portatili. Questa campagna porta a togliere il Congo dallo status di dominio coloniale del Belgio e farne invece una colonia pubblica regolata dallo stato belga che si impegna a far valere i principi dello stato di diritto e della legislazione a tutela di quelle popolazioni. Per quanto riguarda il caso del Sudafrica, scoppia una guerra coloniale, ma tra bianchi, in particolare tra i boeri e gli inglesi tra la fine dell’800 e inizio 900 . I boeri erano i discendenti dei coloni olandesi che si erano stabiliti nella regione del Capo fin dal 600. Quando nell’800 gli inglesi stabiliscono un controllo sempre più stretto sulla zona del Capo (per il controllo dei punti strategici per la flotta), i boeri per sfuggire da questa pressione migrano verso nord e fondano due repubbliche: il Transvaal e l’Orange (avviene sempre per sottomissione degli indigeni). Per la logica dell’espansione continua e per il fatto che quei territori si rivelano ricchissimi, gli inglesi mettono gli occhi sul Transvaal e sull’Orange e scatta un piano per mettere sotto controllo quei territori. I boeri passano al contrattacco e scoppia la guerra, che ha un riflesso anche in Europa perché i tedeschi tendono a simpatizzare per i boeri. I boeri ricorrono alla guerriglia e gli inglesi costruiscono i primi delle condizioni (come avere mano libera con le proprie forze di polizia sul territorio serbo) che accettano solo in parte perché accettarle completamente voleva dire perdere la sovranità nazionale. Quindi gli austriaci, spalleggiati dai tedeschi che sono i loro principali alleati, dichiarano guerra alla Serbia. Tutto questo mette in moto la mobilitazione in Russia, la Germania ingiunge alla Russia di porre fine alla mobilitazione del suo esercito, cosa che la Russia non fa e allora la Germania dichiara guerra alla Russia. Si mette allora in mobilitazione la Francia, alleata della Russia, e i tedeschi dichiarano guerra anche alla Francia. La Germania, che aveva il rischio di fare una guerra su due fronti (la Russia a est e la Francia a ovest) elabora un piano di guerra lampo , chiamato piano Schlieffen (dal nome del capo maggiore). Questo piano prevedeva che la Germania, per evitare la guerra su due fronti, avrebbe dovuto sferrare un attacco improvviso verso la Francia e arrivare a Parigi nel giro di poche settimane e, una volta schiacciata la Francia, avrebbe potuto affrontare la Russia, approfittando del fatto che questo fosse un paese più arretrato e ci avrebbe messo molto tempo prima di preparare un esercito effettivamente in assetto da guerra. Il piano Schlieffen prevedeva che per arrivare più velocemente a Parigi, i tedeschi decidono di passare attraverso il Belgio perché consentiva una manovra di aggiramento che avrebbe evitato il grosso delle truppe francesi. Quindi nell’agosto del 1914 i tedeschi applicano questo piano e invadono il Belgio, violando la neutralità del Belgio. Il Belgio era un paese neutrale dal 1830, una sorta di stato cuscinetto sorto anche per gestire i contrasti tra i paesi più grandi vicini e c’era un impegno internazionale a rispettare questa neutralità. La Germania però viola questi accordi e la Gran Bretagna che si sente minacciata perché l’occupazione del Belgio vuol dire che i tedeschi si trovano sul mare del nord e le coste del Belgio sono vicinissime all’Inghilterra e quindi, anche per evitare una possibile sconfitta della Francia che avrebbe portato i tedeschi ai propri confini, entrano in guerra e si schierano al fianco di Francia e Russia. In pochi giorni, tra la fine di luglio e i primi di agosto del 1914, le principali potenze europee si trovano in guerra e sarà una guerra che durerà 4 anni. La guerra lampo però fallisce: i tedeschi arrivano a poche decine di chilometri a Parigi, sembra quasi che Parigi debba crollare, ma con la Battaglia della Marna le forze tedesche vengono fermate, finisce quindi la guerra lampo e inizia la guerra di posizione che porterà poi a costruire centinaia di chilometri di trincee, dal mare del Nord , dal Belgio fino alla Svizzera , in territorio principalmente francese (questo è importante perché tutto questo avvelenerà il dopoguerra dato che i francesi chiederanno i risarcimenti di guerra). Questo anche perché le condizioni tecnologiche dell’epoca, in quel momento storico, favorivano chi difendeva piuttosto che ci offendeva (attaccava). L’evoluzione tecnologica aveva tirato fuori la mitragliatrice, che implica un aumento esponenziale della capacità di fuoco rispetto al fucile. Altro frutto della rivoluzione industriale era il filo spinato che in guerra diventa un’arma micidiale perché avanzando non si ha il tempo di tagliare il filo spinato per sfuggire alle pallottole. Inoltre, ci troviamo nell’epoca di Guglielmo Marconi e quindi con la radio adesso si possono avere informazioni tempestive anche sullo spostamento del nemico e le radio erano strumenti grandi di cui beneficiava, come nel caso della mitragliatrice, chi difendeva in una posizione statica. La Prima guerra mondiale ha delle vere e proprie carneficine in cui muoiono centinaia di migliaia di uomini senza spostamenti significativi al fronte. Il papa Benedetto 15° nel 1917 la definisce come “l’inutile strage” e alla fine della guerra si parlerà di 10 milioni di morti. Man mano che si prende coscienza di quello che la guerra è diventata, ci si rende conto, già nelle menti dei contemporanei, di star combattendo una guerra di tipo nuovo, che si può schematizzare in 3 modi: una guerra industriale , totale e globale . Una guerra industriale perché è la guerra combattuta dalle potenze che sono passate attraverso le due rivoluzioni industriali. Solo delle grandi potenze industriali possono permettersi di mantenere uomini armati, equipaggiati e riforniti al fronte per anni. In passato non c’era questa possibilità, le guerre duravano pochi mese perché erano eserciti contadini e non c’era la capacità logistica di mantenere questi eserciti (i contadini dovevano tornare alle loro terre e spesso se le guerre duravano troppo si trasformavano in razzie sul territorio sul quale ci si muoveva). Invece adesso abbiamo degli eserciti riforniti, anche attraverso le capacità tecnologiche come per il cibo in scatola per sfamare le trincee. Quindi è una grande guerra industriale combattuta da potenze industriali e tutta l’economia di questi paesi viene orientata a sostegno dello sforzo bellico: nascono i ministeri per gli armamenti, delle munizioni del munizionamento perché bisogna riorganizzare e coordinare l’apparato produttivo ai fini della guerra che assorbe tutte le risorse. In Germania si arriverà a parlare di Socialismo di guerra per descrivere questo livello di pianificazione e controllo sull’economia. Questo accade perché mentre Francia e Russia potevano avere rifornimento da fuori (attraverso le risorse coloniali), la Germania era chiusa nel cuore dell’Europa e sottoposta a blocco navale e quindi tutte le risorse dovevano essere centellinate e sfruttate per consentire al paese di proseguire la guerra. Per esempio, durante la guerra, la chimica tedesca fa dei veri e propri miracoli, perché ciò che non possono prendere a livello di materie prime i tedeschi ci arrivano attraverso chimici surrogati e conquiste tecnologiche. Inoltre, diventa anche una guerra in cui vince chi riesce a resistere di più, a produrre di più, chi riesce a rifornire meglio l’esercito; è una sorta di collaudo della forza industriale di questi paesi. Una guerra totale perché è una guerra di milioni di uomini che impegna l’economia al massimo e coinvolge le società nel loro complesso, tant’è vero che nasce l’espressione fronte interno, ovvero il fronte non è solo quello che passa lungo la linea della battaglia, ma il territorio stesso, le società nel loro complesso diventano dei campi di battaglia: l’operaio nella catena di montaggio è come un soldato, non può scioperare perché c’è la militarizzazione del lavoro. È quindi una guerra che tocca tutti, anche chi si rimane nelle retrovie e cambia la vita nelle società nel loro complesso. Una guerra globale perché ha una proiezione mondiale . C’è la mobilitazione delle risorse imperiali: il fatto che l’Inghilterra sia in guerra significa che in Europa vengono a combattere canadesi, neozelandesi, sudafricani, indiani, mentre i francesi attingono dal loro serbatoio africano con i senegalesi e marocchini. Ci sono poi delle guerre anche nei territori coloniali, guerre e battaglie combattute nel territorio africano dove il grosso delle truppe è composto da eserciti formati per oltre il 90% da soldati africani. L’economia delle colonie viene riorientata e condizionata dal contesto bellico. I soldati australiani vanno a combattere contro i turchi e diventa anche un momento fondativo dell’identità australiana perché è la prima guerra combattuta dall’Australia in quanto nazione che ha acquisito una sua autonomia. Quindi chi può mobilitare più risorse alla lunga ha più possibilità di vincere. Quando passano i primi mesi e si arriva nel 1915, i due blocchi cercano di avere rinforzi: la Triplice Intesa si accordano con l’Italia, mentre gli imperi centrali ottengono l’entrata in guerra dell’impero turco e ciò vuol dire estensione della guerra in tutto il Medio Oriente. Gli inglesi giocano la carta del nazionalismo arabo contro i turchi, perché gli arabi stavano sotto i turchi. La guerra è mondiale anche perché si accende nel pacifico ed entra in guerra il Giappone, alleato dell’Inghilterra, che decide di entrare in guerra per prendere le colonie tedesche nel pacifico e stabilire un suo controllo su alcune zone della Cina. Infine, l’entrata in guerra degli Stati Uniti nel 1917 che rifornisce i paesi dell’Intesa attraverso la rotta dell’Atlantico. Quindi in una guerra industriale, di mobilitazione totale, di logoramento avere dalla propria parte quella che sta diventando la più grande forza industriale e macchina produttiva del mondo è un grande vantaggio. I tedeschi per cercare di contrastare il flusso di aiuti attraverso l’Atlantico con i loro sottomarini attaccano i convogli che portano i rifornimenti. Gli americani protestano perché non sono in guerra, si crea una disputa giuridica perché secondo loro, in una guerra totale come questa, le navi che portano rifornimenti ai loro nemici di guerra sono dei legittimi obiettivi di guerra, così l’America dichiara guerra alla Germania. Il caso italiano ♥ Quando scoppia la guerra nel 1914, l’Italia è alleata nella Triplice Alleanza con l’Austria e la Germania, ma decide di restarne fuori a pieno diritto dato che si trattava di un patto difensivo e che erano stati i due imperi centrali a dichiarare guerra alla Serbia (Austria) e alla Francia e Russia (Germania). La diplomazia italiana si limita inizialmente a cercare di capire l’andamento delle cose per valutare il da farsi. All’epoca la classe dirigente italiana aveva molto forte nella sua cultura il principio che il paese dovesse stare al tavolo delle grandi potenze, nelle grandi alleanze e partecipare alla corsa coloniale (non a caso l’Italia aveva fatto una penetrazione coloniale nell’Africa orientale, una guerra in Libia nel 1911). Nel momento in cui scoppia una grande guerra europea tra potenze, per molti della classe dirigente il fatto che l’Italia ne restava fuori andava a diminuire il prestigio internazionale del paese, quasi come se fosse un’ammissione che l’Italia non fosse un paese di prima fascia. Inizia quindi un dibattito nel paese, che diventa più pressante quando si vede che la guerra non è destinata a finire subito e si pone il problema su cosa fare. Si formano due fronti molto diversi: uno neutralista , che vorrebbe tenere il paese fuori dalla guerra e uno interventista , che vorrebbe invece l’entrata in guerra dell’Italia . Il fronte interventista è formato da: ► Nazionalisti → seguono il motto dei futuristi, ovvero “la guerra come sola igiene del mondo”, si identificano nella guerra e nella grandezza che si raggiunge attraverso la vittoria militare, vedono la guerra come occasione per una politica di grandezza nazionale; ► Democratici → con il motto di “Trento e Trieste”, ovvero la guerra come occasione per completare il Risorgimento e per togliere agli austriaci le terre popolate da italiani che ancora si trovano sotto il dominio asburgico. Parlano quasi di una quarta guerra di indipendenza. C’è anche l’idea che combattendo l’Austria si aiutino le nazionalità oppresse dell’Austria/Ungheria a liberarsi e in particolare i popoli slavi che sono sotto il controllo dei tedeschi e degli ungheresi; ► Rivoluzionari → per far scoppiare la rivoluzione e che quindi possa essere un colpo all’ordine borghese; ► Liberal conservatori → l’intervento come prestigio internazionale perché l’Italia ha l’ambizione di stare tra le grandi potenzi, la guerra per ottenere vantaggi economici ed espansionistici e, per quanto riguarda la politica interna, la guerra come L’unico spostamento di rilievo è la presa di Gorizia del 1916, che però costa alle forze italiane tantissimi uomini. La guerra italiana è inoltre gestita con metodi fortemente autoritari: il capo dell’esercito è il generale Luigi Cadorna che applica il codice militare sabaudo per i tempi di guerra. Il codice è rigidissimo e viene applicato ad un esercito formato da contadini, anche perché gli operai specializzati venivano lasciati nelle città perché servivano alla produzione di guerra e anche chi aveva competenze veniva destinato nell’esercito ai servizi logistici. Quindi a morire in prima linea ci sono i più poveri. 1917 » 1917: l’anno di svolta. È un anno di stanchezza generale, in cui nei vari eserciti ci sono vari ammutinamenti. Nell’esercito francese alcuni reparti danno vita a degli ammutinamenti di massa: i soldati si ribellano, rifiutano di andare in trincea, in alcuni casi vengono anche aggrediti degli ufficiali. A queste proteste si risponde in modo durissimo con la decimazione: si individuava il reparto colpevole e si estraeva a sorte alcuni soldati da fucile, indipendentemente dalle loro responsabilità, per dare una lezione attraverso lo strumento del terrore. Ci sono casi simili anche in Italia. Anche in Italia la situazione non è molto diversa e questo non riguarda solo le truppe al fronte, ma anche nelle retrovie, il cosiddetto fronte intero che vede svilupparsi agitazioni, scioperi e proteste in varie parti del paese. Spesso e non solo in Italia a guidare queste azioni sono le donne che godono di un nuovo protagonismo nella protesta, anche perché c’è questa cultura secondo cui verso le donne si dovesse utilizzare sistemi meno duri. La città dove queste proteste raggiungono il livello maggiore è Torino, cuore insieme a Milano e Genova del triangolo industriale e dove nell’estate del 1917 scoppiano de moti popolari e viene proclamato lo stato di assedio. Ma il paese dove la situazione precipita di più fino a un punto irrimediabile è la Russia. La Rivoluzione di febbraio☺ A febbraio scoppia la Rivoluzione di febbraio. Non è un caso che la Rivoluzione avvenga in Russia dato che, tra le grandi potenze coinvolte, si trattava del paese entrato in guerra con la situazione socioeconomica più difficile. Ha una macchina industriale e un’organizzazione meno efficiente, i soldati si ritrovano senza fucili e viveri, le condizioni di vita all’interno sono drammatiche, gli operai non hanno di che sfamare i propri figli. A questo punto scoppia la ribellione, le maestranze di Pietrogrado chiedono la fine della guerra. L’esercito che viene mandato a reprimere lo sciopero solidarizza con i manifestanti, si rifiuta di sparare agli operai, la situazione di ordine pubblico diventa ingestibile, lo zar è costretto ad abdicare e abbandonare Pietrogrado. Si forma un governo provvisorio a guida cadetta, il partito costituzionale democratico, protagonista anche della rivoluzione del 1905 e precedente di quella del 1917. All’epoca ci fu la guerra tra Russia e Giappone che si concluse con la vittoria del Giappone e quindi per la prima volta una potenza europea viene sconfitta da un paese non bianco che aveva iniziato il processo di industrializzazione da pochi decenni. In Russia nel 1905 ci fu questo movimento rivoluzionario che mostrò i limiti del sistema socioeconomico e politico della Russia. Si forma dunque questo governo provvisorio, però in alcune zone del paese sorge un potere accanto al governo provvisorio che è quello dei Soviet . I Soviet sono delle assemblee di contadini, operai e soldati che in alcune zone del paese rappresentano il potere effettivo, ovvero sono loro che curano gli approvvigionamenti, che prendono decisione a livello locale e mantengono l’ordine. La grande differenza che c’è tra la linea del governo provvisorio e la linea dei Soviet è legata a 2 problemi: il problema della guerra e quello della terra. La Russia è un paese contadino dove oltre il 90% della popolazione vive nelle campagne. La grande richiesta è che il contadino russo vuole lasciare il fucile e avere il suo pezzetto di terra, ma qui c’è la grande divisione perché: il governo provvisorio intendente onorare gli impegni presi con le altre potenze e proseguire con la guerra, mentre i soviet chiedono la cessazione della guerra. Sulla terra si raggiunge un compromesso per cui il governo provvisorio promette che sarà convocata un’assemblea costituente che riscriverà tutto l’equilibrio costituzionale e istituzionale della Russia e questa Assemblea costituente farà una grande riforma agraria per dare la terra ai contadini, ma intanto bisogna proseguire nella guerra. Da febbraio del 1917 al di là di quelle che sono le intenzioni proclamate, la Russia non è in condizione di proseguire la guerra, è un impero in sfacelo. Si inizia dunque a profilarsi la vittoria della Germania a est e quindi in prospettiva la formazione di una grande massa euroasiatica sotto il controllo della Germania. Questa è una minaccia terribile per l’Intesa e collegata a questo c’è la decisione dell’aprile del presidente Wilson di intervenire. L’intervento americano nella guerra, che poi sarà l’elemento determinante, è legato a doppio filo al crollo russo. Non può permettersi la vittoria della Germania perchè in chiave mondiale è il nemico strategico degli interessi americani: l’America già si è impegnata con un programma di aiuti e sostegno all’Intesa e, quando crolla la Russia, gli Stati Uniti decidono di entrare in guerra. Il casus belli è offerto dalla guerra sottomarina indiscriminata: la Germania ha ripreso la guerra sottomarina indiscriminata perché l’inverno ‘16-17 in Germania è durissimo dato che il paese è letteralmente alla fame. La Germania non ha gli approvvigionamenti che hanno Francia e Inghilterra. Quindi temendo il proprio crollo, le forze tedesche cercano di infliggere le stesse privazioni al nemico e quindi interrompere l’afflusso dei rifornimenti. Perciò la guerra sottomarina indiscriminata del ‘15 che a seguito delle proteste americane era stata interrotta, viene ora ripresa, si iniziano ad affondare navi commerciali con anche civili a bordo e questo offre all’America la motivazione per entrare in guerra come violazione del diritto internazionale. Nell’ aprile del ‘17 gli Stati uniti entrano in guerra e a quel punto diventa una corsa contro il tempo perché è chiaro che o i tedeschi cercano di dare una spallata decisiva a ovest e chiudere la guerra oppure quando l’esercito americano sarà pienamente a regime operativo sul fronte occidentale, la posizione della Germania diventerà critica. Per i tedeschi però la situazione non è semplice perché sempre più si ritrovano sulle loro spalle il peso della guerra: l’impero austroungarico nel ‘17 è sull’orlo dello sfacelo perché sta iniziando la ribellione delle diverse nazionalità che lo compongono, in particolare la componente slava. Infatti nel ‘16 alla morte dell’imperatore Francesco Giuseppe il nuovo imperatore avvia delle trattative segrete per cerca di portare l’Austria fuori dalla guerra, all’insaputa dell’impero tedesco, perché l’Austria è sull’orlo dello sfacelo e infatti nel ‘18 la resa austriaca coinciderà con lo sfascio dell’impero. ►Il ‘17 è un anno molto duro anche per l’Italia: è l’anno della battaglia di Caporetto. Nell’autunno del ’17, anche per il fatto che i tedeschi hanno spostato molte truppe a est perché la Russia non sta combattendo e quindi possono aiutare gli austriaci sul fronte italiano, c’è questo sfondamento di Caporetto che rivela la cattiva organizzazione dell’esercito italiano. A un certo punto questa ritirata diventa una vera e propria rotta: c’è la minaccia concreta di un dilagare delle truppe austro-tedesche nella Pianura Padana, per alcuni giorni sembra che Venezia sia in pericolo. Alla fine, le forze italiane riusciranno a riorganizzarsi verso il fiume Piave dove si tornerà a una guerra di trincea e il vantaggio della guerra difensiva tornerà in mano alle truppe italiane che riusciranno dal Piave a resistere agli ulteriori tentativi di avanzata degli austriaci e dei tedeschi. Nell’autunno del ‘17, i tedeschi hanno provato anche a dare una spallata risolutiva sul fronte occidentale senza riuscirci. A ottobre c’è la fase rivoluzionaria in Russia dove prendono il potere i bolscevichi con Lenin. Il governo provvisorio viene esautorato, c’è un nuovo potere rivoluzionario. Lenin è un rivoluzionario che viene dall’Internazionale socialista e secondo la sua analisi la guerra ha creato le condizioni rivoluzionarie non solo in Russia, ma nell’intero globo terrestre, siamo sul punto forse di una rivoluzione socialista mondiale e quindi Lenin pensa che i bolscevichi debbano prendere il potere in Russia per dare l’esempio a tutti i popoli europei. In particolare, Lenin auspica la rivoluzione in Germania, cioè il paese industriale europeo più avanzato: se il proletariato in Germania prende il potere e rovescia l’imperatore allora la rivoluzione si può estendere a tutta Europa (questo è il disegno di Lenin quando prende il potere). Da questa rivoluzione di ottobre nascerà il primo stato socialista del mondo, l’unione delle repubbliche socialiste sovietiche. Quindi se fino alla Prima guerra mondiale la rivoluzione socialista è un qualcosa di cui si parla, dopo il ‘17 diventa una presenza concreta sulla carta geografica. Nella primavera del ‘18 ci sono nuovi tentativi tedeschi di sfondare sul fronte occidentale: l’ultimo tentativo viene fatto all’inizio dell’ estate , ma l’inizio dell’estate è il proprio il momento in cui l’esercito americano, comandato dal generale Pershing, è in grado di schierare ormai a pieno organico le sue forze con tutto il suo potenziale. Nel corso dell’ estate inizia la controffensiva occidentale contro la Germania che porta poi nell’ autunno le forze inglesi, francesi e americane ai confini della Germania . A quel punto è chiaro che la Germania non può vincere la guerra, si inizia a parlare di trattative con il nemico, ma in quel momento scoppia una rivoluzione democratica in Germania che costringe l’imperatore a fuggire (Guglielmo II si rifugia in Olanda), viene proclamata la Repubblica, la forza prima motrice è il partito social-democratico tedesco che è la forza prima fondatrice di questa Repubblica di Weimar . Ci sono anche dei tentativi di tipo sovietico ispirato a Lenin: viene proclamata una repubblica sovietica in Baviera nel sud della Germania, nel gennaio del ‘19 a Berlino c’è l’insurrezione degli Spartachisti (gruppo di sinistra da cui nascerà il partito comunista tedesco). Questa insurrezione spartachista viene repressa nel sangue, dunque la Germania diventa poi una repubblica parlamentare, la Repubblica di Weimar, e non di tipo sovietico. Il sogno di Lenin di una rivoluzione in Germania analoga a quella russa non si verifica. Nell’ autunno del ‘18 la Germania esce dalla guerra, contemporaneamente crolla l’impero austriaco e quindi finisce questa lunga guerra. A Parigi nel ‘19 c’è la conferenza di pace, il presidente Wilson arriva in Europa. All’inizio del ‘18 il presidente americano presenta davanti al Congresso il piano per il dopoguerra, ovvero a quali principi dovrà essere poi improntata l’azione democratica una volta vinta la guerra. Gli americani vogliono gettare le fondamenta di un mondo pacifico, integrato e quindi uno di questi punti è la libertà dei mari, del commercio, propongono la riforma delle relazioni internazionali abbandonando la diplomazia segreta e le alleanze contrapposte fondando la Società delle Nazioni in cui si faccia una politica estera alla luce del sole nel segno di una cooperazione collettiva. Si auspica che questa Società delle Nazioni abbia il potere per fermare ulteriori guerre attraverso procedure di arbitrato possa che le erano state prospettate in precedenza: l’Istria entrerà nel Regno d’Italia, la Dalmazia farà parte della Jugoslavia, la città di Fiume diventerà una città libera sotto l’egida della società delle Nazioni e solo pochi anni dopo attraverso un accordo tra Italia e Jugoslavia entrerà nel Regno d’Italia. Da questa guerra ha inizio il declino dell’Europa, l’Europa dell’imperialismo, della spartizione dell’Africa che era al centro del mondo, perché questa è una guerra che ha cruciato delle risorse enormi, in cui anche i paesi vincitori escono con tutta una serie di conseguenze gravi e di sconvolgimenti (come i debiti che i paesi europei vincitori hanno contratto con gli Stati Uniti, il centro di finanza si è spostato al di là dell’Atlantico), lo stesso mito dell’invincibilità dell’uomo bianco che era stata fondamentale nel colonialismo è scosso da questa guerra fratricida. La crisi dell’Europa inizia a stimolare la nascita di industrie nazionali nei paesi extraeuropei: i paesi dell’America latina che hanno relazioni importanti con i paesi europei, durante la guerra vengono interrotti questi traffici e questi paesi entrano nella sfera economica americana e poi non potendo più prendere una serie di merci dall’Europa perché impegnata nella guerra, iniziano a produrseli da soli; l’Inghilterra vince la guerra drenando risorse dalle colonie e la guerra diventa anche una grande occasione di slancio per l’industria indiana che rimane dopo la prima guerra. Nell’Europa del dopoguerra ci sono delle enormi tensioni economiche e sociali intorno ad una serie di problemi drammatici: come la riconversione di apparati economici che avevano lavorato per la guerra, quindi la riconversione delle industrie con il problema della disoccupazione e crisi economica; i reduci che tornano e devono trovare un lavoro, un ruolo nella società, con problemi psichici e fisici legati alla guerra, gli invalidi e i mutilati. A seguito di questa guerra i paesi europei devono potenziare i loro sistemi sanitari. Il periodo tra il ’19-20 è definito biennio rosso, ovvero una stagione enorme di mobilitazione, di lotte sociali. Bisogna fare una distinzione tra i paesi dove questo avviene seguendo un ordine e mantenendo l’assetto istituzionale che c’è, come nel caso della Francia e Inghilterra, mentre ci sono altri paesi dove c’è un’altissima destabilizzazione e si creano delle situazioni preinsurrezionali o tentativi rivoluzionari, come nel caso