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La Borghesia e il Movimento Operaio in Europa: Transizione dal Feudalesimo al Capitale - P, Dispense di Storia Contemporanea

Storia Economica EuropeaStoria sociale europeaStoria Moderna Europea

La crescita della borghesia europea nel ventennio successivo alla rivoluzione del 1848 e la contemporanea ascesa del movimento operaio. Il documento illustra come la borghesia si sviluppò attraverso nuovi mezzi di trasporto e comunicazione, mentre la società subì una rivoluzione dall'alto in giappone. Inoltre, vengono discusse le politiche economiche e coloniali dei vari stati europei e l'impatto della chimica sulla produzione. Il testo conclude con la crisi del positivismo e l'ascesa di nuove correnti filosofiche.

Cosa imparerai

  • Come l'impatto della chimica influenzò la produzione in Europa?
  • Quali politiche economiche e coloniali seguirono i vari stati europei nel periodo descritto?
  • Come la borghesia europea si sviluppò nel ventennio successivo alla Rivoluzione del 1848?
  • Come la crisi del positivismo influenzò la filosofia europea?
  • Come la rivoluzione dall'alto in Giappone influenzò la società giapponese?

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 30/08/2019

rosi-palmeri
rosi-palmeri 🇮🇹

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Scarica La Borghesia e il Movimento Operaio in Europa: Transizione dal Feudalesimo al Capitale - P e più Dispense in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! Storia contemporanea Prof. CARIDI Capitolo: “La restaurazione e il romanticismo” Sconfitto Napoleone a Waterloo, si chiudeva il periodo delle guerre tra la Francia rivoluzionaria e le monarchie europee. Iniziava l’età della Restaurazione. Ma “restaurare” in tutto e per tutto il vecchio ordine non era in realtà possibile, dopo i mutamenti sociali, istituzionali e giuridici verificatisi nel venticinquennio precedente. Assai rilevanti furono i mutamenti nella carta d’Europa sanciti dal congresso di Vienna (novembre 1814-giugno 1815), per opera delle quattro maggiori potenze vincitrici (Gran Bretagna, Russia, Prussia, Austria) nonché della stessa Francia. Il principio di fondo seguito fu quello di “legittimità”, secondo cui dovevano essere restaurati i sovrani i sovrani spodestati. Ciò non impedì, però, che si verificasse una diminuzione del numero degli stati, con una conseguente razionalizzazione della geografia politica europea. Il nuovo assetto fu sancito dalla santa alleanza (tra Russia, Prussia, Austria), ispirata, almeno nelle intenzioni del suo promotore, lo zar Alessandro 1, a un’impostazione molto religiosa. Ad essa si affiancò la quadruplice alleanza, cui aderì anche la Gran Bretagna. La restaurazione ebbe caratteri diversi entro i singoli paesi, sempre, però nel quadro di un indirizzo conservatore, che favorì gli interessi della grande proprietà terriera (dazio sul grano) a scapito di quelli dell’industria esportatrice. In Prussia, Austria e Russia venne seguita una linea che si richiamava all’assolutismo settecentesco e ostacolava ogni evoluzione in senso liberale. Durissima fu la reazione in Spagna. Il caso + significativo di Restaurazione “morbida” fu quello della Francia. Luigi XVIII promulgò una costituzione, che tra l’altro prevedeva un parlamento bicamerale e conservò molte innovazioni del periodo napoleonico. Ciò provocò lo scontento dei legittimisti (ultras). In Italia la Restaurazione assunse forme piuttosto dure( salvo che nel Granducato di Toscana), temperate in qualche caso (Regno delle due Sicilie, Stato della Chiesa) dalla presenza di correnti moderate. Per quel che riguarda i rapporti sociali, la Restaurazione non interruppe il processo di crescita della borghesia e di emancipazione dai vincoli feudali. Tuttavia la borghesia fu danneggiata da politiche dei governi che favorivano gli interessi della proprietà terriera. Inoltre in buona parte dell’Europa dell’est, il processo di emancipazione dai vincoli feudali fu assai lento. Diversa fu la situazione in Francia e nei paesi dell’Europa occidentale passati per la dominazione napoleonica: qui la borghesia aveva, in effetti, aumentato la quota della sua proprietà sulla terra, senza però che ciò si risolvesse in una generale modernizzazione dell’agricoltura. Durante l’età della Restaurazione si diffuse in tutta Europa la cultura romantica: il Romanticismo- che esaltava la spontaneità del sentimento, i valori della tradizione e della nazione, che guardava con un nuovo interesse alla storia- segnava un mutamento profondo rispetto alla cultura e alla mentalità illuministica. Gli elementi di fondo della mentalità romantica potevano ben corrispondere al nuovo clima politico della Restaurazione. Ma in realtà il Romanticismo potè costituire altrettanto bene la premessa delle battaglie liberali dell’epoca e stimolare, con il culto del passato e dei valori nazionali, lo sviluppo del nazionalismo. PAGE 33 Capitolo 2: “Le rivoluzioni liberali in Europa e in America.”. In quasi tutti i paesi europei l’azione di liberali e democratici si doveva svolgere in forme clandestine, attraverso società segrete. La carboneria si ispirava a un liberalismo moderato, mentre altre sètte avevano posizioni + spiccatamente democratiche. In massima parte la base sociale delle società segrete era costituita da intellettuali, studenti e militari: furono essi i protagonisti delle rivoluzioni degli anni 20. L’ondata rivoluzionaria partì dalla Spagna, con la ribellione, a Cadice, di alcuni reparti militari (gennaio 20): il re fu costretto a concedere la costituzione, ma il nuovo regime non riuscì a consolidarsi, anche per i contrasti in seno allo schieramento costituzionale. Nel napoletano, per iniziativa di alcuni ufficiali, un’insurrezione (luglio 20) obbligò il re a concedere la costituzione. I moti piemontesi del marzo ’21 contarono sull’adesione del principe Carlo Alberto; ma l’insurrezione venne schiacciata dal nuovo re Carlo Felice. Le rivoluzioni del 20-21 suscitarono l’allarme dei conservatori d’Europa. Nel ’21, gli austriaci posero fine alla rivoluzione napoletana. La rivoluzione spagnola fu schiacciata, invece, dall’intervento militare della Francia (1822). Tra i motivi della sconfitta delle rivoluzioni del 20-21 vanno ricordate le divisioni entro lo schieramento rivoluzionario, nonché la mancanza di seguito tra le masse. L’unica rivoluzione del decennio che si concluse positivamente fu quella greca contro la dominazione turca. Iniziata nel ’21, questa rivoluzione, che ebbe i caratteri di una vera e propria guerra di popolo, poté concludersi solo nel 1829. Il suo successo fu dovuto in misura determinante alle simpatie dell’opinione pubblica europea e all’intervallo militare di Gran Bretagna, Francia e Russia. Con l’indebolimento dell’impero ottomano dopo la sconfitta e con il riconoscimento dell’indipendenza della Grecia prendeva corpo quella “questione d’Oriente”che avrebbe alimentato la politica internazionale fino alla prima guerra mondiale. Con l’invasione della Spagna da parte di Napoleone si mise in moto la lotta per l’indipendenza dell’america latina, sotto la guida di Bolivar e San Martin. Nel 1824, sconfitti definitivamente gli spagnoli, l’america latina era ormai indipendente. La fase successiva vide il fallimento dei progetti di unire i nuovi stati in una grande confederazione sul modello degli Usa; si ebbe invece una grande frammentazione politica. Gli squilibri sociali ereditati dall’età coloniale non si attenuarono e anzi il peso dei grandi proprietari terrieri divenne maggiore. Tutti questi fattori contribuirono a determinare, dal punto di vista politico, una costante instabilità in cui trovava spazio l’azione di capi militari. L’eccezionale sviluppo degli Stati Uniti nei decenni successivi