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L'Italia nella Seconda Guerra Mondiale: Attore Secondario o Vincitore?, Appunti di Storia Contemporanea

Come l'italia passò da un ruolo indipendente a quello di satellite della germania durante la seconda guerra mondiale. Viene analizzata la reazione degli stati uniti e del regno unito verso l'italia e le trattative per far uscire l'italia dalla guerra. Inoltre, vengono discusse le conseguenze politiche e internazionali della guerra in italia.

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 11/07/2019

Deca988
Deca988 🇮🇹

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Scarica L'Italia nella Seconda Guerra Mondiale: Attore Secondario o Vincitore? e più Appunti in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! STORIA CONTEMPORANEA Gli inglesi consideravano il nostro paese un misto di accondiscendenza e disprezzo. Lo stesso valeva per gli USA, che consideravano l’Italia come un attore secondario. Inoltre, guardavano al fascismo con simpatia, considerandolo utile per arginare l’avanzata Sovietica. La situazione cambia dopo l’attacco in Etiopia, i due si approcciarono in modo diverso all’Italia. L’Italia fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale aveva ambito a interpretare il ruolo di attore indipendente, invece con l’ingresso in guerra a fianco della Germania nazista e con il fallimento della guerra parallela, l’Italia assume i caratteri di satellite della Germania. Il gabinetto guidato da Churchill aveva pensato che l’Italia potesse chiedere una pace separata, ma col passare del tempo e soprattutto dopo le sconfitte militari, prevalse l’idea che il nostro paese non fosse altro che una semplice pedina della strategia hitleriana. Presso le classi dirigenti inglesi si affermò l’idea che il ruolo dell’Italia dovesse essere ridimensionato e il popolo italiano dovesse essere punito, anche perché Mussolini appariva come un fantoccio nelle mani di Hitler e il popolo italiano come una massa amorfa in balia della guerra. Né Churchill aveva mai avuto fiducia che il sovrano italiano potesse essere in grado di abbattere il fascismo. Tutte queste valutazioni negative erano alimentate da tradizionali condizionamenti psicologici e culturali che portavano a considerare l’Italia con accondiscendenza e disprezzo. La strategia imperiale inglese aveva come obiettivo quello di rafforzare la propria egemonia nel Mediterraneo, egemonia che Mussolini aveva cercato di mettere in forse. Dal punto di vista delle classi dirigenti inglesi si affermò il convincimento che l’Italia dovesse essere eliminata dal conflitto con bombardamenti. Si stabilì che l’Italia avrebbe dovuto rinunciare al suo impero coloniale, colonie che sarebbero state prese dall’Inghilterra, e il nostro territorio avrebbe subito delle amputazioni a vantaggio degli alleati inglesi, soprattutto sul versante orientale per le aspirazioni della Jugoslavia. L’atteggiamento degli USA è diverso: fino al 1941 avevano prestato scarsa attenzione all’Italia; la cifra più significativa dei loro rapporti era rappresentata dall’emigrazione che trovava da sopravvivere oltreoceano. L’Italia dichiara guerra agli USA nel dicembre 1941. Nel periodo tra le due guerre negli USA sia le classi dirigenti che l’opinione pubblica avevano guardato con accondiscendenza al fascismo italiano perché lo consideravano come un elemento di modernizzazione e un valido argine contro la minaccia rivoluzionaria comunista. Con l’aggressione all’Etiopia l’atteggiamento cambiò e lo videro come un elemento pericoloso per la stabilità mondiale. Gli USA non avevano un atteggiamento rancoroso nei confronti del popolo italiano, ma questa apertura nei loro confronti era dovuto ai rapporti di amicizia tra i due paesi per l’emigrazione, infatti Roosevelt parlò di pugnalata alla schiena quando dichiararono guerra agli USA. Questa maggiore apertura era anche legata a motivi di carattere politico e strategico: gli USA ebbero timore per un periodo che la comunità italo-americana potesse rappresentare una quinta colonna dell’asse, perciò prestarono una certa attenzione ai progetti dell’antifascismo che aveva trovato rifugio da loro, raccogliendosi intorno a Salvemini, Carlo Sforza, ecc… Questi leader speravano che la guerra fosse l’occasione per abbattere il fascismo e dovevano anche impegnarsi affinché la guerra non segnasse anche il crollo del paese. Quando da parte americana ci si rese conto che la comunità italo-americana non rappresentava un reale pericolo, l’antifascismo fu congelato in attesa dello sviluppo degli eventi. Si creò Italia Libera, movimento presieduto di Carlo Sforza, che si propone come mediazione per provocare la mobilitazione della comunità in senso antifascista. In seguito, Roosevelt si rese conto che questa comunità non rappresentava un pericolo e l’emigrazione dall’Italia fu momentaneamente fermata. Messa da parte questa emigrazione di marca liberal-democratica, comincia a nutrirsi da parte angloamericana ottimismo circa la possibilità di una vittoria rispetto alla Germania nazista. Si guarda con ottimismo dopo la campagna nel Nord Africa e per questa campagna gli inglesi avevano coinvolto gli USA con sbarchi in Algeria e Marocco (autunno 1942). Una volta liberata l’Africa settentrionale il passo immediatamente successivo per Churchill era l’occupazione dell’Italia ed eliminarla dalla guerra. La conclusione della campagna fu nel maggio del 1943. Sia Churchill che Roosevelt avevano promesso a Stalin l’apertura di un secondo fronte in Francia settentrionale. Questa prospettiva tardava a realizzarsi per ragioni di carattere militare e tuttavia non dispiaceva a Churchill. Il primo ministro inglese, infatti, preferiva una strategia imperiale periferica incentrata sulle operazioni nel Mediterraneo. Gli USA sono costretti ad adattarsi alla strategia inglese però questo comporta che da parte americana ci si deve confrontare con la questione del Mediterraneo. C’erano alcuni settori nell’amministrazione americana che ritenevano che