della Germania dove abbiamo i tentativi da parte dei comunisti di prendere il potere, in Ungheria viene proclamata la Repubblica dei Consigli, di tipo sovietico che vuole allearsi con la Russia bolscevica. Tutti questi tentativi rivoluzionari verranno però repressi, anche se l’unico paese dove una rivoluzione di tipo comunista rimane in piedi è la Russia di Lenin. I grandi processi di industrializzazione tra 7/800 e inizio 900 si sono concentrati soprattutto nell’Europa centro-occidentale, mentre l’Europa orientale è rimasta invece in gran parte contadina. In Europa orientale il biennio rosso si traduce in lotte dei contadini, perché sono paesi soprattutto agricoli (come la Polonia) dove la maggior parte della popolazione vive nelle campagne e dove i contadini chiedono la riforma agraria. La risposta che viene data a questa mobilitazione è una risposta nel segno dell’autoritarismo, a questo contribuiscono una serie di fattori quali: la paura del socialismo sovietico, l’attaccamento al proprio potere della aristocrazia agraria, il clima di forte nazionalismo, sta di fatto che se questi nuovi stati erano sorti sulla carta geografica nel segno dei 14 punti di Wilson, in questa grande area geografica nel corso degli anni ‘20 si affermano tutti regimi autoritari . Un esempio è quello della Bulgaria dove il leader Stanboliski cerca di fare una grande riforma agraria per dare una risposta democratica alle istanze popolari ma viene fatto fuori e va al potere un governo autoritario. Negli anni ’20 tutta una serie di speranze di democrazia e riforma vengono di fatto smentite dagli eventi. Esclusa la fioritura della Repubblica di Weimar, in Europa orientale l’unico paese che rimane una democrazia è la Cecoslovacchia fino a quando non la prenderà Hitler nel 1938-39 . ×L’evoluzione degli eventi in Germania: sulla questione delle riparazioni si svolgono tutta una serie di conferenze nel dopoguerra, la Germania continua a protestare ma dopo una serie di trattative comincia il pagamento di queste riparazioni. Il pagamento di queste riparazioni però non mette fini ai problemi, anche perché la Francia accusa la Germania di giocare in modo scorretto, ovvero di fare una politica inflazionistica, strategie commerciali scorrette per conquistare i mercati e per pagare le riparazioni con un marco che vale di meno, un sotterfugio di fatto che alleggerire il peso delle riparazioni. Il fatto di dover pagare queste riparazioni incoraggia la Germania a una politica del marco debole, questo anche perché ci sono degli accordi tra gli imprenditori tedeschi e i sindacati, adeguamenti salariali, una politica generale che porta ad un alto tasso di inflazione (questo fa comodo alla Germania perché l’avvantaggia sul piano delle importazioni e consente agli imprenditori tedeschi di firmare questi accordi sindacali con la classe operaria). Nel 1923 si arriva ad una decisione cruciale del governo francese, che è di occupare una parte del territorio tedesco, in particolare il bacino carbonifero della Ruhr. L’esercito francese, aiutato da quello belga, si installa nel bacino carbonifero della Ruhr, uno dei cuori della forza industriale tedesca, con l’obiettivo di prendersi le risorse che gli servono poiché secondo loro non li stavano pagando a dovere. Questo crea una crisi enorme: il governo tedesco lancia la linea della resistenza passiva, ovvero dice agli impiegati, minatori e operai di non lavorare e non collaborare con l’occupante francese, loro si impegnano comunque a pagare salari e stipendi ma non collaborate con i francesi. I francesi scoprono di essersi messi in un vicolo cieco perché stare in territorio straniero senza che la popolazione collabora e con tutte le spese che comporta una forza di occupazione non è facile, in più questo fatto crea delle conseguenze disastrose in Germania. Nel giro di alcuni mesi, l’economia tedesca va a rotoli, scoppia in Germania una delle più grandi crisi di inflazione della storia dove si arriva al fatto che il marco non vale più nulla. Per uscire da questo problema innanzitutto c’è una prima risposta dei tedeschi: si forma un governo di unità nazionale guidato da Gustav Streseman che inizia a elaborare un piano di riforma, anche monetaria, e annuncia l’intenzione di voler collaborare ad una soluzione purché si accetti di negoziare ragionevolmente col popolo tedesco. Iniziano le consultazioni tra governi e qui entrano in gioco gli Stati Uniti, che erano la principale potenza finanziaria dell’epoca. ֍ (TORNANDO INDIETRO) Gli Stati Uniti erano stati protagonisti nella fase finale della guerra, erano entrati sulla scena mondiale, Wilson protagonista alla conferenza di pace, ma poi c’era stata la grande ritirata americana dalla scena europea: Wilson era stato sconfessato, c’è un grande moto isolazionista dell’opinione pubblica americana ovvero che non era stato un buon affare immischiarsi nelle questioni europee. Nel 1920 Wilson esce di scena, il senato americano rifiuta di ratificare il trattato di Versailles che quindi non viene di fatto firmato dagli Stati Uniti (nel trattato di Versailles era inclusa anche la costituzione della nuova Società delle Nazioni, la nuova idea di governo del mondo che avrebbe dovuto sostituire la diplomazia tradizionale, la tradizionale politica di potenza con una nuova politica estera democratica e concertata. Quindi la nuova società delle nazioni nasce senza la partecipazione americana, cioè del paese più importante e che aveva promosso questa svolta storica nelle relazioni internazionali). Grande ritirata americana, isolazionismo, ma in un mondo interdipendente i legami tra le due sponde dell’Atlantico ci sono, l’America ha un interesse al funzionamento buono dell’economia europea poiché offre mercato di sbocco alle merci americane e poi in un’economia europea che funziona e che si riprende, chi ha debiti con gli Stati Uniti, può pagare gli Stati Uniti. Inoltre l’America degli anni ’20 ha ingenti capitali da investire che si stanno accumulando. Tutto questo è il motivo per cui c’è la scelta americana di entrare in questi negoziati e vuole concorrere all’elaborazione di un piano di finanziamento della Germania: il piano Dawes. Con il piano Dawes si trova l’accordo sulle riparazioni del 1924 , le riparazioni tedesche vengono rateizzate in un modo concordato e ritenuto ragionevole, partono dei grandi prestiti americani che consento alla Germania di riprendersi e di onorare le riparazioni. Il pagamento da parte della Germania delle riparazioni è fondamentale per altri paesi per poter a loro volta onorare i debiti di guerra che hanno contratto con gli Stati Uniti . Dunque si crea un flusso finanziario che consente alla Germania di riprendersi nella seconda metà degli anni ‘20 e più in generale all’economia europea di uscire dalle enormi difficoltà di questo dopoguerra. Nel 1925 c’è la firma degli accordi di Locarno: in cui la Francia, Germania e Belgio riconoscono i confini usciti dalla conferenza di Versailles con Inghilterra e Italia che fanno da paesi garanti. Quello quindi che alla conferenza di pace era stata un’imposizione diventa invece un accordo in cui c’è la firma consapevole della Germania che accetta di aver perduto l’Alsazia e la Lorena. Nel 1926 la Germania viene accolta nella Società delle Nazioni come membro permanente del consiglio. Nella seconda metà degli anni 20 c’è appunto questo periodo di crescita economica e rapporti felici. Atto simbolico importante di questo periodo è la decisione della Gran Bretagna di tornare a vincolare la sterlina all’oro (gold standard). Tutto questo sarà spazzato via in pochi anni con la crisi del ’29 di Wall Street. ►Per quanto riguarda l’Italia: il biennio rosso in Italia è un periodo di enorme mobilitazione e confusione, verrà coniata l’espressione “diciannovismo” sinonimo di confusione, caos, estremismo. C’è un enorme fermento anche perché per fare la guerra, il governo ha fatto una serie di promesse, come ad esempio, dopo Caporetto, lo slogan “ la terra ai contadini”. Questi soldati tornano e iniziano ad occupare le terre al sud, ma i baroni non ci stanno e iniziano scontri con la forza pubblica che a volte spara ai contadini. Sono in fermento anche i braccianti della Pianura Padana, cioè un proletariato rurale dove si tratta di lavoro salariato agricolo, quindi c’è uno scontro di classe di tipo moderno e non come al sud. I braccianti sono in lotta con i proprietari e durante il biennio rosso strappano alcune concessioni come “l’imponibile di manodopera”, cioè le organizzazioni dei braccianti decidevano terreno per terreno quante persone dovevano essere impiegate e con che frequenza e questo i proprietari lo vivono come una sconfitta rispetto al proprio status. È in fermento anche l’Italia della mezzadria, dove al mezzadro gli si viene assegnato una parte di terreno da parte del grande proprietario, la coltiva e poi si dividono i proventi e il raccolto, che nel dopoguerra chiedono migliori condizioni di vita. Infine ci sono le grandi lotte operarie soprattutto nei centri del triangolo industriale Milano-Torino- Genova, dove si arriva all’occupazioni delle fabbriche. C’è un grande fermento e preoccupazione perché c’è comunque il messaggio rivoluzionario che viene dalla Russia, il partito socialista è su posizioni intransigenti quindi circola lo slogan “dobbiamo fare come in Russia”, questo spaventa perché dietro le conquiste sui salari che vengono ottenuti in questo periodo c’è lo spettro che il movimento operaio possa cercare un colpo rivoluzionario e quindi si crea una forte polarizzazione con tutta una parte di società che è spaventatissima da questi sviluppi, in particolare buona parte del ceto medio. Ciò comporta in Italia che le diverse classi sociali cominciano a provare odio, il paese si l’insegnamento della dottrina cattolica fin dal ciclo primario, in cui viene riconosciuta la centralità nella formazione religiosa dei bambini; e l’introduzione alla fine di ogni ciclo di istruzione di un esame di stato che vale sia per le scuole pubbliche che private. Il partito popolare viene tenuto sotto controllo in questo periodo e quindi tutte le forze che nel partito popolare vorrebbero contrastare Mussolini vengono messe da parte. Il partito popolare finché esiste viene vincolato ad un’alleanza con il governo Mussolini e l’aspetto più evidente è l’allontanamento del suo fondatore, don Luigi Sturzo, che non accetta questa deriva e rimane legato a una difesa intransigente dell’istituzione liberale. Ad un certo punto il fascismo si muove per consolidare sempre di più il suo potere e un obiettivo primario è quello di mettere sotto controllo il Parlamento cosicché il suo governo sia più stabile. Per questo viene fatta una riforma elettorale che porta il nome di Acerbo che prevedeva che la lista che avesse ottenuto la maggioranza relativa, purché avesse avuto più del 25%, si sarebbe vista assegnare i 2/3 dei seggi. Quando si va a votare nel 1924 con questa legge, vengono fatte queste liste formate non solo da fascisti che a causa degli imbrogli ed intimidazioni ottiene un grande successo. La marcia su Roma non pone fine allo squadrismo, ma tra il 22-23-24 continuano le azioni violente, ma anzi il fascismo dalle campagne tende ad entrare nelle città. La differenza dopo la marcia su Roma è che ancor di più lo squadrismo e le violenze sono tollerate dai prefetti e dalle pubbliche istituzioni. Queste violenze riguardano anche la campagna elettorale e le elezioni si concludono con una grande vittoria della lista fascista che ottiene la maggioranza assoluta in cui i ¾ dei seggi sono controllati da Mussolini. Quando si riunisce questo Parlamento addomesticato, il socialista Giacomo Matteotti pronuncia un discorso di condanna a Mussolini e ai suoi metodi dicendo apertamente che queste elezioni non sono valide e si deve rivotare. Circa 10 giorni dopo viene rapito sul Lungo Tevere da una banda fascista, prelevato da un’automobile, accoltellato e sarà poi ritrovato il suo corpo nel bosco di una periferia di Roma nel corso dell’estate del 1924. Scoppia la crisi legata al delitto Matteotti e Mussolini è costretto a fare un passo indietro abbandonando la guida del ministero dell’interno. Partono delle indagini ed è chiaro fin da subito che la responsabilità del delitto proviene da ambienti fascisti anche se non si riuscirà mai a provare un coinvolgimento di alti dirigenti e di Mussolini. Il fascismo però è sotto accusa e a quel punto l’opposizione cerca di determinare una caduta del governo abbandonando il Parlamento, la cosiddetta Secessione Aventiniana (viene ricordato l’Aventino dal tempo delle lotte tra patrizi e plebei dell’antica Roma) dove: i partiti di opposizione si riuniscono in sedi separate rispetto a Montecitorio, non riconosco più il Parlamento uscito dalle elezioni e cercano di fare pressione sul re Vittorio Emanuele III affinché ritiri la fiducia a Mussolini. Le opposizioni però di più non riescono a fare anche perché sono molto divisi al loro interno e non riescono ad andare al di là di questo appello generico indirizzato verso il sovrano. Passano però le settimane, si arriva all’autunno quando il periodo più infuocato viene superato e Mussolini capisce che l’appoggio del sovrano non gli è venuto meno, passa al contrattacco e sfrutta la crisi per consolidare ulteriormente il suo potere. Il 3 gennaio 1925 si presenta davanti al Parlamento, pronuncia un discorso in cui sfida i suoi nemici apertamente e da qui si ha l’inizio del processo di costruzione del Regime vero e proprio, ovvero da un governo forte con tratti autoritari si passa ad un vero Regime dittatoriale che viene costruito dal 1925 al 1928 e in particolare tra 25 e 26 quando vengono emanate le Leggi Fascistissime. C’è lo scioglimento di tutti i partiti politici ad eccezione del partito nazionale fascista, la decadenza dei parlamentari che avevano aderito alla Secessione dell’Aventino, tutta l’informazione viene fascistizzata, viene approvata una nuova legislazione che porta la firma del giurista nazionalista Alfredo Rocco, viene rafforzato il ruolo del capo del governo, viene fatta una riforma amministrativa locale per cui non c’è più le elezione dei consigli comunali ma viene nominato un Podestà, viene istituito il tribunale speciale per la sicurezza dello stato formato da militari e pensato per punire in modo severissimo qualsiasi forma di opposizione, viene reintrodotta la pena di morta, il Gran Consiglio del fascismo viene costituzionalizzato, vengono proibite tutte le attività sindacali ad eccezione di quelle del sindacato fascista, c’è il patto di palazzo Vidoni tra industriali e sindacato fascista in cui gli imprenditori in cambio della pace e del pieno diritto di proprietà che gli viene riconosciuto e restaurato si impegnato da parte loro ad ascoltare le istanza del sindacato fascista. Si entra dunque in quello che sarà chiamato il Regime, che è un regime a partito unico che esce completamente da qualsiasi concezione liberale. Gli avversari di Mussolini, come il liberale Amendola, inizieranno a definire il progetto di Mussolini come totalismo , cioè di creazione di un potere totale che non tollera nessuna opposizione . A Mussolini questa definizione piace molto e la rovescia in positivo, la fa sua del fascismo come regime totale e più avanti il regime fascista sarà inserito da alcuni pensatori nella categoria del totalitarismo. Su questo c’è tutto un dibattito perché il totalitarismo tende a mettere insieme situazioni nazionali e partiti e programmi molto diversi tra loro, nella categoria viene inserita la Germania nazista, la Russia di Stalin e la stessa Italia fascista. Molti storici hanno avuto perplessità non solo sull’uso della categoria di totalitarismo ma anche sull’inserimento dell’Italia in questa categoria, anche perché questo potere di Mussolino è totale fino ad un certo punto: la chiesa conserva il suo potere, Mussolini deve fare tutta una serie di patti con gli agrari e industriali, quindi il suo potere è limitato anche dalle forze che lo sostengono, e poi il fatto che l’Italia rimane un regno guidato da casa Savoia e Vittorio Emanuele III rimane capo dello stato, lo statuto Albertino rimane in vigore. Di fatto sarà proprio il re nel 1943 a congedare Mussolini; quindi, in Italia avviene ciò che in Germania non può avvenire, perché Hitler è un capo assoluto, il Führer, capo dello stato e nessuno lo può cacciare. Quindi gli storici definiscono il caso italiano come un totalitarismo imperfetto. L’edificio del Regime ha il suo coronamento l’11 febbraio del 1929 con la firma dei Patti Lateranensi. I Patti Lateranensi sono un momento storico che sanciscono gli accordi tra lo stato italiano e la Santa Sede. Sono accordi che chiudono la cosiddetta “questione romana”: il Papa non aveva accettato la perdita del potere temporale al tempo della breccia di Porta Pia, si era chiuso in Vaticano, aveva condannato l’atto dei Savoia e non aveva riconosciuto il nuovo regno. All’inizio aveva addirittura imposto ai cattolici di non partecipare alla vita politica e non riconoscere la nuova autorità del nuovo regno. Questo era un potere molto grande perché in un paese cattolico come l’Italia, un nuovo stato che aveva l’esigenza di legittimarsi davanti alla popolazione, non avere l’appoggio della chiesa, questo era uno dei grandi fatti che avevano ostacolato il consolidamento dello stato nazionale e il processo di nazionalizzazione delle masse. Nel tempo però, anche se non era stato trovato un accordo ufficiale, la chiesa si era piano piano inserita e aveva iniziato a partecipare alla vita civile, sociale e politica del nuovo stato fino a quando nel 1929 si era arrivati a questa firma. I Patti Lateranensi sono divisibili in 3 componenti: ♦ Un trattato internazionale in cui il Regno d’Italia riconosceva lo stato di Città del Vaticano e viceversa. Questo è importante perché era un riconoscimento diplomatico che consentiva alla Santa Sede di partecipare alla diplomazia internazionale, di avere degli ambasciatori accreditati, a ricevere le ambasciate di altri paesi, a far parte della Società delle Nazione e poi nelle Nazioni Unite, quindi consentiva al papa di fare politica a livello mondiale inserendosi con pieno titolo in tutte le trattative e questioni. Il Papa dunque riprendeva una dimensione temporale completamente legittimata del suo potere; ♦ La convenzione finanziaria, cioè l’indennizzo che lo stato italiano riconosceva alla chiesa e al papa per la perdita del potere temporale; ♦ Il concordato, cioè lo strumento giuridico e l’accordo che fissa la condizione dell’esercizio della fede cattolica in un determinato paese. Questo concordato andava nella direzione della riforma Gentile, ovvero di ampio riconoscimento dell’importanza della chiesa nella società italiana che comporta una serie di misure come la validità civile del matrimonio religioso, l’esenzione dei sacerdoti dal servizio militare, l’importanza rafforzata della dottrina della religione in tutti i cicli dell’insegnamento. In un regime definito totalitario, la chiesa era l’unica forza a cui veniva riconosciuto un’autonomia nell’associazionismo e quindi rimane tutta l’azione cattolica. La chiesa durante il fascismo è l’unica forza alternativa al regime nella società. La Rivoluzione di ottobre ☺ A seguito della rivoluzione di febbraio del ‘17, che possiamo definire borghese, dove lo zar viene cacciato ed è costretto ad abdicare e la nascita dei soviet, segue la rivoluzione di ottobre con la presa del potere da parte dei bolscevichi di Lenin, fase che possiamo definire comunista. Lenin arriva in Russia, dopo la rivoluzione di febbraio, dalla Svizzera perché era in esilio e rende note le cosiddette Tesi di aprile che portano la sua firma, che lanciano lo slogan “tutto il potere ai soviet”. La strategia di Lenin era che si debba partire dalla Russia, che è la potenza più fragile che sta crollando, per accendere una rivoluzione europea, poiché la guerra ha creato le condizioni storiche per una rivoluzione globale. Lenin pensa addirittura a un’alleanza tra le lotte anticoloniali e le lotte della classe operai in Europa per rovesciare l’imperialismo e capitalismo su scala globale. Il suo obietto è quindi prendere il potere in Russia e fare della Russia l’esempio che dovrà scuotere la classe operai degli altri paesi europei, in particolare in Germania. Per mantenersi al potere Lenin accetta anche dalla Germania delle condizioni di pace durissime: nella primavera del ’18 la nuova Russia bolscevica firma il trattato di Brest-Litovsk con la Germania in cui la Russia rinuncia a tutti i suoi territori europei non russi, tra cui l’Ucraina. Con questo trattato si rinuncia a circa ¼ della parte europea del vecchio impero zarista, perché l’obiettivo di Lenin è quello di guadagnare tempo, rimanere al potere e accendere la fiamma rivoluzionaria. Altra decisione cruciale che prende Lenin tra il ’17-18 è quella di non rispettare l’Assemblea costituente: il governo provvisorio, nella sua dialettica con i soviet, si era impegnato a indire le elezioni per la formazione di questa Assemblea costituente che avrebbe dovuto scrivere le regole della nuova Russia e fare la riforma agraria. Quando l’Assemblea costituente si riunisce per la prima volta, Lenin la fa sciogliere perché la rivoluzione è andata al di là di quelle che sono le normali istituzioni borghesi, si è in una fase rivoluzionaria più avanzata e di fatto l’Assemblea non serve più ed è un ostacolo al processo rivoluzionario. Alcuni storici hanno visto in questo momento la scelta cruciale verso l’autoritarismo e verso un sistema a partito unico, cioè il momento in cui Lenin decide di staccarsi completamente da quella che è la tradizione rivoluzionaria democratica europea in favore di un sistema che sarà monopartitico. Lo scioglimento accomuna tutti i comunisti in Russia e fuori dalla Russia è la fede nel fatto che con la guerra mondiale si è aperta l’età storica di passaggio dal capitalismo al socialismo, è iniziata la crisi finale del capitalismo e questa è la scommessa storica di tutti il movimento comunista, cioè che la conquista del potere in Russia è l’inizio della conquista del potere globale da parte del socialismo. Lenin infatti scrive il libro “L’imperialismo, fase suprema del capitalismo”. Nel momento in cui decade la salute di Lenin, che inizia a sentirsi male nel ’22 e morirà nel ’24, emerge la leadership di Stalin. Stalin nel 1922 viene nominato segretario del partito, che all’epoca non era ritenuta tanto importante, ma in realtà in quel sistema militarizzato a partito unico essere segretario del partito si rivelerà un’arma formidabile nelle mani di Stalin, che proprio guidando il partito riuscirà a fare fuori tutti gli altri grandi capi. C’è prima il grande scontro con Trotskij che viene sconfitto, poi un secondo scontro con la triade che si forma Trotskij-Kamenev-Zinoviev che cercano di fermare il suo potere ma vengono sconfitti e allontanati dal partito, e infine l’abbandono dell’alleanza con Bucharin (Bucaarin) che aveva utilizzato alla fine degli anni ’20. Tra ’22 e ’28-29, Stalin dalla posizione di dirigente autorevole del partito bolscevico nel giro di alcuni anni diventa il capo supremo, leader incontrastato, diventa la stessa incarnazione del movimento comunista in Russia e nel mondo e inizia negli anni ’30 la formazione di quel sistema personale che passerà alla storia come stalinismo che arriverà fino alla morte di Stalin nel 1953. La società americana, la crisi del ’29 e la Grande Depressione Lo scontro tra Stalin e Trotskij è sì uno scontro di potere, ma anche uno scontro effettivo sulla linea da tenere perché Trotskij è un critico della NEP e degli effetti che sta producendo. Secondo Trotskij la NEP sta portando al ritorno dell’influenza della borghesia, del pensiero borghese, al ritorno della vecchia Russia tradizionale che allontana la prospettiva del socialismo, poiché la NEP è una sorta di resa di venire a patti con la vecchia Russia contadina; in più denuncia il burocratismo, cioè il fatto che il partito sta diventando una macchina sempre più complicata che accentra sempre più poteri a discapito però della vera missione e vocazione rivoluzionaria che il partito dovrebbe coltivale. La soluzione che indica Trotskij è quella di allontanarsi dalla NEP il più presto possibile e poi di rilanciare la missione internazionale rivoluzionaria della Russia, ovvero che la Russia non può chiudersi nei suoi confini ma deve riprendere a pieno ritmo l’attività rivoluzionaria del COMINTER in Europa e fuori d’Europa. La linea di Trotskij verrà definita come “la linea della rivoluzione permanente”. A questa linea si contrappone Stalin insieme ad altri dirigenti poiché Stalin ritiene irrealistico insistere sulla mobilitazione rivoluzionaria e sui tentativi rivoluzionari esterni perché bisogna prendere atto che la rivoluzione non è scoppiata nel resto d’Europa e che anzi nel resto d’Europa la situazione si sta stabilizzando e quindi bisogna concentrarsi sulle cose da fare in Unione Sovietica. L’Unione Sovietica, considerata la sua grandezza, è un’area in cui si può procedere autonomamente intanto all’edificazione del socialismo. Questa linea passa alla storia come “socialismo in un solo paese”. Stalin esce pienamente vincitore da questo scontro con Trotskij. Successivamente alcuni che avevano fiancheggiato Stalin contro Trotskij, dirigenti (come Kamenev e Zinoviev) del nucleo dirigente originario del partito bolscevico, si rendono conto che Stalin sta diventando un pericolo, sta centrando i poteri e ha delle tendenze autoritarie e allora si alleano con Trotskij tra il ’26 e ’27 per cercare di fermare Stalin. Stalin però rivince nettamente lo scontro nel partito e inizia a usare dei metodi molto duri: gli oppositori cominciano ad essere considerati dei veri e propri traditori e cacciati dai suoi incarichi. Trotskij viene addirittura esiliato e poi costretto a fuggire in Francia, fino a quando non emigrerà in Messico e verrà ucciso da un sicario mandato da Stalin nel 1940. Rimane a questo punto l’alleanza con un solo dei dirigenti della vecchia guardia che è Bucharin. Bucharin nel corso degli anni ’20 mantiene un’alleanza con Stalin in nome della NEP, ovvero era convinto che il socialismo andasse costruito gradualmente, voleva mantenere un’alleanza tra operai e contadini e credeva che il socialismo si potesse costruire anche a passo di tartaruga. Tra ’28 e ’29 Stalin, una volta vinte queste battaglie all’interno del partito, decide di abbandonare bruscamente la NEP e alla fine degli anni ’20 viene lanciata nel paese una campagna di COLLETTIVIZZAZIONE integrale delle terre con provvedimento molto duri verso i contadini che vi si oppongono. Parallelamente a questa campagna di collettivizzazione viene lanciata l’industrializzazione a tappe forzate con l’obiettivo di fare in poco tempo della Russia un grande paese industrializzato e una grande potenza militare, drenando risorse dall’agricoltura e concentrandole verso l’industria: in particolare l’industria pesante e quella degli armamenti. C’è un famoso