all’indipendenza traeva origine da alcuni caratteri peculiari della società americana. Anzitutto il fattore geografico: esistevano a Ovest immensi spazi, occupati da poche centinaia di migliaia di indiani, su cui si riversò un’ondata di pionieri. Questo carattere mobile della frontiera contribuì a plasmare profondamente la mentalità americana, favorendo uno spirito individualista ed ugualitario. Fino agli anni ’20 la scena politica negli Usa fu dominata dal contrasto tra federalisti e repubblicani. Scomparsi dalla scena i federalisti e dopo la scissione dei repubblicani in due correnti, nazionali e democratici, questi ultimi si affermarono nel 1828 con l’elezione alla presidenza di Jackson. L’espansione territoriale degli Stati Uniti si attuò, nella prima metà dell’800, secondo due direttrici: verso ovest e verso sud. La corsa all’ovest fu il risultato dell’iniziativa dei pionieri, ma fu anche appoggiata dal potere centrale. L’espansione a sud si PAGE 33 europea del primo ‘800 ebbero notevoli conseguenze sul pensiero politico. Mill cercò di mettere il liberalismo in grado di dare una risposta alle nuove esigenze di giustizia sociale e di partecipazione politica. Tocqueville sostenne l’inevitabilità dell’avvento della democrazia, ma denunciò i rischi di appiattimento e di autoritarismo che tale avvento avrebbe comportato. In ambito cattolico si sviluppò, a partire dalla Francia con Lamennais, un cattolicesimo liberale. Dopo che il liberalismo fu condannato dalla chiesa l’impegno di molti cattolici si sviluppò sul terreno sociale. I primi decenni del secolo videro un grande sviluppo del pensiero socialista. Owen ebbe un ruolo di rilievo nell’organizzazione del movimento operaio. Più articolato fu lo sviluppo delle teorie socialiste in Francia. Se il pensiero di Fourier si qualificava in senso utopista e anti-industriale, quello di Saint-Simon si legava invece a una piena accettazione della realtà dell’industrialismo. Blanc fu per certi versi il capostipite del riformismo socialista. Ancora diverse le posizioni di Proudhon, caratterizzate da un cooperativismo più anarchico che socialista. La principale novità nel panorama delle teorie socialiste, fu il prender forma del nuovo indirizzo scientifico di Marx ed Engels. Nucleo fondamentale del loro pensiero, già presente nel Manifesto dei Comunisti (1848), fu la concezione materialistica della storia e la sottolineatura del ruolo rivoluzionario che il proletariato era destinato a svolgere per abbattere la società borghese. Le loro teorie però non ebbero immediata influenza sul movimento operaio europeo, ancora disorganizzato e frammentato. Capitolo 5: “Le rivoluzioni del 1848” Il centro di irradiazione del moto rivoluzionario fu la Francia. L’insurrezione parigina di febbraio portò alla proclamazione della repubblica, che ebbe all’inizio un indirizzo democratico-sociale. Le elezioni per l’assemblea costituente dell’aprile ’48 sancirono la vittoria dei repubblicani moderati. L’insurrezione di giugno dei lavoratori di Parigi fu duramente repressa e segnò la svolta in senso conservatore della Repubblica, concretizzatasi in dicembre con l’elezione a presidente di Luigi Napoleone Bonaparte. In marzo il moto rivoluzionario si propagò all’impero asburgico, agli stati italiani e alla Confederazione germanica: a Vienna, Metternich dovette lasciare il potere e venne concesso un parlamento all’impero. In Ungheria l’agitazione ebbe un accentuato carattere autonomistico. Anche a Praga furono avanzate, sia pure in forma meno accentuata, rivendicazioni di autonomia. La repressione militare della sollevazione di Praga (giugno 1848) segnò l’inizio della riscossa del potere imperiale. Dopo la repressione di una nuova insurrezione a Vienna (ottobre ’48) saliva al trono Francesco Giuseppe. La rivoluzione di Berlino portò inizialmente ad alcune concessioni da parte del re Federico Guglielmo IV; il movimento liberal-democratico conobbe però un rapido declino. In maggio si era riunita a Francoforte un’assemblea costituente con l’obiettivo di avviare un processo di unificazione nazionale tedesca. Il rifiuto da parte di Federico Guglielmo IV della corona imperiale offertagli dall’assemblea di Francoforte nell’aprile ’49 segnò in pratica la fine di quest’ultima. All’inizio del 1848 negli Stati italiani c’erano forti aspettative di un’evoluzione interna dei vecchi regimi. Lo scoppio della Rivoluzione in Francia dava nuova spinta all’iniziativa dei democratici italiani e riportava in primo piano la questione nazionale. A Venezia si proclamava la repubblica; a Milano dopo “cinque giornate” di insurrezione, fu costituito un governo provvisorio. Il 23 marzo ’48 Carlo Alberto dichiarava guerra all’Austria, PAGE 33 ottenendo l’appoggio del re delle due Sicilie, del granduca di Toscana e del papa, appoggio che sarebbe stato ritirato di lì a poco. I piemontesi vennero sconfitti a Custoza (luglio ’48) e costretti a firmare un armistizio con l’Austria. A combattere contro l’impero asburgico restavano i democratici italiani (oltre a quelli ungheresi). In Sicilia resistevano i separatisti, a Venezia fu proclamata di nuovo la Repubblica, e lo stesso accadeva in Toscana e Roma, dopo la fuga del papa (novembre ’48). Anche per la spinta dei democratici, il Piemonte rispondeva la guerra contro l’Austria. Sconfitto a Novara, Carlo Alberto abdicava a favore del figlio Vittorio Emanuele II (marzo ’49). I governi rivoluzionari venivano sconfitti in tutta Italia, terminava la rivoluzione autonomistica siciliana, gli austriaci ponevano fine alla Repubblica toscana e occupavano le Legazioni pontificie, i francesi intervenivano militarmente contro la Repubblica romana. Gli ultimi focolai rivoluzionari a soccombere furono quelli ungherese e veneto, in entrambi i casi per l’intervento asburgico. La causa fondamentale del generale fallimento delle rivoluzioni del ’48 va individuata nelle fratture all’interno delle forze che di quelle rivoluzioni erano state protagoniste: nei contrasti, cioè, fra correnti democratico-radicali e gruppi liberal-moderati. In Francia, nel dicembre 1851, Bonaparte effettuò un colpo di Stato e riformò la costituzione. L’anno successivo un plebiscito sanzionò la restaurazione dell’impero: Luigi Napoleone Bonaparte divenne imperatore con il nome di Napoleone III. Capitolo 6: “La lotta per l’egemonia europea e l’unità tedesca” In Inghilterra, gli anni del 1850 al 1870 videro il rafforzamento del sistema parlamentare (con una quasi interrotta presenza dei liberali al governo, con una notevole prosperità economica e il varo di alcune importanti riforme, soprattutto di quella elettorale (che allargava di quasi un milione il numero degli aventi diritto al voto). Fra il ’66 e l’86 si alternarono al potere il conservatore Disraeli, fautore di una politica imperialista non priva di aperture sociali, e il liberale Gladstone, che realizzò nuove riforme( fra cui un ulteriore ampliamento del suffragio) e tentò senza fortuna di concedere l’autonomia all’Irlanda. In Russia, all’arretratezza sociale e politica faceva riscontro una grande vivacità della vita culturale e del dibattito ideologico. L’avvento al trono di Alessandro II alimentò forti speranze di rinnovamento, soprattutto in conseguenza delle riforme attuate dal nuovo sovrano, tra le quali- importantissima- l’abolizione della servitù della gleba (1861. Tuttavia si tornò presto ad un indirizzo autocratico, con il conseguente accrescimento del distacco tra potere statale e borghesia colta. Anomalo era il caso del Secondo Impero Francese, per la compresenza di autoritarismo e paternalismo sociale. Accanto al notevole sviluppo economico, altra caratteristica del regime bonapartista era la volontà di modificare l’assetto europeo uscito dal congresso di Vienna e di impegnarsi