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Guerra Mondiale: Umani, Tecnologia e Conflitti - Prof. Roccucci, Sintesi del corso di Storia Contemporanea

Le condizioni umane durante la prima e seconda guerra mondiale, l'innovazione tecnologica più rivelante e i conflitti politici. La guerra significò un primo impatto con la società di massa e la meccanizzazione industriale. La mitragliatrice fu l'innovazione tecnologica più rivelante e fu usata per tutto l'arco delle guerre. La guerra invertì la concezione tradizionale di un combattimento eroico e cavalleresco. La germania utilizzò prigionieri di guerra e esisteva un altro fronte oltre a quello della guerra, il fronte ‘interno’. La propaganda era fondamentale per mascherare la realtà della guerra. La deportazione e lo sterminio degli armeni nell'impero ottomano fu il fenomeno di gravissima violenza contro la popolazione civile nel quadro della prima guerra mondiale. La seconda guerra mondiale vide la nascita del fascismo e la sconfitta del terzo reich. Anche la guerra fredda e la sfida usa-urss nel mondo postcoloniale.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 03/04/2019

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Scarica Guerra Mondiale: Umani, Tecnologia e Conflitti - Prof. Roccucci e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! CAPITOLO 11 La “Grande Guerra” fu denominata da subito il conflitto iniziato nell’agosto del 1914. Convergeva un processo di mondializzazione che nel corso degli ultimi dell’800 e primi del 900 aveva subito un’accelerazione tale da renderlo qualitativamente diverso dai fenomeni di globalizzazione precedenti. Fu una guerra di massa, tecnologica e meccanica, guerra industriale e della comunicazione e propaganda. UNA GUERRA TOTALE. UNA GUERRA DI MASSA E INDUSTRIALE 1 Una guerra di massa rifletteva un cambiamento profondo dell’età contemporanea. Le masse furono protagoniste innanzitutto negli eserciti, le cui dimensioni aumentavano esponenzialmente. La guerra fu combattuta dalla maggior parte dei soldati nelle trincee. La trincea diventò il luogo e il simbolo del conflitto. Qui le condizioni umane erano molto precarie, sia dal punto di vista igienico sanitario che politico di guerra. Il fantastico diveniva famigliare e l’orrore diventava normale: scarsità d’acqua, non si dormiva, pochi vestiti, poco cibo. L’esperienza della guerra per molti soldati significò un primo impatto con la società di massa e con la meccanizzazione del sistema industriale. Gli uomini assistevano allo spettacolo delle nuove macchine da guerra: uso dei gas tossici con l’innovazione della chimica. Il trauma profondo provocato dall’impatto con la morte di massa toccò direttamente e in primo luogo i combattenti, ma coinvolse le società nella loro interezza. Una guerra di massa portò ad una morte di massa. L’innovazione tecnologica più rivelante fu la mitragliatrice, nel 1914 tutti i paesi ne erano dotati e fu usata per tutto l’arco della guerra. Era un’arma in grado di provocare una morte di massa. L’uccisione del nemico diventava un’azione seriale. Si capovolse la concezione tradizionale della guerra, cadevano i presupposti di un combattimento eroico, cavalleresco. L’avversario che si uccideva era spersonalizzato, non si mostravano i volti, il tutto avveniva con estrema freddezza. Le prime battaglie furono maggiormente traumatiche in quanto morirono molti uomini per attacchi insensati o errati. I bombardamenti divennero la premessa indispensabile degli attacchi di fanteria. Fu introdotto per primi dai tedeschi l’uso dei gas tossico da lanciare nelle linee nemiche. Nel 1916 comparvero nei campi di battaglia i primi carri armati. La guerra diventava industriale: era guerra di macchine, di materiali, era una guerra meccanizzata. GUERRA TOTALE: FRONTE INTERNO E “CULTURA DEL NEMICO” 2 Nella guerra si confrontarono oltre agli eserciti anche le economie e i sistemi industriali dei paesi belligeranti. In ogni paese si registrò una mobilitazione industriale volta a garantire la produzione necessaria a portare avanti lo sforzo militare. In diversi paesi furono istituiti ministeri che avevano la responsabilità per gli armamenti e le munizioni. I costi erano molto alti e si rendeva necessario agli stati disporre di grandi somme di capitali. Il contributo veniva anche dal risparmio dei cittadini. Erano necessari approvvigionamenti alimentari e indumenti per migliaia di soldati. Fondamentali erano i mezzi di trasporto che dovevano in breve tempo far recapitare tutto il materiale. La mobilitazione di massa degli eserciti creava problemi alla produzione industriale che si ritrovava con carenza di manodopera. Tale situazione richiese una serie di misure tese a coinvolgere nel sistema produttivo settori diversi della società. Gli operai non potevano scioperare. La Germania utilizzò come manodopera i prigionieri di guerra. Si mobilitarono anche i giovani tra i 14 e i 16 anni e le donne. Quest’ultime venivano maggiormente inserite nelle fabbriche, nelle amministrazioni, aziende di trasporto pubblico. Le donne della borghesia erano occupate nel servizio volontario di infermiere, o in associazioni. Esisteva un altro fronte oltre a quello della guerra, il fronte “interno”. I due fronti erano comunicanti, vi era una comunicazione di notizie. In questo periodo ci fu un uso massiccio di propaganda, intenta nell’andare a suscitare emozioni tali che spingessero la società a “tenere duro”. La guerra fu anche un fenomeno mediatico. Il controllo delle informazioni fu uno degli obiettivi prioritari per gli eserciti e i governi. La propaganda era fondamentale anche nell’andare a mascherare la vera realtà della guerra, essa era aiutata dalla censura. Lo sviluppo della fotografia supportava il ricorso alla comunicazione visiva come elemento sempre più rivelante nella propaganda. Il cinema fu quello più innovativo. Le società europee affrontarono la guerra trasformandola in un mito, l’idea era quella di una guerra purificatrice. La sacralizzazione del conflitto rispondeva all’esigenza di trascendere la realtà tragica della morte e permetteva di conferire all’esaltazione della nazione un fondamento di carattere religioso. Il soldato verteva come figura centrale, caratterizzato dalla figura dell’eroe. L’aviatore esprimeva virtù morali comuni a tutti i combattenti: silenzio, fermezza, compimento del dovere. La cultura del nemico sfociò anche nella sfera politica, forti furono gli scenari del dopo guerra, segnati da violenza politica, tra Germania e Russia. La lotta con il nemico si inscriveva in uno scenario con il conflitto tra il male e il bene. L’immagine dei tedeschi era quella di un popolo dalla crudeltà innata. L’avversione a tutto ciò che era tedesco raggiunse tutti gli scenari della vita pubblica e sociale, dalla discriminazione verso i cittadini o verso gli immigrati di origini tedesche. L’attribuzione dell’immaginario del nemico avvenne attraverso un processo di proiezione del male ad altri fuori da sé. Il nemico non poteva che essere annientato, non era pensabile giungere ad una pace. VIOLENZA SENZA LIMITI 3 La violenza non colpì solo i militari, ma anche la popolazione civile con rappresaglie, aggressioni, stupri, lavori forzati, fino al genocidio. I campi di concentramento fecero la loro prima apparizione in Europa durante la grande guerra. I campi furono allestiti in quasi tutti i paesi per la reclusione dei stranieri nemici residenti nel paese. Le condizioni di prigionia erano precarie, come fame, malattie; non mancarono uccisioni, deportazioni. Particolarmente infelice fu il destino dei prigionieri italiani dell’esercito austro-ungarico. La deportazione e lo sterminio degli armeni nell’impero ottomano rappresentò il fenomeno di gran lunga più grave di utilizzo della violenza nei confronti della popolazione civile nel quadro della prima guerra mondiale. Gli armeni furono accusati di convivenza con i russi. Ne scaturì un’ampia operazione di sterminio promossa e coordinata dal governo centrale. 19 aprile 1915 diedero avvio a una ribellione armata contro le truppe ottomane che si sarebbe conclusa con l’arrivo dei soldati zaristi nella città. Su ordine del Ministero dell’Interno fu arrestata l’elite armena di Istanbul. In ogni città le deportazioni iniziavano con gli uomini adulti per poi proseguire con donne e anziani e bambini. La deportazione degli armeni avvenne in quanto costituivano un potenziale pericolo di ulteriore frammentazione della restante compagine imperiale. L’obiettivo era formare un’identità nazionale connessa all’islam, così che le diverse etnie ottomane si potessero identificare in un nazionalismo turco. La dirigenza dei Giovani turchi mirava alla realizzazione di un progetto di ingegneria etnica sociale. La guerra gli offrì il terreno perché il progetto potesse realizzarsi. La deportazione avvenne nel quadro della mobilitazione bellica della popolazione ottomana contro le potenze cristiane europee. Si inaugurava una connessione tra guerra e genocidio. ESCE LA RUSSIA, ENTRANO GLI STATI UNITI 4 La durata della guerra richiedeva costi altissimi, in termini di uomini, risorse economiche ed energie disponibili. 1916-1917 primi segni di cedimento e sofferenza dei fronti interni, che condussero anche all’aumento degli scioperi. Il governo piemontese per sedare le ribellioni ricorse all’esercito che intervenne per riportare l’ordine. La scintilla fu la mancanza di pane. • libertà di navigazione • disarmo generale • rimozione barriere doganali • ricostruzione del Belgio • istituzione della società delle Nazioni • risoluzione imparziale delle dispute coloniali • evacuazione del territorio russo dalle truppe straniere Sei erano auspicabili: • ritorno dell’Alsazia e della Lorena alla Francia • autonomia per le minoranze dell’ex Austria-Ungheria e dell’impero ottomano • aggiustamento delle frontiere italiane secondo principi nazionali • evacuazione dei Balcani delle truppe straniere • internazionalizzazione dei Dardanelli • Polonia indipendente con accesso sul mare. Il tutto sullo sfondo il principio di autodeterminazione dei popoli. In questo approccio idealistico confluivano l’educazione religiosa, e la formazione accademica. Egli intendeva estendere su scala globale la dottrina Monroe, che autoassegnava agli S.U l’egemonia sull’intero continente americano, per proteggerlo da incursioni. Universalismo e americanismo rappresentavano la faccia della stessa medaglia. G.B e Francia uscirono disastrate dalla guerra. Volevano stroncare una volta per tutte la minaccia della Germania e salvaguardare la sussistenza dei rispettivi imperi minacciati dall’approccio Wilsoniano. I britannici non volevano che il grande impero dominasse il vecchio continente e di qui potesse minacciare il loro arcipelago. La Francia invece, paurosa anch’essa della Germania, doveva tenere conto della parallela, perenne diffidenza verso il R.U. Per maggiore sicurezza nei confronti della Germania, la Francia voleva occupare la Renania, ma durante i trattai di Parigi si sarebbe accontentata della garanzia anglo-americana contro un’aggressione tedesca. Il senato americano si rifiutò di ratificare il trattato di Versailles, 1919, in quanto non accettò la limitazione della sovranità nazionale implicita nei meccanismi di un’organizzazione internazionale. L’americanismo cozzava contro l’imperialismo britannico imperniato sull’equilibrio della potenza in Europa e nel mondo e sull’idea di potenza della Francia. L’intesa con le tre massime potenze vincitrici era decaduta. LA VITTORIA MUTILATA 2 Il nostro paese era entrato in guerra per portare a compimento l’epopea risorgimentale. Riuscendo a sconfiggere l’impero austro-ungarico, l’Italia era entrata nel club delle maggiori potenze. I rappresentati italiani sprecarono l’occasione di incidere sull’esito della conferenza e di qualificarsi come soci effettivi dell’èlite internazionale. Per almeno tre motivi: • Concentrazione esclusiva sulle proprie rivendicazioni territoriali • Carenza di status internazionale e errori dei capi della delegazione • Sottovalutazione di Wilson e dei suoi principi Inoltre, l’esito geopolitico della vittoria non era quello auspicato: entrando in guerra la monarchia italiana non intendeva distruggere l’impero austro-ungarico, ma infliggergli una lezione, riprendere le terre irredente ed espandere la propria influenza sul Mediterraneo e nei Balcani, a spese dell’impero ottomano. La linea negoziale attuata dalla delegazione italiana comprendeva il Trentino, Alto Adige-Sudtirolo, Trieste, Istria e parti della Dalmazia. Mentre i francesi respingevano l’annessione di Fiume all’Italia, gli americani avevano buon gioco a far notare che in molte delle terre irredente da trasferire sotto Roma in base al patto di Londra, salvo Trento e Trieste, l’Italia ne era in minoranza. Wilson per aggirare la resistenza di Orlando e Sonnino si rivolse direttamente all’opinione pubblica italiana. La nostra delegazione colse l’occasione per ritirarsi in patria. Per non farsi tirar fuori dal trattato di pace, Orlando e Sonnino tornarono a Parigi. Le colonie africane dei Reich erano state già spartite dagli alleati. Orlando fu costretto alle dimissioni. Gli succedette Nitti, fu lui il 10 sett. 1919 a firmare il trattato che assegnava Trentino, Alto Adige e Cortina al regno d’Italia. Gabriele D’Annunzio lanciò con alcuni militari ribelli e volontari, l’avventura per l’occupazione di Fiume, proclamandone l’annessione all’Italia. Il governo Nitti si oppose al colpo di mano. A stroncarla con forza fu il nuovo governo di Giolitti. L’Italia otteneva quasi l’intero litorale austriaco e pezzi di Corinzia. Fiume divenne un’entità indipendente, tale restò fino al 1924, quando Roma e Belgrado per il passaggio all’Italia del centro storico e di una fascia di territorio che lo connetteva alla madrepatria. IL CASO GERMANIA E LE SUE RIPERCUSSIONI AMERICANE 3 La repubblica di Weimar fu costretta a cedere tutte le colonie e ad accettare la responsabilità della guerra. Berlino dovette intestarsi pesanti riparazioni ed accettare un disarmo quasi completo, con amputazioni territoriali. Restituì l’Alsazia e la Lorena alla Francia. Le sue dimensioni spaziali, la collocazione geografica al centro del continente e soprattutto la scomparsa dell’impero russo, la lasciavano potenzialmente più forte di prima. Fu da subito animata da un forte spirito di rivincita per la sconfitta che molti tedeschi non accettarono; in quanto la consideravano come frutto di un tradimento dei leader politici. Sul futuro dei rapporti tra la Germania e le potenze vincitrici pesò anche il rifiuto del senato americano di di votare il trattato di pace e il consenso varo della società delle Nazioni. L’entrata in guerra contro la Germania fu uno spartiacque geopolitico interno che avrebbe segnato da allora in avanti i rapporti di forza tra i due. Fu così che Washington che guardò alla g.b come principale riferimento transatlantico. LA QUESTIONE NAZIONALE NELL’EU. CENTRO-ORIENTALE 4 I trattati di pace vennero stravolti da chi se ne considerava una vittima. La decomposizione degli stati multinazionali apriva la strada dell’indipendenza ai popoli prima compressi in un sistema imperiale. Qui il principio di autodeterminazione si svelava non un fattore di giustizia ma strumento di rivendicazioni. Il più importante degli stati che emergeva era la Polonia. I polacchi si impegnarono in conflitti destinati a rafforzare ed estendere il proprio stato, nel quale continuavano a stare minoranze ebraiche, germaniche, russe. Si scontrò soprattutto con la Germania e la Russia neobolscevica. Il caso forse più traumatico nella spartizione degli stati nazionali fu quello dell’Ungheria. Il trattato di TRIANON distrusse il sogno della grande Ungheria. Una doppia riduzione, demografica e territoriale non poteva che alimentare il revanscismo nazionale. L’Ungheria si concepiva nazione mutilata. Ad avvantaggiarsi di questa situazione furono i romeni e jugoslavi. A rendere maggiormente instabile l’assetto di questa parte europea contribuiva la questione ebraica. Essi erano il bersaglio favorito dei nazionalisti, specie in Polonia. Boicottaggi, spedizioni punitive erano all’ordine del giorno. SULLE ROVINE DELLA SUBLIME PORTA 5 L’impero ottomano si sviluppò con l’annessione austriaca della Bosnia-Erzegovina e subito dopo l’aggressione italiana in Tripolitania. Il nuovo stato si configurava geograficamente anatolico, religiosamente mussulmano ed etnicamente turco. Dopo il crollo delle armate ottomane, entrambe le potenze si erano autoassegnate corpose zone d’influenza nella Turchia anatolica. Obbiettivo liberazione dell’Anatolia e Tracia orientale, che i greci avrebbero dovuto evacuare. La vittoria finale contro i greci, arrise ai turchi nel 1922 con la presa di Istan0bul. L’impero ottomano veniva amputato dai suoi possedimenti arabi e levantini. L’Italia conservava il Dodecaneso. DOPO VERSAILLES. PERCHE’ LA PACE FU UNA TREGUA 6 alla pace di Parigi ancora oggi gli si attribuisce la responsabilità della 2 g.m. l’esclusione della repubblica di Weimar dai negoziati mirava alla radice le decisioni di Versailles e assicurava lunga vita al mito militarista tedesco della pugnalata alle spalle di politici corrotti. Il ritardo dei pagamenti da parte dei tedeschi inasprì i rapporti con la Francia. L’unione sovietica rimaneva fuori da ogni tipo di trattamento internazionale. Restava impossibile determinare uno stato nazionale del tutto omogeneo. Capitolo 13 Nascita e consolidamento Unione Sovietica Stato comunista che i bolscevichi di Lenin costruirono dopo la presa del potere nell’ottobre 1917. Il nuovo stato aveva una proiezione spaziale di continuità con la tradizione imperiale. Lo Stato sovietico ha come sua origine la Rivoluzione del 1917; inoltre ci fu un nesso tra la rivoluzione e la guerra mondiale, proprio perché le rivoluzioni russe del 1917 (febbraio e ottobre) sono scoppiate nel cuore della prima guerra mondiale, quadro di riferimento ineludibile che condusse alla nascita di u nuovo tipo di stato: Unione Sovietica. I bolscevichi presero il potere con un colpo di mano il 25 ottobre 1917: la guerra non era altro che un orizzonte di sfondo o un’occasione per giungere allo sbocco rivoluzionario di un processo già avviato di crisi irreversibile dell’Impero. La guerra è stata quindi il terreno formativo della stessa esperienza bolscevica. Alla vigilia dello scoppio della Grande Guerra non era però uno stato sull’orlo del collasso, anzi manifestava in diversi settori una vitalità notevole. Le riforme della seconda metà dell’Ottocento avevano messo in movimento l’Impero. L’industrializzazione aveva generato una classe operaia, essa rappresentava uno dei segmenti della società di maggiore dinamismo. Gli operai erano concentrati nei luoghi nevralgici dell’Impero, a partire dalla capitale San Pietroburgo. Nel 1898 era stato fondato il Partito operaio socialdemocratico russo (ideologia marxista), Plechanov tra i fondatori. Tuttavia c’era una spaccatura tra l’ala massimalista, i bolscevichi guidati da Ul’janov, noto come lo pseudonimo Lenin e l’ala riformista, i menscevichi, guidati da Martov. Il motivo della divisione fu sulla natura del partito, che Lenin voleva composto da rivoluzionari di professione, disciplinati in una formazione governata secondo le regole del centralismo democratico, bisognava realizzare una rivoluzione socialista nonostante l’arretratezza del paese, che invece induceva i menscevichi a ritenere possibile solo una rivoluzione borghese e liberale. Nel 1901 fondato il Partito socialista-rivoluzionario, il quale rappresentava le aspettative dei contadini e il loro obiettivo di ridistribuzione della terra. 