discorso di Stalin del 1931 in cui dice che devono fare in 10 anni quello che gli altri paesi hanno fatto in 100 e più anni, devono uscire dall’arretratezza e arrivare alla modernità perché presto potrebbero arrivare le aggressioni da parte del campo capitalista, ci potrebbe essere una nuova grande guerra e come nel 1914 il capitalismo e l’imperialismo potrebbe sfogare le sue contraddizioni in una grande guerra e se ci sarà una grande guerra, uno degli obiettivi del capitalismo sarò quello di schiacciare l’U.R.S.S in quanto unico stato socialista e minaccia del sistema capitalista. Discorso profetico. Mentre gli anni ’20 sono gli anni della NEP, gli anni ’30 vedono un cambiamento drastico in Unione Sovietica con queste tappe forzate e un’economia di comando pianificata dall’alto, infatti si parla di “rivoluzione dall’alto”, che cerca di edificare una grande potenza industriale e militare. Di fatto riuscendovi perché poi l’Unione Sovietica diventerà una super potenza pagando però dei costi umani e sociali elevatissimi. ֍Gli Stati Uniti d’America nel corso del 900 diventano il cuore del capitalismo mondiale e la principale economia, da ciò il cosiddetto “secolo americano”. Negli Stati Uniti prende corpo, per la prima volta, un modello che verrà esportato nel mondo, cioè quello della società dei consumi di massa e del benessere. L’America è un grande laboratorio della modernità che, tra guerra e dopoguerra, conosce un grande slancio economico, infatti si parlerà dei “ruggenti anni ‘20”, una società in grande crescita dove sembra che non ci siano limiti alla creazione di ricchezza. Già nel corso degli anni ’20 in America cominciano a circolare circa 25milioni di autovetture, un’automobile ogni 5 abitanti e si inizia a creare anche il mito americano. C’è una notevole estensione del benessere: in molte case del ceto medio iniziano a entrare gli elettrodomestici. L’America diventa il paese battistrada dello sviluppo capitalistico mondiale sia dal punto di vista produttivo che da un punto di vista di organizzazione economica e sociale, cioè quello che accade nelle fabbriche, il modo di produrre ha delle conseguenze sulla società, mentalità e cultura. È un sistema che sì genera questo benessere ma dove ci sono ancora imponenti masse di esclusi, quindi c’è una parte dell’America che rimane indietro: come per il problema della discriminazione degli afroamericani e dei migranti dove c’è tutta quindi una fascia di esclusi verso i quali spesso ci sono sentimenti di intolleranza e razzismo (WASP). È un’America che nel segno di questa intolleranza e superbia tende a chiudersi, a pensare di essere autosufficiente e a voltare le spalle all’Europa. È un’America che diventa battistrada del sistema capitalista e dell’occidente, ma non si sente la responsabilità di guidare l’occidente, infatti prevale l’isolazionismo: [dopo la conferenza di Versailles Willson viene pugnalato alla schiena dal senato, la stessa opinione pubblica americana gli volta le spalle, cade in disgrazia ed esce dalla scena politica. Questo allontanamento da Versailles, questo rifiuto di ratificare il trattato, questo rifiuto di entrare nella Società delle Nazione ha dietro l’idea che è stato un errore entrare nella guerra, che tutto quello che viene dell’Europa rischia di essere un qualcosa che contamina e pregiudica il sistema americano. Di fatto nell’immediato dopoguerra tra il ’19 e ’20 si verifica negli Stati Uniti la cosiddetta “red scare” (psicosi rossa) per cui tutto quello che viene da fuori viene sospettato di sovversione, destabilizzazione e si utilizza il pugno di ferro con la repressione molto dura di alcune organizzazioni, di scioperi, una vera e propria controffensiva a base padronale contro tutte le forze percepite come potenzialmente rivoluzionarie (come il comunismo)]. La chiusura americana la vediamo anche nel campo dell’immigrazione che, anche per timore di una possibile diffusione di idee rivoluzionarie, chiude i flussi e si ferma quella che era stata la grande immigrazione 8/primo900esca. Questo è anche un problema per l’Europa che con le sue crisi e difficoltà aveva anche trovato sfogo nell’immigrazione verso l’America e questa valvola viene chiusa dagli americani nel corso degli anni ’20 e vengono seguite anche delle politiche protezionistiche tese a chiudere il mercato americano all’industria europea. È un sistema che non è consapevole della sua fragilità, questo perché è il primo esperimento di società consumistica di massa e non c’è consapevolezza nella fragilità di determinati equilibri. Questa scarsa consapevolezza si infrange con quello che accade nel 1929. Nel 1929 i ruggenti anni ’20 si chiudono traumaticamente con lo scoppio della borsa di Wall Street, che aveva affiancato la borsa di Londra come principale centro finanziario mondiale. Il sistema è venuto accumulando delle criticità che non sono state fronteggiate adeguatamente. È rimasta una euforia borsistica, l’America è il primo paese dove anche il piccolo risparmiatore investe in borsa, quindi l’investimento in borsa come fatto di massa. Per tutti gli anni ’20, per chi poteva investire un po’, la borsa aveva sempre dato dei proventi, quindi investire in borsa era una cosa quasi sicura. Ad un certo punto l’economia comincia ad avere una flessione e si verifica una crisi di sovrapproduzione, cioè il mercato non è in grado di assorbire tutti i quei beni di consumo durevoli, la capacità produttiva è cresciuta ma non cresce la capacità del mercato di assorbire questi beni e inizia a esserci una crisi di sovrapproduzione e il calo dei prezzi. Diminuiscono anche i guadagni delle imprese e il livello dei salari che possono pagare a loro operari, ma di questo non c’è immediatamente consapevolezza nel mercato borsistico: le persone continuano a comprare azioni di aziende che sono in difficoltà e continua a pagarle sempre di più e si rilancia al rialzo. Finché nell’ autunno del 1929 ci si accorge che il prezzo medio delle azioni è andato molto al di sopra di quello che è il loro valore reale e parte una corsa a vendere. Ma se tutti vogliono vendere, le azioni alla fine diventano carta straccia e questo provoca una crisi finanziaria gravissima delle aziende che erano quotate in borsa e anche delle banche che erano collegate a questo sistema. Si scopre che c’è stata un’enorme bolla speculativa e soprattutto questa crisi, dall’economia di carta, dalla borsa si trasferisce all’economia reale che genera fallimenti di imprese, di banche, risparmiatori che perdono tutti i soldi, aziende che falliscono, operai disoccupati e che a settimane abbiano lavorato”. Alcuni esponenti del brain trust, cioè la concentrazione di cervelli che lavorava intorno a Roosevelt conosce l’elaborazione di economisti come Keynes e si ispira a loro. A partire del New Deal e dalla crisi degli anni ’30 si crea un grande ciclo nel mondo occidentale di influenza e rilevanza del pensiero keynesiano che ispira l’azione di governo (sia di destra che di sinistra) fino agli anni ’70 e si parla di un matrimonio che si realizza tra Adam Smith e John Maynard Keynes ovvero tra le ragioni del libero mercato e le ragioni della coesione sociale e della difesa del lavoro. Negli anni ’30 si vede che il capitalismo sta cambiando e si parlerà di capitalismo diretto e organizzato. I bolscevichi avevano parlato di una crisi finale del capitalismo ma in realtà il capitalismo dimostra la sua capacità di rinnovarsi. Ogni paese cerca di uscire dalla crisi con le proprie forze e tutti i tentativi che vengono fatti di dare una risposta concertata e di trovare degli accordi economici falliscono miseramente. Nel 1933 si riunisce una grande conferenza monetaria a Londra per cercare di trovare un accordo tra le politiche monetarie, tra le strategie dei diversi paesi ma questa conferenza fallisce totalmente, anche per responsabilità americana perché Roosevelt decide di svalutare il dollaro, di fare per conto proprio. Iniziano dunque le guerre commerciali, le svalutazioni competitive, si cerca di proteggere la propria industria a discapito degli altri paesi: il livello di cooperazione mondiale si abbassa drasticamente. Gli storici dell’economia parlano di questa fase, del periodo tra le due guerre come un periodo di deglobalizzazione. Possiamo parlare di deglobalizzazione ma il mondo è diventato interdipendente e quindi in un mondo che è diventato interdipendente rifiutare la via della cooperazione può avere delle conseguenze gravi, cosa che invece l’interdipendenza dovrebbe imporvi. È dunque un’età di frammentazione economica che diventa poi frammentazione politica. ♪La risposta della Gran Bretagna è quella di uscire dalla crisi facendo leva sulle proprie risorse imperiali, ovvero chiudendosi nei confini imperiali. Ci sono gli accordi di Ottawa nel 1932 che tendono a creare una grande area della sterlina e creano un mercato isolato e preferenziale tra i diversi paesi di quest’area. Per fare questi accordi, la Gran Bretagna sfrutta un organismo che ha creato negli anni precedenti che è il Commonwealth. Il Commonwealth è un grande mercato dei paesi legati alla Gran Bretagna e all’impero britannico, in particolare il centro dell’impero è la Gran Bretagna e i cosiddetti DOMINIONS, ovvero le ex colonie di popolamento britannico che hanno ormai acquisito un’ampia autonomia (come Canada, Sud Africa, l’Australia). Si creano delle barriere doganali per proteggere questo mercato imperiale rispetto alle industrie straniere. Questo da una parte rivela la perdurante forza della Gran Bretagna, ma al tempo stesso l’inizio del declino perché di fatto è una rinuncia definitiva della Gran Bretagna a svolgere quel ruolo di equilibrio mondiale che aveva svolto nell’800. Il 1931 è l’anno in cui la crisi irrompe in Gran Bretagna e il legame tra la sterlina e l’oro viene interrotto. Anche l’impero francese fa una cosa simile: ci sono degli accordi e viene costruita un’area del franco. I paesi scandinavi in nord Europa reagiscono costruendo il modello del Welfare State, quindi un particolare tipo di intervento dello stato che diventa un modello organico di assistenza ai cittadini. Tutte queste risposte sono democratiche, nell’ambito anche di un mantenimento della democrazia e delle istituzioni liberali, anzi in certi casi sono un tentativo di rilanciare la democrazia (New Deal e il Welfare state). Gli anni ’30 però sono anche anni in cui vengono date delle risposte NON democratiche, ma autoritarie e in alcuni casi totalitarie alla crisi, cioè questa crisi favorisce una deriva autoritaria e militarista in tutta una serie di situazioni. In tutti i paesi dell’Europa orientale c’è un’ulteriore stretta autoritaria, anche nel sud del mondo ci sono casi di questo tipo. Per esempio, il Brasile è uno dei paesi che più risente della crisi perché la crisi vuol dire calo drammatico dei prezzi sui mercati mondiali di alcune materie prime, beni e prodotti (come il caffè). L’economia brasiliana dipendeva strettamente dai centri di potere mondiale economico perché doveva collocare questi beni sui mercati mondiali e il prezzo di questi beni si decideva nelle grandi piazze d’affari del nord del mondo e non in Brasile. La risposta che viene data a questa grande crisi nel corso degli anni ’30 è una risposta autoritaria e si inaugura la stagione in cui il grande leader nazionale diventa Vargas che costituisce il cosiddetto “estado novo” ovvero uno stato che si ispira apertamente a modelli europei come l’Italia fascista, quindi la crisi porta ad una stretta autoritaria nel paese. In un quadro generale di frammentazione dovute alla crisi vi sono due risposte: democratiche e autoritarie. Le risposte autoritarie vedono nella spesa per gli armamenti, in una politica di espansionismo militare una via di uscita alle contraddizioni create dalla crisi economica e quindi la marcia verso la guerra. I tre paesi che giocano un ruolo forte in questo quadro di frammentazione nel favorire poi la guerra e nel cercare attraverso la guerra la grandezza militare una via alle contraddizioni e alle difficoltà creata dalla crisi sono: Italia, Giappone e Germania. Il nazismo e le origini della Seconda guerra mondiale Ci sono 3 paesi che in particolare negli anni ’30 che danno una risposta nel senso della guerra e dell’espansionismo e sono poi i 3 paesi che saranno alleati nella Seconda guerra mondiale: Italia, Germania e Giappone, i quali formeranno il patto Tripartito e in precedenza formeranno il patto ANTI-COMINTERN, ovvero un’alleanza anticomunista internazionale. ►L’ Italia alla crisi risponde con un intervento straordinario e massiccio dello stato. All’inizio degli anni ’30 si prospettano tutta una serie di fallimenti di imprese e bancari. Lo stato entra direttamente nel salvataggio di questi gruppi e viene creato l’IMI (Istituto Mobiliare Italiano) e IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale). Con questi due enti lo stato diventa banchiere e diventa anche direttamente imprenditore (questa è una versione più spinta del New Deal perché gli industriali conservano la piena proprietà dei loro stabilimenti, mentre qui è lo stato che si fa imprenditore, rileva questi gruppi che diventano imprese pubbliche). Fino agli anni ’90 per tutto il resto del 900, l’Italia sarà il paese dell’occidente industriale con la maggiore presenza dello stato nell’economia. Lo stato inoltre cerca di farsi promotore di grandi lavori pubblici e di creazione di posti di lavoro attraverso delle opere pubbliche, qui in particolare si ricorda una forte attività edilizia nelle città e il piano delle bonifiche. Le bonifiche sono legate anche ad una precisa scelta sociale del regime: il fascismo, soprattutto al sud, decide di mettersi d’accordo con i grandi baroni, latifondisti e proprietari terrieri e fa appunto una politica di piena conservazione degli equilibri sociali ed economici. Quindi il sud viene praticamente congelato durante il fascismo con l’aggravante che la popolazione meridionale non ha più lo sfogo dell’emigrazione (perché sono stati chiusi i rubinetti, in particolare dall’America). In alternativa a una riforma della terra, un’assegnazione di terre, si pensa di ricavare nuove terre e da ciò il piano delle bonifiche. Il regime trova nella guerra una risposta ai problemi e alle contraddizioni generati dalla crisi e in particolare nel 1935 la decisione di attaccare l’Etiopia e quindi creare l’impero in Africa orientale. L’Etiopia era dall’800 uno degli obiettivi del colonialismo italiano che però nel 1896, con la battaglia di Adua, aveva subito una durissima sconfitta da parte delle truppe etiopiche, quindi, era stata una pagina nera del colonialismo italiano. Il fascismo aveva l’obiettivo e l’ambizione di dimostrare che dove la vecchia Italia liberale non era riuscita a raggiungere determinati obiettivi, vi riusciva invece il regime fascista. Quindi volevano conquistare Adua e vendicare l’impero, con la promessa che questa volta gli italiani non sarebbero dovuti andare in altri paesi a cercare lavoro, ma sarebbero stati dei colonizzatori delle terre conquistate in Africa. L’economia italiana intorno al ’35 è un’economia molto condizionata dallo sforzo militare. ◘Un altro caso di risposta autoritaria è quello giapponese. Il Giappone era uscito tra i vincitori della grande guerra e quindi aveva uno status internazionale riconosciuto, ma al tempo stesso molte ambizioni giapponesi erano state frustrate. Alla conferenza navale di Washington, ad esempio, alla flotta giapponese erano stati imposti dei limiti che la poneva su livelli decisamente inferiori rispetto alla flotta inglese e americana; quindi, dalla parte occidentale c’era un tentativo di confinare il Giappone a un ruolo minore e impedire che assurgesse a uno status pieno di potenza. Questo aveva creato un risentimento in Giappone, ma non aveva impedito che negli ’20 ci fosse una fioritura liberale della società. Gli anni ’20 in Giappone sono anni di crescita degli spazi di libertà, il paese si apre di più alle mode occidentali, c’è un movimento dei modern boys e modern girls che portano un modo di vestire più simile ai coetanei americani. Tutto cambia però con gli anni ’30 e l’anno chiave è il 1931 perché vi è un colpo di mano dell’esercito di stanza a Manciuria (regione a nord della Cina dove i giapponesi avevano forti interessi) e avevano l’ambizione oltre di controllare nella Manciuria di penetrare anche in Cina, che era un colosso in crisi. I militari di istanza in Manciuria si oppongono rispetto al governo di Tokyo e proclamano uno stato fantoccio, il Manciukuò, che di fatto è nelle mani del Giappone. Alla testa del Manciukuò pongono l’ultimo imperatore cinese Pu Yi, l’imperatore bambino che era stato detronizzato al tempo della rivoluzione cinese del 1911 e che era nelle mani dei giapponesi. Dunque i militari si impongono al governo civili, si giunge a questa decisione nel Manciukuò e da quel momento sempre più a Tokyo il potere è nelle mani dei militari finché poi nella seconda metà degli anni ’30 ci sarà un governo pienamente militare e questo poi sfocia nel 1937 a un’aggressione su larga scala contro la Cina. Dal ’37 il Giappone lancia un attacco che lo porterà ad occupare gran parte del territorio cinese e scatena una guerra le cui stime parlano di circa 20 milioni di morti. L’obiettivo del Giappone è quello di approfittare delle difficoltà occidentali per costruire un grande impero in Asia e l’obiettivo in prospettiva è quello di sostituirsi agli imperi europei, ovvero costruire un impero giapponese centrato sulla Cina con poi l’ulteriore possibilità di espandersi ai danni dei territori coloniali europei. Occasione che il Giappone avrà durante la Seconda guerra mondiale. Di fatto la risposta del Giappone alla crisi è nel segno dell’espansionismo e della guerra. ×Il caso più pesante è quello della Germania, perché come accaduto durante la Prima guerra mondiale, la Germania lancia il suo assalto al potere mondiale. Il dramma che avviene è il crollo della Repubblica di Weimar. Come in Giappone, la Germania degli anni ’20, con tutte le sue difficoltà, aveva conosciuto una stagione di intensa fioritura democratica e di grande importanza intellettuale poiché la Repubblica di Weimar era stato anticrisi che troviamo anche nelle teorie di Keynes, ovvero: lavori pubblici, interventi straordinari come il grande piano per la costruzione di una rete autostradale e le olimpiadi di Berlino del 1936 . Importante è il riarmo dal ‘35 : l’industria tedesca viene rimessa all’opera usando l’industria degli armamenti come grande volano per far girare tutta l’economia. Anche i tedeschi, quindi, non hanno più il dogma del pareggio del bilancio, ma combattono la crisi aumentando di molto la spesa pubblica. Un grosso vantaggio per la Germania, in questo momento, è che nel contesto della crisi conquistano tutti i mercati dell’Europa orientale, quindi, c’è una satellizzazione dell’Europa orientale alla Germania, mentre l’Europa orientale, fino a una certa data, era più legata a un’economia più occidentale. Tutto questo avvantaggia Hitler perché dal ’34-‘35 tutti gli indicatori economici migliorano, la sua ascesa coincide con il periodo più cupo della crisi. All’epoca Hitler venne percepito come il leader che aveva rimesso i tedeschi al lavoro e che con il riarmo e creando un grande esercito, stava ridando alla Germania anche un prestigio internazionale. Il fascismo che negli anni ‘20 era stato visto come una cosa italiana e un qualcosa che poteva affermarsi in paesi non troppo avanzati capitalisticamente, dopo il ’33 il fascismo vince nel paese più avanzato industrialmente d’Europa e quindi il fascismo non è solo un fatto italiano o mediterraneo, ma diventa un grande fatto europeo e c’è un’avanzata del fascismo un po’ in tutta Europa. ≡Negli anni ’30, contemporaneamente, si afferma lo stalinismo in U.R.S.S. cioè la dittatura di Stalin entra nella sua fase più organizzata e di più ferreo controllo sulla società sovietica. Si svolge in quel periodo, tra ’29 e ’32, il primo piano quinquennale (che in realtà viene accorciato perché ha conseguito i suoi obiettivi) e a quel punto all’interno del partito comunista sovietico viene avanzata la richiesta di allentare in qualche modo la morsa sul paese in ragione del fatto che gli obiettivi sono stati centrati e quindi impostare un nuovo piano meno incentrato sulle esigenze dell’industria pesante e dell’esercito e più orientato verso un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. In particolare, il portato di questa richiesta è un dirigente politico di nome Kirov che, in un congresso del partito comunista, nel segreto delle urne, prende anche più voti di Stalin. Questo è un segnale che arriva a Stalin di incoraggiamento a fare una politica meno dura. Poco dopo Kirov, leader dell’organizzazione del partito, a Leningrado viene ucciso in un attentato in circostanze ignote. Stalin utilizza l’assassinio di Kirov come occasione per un nuovo giro di vite interne, cioè non solo la politica sovietica non si rilassa ma il controllo dello stato e il grado di militarizzazione e di sacrificio imposto alla società aumenta ulteriormente. Si entra nell’età piena dello stalinismo in cui la macchina repressiva del partito (la polizia politica) attua una vera e propria strage a partire dai membri stessi del partito. Si entra nel “grande terrore” e tantissimi militari bolscevichi della prima ora (che aveva fatto le lotte nel ’17 e prima) con accuse completamente false viene eliminata o deportata (si crea la rete del gulag). Nel partito vengono messe le nuove forze completamente devote a Stalin, cioè tutti quelli che avevano conosciuto Lenin, che avevano memoria di quello che era accaduto e potevano criticare Stalin, vengono completamente eliminati. Questo crea un blocco granitico intorno a Stalin che diventa il capo assoluto dell’Unione Sovietica, del comunismo sovietico e mondiale, venerato come una sorte di dio in terra. Questo enorme potere e questi enormi sacrifici fatti vivere alla società sovietica, non sarebbero stati possibile solo con il terrore e la repressione, ma anche lo stalinismo è un sistema che si pone in modo ossessivo e continuato l’obiettivo di motivare la popolazione e fissare degli obiettivi e che nel segno della modernizzazione e dello sviluppo del paese riesce a ottenere una vasta mobilitazione popolare. L’impennata vertiginosa della produzione sovietica e la capacità dei russi degli anni ’30 di diventare di fatto una potenza industriale urbanizzando dal nulla intere zone del paese, è un qualcosa che si fa perché c’è un’attiva partecipazione. Un fenomeno che dà l’idea è lo stacanovismo, ovvero un movimento di lavoratori che si sviluppa nell’Unione Sovietica degli anni ’30: Stakanov è un minatore che in un giorno realizza un record di produzione enorme e viene celebrato come un eroe socialista del lavoro. ×In questo quadro di frammentazione e di crisi, è in particolare l’azione della Germania a innescare il processo che porta alla Seconda guerra mondiale. L’obiettivo di Hitler è rompere l’ordine di Versailles e rifare della Germania pienamente una grande potenza con un grande esercito e cercare di ottenere anche degli acquisti territoriali. Un primo tentativo avviene già nel 1934 in Austria: il congiungimento tra Austria e Germania era stata una richiesta fatta già ai tempi della conferenza di Versailles e veniva dai socialisti dove c’era la richiesta di mettere insieme tutti i tedeschi rispetto al principio di autodeterminazione di Wilson; adesso quest’obiettivo viene ripreso dai nazisti. L’Austria, nel frattempo, era diventato un paese autoritario, una dittatura satellite dell’Italia (a seguito della grande crisi), ma questa dittatura viene destabilizzata dai nazisti. C’è un partito nazista austriaco molto forte che nel ’34 cerca di fare un colpo di stato, viene assassinato il cancelliere austriaco, si cerca di far intervenire le truppe tedesche per annettere l’Austria con questo colpo di stato. Il colpo di stato però fallisce perché l’Italia manda l’esercito al Brennero ( in questa fase Mussolini si oppone alla politica di Hitler e non vuole trovarsi una Germania ingrandita né perdere il controllo sull’Austria), quindi le truppe italiane inducono Hitler a fermare i suoi seguaci a Vienna, il colpo di stato rientra e si mantiene l’equilibrio anche perché non era ancora partito il riarmo tedesco. Nel ’35 Hitler annuncia la fine della limitazione dell’esercito, viene ripristinato il servizio militare obbligatorio e ciò vuol dire che viene rotto il limite dei 100mila uomini e la Germania annuncia al mondo che si dirà un esercito di massa. Contemporaneamente viene annuncia la costituzione della Luftwaffe (l’aviazione militare). A quel punto le potenze depositarie dell’ordine di Versailles, ovvero l’Inghilterra, la Francia e l’Italia si riuniscono nella conferenza di Stresa nel ’35 e rilanciano il fronte unito di contenimento della Germania, ma in realtà questo fronte si sfascia nel giro di pochi mesi: Mussolini inizia la guerra in Etiopia pensando di avere dalla sua parte i paesi occidentali, ma Francia e Inghilterra, alla Società delle Nazioni, condannano la decisione italiana di invadere l’Etiopia (che era un paese membro della SdN), viene dichiarata l’Italia come paese aggressore e applicate le sanzioni economiche. Il fronte di Stresa dunque non rimane operativo, la Germania si inserisce in questi contrasti (che tra l’altro la Germania era già uscita nel ’34 dalla SdN). La Germania continua a commerciare con l’Italia, migliorano i rapporti tra Roma e Berlino e alla fine del ’36 si giunge alla firma dell’Asse Roma-Berlino. Le due dittature fasciste che nel ’34 erano state divise sul problema dell’Austria si mettono d’accordo e si salda un’alleanza tra Hitler e Mussolini che rimarrà in piedi fino alla morte di entrambi. Di mezzo tra la crisi delle sanzioni, l’aggressione all’Etiopia del ’35 e la firma dell’Asse Roma-Berlino del ’36, ci sono due fatti importante: nel maggio del ’36 c’è la vittoria italiana sull’Etiopia dove viene proclamato l’impero; nell’estate del ’36 scoppia la guerra civile spagnola. La guerra civile spagnola è una guerra che si internazionalizza ed è una sorta di prova generale della Seconda guerra mondiale. ҉_ La Spagna è un paese agitato da una crisi politica, sociale ed economica molto forte. All’inizio degli anni ’30 è stata proclamata la Repubblica, ma non si stabilizza mai perché c’è un grado di violenza politica e di scontro esasperato. Ci sono governi di sinistra e di destra che si alternano nel contesto di una lotta politica feroce, finché nel ’36 le elezioni in Spagna vengono vinte da un’alleanza di fronte popolare. Il fronte popolare era una larga alleanza fatta contro l’espansione del fascismo, idea lanciata nel 7° congresso dell’Internazionale comunista tenutosi nel 1935: entra l’U.R.S.S. nella Società delle Nazioni e si forma un’alleanza con le potenze occidentali per contenere la Germania. Da Mosca, si cerca di fare un’alleanza antifascista e antinazista: i partiti comunisti devono fare nei loro paesi una politica