il Mediterraneo fosse un tradizionale ambito di influenza della Gran Bretagna. Altri settori ritenevano che Washington dovesse svolgere una propria politica anche in ambiti territoriali laddove non aveva svolto nessuna influenza fino a quel momento. Tra USA e Gran Bretagna, quindi, si ha una prima forte frizione circa l’Italia. Da parte inglese si chiedeva che i creditori liberati fossero amministrati da un governo ispirato a una senior partnership. La propaganda britannica avrebbe voluto sottolineare gli intenti punitivi della pace nei confronti del popolo italiano. Gli USA si opposero con successo a queste pretese perché si stabilì che i territori italiani, una volta liberati, sarebbero stati sottoposti ad un’amministrazione con equa partnership e a dirigere le operazioni in Sicilia sarebbe stato un alto ufficiale americano, il generale Eisenhower. La propaganda alleata avrebbe dovuto operare un distinguo tra le responsabilità del fascismo che aveva provocato la guerra e quelle del popolo italiano, che aveva subito la guerra. Autunno 1942, fronte interno: le forze che avevano fiancheggiato il fascismo e quindi il re, la diplomazia vaticana e la Confindustria, si rendono conto che il fascismo è entrato in una crisi irreversibile. Si trattava di evitare che le responsabilità di questa parte della dirigenza italiana fossero confuse con le responsabilità del fascismo. Era necessario favorire l’uscita dell’Italia dalla guerra, disimpegnarsi dall’alleanza con la Germania, negoziare una pace separata, premesse che nelle intenzioni del sovrano avrebbero dovuto portare l’Italia a rovesciare l’alleanza con la Germania e a collocarla a fianco delle potenze vincitrici. Cercarono di stabilire un contatto con Londra perché speravano che, essendoci in Gran Bretagna un gabinetto conservatore, questi avrebbe avuto interesse a preservare anche in Italia un ordine politico e sociale conservatore. Questi tentativi di operare una pace separata non furono indirizzati verso gli USA né verso l’Unione Sovietica. Questo fa capire da una parte che gli italiani avevano compreso il carattere contingente della grande alleanza tra USA e Unione Sovietica; dall’altra parte fa capire che gli italiani non avessero compreso come il ruolo dell’Italia e la percezione che avevano dell’Italia gli alleati, erano cambiati dopo la guerra. Da parte italiana si compì un errore di prospettiva, si sopravvalutò l’interesse degli alleati nei confronti dell’Italia e della sua posizione negli assetti post-bellici. Si pensava comunque che ci fossero dei margini per delle trattative e si cercò di stabilire dei contatti con Londra. Ma queste trattative non furono mai avviate in quanto il governo di Londra rispose alle avance italiane con silenzio, non solo perché considerava le forze conservatrici italiane incapaci di rovesciare il fascismo, ma anche perché trattare con le forze conservatrici italiane avrebbe significato mettere in dubbio la pace punitiva che si intendeva imporre all’Italia, che era stata progettata nel gennaio 1943 nella Dichiarazione di Casablanca, nella quale si stabiliva che da parte della grande alleanza sarebbe stata accettata una resa incondizionata da parte dell’Italia. Non c’era alcuno spazio per una soluzione diplomatica. Nel corso del 1943 gli alleati preparano minuziosamente lo sbarco in Sicilia che ha luogo nel luglio 1943. Sbarcati gli alleati, l’isola fu liberata rapidamente governo Badoglio. Ma questo in una logica di breve periodo perché gli altri partiti e gli angloamericani si resero conto del rischio che questa iniziativa implicasse. Churchill in particolare temeva che nell’Europa postbellica l’Unione Sovietica potesse imporre la propria egemonia. Gli angloamericani corrono ai ripari e consentono la formazione di un secondo governo Badoglio all’interno del quale erano presenti anche i partiti antifascisti. Questo equilibrio nato dall’iniziativa dell’Unione Sovietica e dalla reazione da parte alleata, non era destinato a durare a lungo perché nell’estate 1944 la ripresa della campagna militare porta gli angloamericani a liberare Roma e due mesi dopo sarà liberata anche Firenze. Ciò pose dei problemi perché i successi militari ebbero dei riflessi politici importanti. Subito dopo la liberazione di Roma, le autorità della commissione alleata di controllo vennero a conoscenza del fatto che il Comitato centrale di Liberazione Nazionale, avanza una richiesta: chiede l’allontanamento di Vittorio Emanuele III e la formazione di un governo antifascista, a capo del quale è proposta la figura di Bonomi. Bonomi non nasconde le sue simpatie nei confronti del sovrano. È costituito il governo Bonomi all’interno del quale entrano: il partito comunista, quello socialista, la democrazia cristiana, il partito liberale e il partito democratico del lavoro. Churchill è rammaricato per il fatto che esce di scena Badoglio e Vittorio Emanuele III che cede la luogotenenza al figlio Umberto. Da parte americana si guarda con favore a questo nuovo governo. Bonomi e i tutti i partiti si impegnavano a congelare la questione istituzionale, a rinviare alla fine delle ostilità. Era importante per gli angloamericani che la questione istituzionale italiana non diventasse motivo di intralcio per il proseguo delle operazioni militari. Questo non significa che gli angloamericani ignorassero il dibattito politico interno, anzi soprattutto da parte inglese si nutrivano delle preoccupazioni circa il ruolo che avrebbe potuto svolgere l’Unione Sovietica in Italia e in generale nell’Europa occidentale. Emersero queste preoccupazioni, molti tra gli inglesi cominciarono a nutrire preoccupazioni per il ruolo centrale svolto dal partito comunista, e i diplomatici che operavano in Italia cominciarono a fare pressioni su Churchill perché si sostenessero le forze moderate italiane. Churchill viene in Italia e a seguito di questo viaggio, i suoi timori vengono confermati. In Italia si accende una prima frazione tra USA e URSS. L’unione sovietica riconoscendo il governo Badoglio aveva