1905: umiliazione per la sconfitta nella guerra contro il Giappone mise in luce i punti di fragilità dell’Impero: • Inadeguatezza regime autocratico • Questione istituzionale • Crescita movimenti nazionalisti conseguiva un clima di mobilitazione permanente in cui si forgiava il nuovo stato e la cultura politica delle sue classi dirigenti, per le quali la militarizzazione dell’azione politica era un orizzonte permanente. Nel 1920 si affermò come prassi il “comunismo di guerra”, uso di violenza e coercizione al fine di costruire un apparato statale che controllasse ogni aspetto della vita politica, economica, social e culturale. La guerra civile si concluse con la sconfitta degli eserciti controrivoluzionari nel 1919 e la riconquista nel 1920 di Ucraina e Transcaucasia. 2,5 milioni di soldati morti, qualche centinaio di migliaia di vittime delle repressioni e oltre diversi milioni di morti per fame ed epidemia. Uno Stato federale-imperiale la guerra civile si concluse con il recupero da parte del nuovo centro bolscevico di buona parte dei territori dell’Impero russo. Alla fine del 1922 lo spazio euroasiatico, con il suo complesso plurietnico e plurilinguistico, venne riorganizzato dal potere bolscevico in un nuovo Stato plurinazionale di carattere federale, L’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). Questo presentava elementi di continuità con l’impero russo: • Forte potere centrale • Ruolo della lingua e cultura russa di collante • Tensione all’espansionismo • Ruolo di Mosca come capitale imperiale • Proiezione universale e la carica messianica del potere comunista Gennaio 1918 introduzione del calendario gregoriano al posto di quello giuliano (avanzamento di 13 giorni) Il Partito comunista: controllo dello stato e messianismo ideologico Il potere bolscevico si presentò sulla scena mondiale con un progetto rivoluzionario di sovversione globale. I bolscevichi si dotarono nel 1919 di uno strumento di azione politica internazionale: il Komintern “partito mondiale della rivoluzione”, il quale raccolse i partiti e le frazioni dei partiti socialisti che si riconoscevano nell’esperienza rivoluzionaria bolscevica. Questo era però un organismo che faceva della sua connessione al potere bolscevico la propria ragione sociale, tanto da assumere gli obiettivi e gli interessi dello Stato governato dai rivoluzionari russi come obiettivi e interessi del movimento comunista internazionale. Nel marzo del 1919 al suo VIII congresso il Partito bolscevico si era dichiarato comunista. Il partito moderno aveva conquistato lo Stato, tanto da divenirne il centro: ne prendeva le decisioni fondamentali che determinavano le scelte dei ministeri e dei grandi enti pubblici e attraverso la rete territoriale degli organismi di partito anche quelle delle amministrazioni locali. Questo meccanismo (di duplicazione degli organismi) produceva un’ipertrofia burocratica. La NEP: guerra contadina e compromessi La guerra civile comportò la rottura dell’alleanza tra potere bolscevico e contadini, i quali si trovarono in una nuova guerra e sottoposti a un sistema di requisizioni dei raccolti introdotto dal governo, per garantire il sostentamento dell’esercito e delle città, attraverso coercizione e tortura per ottenere il grano (una repressione senza pietà). Dopo la conclusione della guerra civile Lenin nel 1921 introduce la Nuova politica economica (NEP) e scelse una nuova linea di concessioni al mondo contadino (85% della popolaione) al fine di permettere alla società e al sistema di consolidarsi. Abolito il sistema delle requisizioni e sostituito con una tassa in natura e concessa la commercializzazione dei prodotti agricoli eccedenti. La carestia fu sfruttata per sferrare un nuovo colpo alla chiesa, occasione in cui venne avviata la requisizione dei suoi oggetti preziosi. Nel 1921-22 carestia che provocò un milione e mezzo di vittime. Essa incise sulle capacità di resistenza delle bande armate contadine e chiuse la fase del confronto tra potere bolscevico e mondo contadino ridotto alla fame. Nel partito la svolta della NEP fu percepita come un compromesso. Si strinse così il controllo sul partito: al X congresso si proibì la formazione di frazioni; all’XI Lenin impose l’introduzione della figura del segretario generale, carica alla quale fu eletto Stalin. Dopo Lenin: la lotta per il partito Morte di Lenin nel 1924, innescò un confronto tra i dirigenti per la successione. Stalin, segretario generale del partito, assunse la guida del regime insieme ad altri due membri, Zinov’ev e Kamenev. Il conflitto ruotava attorno al dibattito sul carattere ideologico del partito sulla natura del regime e i suoi sviluppi. Inoltre le dinamiche del dopoguerra in Europa avevano mostrato che le aspettative di una rivoluzione mondiale erano tramontate; quindi il “socialismo in un solo paese” (proposta di Stalin) rispondeva alle esigenze di consolidamento del nuovo stato, pur allontanandosi dai postulati dell’ideologia marxista. Da una parte la destra di Bucharin, sostenitore di una guida politica di continuazione della NEP; dall’altra parte c’era la sinistra guidata da Trockij, che riteneva prioritario accelerare lo sviluppo industriale del paese drenando risorse all’agricoltura. Lotta di potere tra i dirigenti del partito. L’alleanza del “centro” staliniano con i buchariniani condusse all’emrginazione di Trockij, espulso dall’Unione Sovietica nel 1929. La grande svolta:la distruzione delle campagne Il 1929 è l’anno della “grande svolta”, Stalin, dopo aver sconfitto la destra di Bucharin, contrario ad una politica anticontadina, pose fine definitivamente alla NEP. Aveva inizio la seconda fase della grande guerra contadina condotta dal Partito Comunista contro il mondo rurale. Occorreva da una parte eliminare le elite del mondo rurale, i kulaki . Dall’altra ridisegnare la proprietà della terra e l’organizzazione del lavoro agricolo con la formazione di grandi aziende collettive (kolchozy). Avvio il processo di collettivizzazione delle campagne che insieme al varo del primo piano quinquennale fu segno della grande svolta del 1929. Dal gennaio-febbraio 1930 ebbe inizio la “dekulakizzazzione” ovvero il sequestro delle proprietà e deportazione delle famiglie dei kulaki (deporatate circa 2 milioni di persone, nelle regioni più remote della Siberia e dell’Asia centrale. Nella primavera del 1932 nuova carestia che colpì l’Ucraina, il Caucaso, regioni di Don e Volga, il Kazakistan. Le vittime 3,5 milioni in Ucraina. Questa carestia era conseguenza delle rovinose politiche agrarie di Stalin e da questo volutamente non contrastata per fiaccare la resistenza nelle campagne e segnò la fine della grande guerra contadina con la vittoria di Stalin e la distruzione del tradizionale mondo rurale russo e ucraino. Il potere di Stalin: modernizzazione e terrore Il piano quinquennale favoriva l’industrializzazione accelerata del paese in particolare nei settori dell’industria pesante. A guidare questa accelerazione, e quindi l’economia, di fatto era l’apparato di partito preposto al piano, che decideva gli obiettivi, priorità e allocazione di risorse finanziarie. Utilizzato massicciamente il lavoro forzato dei kulaki rinchiusi in campi di lavoro dopo la loro deportazione. Nasceva il sistema concentrazionario sovietico, il GULag. Il consolidamento del regime avviene anche attraverso la polizia politica, che divenne in quegli anni il braccio esecutivo della politica di Stalin e della dirigenza del partito. Al vertice del sistema vi era Stalin, un dittatore lucido e pragmatico che trasmetteva intimidazione, interiorizzata dalla popolazione, che si coniugava all’aspetto carismatico. Alla metà anni Trenta l’omicidio del capo del partito di Leningrado, Kirov, fu colta da Stalin come l’occasione per affermare la sua autorità assoluta con l’eliminazione dei suio vecchi avversari: il leader indicò come responsabili dell’omicidio Zinov’ev e Kamenev e scatenò un’azione repressiva tra le fila del partito, una purga: condannati a morte Zinov’ev, Bucharine eKamenev. L’attacco alle elite riguardò anche i vertici militari, di cui la gran parte fu eliminata. Febbraio marzo 1937 violente ondate di repressione che ha preso il nome di “grande terrore”. Convinzione della cultura politica staliniana era l’avvicinarsi di una guerra inevitabile, rafforzata dall’avvento al potere di Hitler nel 1933 e dalla precedente invasione Giapponese della Manciuria 1931, si collegava a una psicologia del conflitto permanente che induceva ad individuare continuamente possibili nemici interni e ad annientarli. Il terrore, la cui applicazione fu guidata da Ezov: ordine 00447 di luglio (arresto di 259450 persone e fucilazione immediata di 72950 di esse). Alla fine del 1938 Stalin pose fine alle repressioni e sostituì Ezov con Brija. CAPITOLO 14 I processi innescati dal conflitto avevano acutizzato la crisi dello stato liberale. I fenomeni di brutalizzazione della vita politica segnarono profondamente la società italiana, attraversata da un conflitto politico violento che acquisì i connotati di una guerra civile. Su questo terreno si affermò la soluzione fascista alla crisi dell’Italia liberale. Il partito fascista si mostrò da subito come un partito-milizia, che fece dell’uso sistematico della violenza un tratto qualificante della sua politica. Fu anche un movimento politico originale, un esperimento totalitario fondato sul potere dittatoriale di Mussolini, sull’onnipotenza dello stato, sulla proposta di una religione politica. Obiettivo era una rivoluzione antropologica tesa a creare un uomo nuovo, a fascistizzare gli italiani. Mussolini voleva che l’Italia fosse una protagonista sugli scenari internazionali, obb. Egemonia italiana su Mediterraneo e danubiano-balcanico. CRISI DEL DOPO GUERRA 1 L’economia di guerra aveva indotto delle distorsioni nel sistema. L’Italia era uscita dalla guerra fortemente indebitata. Tale debito poneva la nazione in una condizione di forte dipendenza con l’estero. La questione finanziaria era il principale elemento di debolezza dell’economia, la quale doveva anche procedere con la ricostruzione dell’apparato produttivo. La situazione provocò turbolenze sociali. A peggiorare ulteriormente la situazione fu il reintegro di un grande numero di reduci. La questione di quali dovessero essere i territori che espettavano all’Italia dopo la vittoria, creò un forte impatto sull’opinione pubblica. L’agitazione per la questione adriatica toccò maggiormente i nazionalisti, che insieme alla politica del governo ottennero il risultato di favorire la diffusione nell’opinione pubblica dell’espressione che il paese subisse un’umiliazione, nonostante la vittoria nella guerra. La diffusione del mito della vittoria mutilata costituì una delle armi più efficaci in mano alla destra nazionalista per favorire la radicalizzazione dello scontro politico. I socialisti venivano additati dai nazionalisti come responsabili della politica delle “rinunzie” causa della vittoria mutilata. La politica estera diventava un fattore decisivo della vita politica italiana. Era in corso l’opera di ristrutturazione del quadro europeo e mediterraneo. La crisi del dopo guerra si era trasformata fin dal suo inizio in una crisi del sistema. Le voci dei complotti militari furono frequenti negli anni della crisi dello stato liberale e testimoniavano la loro diffusione il coinvolgimento di settori dell’esercito in trame eversive. La marcia su Fiume e la conquista della città da parte di un gruppo di armati, rappresentarono il tentativo più determinato per arrivare ad una soluzione extraparlamentare della crisi politica. L’impresa fiumana rappresentò il culmine della mobilitazione politica dell’esercito contro il governo, in funzione di un rafforzamento della destra. Obbiettivo dei promotori della marcia su Fiume era di provocare la caduta del nuovo presidente del consiglio Nitti. L’inasprimento della conflittualità sociale, lo sviluppo dell’industria con il conseguente aumento della classe operaia erano tutti fattori che rafforzavano il ruolo di rappresentanza dell’area sociale del partito socialista. Il radicamento del cattolicesimo nel paese e soprattutto il reticolo di organizzazioni diffuso nella penisola, fornirono la base al nuovo partito. Il partito popolare scompaginò il quadro politico su cui la classe dirigente liberale faceva affidamento per adeguare il proprio ruolo di direzione del sistema alle mutate condizioni storiche. Il mondo cattolico si presentava come una forza politica autonoma all’indomani della guerra. Le elezioni politiche del 16 nov. 1916 furono un vero e proprio terremoto politico. La sconfitta della classe dirigente liberale fu inequivocabile. Si apriva una stagione di instabilità politica. Dalla fine della guerra in I PATTI LATERANENSI: 3 documenti • trattato con il quale la Santa sede riconosceva il regno d’Italia mentre lo stato italiano dichiarava il riconoscimento dello statuto internazionale della Santa sede e della sovranità del papa sulla Città del Vaticano – • Concordato che regolava i rapporti tra stato e chiesa in Italia – • Convenzione finanziaria che stabiliva il risarcimento che il regno d’Italia assicurava alla Santa sede come riparazione alla perdita dello stato pontificio. Questi furono di grande successo per Mussolini. Il conflitto tra i due però rimase. L’acme fu raggiunta nel 1931 quando l’offensiva fascista fu diretta contro le organizzazioni dell’azione cattolica che era il pilastro della chiesa di Pio XI. I fascisti attaccarono le organizzazioni giovanili tra cui le università. Mussolini decise di sciogliere l’azione cattolica e tutte le organizzazioni. Pio rispose vietando tutte le professioni pubbliche e condannò la concezione totalitaria dello stato e dell’educazione sostenuta dal fascismo. Un compromesso raggiunto a sett. risolse la crisi. I CARATTERI DEL REGINE 4 Il fascismo è figlio della grande guerra. Essi non crede alla pace perpetua. Caratterizzava la sua proposta culturale e politica con il riferimento a una serie di miti: guerra, nazione, duce, romanità. Fu l’ideologia di un nuovo stato totalitario, con un regime politico nuovo, dove prevalevano elementi di modernità: centralità del partito unico, mobilitazione organizzata dalle masse. Quest’ultime andavano inquadrate, educate, manipolate, lo si faceva anche grazie agli organi della polizia. Fu allestita una vera e propria fabbrica del consenso, con un uso massiccio della propaganda. L’utilizzo del cinema divenne un potente strumento di comunicazione politica. Si avviò anche il controllo della stampa. I riti erano ritenuti da Mussolini un elemento fondamentale della politica di massa. Il duce fu posto al centro, era rappresentato come l’archetipo dell’uomo nuovo. Alle nuove generazioni fasciate era proposto di credere, obbedire, combattere in nome del Duce. Il partito in quegli anni non era immune da conflitti interni, da crisi locali, dalle turbolenze degli squadristi. Quest’ultimo fu organizzato secondo una struttura gerarchica e verticistica. Il dualismo sta stato e partito si risolveva in una compenetrazione tra i due. A tale dualismo si sovrapponeva quello tra centro e periferia del paese. L’opzione di Mussolini fu quella di una visione centralizzata del partito e dello stato. Il partito fu quindi subordinato allo stato. Tra le leggi fascistissime fu approvato anche un provvedimento che regolava i rapporti collettivi di lavoro, il quale conteneva la proibizione dello sciopero e della serrata, il riconoscimento statale dei significati. Prevedeva inoltre l’istituzione delle corporazioni, organi pubblici in cui erano rappresentati gli interessi degli altri attori economici. In questo modo il fascino metteva sotto al proprio supervisione il mondo del lavoro e lo imbrigliava in un sistema di controlli e di subordinazione allo stato. Le corporazioni furono però istituite solo nel 1934. La politica economica di Mussolini favorì il consolidamento del rapporto tra il regime e il mondo della finanza e dell’industria. Fu stabilito di adottare la quota 90 per la rivalutazione della lira, la quale si era fortemente deprezzata nei confronti della sterlina. Il cambio fu fissato per 90 lire in cambio di una sterlina. Il provvedimento era contrario agli interessi dei settori industriali, andò invece a sostegno dei comparti produttivi che dipendevano dalle importazioni e avevano necessità di investimenti. La crisi del 1929 destabilizzò il sistema bancario e costrinse il governo ad approntare strumenti nuovi di intervento diretto dallo stato nell’economia. Nascita dell’IMI aveva la funzione di finanziare a medio e lungo termine le imprese industriali attraverso le emissioni di obbligazioni. L’IRI aveva come compito quello di intervenire in operazioni di salvataggio e risanamento di aziende. L’ITALIA FASCISTA NEL MONDO 5 Il regime si figurava come un’alternativa alla società, che prendeva il ruolo del capitalismo e socialismo. Portò avanti una politica di sostegno alle forze pubbliche. Il fascismo provocò anche molte emigrazioni in modo particolare di intellettuali e politici che si opponevano al movimento. Nella politica estera i campi interessanti erano il Mediterraneo e l’Europa danubiano-balcanica. Mussolini voleva un’Italia che dominasse il bacino del Mediterraneo. 