di larga alleanza con i socialisti, le forze borghese democratiche e conservatrici (disposte a battersi contro il fascismo). In tutta una serie di paesi, con la partecipazione dei comunisti, creano queste alleanze di fronte popolare. Il fronte popolare vince le elezioni in Francia e in Spagna nel 1936 . In Francia, a seguito della crisi e di una serie di scandali, nel 1934 le leghe di estrema destra avevano cercato di assaltare il parlamento a Parigi e l’assalto era stato respinto a fatica. Nel ’36 vince il fronte popolare in Spagna, quindi un governo di sinistra, ma in quella situazione esplosiva non si riesce a tenere insieme il paese e si arriva allo scoppio di una guerra civile che spacca il paese in due: la parte dell’esercito rimasta fedele alla Repubblica e al fronte popolare e altre zone del paese in mano ai militari ribelli. La crisi fin dal primo momento è una crisi internazionale, perché Francisco Franco (che diventerà il leader del fronte della destra) riesce a trasferire le sue truppe colonia dal Marocco in Spagna con l’aiuto dell’aviazione italiana. A sostegno dei militari ribelli vengono anche i tedeschi, quindi i militari che sono insorti contro il fronte popolare sono appoggiati dai paesi fascisti. L’Asse Roma-Berlino è un accordo firmato tra due paesi che stanno combattendo insieme in Spagna e si riconoscono un’assonanza ideologica e la guerra in Spagna viene da loro giustificata come una crociata contro il comunismo. Le forze della Repubblica sono appoggiate invece dall’Unione Sovietica, che favorisce la costituzione delle brigate internazionali. Francia e Inghilterra cercano di evitare il conflitto organizzando il comitato di non intervento, che si risolve in una farsa perché in questo comitato ci sono i sovietici, i tedeschi, gli italiani che però stanno intervenendo nel conflitto. Dalla guerra in Spagna, Hitler e Mussolini escono rafforzati nell’idea che potranno ottenere dei vantaggi territoriali, che potranno espandersi senza che le democrazie saranno in grado di opporsi ed effettivamente Hitler approfitta della situazione che si è creata in Spagna per agire. Nel 1938, mentre si sta combattendo in Spagna (la guerra si conclude nel ’39 con la vittoria dei franchisti), Hitler riesce ad annettere l’Austria e nell’autunno del ’38 c’è la crisi dei Sudeti: Hitler impone ai paesi occidentali di cedere una parte della Cecoslovacchia abitata dai tedeschi, la regione dei Sudeti, alla conferenza di Monaco. I paesi occidentali sperano che questa sia la soluzione e che Hitler sia stato accontentato, ma nella primavera del ’39 i carri armati tedeschi arrivano a Praga. A quel punto l’obiettivo successivo di Hitler è la Polonia e sulla crisi polacca scoppierà la Seconda guerra mondiale. La Seconda guerra mondiale La Cecoslovacchia finisce nel mirino di Hitler e la Gran Bretagna e la Francia cercano di negoziare con Hitler. In questo periodo in Inghilterra si segue la cosiddetta linea dell’ Mussolini è quella della guerra parallela: l’Italia fa la sua guerra al fianco della Germania cercando di perseguire in modo autonomo i suoi obiettivi, quali: il controllo dell’Africa settentrionale arrivando fino a Suez, in prospettiva lanciarsi verso i giacimenti petroliferi in Medioriente e poi diventare potenza egemone nel mediterraneo e in particolare nei Balcani (da qui l’aggressione alla Grecia nell’ottobre del 1940). Questo modello di guerra parallela fallirà completamente perché l’Italia in tutti i teatri in cui andrà a combattere si troverà in difficoltà e sarà costretta a chiedere l’aiuto dei tedeschi. Già nel ’41 si vede che l’Italia non è in grado di fare una sua guerra autonoma e diventa l’alleato più importante della Germania ma in una posizione subordinata. Nel settembre del 1940 nasce il patto Tripartito tra Italia, Germania e Giappone in cui rivendicano un comune impegno espansionista imperiale e indicano le sfere di influenza e controllo che ambiscono a detenere: la Germania dall’Atlantico al Baltico, l’Italia il mediterraneo, il Giappone in Asia orientale. Nell’estate del ’40 già si vede la determinazione degli inglesi a resistere, c’è la battaglia d’Inghilterra: l’attacco aereo lanciato dai tedeschi contro gli inglesi non riesce a piegare la resistenza di Londra, tramonta l’ipotesi di effettuare uno sbarco nelle isole britanniche. C’è da dire che la guerra contro l’Inghilterra non era quella che aveva pensato Hitler perché nella sua visione razzista della storia e dei popoli aveva sempre dato un giudizio positivo dell’Impero britannico, come vettore di affermazione della razza bianca e con una comune matrice germanica. L’Inghilterra resiste e la guerra continua e sempre più vengono sostenuti dagli Stati Uniti. Roosevelt inizia a individuare nei suoi disegni politici i paesi espansionisti militaristi come una minaccia per gli Stati Uniti e quindi indica l’esigenza che gli Stati Uniti sostengano il fronte democratico e in particolare viene ribadita la solidarietà con gli inglesi. Inizia anche una sorte di guerra non dichiarata nell’Atlantico tra i sottomarini tedeschi e i convogli che portano rifornimento alla Gran Bretagna. Nel ’41 c’è un duplice allargamento cruciale nella guerra: nel giugno del ’41 c’è l’attacco della Germania all’Unione Sovietica (l’operazione Barbarossa), quindi il patto Molotov-Ribbentrop viene stracciato dai tedeschi e Hitler lancia la guerra ad est; l’entrata in guerra degli Stati Uniti e l’apertura piena del fronte asiatico dopo l’attacco giapponese alla base di Pearl Harbor. Nel ’41 tra giugno e dicembre la guerra diventa definitivamente una guerra mondiale estesa pienamente all’Eurasia e all’Asia orientale. Nel lanciare l’operazione Barbarossa Hitler attribuisce alla Germania la visione storica di estirpare il comunismo e di estirpare la minaccia, a suo giudizio, rappresentata dagli ebrei. Nella propaganda nazista, l’Unione Sovietica era un paese comunista in mano a una classe dirigente ebraica, si parlava di congiura giudaico-bolscevica. Una volta abbattuta l’Unione sovietica, l’idea era quella di colonizzare quei territori, togliere le terre alla popolazione locare e creare una sorta di dominio tedesco pieno su quei territori e tenere gli slavi come sottoposti. L’esercito tedesco avanza rapidamente nel territorio sovietico, nel giro di poche settimane fanno milioni di prigionieri, occupano buona parte del territorio europeo dell’URSS, all’autunno del ’41 arrivano alle porte di Leningrado e di Mosca, sembra che la capitale sovietica debba cadere. Arriva l’inverno russo e i tedeschi sono costretti a fermarsi e a riposizionarsi più indietro, quindi appare chiaro che l’Unione Sovietica nonostante i colpi subiti non è crollata e la guerra lampo, che fino a quel momento era sembrata invincibile, contro il colosso russo non riesce a ottenere la caduta del nemico e quindi si ritorna alla guerra di posizione e logoramento. La guerra diventa guerra totale: la Germania inizia a mobilitare tutte le loro risorse, così come gli americani che entrano proprio mentre si è fermata l’offensiva tedesca e c’è l’attacco di Pearl Harbor. I giapponesi hanno compiuto alcuni passi che sono stati giudicati inaccettabili dagli americani, ad esempio, approfittando della difficoltà della Francia il Giappone si è impadronito dell’Indocina francese e hanno messo gli occhi anche sulle altre colonie europee che sono in Asia orientale. A quel punto gli americani lanciano un ultimatum al Giappone: o il Giappone abbandona i territori che ha occupato oppure l’America e i paesi che stanno collaborando con l’America taglieranno tutti i rifornimenti e le materie prime che alimentano l’industria giapponese, in particolare l’embargo sul petrolio e la gomma. I giapponesi decidono di attaccare gli americani a Pearl Harbor, distruggere la loro flotta nel Pacifico per metterli fuori combattimento almeno per un certo periodo e approfittare dell’impossibilità americana di operare nel Pacifico e della difficoltà dei paesi europei per occupare tutta l’Asia orientale e il sud-est asiatico. Nella primavera del ’42 il Giappone ha occupato l’area in cui intende impiantare il suo vasto impero asiatico, lanciano lo slogan “l’Asia agli asiatici”. Questa è una differenza tra i giapponesi e i tedeschi, perché i tedeschi arrivano da dominatori, mentre i giapponesi si presentano come liberatori degli altri popoli asiatici. Con Pearl Harbor si salda la guerra asiatica con la guerra europea, perché poco dopo l’attacco giapponese, Hitler dichiara guerra agli Stati Uniti e lo segue Mussolini. Questo perché i tedeschi, coscienti della potenza americana, decidono di impegnare subito l’America in una guerra su 2 fronti. Per Roosevelt però il nemico principale è la Germania, la linea che indica ai suoi generali è “Germany first” e infatti gli americani sconfiggeranno prima i tedeschi e poi ci sarà la caduta del Giappone. Finora sono solo i paesi del patto Tripartito che rimangono all’offensiva. Nell’Europa occupata dal nazi-fascismo si stabilisce il nuovo ordine europeo che è subordinato agli interessi della Germania ed in questo contesto matura la decisione di costruire i campi di sterminio, la cosiddetta “soluzione finale”. Una grande differenza rispetto alla Prima guerra mondiale è la resistenza, perché la brutalità di questo esercizio di potere stimola una resistenza in tutti i popoli occupati. Anche in Europa, come in Giappone, c’è collaborazionismo, come nel caso della Repubblica di Vichy. Alla fine del ’42 c’è la grande svolta : tra la fine del ’42 e l’inizio del ’43 su tutti i fronti l’offensiva del tripartito si ferma, ci sono una serie di battaglie che fanno cambiare il senso della guerra: in Africa settentrionale c’è la battaglia di El Alamein che permette agli inglesi di riprendere un’avanzata verso ovest, c’è lo sbarco anglo-americano in Marocco, e le forze italo-tedesche sono costrette a rifugiarsi in Tunisia, ma verranno cacciate. Dopo El Alamein, la guerra in Africa settentrionale è segnata e, una volta che gli anglo-americani sono padroni dell’Africa settentrionale iniziano a progettare lo sbarco in Italia. Per quanto riguarda il fronte del Pacifico, ci sono le battaglie aeronavali del Midway e del Mar dei Coralli , in cui i giapponesi vedono che la macchia da guerra americana è in grado di fermare i giapponesi e da quel momento il Giappone è costretto sulla difensiva. Gli americani sempre più conquistano il controllo delle rotte e impediscono la comunicazione dei territori giapponesi e a rifornire la madre patria. Diventa poi una lunga guerra di logoramento per stanare i giapponesi da tutte le zone che hanno occupato e questo inizia controllando il mare e il cielo, impedendo che le industrie giapponesi vengano rifornite e quindi strangolando lentamente la macchina da guerra giapponese. Il terzo fronte dove c’è la svolta è la battaglia di Stalingrado , dove i sovietici non solo riescono a mantenere la città ma annientano anche la sesta armata tedesca e questo diventa un momento di svolta perché è la prima grande sconfitta dell’armata tedesca. La battaglia di Stalingrado diventa la battaglia simbolo della Seconda guerra mondiale. Da quel momento iniziano ad essere i sovietici all’offensiva e i tedeschi devono difendersi: prima erano stati i tedeschi che avevano lanciato la corsa verso Mosca, mentre adesso sono i sovietici che iniziano a lanciare la corsa verso Berlino. Nel momento in cui viene lanciato questa grande corsa contro Berlino, il grande tema che occupa i paesi antifascisti è l’apertura del secondo fronte a ovest, perché è dal ’41 che quasi tutto il peso della guerra grava sui sovietici. Da prima gli inglesi e gli americani rispondo progettando l’invasione dell’Italia, con lo sbarco in Sicilia del ’43, ma il territorio italiano non è un territorio facile. All’apertura del secondo fronte in Francia si arriverà solo nel giugno del ’44 quando c’è lo sbarco in Normandia, cioè la più grande operazione anfibia della storia. A quel punto nel ’44 si è in piena corsa verso Berlino, i sovietici sono sempre più all’offensiva e nel ’44 cominciano a combattere anche nei territori dell’Europa orientale. Gli alleati, dalla Normandia, arrivano nell’estate del ’44 a Parigi e da lì nell’autunno sono già nei pressi della frontiera della Germania. Nell’ estate del ’44 è chiaro che la Germania è destinata a perdere la guerra e si inizia a pensare al dopoguerra. Il paese che più si impegna a costruire un dopoguerra e di mantenere una collaborazione con i vincitori sono gli Stati Uniti sotto l’impulso di Roosevelt che elabora il cosiddetto “grand design”: una grande coalizione di paesi che collabora nel dopoguerra, come ha collaborato durante la guerra, attraverso la creazione di un nuovo meccanismo internazionale, di nuovi accordi internazionali in grado di gestire il disarmo e l’economia, con gli Stati Uniti come ruolo guida. Nella visione di Roosevelt il grande errore storico americano è stato quello di ritirarsi dal mondo dopo la Prima guerra mondiale, perché questo ha impedito di avere un assetto stabile e questa instabilità ha portato ad una nuova guerra mondiale. Su impulso di Roosevelt si svolgono nell’estate del ’44 in America alcune conferenze importanti in cui si prendono accordi per il dopoguerra, in particolare: 1) La conferenza di Dumbarton Oaks che getta le basi per la costituzione dell’ONU che dovrà avere quello che non ha avuto la Società delle Nazioni, ovvero una capacità d’intervento militare delle crisi attraverso la formazione di un esercito dell’ONU in grado di punire gli aggressori. Da questo punto di vista Roosevelt ottiene anche la collaborazione di Stalin, perché accetta di entrare nelle Nazioni Unite e firmare la Carta Atlantica. 2) La conferenza di Bretton Woods , che è la conferenza che nel 1944 prende le decisioni per il governo del sistema economico e finanziario monetario del dopoguerra: la creazione del Fondo Monetario Internazionale, l’accordo per un sistema monetario internazionale centrato sul dollaro in cui il dollaro assume il ruolo che nell’800 aveva assunto la sterlina, dollaro ancorato all’oro e tutte le altre monete ancorate al dollaro con le riserve auree americane che fanno stabilizzazione dell’intero sistema. La data storica di inizio della Golden Age può essere fissata nella conferenza di Bretton Woods. Inoltre, accordi che vengono presi per il commercio internazionale che porteranno alla creazione del GATT (l’accordo generale sulle tariffe e commercio), ovvero dell’organizzazione che è la base del WTO (organizzazione mondiale del commercio) dagli anni 80 ad oggi. La guerra ha un andamento negativo per l’Italia e in particolare le cose peggiorano tra l’autunno del ’42 e l’inizio del ’43 (quando c’è la grande svolta della guerra a sfavore del tripartito): rovinosi bombardamenti aerei dinanzi ai quali le difese non sono in grado di proteggere la popolazione civile, la catastrofe della ritirata del corpo di spedizione italiano nel periodo di Stalingrado dove decine di migliaia di soldate sono annientate da gelo, malattie e fame, la sconfitta in nord-Africa in El Alamein. Nel marzo del ’43, una popolazione sfiduciata, ridotta alla fame che prova rabbia per l’inefficienza e la corruzione del regime che ha voluto questa guerra, soprattutto nelle grandi città del nord dalla classe operaria organizzata, esplode. Nel marzo del ’43 c’è un grande sciopero in tutte le grandi fabbriche del nord in cui le maestranze incrociano le braccia. Questi scioperi, che scuotono per giorni il triangolo industriale, sono un campanello d’allarme per Mussolini e la monarchia perché questa guerra non può continuare. La monarchia si mette in movimento, si avviano delle trattative segrete per trovare un accordo con gli alleati per far uscire il paese dalla guerra, ma le cose sono complicate perché gli alleati, in precedenza, hanno affermato il principio della resa incondizionata , ovvero dai paesi del tripartito si potrà accettare solo una resa incondizionata. Si arriva all’estate, in luglio c’è lo sbarco in Sicilia e quindi la guerra tocca il territorio nazionale, il 19 luglio c’è un primo rovinoso bombardamento di Roma. Pochi giorni dopo, dinanzi a un Mussolini che non ha la possibilità di rompere l’alleanza con Hitler, entra in azione l’opposizione interna del regime: il Gran Consiglio del fascismo si riunisce e nella notte tra il 24 e il 25 luglio vota un ordine del giorno di sfiducia a Mussolini e chiede al sovrano di riassumere il suo ruolo di comandante delle forze armate. Nelle ore successive a questo voto di sfiducia, Mussolini si presenta al sovrano che chiede le sue dimissioni e lo fa arrestare, viene formato un governo nuovo presieduto dal maresciallo Badoglio. Dopo il 25 luglio proseguono le trattative segrete e si arriva ai primi di settembre quando si firma in Sicilia l’armistizio. Dopodiché iniziano dei giorni concitati in cui il governo Badoglio chiede tempo agli alleati prima di rendere noto l’armistizio per organizzare la difesa di Roma e della corona e tempo per avvertire le truppe italiani anche nei Balcani. Di fatto però l’8 settembre gli alleati impongono a Badoglio di rendere noto l’armistizio perché stanno sbarcando a Salerno e non vogliono che l’esercito italiano gli spari contro. A quel punto Badoglio annuncia alla radio che è stato firmato l’armistizio e si determina una situazione di caso, poiché le truppe italiane sono impreparate e nelle ore dei giorni seguenti i tedeschi impongono la consegna delle armi e fanno prigionieri centinaia di migliaia di soldati italiani. Badoglio e il re lasciano la capitale, raggiungono l’Abruzzo e da lì si imbarcano per la Puglia dove si mettono sotto la protezione degli alleati. Gli alleati riescono a sbarcare a Salerno, poco dopo c’è la liberazione di Napoli, il fronte avanza fino al Lazio meridionale e la guerra diventa di posizione. L’Italia si trova divisa in due: da Cassino in giù ci sono gli angloamericani e da Cassino in su ci sono i tedeschi che hanno liberato Mussolini dalla prigionia sul Gran Sasso e lo mettono alla guida di una repubblica fascista che ha la capitale a Salò . Anche in Italia nelle zone occupate dai tedeschi e fascisti si svolge la resistenza, sorgono gruppi partigiani che arriverà a contare circa 200mila uomini. Il braccio politico e organizzativo della resistenza è il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), formatosi clandestinamente nei giorni dell’armistizio ed è frutto di un accordo tra i diversi partiti antifascisti che decidono di unirsi e di combattere unitariamente contro fascisti e tedeschi. In particolare, abbiamo nel CLN: la democrazia cristiana che è il partito dei cattolici fondato durante la guerra sulla precedente esperienza del partito popolare; i partiti espressione del movimento operaio ovvero il partito socialista (all’epoca PSIUP= partito socialista italiano di unità proletaria); il partito comunista italiano, il partito liberale, la democrazia del lavoro e il partito nazione. Nonostante le profonde differenze ideologiche prevale la scelta di combattere insieme contro un nemico comune. Dove c’è una divisione forte, tra il ’43 e il ’44, è tra il CLN e la monarchia perché il CLN accusa Vittorio Emanuele III di essere gravemente responsabile di aver appoggiato per 20 anni Mussolini e dicono che, per collaborare con la monarchia, vogliono che Vittorio Emanuele III si faccia da parte. La monarchia cerca di difendere la sua posizione ed è appoggiata dagli alleati, anche perché gli alleati hanno firmato l’armistizio con Badoglio e il re e quindi vogliono mantenere al potere chi ha messo la firma dell’armistizio. CLN e monarchia non riescono a collaborare, cosa che non aiuta la posizione dell’Italia. Le cose si sbloccano nella primavera del ’44 dove c’è la cosiddetta “svolta di Salerno” (chiamata così perché Salerno era la sede del governo). Questa svolta di Salerno è legata all’iniziativa politica assunta da Palmiro Togliatti (leader del partito comunista) che lancia una politica di unità nazionale. Si forma nella primavera del ’44 questo governo di unità nazionale e di lì a poco c’è lo sfondamento del fronte di Cassino e nel giugno del ’44 c’è la liberazione di Roma. Poco dopo il governo può trasferisti a Roma e Badoglio viene sostituito da Bonomi come presidente del CLN. Vittorio Emanuele III esce dalla vita politica attiva e nomina luogotenente del regno il figlio Umberto. Dopo la liberazione di Roma gli alleati continuano ad avanzare, in agosto c’è la liberazione di Firenze ma la speranza di poter liberare tutta la penisola nel corso della campagna estiva autunnale tramonta, la nuova linea si attesta lungo l’appennino tosco-emiliano (la cosiddetta linea gotica), il completamento della liberazione del territorio nazionale dovrà aspettare l’aprile del ’45 . Mussolini viene catturato e giustiziato dai partigiani negli stessi giorni in cui si suicida Hitler in Germania, la guerra finisce in Europa e si pone anche in Italia il problema di costruire il nuovo futuro e inserirsi tra quello che è il processo di riorganizzazione del mondo nel dopoguerra. Il governo nel maggio del ’45 subisce un cambiamento: si passa ad avere il governo Parri, guidato da Ferruccio Parri che è uno dei leader dell’azionismo e quindi una componente del CLN segnata da un profondo rigore, con l’idea che l’Italia dovesse stabilire una fortissima discontinuità con il governo fascista. Il governo Parri si fa in qualche modo portatore di alcune istanze radicali della resistenza. In realtà il governo Parri fin dai primi passi si trova in moltissima difficoltà perché c’è un’Italia più moderata e conservatrice e diventa ben presto chiaro che la piattaforma del governo Parri non è realisticamente perseguibile. Alla fine del ’45 c’è una svolta moderata: Parri deve lasciare il governo ad Alcide de Gasperi, leader della democrazia cristiana. Si crea un asse nella transizione tra i 2 partiti di massa: la democrazia cristiana e il partito comunista italiano. Con questo asse si arriva all’elezioni dell’Assemblea costituente nel giugno del ’46, con una differenza: nel 2 giugno del ’46 donne e uomini andavano al voto non solo per votare per l’organismo che dovrà scrivere la nuova costituzione e sostituire lo statuto albertino, gli elettori si trovano anche la scheda del referendum istituzionale, ovvero monarchia o repubblica. Quindi rispetto alla piattaforma delineata al tempo della svolta di Salerno, si è decido si affidare al popolo la scelta tra monarchia e repubblica. Per quanto riguarda il referendum istituzionale vince la repubblica con 2milioni di scarto; la repubblica vince da Roma in su, mentre da Roma in giù da tutto il mezzogiorno a vincere è la monarchia. Per quanto riguarda l’Assemblea costituente emergono le grandi forze che poi caratterizzeranno il sistema politico repubblicano nei decenni seguenti, ovvero: la democrazia cristiana che si afferma come il partito più votato (35%), il partito socialista (20%) e partito comunista (18/9%). I due partiti operai, socialista e comunista, coalizzati hanno sulla carta più voti della democrazia cristiana, in seguito ci sarà una lunga fase di dominio democristiano in cui la democrazia cristiana avrà più voti di socialisti e comunisti insieme. Inizia il cammino dell’Assemblea costituente per dare all’Italia una nuova carta fondamentale e la democrazia repubblicana si nutre del suo sviluppo, del messaggio lanciato tra ciò che è scritto nella costituzione; la costituzione sarà poi la bussola per lo sviluppo della democrazia nel nostro paese. Nella costituzione italiana c’è una fusione delle diverse culture che la scrivono, in particolare, la cultura del mondo cattolico, la cultura del movimento operaio marxista e la cultura liberale. Questa capacità di scrivere insieme la costituzione è tanto più rimarchevole se pensiamo al fatto che la costituzione viene scritta nel ’46-‘47, proprio nei mesi e anni in cui scoppia la grande spaccatura della guerra fredda, quindi la capacità dei costituenti di non farsi condizionare da quello che stava succedendo e completare insieme il lavoro che avevano iniziato a fare insieme. Cosa non facile perché nella logica della divisione dell’Europa, dei paesi occidentali a guida americana, i partiti comunisti non possono stare al governo (anche per il fatto che non avrebbero ricevuto gli aiuti del Piano Marshall); infatti, in Italia nel maggio del ’47 comunisti e socialisti vengono estromessi dal governo e si forma un nuovo governo De Gasperi guidato dalla democrazia cristiana con alcuni tecnici. Nonostante questa fortissima divisione, i costituenti completano in quei mesi il loro lavoro. Il 1° gennaio del ’48 entra in vigore la costituzione e si deve andare a formare il primo parlamento repubblicano e questo avviene in un clima rovente perché sfocia nei mesi in cui sta precipitando definitamente la divisione dell’Europa, le elezioni del 18 aprile del 1948 vengono vissute in Italia in un clima quasi di scontro fra civiltà, dove la democrazia cristiana si pone come baluardo del campo occidentale e la propaganda democristiana dice che se si vota socialisti e comunisti l’Italia diventerà una dittatura come sta accendo ai paesi dell’Europa orientale con le truppe sovietiche. Il 18 aprile si conclude con la più grande vittoria della democrazia cristiana, che sfiora il 50%. De Gasperi conia la formula politica del centrismo che governerà l’Italia per tutti gli anni 50. Centrismo = il governo dal centro: la democrazia cristiana + i partiti alleati minori (socialdemocratici, repubblicani e liberali) e quindi all’opposizione vengono confinate le sinistre percepite come forze potenzialmente eversive e a destra altre forze antisistema quali i monarchici e i demofascisti del movimento sociale italiano. Questo sarà l’equilibrio su cui si reggerà la politica italiana fino ai primi anni 60 quando al centrismo subentra il centrosinistra e si farà l’accordo con i socialisti (che nel frattempo si saranno staccati dal partito comunista). Queste elezioni del 18 aprile lasciano uno strascico rovente: 3 mesi dopo c’è l’attentato a Togliatti ad opera di un giovane nazionalista; nei giorni seguenti in alcune zone di Italia si crea una situazione pre-insurrezionale, ma la scelta del partito comunista e dei sindacati di non spingere la protesta oltre un limite critico impedisce che la situazione degeneri. Nella società italiana, nonostante queste passioni contrapposte e divisioni, alla fine prevalse ciò che univa rispetto a ciò che divideva. Già intorno al 1950 l’economia è tornata a quella anteguerra, poi negli anni 50/60 ci sarà la grande trasformazione del miracolo economico. La guerra fredda Questo contenimento non è un contenimento solo militare, anzi trova nel momento economico e finanziario un punto determinante; quindi, per l'America diventa fondamentale sostenere la ricostruzione europea. Nel giugno del ‘47 viene lanciato il Piano Marshall (che prende il nome dal capo militare americano che all'epoca era ministro degli Esteri), in un discorso Marshall annuncia questo piano che prevede lo stanziamento di