in una politica estera ambiziosa ed aggressiva. Una prima manifestazione di tale politica si ebbe con la guerra di Crimea (1854-55), quando Francia e Inghilterra reagirono alle mire russe sui territori dell’impero ottomano. Un’altra fu l’appoggio dato ai movimenti nazionali, soprattutto attraverso l’alleanza col Piemonte e la guerra dell’Austria del ’59 (le cui conseguenze dovevano, però, deludere le aspettative di Napoleone III). L’impero asburgico, dopo le rivoluzioni del ’48-49, si riorganizzò accentuando i suoi caratteri burocratico. Militari e sacrificando le esigenze dello sviluppo economico. L’appoggio dei contadini, dopo l’abolizione della servitù della gleba, PAGE 33 e della Chiesa cattolica non era sufficiente ad arrestare il progressivo declino dell’impero, travagliato dal contrasto fra i diversi gruppi nazionali: il problema restò irrisolto anche dopo il «compromesso» del ’67, con il quale L’impero veniva diviso in due parti, un’austriaca e un’ungherese, dotate di larghe autonomie. Sviluppo industriale, presenza di una forte aristocrazia terriera e scarsi poteri del Parlamento erano, invece, gli ingredienti della “via prussiana” allo sviluppo. Con l’ascesa al governo di Bismarck (1862), la Prussia s’incamminava sulla strada di un’unificazione da ottenere anzitutto per mezzo della forza militare. La guerra del ’66 contro l’Austria portò alla formazione di una Confederazione della Germania del Nord sotto l’egemonia prussiana e all’adesione della borghesia alla politica di Bismarck. Nel 1870 Bismarck riuscì a provocare una guerra contro la Francia (ultimo ostacolo ai suoi progetti di unificazione tedesca), che fu rovinosamente sconfitta a Sedan. Col trattato di Francoforte (1871) nasceva il nuovo Reich tedesco. La sconfitta comportò per la Francia la caduta di Napoleone III, la proclamazione della Repubblica e la cessione dell’Alsazia-Lorena. Più in generale, rappresentò un’umiliazione nazionale che avrebbe condizionato per quasi mezzo secolo la politica francese e l’intero equilibrio europeo. Tra le conseguenze della sconfitta vi fu la ribellione di Parigi e la proclamazione della Comune, radicale esperimento di democrazia diretta. Isolata dal resto del paese, la Comune venne sconfitta dalle truppe governative dopo durissimi combattimenti nelle strade della capitale. Capitolo 7: “L’unità d’Italia” In Italia il ritorno dei sovrani legittimi dopo il fallimento delle rivoluzioni del ’48-’49 bloccò ogni esperimento riformatore e frenò pesantemente lo sviluppo economico dei vari Stati, mentre veniva sancita l’egemonia austriaca nella penisola. Solo in Piemonte la situazione era diversa. Qui fu conservato il regime costituzionale; venne intrapresa un’opera di modernizzazione dello Stato, soprattutto nel campo dei rapporti con la Chiesa (legge Siccardi). Nel 1852 Cavour diveniva presidente del Consiglio. Si affermava, così, un politico dai vasti orizzonti culturali e dall’ampia conoscenza dei problemi economici, animato dalla fede in un liberalismo pragmatico e moderno. Spostato a sinistra l’asse del governo (connubio Cavour-Rattazzi), il nuovo presidente del Consiglio pose mano anzitutto alla modernizzazione economica del paese, attraverso l’adozione di una linea liberoscambista sul piano dei rapporti commerciali, il sostegno dello Stato all’industria, le opere pubbliche. La conservazione delle libertà costituzionali, lo sviluppo economico, l’accoglienza data agli esuli provenienti dagli altri Stati italiani fecero del Piemonte cavouriano il punto di riferimento per l’opinione pubblica liberale di tutta la penisola. Proseguiva instancabile, dopo le sconfitte del ’48-49, l’attività di Mazzini, volta al raggiungimento dell’indipendenza e dell’unità per via insurrezionale. I tragici insuccessi contro cui la strategia si scontrò fecero crescere i dissensi entro il movimento democratico. Si affacciava, soprattutto con Pisacane, un’ipotesi “socialista” di liberazione nazionale. Pisacane organizzò nel 1857 una spedizione nel sud. Il tragico esito della spedizione sollecitò l’iniziativa di quegli esponenti democratici che vedevano nell’alleanza con la monarchia sabauda l’unica possibilità di successo. Dopo la partecipazione alla guerra di Crimea, Cavour strinse a Plombières (1858) un’alleanza militare con Napoleone III in vista della guerra contro l’Austria, che scoppiò nell’Aprile dell’anno successivo, le sorti del conflitto volsero a favore dei franco-piemontesi. Ma l’armistizio di PAGE 33 assunse un atteggiamento di pura condanna, dall’altro, si fece promotore di un intervento dello Stato a favore dei lavoratori e di un associazionismo cattolico. Capitolo 10: “L’Europa delle grandi potenze” La Germania unita era ormai, dal punto di vista economico e militare, il più potente Stato dell’Europa continentale. La supremazia del potere esecutivo sul legislativo, un blocco sociale dominante formato dal mondo dell’industria e della finanza e dall’aristocrazia degli Junker non impedirono una vivace dialettica politica. Nacquero negli anni ’70 due nuovi partiti: il Centro cattolico e il Partito socialdemocratico tedesco. La lotta di Bismark contro i cattolici si risolse in un insuccesso e fu abbandonata anche per la necessità di fronteggiare il nuovo pericolo rappresentato dalla socialdemocrazia. La politica bismarckiana affiancava alle tendenze autoritarie una legislazione sociale molto avanzata, secondo un modello di stampo paternalistico. La Francia si riprese rapidamente dalla sconfitta del ’70. Permaneva però, nella terza repubblica, una forte opposizione conservatrice e monarchica. La scena politica era dominata dai repubblicani che riuscirono gradualmente a consolidare il nuovo regime, spesso messo a repentaglio dalla notevole instabilità dei governi e dalla grande corruzione che dominava il mondo politico e finanziario. Scopo centrale della politica estera di Bismarck era l’isolamento della Francia. Il sistema di alleanze a tal fine messo in piedi dal cancelliere, fondato sul “patto dei tre imperatori” del 1873, si scontrava, però contro le rivalità che opponevano nei Balcani gli altri due contraenti (Austria e Russia), rivalità che risultarono evidenti con la guerra russo-turca (1877) e il successivo congresso di Berlino (1878). Nel 1882 la Germania stipulava il trattato della triplice alleanza con Austria e Italia. Nel 1890 Bismarck lasciava il governo. Tra l’ultimo decennio dell’800 e i primi anni del’900 si delineò un mutamento nelle alleanze che segnò la crisi del sistema bismarckiano. Attraverso l’alleanza tra Francia e Russia, l’”Intesa cordiale” franco-inglese, l’accordo-russo sulle questioni asiatiche, si venne a costituire uno schieramento, detto poi triplice intesa, contrapposto alla triplice alleanza. Il decennio precedente la prima guerra mondiale vide un acuirsi dei contrasti internazionali. Dalle due crisi marocchine (1905 e 1911)la Germania uscì sconfitta, mentre la Francia ottenne infine un protettorato sul Marocco. L’annessione della Bosnia Erzegovina (1908) da parte dell’Austria, la guerra italo-turca (1911, le due guerre balcaniche (1912-13) segnarono un profondo rivolgimento degli equilibri in questa area. La Turchia veniva definitivamente estromessa dall’Europa, mentre si faceva sempre più acuto il contrasto tra Austria e Serbia. In Francia, alla fine del secolo, restavano forti le correnti contrarie alle istituzioni repubblicane. Tra la fine dell’800 e l’inizio del’900, queste correnti si coagularono intorno al caso del capitano Dreyfus (un ufficiale ebreo ingiustamente condannato per spionaggio) che divenne simbolo della spaccatura dell’opinione pubblica. Le forze progressiste ebbero infine una vittoria sul piano elettorale, che diede inizio ad un periodo di governi a direzione radicale. A cavallo fra i