1924 siglò un patto di amicizia italo-jugoslavo trovano un accordo su Fiume. La città e il porto furono assegnate all’Italia. La collocazione italiana all’esterno si avvalse del rapporto di intesa che Mussolini instaurò con la g.b. La comparsa del revisionismo e dell’espansionismo hitleriano sulla scena internazionale, complicò il gioco di Mussolini. I progetti espansionistici italiani avevano come obiettivo la conquista dell’Etiopia, questo andava a significare anche il dominio del mar rosso. 3 ott. 1935 truppe italiane attaccano l’Etiopia. La reazione fu limitata. L’aggressione suscitò però a livello mondiale proteste contro l’Italia fascista. 5 magg. 1936 fine della guerra. 9 magg. Mussolini dichiara la nascita dell’impero fascista. La guerra venne combattuta con un alto tasso di spietatezza. L’apice della violenza fu raggiunto nel 1937 quando venne dato avvio ad una brutale repressione contro la chiesa degli ortodossi. La guerra fu combattuta contro un avversario debole. Nello stesso anno l’Italia si ritira dalla società delle nazioni. Nella nuova alleanza con la Germania, Mussolini si trovava in un ruolo di subordinazione rispetto a Hitler. CONTROLLO TOTALITARIO, FASCISTIZZAZIONE, RAZZISMO 6 1931 introdotto obbligo l’iscrizione e il giuramento al partito. Conquista monopolio dell’educazione dei giovani. La chiesa e il ministro della pubblica istruzione costituivano due ostacoli. Forte attenzione ai giovani: 1926 nascita opera nazionale balilla. 1939 diventa obbligatorio la partecipazione dei giovani alle varie attività. PNF sviluppò anche un’assistenza medica, legale alle famiglie povere. Si svilupparono le associazioni femminili. L’obb. Dichiarato li fascismo era la creazione di una nuova Italia. Seconda metà anni 30 si attuarono forme di politica razzista. Si doveva creare un uomo nuovo, una nuova razza di italiani rappresentati dal fascismo. Si venne a formare un regime di apartheid con la separazione degli spazi pubblici e privati tra italiani e indigeni. La legge razzista introdusse una serie di norme discriminatorie e persecutorie contro gli ebrei italiani. Non potevano far parte del partito, no matrimoni misti, studenti ebrei esclusi dalle scuole. 1938 fu avviato un censimento degli ebrei italiani che sarebbe stato usato durante l’occupazione tedesca dell’Italia dopo il sett. 1943. Sentimenti e umanità nella società italiana andarono in aiuto a molti ebrei, in modo particolare il mondo ecclesiastico. 1939 camera dei deputati fu sospesa e sostituita dalla camera dei fasci e delle corporazioni. Capitolo 15 Da Weimar a Hitler I trattati di pace avevano aperto più dispute geopolitiche di quante fossero riuscite a chiudere. I sistemi parlamentari poi affrontavano la sfida di gruppi radicali (destra, sinistra e nazionalisti) alcuni dei quali dotati di proprie milizie, come i fascisti italiani e i comunisti tedeschi. La guerra di massa aveva accelerato la crescita delle società di massa; ne aveva anche accentuato la conflittualità intestina. Inoltre la protesta della sufragette cominciava almeno in Europa occidentale a intaccare nella vita pubblica e le barriere di genere. Diffusione del cinema e dalla radio negli anni ’20. Al centro di tutto, l’irrisolta questione tedesca. Le fragili radici di Weimar La repubblica di Weimar è la repubblica tedesca battezzata nel gennaio 1919 a Weimar, la sua fu una stagione breve e tormentata. L’illusione della pace durò vent’anni, fino all’aggressione nazista della Polonia (1 settembre 1939). Adolf Hitler prese il cancellierato il 30 gennaio del 1933 e nel 34 integrando la sua persona nelle cariche di cancelliere e duce, diede inizio al Terzo Reich, nome dato per marcare la continuità con il Sacro romano impero e l’Impero guglielmino. Lo Stato della repubblica era il prodotto di una sconfitta che la maggioranza dei tedeschi non considerava tale o ammetteva come solo provvisoria. E se la vittoria sulla Russia di Lenin era stata suggellata a Brest- Litovsk dai capi delle forze armate del Reich, l’armistizio “della vergogna” con gli alleati occidentali venne firmato da un governo civile, affidato al leader socialdemocratico Elbert. Per conseguenza immediata i vertici militari e le elite nazional-conservatrici diffusero con successo la leggenda del “colpo di pugnale” alla schiena: l’Impero era caduto vittima di un complotto ebraico- bolscevico. I ripetuti quanto fallimentari tentativi di putsch orchestrati dagli ultranazionalisti (quelli bavaresi di Kapp 1920, e di Hitler nel 1923) che si alternavano alle altrettante abortite iniziative pararivoluzionarie dei comunisti, miravano ad emancipare il paese dalle “catene di Versailles”. Weimar non era la libera espressione del popolo tedesco, ma la precaria forma istituzionale di una imposizione sentita come sommamente ingiusta. I governi che si succedettero fino a Hitler non furono espressione delle culture politiche repubblicane, ma frutto di più o meno stabili compromessi fra quelle forze e i loro avversari, variamente antidemocratici, antirepubblicani e antiparlamentari. In secondo luogo, Weimar dovette far fronte a un’emergenza economica e sociale di proporzioni mai viste nella moderna storia tedesca; l’iperinflazione dei primi anni Venti, il fallimento economico ricadevano sulle deboli spalle della repubblica, delegittimandola. I debiti postbellici avevano un peso morale prima ancora che materiale, essendo legato alla “colpa” tedesca di aver scatenato la guerra. C’era poi una disoccupazione galoppante. L’occupazione franco-belga della Ruhr nel 1923 fu ultimo fallito tentativo di imporre alla repubblica di Weimar il totale pagamento delle riparazioni e contribuì a precipitare l’inflazione verso tassi astronomici. Questo finché l’approccio più realistico degli inglesi e le mediazioni americane prevalsero sulle velleità punitive francesi, riducendo e infine sciogliendo (con i piani Dawes 1924, e Young 1929) il peso dei debiti di guerra e riaprendo il mercato tedesco ai crediti internazionali. Poi ci fu il crollo di Wall Street nell’ottobre del 1929 e le devastanti ripercussioni mondiali della catastrofe finanziaria americana rimisero drasticamente in questione la ripresa economica tedesca. C’era poi la questione territoriale: la repubblica di Weimar poteva aspirare alla legittimazione interna solo se fosse riuscita a riportare la Germania al rango di grande potenza; recuperando innanzitutto i territori confiscati dai vincitori a Versailles. L’idea di uno “Stato per tutti i tedeschi”. Il caso austriaco esemplificava l’ingiustizia percepita a Weimar. Nel 1918 era stata proclamata la Repubblica dell’Austria Tedesca, che si autodefiniva “parte della Repubblica Germania”.I fautori dell’ Anschluss, l’annessione dell’Austria al Reich, dovettero cedere al dettato di Versailles, che determinava l’indipendenza dell’Austria di ceppo maggioritariamente tedesco. Nel nuovo clima della repubblica si diffuse una pedagogia territoriale che gettò le basi della geopolitica come disciplina specifica. Contrariamente a quanto spesso affermato, la Geopolitik non fu affatto creazione nazista. La parentesi Stresemann Gli anni 1924-1929 furono cinque anni di equilibrio economico e politico. Ciò era stato innescato sul fronte internazionale dal prevalere dell’appeasement inglese sulla revanche francese nel trattamento della Germania repubblicana, oltre che dal sostegno finanziario americano a Weimar. Ministro degli esteri del quinquennio fu Stresemann. In lui il sogno della Grande Germania passava per la riammissione di Weimar quale attore paritario nella rete delle relazioni fra le potenze impegnate a far evolvere la tregua di Versailles in un nuovo ordine europeo. Gli accordi di Locarno (1925) furono rappresentazione di questa idea: intesa tra Germania, Belgio e Francia, garantita da Italia e GB, sanciva l’inviolabilità delle frontiere fra quei tre paesi stabilite a Versailles e dunque la rinuncia tedesca a qualsiasi rivendicazione su Alsazia-Lorena e la smilitarizzazione della Renania. Sull’onda dello “spirito di Locarno”, la Germania fu ammessa nella Società delle Nazioni (1926). L’avvento di Hitler Tra il 24 e il 29 ottobre del 1929 ci fu il crollo della Borsa di NY, innescato dalla speculazione sui titoli, e iniziò la grande depressione: drammatico aumento della disoccupazione, crollo del commercio. La La scintilla fu l’assassinio del 13 lug. 1936, del leader monarchico SOTELO da parte di poliziotti di tendenza socialista. Pochi giorni dopo si rivoltarono contro il governo repubblicano. A difesa di quest’ultimo si ersero operai, braccianti, ma anche una quota rilevante della borghesia e dell’intellettualità spagnola. Lo scontro più grave si ebbe a Barcellona, primavera 1937: comunisti ed esercito repubb. Decisero di regolare i conti con trozkisti e anarchici. I due schieramenti erano entrambe supportati da aiuti esterni: Francia e g.b. si schierarono neutrali. Hitler e Mussolini inviarono rinforzi in armi e truppe ai generali ribelli. A difesa della repubb. Si schierò l’Unione Sovietica, anche le Brigate internazionali si schierarono a suo favore. Dopo 3 anni i nazionalisti di Francisco Franco conquistarono Madrid il 28 marzo 1939. Il primo aprile le ostilità si concludevano con il trionfo e la fuga di centinaia di migliaia di combattenti e sostenitori della repubblica. LA VIA TEDESCA ALLA GUERRA MONDIALE 5 Per favorire la crescita dello spazio vitale, Hitler si spostò Austria e Cecoslovacchia. Egli riteneva che Parigi e Londra non si sarebbero opposte alla sua marcia su Vienna e su Praga. Il primo obb fu l’Austria che nel marzo 1938 l’annessione fu compiuta. La ridusse in 7 provincie. Le previsioni sulle posizioni inglesi e francesi si rivelarono giuste. Parigi sperava anche ad una pace con la Germania. Londra e Francia ragionavano secondo i dettarmi del gabinetto. Secondo Hitler la politica estera non poteva che svilupparsi con l’uso della violenza e la mobilitazione delle masse. 29 sett. I quattro leader si incontrarono a Monaco. Hitler ottenne l’integrazione dei Sudeti nel Reich. La Germania violava l’accordo di Monaco. Berlino ottenne la resa di Praga. A questo punto nel mirino nazista entrava la Polonia. L’attacco era fissato per il 26 agosto 1939. Londra e Parigi correvano ai ripari e formalizzavano per trattato la loro garanzia delle frontiere polacche, romene e greche. Insieme avviarono negoziati segreti con Mosca, per accerchiare Hitler. Stalin accettò l’offerta di Hitler, che rinviava lo scontro tra i due e le destinava a condividere la frontiera dopo il crollo della Polonia. 23 agosto ministri degli esteri tedeschi e di Stalin, firmarono il patto di non aggressine Ribbentrop e Molotov. 1 sett. 1939 Hitler varca la frontiera polacca. La Germania aveva aperto la SECONDA GUERRA MODNIALE. Capitolo 17 La seconda guerra mondiale: atto primo la seconda guerra mondiale (1939-45) ha una bipartizione spazio temporale che distingue due fasi del conflitto: quella euro mediterranea e quella che dal 7 dicembre 1941, con il bombardamento aereo giapponese di Pearl Harbor (Hawaii), vide incendiarsi anche l’estremo oriente e il pacifico. Risultato: dai 50 agli 85 milioni di morti. La principale radice del conflitto stava nella precarietà degli equilibri stabiliti a Versailles e in seguito nella contrapposizione tra potenze conservatrici e potenze revisioniste. Poi però ci furono diversi altri fattori: l’incompatibilità fra le versioni del mondo nazista e fascista, e quelle liberal-democratiche e comunista. Inoltre le tre potenze dell’Asse (Germania, Italia, Giappone) pur ideologicamente affini, non arrivarono mai a coordinare le rispettive strategie. Quanto ai tre perni della coalizione anti hitleriana (GB, USA, Unione Sovietica) le loro alquanto eterogenee opzioni geopolitiche impedirono di concordare un approccio comune almeno fino agli ultimi due anni di guerra. La guerra europea comincia in Polonia Il 1 settembre del 1939 Hitler sperava ancora nella rinuncia di britannici e francesi. Due gironi dopo queste dichiaravano guerra a Berlino. Ma già il 6 ottobre gli ultimi soldati polacchi cedevano le armi, ben prima che gli alleati euro-occidentali fossero disponibili ad aprire un fronte sul Reno. Passarono lunghi mesi fino al 10 maggio del 1940, prima che gli anglofrancesi si scontrassero sul campo contro le Forze armate del Terzo Reich. Fu la “strana guerra”: una fase di preparazione allo scontro finale. Di qui un approccio difensivo, rappresentato dalla linea Maginot, un insieme di fortificazioni e barriere difensive allestite lungo gran parte della frontiera orientale dell’Esagono, con cui i generali francesi, con ancora in testa le lezioni della guerra di trincea, immaginavano di sbarrare il passo all’aggressivo imperialismo tedesco. (guarda scheda pag 475) Hitler invece aveva fretta e in guerra l’urgenza divenne frenesia, per motivi anzitutto psicologici, anche perché questo identificava il suo destino con quello della nazione tedesca. Il Fuhrer avrebbe volentieri tenuto fuori gli scandinavi dalla guerra, rispettandone la neutralità, per accoglierli poi a guerra finita da buoni cugini germanici; ma non poteva tollerare che i britannici arrivassero a Narvik prima di lui, bloccando le importazioni di ferro svedese e norvegese, così fece “un’invasione rispettosa” delle terre di altri popoli ariani. La conseguenza politica principale della vittoria sovietica in Finlandia e di quella nazista in Norvegia fu l’avvento al potere a Parigi e a Londra di leader pronti a combattere fino in fondo, rompendo con i tentennamenti dei loro predecessori, che avevano lasciato spazio all’ipotesi di un compromesso con la Germania: primo ministro inglese da Chamberlain a Winston Churchill Hitler a Parigi, Mussolini a Mentone A campagna polacca in corso, Hitler aveva già cominciato a concepire l’attacco alla Francia, da scatenare nell’autunno del 1939. La Francia doveva essere sconfitta militarmente e ridotta a satellite; con la Gb invece il Fuhrer sperava di raggiungere un accordo, anche perché, in tal modo, la Germania avrebbe potuto contare sulla persistente neutralità degli USA. A spingere i nazisti ad invadere la Francia erano considerazioni strategiche, non ideologiche. I generali di Hitler temevano l’attacco francese alla Ruhr, cuore industriale e minerario del Reich. Soprattutto non immaginavano di poter scatenare l’offensiva sul fronte orientale senza essersi sbarazzati della potenza militare francese. L’idea era di aggirare la linea Maginot, anche perché la Francia pensava di ricombattere la prima guerra mondiale in versione aggiornata; la Germania invece sapeva di non poterselo permettere. Una guerra di logoramento sul fronte occidentale sarebbe equivalsa a una sconfitta perché avrebbe impedito al Reich di dedicarsi all’obiettivo principale- la guerra all’est, contro l’Unione Sovietica. Il 10 maggio 1940 le colonne della Wehrmacht penetrarono in Belgio, Olanda e Lussemburgo (tutti neutrali) per riversarsi rapidamente in Francia, attraversando le Ardenne, considerate dalla dottrina francese impenetrabili ai panzer tedeschi e quindi non protette da una linea di fortificazioni; questo fu il “colpo di falce”. L’avanzata tedesca fu così fulminea da costringere il grosso delle truppe britanniche e una parte considerevole di quelle francesi in una sacca imperniata sul porto di Dunkerque. Hitler esitò a dare l’ordine di attaccarle. Ciò permise ai britannici di organizzare una formidabile operazione di recupero attraverso la manica. Il governo francese fu evacuato da Parigi per trasferirsi a Bordeaux; le truppe tedesche occuparono la capitale francese il 14 giugno. Il 16 giugno Reynaud si dimise e prese il suo posto il maresciallo Philippe Pétain che il 22 giugno firmò la resa. In meno di un mese e mezzo il Fuhrer aveva sconfitto e umiliato la Francia. Quando la vittoria tedesca in Francia era apparsa assicurata, anche l’Italia aveva deciso di aggregarsi in extremis al carro del trionfatore. Il 10 giugno Mussolini aveva annunciato dal balcone di Palazzo Venezia (Roma) l’entrata in guerra. Le truppe italiane tuttavia non erano pronte dopo aver combattuto in Etiopia e in Spagna (male equipaggiate e poco motivate). Il Duce era convinto in tal modo di poter partecipare alla divisione delle spoglie della Francia sconfitta e al conseguente riordino degli equilibri europei e mondiali. Mussolini voleva una guerra parallela, indirizzata a realizzare il suo sogno geopolitico: l’egemonia sui Balcani e sul Mediterraneo, con l’accesso all’oceano Indiano. Si trattava di uscire dalla prigionia del mare nostrum, nel quale la supremazia navale britannica e francese lo ingabbiava. C’era in gioco anche un fattore di prestigio e il fatto che Mussolini non si fidava di Hitler. Tuttavia il Duce non si sarebbe spinto alla guerra se non fosse stato convinto dell’imminente vittoria di Hitler. Il sud-est della Francia viene così occupato dagli italiani, che si spingono fino a Mentone. L’Italia non ebbe alcun ruolo nella resa di Pétain, ma ottenne una sua zona di occupazione, nella Francia sud-orientale. Pétain era insediato nella cittadina termale di Vichy e al vecchio maresciallo restavano poteri poco più che amministrativi sulle regioni centrali e mediterranee, esercitati in forma autoritaria sotto la supervisione tedesca. Ma Londra non si arrende Un manipolo di soldati e patrioti francesi non volle accettare la sconfitta e da Londra proclamò la resistenza all’invasore. Guidata dal generale Charles de Gaulle, la Francia Libera in esilio teneva in alto la bandiera. Churchill voleva impedire che le colonie francesi fossero fagocitate dalla Germania (e con esse la flotta) decise di agire; a tal punto che il 3 luglio gli inglesi attaccarono la squadra francese all’ancora nel porto algerino di Mers-el-Kebir, affondando la corazzata Dunkerque e altre navi minori, pur di non rischiare che finissero in mano tedesca. L’estate del 1940 per Londra era concentrata in una guerra di resistenza alla Germania, nella speranza che prima o poi gli USA si sarebbero schierati con Londra. Il presidente americano Roosevelt vedeva il pericolo: vivere ai margini di un mondo sottomesso all’Asse avrebbe significato “convertirsi in una potenza militaristica basata su un’economia di guerra”. Ciò avrebbe segnato la fine del sogno americano e questa era una prospettiva inaccettabile, che già dal settembre del 1940 convinse il presidente, malgrado le resistenze di gran parte dell’opinione pubblica e del Congresso, ad avviare un programma