molti miliardi di dollari per la ricostruzione europea, aperto a tutti i paesi europei (ne beneficerà anche l'Italia) e soprattutto teoricamente aperto anche i paesi ai dell'est, quindi Unione Sovietica e i paesi satellite. Infatti, nell'estate del ‘47, una delegazione sovietica guidata dal Commissario agli esteri Molotov, arriva a Parigi per discutere gli aiuti. Alcuni paesi dell'Est, come la Slovacchia, manifestano il loro interesse ad entrare nel piano, ma dopo pochi giorni di trattative la delegazione sovietica abbandona i lavori, denuncia il Piano Marshall come un atto imperialista e l'Unione sovietica impone a tutti i paesi satellite dell'Europa orientale di non aderire al piano. Dunque, il piano Marshall contribuisce alla divisione dell'Europa in due: solo la parte occidentale può entrare. I sovietici denunciano il piano perché non si tratta di semplici prestiti, ma è un piano, quindi, vuol dire che tu accetti di entrare in un sistema coordinato, accetti la regia americana, accetti che ci sia una Commissione che controlla come tu utilizzi questi aiuti; inoltre, non si tratta semplicemente di somme di denaro che si davano e si restituivano con un interesse, ma si apriva una certa partita finanziaria e nell'ambito di questa partita tu potevi scegliere cosa fare, se prendere determinati prodotti merci, aiuti finanziari. Tutto questo serviva anche ad alimentare la macchina economica americana e chi entrava accettava di integrarsi in questo sistema. L’Unione Sovietica ha paura che lo strapotere americano in campo economico e finanziario renda alla fine tutti i paesi che entrano nel piano, dipendenti dagli americani e Stalin non accetta questo disegno americano che in effetti è un disegno di integrazione. Stalin risponde al Piano Marshall e nel settembre del ‘47 nasce il COMINFORM, l'ufficio di informazione dei paesi comunisti, che coordina tutti i partiti comunisti dell'Europa dell'est sotto la guida del partito comunista sovietico e oltre a questi ci sono i due principali partiti comunisti del mondo occidentale: il partito comunista francese e il partito comunista italiano. La terza Internazionale era stata sciolta da Stalin nel ‘43 come atto di buona volontà verso gli alleati occidentali, il COMINFORM non è un nuovo Comintern, però torna un controllo anche sulla vita dei partiti comunisti da parte di Mosca. Nei mesi seguenti le cose non migliorano e si arriva a una resa dei conti finale sulla Germania, perché inglesi, francesi e americani si portano molto avanti nell’integrazione delle loro zone in questo progetto. Dunque, diventa chiaro che le tre zone occidentali della Germania stanno andando a unificarsi, che questa Germania occidentale accederà ai programmi del Piano Marshall e si inizia anche a parlare di futuro riarmo tedesco. L'obiettivo di Stalin era una Germania disarmata e neutralizzata, che paga le riparazioni e ridimensionata stabilmente il suo ruolo di potenza militare (senza un'industria pesante, senza un grande esercito, una Germania neutralizzata senza forze armate). Il fatto invece che si vada verso una Germania occidentale ricostruita e riarmata, per Stalin diventa uno spettro, perché rischia di diventare la punta avanzata di una nuova aggressione come c'è stata nel 1941. Berlino era nella parte orientale, nella zona sovietica, però era deciso di dividere Berlino in quattro zone, come l'intera Germania in: la zona francese, inglese, americana e sovietica. Le tre zone occidentali tendono a unirsi e Berlino ovest appare sempre più come una spina nel fianco della zona della zona sovietica. Nella primavera del ’48 Stalin vuole prendere per fame Berlino ovest, vuole costringere gli ex alleati occidentali a tornare un tavolo delle trattative e discutere della situazione tedesca. Gli americani rispondono con un ponte aereo, Stalin incassa questo colpo occidentale. Per lunghi mesi tra ’48 e ’49 c’è la prima crisi di Berlino che fa capire bene come si combatte la guerra fredda, ovvero viene combattuta anche con atti militari ma facendo sempre ben attenzione a non superare il limite fatale che potrebbe portare a una guerra diretta tra le due super potenze. Si arriva nel ’48 che Stalin prende atto che il blocco non ha funzionato e viene tolto. Nel 1949 nascono le due Germanie: a ovest viene proclamata la nascita della Germania Ovest, la Repubblica federale tedesca con capitale Bonn , mentre a est sorge la Repubblica democratica tedesca con capitale Berlino est , cioè i sobborghi di Berlino dove la competenza è sovietica. Nel ’49 la guerra fredda si stabilizza in Europa, ci sono dei confini chiari precisi, la Germania si ritrova divisa in 2. Nel corso dei 40 anni successivi nessuna delle due parti cercherà di mettere in discussione questi confini: l’Europa dell’est è stata sovietizzata e il modello economico sociale, il tipo di controllo politico che c'era in URSS è stato esportato in quei paesi, mentre la parte occidentale viene integrata nella globalizzazione americana. Si formano anche due alleanze militari: la NATO a ovest e il Patto di Varsavia a est. Inoltre in questo periodo c’è lo scisma jugoslavo, ovvero la rottura fra l'Unione Sovietica e la Jugoslavia. Questo perché la Jugoslavia, che si è liberata da sola, tende a fare una politica di egemonia regionale nell'area danubiano balcanica, Tito aiuta i partigiani comunisti greci, cosa che non sta bene a Stalin, perché non vuole una guerra in questo periodo dato che l'Unione sovietica è uscita troppo distrutta dalla guerra. Stalin accetta che la Grecia sia nella sfera occidentale, non aiuta i partigiani comunisti greci nella guerra civile al contrario di Tito. Questo fattore, insieme ad altri, porta nel ’48 alla rottura del monolitismo comunista, che fino a quel momento il campo comunista viene visto come un campo monolitico dove Mosca controlla tutto. Lo scisma jugoslavo dimostra che non è così, è la prima di una serie di divisioni nel campo comunista che condizioneranno molto la guerra fredda e, insieme all'evoluzione in Turchia e in Grecia, è l'elemento che completa sullo schieramento il blocco a una possibile espansione sovietica verso il Mediterraneo. La guerra fredda non fa in tempo a stabilizzarsi in Europa che si globalizza e in particolare si estende all’Asia. Il ’49 è un anno chiave in Europa, ma lo è anche in Asia perché la vittoria dei comunisti di Mao Zedong: il 1° ottobre del 1949 viene proclamata a Pechino la nascita della Repubblica popolare cinese. I comunisti hanno vinto la guerra civile dopo lunghi anni di scontro con i nazionalisti di Chiang Kai-shek e i nazionalisti sconfitti si rifugiano nell'isola di Taiwan. La vittoria del comunismo nel paese più popoloso del mondo cambia gli equilibri della guerra fredda e accentua ancora di più in America la psicosi di un'espansione del comunismo su scala globale. Truman viene accusato di aver perso la Cina, poco dopo la vittoria di Mao viene stipulata un’alleanza tra l’Unione Sovietica e Cina in cui i sovietici iniziano a investire grandissime energie nell’industrializzazione cinese, esportando tecnologie e tecnici. Questo portò grandissimi problemi e sacrifici al popolo sovietico perché un paese uscito devastato dalla guerra che si lanciava in una nuova corsa agli armamenti e si metteva poi a sostenere lo sviluppo di un paese enorme come la Cina, tutto questo impegno andava a discapito delle condizioni di vita interne della popolazione. Sono anni anche molto cupi, gli anni dell’ultimo stalinismo in cui partono nuove purghe, depressioni e sono anche anni molto cupi anche in America con il maccartismo (caccia al comunista). Il ’49 è anche l’anno in cui i sovietici fanno esplodere la loro prima bomba atomica. Questo rafforza la decisione americana di procedere alla costruzione delle bombe all’idrogeno. Tra ’52 e ’53 sia americani che sovietici iniziano a sperimentare bombe che sono di gran lunga più potenti della bomba di Hiroshima. Negli anni 60 queste armi saranno prodotte sempre di più in serie e si arriva a parlare di “equilibrio del terrore”, ovvero che la pace riposa sulla minaccia della distruzione reciproca. Nel ’50 scoppia la guerra di Corea, che si era ritrovata divisa come la Germania: la parte nord era stata occupata dai russi e lì era poi stato impiantato un governo comunista, il sud invece era filoccidentale sotto la protezione americana, la prospettiva è quella di arrivare ad una riunificazione ma non si riesce. Nel 1950 il dittatore nordcoreano Kim Il-sung , sentendosi forte perché c’è stata la vittoria dei cinesi, sente che l’equilibrio di forze si è spostato a favore del campo comunista e decide di attaccare il sud. C’è però la reazione americana, che avendo già perso la Cina, non possono accettare di perdere anche la Corea. Gli Stati Uniti si muovono all'ONU per far dichiarare la Corea del Nord paese aggressore, viene organizzata un esercito internazionale a guida americana a sostegno della Corea del Sud. Dal Giappone c’è lo sbarco in Corea del Sud, mentre i coreani del nord stanno quasi per vincere la guerra e quindi c'è la controffensiva a guida americana. L'Unione Sovietica non fa nulla all'ONU per fermare l'azione americana per far condannare la Corea del Nord perché in quel momento i sovietici stavano disertando per protesta le riunioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU perchè protestavano per il fatto che non veniva riconosciuto il seggio del Consiglio di sicurezza alla Cina di Mao Zedong, cioè gli americani continuavano a riconoscere come rappresentante della Cina all'ONU Chang Kai-Shek, il governo di Taiwan, cosa che durerà fino al 1971. A quel punto però sono i cinesi che non vogliono accettare il crollo della Corea del Nord e, temendo poi un attacco alla Cina, decidono di intervenire non ufficialmente in Corea. MacArthur, di fronte alla controffensiva cinese che mette fortemente in difficoltà le truppe americane, chiede a Washington di usare la bomba atomica contro le città cinesi. Truman decide di fermare questa escalation e congeda MacArthur. Le cose migliorano nel ’53, anche a causa della morte di Stalin e la nuova leadership sovietica vuole calmare le acque. Krusciov al contrario di Stalin pensa che la guerra si possa evitare e che l’Unione Sovietica non può permettersi una nuova guerra catastrofica dopo la Seconda guerra mondiale. Già nell’estate del ’53 è possibile giungere all’armistizio in Corea, che viene visto come la base di una futura riunificazione che però non avverrà mai e persiste tutt’oggi. Si apre una nuova fase e si parla di disgelo, dopo lunghi anni chiusa la guerra in Corea, le superpotenze iniziano a parlarsi. Ad esempio, nel ’55 c'è un'importante conferenza a Ginevra in cui per la prima volta il leader britannico, francese, sovietico e americano stanno intorno al tavolo (già il fatto di tornare a parlarsi è un grosso segnale di speranza). In questa conferenza viene raggiunto un accordo molto importante sull’Austria, perché fino al ‘55 Vienna è occupata come Berlino divisa in zone di occupazione, nel ‘55 i sovietici accettano di ritirarsi dall’Austria e viene fatto un accordo per la neutralizzazione dell'Austria. Al 20° Congresso del partito comunista (PCUS), nel ‘56, in cui Krusciov emerge definitivamente come il nuovo leader che succede a Stalin, viene annunciata la dottrina della coesistenza pacifica, ovvero si può coesistere con l'altro campo e viene ribadita la fiducia nel fatto che alla fine sarà il socialismo a prevalere, ma questo non dovrà necessariamente avvenire attraverso una grande guerra mondiale. Krusciov giustifica questo ragionamento anche in ragione della capacità degli ordigni nucleari. Inoltre, in questo 20° Congresso c’è la denuncia dei crimini dello Stalinismo. Krusciov denuncia fino a che nell’estate del ’61 c’è la decisione di costruire il muro e vengono ribaditi i confini della guerra fredda. 2. Ancora più complicata e drammatica è la crisi nei Caraibi di Cuba. Alla fine degli anni 50 c’era stata la rivoluzione di Fidel Castro, ovvero il governo autoritario filoamericano, legato agli interessi americani, viene rovesciato da una rivoluzione nazionalista. Castro all'inizio dichiara di voler avere buoni rapporti con gli americani, di non essere antiamericano, però poi quando inizia a prendere alcuni provvedimenti, come ad esempio la nazionalizzazione del settore della canna da zucchero che era tutto in mano alle multinazionali americane, si crea un oggettivo scontro. Il servizio segreto americano, la CIA, appoggia uno sbarco degli esuli anticastristi nell'isola che sono rifugiati in Florida, a Miami, per rovesciare Fidel Castro, ma questo sbarco si risolve in un fiasco clamoroso. Lo sbarco della baia dei porci, dalla zona dove avviene questa operazione, crea un grave imbarazzo agli americani e spaventa moltissimo Castro il quale si volge definitivamente all'alleanza con l'Unione Sovietica. Castro firma un accordo di protezione militare, ovvero l'Unione Sovietica si impegna a proteggere Cuba. Questo è un fatto molto significativo perché fino a quel momento l'America aveva portato le sue basi, i suoi aeroplani, le sue armi ai confini dell'Unione Sovietica, ma l'Unione Sovietica non era mai stata in condizione di colpire il territorio americano. Adesso, invece, mettendo un piede a Cuba le forze sovietiche sarebbero in grado di lanciare attacchi contro il territorio americano. Un aereo spia americano rivela il fatto che i sovietici stanno costruendo nell'isola delle rampe missilistiche e questo pone una gravissima minaccia per gli americani. Si entra nell’età della missilistica. Sono giorni di grande tensione, alcuni generali consigliano a Kennedy di invadere l'isola, ma invadere l'isola potrebbe portare a una risposta sovietica, perché l'Unione Sovietica si è impegnata a difendere Cuba. Alla fine Kennedy riprende una decisione che si rivelerà felice, perchè stabilisce, pur violando il diritto internazionale, un blocco navale. A quel punto lascia ai sovietici la responsabilità eventuale di forzare il blocco con un atto con un atto di forza e prendersi la responsabilità di un'escalation. Ma Krusciov decide che questo passo non sarà compiuto e le navi sovietiche fanno retromarcia. Dopo alcune alcuni giorni di grande tensione, si raggiunge un accordo tra americani e sovietici, e in particolare i sovietici si impegnano a smantellare le rampe missilistiche, a denuclearizzare Cuba e gli americani si impegnano a non operare nuovi tentativi di rovesciare Castro, quindi contro l'isola rimarrà un durissimo embargo economico che arriva fino ai nostri giorni. Da questo grande spavento dei giorni di Cuba subisce slancio la cosiddetta distensione, cioè dopo Cuba sia a Mosca che a Washington si prende atto che non si può continuare ad andare avanti sull'orlo di una crisi, ma bisogna trovare degli accordi e stabilire una cooperazione, un dialogo più esteso e affidato a una comunicazione continua. Nel ‘63 viene stabilita la cosiddetta linea rossa, cioè il sistema di comunicazione più rapido dell'epoca attraverso un sistema di telescriventi, che consentiva al Presidente americano e al Segretario del PCUS in pochi minuti di poter comunicare e questo era fondamentale per evitare malintesi e per gestire future crisi. Negli anni seguenti la distensione produce dei risultati molto importanti quali: nel ’63 c’è l’accordo per limitare i test nucleari , nel ’67 c’è il trattato per la smilitarizzazione dello spazio, ovvero impedire che venissero messe delle testate nucleari in orbita, nel ‘68 il trattato di non proliferazione nucleare . Questa distensione trova il suo culmine nei Trattati SALT (Strategic Arms Limitation Talks) del 1972 che sono i primi trattati per il disarmo tra americani e sovietici; e gli accordi di Helsinki del ‘75 in cui i paesi europei decidono finalmente di mettersi intorno al tavolo e riconoscere tutti quanti i confini usciti dalla Seconda guerra mondiale. La decolonizzazioneꜛ La decolonizzazione porta una grande trasformazione, ovvero la fine degli imperi coloniali, che hanno subìto un primo colpo con la Prima guerra mondiale, ma erano rimasti in piedi. La Seconda guerra mondiale dà il colpo definitivo. La Gran Bretagna, tra i grandi vincitori della guerra, negli anni seguenti si sgretola. Una data simbolo è il ’47 dove c’è l’Indipendenza dell'India che era il cuore dell'impero britannico. La ritirata dell'Europa si traduce nell’esportazione globale del modello statuale europeo, quindi il colonialismo lascia la fortissima eredità: culturale, politica, economica e psicologica. La Seconda guerra mondiale è fondamentale in questo senso, per esempio il fatto che in Asia gli europei vengono cacciati da tutte le colonie e arrivano i giapponesi; in Vietnam, il fronte di liberazione nazionale, il Vietminh, viene fondato per combattere il colonialismo francese, ma poi si trova a combattere i giapponesi e attraverso queste lotte si acquisisce una coscienza nazionale. Quando gli europei dopo la Seconda guerra mondiale proveranno a ristabilire un dominio coloniale, si troveranno una forte resistenza. Gli olandesi provano a mantenere il controllo dell'Indonesia, ma si trovano a fronteggiare una guerriglia che li costringe ad andare via. I francesi provano a rimanere in Indocina, ma si trovano impelagati in una guerra di lunghi anni. Quindi la Seconda guerra mondiale ha cambiato definitivamente lo scenario e anche la coscienza delle persone. La decolonizzazione comincia proprio in Asia e individuiamo tre grandi fasi: c'è una prima fase in cui l'Asia è al centro, quindi sono soprattutto paesi asiatici a uscire dal colonialismo; c'è una seconda fase che investe il Medio Oriente e l'Africa settentrionale; e poi c’è la terza fase che tocca l'Africa nera, l'Africa subsahariana che era quella meno pronta ad acquisire l'indipendenza, anche perché non aveva una grande tradizione statuale e gli europei nell'Africa subsahariana non avevano preparato per nulla l'indipendenza di questi popoli, nonostante tutta la retorica della missione civilizzatrice. Quello che si afferma è un nuovo codice etico politico internazionale, per cui il vecchio principio di autodeterminazione dei popoli adesso deve valere in tutto il mondo. Il colonialismo non si regge più da un punto di vista etico- politico, è moralmente squalificato. C’è dunque questa grande ritirata dell'Europa, e le due nuove superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica in forme e per motivi diversi, convergono nella condanna del colonialismo: l’Unione Sovietica per la sua missione antimperialista; gli Stati Uniti perchè sono sempre stati alternativi al colonialismo europeo, vogliono conquistare i mercati non i territori, vogliono integrare economicamente il mondo, vogliono esportare il loro modello economico sociale, ma sono contrari ai vecchi imperi territoriali, si considerano completamente alternativi al modo in cui gli europei si sono diffusi hanno conquistato il mondo. La decolonizzazione si svolge: 1) in alcuni casi pacificamente, quindi i colonizzatori a volte con largo anticipo di volersene andare, rispettano i termini e il passaggio di consegna avviene in modo relativamente indolore. Un esempio sono gli americani con le Filippine, dove gli americani avevano già annunciato negli anni 30 che avrebbero dato l’indipendenza alle Filippine e nel ’46 l’America onora la parola che aveva dato e le Filippine diventano indipendenti. 2) In certi casi invece la decolonizzazione avviene attraverso la guerra dove le forze indipendentiste si scontrano con la potenza coloniale che non accetta di ritirarti o falliscono dei negoziati e si arriva ad una guerra. Un esempio è l’Indonesia dove si combatte tra l'esercito olandese e le forze indipendentiste finché gli olandesi alzano bandiera bianca, anche perché sono condannati dall'ONU, esposti al rischio di un fortissimo isolamento internazionale. In Indocina si combatte dal ‘46 al ’54 , tra il Vietminh e il colonialismo francese, la guerra si concluse nel ‘54 in via provvisoria, con la creazione dei due Vietnam: il Vietnam del nord governato dal Vietminh, e il Vietnam del Sud formalmente indipendente però di fatto potentemente condizionato ancora dagli interessi coloniali e anche dagli Stati Uniti. Qui vediamo l’intreccio con la guerra fredda perché gli Stati Uniti, siccome nel Vietminh c'è una forte presenza comunista, iniziano ad aiutare militarmente i francesi e dopo il ‘54 saranno soprattutto gli americani a mettere sotto tutela il Vietnam del Sud per impedire un'espansione nel Vietnam del nord comunista. Dunque il contenimento si pratica in Europa ma anche in Asia e in Africa, dovunque c'è il rischio di un'espansione dell'area controllata dai comunisti gli americani intervengono. Quindi gli americani sono contrari al colonialismo però quando le forze indipendentiste sono comuniste, a quel punto intervengono perché la priorità è fermare l'espansione del comunismo. 3) In certi casi scoppia una guerra ma non è una guerra tra colonizzatori e colonizzati ma è una guerra interna tra indigeni. Il caso più importante è quello dell’India perché il subcontinente indiano acquisisce l’indipendenza dividendosi in: Unione Indiana, Pakistan e Birmania, e tra ’47-’48, quando gli inglesi se ne vanno, scoppia una guerra tra l'Unione indiana e il Pakistan in cui un elemento molto forte è la divisione religiosa perché il Pakistan è uno stato mussulmano, mentre l’Unione Indiana, pur avendo decine di milioni di musulmani nei propri confini, è uno stato basato sulla religione induista. Infatti l’Indipendenza avviene nel segno di gravi violenze, scoppiano dei contrasti interreligiosi che provocano almeno un milione di morti. Diversi milioni di persone terrorizzate sono costrette a spostarsi: indù che si trovano a vivere nei confini del Pakistan, sotto la minaccia di repressione e di violenze, scappano verso l'Unione indiana e viceversa; ci sono trasferimenti forzati di popolazione, marcia nel deserto e gente denutrita che muore di fame e di stenti. Quindi lì la guerra non è con gli inglesi, che se ne vanno rispettando il termine che avevano dato nell'estate del ‘47, ma scoppia una guerra tra indù e musulmani, tra l'India e il Pakistan. Poi ci sarà una seconda guerra indo-pakistana nel ‘65 e una terza guerra indo-pakistana nel ‘71. Questa terza guerra sarà segnata anche dalla secessione del Bangladesh, cioè: il Pakistan orientale che era staccato dal Pakistan occidentale che era sostanzialmente il Bengala orientale dove la popolazione era musulmana ma si parlava l'indi, siccome si ritenevano discriminati rispetto al Pakistan occidentale scoppia una guerra in cui l'India poggia la secessione e nasce il Bangladesh nei confini in cui lo conosciamo oggi. 4) L’altra zona al centro del contendere è il Kashmir, questo particolare territorio sul tetto del mondo che è al centro di contrasti perché quando c'è la decolonizzazione In particolare, viene respinto dagli arabi che ritengono lo Stato ebraico un corpo estraneo in quella zona. Si arriva al ‘48 senza una soluzione, gli inglesi se ne vanno prima e gli ebrei, unilateralmente, dichiarano la nascita dello Stato di Israele e vengono attaccati dai paesi della Lega araba. Quindi si crea una situazione apparentemente disperata per Israele, perché si trova tutti i paesi della zona, come l'Egitto e la Siria, contro. Ma a sorpresa nella prima guerra arabo-israeliana, il piccolo Stato israeliano riesce a prevalere, innanzitutto per la formidabile organizzazione, per la forte coesione patriottismo e anche per gli aiuti militari che riceve, perché in questa fase Israele diceva aiuti sia dall'Occidente che dai paesi socialisti. Quindi la prima guerra arabo-israeliana viene vinta da Israele, che prende più territorio rispetto a quello che il piano originario dell'ONU avrebbe assegnato e inizia il dramma dei palestinesi. Con questa prima guerra noi abbiamo almeno 700.000 profughi che lasciano le loro case e vanno a stabilirsi in campi profughi nei paesi arabi circonvicini: un po’ li prende l’Egitto, un po’ la Transgiordania. Dei pezzi che avrebbero dovuto far parte dello Stato palestinese vengono presi dai paesi arabi vicini: l'Egitto si prende il Sinai e la Striscia di Garza, la Transgiordania si prende la Cisgiordania e diventa Giordania. Quindi a un certo punto i palestinesi si trovano stranieri in quella che doveva essere casa loro. La sconfitta araba inizia ad alimentare anche un risentimento contro l'Occidente, accusato di aver sostenuto Israele e favorisce anche l'affermazione di un nazionalismo radicale, che a volte prende la via dell'integralismo religioso (il movimento dei Fratelli Musulmani), mentre in altri casi invece rimane attestato su posizioni laiche. Le posizioni laiche finiscono in questo primo momento per prevalere, soprattutto a partire dall'Egitto, che in questa fase è il paese più importante dell'area e leader del mondo arabo. In Egitto nel ’52 c'è il colpo di Stato dei colonnelli, da cui emergerà la figura di Nasser. C’è il movimento nazionalista laico animato da sentimenti antioccidentali che caccia la vecchia monarchia. Gli inglesi avevano dato l'indipendenza all'Egitto già nel 1922, ma era rimasta in piedi una monarchia molto debole, corrotta e pienamente legata agli interessi occidentali. Quindi la decolonizzazione egiziana che era venuta negli anni 20, aveva lasciato economicamente e militarmente il paese in mano agli inglesi, infatti gli inglesi continuano ad avere delle truppe lì, anche perché l'Egitto era strategico per gli inglesi perché dall'Egitto difendevano il Canale di Suez che continua a essere occupato da truppe inglesi, e difendevano i giacimenti petroliferi del Medio Oriente, difendevano la rotta dal Mediterraneo al Mar Rosso verso l'India. Invece con questo colpo di Stato dei colonnelli, vengono definitivamente mandate via le truppe britanniche e Nasser inizia ad avviare delle riforme di segno socialista, ovvero: grandi programmi di nazionalizzazione di interi settori dell'economia, assegnazione di terre ai contadini poveri; ma anche una serie di accordi anche con i paesi socialisti: assistenza allo sviluppo e armi. Agita la bandiera del panarabismo, cioè la casa dell'unità di tutti i di tutti i popoli arabi, fortemente antisraeliano. Gli inglesi e gli americani cominciano a tenere a temere che da Nasser possa partire un'onda lunga che porta il Nordafrica e il Medio Oriente su posizioni socialiste e apre all'influenza dell'Unione sovietica in quell'area, quindi c’è l'idea che Nasser vada fermato. Nasser ha un grande progetto per modernizzare il paese, ovvero la costruzione della grande diga di Assuan sul Nilo che è fondamentale per l'agricoltura, per l'industrializzazione e per l'elettrificazione del paese. Gli americani che controllano la Banca Mondiale fanno ritirare i finanziamenti che Nasser ha ottenuto per la diga di Assuan. A quel punto Nasser decide di nazionalizzare la compagnia del Canale di Suez: le truppe inglesi erano andate via, ma la compagnia che gestiva i proventi del traffico navale era anglofrancese. Nasser vuole nazionalizzare il canale e con i ricavi del canale costruire