riconosciuto la sua presenza in Italia. Questo è il primo accenno della guerra fredda. Da parte inglese si sente il bisogno di sostenere le forze moderate italiane, attraverso l’aiuto finanziario. Ma la Gran Bretagna non era nelle condizioni di poter offrire un aiuto economico. L’altro modo era un allentamento delle clausole armistiziali. All’Italia era stata imposta la resa senza condizioni: Churchill e Roosevelt si incontrano e decidono di attenuare le clausole dell’armistizio, nell’autunno 1944. Quella che era nata come commissione alleata di controllo, diviene una semplice Commissione alleata. Al governo italiano vengono concesse delle prerogative di carattere amministrativo e vengono accreditati sia a Londra che a Washington dei funzionari diplomatici. Da parte statunitense si decide di aumentare la quantità di grano destinata all’Italia, si decide di inserire l’Italia nel programma MURA che originariamente era nato come programma di sostegno destinato ai Paesi liberati. Questa politica americana ebbe dei riflessi molto importanti sull’opinione pubblica italiana perché da parte italiana si incominciò a guardare agli USA come l’interlocutore privilegiato su cui contare per risolvere i nostri problemi, soprattutto di natura economica. L’Italia sarà tra i maggiori beneficiari del piano Marshall. Anche da parte americana si operava in modo tale da distanziare le proprie posizioni rispetto a quelle britanniche, in modo da rimarcare sempre più la propria distanza da alcune iniziative britanniche. Abbiamo un chiaro esempio nell’autunno 1944, quando entra in crisi il governo Bonomi sul problema dell’epurazione e sulla questione istituzionale perché vede nel suo interno due diverse anime (quella conservatrice che trovava espressione in Bonomi, e quella progressista interpretata dai partiti di massa). Questo governo entra in crisi nonostante con un decreto-legge avesse stabilito che la scelta istituzionale sarebbe spettata all’Italia, il governo Bonomi entra in crisi sulla questione istituzionale ed entrano in contrasto queste due diverse anime. Quando entra in crisi viene fatto il nome di Carlo Sforza come probabile capo del governo, però a questa scelta si oppongono gli inglesi, perché secondo loro poteva essere strumentalizzato dai partiti di sinistra. Viene trovato un accordo che vede Bonomi di nuovo a capo del governo: sembrava che il veto inglese avesse avuto successo, ma in realtà ci fu una durissima presa di posizione da parte del segretario di stato americano che affermò che era diritto del popolo italiano risolvere le questioni politiche interne senza ingerenze da parte di altre nazioni. Il veto inglese è l’ultima iniziativa britannica di operare un controllo sulle dinamiche della vita politica italiana. Il periodo che va dall’autunno 1944 alla primavera del 1945, fu un alternarsi di alti e bassi nei rapporti tra l’Italia e gli angloamericani, perché come primo episodio vi fu il Proclama di Alexander (autunno 1944), attraverso cui invita i partigiani a cessare le operazioni e ad aspettare la primavera successiva per riprenderle. Questo proclama fu interpretato dai partiti di sinistra come il tentativo di bloccare lo sforzo partigiano contro i nazifascisti. In realtà, quel proclama rispondeva alla logica dei militari di professione, i quali consideravano la Resistenza come un elemento ausiliario nello scontro bellico e quindi subordinato all’esercito e alle truppe angloamericane. Gli angloamericani trattarono con unità partigiane, ma la Resistenza doveva avere compiti ben precisi, limitati: raccogliere informazioni, effettuare sabotaggi, prestare soccorso ai prigionieri e scarsa simpatia incontrava la propensione partigiana ad affrontare battaglie contro i tedeschi e a creare aree liberate strutturate in repubbliche partigiane. Nell’autunno 1944 gli alleati si accordarono con i gruppi resistenziali, fornendo denaro e armi, in cambio il Comitato di Liberazione Nazionale si impegnava a operare in nome del governo e a cedere le armi alla fine delle operazioni belliche. Gli angloamericani agirono in maniera pragmatica e un ultimo elemento che è normalmente ricordato come segno dell’ostilità angloamericana nei confronti della Resistenza, è il tentativo della pace separata che era stato effettuato nella primavera del 1945 tra gli americani e i tedeschi. Non si hanno notizie circa questi tentativi, ma comunque si risolsero con un nulla di fatto, anche perché in quella fase gli angloamericani intendevano continuare nella collaborazione con l’Unione Sovietica. Intanto, nella primavera del 1945, vi è la liberazione dell’Italia del Nord e conclusasi la guerra si apre una nuova pagina in politica interna ma anche per gli assetti internazionali. ITALIA POST-FASCISMO Liberata e riunificata nella primavera del ‘45, l’economia italiana era in gravi condizioni. Gli stabilimenti industriali si erano in buona parte salvati ma la produzione era scesa almeno di un terzo rispetto a quella dell'anteguerra. Tutto ciò rese traumatico il problema degli approvvigionamenti alimentari. L’inflazione provocata dalla guerra aveva assunto ritmi paurosi. Il sistema dei trasporti era in buona parte disarticolato e drammatici erano anche i danni subiti dall’edilizia abitativa. La fame, la mancanza di alloggi e l'elevata disoccupazione contribuivano a rendere precaria la situazione dell'ordine pubblico. Nell’Italia settentrionale, la fine della guerra aveva ridato slancio alle lotte sociali e i leader della sinistra faticavano a tenere a freno una base galvanizzata dalla sconfitta del fascismo. Nelle regioni del Centro-Sud, fino alla primavera del ’44, contadini e braccianti avevano preso a occupare terre incolte e latifondi. Ma la minaccia più grave all'ordine pubblico nel mezzogiorno e nelle isole veniva dalla malavita comune. In Sicilia si assistette a una ripresa del fenomeno mafioso. Le vicende seguite all'armistizio avevano fortemente appannato l'immagine del potere statale e avevano scavato nelle compagini nazionali una profonda frattura