di aiuti alla GB codificato nel marzo 1941 con il Lend-Lease Act (legge affitti e prestiti): con esso il presidente era autorizzato ad affittare o prestare armi e aiuti a qualsiasi paese egli ritenesse opportuno, in nome della sicurezza nazionale. Hitler si trova di fronte ad un bivio: l’ostinazione della GB rende necessaria la sua neutralizzazione. La sua indisponibilità al compromesso con Berlino rendeva necessaria l’invasione, o almeno una campagna di bombardamenti che la mettesse in condizione di non nuocere. La sequenza era l’attacco immediato a Londra (operazione “leone marino”) e preparazione della campagna decisiva contro Stalin (operazione “Barbarossa”). Malgrado le incursioni aeree, anche notturne, su Londra e sui principali centri industriali, a fine settembre fu evidente che “Leone Marino” era un fallimento. Lo sbarco si era rivelato impossibile. Dall’autunno del 1940 le massime energie dell’apparato bellico hitleriano si concentrarono dunque sull’attacco all’URSS (si rovesciano le priorità strategiche). Fronte sud-est, dai Balcani al Nordafrica Il Duce aveva portato l’Italia in guerra nella convinzione di non doversi impegnare in una campagna lunga e logorante, ma solo di guadagnare il diritto di sedere a fianco di Hitler al tavolo dei vincitori. A questo scopo serviva però un successo, almeno di facciata. Mussolini concentrò la pianificazione bellica lungo due assi di espansione classici dell’imperialismo italiano: Mediterraneo e Balcani. Qui il nemico era l’Impero Britannico. La prima direttrice offensiva italiana era il Nordafrica. Gli oltre duecentomila uomini al comando del generale Graziani avrebbero dovuto muovere dalla Libia verso l’Egitto e prendere Suez. Di fronte avevano appena trentamila britannici, sufficienti però a contenere e respingere gli italiani, in una guerra che durerà 3 anni. La superiorità di uomini non offriva affatto garanzie di successo, a causa della modesta mobilità: scarseggiavano sia i camion che la benzina, e dell’inferiorità dei carri armati leggeri (le “scatolette di latta”). Hitler non poteva rischiare la sconfitta degli italiani e la conseguente presa del mediterraneo dei britannici; di qui la decisione di mandare in soccorso del Duce un robusto contingente comandato dal maresciallo Rommel: l’Afrika Korps , che fino al maggio del 1943 impegnerà i britannici dell’VIII armata in una sequenza di offensive e controffensive sui fronti nordafricani nelle quali agli italiani spetterà un ruolo minore. Mussolini poi aveva preparato (fine estate 1940) in gran segreto l’invasione della Grecia. Il dittatore fascista voleva dimostrare a Hitler di non dipendere da lui per le sue scelte strategiche. Il Fuhrer considerò da subito la spedizione militare italiana in Grecia un grave errore: aveva ragione. Nel giro di qualche settimana quella che doveva essere una passeggiata trionfale verso Atene si trasformò in una angosciosa difesa dell’Albania. Come in NordAfrica, il fallimento dell’offensiva italiana indusse i tedeschi ad intervenire per impedire il collasso dell’alleato, distraendo forze e risorse all’operazione Barbarossa. Il doppio fallimento in Nordafrica e nei Balcani segnò l’inizio della fine per il regime fascista. 3 luglio 1942 truppe tedesche e italiane erano giunte a El Alamein. Gli inglesi, numericamente il doppio, riuscirono a sconfiggere l’alleanza italo-tedesca. L’Italia aveva perso la Libia e l’invasione dell’Africa francese. Gennaio 1943 Roosevelt e Churchill si incontrarono a Casablanca, Stalin si rifiuta di raggiungerli in quanto irritato per la scelta dei due di sbarcare nel Norafrica invece di aprire un secondo fronte contro la Germania sul suolo eu in modo da alleviare la pressione tedesca sull’armata rossa. Nell’incontro si decise di non trattare con Hitler alle spalle di Stalin. Mentre avveniva la discussione, l’armata rossa stringeva la morsa sulla VI armata tedesca. La resistenza di Stalingrado superò le aspettative dei tedeschi e dei loro alleati romeni, ungheresi, italiani. Fu uno scontro infernale, nel quale freddo e fame fecero stragi. Si concluse il 2 febbraio 1943 con la resa dei superstiti della VI armata, cui anche Hitler aveva proibito di cedere le armi. Fu qui la prima volta che i militari tedeschi manifestarono contrasti contro Hitler. Per i sovietici si trattava della loro prima grande vittoria, per i tedeschi la fine del mito della loro imbattibilità sul campo. Per l’armata rossa si apriva la prospettiva della liberazione della patria e quindi della marcia su Berlino che avrebbe posto per sempre fine al Terzo Reich. CROLLO FASCISMO E FINE DELL’ITALIA 4 23 ott. 1942, mentre la VIII armata di Montgomery si scagliava all’attacco delle forze italo-tedesche, l’aviazione britannica scatenava l’inferno sul cielo di Genova. Il vero obb era spezzare il morale degli italiani e con esso il vincolo che li teneva legati al regime e allo stato. Obb raggiunto, il 25 luglio 1943 ci fu la fine del fascismo. L’Italia fascista fu il primo paese dell’asse a crollare. I bombardamenti angloamericani minarono la sociale e delegittimarono il potere. Sin dal febbraio 1943 si cercava di allacciare contatti con gli alleati, usando anche i canali vaticani. Senza capire che dopo la dichiarazione di Casablanca non esistevano margini per una pace negoziata. C’era il timore che dalla sconfitta sprigionasse la scintilla della rivoluzione comunista. 5 marzo 1943 Torino sciopero operai Fiat dimostrano che nel cuore del sistema industriale si era strutturata un’opposizione alla guerra che infiltrava buona parte del Nord e ne rifletteva la sfiducia nel regime. I nemici ora sono i propri capi politici. Lo sbarco angloamericano in Sicilia, 10 luglio 1943 segnò la fine del fascismo. Le forze italo- tedesche dovettero cedere pezzo per pezzo il controllo dell’isola. Mussolini chiese rinforzi a Hitler, con la speranza che rifiutasse in modo che l’Italia potesse uscire dalla guerra. Ma il duce reagisce facendo affluire le truppe nel Brennero, con la minaccia di occupare la penisola se fosse avvenuto un altro tradimento. Proprio in quei giorni avvenne un colpo di stato. Il colpo si consumò nella notte tra il 24 e 25 luglio 1943 a palazzo di Venezia. Vittorio Emanuele III fu sostituito da Badoglio, l’uomo cui era affidato il negoziato segreto con gli angloamericani. Mussolini viene arrestato. La gente festeggia. Badoglio però vuole continuare la guerra, non più però a fianco della Germania. 3 sett. Firma dell’armistizio con gli alleati. Restava aperta la questione di Roma per proteggerla dai tedeschi. Gli Americani pensarono ad uno sbarco con i paracaduti, ma Roma non aveva una base idonea per fare questo. Con ciò il generale Eisenhower, comandante delle forze alleate in eu, decise di rendere pubblico, 8 sett. Il testo dell’armistizio. Era invece scoppiato il caos. Il re, la corte e il governo fuggirono a Brindisi per stabilire un regno del sud, sotto il controllo degli alleati. Molti militari furono rastrellati dai tedeschi. Cominciava l’occupazione di Roma. 12 sett. Mussolini liberato dai tedeschi a campo imperatore e portato a Rastenburg da Hitler, il quale lo ordino di riprendere il comando dell’Italia. Il paese era diviso in due dalla linea Gustav: nord la zona di guerra controllata dai tedeschi; sud area liberata dagli alleati. I superstiti del regime avevano varato il 14 nov al congresso di Verona, un programma di sinistra, riecheggiante le istanze anticapitalistiche del primo fascismo. A sud Badoglio aveva dichiarato guerra alla Germania (13 ott 1943). Tutta l’azione politico-diplomatica verteva sulla riconversione del regno d’Italia. Era essenziale evitare l’avvento di un regime comunista nel paese cardine del mediterraneo. I comunisti tornarono sulla scena insieme ai partiti antifascisti, riuniti nel comitato di liberazione nazionale (CLN). Il PCI era entrato per la prima volta nel governo il 22 aprile 1944, nel secondo gabinetto di Badoglio. Sotto la guida di Palmiro Togliatti il PCI si presentò come forza disciplinata, al punto di opporsi alle velleità repubblicane dei socialisti e altre correnti sinistra e di centro. I comunisti ebbero un ruolo di prima fila nel movimento partigiano, gli alleati non li vedevano con buon occhio questi. A guerra vinta i partigiani dovevano restituire le armi. Un’insurrezione generale scattò fra il 23 e 24 aprile 1945 nelle grandi città del nord. Mussolini fu catturato il 27 catturato dai partigiani e il giorno dopo venne fucilato. Il 29 il corpo fu esposto a Milano. Le formazioni partigiane ebbero una funzione superiore rispetto a tutti gli altri movimenti in eu. Specie nelle campagne prevalse la fame, la lotta per la sopravvivenza. AGONIA E FINE DEL TERZO REICH 5 I vertici del Terzo Reich contavano sull’eterogeneità ideologica e geopolitica delle potenze nemiche e quindi sulla prossima implosione del tripartito antigermanico. Anche durata l’operazione Barbarossa, i sovietici proposero di trattare una pace separata. Hitler rifiutò. Le sue illusioni erano sulla frattura tra inglesi e americani e sull’eventualità di convertire gli inglesi. 1943 americani erano giunti alla fine delle ostilità con l’urss sarebbe stata l’unica potenza eu e quindi conveniva tenersela amica. Roosevelt decise di rompere gli indugi nella preparazione dell’attacco alla Germania da ovest. Nell’incontro di Quebec, fra Churchill e Roosevelt, fu stabilito che l’invasione dell’eu sarebbe scattata nella primavera del 1944 a partire dal nord della Francia. Stalin promise che debellata la Germania sarebbe sceso in campo contro il Giappone. A Churchill a differenza di Roosevelt interessava mantenere intatto l’impero in Asia, per questo contava sull’ingresso dell’urss in guerra contro il Giappone. Ottobre 1943 si spinse a Mosca per proporre a Stalin una partizione dell’eu basata sulle sfere d’influenza. Ma Stalin non voleva compromettersi. I tre grandi si incontrarono per la prima volta a Teheran il dal 28 nov al 1 dic. Discussero sulla preparazione dello sbarco in Francia. Si accordarono sull’opportunità di far scivolare la Polonia verso ovest di qualche centinaio di chilometri ai danni della Germania e a vantaggio dell’unione sovietica. Hitler era informato di tutto ciò da una spia albanese. Il pericolo maggiore era lo sbarco in Francia angloamericano che avrebbe portato le divisioni nemiche a ridosso del Reno. Sul fronte russo avrebbero permesso alla Wehrmacht di contenere la spinta sovietica il tempo necessario per volgere contro l’armata rossa il grosso delle forze germaniche. Il 6 giugno 1944 sbarco alleato in Normandia. Il 25 il generale De Gaulle marciava trionfalmente. Fu grazie a lui che i francesi potevano ancora ambire ad un posto tra le grandi potenze. Sul fronte sud l’armata rossa penetrava nei Balcani. Ora che la vittoria non era più in dubbio Stalin si concentrò sulla configurazione geopolitica. Obb allargare il più possibile una sfera di sicurezza territoriale che spostasse nel centro del continente la prima linea di difesa contro i provvisori alleati angloamericani. Obb per i britanni in eu era impedire a Hitler di sostituire Stalin. Spingeva in oltre l’America ad avanzare verso Berlino, questa rifiuta. La g.b da sola non può soddisfare il suo disegno geopolitico. C’era ancora però il Giappone da sconfiggere. 4-11 febb 1945 a Jalta si tenne l’ultima conferenza dei 3 leader. Fu deciso di dividere provvisoriamente il Reich in zone di occupazione assegnate alla responsabilità di ciascun vincitore. Mentre Berlino avrebbe avuto uno status speciale e sarebbe stata a sua volta ritagliata in settori. Quanto alla Polonia, si compensava il nuovo stato polacco a occidente, con territori tedeschi storicamente mai soggiaciuti alla giurisdizione di Varsavia. A dare la spallata finale a Berlino fu l’armata rossa. Dopo due settimane i tedeschi si arresero. Il 30 aprile Hitler si toglieva la vita. La Germania era in macerie.Massacri, violenze avevano procurato un flusso continuo di profughi. Il momento più alto della resistenza fu il tentativo di colpo di stato dopo attentato a Hitler, 20 luglio 1944, dal colonnello Klaus Schenk von Stauffenberg. I congiuranti furono catturati e fucilati. L’obb di separare i destini della Germani a quello di Hitler fu impossibile. FINE DEL GIAPPONE E FINE DELLA GUERRA 6 A lunga, la scarsità di materie prime, abbatté l’efficienza dello stesso apparato bellico. Il Giappone perse la guerra prima contro l’America sul fronte industriale poi quello militare. La disputa verteva sul futuro del colonialismo eu e sull’affermazione dei movimenti nazionalisti sostenuti strumentalmente da Tokyo. Ottobre 1943 giapponesi diedero via libera a Singapore alla formazione di un governo dell’India libera. Gennaio 1944 il gabinetto ombra indiano si installava in Birmania.Lo scontro decisivo nella città di Imphal. La XIV armata anglo-indiana inflisse una severa sconfitta ai nipponici. Aprile 1944 giapponesi lanciarono l’operazione ISHIGO: negare agli americani l’uso delle basi aeree nella Cina meridionale o togliere ogni ostacolo che impedisse traffici tra Indocina e Cina meridionale. Con la perdita dell’aereo porto di Henyang gli americani presero l’isola di Saipan dove poterono intensificare i bombardamenti contro Tokyo. Estate 1945 l’unione sovietica era pronta ad entrare in guerra contro il Giappone come aveva promesso. Gli americani erano però incerti sull’aiuto dei sovietici in quanto avevano smesso di aiutarli dopo la caduta della Germania e ci poteva essere un volta faccia. A togliere i dubbi fu il progetto Manhattan: creazione di 3 ordigni atomici. Americani e inglesi d’accordo che se il Giappone non si arrendeva subito li usavano. 26 fu lanciato un ultimatum, con il rifiuto giapponese, gli americani lanciarono la bomba atomica e i sovietici entrarono in guerra. 6 agosto sganciata la bomba su Hiroshima, tre giorni dopo su Nagasaki. Armata rossa sfondava il fronte in Manciuria e Corea. Tokyo comunica la resa, solennizzata il 2 settembre 1945 con una cerimonia. LA SECONDA GUERRA MONDIALE ERA FINITA. CAPITOLO 19 LA LOGICA DELLA GUERRA FREDDA 1 Per guerra fredda si intende la fase storica avviata dalla sconfitta del terzo Reich (1945) e conclusa dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. C’è una contrapposizione tra le due massime potenze vincitrici della seconda g.m: URSS e USA. Entrambe avevano come arma la bomba atomica. La posta in gioco era il controllo dell’Europa. • L’Europa non è più definitivamente al centro del mondo • Per conquistare l’egemonia sul continente occorre impadronirsi di quel che resta della Germania. Ciò implicherebbe una terza guerra mondiale. L’alternativa è spartirsi i resti del Reich, come avverrà poi nel 1949 • Il senso del conflitto si legge su tre scale: Europa, Germania, Berlino. • La dimensione militare della guerra fredda, organizzata nel patto atlantico, centrata sulla reciproca minaccia nucleare, ne esprime la logica binaria. • Non si tratta solo di contrapposizioni tra potenze, ma tra visioni del mondo: s.u: liberaldemocratico- capitalista. Unione sovietica: sovietico-comunista. Entrambe si rappresentano come portatrici di una missione universale: espansione della libertà o trionfo del comunismo. • Ne risulta in Europa la compressione delle posizioni intermedie. Lo schema binario tende ad escludere le terze forze. MECCANICA DI SPARTIZIONE: IL CASO TEDESCO 2 Dei 5 vincitori della guerra, tre sono nettamente inferiori. Anche tra gli s.u. e l’unione sovietica, la prima ha una superiorità schiacciante. L’America detiene il monopolio della bomba atomica, mentre i sovietici escono devastati dalla grande guerra patriottica. 1945 le due potenze ambiscono alla pace. La grande alleanza antihitleriana si estingue con la vittoria, anche se fino al 1947 sia Washington che Mosca si tenta di mascherare l’esaurimento. La conferenza di Yalta, 4-11 febb. 1945, prepara la nascita delle NAZIONI UNITE. Produce inoltre la “Dichiarazione dell’Europa liberata” sulla carta, promessa di libertà e democrazia per tutti gli europei 1955 pace di AUGUSTA avrebbe dovuto porre fine al conflitto tra cattolici e protestanti in Germania. La spartizione del Reich è sancita dalla nascita della repubblica federale Germania (1949) che riunisce le tre zone di occupazione occidentali. La parte orientale della società è eretta dal nuovo stato satellite di Mosca, mentre i settori occidentali restano sotto il controllo dell’USA. Si avviò da subito una campagna fi smantellamento e rafforzamento dell’unione sovietica delle industrie presenti nella loro zona di occupazione. Sul piano politico, emarginano i partiti borghesi e le forze liberali, mentre promuovevano dell’ultimatum sovietico è duplice: eccitare dissensi nell’alleanza atlantica, salvare la repubblica democratica tedesca dal crollo. 