la diga di Assuan e altri progetti di sviluppo del paese. Parte una crisi gravissima perché gli inglesi e i francesi non ci stanno, si accordano segretamente con Israele che attacca a sorpresa l’Egitto nel Sinai e avanza verso la zona del canale. Gli inglesi e i francesi con, la motivazione di garantire la sicurezza del traffico marittimo, occupano la zona del canale e scoppia una crisi. Gli americani, pur essendo in qualche modo tra gli artefici della crisi avendo ritirato i finanziamenti della Banca Mondiale, insieme all’Unione Sovietica condannano la scelta anglofrancese di andare di ritornare a Suez con la forza. L'Unione Sovietica minaccia addirittura di fare la guerra contro l'Inghilterra e la Francia, mentre gli americani minacciano di togliere il loro sostegno finanziario. Emerge che le vecchie potenze coloniali europee dipendono dagli americani, non possono più fare una loro politica indipendente in Africa, soprattutto se questa politica va contro i voleri americani e così in modo umiliante, inglese e francesi sono costretti a ritirarsi dalla zona della del canale, come pure poi c'è il ritiro di Israele. Quindi Suez è una grande vittoria propagandistica di Nasser, perché appare come un eroe agli occhi di tutto il mondo coloniale che si sta liberando. Negli anni seguenti il processo di decolonizzazione si estende, si completa nel Medio Oriente e arriva in Africa subsahariana. Nel 1960 viene ricordato come l'anno dell'Africa perché ben 17 paesi africani ottengono l'indipendenza. È il momento di massimo prestigio del nasserismo, infatti regimi analoghi al suo vengono creati in Siria e Iraq, ma il progetto panarabo non decolla, cioè rimangono dei nazionalismi gelosi delle proprie prerogative non si farà il grande Stato panarabo che Nasser aveva auspicato. Dopo Suez il Medio Oriente vede una sicura ritirata europea, si libera dal colonialismo, però rimane legato alle logiche della guerra fredda che continuano ad alimentare il conflitto lì, perché: Israele diventa il grande bastione occidentale americano dopo Suez, mentre i paesi arabi sono appoggiati dall'Unione sovietica. Il rapporto è dialettico perché ci sono dei contrasti oggettivi, locali che in qualche modo alimentano le rivalità della guerra fredda, ma poi le rivalità della guerra fredda incendiano ancora di più il quadro locale e continuerà questa zona ad infiammarsi periodicamente. Nel 1967 c’è la guerra dei 6 giorni che segnerà la più grande vittoria militare d'Israele e l'aggravarsi del dramma dei palestinesi. A quel punto poi c'è la nascita dell'organizzazione per la liberazione della Palestina guidata da Yasser Arafat, che segna una svolta storica perché i palestinesi non si appoggiano più agli altri paesi arabi, ma creano un loro movimento nazionalista, per essere autonomi nella loro lotta contro gli israeliani. Nel ‘73 c'è la guerra del Kippur che, secondo gli storici, avrebbe potuto provocare la terza guerra mondiale perché il coinvolgimento delle superpotenze in quella guerra in alcune giornate fu totalmente critico che poteva esserci la possibilità di un intervento militare americano a sostegno di Israele, ma questo probabilmente i sovietici non lo avrebbero accettato e quindi per alcuni giorni il mondo è sospeso Con la guerra del Kippur, l'Egitto ha ottenuto quella rivincita, anche morale, su Israele che cercava. Nasser muore nel 1970 e il nuovo leader Sadat compie il grande salto: abbandona l'alleanza con l'Unione sovietica, passa dalla parte americana e fa un'intesa di pace con Israele (gli accordi di Camp David del ‘79). Questa grande svolta lascia i palestinesi da soli e dovranno con le forze proprie condurre un movimento nazionalista per avere un loro stato, senza più appoggiarsi alla causa panaraba che viene meno; mentre l'Egitto diventa un bastione dell'alleanza occidentale. Nel Medio Oriente, successivamente, la causa della lotta contro Israele non è più portata avanti tanto dall'Egitto, ma passerà all'Iran, perché in Iran nel ’79 crolla il regime dello Scià e scoppia una rivoluzione teocratica: la rivoluzione degli ayatollah. Si crea un regime religioso fondamentalista che individuerà in Israele un nemico mortale. La fine del colonialismo per larghe zone non vuol dire affatto sviluppo, pacificazione, fine di ogni problema, ma anzi vuol dire apertura di una fase drammatica, di contrasti locali spesso intrecciati con la guerra fredda in cui alcuni paesi riescono a intraprendere una strada più pacifica e di sviluppo, altri invece piombano in una realtà continua di guerre e sottosviluppo. Il terzo mondoꜜ Nel 1955 a Bandung in Indonesia c’è la prima conferenza dei paesi afroasiatici, è un momento storico della politica mondiale perché per la prima volta al centro dell'attenzione ci sono i paesi di nuova indipendenza. Si pongono come un nuovo soggetto sulla scena internazionale e si ritengono un blocco di paesi uniti soprattutto dal fatto di avere una serie di problemi comuni e si inizia a parlare di terzo mondo. C’è il primo mondo che è quello capitalista occidentale, c’è il secondo mondo che quello dei paesi socialisti e c’è un terzo mondo che sull’onda della decolonizzazione si sta affacciando sulla scena mondiale e vuole dire la propria. I problemi comuni di questi paesi sono quello di avere una reale autonomia e quindi una forza economica, cioè il problema dello sviluppo, infatti, si parlerà di “sottosviluppo” per i paesi del terzo mondo. Questi paesi vogliono da una parte liberarsi dai condizionamenti coloniali, dall’altra vogliono liberarsi dai condizionamenti nuovi della guerra fredda. Il neocolonialismo negli anni seguenti provocherà delle enormi tragedie, come nel caso del Congo: conquista l'indipendenza, le multinazionali che hanno gli occhi sulla regione del Katanga, che è una regione mineraria ricchissima, mandano lì delle bande paramilitari e appoggiano la secessione del Katanga dal Congo, scoppia una guerra drammatica, il leader dell'indipendenza congolese Lumumba viene assassinato. Quindi attraverso queste tragedie si prende coscienza del problema del neocolonialismo. Per quanto riguarda i condizionamenti della guerra fredda: non devono fare il gioco né degli americani né dei sovietici, ma collaborare a seconda di quelle che sono le loro esigenze. Negli anni seguenti in molti casi questa indipendenza e sviluppo non ci saranno, ma ci sarà il dramma del sottosviluppo. Questi paesi rimangono nel sottosviluppo per una serie di motivi, un esempio è la trappola demografica, ovvero col progresso e i cambiamenti vengono portati i vaccini, ci sono dei progressi nell'alimentazione, quindi viene abbattuta la mortalità infantile e in generale la mortalità, ma il permanere di un'alta natalità schiaccia il progresso. Questi paesi ereditano i confini coloniali e non erano dei confini che seguivano l’etnia, la lingua, le condizioni socioeconomiche, quindi molti di questi paesi si trovano a essere assolutamente disomogenei con tradizioni diverse, lingue diverse, gruppi che spesso erano stati in contrasto ed il colonialismo aveva molto spesso alimentato questi contrasti tra i vari gruppi locali per poterli poi controllare meglio. Da Bandung nascerà il movimento dei non allineati, cioè il tentativo di tenere questi paesi fuori dai blocchi della guerra fredda. In particolare, il movimento di non allineati sarà affermato a Belgrado nel 1961, poi ci sarà la conferenza di Algeri del 1973 , ma in realtà sarà più un'enunciazione, perché in questo movimento ci saranno dei paesi che in realtà entrano in alleanza con l'occidente e con l'Unione Sovietica. In questo terzo mondo in generale, sia da un punto di vista economico che da un punto di vista militare, si contrapporranno scelte in senso socialista e scelte in senso occidentalista in un culla alla bara: ogni momento della vita del cittadino deve essere sostenuto, vigilato e accompagnato dallo stato. Quindi politiche di sostegno alla maternità, istruzione, vaccinazione, sanità, investimenti nell'istruzione, sostegni al lavoro, cassa integrazione, assicurazione contro gli infortuni, sistema pensionistico, cure agli anziani, tempo libero. Dunque ogni aspetto della vita del cittadino deve essere accompagnata e sostenuta dallo Stato, con particolare attenzione alle fasce più deboli. La crescita economica è così forte e l’aumento del lavoro genera anche un aumento di ricchezza, lo stato riesce a reggere questa spesa perché c’è una ricchezza crescente che si va accumulando. Lo stato inoltre deve investire nell’istruzione perché sta crescendo l’economia, servono sempre più lavoratori specializzati, quindi devi preparare, attraverso la scuola, la forza lavoro a un mondo del lavoro sempre più avanzato. Dopo il ’45 c’è un lungo ciclo keynesiano che arriva fino agli anni 70 quindi è richiesto che lo stato in caso di difficoltà sostenga il lavoro con investimenti, lavori pubblici, pagando la cassa integrazione. Per la Golden Age e questa realtà del primo mondo si parla di matrimonio di Adam Smith e John Maynard Keynes: si deve portare avanti l’esigenza del mercato con le ragioni sociale e degli investimenti pubblici. L’Italia ha una particolarità ereditata dal periodo fascista, ovvero è il paese industriale dell’occidente industriale con la più alta presenza dello stato nell’industria. È un capitalismo in cui le economie dei diversi paesi sono sempre più collegate, nasce il mercato comune europeo ed è il capitalismo in cui agiscono in misura crescente le grandi multinazionali, cioè le imprese sono sempre più diffuse in più paesi. A guidare questo processo sono i grandi gruppi americani. Tra il 1950 e il 1970, sull’onda della Golden Age e di questi processi, gli scambi internazionali conoscono una quintuplicazione. L’Italia ♥ Anche per l’Italia intorno al 1950 si può dire completata la ricostruzione. L’alleanza centrista è un’alleanza moderata ma non conservatrice, cioè De Gasperi è un uomo politico che si pone il problema dell’avanzamento sociale del paese e di iniziare a tradurre in realtà i diritti scritti nella costituzione. D’altra parte De Gasperi è portato ad andare in questa direzione seguendo la dottrina sociale della chiesa, a cui si ispira seguendo la tradizione del popolarismo del partito popolare italiano. Inoltre, è spinto in questa direzione anche dalla lotta politica, perché bisogna dare delle risposte a tutta una parte di popolazione, soprattutto a chi sta nella parte bassa della scala sociale affinché questo bacino elettorale non vada tutto a vantaggio dell'opposizione, in particolare delle sinistre. Il centrismo, completata la ricostruzione, realizza alcune riforme significative: nel 1950 viene varata la riforma agraria che interessa soprattutto il mezzogiorno del paese. Una delle caratteristiche dell'Italia era proprio lo squilibrio tra nord e sud, fin dall'Unità il sud era rimasto indietro come parte meno avanzata del paese. I processi di modernizzazione e industrializzazione che si erano svolti nell'Italia unita, a partire soprattutto dagli anni 80 dell'800, erano avvenuti e concentrati in massima parte al Nord, soprattutto nelle regioni di nord Ovest del triangolo industriale. Il sud dall’Unità era sempre stato segnato dal dominio dei latifondisti, dei baroni, i grandi proprietari terrieri. Si stringe un patto tra questi baroni del Sud e alcuni settori del capitalismo settentrionale, il cosiddetto blocco agrario- industriale che regge sia durante l'Italia liberale che fascista. La riforma agraria, anche se limitata per il fatto che vengono distribuite solo le parti meno pregiate dei latifondi, è il primo colpo storico che viene dato al notabilato meridionale. C’è anche la cassa per il mezzogiorno, un istituto pubblico incaricato di costruire una rete infrastrutturale al sud. Il sud era rimasto indietro perché mancava di vie moderne, acquedotti, elettrificazione. La cassa per il mezzogiorno ha delle analogie con la Tennessee Valley Authority dei tempi del New Deal. Quindi c’è proprio l’idea che il mercato da solo non riesce a risolvere certe arretratezze e, dove non arriva il mercato, con i suoi meccanismi più o meno spontanei, deve intervenire la politica. È un disegno di solidarietà nazionale perché queste imprese che devono costruire queste cose sono le imprese del nord; dunque, è una misura pensata anche in una chiave di solidarietà nazionale per rimettere in movimento l’industria settentrionale. L’esperimento ha un primo successo e viene rilanciato: dalla fine degli anni 50 la cassa per il mezzogiorno diventa non solo un’agenzia per creare le infrastrutture di base ma anche piantare l’industria al sud fissando dei poli per lo sviluppo favorendo il fenomeno dell’indotto. Un’altra grande riforma del centrismo è il piano INA-Casa (Istituto Nazionale Assicurazione) con l’idea di dare una casa decente a tutte quelle famiglie che ancora non l’avevano con il sostegno pubblico, cioè un gigantesco piano per rimettere in movimento l'industria edilizia considerando un volano per uno sviluppo complessivo dell'economia. In questo periodo non solo viene lasciata in piedi l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) eredità del fascismo, ma viene creato l’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) il quale grande presidente e manager Enrico Mattei, dirigente democristiano, diventa una sorta di ministro degli Esteri ombra, perché diventa protagonista di tutta una serie di scelte dell'Italia anche sui mercati internazionali, per esempio si mette d'accordo direttamente con gli arabi per comprare il petrolio. Il carattere della Golden Age che alimenta lo sviluppo è il fatto che viviamo in un periodo storico di energia a basso costo, dagli anni 70 poi che si impenna il costo con lo shock petrolifero. Quindi per un paese dipendente che non ha materie prime e il petrolio come l’Italia, gli anni della Golden Age sono anni di particolare condizione favorevole che alimenta lo sviluppo. Il centrismo ottiene dei risultati, accompagna una prima modernizzazione del paese però entra anche precocemente in difficoltà. Questa è un po’ una costante della politica italiana perché c’è una difficoltà politico di accompagnare in modo ordinato la trasformazione economico-sociale. Il centrismo già negli anni 50 è in difficoltà per una serie di fattori: con la riforma agraria la parte più conservatrice della società meridionale che aveva votato DC nel ’48 si distacca da De Gasperi, i liberali legati ai grandi proprietari terrieri sono contro la riforma agraria e quindi c’è una crisi di governo e la DC soprattutto al sud comincia a perdere voti in modo preoccupante. A questo si deve aggiungere la crescita dell’opposizione di sinistra perché ancora nel paese c’è un alto livello di sofferenza sociale. Il centrismo si trova a tenaglia tra destra e sinistra e De Gasperi cerca di blindare questa formula politica rispetto alla quale non vede delle alternative e nelle elezioni del ’53 cerca di blindare il centrismo con una riforma elettorale in senso maggioritario: il partito con la coalizione di partiti apparentati che alle elezioni riusciranno a prendere il 50%+1 dei voti si vedranno assegnato il 65% dei seggi in parlamento per consolidare la maggioranza centrista. Ci sono grandi proteste perché è una riforma esplicitamente tagliata sulle esigenze del centrismo e della maggioranza di governo. La democrazia cristiana con i suoi alleati arriva al 49,85% dei voti, continuano ad esserci dei governi centristi. Per tutti gli anni 50 il centrismo continuerà a essere la formula di governo, ma è un centrismo indebolito che ha dei numeri scarsi in parlamento. C’è in questo contesto il passaggio della DC da De Gasperi che muore nel ’54 a Fanfani che fa diventare la DC quello che sarà chiamato il Partito Stato, il partito che è condannato a governare rispetto agli equilibri della guerra fredda. È un partito che rilancia l’intervento pubblico e da Fanfani in poi la DC diventa un partito che ha in ogni città e circolo la sua sezione. Dagli anni 50 la DC si stabilizza al potere, il centrismo va in crisi ma paradossalmente questo rende ancora più indispensabile il ruolo della DC. In questo contesto di crisi della politica si dispiega il miracolo economico: gli sviluppi dell’età dell’oro, la formazione di un grande mercato europeo, i bassi salari. Tra il ’51 e il ’58 il prodotto interno lordo cresce a una media del 5,3% all'anno; tra il ‘58 e il ’63, che il picco della crescita, il PIL cresce a una media del 6,5% l'anno. Nel censimento del ’51: l'agricoltura 45% della forza lavoro, l'industria 29%. 10 anni dopo l'agricoltura dal 45% è scesa al 30% e l'industria dal 29% al 37%. Quindi è la grande trasformazione, intere zone del paese cambiano e alcune realtà di lunghissimo periodo scompaiono come la mezzadria, questa forma di conduzione della terra molto molto radicata e di lunghissima tradizione, scompare quasi completamente. e molti di questi mezzadri diventano artigiani, piccoli imprenditori, vanno in città ecc. c’è la motorizzazione di massa: dal ‘55 al ‘65 si passa da 18 a 105 automobili ogni mille abitanti. Ci sono però dei contrasti perché se ci si sposta c’è tutta un’Italia che vive ai margini. C’è la grande migrazione interna: buona parte delle famiglie italiane vive oggi dove hanno deciso di vivere i loro genitori e i loro nonni tra gli anni 50 e gli anni 70; tra ‘51 e ‘61 2milioni di persone lasciano il mezzogiorno e inizia lo spopolamento del sud. Tutto questo però avviene con dei costi enormi: sradicamento dalle proprie tradizioni, famiglie separate, fenomeni di alienazione, alcolismo, prostituzione, lo sfruttamento dei migranti. Inoltre, il grande squilibrio di una corsa al benessere di un popolo che aveva conosciuto una lunga miseria, ma tutto squilibrato a favore dei consumi privati. Un nuovo ciclo politico si apre solo all’inizio degli anni 60: il centro sinistra. Il centro sinistra è il tentativo di costruire una nuova alleanza progressista in grado di dare delle risposte valide a un paese che si sta trasformando e che ha bisogno di una politica in grado di guidare tutto questo. Il centrosinistra si può fare all'inizio degli anni 60, nonostante ci sia la guerra fredda, per una serie di fattori: il partito socialista si è staccato dal partito comunista, ha lasciato l'osservanza filosovietica e diventa un possibile partner di governo. Il tornante è il ’56 dove nella sinistra italiana si prendono due strade diverse: il partito comunista appoggia l’Unione Sovietica al tempo dell'invasione dell'Ungheria, mentre i socialisti criticano fortemente l'Unione Sovietica e si rompe l’unità d’azione. Il partito socialista italiano inizia un cammino di inserimento nella sinistra occidentale, nella socialdemocrazia. Si arriva nel 1960, in pieno boom, l'anno delle Olimpiadi di Roma, alla crisi del governo Tambroni, cioè la parte conservatrice della DC forma un governo che addirittura fa l'alleanza con i neofascisti pur di non aprire al partito socialista, un estremo tentativo conservatore per bloccare l'apertura a sinistra. La situazione diventa esplosiva a Genova anche perché il governo dà il permesso al movimento sociale, il partito neofascista, di fare il suo congresso nazionale e c’è quasi un’insurrezione. Finito il governo Tambroni perché di fronte alle resistenze popolari che si determina la DC fa un passo indietro e ricevono il via libera nel partito quei settori aperti alle trasformazioni del centrosinistra. Parte, dunque, un ciclo riformatore: la creazione del dell'ente nazionale per l'energia elettrica, l’ ENEL , per completare l'elettrificazione del paese; la riforma della scuola media unificata per le questioni di giustizia sociale. Il centrosinistra avvia tutta una serie di riforme, ma poi già la metà degli anni 60 si blocca precocemente e questo spiega anche il carattere esplosivo del ‘68 italiano. L’integrazione europea. Il 1968 e la contestazione globale proprio per fronteggiare la crisi di Bretton Woods, la crisi del dollaro e gli shock petroliferi (al primo shock petrolifero del ‘73 c'è un secondo gravissimo shock petrolifero nel ‘79 legato alla rivoluzione iraniana) i paesi della CEE creano il sistema monetario europeo. È una storia in cui prevale il funzionalismo, il momento economico. Dopo il fallimento della CED, il momento politico incontra delle fortissime difficoltà, lo Stato nazione tende a difendere le sue prerogative. Il caso più eclatante è quello della Francia della Quinta Repubblica, la Francia di De Gaulle: dopo la Seconda guerra mondiale, in polemica con i partiti che fondano la quarta Repubblica, lascia la scena politica, ma nel ’57-‘58 viene richiamato in politica dai partiti stessi perché la Francia è precipitata in una gravissima crisi legata alla guerra d'Algeria. Nel ’58, i settori più oltranzisti dell'esercito e i coloni francesi che stanno in Algeria, che non vogliono dialogare col fronte di liberazione nazionale algerino, progettano di fare un colpo di Stato per prendere il potere a Parigi. De Gaulle viene richiamato e si rende conto che il tempo del vecchio colonialismo è finito, che bisogna andar via dall'Algeria e quindi inizia le trattative che poi porteranno nel ‘62 a chiudere questa guerra e attua contestualmente una grande riforma istituzionale che fonda la cosiddetta Quinta Repubblica, che è la forma istituzionale della Francia di oggi, una Repubblica presidenziale. Traccia da Repubblica parlamentare e diciamo diventa una Repubblica presidenziale. De Gaulle mentre combatte queste complicate battaglie politiche istituzionali, si impegna anche sul fronte europeo e vede proprio nella dimensione europea la nuova chiave per difendere la grandezza francese perchè deve dimostrare di essere il paese guida della nuova Europa unita. Questo è un intreccio molto particolare tra europeismo e nazionalismo, cioè è un europeismo che convive però con un'idea sempre molto forte dello Stato nazionale e delle sue erogative, quindi in qualche modo è una rielaborazione della grandeur (grander). La Francia troverà una nuova grande stagione di forza e autorevolezza attraverso l’Europa, quindi l’Europa come uno strumento delle nazioni e degli stati nazionali. De Gaulle in questo periodo dota la Francia di un arsenale nucleare. In questo contesto c'è una vicenda particolare che è l'opposizione di De Gaulle all'entrata della Gran Bretagna nella CEE : la Gran Bretagna non è entrata nella CEE nel ‘57 ha alle spalle il Commonwealth, ha tutta la sua dimensione imperiale, delle relazioni commerciali preferenziali con grandi paesi come l'India, un'area della sterlina e ha un rapporto preferenziale con gli Stati Uniti. La Gran Bretagna risponde alla CEE creando l'EFTA, la European Free Trade Association, una sorta di contraltare alla CEE alleata con paesi come la Danimarca. Negli anni 60 però è tale la forza, la crescita dei numeri della CEE mentre invece di una Gran Bretagna fatica molto da un punto di vista economico e così i britannici fanno domanda per entrare nella CEE, ma c’è il veto di De Gaulle e blocca l’entrata della Gran Bretagna che ritiene il cavallo di troia degli interessi americani. L’Europa nasce su impulso anche americano però poi sviluppandosi col tempo diventa un concorrente degli Stati Uniti. La situazione si sbocca con l’uscita di scena di De Gaulle negli anni 70, nel ’73 (anno dello shock petrolifero) la Gran Bretagna entra nella Comunità Economica Europea insieme all’Irlanda e alla Danimarca. Negli anni 80 ci sarà un ulteriore allargamento con l'entrata della Grecia, del Portogallo e della Spagna, 3 paesi dell’Europa meridionale che escono dalla dittatura e, nel momento in cui si mettono sulla strada della democrazia, chiedono e ottengono di entrare nella Comunità economica europea. Questo inizia a creare anche una forte valenza politica della comunità perché, nonostante sia un grande mercato, inizia a porsi come un’area della democrazia. Nel ’79 è stato creato il sistema monetario europeo, nell ’85 ci sono gli accordi di Shengen sul definitivo abbattimento di ogni limite nella circolazione delle persone, cioè prende corpo l'idea di un modello dell'Europa comunitaria senza confini in cui con la carta d'identità si può viaggiare da un paese all'altro senza subire controlli alla frontiera. Nell ’86 c’è l’approvazione dell’Atto Unico Europeo che è un unico dispositivo che unisce il momento economico e il momento politico e si stabilisce che entro il ’92 saranno tolte tutte le residue barriere e poi che nel consiglio europeo dei ministri il voto sarà a maggioranza qualificata. Questa è una svolta politica perché con il veto non c’è bisogno di coordinarsi con gli altri paesi, ma nel momento in cui il voto diventa a maggioranza qualificata si è costretti a coordinarsi con gli altri paesi per non trovarsi isolati e subire le decisioni. Con la fine della guerra fredda l'Europa ritrova una sua autonomia, è messa di fronte alle sue responsabilità. Non è un caso che nell ’89-’91 c’è il crollo del muro di Berlino e la fine dell'URSS; nel ‘92 viene firmato il Trattato di Maastricht che unisce e costituisce l'Unione europea , la CEE diventa Unione europea e si trova dinanzi alle sfide della globalizzazione con il tentativo di introdurre una politica estera e della sicurezza comune e l'impegno di creare una Banca centrale europea ed emettere una moneta unica. Il ’68 è un anno spartiacque . Nel periodo 1945-1991, il periodo della guerra fredda, in questi 46 anni il ’68 cade nel 23° anno, esattamente a metà quindi divide in due il lungo dopoguerra. È un anno fondamentale per tutta una serie di motivi: è un anno in cui si accende una mobilitazione globale di studenti che è rivelatrice di una interdipendenza globale avanzata. Nel ’68, negli studenti che scesero in piazza che si mobilitarono sono rappresentati tutti i 5 continenti, quindi è una mobilitazione globale che fa capire anche il livello di interdipendenza. Stiamo entrando nell'era televisiva, della comunicazione rapida, dove circolano velocemente le notizie e le immagini, quindi se c'è stata una protesta in Europa i coetanei che sono negli Stati Uniti lo apprendono in modo rapido e già dopo poche ore possono scendere in piazza e riecheggiare gli slogan che hanno sentito in Europa cercando dei collegamenti con la protesta. C’è una rinnovata coscienza di essere cittadini del mondo. Il ’68 è uno spartiacque della storia contemporanea. Un grosso catalizzatore nelle proteste studentesche e non solo è la guerra in Vietnam. Gli slogan sul Vietnam, che è una guerra che si sta sviluppando nella seconda metà degli anni 60, è un qualcosa che si trova nelle manifestazioni di moltissimi paesi ed è un protesta che inizia nelle università americane prima del ’68: già nel ’64 c’è una forte protesta nelle università americane con gli studenti che si chiedono perché devono partire e andare lì, qual è la natura di questa guerra. Dunque c’è una forte protesta nei campus universitari contro la guerra in Vietnam che prosegue negli anni successivi. Trova una nuova esplosione nel 1968 perché il ’68 inizia con la “offensiva del Tet”, cioè il Tet è il Capodanno buddista, quindi una