che ricalcava le tradizionali spaccature tra nord e sud. L’Italia era una nazione sconfitta, era occupata militarmente, dipendeva da gli aiuti alleati e non poteva considerarsi completamente arbitra del proprio destino. Il ritorno alla democrazia si era accompagnato all’impetuosa crescita della partecipazione politica: gli iscritti ai partiti più forti si misuravano in centinaia di migliaia. Il Partito Socialista pareva destinato ad assumere un ruolo da protagonista grazie anche alla popolarità del suo leader Pietro Nenni. Al contrario, Il Partito Comunista traeva forza e credibilità proprio dal contributo aperto la lotta antifascista. Il partito nuovo che Togliatti aveva cercato di costruire dopo la svolta di Salerno era molto diverso dal piccolo e intransigente partito leninista nato a Livorno nel 1921. Era un partito che mostrava di volersi inserire nelle istituzioni democratico-parlamentari, senza rinnegare il suo legame con l'Urss. L’unico che apparisse in grado di competere con comunisti e socialisti sul piano dell'organizzazione di massa era la Democrazia Cristiana. La Democrazia Cristiana si richiamava direttamente all'esperienza del Partito Popolare di Sturzo e ne ereditava la base contadina e piccolo borghese. Anche il gruppo dirigente, a cominciare dal segretario Alcide De Gasperi, veniva in buona parte da quel partito. Rispetto al partito popolare, alla Democrazia Cristiana godeva del più esplicito appoggio della chiesa. Quanto alla destra vera e propria era ancora forte nel mezzogiorno e tendeva a diventarlo sempre più con l'accentuarsi delle sofferenze nei confronti del nuovo assetto politico. I gruppi di destra andarono in parte a ingrossare le file della Democrazia Cristiana e del partito liberale e in parte contribuirono alla formazione del nuovo movimento dell'uomo qualunque. Il movimento Qualunquista rifiutava qualsiasi caratterizzazione ideologica e si limitava ad assumere le difese del cittadino medio che era ora minacciato dalla dittatura dei partiti del CLN. La prima occasione di confronto fra i partiti all'indomani della liberazione si presentò al momento di scegliere il successore di Bonomi. I partiti trovarono un accordo sul nome di Ferruccio Parri, leader di una formazione minore come il partito d'azione. Parri cercò di promuovere un processo di normalizzazione nel paese e mise all'ordine del giorno lo spinoso problema dell'inflazione. Annunciò una serie di provvedimenti volti a colpire con forti tasse le grandi imprese e a favorire la ripresa delle piccole e medie aziende, suscitando l'opposizione delle forze moderate, in particolare del partito liberale, che in novembre ritirò la fiducia al Governo, determinandone la caduta. La Democrazia Cristiana riuscì allora a imporre la candidatura di De Gasperi. Si formò un nuovo governo che si reggeva sulla partecipazione di tutti i partiti del CLN. Il governo fissò al 2 giugno 1946 la data per le elezioni dell'assemblea costituente, le prime consultazioni politiche libere dopo 25 anni e le prime in cui avevano diritto a votare anche alle donne. In quello stesso giorno, i cittadini sarebbero stati chiamati a decidere mediante il referendum se mantenere in vita l'istituto monarchico o fare dell'Italia una repubblica. Nelle votazioni del 2 Giugno, caratterizzata da un’affluenza senza precedenti nella storia delle elezioni libere in Italia, la Repubblica prevalse. Nelle elezioni per la Costituente, la Democrazia Cristiana si confermò come primo partito, seguita a notevole distanza dal Partito socialista. Rispetto alle ultime elezioni prefasciste, era evidente l'ulteriore avanzata dei partiti di massa e la crisi definitiva dei gruppi liberaldemocratici. La sinistra risultava complessivamente rafforzata e vedeva mutati i rapporti di forza al suo interno. Questi risultati rivelavano che la vittoria repubblicana si reggeva tutta sul voto al centro-nord, mentre il sud aveva votato per la monarchia, così come la sinistra era maggioritaria al Nord, ma debolissima nel sud. Dopo le elezioni per la costituente, democristiani, socialisti e comunisti continuarono a governare insieme, si accordarono sulle elezioni del primo presidente della Repubblica, Enrico de Nicola, e diedero vita a un secondo governo De Gasperi. La coabitazione del governo non eliminava i motivi di contrasto tra la Democrazia Cristiana e le sinistre, contrasti originati dall’inasprirsi dello scontro sociale e dal profilarsi della guerra fredda. Mentre la produttivi dei paesi industriali furono in grado di soddisfare le esigenze di un mercato in continua espansione perché poterono giovarsi di alcuni fattori favorevoli: il costo relativamente basso delle più importanti materie prime e la disponibilità di una serie di scoperte scientifiche e di innovazioni tecnologiche. Crebbero le grandi multinazionali. Un altro fattore di sviluppo dell’economia fu rappresentato dalla liberalizzazione degli scambi internazionali che si realizzò nel secondo dopoguerra. Fra il 1950 e il 1970 il volume complessivo del commercio mondiale aumentò di ben cinque volte, grazie anche alla migliore efficienza dei trasporti e alla stabilità dei cambi fra le monete, frutto degli accordi di Bretton Woods. I progressi scientifici e tecnologici: Scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche furono componenti fondamentali dello sviluppo economico postbellico. I governi destinarono quote crescenti del reddito nazionale alla ricerca. Ciò che mutò rispetto all’anteguerra fu la velocità della diffusione dell’innovazione tecnologia e della sua applicazione ai diversi settori produttivi. Nel settore chimico, le maggiori novità furono legate allo sviluppo di scoperte risalenti al periodo prebellico. Ma solo nel secondo dopoguerra materie plastiche e fibre sintetiche. Un discorso in parte analogo si può fare per i medicinali. Il caso più noto è quello degli antibiotici. Alla ricerca del periodo postbellico si deve invece l’introduzione di altri farmaci che si possono considerare in qualche modo tipici della nostra epoca, come