13 agosto 1961 il governo di Berlino est decidere di chiudere l’accesso ai settori occidentali della città con il filo spinato, accanto al quale viene eretto un muro. Da quel momento la divisione di Berlino e della Germania è fisica e simbolica. Per il presidente Kennedy si tratta di una misura presa all’interno della sfera d’influenza sovietica, dunque fuori dalla sua giurisdizione geopolitica. Capitolo 20 La costruzione dell’Europa occidentale Il processo di integrazione dei paesi dell’Europa occidentale, fu figlio della catastrofe europea: ci avvicinò la sconfitta. Anche le cosiddette “potenze vincitrici” Francia, Regno Unito, furono in realtà vinte e persero i rispettivi imperi, troppo costosi ed ingestibili, oltre ai danni strutturali subiti dalle rispettive economie. L’Europa come idea “l’Europa non è mai esistita, bisogna crearla” Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Europa comunitaria. L’idea moderna e contemporanea di Europa, intesa come proposta geopolitica e di progresso civile, scaturì dal primo atto della catastrofe europea, la Grande Guerra. Fu il conte Kalegri, pacifista e cosmopolita, a promuovere nel 1922 una Unione Paneuropea Mondiale. Kalegri schizzò un disegno di federazione, addirittura di “nazione europea” da riunire in pace. Tale schema procedeva da un’unione doganale che sarebbe poi sfociata in moneta unica, un esercito comune , una corte federale. Un altro importante riferimento ideologico e programmatico dell’europeismo fu il Manifesto di Ventotene redatto da Spinelli, Rossi e Colorni; pubblicato nel 1944 offriva un’angolatura spiccatamente progressista all’europeismo. Alle fonti della costruzione comunitaria troviamo infine un’idea più geopolitica di Europa, maturata nelle accademie tedesche di fine ‘800 e poi ripresa in ambiti diversi. Essa postulava l’esistenza di uno spazio storico latino-germanico da recuperare, di cui Carlo Magno era l’icona, il Reno il fulcro geopolitico. L’europeismo era esercizio da illuminati. Di qui il carattere elitario dell’idea europeista, si trattava di costruire l’Europa senza gli europei, ma per gli europei. Stazione prima: carbone e acciaio Il motore dell’integrazione europea fu l’economia. Scelta di connettere l’idea di Europa alla ripresa dell’economia e al miglioramento della qualità della vita, nel segno di un comune protezionismo verso l’esterno. Dal disastro bellico scaturì dunque una scintilla della ricostruzione dell’Europa occidentale secondo linee di cooperazione internazionale mai praticate fino allora. Su impulso americano, il Piano Marshall fu base da cui far ripartire l’Europa. Su questa la Francia, Germania Federale, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo avviarono, dai primi anni 50, quelle forme di integrazione comunitaria delle rispettive economie nazionali, che migliorando le condizioni di vita della popolazione, ne favorivano l’adesione e le rendevano meno permeabili al comunismo e alle velleità espansive dell’impero sovietico. Il 9 maggio 1950 Robert Schumann, ministro degli Esteri francese poneva la prima pietra del processo di integrazione europea. Fu la celebre “dichiarazione di Schumann”, essa postulava la necessità di fondare la pace in Europa sulla progressiva integrazione dei suoi Stati, a partire dall’economia e verteva sulla messa in comune delle principali risorse energetico-industriali: carbone e acciaio. Questa era una teoria funzionalista per cui le strutture economiche comunitarie avrebbero rivelato ai cittadini i vantaggi pratici del superamento delle barriere politiche. Dalla Dichiarazione Schumann scaturì la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), sancita dal trattato di Parigi del 18 aprile 1951, in vigore dal 23 luglio del 1952. Francia, Germania Federale, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo. Tali paesi cedevano la loro sovranità su queste strategiche materie energetiche e stabilivano di gestirle in comune. Gli inglesi, per ora, non erano disposti ad ammettere cessioni di sovranità in qualsiasi campo, specie se in favore di istituzioni non legittimate in via democratica. Londra rifiutava il “salto nel buio”. L’Europa economica nasceva franco-tedesca. Il motore franco-tedesco La coppia Parigi-Bonn era tutt’altro che scontata. Ci vollero infatti diversi anni per farne il motore dell’integrazione comunitaria. Il progetto europeo nasceva anche per eliminare lo storico contrasto franco- tedesco. Vista da Bonn,l’egemonia francese era tollerabile e persino auspicabile nella prospettiva di un equilibrio geopolitico costruito per proteggere la crescita della fragile pianta tedesco-federale. Se la Francia vedeva dunque nella CECA la base di una costellazione geopolitica che avrebbe dovuto sostenerne le ambizioni di potenza, la Germania occidentale vi leggeva invece il primo passo verso la riabilitazione sulla scena continentale, solo pochi anni dopo la catastrofe del Terzo Reich. Due modi di usare l’idea di Europa al servizio dei propri interessi. La guerra di Corea (1950-53) rendeva concreto il rischio di un nuovo conflitto mondiale, stavolta fra Oriente sovietico-comunista e Occidente liberal-capitalista. Di qui la pressione americana per riarmare la Germania Federale. Nel maggio 1952 i sei paesi CECA firmarono su iniziativa francese il trattato che istituiva la CED (comunità europea di difesa); ma l’esercito europeo non poté mai nascere perché nel 1954 il Parlamento francese votò contro la sua ratifica I trattati di Roma A Roma il 25 marzo 1957 due trattati: il primo relativo all’Euratom, ossia alla messa in comune, in determinate aree, della ricerca e della produzione dell’energia atomica; il secondo e più rilevante istituiva la Comunità economica europea (CEE). Per quanto riguarda le politiche atomiche dei principali paesi comunitari queste cominciarono a divergere quasi subito. Comunque nei progetti c’era per qualcuno un qualcosa, ad esempio i federalisti potevano vedervi gli Stati Uniti d’Europa. L’aspetto decisivo del trattato CEE era il mercato comune. Esso partiva dall’abolizione dei dazi interni alla comunità, che si dotava invece di una barriera doganale verso l’esterno. Nacque così la PAC (politica agricola comune) la quale era la massima espressione della duplicità insita nella CEE: uno strumento che liberalizzava il mercato interno comune mentre lo proteggeva verso l’esterno. Le istituzioni cardine erano due: il Consiglio, strutturato come potere esecutivo, formato da rappresentanti dei governi dei paesi membri, e la Commissione, formata da 9 membri nominati dai rispettivi governi. Il nodo inglese Per seguire l’espansione della CEE si deve fare riferimento al binomio approfondimento/allargamento, che la logica europeista offriva come parallelo, anzi reciprocamente rafforzante. Con “approfondimento” si intendeva l’impulso dato all’integrazione comunitaria e con “allargamento” si descriveva invece l’aumento degli Stati membri. Nel periodo studiato in questo capitolo gli allargamenti furono 3: GB, Irlanda, Danimarca (1973); Grecia (1981); Spagna e Portogallo (1986). Londra stimava che il suo grado di influenza potesse essere irrobustito dalla sua influenza diretta nel continente. E questa non poteva escludere l’integrazione nella Comunità, perché solo partecipando alla sua guida avrebbe potuto orientarla verso i propri interessi. Ci fu una sorta di rassegnazione a integrarsi nel club europeo come male minore rispetto a un isolamento. Ci vollero dodici anni di negoziati, dal 1961 al 1973, per associare il Regno Unito alla Comunità. Ciò dovuta alla resistenza francese alla prospettiva di vedersi affiancata alla guida della CEE da una potenza più o meno omologa, ma storicamente e culturalmente rivale, per di più percepita come “cavallo di Troia” degli USA. L’Italia vedeva con favore al “rafforzamento atlantico” della CEE e l’ingresso di una potenza atlantica come quella britannica, fedelissima della NATO, era coerente con tale obiettivo. Per consentire l’ingresso della GB nella CEE bisognerà attendere il ritiro definitivo dalla vita politica del generale de Gaulle, sostituito da Pompidou e l’avvento a Londra di un gabinetto conservatore diretto da uno dei rari leader britannici sinceramente europeisti: Heat. La Norvegia, nel settembre del 1972, rovesciava per referendum (53,5% voti contrari) il sì all’integrazione sancito a maggioranza parlamentare, soprattutto per la pressione della lobby dei pescatori, che si vedeva minacciata dalle regole europee. Per quanto riguarda l’ingresso di Grecia e poi Spagna e Portogallo questo fu dovuto al fatto che discendessero dalla fine dei rispettivi regimi dittatoriali (militare in Grecia, di Francisco Franco in Spagna e di Salazar in Portogallo). La via della moneta L’Atto unico europeo L’Atto unico europeo fu il più importante passo verso il compimento del mercato comune, firmato il 28 febbraio 1986 a Lussemburgo ed entrato in vigore il 1 luglio 1987; questo eliminava quelle pratiche restrittive che continuavano a ostacolare gli scambi nell’ambito comunitario. L’Idea di “moneta unica” tornò di attualità in seguito alla improvvisa decisione del presidente americano Nixon di sganciare il dollaro dall’oro (agosto 1971). Il sistema dei cambi fra le principali divise mondiali era entrato in crisi e doveva essere rifondato su altre basi. Si poneva così agli europei il tema di come stabilizzare le rispettive economie in via di integrazione rispetto ai rischi delle eccessive fluttuazioni dei cambi fra le principali valute, su scala mondiale ma anche nel quadro comunitario. Così nell’aprile del 1972 i Sei inaugurarono il meccanismo del “serpente monetario”; l’accordo verteva sulla determinazione di un margine di fluttuazione del 2,25% negli scambi fra ogni coppia di valute monetarie. Questo tentativo venne però travolto prima dalla speculazione sulla sterlina, poi dalla crisi petrolifera del 1973 Maggiore integrazione significava soprattutto massima convergenza delle politiche monetarie, avendo di mira una valuta comune. Su queste premesse si fondò nel 1979 la nascita del Sistema monetario europeo (SME), iniziativa impensabile senza l’impulso della coppia Giscard-Schmidt. I britannici rifiutarono di aderirvi fino al 1990. La sfida USA-URSS nel mondo postcoloniale Gli indipendentismi asiatici nella guerra fredda La competizione tra USA e URSS avviata subito dopo la fine della seconda guerra mondiale incrociava un parallelo macrofenomeno geopolitico: la decolonizzazione. Nel contesto della guerra fredda la questione era dunque stabilire se i nuovi stati indipendenti fossero destinati a confluire nello schieramento americano o in quello sovietico; oppure se evitassero di schierarsi, optando per il non-allineamento. Quest’ultima tendenza, capifila India e Jugoslavia, trovò sbocco nella conferenza di Bandung che nel 1955 radunò nella città indonesiana 29 Stati, soprattutto asiatici, i quali dettero vita al movimento dei non-allineati. Fu dapprima nell’Asia in rapida decolonizzazione che si concentrò la sfida sovietico-americana per l’allargamento delle rispettive aree di influenza, ovvero per il contenimento altrui. Si producevano interferenze reciproche che in diversi casi sfociarono in conflitti locali o addirittura in guerre indirette fra USA, URSS e potenze regionali, come nei casi della Corea e del Vietnam. Truman decise di favorire la stabilizzazione e la ripresa economica del Giappone, per farne il perno della resistenza anche militare degli USA nell’Asia-Pacifico. Il disimpegno britannico dall’India fu nel 1947. USA e paesi europei occidentali volevano impedire che i paesi di nuova indipendenza cadessero sotto l’influenza di partiti o gruppi comunisti e quindi dell’URSS. L’ingresso in campo della Cina comunista, nel 1949, contribuì a complicare il quadro. La partizione del Raj L’Impero britannico rinuncia al Raj, ovvero al dominio sull’India. Le due principali forze che sul continente indiano si battevano per l’indipendenza erano: • Il congresso ispirato da Gandhi e guidato da Nehru • La Lega musulmana di Ali Jinnah Queste perseguivano idee diverse sul futuro assetto dell’ex colonia. Il destino dell’India era nelle mani di Nehru e Jinnah; essendo i loro punti di vista inconciliabili, non restava che la via della spartizione. Il 15 agosto 1947 Nehru proclamò l’indipendenza del nuovo Stato indiano, mentre Jinnah presiedeva al • Gli USA premevano sugli alleati europei perché non disperdessero risorse nel preservare antichi o recenti privilegi coloniali, per concentrarle invece nel contenimento dell’URSS. • Nelle esigue ma combattive elite africane, alcune delle quali si erano diffuse idee di emancipazione e di progresso. Si diffondeva l’anticolonialismo, la corrente panafricana, che mirava all’abolizione di tutte le frontiere che i colonialisti avevano rintracciato nel continente nero La Francia non condivideva l’approccio pragmatico, tendente ad accompagnare gli africani verso forme di indipendenza “guidata”. Era ancora radicata alla “missione civilizzatrice” e trattava le sue colonie come un blocco unico, ciò scoraggiava la concessione selettiva delle indipendenze sullo stile britannico. Esempio fu la rivolta indipendentista che scoppiò in Algeria nel 1954, aprendo una sanguinosa guerra che si sarebbe conclusa solo nel 1962, Parigi reagì con la forza. Il generale de Gaulle, capo della Quinta Repubblica nel 1958, concedeva infine l’indipendenza all’Algeria con gli accordi di Evian del 18 marzo 1962. Dopo la cosiddetta “Rivoluzione dei garofani” che rovesciò il regime sala zarista, nel 1975 Lisbona decise di concedere l’indipendenza alle sue provincie d’oltremare, da erigere in Stati indipendenti. Sia in Angola che in Mozambico però le forze autoctone entrarono in conflitto tra loro, esponendosi alla strumentalizzazione dei due blocchi. Mancavano alcuni fattori essenziali per l’evoluzione di nuovi Stati, come istituzioni consolidate ed elite politico-amministrative sperimentate. C’erano anche linee di faglia etnico- religiose; poteva così accadere che i nuovi soggetti indipendenti appena emancipati sperimentassero guerre civili, di fatto conflitti inter-tribali e inter-etnici, dove la religione veniva strumentalizzata a fini geopolitici (caso più rilevante la Nigeria, con 3 milioni di morti). Approfondimento: scheda Apartheid pag 591. Il quadrante latinoamericano: non solo Cuba Il subcontinente latinoamericano: la paura americana che il comunismo internazionale potesse stabilirvi qualche base di appoggio. Un effetto paradossale di questa paranoia fu di elevare leader di paesi marginali- Fidel Castro e il suo compagno d’armi Ernesto Che Guevara a Cuba, Salvator Alende in Cile- a icone dell’antiamericanismo globale. Non si trattava solo di spionaggio contro i presunti agenti di Mosca, di sostegno alle oligarchie che gestivano la gran parte dei paesi latinoamericani, inchiodandoli in una devastante povertà, in un contesto di oppressione sociale di diffusa ignoranza. Preponderanza di alcune grandi aziende statunitensi interessate alle materie prime locali quali il caffè e i frutti tropicali. Tali industrie, in accordo con le famiglie dominanti locali, gestivano l’economia e influivano sulla politica delle cosiddette “repubbliche delle banane”.Nel 1948 a Bogotà veniva lanciata l’Organizzazione degli Stati americani (OSA). I paesi latinoamericani vi entrarono non troppo convintamente, considerandola un’istituzione prona agli esclusivi interessi securitari di Washington e indifferente alle loro rivendicazioni di sostegno economico. Cuba: isola a ridosso della Florida, una rivoluzione nazionalista che spazzava via il corrotto regime di Batista. Il capo dei ribelli era Fidel Castro, insieme ai suoi barbuto, i guerriglieri. Castro non era comunista, mescolava propositi socialisteggianti e antimperialisti al nazionalismo. In Cuba, Chruscev vedeva una piattaforma logistica di eccezionale valore strategico. Fu il successore di Eisenhower, John Fitzgerald Kennedy, a tentare di sradicare subito l’esperimento castrista. La CIA organizzò un contingente di esuli cubani, nostalgici di Batista, e lanciò contro Castro nell’aprile del 1971. Lo sbarco alla Baia dei Porci fu respinto in tre giorni dai castristi. Per Kennedy fu un disastro militare e d’immagine. L’acme dello scontro fu l’ottobre del 1962. Castro aveva deciso di ospitare a Cuba alcuni missili sovietici armabili con testate nucleari. Gli aerei spia americani identificarono le navi sovietiche che trasportavano tali armi verso le basi cubane. Kennedy impose il blocco navale e pretese dal Cremlino il ritiro dei missili. Grazie alla diplomazia segreta, tra cui quella di papa Giovanni XXIII, il peggio fu evitato. Venne poi avviato il progetto dell’Alleanza per il progresso: si doveva trattare di un ambizioso progetto di sostegno allo sviluppo economico, politico e civile dell’America Latina. Riforme agrarie, costruzione di case, scuole e ospedali, nell’educazione pubblica e nell’affermazione di istituzioni democratiche. Kennedy era convinto che il richiamo al comunismo fosse da contrastare alla radice: occorreva dimostrare che il capitalismo e la democrazia liberale avrebbero potuto combattere con successo la miseria, lo sfruttamento e l’autoritarismo nelle regioni più povere del continente americano. Dopo qualche iniziale risultato, il piano si rivelò un fallimento, anche per la modestia delle risorse americane impiegate. Colpo di stato in Cile: contro il presidente socialista Salvador Allende. Grazie al sostegno della CIA e del governo americano, l’11 settembre del 1973 un gruppo di ufficiali capeggiati dal generale Pinochet si ribellò al capo dello Stato. Seguì una feroce repressione contro partiti di sinistra, sindacati, movimenti vicini al presidente assassinato. CAPITOLO 22 Medio oriente fu epicentro di una lunga sequenza di conflitti dove si inserirono anche stati uniti e unione sovietica. Il caso più gravito di conseguenze fu il conflitto tra ebrei e arabi tra il mediterraneo e il giordano. Dopo 1945 la shoah fu la legittimazione del sionismo ma non della nascita dello stato d’Israele. La leadership sionista aveva rivendicato la creazione di uno stato ebraico centrato su Gerusalemme. Il governo laburista di Londra era contrario al progetto sionista. Era l’impero britannico ad opporsi alla nascita di Israele. 29 nov. 1947 assemblea generale votò a maggioranza un piano di spartizione che prevedeva la nascita di uno stato palestinese e di uno stato ebraico con Gerusalemme e Betlemme sotto controllo dell’ONU. Sionisti accettarono, arabi palestinesi rifiutarono. 14 maggio 1948 BEN GURION Decretava la nascita dello stato di Israele. Le milizie controllavano un quinto dell’ex mandato. 15 maggio Egitto, Iraq, Siria, Libano, Giordania si univano alla resistenza araba interna al nuovo stato per cercare di eliminarlo. Israele però riuscì a respingere gli arabi. 1949 lo stato ebraico aveva notevolmente espanso il territorio assegnatogli dall’ONU. DA SUEZ ALLA PACE ISRAELE-EGITTO 2 La vittoria d’indipendenza degli ebrei fu vissuta male dagli arabi che il 23 luglio 1952 un gruppo di ufficiali si rivoltarono al re Faruk e si insediò al potere. Ottobre 1954 si impose come capo assoluto al Cairo rivelando l’ambizione di affermare l’Egitto come grande potenza regionale. La rottura definitiva con il capo occidentale fu completa il 26 luglio 1956 con la nazionalizzazione del canale di Suez sul Nilo. Il controllo diretto sul canale metteva in collisione Nasser, g.b. e Francia. Queste due non accettavano la cose e decisero di sbarazzarsi del leader egiziano e servirsi della collaborazione di Israele. Tra francesi e israeliti si instaurò una profonda intesa. In seguito ad un accordo tra britannici francesi e israeliti, 29 ottobre 1956 le truppe dello stato ebraico penetrarono a Gaza e nel Sinai, costringendo Nasser a ritirare l’esercito dal Sinai per evitare l’annientamento. Egiziani respingono: 5-6 novembre iniziò l’attacco di paracadutisti francesi e britannici sull’Egitto. L’America richiama all’ordine i tre stati aggressori, attribuendo sanzioni economiche ed Israele. L’avventura di Suez marcava l’insieme ingloriosa fine degli imperialismi inglese e francese. La crisi del 1956 segnò il punto più basso nelle relazioni tra America e Israele. A produrre la scintilla della terza guerra arabo-israeliana fu la tensione tra Israele e stati arabi che giuravano di voler liberare la Palestina. Gli scontri con i miliziani palestinesi si intensificavano alla fine nel 1966. 