due secoli la politica inglese fu dominata dalla coalizione tra conservatori e unionisti che cercarono di unire a una politica imperialistica una certa dose di riformismo sociale. Il successo dei liberali (1906) segnò un mutamento politico in senso progressista che trovò il suo momento più importante nella battaglia per la riduzione dei poteri della Camera dei Lords. Il “nuovo corso” di Guglielmo II non segnò, al di là dell’allontanamento di Bismarck (1890), un effettivo mutamento di indirizzi: la PAGE 33 più aggressiva politica estera della Germania Guglielmina rafforzava la tradizionale alleanza tra grande industria, aristocrazia terriera e vertici militari e finiva con l’ottenere l’appoggio di tutte le forze politiche, socialdemocratici esclusi. Nell’impero asburgico il più grave problema era rappresentato dalle agitazioni autonomistiche delle varie nazionalità, anzitutto degli slavi. Grazie all’intervento diretto dello Stato e all’afflusso di capitali stranieri si verificò, nella Russia degli anni ’90, un primo decollo industriale. Si trattò di uno sviluppo molto concentrato; la società russa rimaneva però ancora molto arretrata. Tutte le sue contraddizioni si rivelarono nella rivoluzione del 1905. Ristabilito l’ordine e svuotato l’esperimento parlamentare della Duma, fu varata dal primo ministro Stolypin una riforma agraria che non fu in grado di risolvere glie enormi problemi delle campagne. Capitolo 11: “L’espansione europea” Vari fattori determinarono, negli ultimi decenni dell’800, quella corsa alla conquista coloniale che costituì il più caratteristico tratto dell’imperialismo europeo. Vi fu certamente la spinta esercitata dagli interessi economici, ma non meno importante fu l’affermarsi di tendenze politico-ideologiche che affiancavano a un acceso nazionalismo la fede nella missione civilizzatrice dell’uomo bianco. Le potenze coloniali fecero generalmente un uso indiscriminato della forza contro le popolazioni indigene; sconvolsero l’economia dei paesi afroasiatici sottoponendola a un sistematico sfruttamento; tuttavia gli effetti della conquista non furono solo negativi: sul piano economico, essa significò anche, un inizio di modernizzazione, sia pure finalizzata agli interessi dei dominatori; su quello culturale, alcuni paesi con tradizioni e strutture politico-sociali più solide riuscirono a difendere la loro identità ovvero ad assimilare aspetti della cultura dei dominatori. Fu in Africa che l’espansione coloniale si verificò con la velocità più sorprendente, portando nel giro di pochi decenni alla conquista quasi completa di tutto il continente. Francia e Inghilterra occuparono rispettivamente Tunisia (1881) ed Egitto (1882). Poco dopo (1884-85) la conferenza di Berlino stabiliva i principi della spartizione dell’Africa e riconosceva il possesso di vari territori a Belgio, Francia, Germania e Inghilterra. In Sud Africa l’Inghilterra mirò ad estendere il suo dominio dalla colonia del Capo alle due repubbliche boere dell’Orange e del Transvaal, ricche di giacimenti d’oro e di diamanti. Il disegno potè realizzarsi solo dopo una lunga e sanguinosa guerra contro i boeri (1899-1902). Agli inizi dell’età dell’imperialismo, gli europei avevano già numerosi possedimenti in Asia; diverse, quindi, furono le dimensioni dell’espansione coloniale rispetto all’Africa. In questo periodo si ebbero la conquista francese dell’Indocina e lo sviluppo della colonizzazione russa della Siberia. L’altra direttrice dell’espansionismo russo portò l’impero zarista a un duro contrasto con l’Inghilterra. L’inizio del’900 vide la rapida crescita della potenza giapponese, rivelatasi nella vittoria sulla Russia (1904-5). In Cina sorse un movimento nazionalista e democratico guidato da Sun Yat-sen, eletto presidente della Repubblica dopo la rivoluzione del 1911 che rovesciò la dinastia mancia. Successivamente le forze conservatrici ebbero il sopravvento, con ciò dando inizio a una lunga stagione di guerre civili. Negli Stati Uniti si ebbe, a partire dagli anni ’70, un periodo di intenso sviluppo economico, cui si accompagnò un accentuarsi del processo di concentrazione industriale. Alla fine del secolo il paese divenne il maggior produttore industriale del mondo. L’imperialismo PAGE 33 americano ebbe la sua prima, significativa, espressione nella guerra contro la Spagna (1898) che portò all’indipendenza di Cuba, sottoposta tuttavia alla tutela degli stati Uniti. Fino alla prima guerra mondiale l’imperialismo statunitense si risolse principalmente verso l’America centrale, dove sotto, la presidenza di Roosevelt, venne realizzato il canale di Panama (1903) e proclamata la repubblica di Panama, sotto tutela americana. Sul piano interno, Roosevelt realizzò una politica di apertura ai problemi sociali. Le divisioni nel Partito repubblicano favorirono nel 1912 l’elezione del democratico Wilson, che riprese l’impegno sociale di Roosevelt inserendolo però in un quadro politico e ideologico assai diverso. Nei trent’anni precedenti la prima guerra mondiale, il notevole sviluppo economico dei paesi dell’America Latina non attenuò la loro dipendenza dagli Stati industrializzati dell’Occidente. Le campagne erano dominate dal latifondo, mentre una ristretta oligarchia terriera controllava la vita sociale e politica. I maggiori mutamenti sul piano politico furono la vittoria dei radicali in Argentina e la rivoluzione messicana cominciata nel 1910 e segnata dal conflitto fra le sue varie componenti: conflitto che solo nel 1921 si sarebbe concluso con la vittoria dei democratici. Capitolo 12: “I problemi dell’unificazione italiana” Al momento dell’unità l’agricoltura era l’attività economica prevalente nel paese; si trattava di un’agricoltura per lo più povera, caratterizzata da una grande varietà negli assetti produttivi: aziende agricole moderne (Pianura Padana), mezzadria (Italia Centrale), latifondo (Mezzogiorno). La condizione di vita dei contadini era generalmente ai limiti della sussistenza fisica. Questa realtà di arretratezza economica e disagio sociale era assai poco conosciuta dalla classe dirigente. Morto Cavour (giugno ’61), il gruppo dirigente che tenne le redini del paese proseguendone l’opera fu quelle della destra. Le si contrapponeva la Sinistra, che faceva proprie le rivendicazioni della democrazia risorgimentale (suffragio universale, decentramento amministrativo, completamento dell’unità attraverso l’iniziativa popolare). Destra e Sinistra erano espressione d’una classe dirigente molto ristretta: il che diede un carattere accentrato e personalistico alla vita politica. I leader della Destra furono spinti dalle circostanze a realizzare, sul piano amministrativo e legislativo, una rigida centralizzazione. Tra le circostanze che li spinsero in tale direzione va ricordata soprattutto la situazione del mezzogiorno, dove l’ostilità delle masse contadine verso i conquistatori assunse col brigantaggio caratteristiche di vera e propria guerriglia. Il brigantaggio fu sconfitto grazie a un massiccio impiego dell’esercito; restò tuttavia irrisolto i problema di fondo del Mezzogiorno, cioè quello della distribuzione delle proprietà agricole. Sul piano economico, la linea liberistica seguita dal governo produsse un’intensificazione degli scambi che favorì lo sviluppo dell’agricoltura e consentì l’inserimento del nuovo Stato nel contesto economico europeo. Fu importante anche l’impegno della Destra nella creazione delle infrastrutture necessarie allo sviluppo economico (strade, ferrovie). Nell’immediato tuttavia, il tenore di vita della popolazione non migliorò; e addirittura diminuì il peso percentuale delle attività industriali. La distanza tra una classe dirigente ristretta e il “paese reale” fu aumentata dalla dura politica fiscale seguita dalla