gli psicofarmaci e gli anticoncezionali. Paralleli a quelli della farmacologia furono i progressi della chirurgia, legati soprattutto all’uso di nuove apparecchiature e di nuovi anestetici. Un nuovo salto qualitativo nella storia della chirurgia si ebbe negli anni ’60 con la realizzazione dei primi trapianti di organi: tecnica che ha suscitato non pochi problemi sia di ordine clinico sia di natura etica. Nel settore dei trasporti, due furono le novità caratteristiche del periodo postbellico. La prima fu il boom della motorizzazione privata e in genere del trasporto su strada. La seconda e più importante novità fu lo sviluppo dell’aviazione civile. L’affermazione dell’aereo sui lunghi percorsi e dell’auto su quelli medio-brevi ebbe come conseguenza il declino del treno e della nave passeggeri. La conquista dello spazio e le armi nucleari: Direttamente collegata ai progressi dell’aeronautica fu la conquista dello spazio. Le esplorazioni spaziali ebbero la loro principale premessa tecnica negli sviluppi della missilistica. Fu l’Unione Sovietica a ottenere il primo, clamoroso successo mandando in orbita, il 4 ottobre 1957, il primo satellite artificiale, precedendo di pochi mesi gli Stati Uniti, che lanciarono il loro satellite nel gennaio 1958. Furono ancora i sovietici a inviare nello spazio il primo astronauta. A questi successi gli Stati Uniti replicarono moltiplicando il loro impegno e puntarono sullo sbarco di uomini sulla Luna. L’obiettivo fu centrato il 21 luglio 1969, quando gli astronauti Nei Armstrong ed Edwin E. Aldrin, discesi dalla navicella Apollo 11, misero piede sul suolo lunare mentre le loro immagini venivano trasmesse sui teleschermi di tutto il mondo. La nuova cultura di massa: televisione e musica leggera: La radio conobbe un nuovo boom alla fine degli anni ’50 e rimase il più diffuso fra i mezzi di comunicazione. Ma la protagonista fu la televisione. Le prime trasmissioni sperimentali di immagini furono effettuate in Gran Bretagna negli anni ’30. Ma le trasmissioni regolari per il grande pubblico cominciarono subito dopo la guerra negli Stati Uniti. Nel corso degli anni ’50 la televisione si impose anche in Europa occidentale e si diffuse nelle aree meno industrializzate. All’inizio degli anni’60, l’uso dei satelliti per telecomunicazioni consentì la trasmissione dei segnali televisti in tutto il mondo. L’avvento della televisione trasformò il mondo dell’informazione, offrendo la possibilità di mostrare le immagini di un evento nel momento stesso in cui si svolgeva. Portò lo spettacolo dentro le case, creando nuove abitudini familiari, nuove forme di intrattenimento collettivo e un diverso uso del tempo libero. Ma creò una nuova cultura di massa. Un’altra componente fondamentale di questo universo culturale fu costituita della musica leggera. L’ulteriore boom commerciale degli anni postbellici si spiega con la diffusione della canzone americana durante e dopo il conflitto mondiale. L’esplosione demografica degli anni ’50 e ’60: In vent’anni, tra 1950 e 1970 gli abitanti della Terra aumentarono del 50%. Nello stesso periodo la vita media dell’uomo salì da 65 a oltre 70 anni nelle zone più sviluppate e da 40 e 50 nei paesi più poveri. Il boom della popolazione mondiale non si distribuì in modo omogeneo fra le diverse aree del pianeta. Negli Stati del Terzo Mondo il regime demografico tipico delle società arretrate fu modificato solo per quanto riguarda la mortalità, che cadde rapidamente inseguito alla diffusione delle pratiche mediche e igieniche, mentre i ritardi nel processo di modernizzazione continuarono a impedire che si affermasse l’abitudine al controllo delle nascite. Invece i paesi industrializzati conobbero una fase di slancio demografico solo nel decennio successivo alla guerra. Dopo la metà degli anni ’50, riprese il sopravvento la tendenza al calo della natalità. Questo fenomeno, che ha come cause immediate la minor durata dei matrimoni e soprattutto l’abitudine al controllo delle nascite, è un fenomeno che si accompagna sempre ai processi di modernizzazione e si collega alla mentalità e ai modi di vita delle società urbanizzate e industrializzate. La tendenza alla pianificazione familiare fu favorita dalla diffusione delle nuove pratiche anticoncezionali, in particolare dei contraccettivi orali, la cosiddetta pillola. La civiltà dei consumi e i suoi critici: L’aumento del reddito pro-capite si tradusse in una fortissima espansione dei consumi privati. Per questo si è parlato di società del benessere o di civiltà dei consumi. Il tratto distintivo di quest’epoca sta non solo nella crescita globale dei consumi, ma anche nella loro composizione. Fra il ’50 e il ’70 il consumo essenziale per eccellenza, quello di prodotti alimentari, scese pur essendo aumentato in quantità e qualità. Crebbe, in compenso, la quota destinata all’abbigliamento, alla casa e soprattutto ai beni e servizi considerati comunemente non essenziali e in gran parte riservati fino ad allora alle sole classi agiate. Questo boom dei consumi superflui fu favorito anche dall’ampliamento e dalla razionalizzazione della rete commerciale e dalla moltiplicazione dei messaggi pubblicitari. Questo provocò una standardizzazione dei consumi nelle aree industrializzate. Gli sviluppi della civiltà dei consumi posero una serie di problemi nuovi alla cultura occidentale e contribuirono a mutare il ruolo e la posizione degli intellettuali. Da un lato, le trasformazioni della società e del costume favorirono l’affermazione delle scienze umane. Dall’altro si assisté a una sorta di rifiuto ideologico nei confronti di una società accusata di sostituire allo sfruttamento economico di tipo tradizionale una forma più subdola e raffinata di dominio, di sottoporre gli individui a una nuova tirannia tecnologica, di sopire i conflitti sociali con la diffusione di un benessere che si giudicava illusorio. La contestazione giovanile: L’opposizione alla civiltà consumistica si espresse dapprima in forma di rifiuto delle convenzioni, di vera e