13 maggio l’intelligence sovietica lasciò filtrare un rapporto falso per il quale l’esercito israeliano si stava ammassando alla frontiera con la Siria. Nasser decise allora di mobilitare le sue forze armate e fece avanzare nel Sinai. Il 22 maggio il presidente egiziano chiude lo stretto di Tiran. Per il gabinetto israeliano si trattava di un casus belli. 5 giugno l’aviazione israeliana aveva liquidato la potenza aerea dei nemici ed era penetrata nel Sinai. 7 giugno la città vecchia era in mano israeliana. Era la volta della Siria. Dayan conquistò in due giorni le alture del Golan. 10 giugno il governo Eshkol decise di accettare il “cessate-il-fuoco” invocato dal consiglio di sicurezza delle nazioni unite. Israele aveva triplicato il territorio, gli arabi erano stati umiliati. Dopo la guerra dei 6 giorni era evidente che una soluzione duratura al conflitto avrebbe potuto fondarsi sulla restituzione dei territori conquistati dai Tsahal, in cambio della pace con i vicini arabi, che avrebbero dovuto riconoscere il diritto dello stato ebraico a esistere. La risoluzione del consiglio di sicurezza prevedeva il ritiro di israele dai territori occupati in cambio della garanzia di pace e sicurezza. Gli unici paese che potevano minacciare Israele erano Egitto e Siria. Sadat era deciso a ottenere i suoi obiettivi in modo pacifico, ma non trovò appoggi in Israele. Per questo strinse un’intesa con al-Asad, il dittatore Damasco. 6 ottobre egiziani e siriani partirono all’attacco, Israele fu colto di sorpresa. Colonne egiziane invasero il Sinai, mentre i Siriani avanzavano per Golan. La controffensiva di Tsahal fu però devastante. Durante questa campagna il campo arabo aveva messo mano per la prima volta all’arma del petrolio. L’organizzazione dei paesi arabi esportatori di petrolio impose dall’ottobre al marzo 1974 un embargo sulle forniture di greggio all’occidente. Il prezzo per barile si quadruplicò, fu il primo shock petrolifero. Questo causò in vari paesi come anche l’Italia una severa politica di risparmio energetico. La pace consentì all’Egitto di recuperare il Sinai e di essere ammesso nel campo occidentale, mentre la Siria restava asserragliata nell’area di influenza di Mosca. L’Egitto fu il primo paese arabo a firmare la pace con Israele e a riconoscerne l’esistenza con il trattato del 26 marzo 1979. LA CAUSA PALESTINESE E I SUOI NEMICI 3 Durante guerra 6 giorni causa palestinese: liquidazione di Israele come condizione necessaria dell’unità di tutti gli arabi. Dopo 1967 a questa dimensione si affiancò quella israelo-palestinese. L’inconciliabilità tra le due verteva su una coincidenza territoriale delle rispettive idee di patria. Ci vollero 16 anni (1948-1964) perché i palestinesi una struttura politica. L’organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) fu battezzata al Cairo nel 1964 per iniziativa della lega araba. Il primo leader dell’OLP fu Ahmad al-Shukheiri. Solo la conquista israeliana di nuovi territori d’insediamento palestinese consentirono di superare la tutela panarabista, che imprigionava la causa palestinese in quella di una nazione di tutti gli arabi che stentava a prendere corpo. OLP si trovò a combattere non solo con Israele ma anche gli Stati arabi. Obb era portare la causa palestinese all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, per ottenere il ricongiungimento della Palestina come stato indipendente. L’abbandono della Giordania fu traumatico. I fedayn del fronte popolare per la liberazione della Palestina, dirottarono alcuni aerei per farli atterrare in Giordania. Il 15 settembre guerrieri palestinesi stabilirono a Irbid un loro governo popolare. L’intensione era abbattere la monarchia hascemita e ripartire per la Transgiordania per liberare i territori occupati. La reazione di re Hussein fu immediata e spietata. Migliaia di palestinesi furono uccisi dalle forze armate fedeli del sovrano. Cacciati dalla Giordania, i leader dell’OLP si rifugiarono a Beirut, le loro storie si incrociarono con il Libano. Questo aveva una costruzione geopolitica fragile, fondata sul precario equilibrio fra cristiani sciiti sunniti e mussulmani. Lo stato ebraico intensificò i rapporti con i maroniti Obb era usare i cristiani per colpire i palestinesi stanziati in Libano. 6 giugno 1982 forze armate di Israele entravano nel territorio del vicino settentrionale, lo scopo dell’attacco era liquidare la leadership palestinese a Beirut, insediarvi un governo cristiano e costringere i siriani a ritirarsi. L’episodio più drammatico della guerra fu l’assedio israeliano di Beirut 1982. Grazie alla mediazione americana l’OLP riuscì ad evacuare i suoi uomini dalla capitale libanese, per stabilire il suo quartier generale a Tunisi. L’assassinio del leader maronita scatenò la rappresaglia delle milizie falangiste. Tra 16-18 settembre uccisero centinaia di palestinesi. In Libano Israele non aveva raggiunto i suoi obb, aveva creato una campagna di protesta internazionale. Il conflitto israelo-palestinese si accentuò nel 1987 con lo scoppio dell’Intifada. Rivolta che coinvolse la popolazione palestinese a Gaza e della Cisgiordania. LA DIFFUSIONE DELL’ISLAM POLITICO 4 La sconfitta degli stati arabi nella guerra dei sei giorni ebbe un effetto devastante sul panarabismo e sulle fumose variazioni intorno al socialismo arabo. Ad avvantaggiarsene fu l’islam politico. Le sue radici crebbero in Egitto, 1928 movimento dei fratelli mussulmani. Seconda metà 900 estesa la sua rete a decine di paesi d’impronta islamica. Il nucleo duro della fratellanza mussulmana in Palestina si formò subito dopo la La resa dei conti tra centristi e sinistra ci fu con le elezioni del 18 aprile 1948: da un lato liberali, socialdemocratici, repubblicani. Dall’altro fronte popolare che univa comunisti e socialisti. Il rischio di una guerra civile ci fu nel 1948 con le elezioni. L’America era pronta ad un piano d’emergenza in caso di vittoria delle sinistre o di presa violenza del potere che poteva sfociare in un colpo di stato. La chiesa si schierò con la DC, costituendo dei comitati civici che avevano il compito di agitare lo spauracchio dei comunisti atei. Elezioni 18 aprile gli italiani scelsero il liberismo americano. I democristiani però formarono una coalizione con liberali e democratici e socialdemocratici. Comunisti e socialisti costretti all’opposizione. DALLA RICOSTRUZIONE AL MIRACOLO ECONOMICO 3 1958-1963: MIRACOLO ECONOMICO. Italia poteva competere su scala mondiale. Abisso tra nord e sud. Il piano Marshall fu uno dei fattori decisivi per la ricostruzione. 1949 riforma tributaria, 1950 agraria. Fondazione l’Ina-casa, ente per la ricostruzione edilizia. Si fece anche leva su strumenti forgiati dal fascismo come IRI, ENI. Tre fenomeni segnarono il dopo guerra: • Inizio motorizzazione di massa imperniata sulla principale industria automobilistica FIAT • Boom delle telecomunicazioni • Sviluppo cultura consumistica diffusa. Nelle case private si diffondevano frigoriferi, telefoni, radio e dal 1954 tv. GESTAZIONE E ASCESA CENTRO SINISTRA 4 Il tentativo dell’ala conservatrice della democrazia cristiana di allargare l’area di governo alle destre trovò espressione negli anni 50. De Gasperi condivideva l’idea di uno stato forte che lasciasse il governo libero dai condizionamenti dei partiti. 1953 nuova legge: concedeva alla camera una maggioranza del 65 % al partito o alla coalizione la cui lista avesse ottenuto la metà più uno dei voti validi. L’obb era far scattare il premio di maggioranza per una lista di centro che appartenesse alla DC, PSDI, PLI, PRI. Si scatenò in parlamento e nelle piazze una reazione perché considerata legge truffa. 7 giugno 1953 elezioni, lista centro si fermò a 49,8% mancando l’obb di appena 54 mila voti. La DC perse, le destre segnarono un’avanzata. Anno dopo legge abrogata e tramonto politica di de Gasperi. Con l’avvento di Giovanni XXIII in ambito cattolico inaugurava una fase di apertura e di rinnovamento culminata nel concilio vaticano II. Questo contesto offriva un’occasione irripetibile ai dirigenti democratici di cavalcare la modernizzazione del paese da posizioni più avanzate, rischiando anche l’alleanza con i socialisti. Contro l’apertura a sinistra si mobilitarono le destre interne ed esterne alla DC. Si sfiorò la crisi istituzionale. La crisi politica fu superata con la formazione di un governo Fanfani. Si certificava la fine del centrismo, annunciando l’avvento del centro-sinistra. Da quando Moro aprì la fase del centro sinistra dovette confrontarsi con la reazione di interessi costituiti centrali sulla rendita. Il ciclo dei governi centro-sinistra divenuto organico nel dicembre 1963 con il varo di un gabinetto Moro includente tre ministri socialisti, verteva sulla programmazione economica. Delle riforme realizzate dal c-s la più decisiva fu quella scolastica: scuola dell’obbligo fino a 14 anni e scuola media unificata. Tentativo di adeguare la struttura formativa e pubblica alla domanda di istruzione di massa. 1970 istituzione delle regioni a statuto ordinario e convocazioni delle prime elezioni regionali. DAL 68 AL CASO MORO 6 68: proteste e ribellioni studentesche contro il potere. Il partito socialista era ormai integrato nell’area di governo a guida democristiana. Tre momenti marcavano l’espressione del movimento studentesco: occupazione, assemblea, corteo. EGALITARISMO: volontà di rompere le barriere di classe che riservavano l’insegnamento di èlitte ai rampolli della borghesia. ANTIMPERIALISMO: Riassumeva il senso della generazione Vietnam: protesta internazionale contro la guerra imperialista in Indocina. Nasceva una sinistra extraparlamentare e squadre addestrate alla violenza di piazza. Il ruolo della donna fu liberata da alcuni vincoli, introduzione divorzio, depenalizzazione dell’aborto (1978). Introduzione diritti dei lavoratori. I vari attentati e rivoluzioni miravano a suscitare nell’opinione pubblica e nell’elitte l’istinto di conservazione contro i rischi di una svolta politica. Di poco successo è l’emergere di un terrorismo di estrema sinistra incarnato in particolare dalle brigate rosse: formazioni sorte nel 1970. I brigatisti puntavano a colpire il cuore dello stato. L’atto supremo fu l’assassinio di Moro (DC). Si diresse contro le brigate un’offensiva della magistratura. Nelle elezioni 15-16 giugno 1975 i comunisti ottennero un terzo dei voti. Insieme ai socialisti il PCI sfiorava la maggioranza, ciò rendeva necessario un accordo tra i due. Berlinguer ripiegava sull’idea di un compromesso tra democratici di massa, DC, PCI, PSI come base di governo riformatore e progressista. L’esordio del governo di solidarietà coincise con il rapimento di Moro. L’agonia della prima repubblica era iniziata. IL TRAMONTO DELLA REPUBBLICA DEI PARTITI IN ITALIA 7 Anni 80 si consuma il declino della DC e del sistema dei partiti. Ad accelerare il ritmo contribuì la sfida al consociativismo vigente lanciata dal partito socialista con a capo Bettino Craxi. Egli promuoveva l’orizonte della grande riforma che avrebbe dovuto modernizzare le istituzioni per metterle al passo con il paese, mentre continuava la collaborazione con la DC. Elezioni 26-27 giugno 1983 si affianca una nuova forza politica: Lega. L’Italia anni 80 era la 5 potenza economica al mondo. Si accentuarono però le fratture tra lavoratori indipendenti e autonomi, operai e impiegati. Migliaia di impiegati della Fiat scesero in piazza a Torino per manifestare contro l’occupazione della fabbrica di Mirafiori. 1985 confronto tra governo presieduto da Craxi e la CGIL su un provvedimento che rallentava il meccanismo di adeguamento dei salari all’aumento del costo della vita, si concluse con la sconfitta al referendum. L’incrocio tra poteri economici e partiti incentivava un sistema di corruzione. Il governo della DC decise di installare nella base di Comiso i missili che gli stati uniti avevano deciso di schierare in eu contro i sovietici. Atto di fedeltà verso l’america, messo in crisi nel 1985 dal caso della Nave da crociera Achille Lauro. Craxi decise di impedire le forze americane di catturare i sequestratori, proteggendo i palestinesi. DA BERLINO A MANI PULITE, COME MORI’ LA PRIMA REPUBBLICA 8 Metà 80 inizio 90 crisi finale prima repubblica. 3 fenomeni: • Fine semiprotettorato americano • Tentativo di surrogare l’indebolimento del riferimento americano con il vincolo esterno eu • Disfacimento del sistema dei partiti nazionali Tutte e tre riportavano alla questione della sovranità in Italia. Il crollo del muro di Berlino (1989) portò ad un cambiamento geopolitico anche in Italia. Fronte interno la prima conseguenza fu lo scioglimento del PCI. Nasceva il partito democratico della sinistra, basato sul vecchio gruppo dirigente comunista. Obb repubblica presidenziale nella quale ciò che restava dell’ex comunismo italiano fosse abilitato a fungere da potenziale alternativa allo scudo crociato. Nelle elezioni 1992 trionfava la lega nord, guidata da Umberto Bossi. Profonda frattura economica geopolitico-culturale tra nord e sud. Confermata maggioranza centro sinistra. Incriminazioni, arresti, avvisi di garanzia investirono maggiormente il DC. Operazione in mano a Mani Pulite. Il sistema si basava sullo scambio tra concessione di appalti per opere pubbliche e finanziamenti illegali che ne scaturivano per i partiti concessionari. 1988-1991 il debito pubblico aumentò del 43.3%. L’occasione per rimediare era offerta dall’unione sovietica. L’Italia si affiancò alla Francia in quanto godeva dello stesso timore nei confronti della Germania ma soprattutto perché vedeva in Maastricht un dirigente fattore correttivo nella gestione dei conti pubblici. Un altro problema era la criminalità organizzata: casa nostra in Sicilia, ‘ndrangheta in Calabria, camorra in campagna, specializzate nella gestione di traffici illegali. I governi Andreotti scelsero la strada della sfida aperta alle mafie. Molti ne pagarono la vita: Falcone, Borsellino. Capitolo 24 Decadenza e caduta dell’impero sovietico (1961-1991) La guerra fredda finì con il crollo dell’Unione Sovietica. Le distensioni alla radice del crollo dell’URSS. Il crollo avviene per una serie di processi paralleli destinati in parte ad incrociarsi, a seconda delle aree e degli attori. Si possono distinguere tra distensioni: • La prima ha come protagoniste le due superpotenze rivali • La seconda fu marcata dell’iniziativa della Chiesa cattolica verso il mondo dell’est • La terza vide all’opera la diplomazia della Repubblica Federale di Germania, rivolta sia a Mosca che ai suoi satelliti Gli accordi fra i grandi La costruzione del Muro di Berlino (1961) aveva sancito lo stallo in Europa. Gli arsenali nucleari e missilistici dei due protagonisti tendevano ormai alla parità, grazie agli investimenti di Mosca nel settore dopo lo smacco di Cuba. La corsa agli armamenti su scala mondiale costava oltre 200 miliardi di dollari all’anno, più del PIL di tutto il Terzo Mondo. Per ragioni economiche inizia la graduale e controllata limitazione degli arsenali atomici. Il misterioso assassinio di Kennedy a Dallas (23 novembre 1963) impedisce di stabilire quale direzione avrebbe preso il sogno di una “nuova frontiera”. L’America di Kennedy e poi quella del suo successore Johnson, stava precipitando nella trappola vietnamita, intesa come guerra indiretta con l’Unione Sovietica e la Cina comunista. Inoltre l’egemonia economica degli USA nel proprio campo era relativizzata dal riemergere delle economie europee occidentali, specie quella tedesco-federale e del Giappone. Fino a spingere Nixon nel 1971 a infrangere il dogma della convertibilità del dollaro in oro; inoltre è il periodo di avvento della televisione, che avvicina popoli e paesi. Le agitazioni studentesche trassero spunto, in America, dall’opposizione alla guerra del Vietnam, per sfociare in Europa, nel 1968, nella contestazione del “Maggio francese”. Studenti, operai e intellettuali di sinistra scesero in campo in un clima che si voleva pre- rivoluzionario, pur non essendolo affatto. Sotto Chruscev l’Unione Sovietica aveva aperto un nuovo fronte nella sfida con gli USA, la competizione per la conquista dello spazio. Il lancio nel 1957 del primo satellite artificiale ( lo Sputnik) e quattro anni dopo il viaggio del primo cosmonauta Gagarin, avevano accresciuto il prestigio universale dell’URSS e costretto gli USA a un’ardua rincorsa, conclusa trionfalmente nel 1969 con lo sbarco del primo uomo sulla Luna, Neil Armstrong. L’Unione Sovietica è rentier state: ovvero sorretto dalla rendita derivante dall’esportazione di materie prime. A cavallo del 1960 si consumò la rottura con la Cina di Mao. Vestita d’ideologia Mosca e Pechino si accusavano reciprocamente di revisionismo, di deviazione dalla retta via marxista-leninista, ma la disputa era di fatto geopolitica. Inoltre c’erano problemi con i satelliti europei: l’irrisolta crisi con la Jugoslavia. Non c’era quasi Stato del Patto di Varsavia che non tentasse appena possibile di esplorare percorsi (geo)politici affini alla propria storia e ai propri interessi nazionali. Fu questo lo stigma della Primavera di Praga, nel 1968. Il termine è usato per illustrare il tentativo della leadership del Partito comunista cecoslovacco (vertice Dubcek) di avviare qualche forma di liberalizzazione del sistema importato dall’Unione Sovietica: un socialismo dal “volto umano”. Contro questa pericolosa eresia Mosca decise di reagire con la forza. L’esperimento riformatore fu stroncato sul nascere. Il leader sovietico Leonid Breznev, successore di bloccato, ma non per questo minacciato. La maggior parte della popolazione accettava il sistema e aderiva al patriottismo sovietico. I rari, coraggiosi dissidenti erano voci solitarie, oppresse da una censura severa. Solo ai vertici delle strutture di intelligence (il KGB) si era consapevoli dei limiti strutturali del sistema economico e delle persistenti, anche se non immediatamente visibili, faglie etnico-culturali che corrodevano le fondamenta dell’edificio imperiale. Dai primi anni 80, poi, si faceva evidente il crescente isolamento internazionale dell’URSS. I suoi unici alleati, costosi, scomodi e poco affidabili erano i satelliti dell’Est europeo. Sotto il geniale successore di Mao, Xiaoping, la Cina aveva intrapreso il cammino delle “quattro modernizzazioni”, i tassi di crescita sfiorato e talvolta superato il 10%annuo per almeno 4 decenni. Per Mosca avere sul delicato fronte delle repubbliche centro – asiatiche e della Siberia un rivale insieme geopolitico, economico e ideologico, era una sfida destinata ad intaccare la stabilità dell’Impero. L’allarme sul fronte europeo: nel 1980 era apparso sul fronte europeo un leader molto popolare, Lech Walesa e l’avvento a Roma nel 1978 di un papa polacco, l’ex arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla, ora Giovanni Paolo II, convinto che il comunismo non fosse destinato a durare a lungo e quindi orientato verso una postura più offensiva della geopolitica vaticana, che si rivelava per Mosca una spina nel fianco. Era un papa votato alla causa di una Polonia libera. Il soggetto politico destinato a realizzare questo sogno era il sindacato cattolico Solidarnosc: Lech Walesa aveva subito stabilito stretti rapporti con la chiesa polacca e con il papa di Roma. La Polonia era in fermento prerivoluzionario. I vertici del regime ricorsero nel dicembre 1981 all’imposizione della legge marziale, provocando nel movimento comunista internazionale, una seria crisi, che ne allontanava definitivamente le maggiori componenti occidentali, a cominciare dal PCI, dalla sfera d’influenza di Mosca. L’11 marzo 1985 salì al potere in URSS un leader relativamente giovane (54 anni) Gorbacev. L’obiettivo era di modernizzare l’Unione Sovietica liberalizzando gradualmente il sistema politico. Il 26 aprile 1986 avviene poi il disastro della centrale nucleare di Cernobyl (Ucraina) e seguono una serie di polemiche per il ritardo delle informazioni. Inoltre una rapida sequenza di esperimenti insieme troppo timidi in campo economico e alquanto avventurosi sul piano geopolitico e della politica domestica, contribuì a produrre la rapida implosione del sistema. Nell’opinione pubblica sovietica, la diffusione delle tragiche verità sugli orrori del passato non solo staliniano e l’ammissione da parte degli stessi vertici del partito delle inefficienze del sistema politico e dell’arretratezza dell’economia furono infatti uno shock. La nuova leadership non intendeva sovvertire il sistema, solo attualizzarlo, liberalizzarlo, renderlo più efficiente; nella speranza di rigenerare l’URSS, Gorbacev finì per sconfessarla. 