Destra. Particolarmente impopolare fu la tassa sul macinato, che provocò violente agitazioni sociali in tutto il paese. Il completamento dell’unità costituì uno dei problemi più difficili che la Destra si trovò di fronte. Falliti i tentativi di PAGE 33 giolittiana si sviluppò, in campo cattolico, il movimento democratico-cristiano, condannato dal nuovo papa Pio X. Sul piano politico le forza clerico moderate stabilirono alleanze elettorali, in funzione conservatrice, con i liberali: questa linea politica avrebbe avuto piena consacrazione, nelle elezioni del 1913, col patto “Gentiloni”. Sul piano della politica estera, l’Italia si avvicinò, tra fine ‘800 e inizio ‘900, alla Francia. Mutò contemporaneamente l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti delle imprese coloniali, che cominciarono ad essere caldeggiate dal nuovo movimento nazionalista.. proprio la campagna di stampa dei nazionalisti fu, con le pressioni degli interessi della finanza cattolica, tra i fattori che spinsero il governo all’intervento militare in Libia (1911). La guerra con la Turchia che ne seguì si concluse con l’imposizione della sovranità italiana sulla Libia. I mutamenti in atto nel sistema politico italiano alla vigilia della grande guerra segnavano la crisi della politica gioilittiana, sempre meno in grado di controllare la radicalizzazione politica che si stava verificando. In questa situazione la guerra avrebbe significato le fine del giolittismo. Capitolo 15: “La seconda rivoluzione industriale” L’ultimo trentennio dell’800 vide una profonda trasformazione economica (seconda rivoluzione industriale). La crisi di sovrapproduzione del 1873 diede inizio a una fase di rallentamento dello sviluppo e di caduta dei prezzi. Vari fattori portarono allo sviluppo delle grandi concentrazioni produttive e finanziarie e a una stretta compenetrazione tra banche e industrie. Si affermava contemporaneamente nei vari stati una politica di appoggio all’economia nazionale attraverso il protezionismo e una maggiore aggressività sul piano dell’affermazione economica all’estero, che fu tra le principali cause della politica di espansione coloniale seguita dalle maggiori potenze. Gli effetti più gravi della caduta dei prezzi si ebbero nell’agricoltura. Qui i progressi tecnici rimasero limitati ad alcune aree europee più sviluppate. Diverso, invece, il rilevante sviluppo agricolo degli Stati uniti, i cui prodotti a buon mercato inflissero un colpo durissimo alla più arretrata agricoltura europea. Di conseguenza nelle campagne d’Europa aumentarono la conflittualità sociale e l’emigrazione. Anche la crisi agraria spinse in direzione di politiche doganali che proteggessero la produzione nazionale dalla concorrenza estera. Nel complesso, comunque, il calo dell’agricoltura in rapporto all’insieme delle attività economiche fu comune a tutti i paesi industrializzati. Caratteristica fondamentale della seconda rivoluzione fu la stretta integrazione fra scienza e tecnologia e fra tecnologia e attività produttive. Il rinnovamento tecnologico si concentrò nelle industrie giovani: chimica, elettrica, dell’acciaio. Soprattutto gli sviluppi della chimica aprirono nuove prospettive un po’ in tutti i settori produttivi: dalla produzione di alluminio a quella di prodotti intermedi con impieghi multipli, dalle fibre tessili artificiali ai nuovi metodi di conservazione degli alimenti. L’invenzione del motore a scoppio e la produzione di energia elettrica furono tra le caratteristiche salienti della seconda rivoluzione industriale. L’energia elettrica, forniva una nuova importante forza motrice per gli usi industriali e rivoluzionava anzitutto con l’illuminazione la vita quotidiana. Gli anni 1896-1913 furono, per i paesi industrializzati, un periodo di intensa espansione economica, cui si accompagnò, un aumento del reddito pro-capite che determinò un allargamento del mercato. Le dimensioni di massa assunte dalla domanda stimolarono la produzione in serie, nonché la diffusione di PAGE 33 processi di meccanizzazione e razionalizzazione produttiva (catena di montaggio, taylorismo). Questo periodo vide anche la trasformazione scientifica della medicina, dovuta a 4 fattori: prevenzione e contenimento delle malattie epidemiche attraverso la diffusione delle pratiche igieniste, l’identificazione dei microrganismi, i progressi della farmacologia, la nuova ingegneria ospedaliera. I progressi della medicina e dell’igiene, sommandosi allo sviluppo dell’industria alimentare, determinarono in Europa una riduzione della mortalità. Nonostante il calo delle nascite verificatosi nei paesi economicamente più avanzati si ebbe così un sensibile aumento della popolazione. Capitolo 16: “Verso la società di massa” Alla fine dell’800 cominciarono a delinearsi, nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti, i caratteri della moderna società di massa. La maggioranza della popolazione viveva ormai nei centri urbani ed era inserita nel circolo dell’economia di mercato; i rapporti sociali si facevano più intensi e si basavano non più sulle comunità tradizionali, bensì sulle grandi istituzioni nazionali. Mutava, la stratificazione sociale. Se nella classe operaia si accentuò la distinzione fra lavoratori generici e qualificati, la maggiore novità fu il crescere dei nuovi stati del ceto medio. Di fondamentale importanza nel determinare i caratteri della nuova società di massa fu l’impegno dello stato nel campo dell’istruzione, che ebbe per conseguenza una drastica diminuzione dell’analfabetismo in tutta Europa. Si allargava, anche per l’incremento nella diffusione dei giornali, l’area dell’opinione pubblica. Anche l’introduzione generalizzata del servizio militare obbligatorio e la creazione di eserciti di massa contribuirono ad accelerare i processi di socializzazione. Tra la fine dell’800 e l’inizio del’900 si ebbe un processo di allargamento della partecipazione alla vita politica determinato dall’estensione del diritto di voto, dall’affermarsi di un nuovo modello di partito (il partito di massa)e dalla crescita di grandi organismi sindacali nazionali. Parallelamente, la politica delle classi dirigenti tenne in maggior conto le esigenze delle classi lavoratrici (legislazione sociale, servizi pubblici urbani, aumento della tassazione diretta). Gli albori della società di massa segnarono il manifestarsi di una questione femminile, anche per le conseguenze dell’industrializzazione sull’assetto della famiglia e il ruolo della donna. I primi movimenti di emancipazione femminile concentrarono la loro azione sulla lotta per il suffragio delle donne. Alla fine dell’800 sorsero nei principali paesi europei dei partiti socialisti che si ispiravano al modello della socialdemocrazia tedesca e facevano capo alla Seconda Internazionale fondata nel 1889. Nella maggioranza di questi partiti il marxismo fu assunto come dottrina ufficiale; si affacciarono presto tuttavia contrasti fra il revisionismo riformista di Bernstein, gli esponenti dell’ortodossia marxista e le nuove correnti rivoluzionarie tra le quali quella sindacalista rivoluzionaria che aveva il suo maggior ispiratore in Gorge Sorel. L’ascesa al pontificio di Leone XIII nel 1878 favorì l’impegno dei cattolici in campo sociale stimolato dall’enciclica RERUM NOVARUM (1891). Significativa espressione di fermenti in atto nel mondo cattolico fu l’emergere, soprattutto in Francia e in Italia, di movimenti democratici -cristiani, e sul piano religioso, del modernismo. Sul piano delle ideologie politiche, nell’Europa di fine ‘800 trovò larga diffusione il nazionalismo. In commistione con esso si diffusero anche tendenze apertamente razziste e antisemite. In Germania e nell’Europa PAGE 33 orientale il nazionalismo prese anche la forma, di pangermanesimo e panslavismo. Sul