propria fuga dalla società industrializzata e quindi nella creazione di una cultura alternativa, in cui confluivano pratica della non violenza e religiosità orientale, consumo di droghe leggere e messaggi della nuova musica. In seguito, la rivolta giovanile assunse forme più politicizzate e trovò i suoi centri propulsori nelle università. Anche in questo caso il fenomeno prese l’avvio dagli Stati Uniti, dove la mobilitazione, iniziata nel 1964, si intrecciò con la protesta contro la guerra del Vietnam e col movimento contro la segregazione razziale. Mentre la protesta studentesca ebbe un carattere prevalentemente pacifico la mobilitazione dei neri, in un primo tempo egemonizzata da leader non violenti come Martin Luther King, esplose fra il ’65 e il ’67 in una serie di rivolte dei ghetti delle grandi metropoli, ispirate all’ideologia rivoluzionari e separatista del Black Power. Il femminismo degli anni ’60 e ’70: Fra la seconda metà degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 si assisté a un rilancio della questione femminile, che ebbe origine negli Stati Uniti. Questa corrente segnò una svolta netta, sia per la radicalità degli obiettivi, sia per la novità dei metodi di lotta: la contestazione di tutti i modelli culturali legati al maschilismo, l’adozione del collettivo femminista come principale forma di aggregazione e di militanza. Le lotte erano tese per ottenere il miglioramento delle condizioni delle donne e critica del modello femminile proposto dai mass media. Nel corso degli anni ’70 il movimento delle donne si ampliò ma nacquero fratture interne. Da una parte c’era la ricerca della parità con l’uomo, dall’altra c’era la rivalutazione dei tratti tipici della donna. A partire dalla fine degli anni ’70 l’ondata di ribellione femminista entrò in una fase di ripiegamento. Nuovi orientamenti nel mondo cattolico: il Concilio Vaticano II: La società consumista trovò un critico severo e un avversario tenace nella Chiesa di Roma. I cattolici costituivano ancora, negli anni ’60, la più numerosa fra le comunità religiose. Ma non potevano non guardare con preoccupazione al progresso declino delle pratiche religiose tradizionali nelle aree industrializzate, all’affermarsi di mentalità e valori tipicamente materialisti. Questa volta però la reazione sfociò in un tentativo di rinnovamento interno, accompagnato da una maggiore attenzione alla mutata realtà sociale e internazionale. Il nuovo corso ebbe inizio col pontificato di Giovanni XXIII, che cercò di rilanciare il ruolo ecumenico della Chiesa e di instaurare un dialogo con le realtà esterne. La svolta si ebbe con due encicliche. Nella prima, la Mater et Magistra, il papa condanna l’egoismo dei ceti privilegiati e incoraggia il riformismo economico. La seconda enciclica, la Pacem in Terris, era dedicata ai rapporti internazionali e una proposta di dialogo con le religioni non cattoliche e con gli stessi non credenti. Ma l’atto più importante del pontificato giovanneo fu la convocazione di un concilio ecumenico, il Vaticano II. Apertosi nell’ottobre 1962, il concilio si prolungò per oltre tre anni sotto il pontificato di Paolo VI, che continuò e consolidò la svolta avviata dal suo predecessore. Dal concilio la Chiesa uscì riformata sia nell’organizzazione interna, sia nella liturgia. Sul piano dottrinario, non vi furono novità di grande rilievo. Ma ribadì l’importanza delle Sacre Scritture. I nuovi fermenti introdotti nella Chiesa dal concilio suscitarono in molti paesi nuove correnti e nuovi movimenti che cercarono di coniugare il messaggio cattolico con un più accentuato impegno nelle lotte sociali. Gruppi di cattolici del dissenso si formarono in Italia e in Francia alla fine degli anni ’60. CRISI DEL 29 La crisi del 29 fu una crisi di sovrapproduzione e di condizione di sottoconsumo. Parte dagli Usa e si propaga in tutti i paesi del mondo tranne che nell’Unione Sovietica. Per comprendere le ragioni della grande crisi bisogna considerare la situazione dell’Europa e degli USA post-guerra. La guerra aveva cambiato non solo le abitudini delle masse e degli individui, ma anche l’organizzazione dello stato. I diversi governi avevano adeguato le industrie alle esigenze belliche e ciò aveva cambiato il volto alle economie, anche negli stati più liberali. La preoccupazione maggiore era il lavoro, venivano in secondo piano i problemi della sicurezza e tutte quelle forme di protezione dei ceti più deboli, attraverso le assicurazioni, i servizi sanitari, ecc. La situazione degli USA: si presentavano come il paese della ricchezza, dell’abbondanza, e la loro ricchezza affondava le sue radici in due fenomeni: la creazione di una moderna società fondata sui consumi di massa, grazie anche alla diffusione del metodo del pagamento rateale; l’altro fenomeno erano le conseguenze favorevoli del trattato di pace (alla Germania era stato imposto il pagamento di un enorme somma di marchi oro di cui non aveva disponibilità). I banchieri statunitensi Germania, non ricevette una soluzione definitiva a Yalta. Roosevelt in quella fase riteneva che solo la definitiva spartizione della Germania in diverse entità statali rappresentasse una garanzia contro la minaccia di una rinascita del pericolo tedesco. Churchill e Stalin, però dissentivano per ragioni diverse: il primo non era contrario al principio della divisione della Germania, ma pensava che una decisione simile non potesse essere adottata all’interno di una conferenza; pensava fosse utile dar vita a un comitato di studiosi che avrebbero avuto il compito di analizzare i problemi economici, etnografici e dare delle indicazioni secondo cui tracciare le frontiere tra due diversi stati. Stalin vedeva nella soluzione del problema tedesco importanti opportunità per la ricostruzione dell’Unione Sovietica. Per lui era importante che la Germania mantenesse una neutralità. Egli temeva un’alleanza di quella che sarebbe stata la Germania occidentale con gli USA. Le discussioni tra i tre grandi circa il futuro della Germania si protrassero per