2. Fine della guerra fredda Gorbacev fece della coesistenza pacifica non più uno strumento, ma un fine. Il suo “nuovo pensiero” verteva sull’interdipendenza fra le potenze mondiali come assicurazione contro l’olocausto nucleare. La retorica garbacioviana seppelliva la logica dei “due blocchi” in permanente opposizione e aderiva invece ad una visione ottimistica del progresso umano. Di qui il paradosso di un sistema nato da una sanguinosa rivoluzione e fondato sulla potenza militare al cui vertice si trovava un capo radicalmente non violento, al punto da rifiutarsi di premere il bottone nucleare nel corso di una simulazione della guerra atomica. L’opinione pubblica era sconcertata dall’irresolutezza e dell’inefficienza del segretario generale del PCUS, cui attribuiva la responsabilità principale della crisi economica e della perdita di prestigio dell’URSS. Ronald Reagan era la quintessenza dell’anticomunismo americano. Quanto più lontano dall’intellettualismo gorbacioviano. Di qui nel 1983 la celebre definizione reaganiana dell’URSS come “impero del Male”. Sua fu l’idea di lanciare l’apparato tecnico – militare nazionale nel progetto Strategic Defensive Initiative (SDI), più noto come Star Wars. Obiettivo, installare un sistema di intercettazione dei missili intercontinentali avversari in modo da impedire che colpissero il territorio americano (progetto tuttavia irrealistico). Insieme, con l’accordo dei suoi alleati europei, il presidente americano annunciò che avrebbe installato missili a medio raggio Cruise in alcuni paesi dell’Alleanza atlantica, tra cui l’Italia. Gorbacev si lanciò in un negoziato a più tappe con Reagan sulla riduzione degli armamenti nucleari; fu un clima di inedita cooperazione anche se saltò. 3. Crollo dell’impero esterno Successore di Reagan, George Bush. Dal 1988, il leader sovietico aveva relazioni migliori con i capi del campo avversario che con quelli del blocco socialista, i quali lo consideravano un traditore della causa. Il Cremlino aveva rinunciato a tenere insieme, se necessario con la forza, il suo impero esterno; sconfessando di fatto l’ideologia che li legittimava, i sovietici avevano minato la base esistenziale dei regimi del campo socialista. In generale al Cremlino si dava la precedenza agli affari interni, considerando l’impero esterno più un costo che una risorsa. E non valutando l’impatto della rinuncia all’impero sul morale del paese. Il 9 novembre 1989 cadeva il Muro di Berlino; l’apertura del confine intertedesco, frutto imprevisto della confusione e della cattiva comunicazione ai vertici della DDR. La Germania dell’Est aveva accumulato un debito di 26,5 miliardi di dollari con l’Occidente. Il leader sovietico si era deciso a invocare da Bush un “Piano Marshall” per salvare l’Unione Sovietica dal collasso finanziario. Per il presidente francese Mitterrand, il premier britannico Margaret Thatcher e il presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti, il crollo del muro, l’agonia della DDR e la conseguente probabilità della riunificazione tedesca, resuscitavano lo spettro dell’imperialismo tedesco. Il presidente americano era invece solo preoccupato di evitare la disintegrazione dell’URSS. A suo avviso, il collasso dell’ex arcinemico sarebbe potuto avvenire in seguito di una guerra civile interna alla superpotenza, con il rischio che le armi atomiche finissero fuori controllo. L’America non aveva puntato sulla disintegrazione dell’URSS, ma solo sulla sua sconfitta, possibilmente seguita dalla sua conversione ai valori occidentali. 4. Collasso dell’URSS Tra l’inizio del 1990 e la fine del 1991 si compì la parabola finale dell’Unione Sovietica. l’avvitamento definitivo dello stato sovietico su se stesso si produsse nel conflitto fra il centro e le periferie. L’autorità sovietica era stata ulteriormente indebolita, nel corso del 1990, dalla decisione di concedere elezioni relativamente libere nelle repubbliche federate. Poi la mancanza di una vera riforma economica e la conseguente grave crisi fiscale, accompagnata da una crescente inflazione, avevano messo a nudo le inefficienze del sistema. Scattò l’accaparramento di diverse aziende statali e delle loro risorse. Quella che nelle intenzioni del Cremlino doveva essere una graduale, controllata, parziale liberalizzazione dell’economia si trasformò nel Far West delle auto privatizzazioni da parte di capi e clan mafiosi provenienti dalle file del regime, battezzati “oligarchi”. La debolezza del Cremlino e la sua rinuncia di principio all’uso della forza per contrastare i movimenti nazionali di opposizione incoraggiarono le spinte centrifughe dei nazionalismi mai definitivamente assimilati dal regime. I primi furono i baltici: nel 1990 la Lituania si proclamò sovrana; fu in Ucraina però, che si determinò nel corso del 1991 la frattura decisiva. I leader del partito cedettero presto terreno sotto la pressione indipendentista; il 24 agosto, dopo il fallito colpo di Stato a Mosca, il Parlamento di Kiev votava il distacco e il 1 dicembre l’indipendenza. L’accordo di Minsk, a cui partecipavano i leader di Russia, Ucraina e Bielorussia, segnava la dissoluzione dell’Unione Sovietica; seguiva il 26 dicembre, l’ammainabandiera dello stendardo sovietico al Cremlino. Dalla convulsa fine dello Stato sovietico germinavano quindici repubbliche indipendenti. In agosto il leader aveva dovuto subire l’umiliazione di un dilettantesco colpo di Stato; da questa crisi emergeva il presidente della Russia El’cin, eletto alla carica il 12 giugno 1991 con un ampio mandato popolare. Questo nuovo presidente aveva posizione filo – occidentale. L’Unione Sovietica crollava sotto la pressione delle repubbliche secessioniste. La Russia si affermava come Stato successore all’URSS, ereditandone l’apparato nucleare e il seggio di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. CAPITOLO 25 Gli stati uniti si credevano ormai superpotenza unica. La riunificazione della Germania riapriva la questione tedesca. A Parigi e Londra si temeva il sorgere di un asse americano-germanico pilotato da Washington, ma che avrebbe sancito il primato di Berlino nel continente. L’ambizione italiana di essere considerata come una grande potenza era irrealistica. Era un paese permanentemente instabile e quasi ingovernabile. Antiche nazioni come la Polonia riacquisirono la loro indipendenza e, ne nacquero di nuove come la repubblica ceca Slovacchia. All’inizio dell’ultimo decennio del 900 il destino dell’eu era tornato in mani europee. LE GUERRE DI SIUCCESSIONE JUGOSLAVA 1 Morte di Tito, 4 maggio 1980 aprì la crisi della repubblica federale popolare jugoslava. La differenza economica delle singole repubbliche contribuirono ad accendere la scintilla che, dieci anni dopo la scomparsa di Tito, infiammò il paese. Il collasso della Jugoslavia iniziò in Kosovo, dove ne trovò il pieno complimento con la guerra del marzo-maggio 1999 tra NATO e il regime serbo. La crisi precipitò nel 1990-1991. 25 giugno 1991 i parlamenti di Slovenia e Croazia proclamarono unilateralmente le rispettive indipendenze. Il leader serbo era disposto a lasciar via libera allo Slovenia. La struttura federale era ridotta di fatto all’armata jugoslava, la quale intervenne in Slovenia. 18 luglio la Slovenia aveva via libera e la guerra si spostava in Croazia. Il conflitto molto violento determinò una spaccatura in seno alla comunità eu, Germania e Austria, in linea con la santa sede, si espressero a favore dell’indipendenza della Slovenia e Croazia. La Germania usava la crisi jugoslava per far pesare le sue ragioni nel negoziato comunitario sull’unione economica e monetaria. Grazie alla mediazione americana il conflitto serbo-croato veniva sedato. Le due firmarono un accordo che salvava le apparenze di uno stato bosniaco. In realtà era diviso tra due entità: federazione croato-mussulmana e repubblica serba. Il fronte jugoslavo si riaccese nel 1999 con la guerra del Kosovo, considerata dai nazionalisti di Belgrado una terra santa. 1998 stati uniti ritenevano che la liquidazione della Jugoslavia dovesse essere portata a termine. Obb abbattere Milosevic e punire la Serbia, con un regime dittatoriale incompatibile con la concezione europea. La NATO scatenò una campagna di bombardamenti sulla Jugoslavia. Vi parteciparono anche aerei italiani. Belgrado fu costretta ad accettare un compromesso che di fatto apriva la strada all’indipendenza del Kosovo. Milosevic fu costretto ad abbandonare il potere ottobre 2000. LA NASCITA DELL’EURO 2 La riunificazione tedesca aveva sbilanciato i rapporti di forza a fare della Germania. Per riequilibrarli, Francia e Italia e altri paesi comunitari decisero di rilanciare il progetto di moneta unica europea. Germania accetta a condizione che la moneta fosse sufficientemente solida ed esprimesse una politica monetaria di stampo tedesco. Si arrivò a varare il trattato di Maasticht, firmato il 7 febbraio 1992. Il trattato istituiva l’unione eu incardinata su tre pilastri: • Moneta unica • Politica estera e di sicurezza comune • Giustizia e affari interni Gran b. aderì malgrado la forte opposizione dell’opinione pubblica. L’euro venne adottato dai mercati finanziari il 1 gennaio 1999 e iniziò a circolare il 1 gennaio 2002. Euro avrebbe dovuto in futuro sfidare il dollaro, ciò spiega l’iniziale avversione gli americani. Kohl (germania) stabilì che l’Italia dovesse essere ammessa all’Eurozona, per le dimensioni della sua economia. Viceversa, alcuni leader del partito cristiano democratico tedesco, produssero un documento nel quale si proponeva un Euronucleo: la nuova valuta avrebbe dovuto circolare solo in Germania, Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, no Italia. L’EUROPA SI ALLARGA 3 residenza legale. Ci furono poi proposte sullo ius soli (è cittadino italiano chi nasce in Italia) e di ius culturae ossia il possesso di requisiti culturali forniti da cicli scolastici. Le vicende dell’arrivo a Bari nell’agosto del 1991 di circa 20000 albanesi, che abbandonavano l’Albania nella fase di grave crisi economica e alimentare alla fine del duro regime comunista, venne usato nel dibattito per alimentare le paure dell’opinione pubblica e veicolare stereotipi xenofobi. Spaesamenti: nel “disordine mondiale” (1992-2008) L’Italia si è ritrovata spaesata di fronte a un mondo in continua trasformazione, un mondo che entrava in casa con i processi migratori, che esigeva scelte e visioni. Il paese era carente di una visione e di un pensiero che animassero e indirizzassero politiche in grado di collegare l’Italia nel suo complesso ai processi in corso nel mondo. Mancava il quadro di una visione di sistema, che la classe dirigente politica e gli organi di governo facevano fatica ad elaborare, si preferivano percorrere itinerari individuali. Nacque una nuova modalità di presenza internazionale: le missioni militari all’estero (Somalia, Libano, Bosnia, Kosovo, Iraq, Afghanistan). In politica estera il legame con gli USA era rimasto saldo, così come l’ancoraggio con l’Alleanza atlantica. D’altro canto l’Italia, sia con i governi Berlusconi, sia con gli altri governi di questo periodo, ha stabilito buone relazioni con la Russia negli anni di Putin, per la collaborazione soprattutto nel settore energetico. L’UE faticava a darsi una politica estera unitaria, e nell’Unione europea l’Italia non riusciva a restare nella cabina di regia con Germania, Francia e GB. Il declino economico e l’instabilità politica, insieme ai cambiamenti degli assetti geopolitici, determinavano questa riduzione di rango. L’Africa tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI ha conosciuto una stagione di sfide drammatiche dettate dalle condizioni economiche di sottosviluppo, da povertà, carestie, pandemie (AIDS), nonché conflitti in Sudan, Somalia, Burundi, Ruanda. L’Italia repubblicana aveva ricevuto in eredità rapporti di origine coloniale soprattutto con i paesi del Corno d’Africa. Tale presenza italiana in Africa si giovava anche delle reti di collegamento della Chiesa cattolica e del Partito comunista italiano, come pure di un vivace arcipelago di organizzazioni di cooperazione internazionale diffuso nel paese. Rapporto con un’altra ex colonia: la Libia, tra i principali fornitori di gas e petrolio dell’Italia. La difficile eredità del passato coloniale e della personalità controversa del dittatore, il colonnello Gheddafi, che era stato al centro di accuse di connivenza con il terrorismo internazionale e di coinvolgimento in piani di destabilizzazione nel mondo arabo e in diversi paesi africani. Fu firmato un trattato di amicizia, nel 2008 da Berlusconi, prima che il rovesciamento del regime e l’uccisione di Gheddafi nel 2011 aprissero in Libia una lunga e sanguinosa fase di instabilità e di guerra civile. Di fronte agli attentati negli USA (11 settembre 2001) e all’inizio della guerra al terrorismo, il governo italiano optò per la linea di appoggio alla politica del presidente George W. Bush, con l’invio di contingenti militari in Afghanistan nel 2001 e in Iraq nel 2003, sebbene dopo la conclusione delle azioni belliche, rispettivamente contro il regime dei talebani e contro quello di Saddam Hussein. Il risultato sullo scenario europeo di tale scelta fu di rendere più freddi i rapporti con Germania e Francia, schierate su una posizione contraria all’intervento militare in Iraq. Giovanni Paolo II aveva promosso la causa del dialogo interreligioso, per promuovere una cultura di dialogo. Quella estera era una politica prigioniera delle contorsioni di quella interna. Frammentazione: coesione dello Stato e sistema politico Mentre andava dissolvendosi il legame tra i partiti e la società italiana, si logorava anche il rapporto tra intellettuali e formazioni politiche. Si consumava così il divorzio tra politica e cultura che sarebbe stato un elemento costitutivo delle dinamiche della Seconda Repubblica. Venne a crearsi l’assioma del partito quale agente di corruzione, l’inchiesta su Mani Pulite, aveva compromesso il ruolo dei partiti politici. Agli occhi dell’opinione pubblica si rendeva necessaria una riforma del sistema politico che riducesse il ruolo dei partiti a favorisse una loro frequente alternanza al governo, impedendo la lunga permanenza al potere ottenuta spesso tramite pratiche di consociativismo. Il referendum del 18 aprile 1993 sulla modifica del sistema elettorale del Senato in senso maggioritario, fu una delegittimazione della “Repubblica dei Partiti”. Il presidente della Repubblica era Luigi Scalfaro; la formazione del nuovo governo fu affidata al governatore della Banca d’Italia Ciampi e in Parlamento fu approvata una riforma elettorale, proposta dal democristiano Sergio Mattarella: il Mattarellum, che introduceva l’elezione del 75% dei deputati alla Camera col collegio uninominale, mentre il restante 25% veniva scelto con il proporzionale. Le forze di governo del “pentapartito”, che avevano guidato il paese dagli anni Ottanta, si disgregarono. Nel gennaio 1994 si scioglieva la Democrazia cristiana, sotto i colpi delle inchieste giudiziarie. Nascevano due nuovi partiti: • Il Partito popolare italiano (PPI), cui aderì la gran parte dei dirigenti democristiani su una linea di cattolicesimo sociale e democratico • Il Centro cristiano democratico (CCD) promosso da alcune seconde file della dirigenza democristiana e sostenuto in gran parte da ambienti conservatori della “destra” DC. Nel frattempo si compiva il dissolvimento del PSI, con Craxi che lasciava l’Italia per non essere sottoposto all’azione giudiziaria e riparava in Tunisia. Le elezioni del 1994 videro nuovi partiti, nuove coalizioni e nuovi eletti. Le coalizioni formate da nuovi partiti: una di centro-destra, costituita da Forza Italia, Alleanza nazionale, Lega Nord e CCD; una di centro- sinistra, l’alleanza dei progressisti, formata da PDS (Partito democratico della sinistra) e Rifondazione comunista (nati alla fine del vecchio PCI), il partito ambientalista dei Verdi e altre formazioni minori. Alla guida del centro- destra vittorioso