festività molto sentita dai vietnamiti, mentre si festeggia in Vietnam il movimento guerrigliero Vietcong nel Vietnam del Sud, lancia degli attacchi molto forti contro tutte le installazioni militari americane. Si combatte anche nelle città, non solo nelle campagne. Il movimento Vietcong dà un fortissimo segno di vitalità perchè nonostante l’intervento militare americano, le repressioni e tutto quello che è accaduto negli anni precedenti, i vietcong dimostrano di essere ben vivi e operanti. Gli americani poi riescono con il loro strapotere militare a soffocare questa azione, però, l'effetto soprattutto sull'opinione pubblica americana è scioccante perché fino a quel momento i mezzi di informazione americani continuavano a dire che la guerra sta andando bene, stanno vincendo, stanno raggiungendo i nostri obiettivi, stanno per sgominare la guerriglia. Invece il Tet dimostra che i vietnamiti sono determinati a resistere e che la guerra non è una cosa che si sta risolvendo facilmente. È un vero shock: il Presidente Johnson, che era succeduto a Kennedy, ammette pubblicamente che le cose non stanno andando bene e il colpo è così forte che lui rinuncia a candidarsi alle elezioni per la Casa Bianca che si terranno nei mesi seguenti. Il ‘68 è un anno elettorale. Mentre accade questo, la protesta sul Vietnam si accende a livello globale. In Giappone gli studenti si mettono sui binari per impedire che partano i carichi di armi e rifornimenti per le truppe americane in Vietnam. Inizia un anno drammatico in cui la mobilitazione si trasferisce da un paese all’altro, l’incendio si propaga rapidamente in varie parti del mondo. Ad esempio, in maggio scoppia una clamorosa guerriglia urbana a Parigi con gli studenti sulle barricate a cui interviene anche l’esercito. Anche in Italia ci sono gli scontri di Valle Giulia a Roma e delle università sono occupate. Quindi è un fatto europeo ma non solo. Inizia un anno drammatico innanzitutto per l’America che si trova al centro della contestazione ma è anche il centro della contestazione perché sono i giovani americani i primi a scendere in piazza contro il loro sistema chiedendo un cambiamento. Inizia una campagna elettorale drammatica nel corso della quale viene assassinato Martin Luther King, il leader del movimento dell’emancipazione degli afroamericani, quindi la protesta contro la guerra si salda alla protesta contro le discriminazioni perduranti ai danni dei neri, contro il segregazionismo che permane in alcuni Stati del Sud, contro le ingiustizie perché di questi militari che vengono mandati a combattere in Vietnam, una buona parte sono neri e poveri, dato che chi può pagarsi l'università, chi sta nella parte alta della società trova tanti modi per non partire, per eludere la chiamata ed è proprio la parte più povera della società e più svantaggiata che si trova a combattere nella boscaglia nella giungla vietnamita. Infatti scoppiano anche disordini nei quartieri neri. Nell’esercito, ad esempio, l'approvvigionamento di sangue dei feriti seguiva le regole razziali: se sei bianco prendi il sangue dai bianchi, se sei nero prendi il sangue dai neri. Quindi è un’America che protesta rispetto alla propria storia e al proprio passato, come accade in altri paesi. In Italia i giovani protestano dicendo non hanno fatto fino in fondo i conti con il fascismo, sono ancora una società molto autoritaria, non si sono fatti un'autocritica. I giovani tedeschi della Germania Ovest protestano perché delle persone che hanno fatto carriera durante il nazismo sono ai vertici dell'industria e della burocrazia: l'idea della denazificazione che non è stata condotta. Quindi è anche un rapporto critico con il proprio passato ed è una critica fortissima all'ottimismo della Golden age, poiché non basta il benessere materiale, ma questi giovani vogliono anche altre cose. Però la generazione più anziana li accusa e dice che possono permettersi di protestare perché stanno bene essendo figli del benessere e hanno il tempo per protestare e fare ideologia, ma se dovessero lavorare duramente come hanno fatto loro, che magari non hanno potuto studiare, non farebbero tutte queste storie. Si crea un dialogo traumatico tra le generazioni. Il progresso genera sempre delle contraddizioni e dei problemi. Il cambiamento, anche se complessivamente lo vediamo come un cambiamento positivo, non risolve di per sé problemi o meglio ne risolve alcuni, ma ne crea altri. Successivamente alla morte di King, viene assassinato Robert Kennedy, che fa la stessa drammatica fine del fratello che era stato ucciso a Dallas nel ‘63. Robert Kennedy che sta quasi certamente per ottenere la nomination democratica ed è in prima fila per vincere le elezioni, viene eliminato in circostanze che non saranno mai del tutto del tutto chiarite. Robert Kennedy era un sostenitore del dialogo con i giovani. In un suo discorso del 1966 Kennedy disse: ”mentre parlo con i giovani di tutto il mondo, non sono impressionato dalla in Congo andava a studiare in Belgio, chi stava in Senegal andava a studiare in Francia, chi stava in Kenya andava a studiare in Inghilterra, invece con l'indipendenza questi paesi creano una loro rete universitaria nel paese, non si era più costretti ad andare all'estero. È qui che però si crea la contraddizione, perché questi giovani iniziano a dire ai padri dell'indipendenza il perché avevano detto che avrebbero fatto determinate cose e non l’avete fatto? Perché le nostre università continuano a essere università di serie B? Perché non ci sono determinati servizi? Quindi un conto era che si andava a studiare fuori e si tornava già formati come classe dirigente, un altro era che tu, giovane, ti formi nel tuo paese insieme ad altri giovani e allora si crea la miscela della contestazione, dell'azione sul territorio e allora il cattivo non è più solo il colonialista, ma inizia a esserci la contestazione anche ai propri padri, ai dirigenti politici locali. Si inizia a dire tutto quello che sta accadendo non è solo colpa del colonialismo, non è solo colpa delle multinazionali che sono rimaste, non è solo colpa dell'interferenza delle superpotenze, ci sono anche delle colpe nostre e su questo dobbiamo agire. Questa è la dialettica che si mette in movimento. La cosa importante del ‘68 è che in tutto il mondo, in circostanze e diversi, scatta una sorta di contestazione globale contemporanea, c’è un'irrequietezza generale che fa capire come anche tutte le diverse situazioni siano collegate. I giovani occidentali vedono la protesta dei giovani che stanno nel mondo ex coloniale e cercano di collegarsi con essa. In Occidente molti dicono che il futuro dell'umanità è in questi paesi, mentre noi siamo dei paesi con un sistema che ormai si è incancrenito, siamo troppo legati ai nostri privilegi. L'umanità potrà ripartire, potrà costruire delle basi più giuste ascoltando i giovani di questi paesi in via di sviluppo e c’è il cosiddetto terzomondismo . L'elemento unificante fondamentale del mezzo di comunicazione è la televisione. Un esempio è che nel 1968 si accende anche il Messico. (Lì ci sono i fatti di piazza Tlatelolco che è una specie di Tienanmen anticipato, dove ci sono giovani accampati nella piazza e l’intervento dell'esercito con moltissimi morti.) Ci sono le Olimpiadi a Città del Messico, nel 1970 mettono in cantiere i mondiali di calcio. Il governo che c'è lì vede questi grandi eventi come una vetrina per mostrare il Messico al mondo e la forza del governo. I giovani invece si mettono contro questo progetto dicono che se loro vogliono usare la televisione per farsi pubblicità, allora la televisione cercheranno di usarla anche i giovani. C’è una mobilitazione straordinaria perché gli studenti sanno che ci sono in quel momento giornalisti televisivi, altri mezzi d’informazioni, tutto il mondo che sono venuti in Messico per documentare le Olimpiadi e quindi cominciano a farsi intervistare, a mettersi davanti alle telecamere, ad occupare dei luoghi vicino agli stadi per attirare l'attenzione dei giornalisti. Il regime si mette paura perché vede che queste immagini vanno in mondovisione e capiscono che questo fatto delle Olimpiadi può diventare un effetto boomerang clamoroso e c’è la decisione drammatica della repressione. Quello che accade in un paese condiziona il dibattito pubblico negli altri perché siamo sempre più collegati. La protesta sul Vietnam è molto forte, perché questa guerra entra nelle case degli americani attraverso la televisione e grazie alla forza delle immagini. Nel ’68 non sono tanto i giovani che portano il cambiamento, non sono tanto i giovani che facevano la rivoluzione, ma il comportamento di quei giovani spiegava la rivoluzione che stava cambiando tutto il mondo, una rivoluzione tecnologica, sociale, economica, culturale. Quei giovani diventavano proprio l'emblema, il segno visibile dei cambiamenti e dell'interdipendenza. Per questo poi, dopo il ’68 vediamo le cose in modo diverso. C'è un prima e un dopo. Negli anni 70 l'umanità è cambiata, il dibattito pubblico è cambiato, la percezione collettiva è cambiata. C'è un grande sfondamento e partono poi le nuove culture, pacifismo, antinucleari e diritti umani, ambientalismo. L'idea che bisogna superare la guerra fredda. Meno spazio agli stadi, più spazi alla società civile, quell'idea di cittadinanza della globalizzazione che poi si affermerà ancora di più negli anni 90. Ma tutto questo ha il suo tornante, la sua esplosione, la sua rivelazione in questo ‘68 al centro della guerra fredda. Il mondo degli anni 70-80 è un mondo diverso dalla prima fase della guerra fredda ed è un mondo in cui la sensibilità è molto più vicina a quella nostra di oggi perchè parte quella generazione che iniziamo a sentire molto più vicina a noi. La terza rivoluzione industriale e la globalizzazione La terza rivoluzione si afferma a partire dagli anni 70 ed è la base tecnologica su cui riposa la globalizzazione. Questa terza rivoluzione industriale si manifesta nel momento in cui finisce la Golden Age che va da Bretton Woods ai primi anni 70. Le due date che mettono in crisi il sistema di Bretton Woods sono: nel ’71 quando Nixon sospende la convertibilità del dollaro in oro e nel ’73 con lo shock petrolifero legato alla guerra del Kippur (la 4° guerra arabo-israeliana in cui i paesi dell’OPEC, l'organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, per rappresaglia contro l'appoggio occidentale a Israele decidono di punto in bianco di quadruplicare il prezzo del petrolio che crea lo shock petrolifero). Negli anni 70 il sistema della Golden Age era un sistema caratterizzato dall'energia a buon mercato e, nel momento in cui il prezzo si impenna in questo modo, tutto il sistema economico subisce degli scompigli, soprattutto i paesi più dipendenti come l'Italia. Nel ’79 ci sarà un secondo shock petrolifero ancora più forte legato alla rivoluzione iraniana. Tutto questo inaugura una fase in cui la crescita non è più un qualcosa di scontato e senza limiti e iniziano dei fenomeni economici preoccupanti. La formula che più sintetizza l’incertezza e la preoccupazione di questi anni è l’espressione stagflazione, ovvero fino agli anni 70 nei periodi di stagnazione l'andamento era stato deflattivo e nei periodi di crescita c'era stato sempre un certo tasso di inflazione, invece adesso abbiamo i due fenomeni che coesistono, c'è la stagnazione e c'è l'inflazione. Questo termine simboleggia l'entrata in una nuova fase. Anche perché in passato quando c’era la stagnazione i governi tagliavano le spese. Adesso invece, siccome nei decenni precedenti è stato costruito lo Stato sociale, il welfare state, lo Stato si è impegnato a costruire e gestire un sistema pensionistico, a pagare la cassa integrazione a chi rimane disoccupato, finanzia largamente il sistema scolastico, è stato creato il sistema sanitario, quindi lo Stato, nel nome di quel matrimonio tra Adam Smith e Keynes, si è impegnato stabilmente a finanziare il welfare state. Dunque in periodi di crisi la spesa pubblica aumenta perché cresce il numero delle persone che non ce la fanno e che devi assistere. Quindi contrariamente al passato, ci sono stagnazione, crisi, ma la spesa pubblica che aumenta e quindi stagnazione e inflazione. C'è un po’ la fine di quello che è stato il lungo ciclo keynesiano, partito dagli anni 30 con l'intervento straordinario, c’è una crisi generale del welfare state e in alcuni paesi, soprattutto alla fine degli anni 70, le spese del welfare si sono fatte insostenibili. Parte un'ondata di tagli al welfare e si afferma la nuova filosofia del neoliberismo: più spazio al mercato, meno intervento dello Stato, si inizia a criticare l'eccessivo assistenzialismo che non fa ripartire l'economia. Si afferma questa nuova linea non più keynesiana ma anzi di rinnovato spazio al mercato. Se c'è una crisi e un'impresa è stata gestita male, è giusto anche che fallisca, lo Stato non deve sempre intervenire e metterci i soldi, anzi è meglio tagliare i rami secchi, abbassare le tasse per far aumentare i consumi. Si afferma dunque questa nuova filosofia che chiude questo lungo ciclo keynesiano, che caratterizza poi lo scenario dagli anni 80, in campo economico si afferma il monetarismo. Le due figure simbolo di questa nuova stagione di pensiero economico sociale sono in Europa: il Primo Ministro britannico Margaret Thatcher, e in America il Presidente Ronald Reagan, (presidente dall’81 all’89). Quindi c’è la fine della Golden age e l’apertura di questa nuova fase. La fine della Golden age viene vista da molti come l'inizio di una grave crisi del sistema americano, cioè la Golden Age non funziona più in primo luogo perché l'America non riesce più a svolgere il suo ruolo guida, l'America è in crisi. Nel ‘74 scoppia il gravissimo scandalo del Watergate che travolge Nixon, una vicenda di intercettazioni illegali nel comitato elettorale del Partito democratico, rivale del partito repubblicano di Nixon. Le indagini rivelano che c'è un coinvolgimento dello staff presidenziale. Nixon cerca di insabbiare in qualche modo le indagini, ma quando capisce che ormai sta per scattare la procedura di impeachment, cioè di messa sotto accusa da parte del Congresso nei suoi confronti, lascia la Casa Bianca al vice Ford, quindi. È un fatto molto grave che scuote la fiducia degli americani del sistema politica, inizia a peggiorare la condizione della classe media americana. A questo si aggiunge in trauma del Vietnam, Nixon è il presidente che ha tirato fuori l’America dal Vietnam. Ha vinto le elezioni nel ’68 promettendo che gli americani avrebbero trovato la via per lasciare il Vietnam. Quindi all'inizio degli anni 70 ha prodotto un clamoroso riavvicinamento con la Cina comunista, per alleggerire il problema del sud-est asiatico. Nel ‘73 è stato raggiunto l'accordo per il ritiro delle truppe americane . L'aspirazione di Nixon è quella di un'uscita dell'America il più onorevole possibile, ma in realtà le cose non vanno così perché il Vietnam del Sud si rivela incapace di reggersi sulle sue gambe senza il sostegno militare americano e già nel ‘75 le truppe nordvietnamite entrano a Saigon e riunificando il paese, quindi vincono i comunisti e unificano il Vietnam. La speranza americana di poter tenere a distanza in piedi il Vietnam del Sud e salvare un pochino qualcosa del Containment è resa vana anche dalle immagini dei militari e diplomatici americani che fuggono sul tetto dell'ambasciata a Saigon con gli elicotteri, che suonano un po’ come una grave crisi anche della politica estera, della credibilità del Containment. Alla metà degli anni 70 c'è tutta una pubblicistica che già parla dell'inevitabile declino americano e all'epoca sembra quasi imminente la perdita da parte degli americani del primo posto dell'economia mondiale. C’è l'economia giapponese che si è insediata al secondo posto che già primeggia in alcuni settori del futuro, come la robotica, e già si parla che nel giro di alcuni anni ci sarà il sorpasso giapponese agli Stati Uniti. Gli Stati Uniti però non erano davvero così in crisi come si diceva all'epoca, ma anzi tra le superpotenze della guerra fredda quella che stava cadendo in una crisi gravissima era l'Unione Sovietica. Questo perché stava partendo quella grande trasformazione, che poi sarà chiamata terza rivoluzione industriale: una trasformazione tecnologica che è alla base di una nuova fase del capitalismo ovvero il capitalismo finanziario globalizzato, il capitalismo dell'età della globalizzazione. In questa fase l'America avrebbe continuato a svolgere un ruolo motore. Dagli anni 70 fino ai primi anni 2000 l'America ha continuato a essere un motore assolutamente centrale del capitalismo che si andava a globalizzando; quindi, il pessimismo degli anni 70 era eccessivo. C’è questo fenomeno della terza rivoluzione industriale e tecnologica. Come accade in ogni rivoluzione industriale, c’è il declino di alcuni settori tradizionali, il sorgere di altri che a un certo punto acquistano una centralità e l'innovazione cruciale che caratterizza questa nuova fase è l' informatica . È tutta una serie di servizi di base, il design, la pubblicità ecc li mantieni nella madrepatria, ma le scarpe materialmente le vai a produrre in Indonesia, a Taiwan, in Cina, in posti dove ti costa 1/3, 1/4, 1/5. E con i progressi del sistema di trasporto mondiale si può spostare le merci da un punto all'altro del pianeta a un costo molto minore rispetto a una volta. In questo l'informatica è la base, perché questo tipo di organizzazione del lavoro senza l'informatica, senza i computer, senza la rete non sarebbe gestibile. La rete rende tecnicamente possibile tutto questo. Per molti versi gli scenari e problemi del mondo di oggi sono figli di situazioni scelte negli anni 70. In questo nuovo capitalismo a rete che va prendendo corpo, ci sono una serie di fenomeni significati, come ad esempio quello che alcuni studiosi definiscono il passaggio dalle multinazionali alle transnazionali. Transnazionali perché il capitalismo si sta così globalizzando che a un certo punto queste imprese si svincolano dallo stato originario di partenza, cioè le loro scelte iniziando a essere a prescindere da quella che era la loro culla originaria diventando veramente delle imprese globali. Mentre fino ad una certa data le multinazionali hanno un legame forte nazionale con la base di partenza e c'è anche l'idea che siano ambasciatrici e sostenitrici di un interesse nazionale, nel nuovo capitalismo globalizzato, l’impresa transnazionale perde questa missione, diventa un'impresa globale che insegue semplicemente il massimo profitto possibile nelle diverse circostanze. In questo processo di deindustrializzazione che tocca l'Occidente alcuni luoghi si devono completamente reinventare. In Italia è molto significativo il caso di Torino. Torino è la città che periodicamente deve cambiare pelle: originalmente città militare, poi grande capitale, città amministrativa e burocratica, poi perde lo status di capitale col Regno d'Italia ma diventa una grande città industriale, la sede delle produzioni più avanzate. Dagli anni 70 con la deindustrializzazione oggi Torino è città dei servizi, dei musei, dell'archeologia industriale, è una città che si è dovuta reinventare perché intere catene di montaggio non sono più funzionanti lì. È cambiato completamente il modo di organizzazione della vita economica e sociale urbana. Questi grandi processi di trasformazione impongono molte sfide e la nascita quindi di una moderna società dei servizi e post-industriale in Occidente. Invece in Oriente, dagli anni 70, ci sono milioni e milioni di persone che entrano in fabbrica. Mentre in Occidente la classe operaia perde peso, centralità, in Oriente invece milioni di persone fanno l'esperienza della vita di fabbrica, si trasferiscono dalle campagne. Parliamo di numeri imponenti, anche perché ragioniamo di una umanità che è in una fase di intensa crescita demografica, soprattutto nel sud del mondo in Asia. Mentre in Occidente abbiamo una stagnazione demografica, cala il peso demografico dell'Occidente rispetto al complesso dell'umanità, invece c’è il boom demografico perdurante del Sud del mondo e delle dell'Asia. C’è uno spostamento del baricentro produttivo mondiale per cui l'asse produttivo mondiale non è più lungo l'Atlantico come nel 900, ma adesso invece l'asse diventa quello del Pacifico, attorno a cui ruotano in particolare gli americani e i cinesi. L’asse dell’economia mondiale si sposta dall’Atlantico al Pacifico. Dal 1973 al 2015 il prodotto interno lordo mondiale annuo quadruplica. Nel 1973 l’Occidente (con il Giappone) detiene il 59,5% del PIL mondiale, mentre l’Asia ha il 15%. Nel 2015 l’Occidente dal 60% è sceso al 38%, mentre l’Asia dal 15% è salita a oltre il 45%: c’è stato il sorpasso storico, ovvero la quota di PIL mondiale detenuta dall’Asia ha superato quella detenuta dall’Occidente. In questo soprasso storico il motore trainante è la Cina che dagli anni 70 conosce un boom produttivo impressionante. La quota che aveva la Cina di PIL mondiale nel 1973 era il 3,7%, nel 2015 è diventato il 22,8%. Un’altra cesura importante degli anni 70 è l’inserimento della Cina nel mercato mondiale. La globalizzazione della Golden Age a guida americana è stata una globalizzazione in cui intere aree venivano escluse, quindi non è ancora una globalizzazione piena. La Cina per 30 anni dopo la rivoluzione rimane fuori dal mercato mondiale. L’ingresso pieno della Cina in tempi rapidi, a tappe forzate, nel mercato mondiale è una cosa epocale. Negli anni 70 c’è anche l’entrata piena nel mercato mondiale di tutta una serie di paesi asiatici emergenti, le cosiddette TIGRI (Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Hong Kong, ecc). Negli anni 70 sembra che in alcune parti del mondo stia prevalendo il comunismo (la riunificazione del Vietnam nel ’75), ma in realtà questi paesi abbandonano le loro ispirazioni di economie controllate dallo stato e cercano di inserirsi nel mercato mondiale. Il Vietnam diventa un’economia emergente perché col bassissimo costo del lavoro, attira investimenti e quindi impianta un'industria collegata al mercato mondiale. Dagli anni 70 si prepara la globalizzazione senza barriere come l’abbiamo conosciuta fino a oggi. Gli anni 70 sono anni in cui quello che funzionava e valeva prima, a un certo punto, sembra non valere più e questo vale sia per l’occidente (capitalista) che per l’oriente (comunista). Nel mondo occidentale non funzionano più i meccanismi della Golden Age, non funziona più il paradigma che keynesiano dell'intervento pubblico perché il welfare state si rivela insostenibile, nel matrimonio tra Adam Smith e John Keynes si dice che Smith deve prendere il sopravvento per le ragioni del mercato, quindi quel particolare modo in cui era stata gestita l'economia occidentale fino a quel momento non va più bene, l'economia occidentale si deve riorganizzare. Anche i paesi comunisti conoscono una crisi epocale. Quello che va in crisi nei paesi comunisti è il modello della cosiddetta “economia di comando”, ovvero: io dall'alto con i piani quinquennali decido che tipo di modernizzazione voglio, cosa voglio produrre, dove, in che misura, con quali forze. Questa economia di comando viene sperimentata anche negli altri paesi che diventano socialisti come l’Europa orientale e la Cina. Questo tipo di economia in qualche modo durante la Golden Age ha funzionato perchè nei paesi socialisti c'è stata una crescita del benessere, mentre ora va in crisi. Questa economia ha funzionato quando si trattava di far entrare questi paesi nella modernità e quindi passare dalla campagna alla città, costruire la grande industria fordista, costruire un'industria pesante, essere all'altezza in alcuni settori strategici come il settore degli armamenti. Per queste cose l'economia di comando è riuscita in qualche modo a modernizzare e a trasformare questi paesi, ma negli anni 70 tutto questo va in crisi. L’economia di comando ha funzionato per la prima modernizzazione di base, ma di fronte alle sfide della terza rivoluzione industriale segna il passo. Mentre l'Unione sovietica perde completamente il treno della terza rivoluzione industriale, perchè negli anni 70 non inizia a costruire i computer, non c'è una capacità trainante dell'informatica e l'industria sovietica rimane l'industria come era prima, non si trasforma fino agli anni 80 quando capisce che rispetto all'Occidente si sta accumulando un divario enorme. Di fronte a questo immobilismo sovietico, perché si deve aspettare l’85 perché arrivi Gorbaciov a cercare di fare delle cose, invece la Cina già negli anni 70, dopo la morte di Mao nel ’76, lancia la politica delle quattro modernizzazioni con Deng Xiaoping e inizia quel processo di immissione nel mercato mondiale. La Cina si apre all'esterno, si apre ai capitali stranieri, alle imprese straniere, fa venire le imprese straniere in Cina cercando poi di carpirne la tecnologia e quindi non perde il treno della terza rivoluzione aprendo al capitalismo. Il partito comunista cinese dà la sua benedizione alle grandi imprese capitalistiche straniere che vengono a investire in Cina, perché questo funziona per realizzare lo sviluppo. Quando si parla di questo passaggio da un'economia di comando controllata dall'alto, tutta nazionalizzata, a un'economia invece capitalistica, Xiaoping dice che non importa che il gatto sia grigio o nero, ma l'importante è che sappia prendere il topo, ovvero se il vecchio sistema non funziona più e devo cambiare il colore del gatto, basta che il gatto faccia il suo lavoro. Nel momento in cui vincono i comunisti in Cina, il punto di riferimento fondamentale è l'Unione Sovietica di Stalin perché ha dimostrato che un paese sotto la guida dei comunisti può diventare una potenza industriale. Il modello che viene seguito dai cinesi è il modello dell'Unione sovietica di Stalin, ovvero: piani quinquennali, economia di comando, nazionalizzazioni; anche se rispetto a Stalin, i cinesi in una prima fase sono più moderati, cioè non fanno una collettivizzazione integrale, distribuiscono anzi la terra alle famiglie contadine. Questo è uno dei motivi del consenso che hanno i comunisti, soprattutto fino a una certa data, perché danno la terra ai contadini e non li costringono a coltivarla collettivamente. Negli anni 50 c'è quello che gli storici hanno chiamato il Piano Marshall sovietico per la Cina, cioè: c'è una prima modernizzazione cinese, la costruzione di una industria di base, la prima modernizzazione dell'agricoltura attraverso la tecnologia, esperti sovietici e sostegno sovietico a tutti i livelli, quindi l'Unione Sovietica è impegnata in questo primo sforzo di modernizzazione cinese. Quando arriva a Krusciov che fa la destalinizzazione, togliendo Stalin dal piedistallo nel ’56, questo non piace affatto ai cinesi perché per loro è un rinnegare il modello che ha dato forza e prestigio al mondo comunista. Di fatto nell'URSS di Krusciov tra fine anni 50 e inizio anni 60, ci sono delle aperture liberali, si cerca di fare alcune riforme