giorni e si giunse a una soluzione di compromesso. Fu definitivamente accantonata l’idea dello smembramento e si iniziò a parlare di divisione in aree di influenza. Sarebbe stata divisa in tre zone di occupazione, che diventeranno quattro perché anche la Francia vorrà prendere una zona di occupazione. Per quanto riguarda il tema delle riparazioni anche qui le posizioni erano differenti. Roosevelt riteneva che non si potesse ripercorrere una strada pericolosa come quella già percorsa nell’immediato dopoguerra, quando fu imposto alla Germania un pagamento di marchi d’oro, cosa che spianò la strada alla presa di potere da parte di Hitler a causa dei vari risentimenti. Stalin voleva far pagare alla Germania i danni di guerra perché per l’Unione Sovietica il problema del reperimento di materie prime, di capitali, era così urgente e grave che non poteva non fare affidamento sul contributo tedesco. Churchill credeva che la Germania non fosse in grado di pagare le riparazioni di guerra e quindi si contrapponeva ai sovietici, secondo cui la Germania avrebbe dovuto pagare 20 milioni di dollari, 10 dei quali sarebbero dovuto andare all’Unione Sovietica. Stalin aveva trovato un altro modo, ossia che se non fosse stato in grado di pagare in denaro, si sarebbero potute prelevare dai tedeschi sia le risorse sia gli impianti industriali e trasferirli nei paesi vittime dell’aggressione nazista. A Yalta continuarono a proseguire sulla strada del compromesso. Tra febbraio e maggio 1945 ci furono varie difficoltà: ci fu la durissima polemica circa i tentativi operati dai tedeschi per attuare una pace separata in Occidente o quanto meno in Italia. L’idea di una transizione diretta nelle mani degli occidentali perché avrebbe tolto ai comunisti l’alloro di una vittoria sui fascisti. Era una garanzia contro il pericolo comunista rappresentato dall’espansionismo sovietico. Per i tedeschi una proposta di pace separata nascondeva il tentativo di separare gli alleati occidentali dall’Unione Sovietica fino magari a giungere a rovesciamenti di alleanze. Ma erano solo illusioni, non del tutto prive di fondamento, se si considera il fatto che gli Occidentali non avvisarono subito il governo di Mosca circa le proposte dei tedeschi, inducendo Stalin a considerare la disponibilità dei servizi americani e inglesi a trattare con i tedeschi, come espressione della volontà di un disegno di pace separata. Questo fu in realtà un incidente diplomatico, iniziato dopo la conferenza di Yalta, ma chiarito ad aprile dello stesso anno. Ci fu un altro momento molto eloquente che fece comprendere come il clima all’interno della grande alleanza stesse cambiando. Ci fu la morte di Roosevelt nell’aprile 1945 e con la sua morte non sarebbe morta la sua concessione, le sue idee. Secondo lui alla fine del conflitto le potenze vincitrici avrebbero dovuto dar vita a un nuovo ordine globale fondato su nuove istituzioni e su una collaborazione tra le maggiori potenze. Questo suo disegno non sarebbe morto del tutto, perché il suo successore Truman che era stato tenuto lontano da ogni decisione importante, avrebbe continuato il disegno ma con uno stile diverso. Stalin che aveva preso con dispiacere la morte di Roosevelt, decise di inviare alla conferenza di San Francisco dell’aprile 1945, una delegazione di alto profilo, guidata da Molotov. Molotov fu ricevuto da Truman e a lui furono recate le condoglianze ed espresse la volontà di continuare sulla strada del compromesso. Truman gli rispose in modo netto dicendo che prerequisito per continuare in questa strada era il rispetto dei patti stipulati a Yalta che invece l’Unione Sovietica non sembrava prendere troppo sul serio. Intanto, in Europa la guerra volge al termine, il 30 aprile Hitler si suicida e il comando è assunto dalle forze armate, il 29 aprile americani e sovietici si erano incontrati con grandi manifestazioni e il generale americano aveva fatto rallentare ai suoi la marcia per evitare che la linea di occupazione fosse differente. Il primo ministro tedesco firma la resa il 7 maggio 1945. La guerra si conclude in Europa ma ciò non risolveva i problemi di carattere diplomatico tra i tre grandi, anzi si presentarono ampliati nella nuova conferenza a Potsdam nel luglio 1945. Fu la più lunga (dal 17 luglio al 2 agosto), e fu fortemente caratterizzata dalla nuova situazione nella quale si trovavano i protagonisti, in quanto Truman ancora non conosceva Churchill, nutriva una profonda diffidenza nei confronti di Stalin e solo quest’ultimo partecipò alla conferenza dall’inizio alla fine. Infatti, Truman era impaziente di rientrare in patria anche in vista dell’attacco ormai imminente contro il Giappone previsto per i primi di agosto. Subito dopo, la resa della Germania, da parte degli Usa si rivolse un monito al Giappone. Tra i collaboratori di Truman ci fu chi suggerì al presidente di chiarire che la resa del Giappone non avrebbe comportato la fine della dinastia imperiale, ma in realtà Truman non volle tenere conto di questi consigli e solo la volontà dell’imperatore giapponese avrebbe portato alla pace. Ma le dure parole del presidente americano non furono prese in considerazione ma furono viste come propaganda. Si tornò a discutere nella dirigenza americana la possibilità di rivolgersi ai giapponesi senza contraddire se stesso. Era necessario introdurre delle espressioni che garantissero la sopravvivenza della dinastia imperiale. Fu redatto un nuovo ultimatum, in cui Truman comunicava che la fine della guerra non avrebbe comportato la disfatta per i giapponesi, ma la fine di quel ceto militare che aveva portato il Giappone sull’orlo del disastro. Ma era comunque un testo aspro e ambiguo perché non faceva menzione al futuro dell’imperatore. Questa dichiarazione, quindi, giunta in Giappone, fu rigettata. Si aprì quindi la strada alla risoluzione finale. Erano state testate nei mesi precedenti due bombe atomiche che potevano essere utilizzate. Decisero quindi di utilizzare le atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Il