piano culturale, la fine del secolo vide la crisi del positivismo, a favore del diffondersi di nuove correnti che ponevano l’accento sul ruolo del soggetto, considerando elementi costitutivi dell’attività umana fattori quali l’istinto e la volontà. Le certezze del positivismo in campo scientifico entrarono in crisi anche per le scoperte della fisica contemporanea. Capitolo 17: “La prima guerra mondiale” L’evento scatenante della prima guerra mondiale fu l’uccisione a Sarajevo, il 28 giugno ’14, dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono degli Asburgo. Un mese dopo, l’Austria dichiarò guerra alla Serbia, ritenuta corresponsabile dell’attentato. Il conflitto che ne scaturì vide contrapposti gli imperi centrali (Germania e Austria-Ungheria )alle potenze dell’Intesa (Francia, Russia e Gran Bretagna). Lo scoppio del conflitto, e la sua successiva estensione su scala mondiale furono causati da una serie di tensioni preesistenti, ma anche dalle decisioni prese dai capi politici e militari dei paesi interessati. Le scelte dei governanti furono appoggiate da una forte mobilitazione dell’opinione pubblica. Gli stessi partiti socialisti sischierarono su posizioni patriottiche. Gli eserciti scesi in campo nell’estate del ’14 non avevano precedenti per dimensioni e per novità di armamenti. Ma le concezioni strategiche restavano legate alle esperienze ottocentesche. I tedeschi, in particolare, puntavano sull’ipotesi di una rapida guerra di movimento. Ma, dopo essere penetrati in territorio francese, furono bloccati sulla Marna. Già alla fine del ’15, il conflitto assunse i caratteri di guerra di posizione e di guerra di logoramento. Allo scoppio del conflitto, l’Italia si dichiarò neutrale. Successivamente, le forze politiche e l’opinione pubblica si divisero sul problema dell’intervento in guerra contro gli imperi centrali. Erano interventisti: i gruppi della sinistra democratica e alcune frange eretiche del movimento operaio, i nazionalisti, alcuni ambienti liberal- conservatori. Erano neutralisti: la maggioranza dello schieramento liberale, che faceva capo a Giolitti, il mondo cattolico, i socialisti. Contrarie alla guerra erano le masse operaie e contadine, mentre i ceti borghesi e gli intellettuali erano per lo più a favore dell’intervento. Ciò che determinò l’entrata in guerra fu la convergenza tra la pressione della piazza e la volontà del sovrano, del capo del governo e del ministro degli esteri. Nel 1915-16, la guerra sui fronti italiani e francese si risolse in un’immane carneficina, senza che nessuno dei due schieramenti riuscisse a conseguire risultati significativi. Più alterne furono le vicende sul fronte orientale, dove gli imperi centrali ottennero alcuni importanti successi. Sul piano tecnico, la trincea fu la vera protagonista del conflitto: la vita monotona che si svolgeva era interrotta solo da grandi e sanguinose offensive, prive di risultati decisivi. La prima guerra mondiale si caratterizzò per l’applicazione intensiva dei nuovi ritrovati della tecnologia. Le maggiori attività furono rappresentate dall’uso delle armi chimiche, dall’impiego sempre più massiccio dei mezzi motorizzati, sia a scopi logistici sia nelle operazioni belliche (carri armati), dallo sviluppo dell’aviazione e dei sottomarini. Il conflitto trasformò profondamente la stessa vita civile dei paesi coinvolti. In campo economico si dilatò enormemente l’intervento statale, teso a garantire le risorse necessarie allo sforzo bellico. Il potere de governi fu largamente condizionato da quello dei militari, e tutta la società fu soggetta a un processo di militarizzazione. Col protrarsi del conflitto si rafforzarono i gruppi socialisti e rivoluzionari, come gli “spartachisti” tedeschi e i bolscevichi PAGE 33 socialista corrispondeva a una prevalenza, in esso, delle correnti rivoluzionarie. In relazione alle vicende della Conferenza di Parigi, si diffuse tra l’opinione pubblica un atteggiamento di risentimento verso gli ex alleati e il governo. Clamorosa fu la protesta attuata da D’Annunzio con l’occupazione di Fiume. Sul piano interno, il 19-20 fu una fase di acute agitazioni sociali: moti contro il caro- viveri, scioperi, operai e agrari, occupazione delle terre. Le elezioni del novembre ’19, segnarono la sconfitta delle forze liberali e il successo di socialisti e popolari. Nel giugno 1920 Giolitti tornò al potere. Durante il suo governo fu risolta la questione di Fiume (trattato di Rapallo e fine dell’impresa dannunziana). Tuttavia il disegno giolittiano di ridimensionare le spinte rivoluzionarie fallì. Il maggior episodio di conflittualità del periodo fu l’occupazione delle fabbriche, la cui conclusione accentuò le divisioni nel movimento socialista. Al congresso socialista di Livorno del gennaio ’21, la corrente di sinistra si scisse dal PSI e fondò il partito comunista. Tra la fine del ’20 e l’inizio del ’21 i Fasci di combattimento, fondati da Mussolini nel ’19. Si qualificarono decisamente in senso antisocialista. Le azioni squadristiche colpirono sedi ed esponenti del movimento operaio e contadino del centro- nord, in particolare le leghe rosse nella valle padana. Le cause della repentina crescita del fascismo agrario furono varie: forza militare, tentativo di giolitti di usare il fascismo per ridurre alla ragione socialisti e popolari, ma anche consensi in quelle categorie contadine che mal sopportavano il controllo esercitato dalle organizzazioni socialiste nelle campagne. L’inserimento nei blocchi nazionali diede al fascismo una completa legittimizzazione. Profittando della debolezza dei governi liberali, il fascismo si rese protagonista di imprese sempre più clamorose, culminate nella riposta allo sciopero legalitario dell’agosto ’22. Mentre trattava con i principali leader liberali per una partecipazione al governo, Mussolini lasciò che le milizie fasciste si preparassero per un colpo di stato. Il successo della marcia su Roma (28 ottobre ’22) fu reso possibile solo dal rifiuto del re di firmare lo stato d’assedio. Il nuovo governo Mussolini preparava la fine dello stato liberale. Il biennio rosso si concluse con un riflusso delle agitazioni operaie e una ripresa delle forze moderate. La Francia degli anni ’20 vide sul piano politico un’egemonia dei moderati, cui si accompagnò, una sensibile ripresa economica. Più difficile fu la situazione dell’economia britannica, caratterizzata da una fase di ristagno per tutti gli anni ’20. La situazione politica della Repubblica di Weimar era caratterizzata da una forte instabilità politica: l’opinione pubblica borghese, in particolare, nutriva diffidenza per un sistema democratico che considerava associato alla sconfitta e all’onere delle riparazioni. All’inizio del ’23, Francia e Belgio occuparono la Ruhr, regione vitale per l’economia tedesca. In Germania la crisi precipitò e l’inflazione raggiunse livelli impensabili. Vi furono tentativi insurrezionali da parte dell’estrema sinistra e dell’estrema destra. A partire dall’estate il governo Stresemann avviò una politica di stabilizzazione monetaria e di riconciliazione con la Francia. Grazie al piano Dawes del 1924, la Germania potè fruire di prestiti internazionali, soprattutto statunitensi, che le avrebbero consentito una rapida ripresa economica. Con il piano Dawes iniziava una fase di distensione, confermata dagli accordi di Locarno del 1925, che normalizzavano i rapporti franco-tedeschi. Questa fase si interruppe alla fine del decennio in coincidenza con la crisi economica. Regimi autoritari sorsero, negli anni ’20, in Ungheria, Polonia, Stati balcanici, Portogallo e Spagna. Regimi comunque autoritari che di stampo fascista. PAGE 33 Capitolo 20: “Economia e società negli anni ‘30” Gli anni ’20 furono per gli Stati Uniti un periodo di