economiche e di dare maggiore spazio ai consumi, c’è maggiore libertà di espressione a livello di stampa intellettuali, un'apertura anche all'estero, il dialogo con gli Stati Uniti e con l’Occidente. Mentre Krusciov cerca di fare questo, la Cina piomba in una fase di fortissimo radicalismo sotto la guida di Mao, con l'obiettivo di costruire il comunismo in tempi rapidissimi. La moderazione che hanno avuto i comunisti cinesi nei primi anni dopo la rivoluzione, dopo il primo decennio più moderato, lascia il posto invece a una stagione di estremo radicalismo che porta a due grandi esperimenti che avranno un costo umano terribile: il grande balzo in avanti e la rivoluzione culturale. I contadini sono costretti a entrare nelle cooperative che si fondono nelle comuni popolari. Le comuni popolari del ‘58 sono le protagoniste di quello che viene chiamato il grande balzo in avanti, ovvero un piano di sviluppo economico a tappe forzate che ha l’ambizione di superare i ritmi di incremento dell'URSS di Stalin degli anni 30. In realtà il grande balzo in avanti si risolve in un catastrofico fallimento con milioni di morti, perché a un certo punto alcune scelte che vengono fatte in campo agricolo anziché far aumentare la produzione portano a dei raccolti disastrosi. Ad esempio, il voler piantare i semi molto più vicini l'uno all'altro per realizzare un raccolto maggiore, in realtà provoca la morte della maggior parte di questi semi e dei cattivi raccolti che riducono letteralmente alla fame il popolo cinese con fenomeni di cannibalismo. Inoltre c’è tutto un meccanismo terribile per cui i funzionari di partite a livello locale, temendo di cadere in disgrazia, di passare per sabotatori, non informano i responsabili più in alto che le cose stanno andando male e così chi sta a Pechino pensa che le cose stiano andando bene quando in realtà la gente sta morendo di fame. Quindi quel tipo di meccanismo di controllo e di organizzazione impedisce anche di intervenire tempestivamente nelle zone dove la situazione alimentare si è fatta più grave. È una politica che viene fatta in aperta rottura con l'Unione sovietica; infatti, c'è questo fatto clamoroso nel mondo comunista negli anni 60 e 70, che i due grandi colossi del mondo comunista non si parlano più, c'è la rottura tra sovietici e cinesi. e stimolare l'innovazione. Quindi Krusciov cerca di fare una serie di riforme, però sostanzialmente queste riforme segnano un po’ il passo e la loro riuscita è molto parziale. Fondamentalmente l'Unione Sovietica rimane legata al modello che le ha dato Stalin, quindi un grande colosso industriale militare con un sistema però squilibrato che non riesce complessivamente realizzare uno sviluppo equilibrato e che tenga conto anche di tutta una serie di esigenze di vita. Quindi magari il sistema decide che in quel momento bisogna investire su quei settori, quella è la priorità, su quei settori si ottengono dei risultati, altri settori però rimangono drammaticamente scoperti. Nella metà degli anni 60 per i sovietici si parlò di un piccolo benessere, finalmente la guerra fredda ha superato la sua fase più dura, siamo nella distensione, il popolo russo comincia a godere anche dei frutti del suo lavoro, di tutti i sacrifici che ha fatto e quindi potrà avere delle case migliori, degli oggetti di consumo migliori, non dovrà fare le eterne file per comprare qualsiasi cosa, il potere di acquisto dei di salari e stipendi aumenterà. In realtà questo avviene solo in misura limitata. Krusciov nel ’64 viene praticamente congedato perché gli vengono addebitati una serie di errori in politica interna e anche in politica estera, tra cui un certo avventurismo al tempo della crisi dei missili dove viene accusato di non aver gestito bene i rapporti con Cuba. Nell'ottobre del ’64 viene allontanato dal potere e si forma una direzione collegiale in cui emerge la figura di Leonid Breznev (breshnev) che sarà il leader sovietico fino al 1982. Breznev dopo un primo periodo interlocutorio, mostra subito una chiara propensione conservatrice anche perchè inizia a esserci una riabilitazione di Stalin, un rivalutare il suo ruolo nella storia sovietica di costruttore della potenza sovietica. Alla metà degli anni 60 riprendono anche i processi contro i cosiddetti dissidenti e l'unica forma di manifestare l'opposizione al potere diventa il cosiddetto samizdat, cioè la stampa clandestina. La scelta che più simboleggia questo conservatorismo è quella che fa Breznev di reprimere la Primavera di Praga nel ’68 . Uno dei fenomeni più interessanti di questo lungo ’68, di questo anno spartiacque, in pieno blocco sovietico, è il tentativo da parte dei comunisti cecoslovacchi di riformare il sistema da un punto di vista economico, politico e dei diritti delle persone. Quindi, in qualche modo costruire quello che all'epoca venne chiamato il socialismo dal volto umano: dove bisogna mettere il sistema al servizio delle persone, far vivere meglio le persone, dare più opportunità, dare libertà di espressione, togliere la censura. Queste riforme coraggiose che vengono fatte nella prima metà del ‘68 spaventano Breznev, spaventano il partito comunista sovietico e gli ortodossi al potere degli altri paesi perché è una sfida al sistema, alle consuetudini. Vuol dire rimettere in discussione i privilegi della casta politico-militare che si è formata e quindi c’è la decisione di Breznev, insieme ad altri governi del Patto di Varsavia, di mandare nell'agosto del ’68 i carri armati in Cecoslovacchia. Ne consegue la normalizzazione, l’allontanamento dal potere di Dubcek, che era stato il leader della Primavera insieme ai suoi più stretti collaboratori. Quindi con il dramma della Cecoslovacchia c’è il segno che l'URSS ha messo una pietra sull'idea di un cambiamento. Negli anni 70 cala un certo clima di apatia, di rassegnazione, di passività nella società sovietica e gli storici dicono che si stabilisce una sorta di patto tacito fra partito comunista e società sovietica: il partito non ripete azioni repressive e radicali come c'erano state in passato, ma cerca di gestire la situazione con moderazione, curando nella misura del possibile anche il lato delle condizioni di vita, impegnandosi a garantire la sanità, l'istruzione, il lavoro. Il partito si impegna a non attuare particolari repressioni, ad avere una linea abbastanza moderata, a garantire per questi servizi, mentre la società in cambio non fa opposizione, manda avanti le cose come devono essere mandate, non mette in discussione la classe politica al governo. Quindi in qualche modo un patto politico sociale nel segno della conservazione. Le cose però non vanno bene perché è un sistema in cui c'è comunque una grande differenza tra i privilegi che hanno determinati settori, funzionari di partito e i militari che hanno tutto un loro accesso privilegiato ai beni e ai consumi, mentre la grande massa invece ne è esclusa. A testimoniare che le cose non vanno bene è il proliferare del mercato nero. Quindi tutta un'economia parallela che dimostra che l'economia ufficiale non sta andando bene, quindi la grande ipocrisia che il partito condanna il mercato nero, ma poi di fatto lo accetta perché è l'unico sistema per tenere buoni i cittadini. E poi su questo mercato nero ci sono pezzi del partito che ci guadagnano gestendo questi meccanismi. In questi anni 70 l’analisi che facevano al Cremlino era per molti versi ottimista, le cose a Mosca vengono lette come un segno che, nella sfida della guerra fredda, il capitalismo sta andando in un grande crisi. Negli anni 70 si convincono che probabilmente la crisi generale del capitalismo si sta aggravando e che quindi l'Unione Sovietica sta migliorando le sue posizioni rispetto al mondo capitalistico, anche per una serie di fattori. Questi fattori sono: lo shock petrolifero, difficoltà delle economie occidentali invece la Russia che è ricca di petrolio e gas beneficia per un certo periodo di questa situazione e quindi l’idea che le cose in fondo non stanno andando male. Il processo di distensione, cioè il fatto che Nixon va a Mosca a firmare il Trattato Salt, il fatto che gli americani vanno a Helsinki a mettere la firma sulla conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, dai sovietici viene interpretato come una conferma della debolezza, cioè gli americani stanno seguendo una linea di dialogo di salvo, di distensione, perché sono in difficoltà. La risposta che danno i sovietici a questa difficoltà è quella di cercare di approfittarne in termini strategici militari, quindi ancora una volta la risposta che dà Breznev è una risposta in termini di sfida militare con l'Occidente. Invece che dire che dato che c'è la distensione possono sottrarre risorse agli armamenti, cercare di migliorare il sistema, il sistema non viene messo in discussione, la priorità assoluta continuano a essere gli armamenti e la sfida militare con l'Occidente e ciò comporta una rinnovata spesa militare, attivismo militare rinnovato dell'Unione Sovietica e l’avvio di una serie di crisi. La visione dei sovietici è che se il capitalismo è in crisi e se c'è un declino americano, probabilmente gli americani non cederanno il potere pacificamente, ci potrebbero essere nuove grandi guerre. Questo è un altro elemento molto forte nella dottrina sovietica: l'imperialismo porta alla guerra, finché c'è l'imperialismo, la guerra è sempre possibile. I sovietici dicono crisi del capitalismo, possibilità di nuove guerre quindi dobbiamo essere pronti e cercare di sfruttare ogni spazio per accrescere la nostra influenza. Per questo motivo c’è la decolonizzazione portoghese in Africa alla metà degli anni 70 ; l’inizio di guerra civile in Angola che era una colonia portoghese, liberatasi dal Portogallo dove è caduta la dittatura con la Rivoluzione dei garofani, alla metà degli anni 70, c’è la guerra civile in Angola tra marxisti e filoccidentali. L'esercito cubano interviene con i consiglieri militari e l'appoggio militare sovietico. Le truppe cubano sovietiche vanno in Angola a sostegno del movimento marxista e quindi si infiamma quella zona. La componente filoccidentale viene appoggiata dal Sudafrica che è finanziato dagli occidentali. Questo consente alla minoranza bianca al potere in Sudafrica di mantenere il regime di apartheid. La guerra fredda tiene in piedi l'apartheid che crollerà solo negli anni 90, con la liberazione di Nelson Mandela. Quindi nell'Africa australe si combatte. Questo ci fa capire che per i sovietici la distensione era soprattutto distensione in Europa, ma poi nel resto del mondo la competizione era aperta. C’è anche l’intervento sovietico in Etiopia dove c’è l’appoggio al regime marxista di Menghistu , militare che ha rovesciato l’imperatore. Menghistu si trova in guerra con la Somalia e quindi l’Etiopia è appoggiata dai sovietici e la Somalia è appoggiata dagli occidentali. Alla fine degli anni 70 un'altra decisione drammatica che prendono i sovietici è quella di invadere l' Afghanistan . La guerra che inizia in Afghanistan diventerà negli anni 80 il Vietnam sovietico nel senso che vanno lì con l'idea di una rapida operazione, ma poi ci sarà una guerriglia antisovietica per tutti gli anni 80, che sarà uno stillicidio di vittime e materiali per l'esercito sovietico. Nel 1979 c'è la rivoluzione degli Ayatollah in Iran. Viene rovesciato il regime dello Scià di Persia che era un alleato di ferro degli americani e viene fatta una rivoluzione guidata dai leader religiosi sciiti. Sono musulmani sciiti guidati dalla Ayatollah Khomeini. Questo è un colpo per gli Stati Uniti, perché si trovano venire meno un loro alleato storico nel Medioriente e Medioriente vuol dire petrolio. La rivoluzione iraniana introduce nella storia contemporanea l'elemento del ritorno religioso. Mentre fino agli anni 70 la prospettiva è quella di un crescente laicismo che sta investendo anche il mondo arabo musulmano, dalla fine degli anni 70 l'elemento del ritorno islamista entra nell'agenda un po’ a sorpresa (il tema dei fondamentalismi). In Iran nasce una teocrazia cioè, un sistema la cui autorità è passata sull’investitura divina. Questo regime che soffia sul fuoco delle tendenze islamista è più radicale e quindi ha l'obiettivo di uniformare la vita economica e sociale ai precetti del Corano interpretati dagli Ayatollah. Questo preoccupa molto anche i sovietici, perché in Unione Sovietica ci sono milioni di musulmani, quindi si preoccupano che tutta la parte dell'Asia centrale possa infiammarsi e destabilizzare. Inoltre, lì c'è poi anche la frontiera con la Cina e con la Cina le cose non è che vanno molto bene e quindi nel momento in cui in Afghanistan c'è un governo amico che sta per cadere, i sovietici intervengono con l'idea di stabilizzare l'Afghanistan e bloccare anche una possibile ventata islamista in Asia centrale. Gli americani invece lo prendono come un fatto aggressivo, come l'idea che l'Unione Sovietica inizi a mirare sui giacimenti petroliferi. Inoltre c’è la decisione sovietica in quel periodo di schierare i missili SS 20 in Europa orientale, cioè dei missili a medio raggio che possono colpire praticamente tutti i paesi dell'Europa occidentale. Quindi l'Europa occidentale si trova sotto il tiro di questi missili e questo viene condannato dall'America, viene condannato dalla NATO come un atto gravissimo che cambia gli equilibri. Nella seconda metà degli anni 70, queste crisi, queste scelte sovietiche portano praticamente a una crisi gravissima della distensione e scoppia la cosiddetta Seconda Guerra Fredda che prende la prima metà degli anni 80 fino a Gorbaciov. Gli storici si dividono sullo scoppio della guerra fredda e sulle responsabilità per lo scoppio della guerra fredda nel ’47, invece sullo scoppio di questa seconda guerra fredda, alla fine degli anni 70 gli storici sono abbastanza d'accordo che le responsabilità principali sono dell'Unione Sovietica perché interpreta la distensione e il quadro strategico nel segno della sfida muscolare e della sfida militare. Mentre in quel momento a Washington c'è l'amministrazione Carter, un’amministrazione democratica che pone l'obiettivo di superare la guerra fredda e creare una nuova (agenda) gente internazionale incentrata sui diritti umani e che alla questione est-ovest metta invece davanti la questione nord-sud. Quindi gli americani, dopo il trauma del Vietnam, sarebbero disposti a inaugurare anche un ciclo di politica estera diverso e che possa superare la guerra fredda, Carter ci prova, ma la risposta che gli arriva da Mosca è una risposta sempre in chiave di sfida militare, di invasioni, di schieramento, di missili. A quel punto la politica americana e l'opinione pubblica americana non si fida più dei sovietici, Carter è costretto lui stesso a irrigidirsi e scoppia la seconda guerra fredda. perché diventava una figura simbolo che sosteneva il movimento di protesta in Polonia che poteva sfociare negli altri paesi. In Polonia a un certo punto si prospetta il rischio di un’invasione sovietica dei paesi del Patto di Varsavia, ma la cosa viene scongiurata con la proclamazione dello Stato d'assedio. Il generale di Jaruzelski decreta la legge marziale, Solidarnosc viene sciolto, i suoi leader vengono messi in carcere e c’è il controllo militare sul paese. Mentre in Polonia nel ‘56 c'era stato un rinnovamento del partito comunista che aveva calmato la protesta, in Slovacchia nel ‘68 erano stati comunisti stessi a cercare di fare le riforme; adesso invece Solidarnosc è esterna al partito comunista, cioè il segno che il sistema non ha più al suo interno neanche le forze, lo stimolo per cercare di cambiare, ma il cambiamento è affidato a forze esterne e quindi è una grossa crisi di legittimazione. In questa situazione, nel 1982 muore Breznev e si crea un interregno non semplice tra ’82-‘85 dove ci sono due segreterie brevi che sono quelle di Andropov e Cernenko (cernienco) e all’epoca quello che colpiva era la gerontocrazia sovietica, perché c'è un sistema che si era che si era fermata e non c'era stato neanche più un ricambio della classe dirigente per cui questi vecchi austeri durano poco. Nel 1985 c'è la svolta: viene nominato Segretario del Pcus Michael Sergeevic Gorbaciov che all'epoca aveva 53 anni. Gorbaciov era conosciuto come un'esponente di quella corrente del partito che si poneva il problema delle riforme, infatti era cresciuto collaborando con Andropov. Lancia subito un piano di riforma e cambia subito fortemente la politica sovietica, soprattutto la politica estera, cioè possiamo dire che con Gorbaciov la seconda guerra fredda nel giro di qualche mese finisce. Una cosa che colpì molto l'opinione pubblica all'epoca è c'è un incontro con Reagan, il Presidente che aveva definito l'URSS l'impero del male va a visitare Gorbaciov. La riforma di Gorbaciov è una riforma a 360°. Questa è una grossa differenza rispetto alle riforme cinesi, che sono tutte centrate invece sull'economia. Gorbaciov vuole cambiare tutto, cioè fin dall'inizio dei suoi discorsi, dalle sue prese di posizione si capisce questa grande ambizione riformatrice. Innanzitutto, Gorbaciov vuole cambiare proprio il modo dell'Unione Sovietica di stare nella comunità internazionale, vuole dialogare con l'Occidente e dice subito abbiamo bisogno di accordi forti sul disarmo, dobbiamo subito spegnere questa escalation della seconda guerra fredda e dobbiamo tornare invece agli accordi sul disarmo che hanno caratterizzato la distensione. C'è una chiara autocritica sulle scelte fatte dall'Unione Sovietica negli anni precedenti. Ma il dialogo con l'Occidente e il disarmo gli serve anche per la politica interna perché il suo problema è togliere risorse dal piano degli armamenti, togliere potere ai militari e indirizzare queste risorse verso l'economia civile e cambiare l'organizzazione economica sovietica, attraverso la cosiddetta perestroika . Perestroika diventa il sinonimo del programma di riforma e significa riorganizzazione ristrutturazione, cioè l'economia sovietica va cambiata: all'elemento della pianificazione e dell'intervento del partito Stato va affiancato anche l'elemento del mercato, il sistema ha bisogno anche di riattivare dei meccanismi di mercato. Le imprese non possono solo dipendere dalle decisioni dall'alto e diventare solo dei gestori di quello che viene deciso a Mosca, ma devono trovare una loro autonomia ed essere capaci di stare sul mercato, di rispondere a degli effettivi bisogni. Anche il sistema dei prezzi deve riflettere la logica della domanda e dell'offerta, quindi in qualche modo bisogna cambiare l'organizzazione economica e renderla un'organizzazione mista in cui pubblico e privato diventano due attori. Questo però richiede anche un cambiamento culturale perché ci sono ormai generazioni di persone che si sono abituata a non avere l'iniziativa. La perestroika vuol dire che invece tu devi entrare anche nella testa delle persone, devi stimolarle, devi fargli capire che se tu hai voglia di fare e fai di più potrai avere di più. Fa anche leva sui sentimenti collettivi, cioè devi essere responsabile, devi avere iniziativa perchè così tu potrai creare una ricchezza che andrà a vantaggio di tutta la società. Il modo poi traumatico con cui la Russia negli anni 90 entrerà nel mercato sarà una sconfitta per Gorbaciov perché è legata al fatto che poi le riforme falliscono. Mentre i cinesi riescono a trasformare un popolo di contadini abituati al controllo dello Stato in un popolo di piccoli commercianti, imprenditori, di famiglie che si sanno mettere sul mercato, questo in Russia riesce molto meno, i russi questo passaggio non lo fanno. Trasformazione quindi anche delle teste e trasformazione culturale, qui la parola d'ordine che lancia Gorbaciov è glasnost cioè la trasparenza. Il potere non deve essere più un potere nascosto, impenetrabile, deve essere osservabile, criticabile. La critica è necessaria per migliorare, basta col conformismo: se c'è una critica da fare, le persone devono essere libere di farlo, non devono avere paura perché solo attraverso la critica c'è il miglioramento, c'è la possibilità di cambiamento. Ci sono molte iniziative per la libertà di espressione, le riviste cominciano a ospitare voci discordanti, c'è un dibattito. Non è una cosa facile perché devi cambiare mentalità. La differenza tra vecchio e nuovo, perché poi ci sono anche delle resistenze conservatrici molto forti, si vede in momenti chiave come l'incidente alla centrale nucleare di Cernobyl nell’86. Lì si vede che c'è una tendenza radicata a nascondere, insabbiare, non far sapere alla popolazione. Una parte di dirigenti riformatori che credono a quello che sta dicendo Gorbaciov dicono no, noi dobbiamo cambiare, dobbiamo dire le cose come stanno, dobbiamo accertare le responsabilità, dobbiamo capire chi ha sbagliato anche perché sennò così non potremmo migliorare mai. L'obiettivo deve essere capire quello che è accaduto e impedire che possa accadere di nuovo. Mettere sotto esame le nostre procedure di sicurezza attraverso un dibattito aperto in cui la gente possa sapere quello che è accaduto è quello che potrebbe accadere; quindi, intorno a Cernobyl si vede il confronto tra vecchia e nuova della società sovietica. Negli anni seguenti le riforme di Gorbaciov hanno indubbiamente dei successi sul piano del disarmo e della politica estera: riprende il dialogo con gli americani, viene firmato un primo trattato storico per il disarmo che è il trattato INF ( Intermediate Nuclear Forces ), cioè il Trattato che smantella i missili intermedi. Quindi un accordo storico che elimina tutto quello che si era creato con la seconda guerra fredda. Negli anni 90, anche dopo Gorbaciov, ci sono nuovi accordi in particolare: gli accordi START che iniziano a tagliare non solo i missili intermedi, ma anche gli armamenti strategici, missili intercontinentali e quindi degli accordi storici che hanno portato a diminuire molto il numero delle testate nucleari più che dimezzarle. Gorbaciov fa delle visite nelle capitali europee con la folla in delirio perché diventa un grande simbolo di speranza e viene visto come l'uomo che ha posto fine alla guerra fredda. Ma a fronte di queste grandi speranze, di questi indubbi successi in politica estera, cioè il buco nero delle riforme economiche che segnano il passo per vari motivi quali: problemi anche di mentalità, ma sicuramente le fortissime resistenze conservatrici. Cioè Gorbaciov deve comunque fronteggiare una componente molto forte del partito che ha paura di queste riforme, di cambiare il sistema, di vedere messi in discussione i propri privilegi, il proprio status, per cui si fa una riforma ma la si fa a metà. Ci sono tutta una serie di ambiguità nel senso che le riforme vengono sempre fatte in un modo che chi poi non le vuole applicare a livello locale non le applica. Tu come dirigente d'impresa dovresti fare certe cose, però poi la legge gli dà modo anche di non farle, quindi chiaramente se tu non le vuoi fare, non le fai. Lo specchio di questo è il fatto che le spese per gli armamenti, nonostante tutti i propositi di Gorbaciov, le quote di bilancio riservate ai militari, alla difesa, agli armamenti non calano in questi anni, mentre quello dovrebbe essere una delle condizioni fondamentali per fare le riforme. Il sistema sovietico assorbe troppe risorse per gli armamenti, per l'apparato militare e finché non tocchi quel centro di potere una riforma vera e propria non riesce a portarla avanti, è un grandissimo problema per Gorbaciov. Nell’88 fa un tentativo di accelerazione, c'è una conferenza importante del partito, si parlava all'epoca in russo di uscoremie cioè l'accelerazione: è il tentativo di toccare le resistenze conservatrici. Anche perché Gorbaciov soprattutto tra ‘89 e ‘90 comincia a essere messo in mezzo, cioè si crea una componente più radicale che vorrebbe accelerare sulle riforme e inizia a mettere in discussione proprio il sistema socialista che dice che bisogna passare al mercato e basta, mentre a destra i militari, i conservatori, gli ortodossi dicono queste riforme non li dovevamo iniziare proprio e Gorbaciov si trova in mezzo. Lui cerca di fare una via di mezzo per cercare di cambiare il sistema salvandone però i fondamenti socialisti, ma non gli riesce. Cerca di reagire e di dare dei segnali non solo all'Unione Sovietica, ma anche i paesi del blocco. Tra ’88-’89 precipita anche la crisi delle democrazie, le cosiddette democrazie popolari. Infatti in Polonia sono costretti a rimettere in legalità Solidarnosc, finisce la legge marziale, si trovano in grave difficoltà i leader in Germania orientale, in Polonia, Bulgaria e Romania. Tra l'altro l’Unione Sovietica non è più neanche in condizioni di aiutare come prima questi paesi. Gorbaciov dice che non faranno come hanno fatto in passato, se voi sarete in difficoltà e la gente vi vorrà cacciare, noi non verremo con i nostri carri armati, se volete rimanere al potere, dovete fare le riforme come noi, dovete ascoltare le persone, confrontarvi col cambiamento. Non potete più pensare che l'Unione Sovietica sta lì come gendarme e gli tiene al potere, ma il potere ve lo dovete guadagnare. Quando questo discorso diventa chiaro anche a livello di opinione pubblica, inizia a essere percepito si mette in movimento il grande moto dell’89 che poi porta alla caduta del muro di Berlino e alle cosiddette Rivoluzioni di velluto, cioè tutti i paesi dell'Europa orientale cadono quei regimi e ci si apre alle riforme democratiche. Il ruolo di Gorbaciov è fondamentale perché lo dice proprio pubblicamente: fate le riforme, muovetevi, non potete rimanere fermi, il tempo è cambiato noi vogliamo superare la guerra fredda, quindi non vogliamo più un’Europa occidentale contrapposta a un'Europa orientale e noi che teniamo il controllo dell'Europa orientale, ma dovete iniziare voi a camminare con le gambe vostre e le due Europe dovranno entrare in connessione. Tant'è vero che Gorbaciov lancia poi il programma della Casa comune europea, altro slogan importante di quegli anni, ovvero la cooperazione tra le due Europe. Questo chiaramente cambia tutto perché quello era un sistema che si era sempre eretto, aveva avuto tra i suoi pilastri l'occupazione militare sovietica. Il carattere rivoluzionario dell'azione di Gorbaciov è che il capo di una superpotenza decide di cedere il potere pacificamente. Mentre nella storia quando le grandi potenze vanno in crisi spesso reagiscono con la guerra, con la violenza, cercano di rimanere attaccati al loro potere. Invece con Gorbaciov si ha l'esempio di una superpotenza che pacificamente si ritira e dice, noi siamo un mondo nuovo, non vogliamo guerre, vogliamo più libertà per tutti. Quindi nell’89 c’è questo vento di libertà che si respira l’Europa con la caduta del muro di Berlino contrapposto però alla repressione di Piazza Tienanmen. Dopo il crollo del muro di Berlino, nel ‘91 c'è l'implosione dell'Unione Sovietica. Non sono due cose automatiche, anche se c'è un legame. Quello che è accaduto in Europa orientale, la perdita del
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