alle elezioni vi era Silvio Berlusconi. Era stato vicino al PSI di Craxi e nel 1994 aveva dato vita ad una nuova formazione politica, Forza Italia. Egli intervenne per unificare le forze di destra scompaginando il quadro politico. Operò per la legittimazione del partito neofascista, il MSI e il suo leader Gianfranco Fini. C’era poi la Lega Nord di Umberto Bossi, in posizione antisistema e dichiarata avversione all’unità nazionale. Ne risultava un’area di destra come ibrido non pienamente amalgamato di orientamenti diversi e non di rado configgenti; Berlusconi acquisiva una centralità sistemica. Egli ha operato decisamente nel senso di una personalizzazione della politica. I partiti da lui fondati e diretti, Forza Italia e poi nel 2009 il Popolo della Libertà, sono stati imperniati sulla sua persona, che ne ha pienamente controllato le attività; si era realizzata una completa identificazione di partito e persona. Berlusconismo e antiberlusconismo sono diventati così il registro politico della Seconda Repubblica. Berlusconi utilizza poi l’arma “dell’aticomunismo” come quella vincente: ha potuto inventare un “nemico politico” e usare la delegittimazione dell’avversario come strategia. Berlusconi guidò il suo primo governo fino alla fine del 1994, quando fu costretto alle dimissioni per l’uscita della Lega Nord dalla maggioranza. Seguì un governo tecnico voluto da Scalfaro e affidato alla guida del ministro del Tesoro di Berlusconi, Dini, che rimase in carica fino alle elezioni politiche del 1996. Si formò una coalizione che intendeva unire le forze della sinistra con i cattolici del PPI, battezzata Ulivo, guidata dal leader cattolico Romano Prodi. Questi vinse le elezioni e sconfisse Berlusconi. La Chiesa italiana, guidata dal cardinale Ruini, dopo le elezioni del 1994 abbandonò la linea di sostegno al PPI, mentre i cattolici si dividevano tra centro- destra e centro- sinistra. Ruini ha quindi gestito direttamente i rapporti con la politica italiana presso la quale interveniva in prima persona per affermare quelli che erano individuati come interessi specifici della Chiesa. Il governo Prodi cadde per l’esiguità e l’instabilità della maggioranza che lo sosteneva e nel 1998 ci fu un esecutivo di un ex comunista, D’Alema. Questo condusse l’Italia a partecipare alla guerra della NATO contro la Serbia, per la causa del Kosovo, voluta dagli USA nel 1999. Berlusconi vinse nuovamente le elezioni nel 2001 di nuovo alleato con la Lega e restò al governo fino al 2006. Nel 2006 l’Ulivo vinse le elezioni con un esiguo margine sul centro- destra. Nel 2007 venne fondato il Partito Democratico (PD) e il primo segretario fu Walter Veltroni, il sindaco di Roma. La sconfitta del PD alle elezioni del 2008 ha segnato il ritorno al governo di Berlusconi, che vi è rimasto fino al 2011. La riforma elettorale dell’esponente leghista Calderoli, che ha ripristinato il proporzionale con un forte premio di maggioranza e senza il voto di preferenza, approvata nel 2005, è nota come il Porcellum, perché il suo stesso autore l’aveva definita “una porcata”, ha favorito ulteriormente la frammentazione del sistema politico. Alle elezioni del 2006 si erano presentati undici partiti nella coalizione di centro – sinistra e sei in quella del centro – destra. Frammentazione e instabilità erano connotati del sistema politico. La coesione dello Stato è messa sotto pressione dalla Lega Nord e dalla “questione settentrionale”: in nome dell’obiettivo della costituzione di uno Stato autonomo battezzato Padania, il fenomeno leghista era espressione di un qualche disagio diffuso in settori della società nelle regioni settentrionali del paese. La politica leghista amplificava questo malessere colorandolo di un antagonismo antiromano, la capitale veniva vista come la causa dei mali del paese: “Roma ladrona”. Il Nord produttivo doveva pagare i conti di un Sud parassitario: era questo il messaggio della propaganda leghista. Il Meridione con questo genere di politica assisteva all’aumento del gap che lo distanziava dal resto del paese. Epilogo: un passaggio tra crisi economica e crisi della Seconda Repubblica (2008-2011) Tra il 2008 e il 2011 la vittoria del Popolo della Libertà alle elezioni (Forza Italia, Alleanza nazionale, Lega Nord ha coinciso da una parte con il tramonto della Seconda Repubblica e il declino del berlusconismo, dall’altra con la crisi economico- finanziaria scoppiata in USA e estesasi su scala globale. Ci fu un’inazione del governo, se non nella difesa di interessi personali del suo leader; il distacco di alcuni settori dalla maggioranza, in primo luogo Fini, e alcuni scandali per casi di corruzione causarono il progressivo indebolimento del governo. Cresceva inoltre la protesta antisistema, che si coagulava nel consenso che veniva espresso dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Nel 2011 lo spread (cioè la differenza delle quotazioni, tra i titoli di stato tedeschi e quelli italiani) subì un’impennata arrivando a 311 punti. La grave crisi finanziaria ed economica era anche una crisi politica. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si fece carico della gestione della crisi e Berlusconi si dimette. Dopo che in novembre lo spread aveva superato i 500 punti, il governo nella votazione per il rendiconto finanziario alla Camera non ebbe la maggioranza; il 12 novembre dopo lunghi colloqui con Napolitano e l’approvazione della legge di stabilità Berlusconi si dimise. Cap 27 Nel mondo senza centro Cos’è la “globalizzazione” La globalizzazione si diffonde a partire dagli USA subito dopo la loro vittoria nella guerra fredda. Tanto da diventare, per alcuni, sinonimo di americanizzazione. È un processo olistico di integrazione che investe tutti gli aspetti della vita associata all’intera umanità. Simbolo ne è la Rete, ovvero Internet, lo strumento elettronico di comunicazione e di interconnessione di massa. La cifra più pregnante della globalizzazione è però economico- finanziaria. Nel 1975 viene istituita la WTO (World Trade Organization), un’organizzazione di stati sotto la leadership statunitense con il compito di garantire la libertà di commercio mediante l’abolizione e la riduzione delle tariffe doganali. Il dollaro resta una moneta di riferimento degli scambi internazionali, ma senza più ancorarsi a un bene materiale, la libertà di stampare moneta seconda necessità. A cavallo del Duemila si struttura un mercato finanziario semiglobale, dollarocratico. Mai come in questa fase dell’accumulazione di capitale l’economia finanziaria prevale su quella reale. Un mondo sempre più mobile e sempre meno uguale Nell’età della globalizzazione le distanze tra paesi ricchi e poveri tendono a crescere; le principali che oggi concorrono a complicare il quadro sono: crescita demografica, emergenze ecologiche, nazionalismi e localismi xenofobi, terrorismo islamista. Alla fine di questo secolo saremo 11 miliardi e 213 milioni; lo spazio a disposizione per ciascuno di noi su questo pianeta continua a restringersi, ma in modo disuguale. Megalopoli, degrado ambientale, cambiamento climatico sono parte del quadro. Tali mutamenti ambientali producono effetti molto diversi a seconda dei territori: ad esempio, il riscaldamento della fascia artica può facilitare la navigazione, le produzioni, i commerci, mentre un aumento delle temperature medie fra i due tropici può influire su fragili ecosistemi: riduzione della foresta tropicale, l’avanzata dei deserti, l’innalzamento del livello del mare e l’intensificarsi della siccità. Flussi migratori portano alcuni Stati a erigere muri e altre barriere fisiche nel tentativo di respingere i migranti. Il mondo globalizzato non solo non è globale, ma è segnato da forti diversità cultural- identitarie e da crescenti disuguaglianza economiche. Alle fonti del jihadismo contrario, la guerra civile dilaga e coinvolge le diverse entità tribali ed etniche. La Libia non è più uno Stato. Resta un vasto territorio dove diverse milizie, tra cui gruppi jihadisti, si contendono le risorse disponibili. L’Arabia Saudita organizza un fronte controrivoluzionario. Seguita dalle alleate petromonarche del Golfo- con l’eccezione parziale del Qatar, che appoggia i Fratelli musulmani- per spegnere la fiamma dell’islam politico e della democratizzazione prima che incendi anche il suo paese. Gli USA tengono una posizione defilata. Le guerre islamiche sono una sequenza di conflitti incrociati, in buona misura interdipendenti, imperniati nello spazio arabo. La radice di tali conflitti sta nel golfo Persico, passaggio strategico fra oceano Indiano e Mediterraneo; qui si concentrano i due terzi delle riserve globali di petrolio, un terzo di quelle gasiere. Qui configgono le due principali famiglie musulmane, la sciita e la sunnita. La prima ha il suo riferimento geopolitico nella Repubblica Islamica di Iran, la seconda nell’Arabia Saudita. Il principale alleato della Arabia Saudita è di fatto Israele; non si riconoscono, ma sono uniti dalla logica decisiva nella regione, per cui “il nemico del mio nemico è mio amico”. Se casa Sa’ud teme le ambizioni geopolitiche dell’Iran, Gerusalemme considera la Repubblica Islamica una minaccia esistenziale perché è convinta che intenda dotarsi della bomba. Questa situazione contribuisce a creare attorno al Golfo due schieramenti avversari. Da una parte, l’asse guidato dall’Iran, alleato con il governo iracheno di Baghdad, dominato da sciiti, con il regime di Damasco e la milizia sciita libanese. Sul fronte opposto, l’Arabia Saudita con i suoi satelliti (Kuwait, Bahtein, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Oman). Una partita a sé gioca la Turchia di Erdogan, che vorrebbe riportare il suo paese alle glorie ottomane. Il fronte principale delle guerre islamiche è a cavallo del confine siro-iracheno. Due stati in disintegrazione. Dopo Saddam, l’Iraq è diviso in tre zone rivali. In Siria, alle manifestazioni di protesta che nel 2011 rivendicano libertà e riforme, il regime di al-Asad risponde con una durissima repressione. Ne scaturisce una devastante guerra civile. Entra in campo anche la Russia. Fra i ribelli siriani, appoggiati da sauditi e turchi, ma anche da francesi, britannici e statunitensi, si infiltrano gruppi jihadisti, che pur in competizione tra loro acquistano presto un rango dominante. Di questi è lo Stato Islamico Lo Stato islamico nel giugno 2014 al-Baghdadi, leader jihadista che si proclama califfo, annuncia dalla città irachena di Mosul la nascita dello Stato Islamico. Il nome esprime l’ambizione di costruire uno stato universale di tutti i musulmani, al di là di ogni confine nazionale. È la prima volta che un gruppo militare salafita, aderente alla corrente wahhabita interna al mondo sunnita, si propone di materializzare qui e ora il sogno geopolitico- religioso cha da sempre affascina i musulmani. Lo Stato islamico alla sua nascita, controlla un’ampia quanto contestata fascia di territorio, estesa dall’Iraq occidentale alla Siria orientale. Esso germina dalla insorgenza antiamericana in Iraq, quando militari già appartenenti all’esercito iracheno, messo al bando dagli occupanti, si organizzarono per resistere alle truppe americane e al nuovo regime di Baghdad, di chiara impronta sciita. Sorge così lo Stato Islamico d’Iraq (2006), che nel 2013, intrecciandosi con milizie jihadiste attive nella guerra civile siriana, si sviluppa in Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS). Migliaia di combattenti stranieri affluiscono nella mischia siro-irachena per difendere ed espandere lo Stato Islamico. Il quale si dota di una struttura para-statuale, con dicasteri. Il sistema finanziario dello Stato Islamico è alimentato sia dal prelievo di tasse che dai traffici clandestini di petrolio, beni archeologici, esseri umani. Senza trascurare l’iniziale sostegno informale di alcuni paesi occidentali e dell’arco sunnita, per i quali l’organizzazione terroristica era comunque uno strumento nella guerra contro il regime filo iraniano di Bashar al-Asad. La decapitazione di ostaggi stranieri ha avuto formidabile eco mediatica. Dopo gli attentati di Parigi (7 gennaio 2015) a “Charlie Hebdo”, e il 13 novembre 2015, 130 morti, contro il sedicente califfo si è schierata una coalizione a guida statunitense di oltre sessanta paesi, impegnati in una campagna aerea. Sul terreno, a combattere lo Stato Islamico sono però soprattutto i curdi e le milizie dell’arco sciita. Caoslandia Ci sono aree più o meno ordinate del pianeta e aree in pieno caos, raramente creativo. Chiamiamo le prime “terre dell’ordine”, le seconde “terre del caos” o Caoslandia. Il suo nucleo resta il mondo “non globalizzato”, qui si concentra la maggior quota di traffici criminali, terrorismo, dispute geopolitiche, conflitti armati. Vi si osserva la decomposizione di alcuni Stati, specie in NordAfrica e in Medio Oriente, senza che da essi si riproducano nuovi schemi istituzionali; semmai “buchi neri” geopolitici e/o statarelli mafiosi, epicentro del terrorismo. L’Italia è alla frontiera tra le terre dell’ordine e quelle del caos. Spazio euro-russo Nel secondo decennio del secolo l’Unione Europea è di fronte a tre sfide strategiche: crisi dell’euro, crisi migratoria e crisi dei rapporti con la Russia. L’intreccio dei tre fenomeni mina l’impresa della famiglia comunitaria. Ne rivela anzi incongruenze e fratture, che favoriscono il ripiegamento di ciascun paese su se stesso e l’emergere, nel corpo di alcuni Stati europei, di pressioni separatiste, palesi in Spagna (Catalogna), Regno Uniti (Scozia e Inghilterra). La crisi della “moneta unica” è figlia del fallimento del progetto geopolitico di cui è espressione. L’idea di condividere la stessa moneta non è stata infatti concepita per ragioni economiche, ma per sciogliere la questione tedesca. Inoltre non si è determinato un governo politico della moneta, mentre si sono introdotti nel tempo vincoli fiscali sempre più cogenti. A differenza degli USA, che possono stampare sempre nuovi dollari, gli europei, impossibilitati a farlo, inclinano su impulso tedesco a misure di austerità, con effetti recessivi sulle rispettive economie. La crescita del debito pubblico di alcuni paesi europei ha costretto i governi dell’Eurozona e la stessa Banca centrale europea a interventi straordinari per impedire il collasso dei debiti sovrani (di Atene, Grecia). Il surplus commerciale tedesco è insostenibile per i partner e i competitori commerciali della Germania. La conseguenza geopolitica è l’accentuarsi delle rivalità fra i paesi membri, la delegittimazione delle istituzioni comunitarie e un’ondata di euroscetticismo. Fino al referendum che il 23 giungo 2016 sancisce la volontà britannica di lasciare l’Unione Europea (Brexit). Tale carenza di leadership emerge sul piano strategico nella grave crisi con la Russia, scoppiata nell’inverno 2013-2014. Il motivo è l’Ucraina, paese di rilievo strategico perché ospita i principali gasdotti che collegano i giacimenti russi ai mercati europei. Qui un ampio movimento popolare costringe alla fuga il presidente filorusso Janukovyc, il quale si era rifiutato di sottoscrivere un accordo di associazione con l’unione Europea. La reazione di Putin porta il 18 marzo 2014 all’annessione alla Federazione Russa della Crimea e di Sebastopoli (dove è di stanza la flotta russa sul mar nero) e alla proclamazione di due repubbliche secessioniste. Americani ed europei denunciano l’intervento russo, si rifiutano di riconoscere l’appartenenza della Crimea alla Russia e sostengono il nuovo governo di Kiev. Tra forze ucraine e i ribelli del Donbass appoggiati dal russi scoppia una guerra a bassa intensità, di fatto uno scontro indiretto tra NATO e Russia. Inoltre gli occidentali impongono alla Russia severe sanzioni economiche. La crisi migratoria vede i profughi in fuga da guerra e persecuzioni. Nel 2015, i migranti forzati giunti nell’UE sono circa un milione, provenienti innanzitutto da Siria, Afghanistan e Iraq. La via di transito principale è l’Italia e poi quella balcanica, risalendo dalla Turchia alla Grecia, poi alle Repubbliche ex jugoslave. La reazione a tanta emergenza è difforme. Nel sud –est europeo e in Europa centrale si tenta di arginare i flussi costruendo veri e propri muri. In alcuni paesi si diffonde il timore che fra i migranti si nascondano terroristi. Spazio americano Washington vive una fase di estrema incertezza e di ambiguità geopolitica. Resta la prima potenza al mondo, ma la carenza di ordine internazionale erode tale privilegio. Perfino nello spazio euro-russo gli USA non sono più determinanti. Obama si dà come priorità il rimpatrio del grosso dei suoi contingenti militari. Un altro obiettivo di Obama è quello di negare alla Cina una sfera di influenza geoeconomica e geopolitica, che escluderebbe gli USA dall’Asia. Punta dunque a coinvolgere sia soggetti alleati, quali Giappone e Australia, sia paesi tradizionalmente diffidente verso la Cina, quali India e Vietnam. Ma Washington non può trattare la Cina come a suo tempo l’Unione Sovietica. Non fosse che per l’interdipendenza finanziaria ed economica, che portò l’allora segretario di Stato Hillary Clinton a pronunciare: “come puoi essere duro con il tuo banchiera?”. Spazio cinese e asiatico La Repubblica Popolare Cinese è una potenza economica paragonabile a quella americana, cui è intimamente legata per via del già citato rapporto di credito/debito e per i forti investimenti americani in Cina. I talloni di Achille di Pechino sono: la demografia, l’inefficienza delle strutture finanziarie e di industrie di Stato fortemente vincolate alla politica, quindi esposte alla corruzione; il divario fra il sud-est ricco e sviluppato, mentre il nord- ovest resta relativamente arretrato, specie per quanto riguarda lo Xinjiang e il Tibet, dove i monaci buddisti, ispirati dal Dalai Lama, tengono viva un’identità culturale che in futuro potrebbe rivelarsi prodromo di una crisi geopolitica. La Cina si trova però in isolamento perché di fatto nessuno dei vicini può essere considerato amico, tanto meno allato. Con i colossi asiatici le relazioni di Pechino sono ambigue, spesso aspre. La tensione dei rapporti con gli USA, specie riguardo all’Ucraina, hanno invece favorito il rafforzamento dei vincoli sino- russi. Putin e il presidente cinese Xi Jiping si sono scoperti reciprocamente utili nella competizione con Washington. L’Asia è scenario principale per il futuro del mondo.
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