prosperità che influì sulla stessa vita quotidiana degli americani. La borghesia americana cercava facili guadagni nella speculazione borsistica. Il crollo della borsa di New York fu a un tempo la spia di un malessere economico persistente e la causa di ulteriori fenomeni di crisi. Negli Stati Uniti molte aziende dovettero chiudere. Le misure protezionistiche adottate subito in USA provocarono una brusca contrazione del commercio internazionale. La recessione economica, si diffuse in tutto il mondo. In Europa una grave crisi finanziaria culminò nella sospensione della convertibilità della sterlina. Scarso successo ebbero le politiche di austerità perseguite dai governi, che finirono con l’aggravare la recessione in corso. Nel 1932 divenne presidente degli Stati Uniti Roosevelt. La sua politica (new deal) si caratterizzò per un energico intervento dello stato nell’economia e per alcune iniziative di riforma sociale. Un po’ in tutti i paesi la grande crisi finì col far adottare nuove forme di intervento dello stato in campo economico, che giunsero a configurare una forma di capitalismo diretto. Keynes sottolineò il ruolo della spesa pubblica ai fini dell’incremento della domanda e del raggiungimento della piena occupazione. Negli anni ’30 si accelerò il processo di urbanizzazione, che comportò, un boom edilizio. Nei paesi europei si verificò proprio durante la grande crisi uno sviluppo di quei consumi di massa che si erano affermati in Usa negli anni ’20. Grande diffusione ebbero la radio e il cinema, che divennero elementi caratteristici della società di massa, mezzi di svago, di informazione, di propaganda, che contribuirono ad accentuare il lato spettacolare della politica. Capitolo 21: “L’età dei totalitarismi” Dopo la crisi del ’29 si diffuse in tutta Europa il fenomeno della disaffezione verso la democrazia. Parallelamente si affermarono, negli anni ’30, regimi antidemocratici, sia di tipo tradizionale che moderno (cioè ispirati al fascismo e al nazismo). La novità del fascismo e del nazismo si evidenziò nel campo dell’organizzazione del potere, con quella ricerca di un controllo totale sui cittadini. Il successo del nazismo è collegato alle conseguenze della grande crisi. Fu allora che la maggioranza dei tedeschi perse ogni fiducia nella Repubblica e nei partiti democratici e prestò ascolto in misura crescente alla propaganda del nazismo, che prometteva il ritorno della Germania alla passata grandezza, indicando nelle sinistre e negli ebrei i responsabili delle difficoltà del paese. Il partito di Hitler, rimasto fin allora ai margini della vita politica, vide crescere i suoi consensi nelle numerose elezioni che si tennero fra il ’30 e il ’32, fino a diventare il primo partito tedesco. Nel gennaio ’33, Hitler fu chiamato a guidare il governo. La trasformazione della Repubblica tedesca in dittatura avvenne nel giro di pochi mesi. Nel ’33 traendo pretesto dall’incendio del Reichstag, Hitler assunse i pieni poteri e annientò le opposizioni. L’anno seguente si sbarazzò dell’ala estremista del nazismo e si fece nominare capo dello stato. Tra i principi-base del nazismo stava il particolare rapporto tra il capo (Fuhrer) e le masse. Dalla comunità di popolo erano esclusi gli ebrei, che una massiccia propaganda additava a bersaglio dell’odio popolare e che vennero legalmente discriminati con le leggi di Norimberga (1935). Le azioni violenti contro di essi si sarebbero trasformate, durante la guerra, nella politica dello sterminio. Non vi fu, durante il nazismo, alcuna forma di opposizione politica. La chiesa cattolica e quelle luterane finirono per lo più con l’adattarsi PAGE 33 al regime. In Urss Stalin diede inizio all’industrializzazione forzata. Nel 1928, fu varato il primo piano quinquennale che segnò una crescita della produzione industriale. Le prime iniziative hitleriane in politica estera rappresentarono una minaccia all’equilibrio internazionale. A partire dal 1935, la causa della sicurezza collettiva trovò sostegno nella nuova politica estera sovietica, ispirata alla lotta al fascismo come principale nemico, che incoraggiò la formazione di alleanze tra forze socialiste e comunisti. Nel ’36 in Spagna e in Francia sorsero governi di Fronte popolare. In Spagna, alla vittoria del fronte popolare seguì una ribellione militare. I ribelli, guidati dal generale Franco, ebbero l’aiuto di Germania e Italia, mentre i repubblicani poterono contare solo su rifornimenti sovietici e sui reparti di volontari antifascisti. La sconfitta dei repubblicani fu dovuta anche alle profonde divisioni esistenti al loro interno. Nel 1939 la guerra civile terminava con la vittoria di Franco. Negli stessi anni della guerra di Spagna, la linea di arrendevolezza praticata da Francia e Inghilterra nei confronti della Germania finì con l’incoraggiare la politica espansionistica del nazismo. Nel 1938 avveniva l’annessione dell’Austria; subito dopo Hitler avanzava mire sul territorio cecoslovacco abitato da popolazione tedesca. Gli accordi di Monaco sembrarono conservare la pace, ma finirono con lo spianare la strada a un nuovo conflitto mondiale. Negli anni fra le due guerre la Cina fu teatro di una lunga guerra civile. In America latina la grande crisi ebbe conseguenze negative, ma stimolò in alcuni paesi un processo di diversificazione produttiva. Sul piano politico, molti Stati videro l’affermarsi di dittature personali o di governi più o meno autoritari. Capitolo 22: “L’Italia fascista” Una volta al potere Mussolini attuò una politica autoritaria soprattutto contro il movimento operaio e creò nuovi istituti (il gran consiglio del fascismo e la Milizia) incompatibili con i principi liberali. Al tempo stesso continuò a collaborare con forze politiche non fasciste. Oltre all’appoggio di liberali e cattolici, Mussolini poteva valersi di quello del potere economico, nonché del sostegno della chiesa. Un ulteriore rafforzamento lo ottenne con le elezioni dl ’24, tenute secondo la nuova legge maggioritaria: da esse le opposizioni uscirono notevolmente ridimensionate. Nel giugno ’24 il deputato socialista Matteotti, che aveva denunciato alla Camera gli imbrogli e le violenze commesse dai fascisti in occasione delle elezioni, fu assassinato da un gruppo di squadristi. L’ondata di sdegno che ne seguì fece vacillare il potere di Mussolini. Ma le opposizioni, che abbandonarono la camera, erano troppo deboli per mettere in crisi il governo. Col duro discorso del 3 gennaio ’25, Mussolini riacquistò il controllo della situazione. Nel regime fascista l’organizzazione dello stato e quella del partito venivano a sovrapporsi. La funzione del partito fascista fu quella di occupare la società civile, soprattutto attraverso le sue organizzazioni collaterali. Un primo limite ai propositi totalitari del regime era rappresentato dalla chiesa, la cui influenza venne espressamente riconosciuta coi patti lateranensi nel 1929. Negli anni del fascismo, nonostante l’aumento dell’urbanizzazione e degli addetti all’industria e ai servizi, la società italiana restava notevolmente arretrata. La fascistizzazione potè realizzarsi solo in parte: il fascismo ottenne il consenso della piccola e media borghesia, ma solo in misura limitata e superficialmente quello delle classi popolari. Il regime cercò di esercitare uno stretto controllo nell’ambito della scuola e della cultura. Soprattutto si impegnò nel campo dei PAGE 33 Berlino; questa crisi si risolse nella nascita della Repubblica federale tedesca (che inglobava le zone sotto il controllo di americani, inglesi e francesi), cui l’Urss rispose con la creazione della Repubblica democratica tedesca. Il patto atlantico (1949) e il patto di Varsavia (1955) completarono la divisione dell’Europa in due blocchi. In Urss si ebbe nel dopoguerra