presidente americano che sentiva il peso di questa responsabilità, disse che i giapponesi lo avevano voluto nel momento in cui avevano rigettato l’ultimatum. Si chiudeva la guerra e con la sua fine trionfano le democrazie e il nazismo è sconfitto. Però, per la vittoria sul fascismo era stato pagato un prezzo molto alto: la Germania aveva perso la sua unità statale e la Francia e la Gran Bretagna erano uscite ridimensionate dal conflitto. Francia e Gran Bretagna non erano più in grado di mantenere i loro territori coloniali e non erano quindi più maggiori potenze. Si affermano due superpotenze extraeuropee: Usa e Unione Sovietica. Superpotenza indicava degli stati che godessero di potenzialità demografiche ed economiche semicontinentali. Gli Usa erano la maggiore potenza commerciale del globo. La produzione di merci negli Usa era pari a un terzo di quello di tutto il mondo. Rinascevano i concetti di sogno americano, di sistema di vita americano, ricostruire poteva significare affidarsi agli Usa economicamente. Gli Usa erano gli unici che non avevano conseguito accrescimenti territoriali. L’Unione Sovietica economicamente usciva indebolita, aveva avuto il 70% degli impianti territoriali distrutti e 1700 erano le città distrutte o devastate. Tuttavia, incombeva sempre più verso il centro dell’Europa: si presentava come un’area immensa, apparentemente omogenea, o resa omogena grazie all’uso del terrore. Un’area immensa che niente e nessuno avrebbe potuto scalfire se non a prezzi molto elevati, ossia una guerra atomica. Il centro del potere internazionale si sposta al di fuori dell’Europa e si concentra per un lungo periodo negli Usa e nell’Unione Sovietica. Sta per nascere un sistema bipolare e il parto che avrebbe portato alla nascita di questo sistema non sarebbe stato facile perché le vecchie democrazie avrebbero dovuto accettare la loro decadenza e gli Usa dovevano subire la presenza di un antagonista nel dominio mondiale e all’interno di questo nuovo sistema gli Usa si presentavano come i paladini della democrazia liberale, come paladini di pluralismo politico e come portatori di una libertà individuale fondata su un’etica individualistica. Al contrario, l’Unione sovietica era portatrice di un modello collettivistico, fondato su un partito unico e sull’economia diretta dallo stato. Questa profonda diversità nel concepire le trasformazioni degli assetti politici portò a una contrapposizione degli Usa e dell’Unione sovietica e alla nascita del sistema bipolare. Viene meno l’idea di realizzare l’incontro tra due civiltà, ossia socialismo e democrazia. La conferenza di Parigi fu l'ultimo atto della cooperazione tra Urss e potenze occidentali. In Iran Stalin non voleva rispettare l'accordo che li obbligava a ritirare le truppe e nei Dardanelli, dove l'Urss chiede alla Turchia basi militari nuove, furono costretti ad uscirne. Le zone ricadevano nella sfera d'influenza della Gran Bretagna ma data la situazione economica si tirarono indietro. Gli Stati Uniti subentrarono adottando nei confronti delle iniziative sovietiche una linea di assoluta fermezza, inviando una flotta nel Mar Egeo e inducendo Stalin a rinunciare alle sue richieste. Fu questa la prima applicazione della teoria del containment (contenimento) che sosteneva la necessità di contenere l'espansionismo dell'Urss. Questa linea fu fatta propria dall'amministrazione americana e in base alla Dottrina Truman gli USA si impegnavano a intervenire, quando necessario, per sostenere i popoli liberi nella resistenza all'asservimento da parte di minoranze armate o pressioni straniere. Nel giugno 1947 gli americani lanciarono un vasto programma di aiuti economici all'Europa, che prese il nome di European Recovery Program, meglio conosciuto come Piano Marshall, dal nome del segretario di Stato americano che ne assunse l'iniziativa. Fra il 1948 e il 1952 il Piano Marshall riversò sulle economie europee ben 13 miliardi di dollari. Un nuovo fattore di tensione fu rappresentato dalla costituzione di un Ufficio d'informazione dei partiti comunisti (Cominform): una sorta di riedizione in scala ridotta della Terza Internazionale. Il dialogo fra le superpotenze era ormai cessato. Al suo posto subentrò quella che il giornalista americano Walter Lippmann battezzò come Guerra Fredda. Il più importante terreno di scontro fu la questione della Germania divisa dalla fine della guerra in quattro zone di occupazione (americana, inglese, francese e sovietica). La capitale Berlino era a sua volta divisa in quattro zone. Quando USA e UK integrarono le loro zone, Stalin reagì con la prova di forza del blocco di Berlino: nel 1948 l’Urss chiuse gli accessi alla città impedendone il rifornimento. La crisi si risolse tuttavia senza uno scontro militare e gli americani organizzarono un gigantesco ponte aereo per rifornire la città finché nel 49 non si decisero di togliere il blocco. Fu proclamata la Repubblica federale tedesca e quella democratica tedesca. Nell’aprile 1949 fu firmato a Washington il Patto Atlantico, alleanza difensiva tra i paesi dell’Europa occidentale, gli Usa e il Canada. Il patto prevedeva un dispositivo militare integrato composto da singoli paesi membri: la NATO. REALTA’ DEGLI ANNI 60, KRUSCEV E KENNEDY Nei paesi occidentali, gli anni 60 sono spesso ricordati come un decennio felice. Sia sul piano degli equilibri internazionali sia su quello degli equilibri interni alle società industrializzate il periodo che va dagli anni 50 agli anni 70 offre un quadro agitato e pieno di contrasti. Lo sviluppo economico non spense i conflitti, anzi in alcuni casi li accentuò. La coesistenza tra i due blocchi mondiali si basava sull’equilibrio fra gli armamenti nucleari in possesso dei due blocchi e sulla consapevolezza dell’una e dell’altra parte di non poter prevalere sull’avversario se non mettendo a repentaglio la sopravvivenza propria e dell’umanità. Dunque, un equilibrio di terrore che non impedì il manifestarsi di tensioni
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