un’accentuazione dei caratteri autoritari del regime. La ricostruzione economica avvenne rapidamente, privilegiando l’industria pesante e comprimendo i consumi. L’Urss diventò una grande potenza militare, dotandosi anch’essa della bomba atomica. La ricostruzione del Paese avvenne anche grazie a massicce riparazioni imposte ai Paesi dell’Est. Tutti questi paesi furono trasformati, nella seconda metà degli anni ’40, in satelliti dell’urss, politicamente ed economicamente dipendenti dalle decisioni della potenza egemone e modellati secondo il sistema sovietico. Un’eccezione fu la Jugoslavia di Tito, la cui autonomia portò nel ’48 a una rottura con i sovietici. Negli stati Uniti si esaurì, durante la presidenza Truman, la spinta progressista del New deal e si diffuse nei primi anni ’50 una campagna anticomunista il cui protagonista fu il senatore McCarthy. L’Europa occidentale, invece, fu attraversata da una forte spinta riformista. Il caso più emblematico fu quello dell’Inghilterra, dove nel 45-51 i laburisti attuarono un vasto programma di riforme sociali che segnava la nascita del Welfare State. In Francia, fu varata una nuova costituzione democratico-parlamentare, grazie anche agli aiuti americani, la Germania federale si risollevò rapidamente dalle disastrose condizioni della fine della guerra e fu protagonista di un vero miracolo economico. Un altro miracolo economico fu quello del Giappone, dove gli Stati Uniti imposero una trasformazione in senso democratico -parlamentare senza tuttavia intaccare il potere delle grandi concentrazioni industriali. Negli anni successivi il Giappone si affermò come una delle maggiori potenze economiche mondiali. La vittoria dei comunisti nazionalisti e la fondazione della Repubblica popolare cinese (1949) segnarono la rinascita della Cina come stato indipendente. L’anno successivo la dimensione mondiale del confronto tra i due blocchi si manifestò con la guerra di corea, originata dall’invasione del sud del paese da parte di truppe del nord comunista appoggiate dai sovietici. All’intervento americano contro l’invasione rispose quello cinese, finché la crisi coreana si concluse nel ’53 col ritorno della situazione precedente la guerra. Negli anni successivi alla morte di Stalin si affermò progressivamente un nuovo rapporto meno conflittuale tra le due superpotenze. Nel febbraio ’56, nel corso del XX congresso del Pcus, il leader sovietico Kruscev fece una clamorosa denuncia dei crimini di Stalin. Il processo di “destalinizzazione” avviato in urss alimentò nei paesi dell’Europa dell’Est la speranza di un allentamento del controllo sovietico. Diffusi movimenti di protesta si verificarono in Polonia e in Ungheria. Mentre le agitazioni polacche portarono a una cauta liberalizzazione, l’insurrezione ungherese fu stroncata dall’intervento dell’Armata rossa. Negli anni ’50 e ’60, mentre l’economia britannica visse un prolungato ristagno in tutti i paesi dell’Europa occidentale si verificò una crescita economica sostenuta. Il definitivo ridimensionamento dell’Europa, conseguenza del conflitto mondiale, favorì l’integrazione economica dei vari stati, dapprima con la ceca e poi con l’istituzione, nel 1957, della comunità economica europea. La Francia attraversò in quegli anni una grave crisi istituzionale, legata al problema algerino. Nel ’58 De Gaulle assunse la guida del governo, varando una nuova costituzione e concedendo l’indipendenza all’Algeria. In politica PAGE 33 estera De Grulle seguì una politica finalizzata alla creazione di un’Europa indipendente dai due blocchi ed egemonizzata dalla Francia. Capitolo 25: “La decolonizzazione e il terzo mondo” L’Asia precedette di quasi dieci anni il continente africano nella liberazione dal dominio coloniale. La prima e più importante tappa fu l’indipendenza dall’India. Al raggiungimento dell’indipendenza seguirono spesso aspri contrasti entro i nuovi stati, come quello fra indù e musulmani in India e quello fra nazionalisti e comunisti in vari paesi del Sud-est asiatico. Particolarmente lungo il processo di emancipazione del Vietnam, ove la lotta contro i francesi si concluse nel ’54 con la divisione del paese in due Stati, l’un comunista e l’altro filo-occidentale. In Medio-Oriente, già dall’inizio del secolo si era sviluppato un movimento nazionalista arabo; la seconda guerra mondiale accelerò il processo di emancipazione. Nel 1948, con il ritiro degli inglesi dalla Palestina e la nascita dello Stato d’Israele nasceva il problema palestinese. Il regime di Nasser in Egitto nato dopo che una rivolta di ufficiali rovesciò la monarchia, diede a quel paese una posizione di preminenza nella regione, soprattutto dopo la crisi di Suez del ’56. particolarmente drammatico e cruento fu il processo di emancipazione in Algeria per la presenza di oltre un milione di coloni francesi tenacemente avversi all’indipendenza. Fu De Grulle a capire l’inevitabilità della rinuncia all’Algeria, che ottenne nel ’62 l’indipendenza. In Libia, nel 1969, una rivoluzione portò al potere il colonnello Gheddafi, artefice negli anni successivi di un esperimento di socialismo islamico. A sud del Sahara il processo di decolonizzazione si compì tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60. Sul piano della politica internazionale, i paesi di nuova indipendenza cercarono una piattaforma comune nel non allineamento. Progressivamente tale neutralismo rispetto al contrasto est-ovest lasciò il campo allo schieramento di molti paesi non allineati in senso filo-comunista o filo-occidentale. Sul piano economico il Terzo mondo era accomunato dalla realtà del sottosviluppo, ovvero dall’incapacità a risolvere problemi di arretratezza economica resi ancora più gravi dall’aumento assai rapido della popolazione. I paesi dell’America latina godevano da tempo dell’indipendenza politica, ma si trovavano tuttavia in condizioni di dipendenza economica dagli Stati uniti. L’instabilità politica dell’America centrale e meridionale si caratterizzò nell’oscillazione fra liberismo, populismo e autoritarismo. Fra le esperienze più significative, quella del regime populista- autoritario stabilito da Peron in Argentina. Di grande rilievo, per l’attrazione che esercitò in tutta l’America latina, fu la rivoluzione cubana guidata da Fidel Castro( 1959) che diede al nuovo regime un orientamento comunista. Capitolo 26: “Economia e società nei paesi industrializzati” Negli anni ’50 e 60 l’economia dei paesi industrializzati attraversò una fase d’intenso sviluppo, che ebbe tra le sue cause: crescita della popolazione, innovazione tecnologica e razionalizzazione produttiva; espansione del commercio mondiale; politiche statali in sostegno della crescita. L’applicazione delle scoperte scientifiche alla produzione divenne velocissima. Nel campo della chimica si svilupparono le materie plastiche e le fibre sintetiche. In medicina c’è da segnalare la produzione di nuovi farmaci (antibiotici, ormoni, psicofarmaci, anticoncezionali, ecc). Le conseguenze dello sviluppo tecnologico si fecero sentire in modo decisivo nel campo dei trasporti, contribuendo a PAGE 33 modificare radicalmente le abitudini di vita. Nel 1957, col lancio del primo satellite artificiale sovietico, iniziava la conquista dello spazio che avrebbe determinato una ricaduta di tecnologia in tutti i settori produttivi. Una caratteristica dei decenni del dopoguerra è il forte aumento della popolazione, concentrato, però soprattutto nel terzo mondo, dove al calo della mortalità si è accompagnato un tasso di natalità notevolmente elevato. Nei paesi industrializzati l’aumento demografico è stato invece molto contenuto e in alcuni di essi si è giunti ormai alla crescita zero della popolazione. Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa (anzitutto della televisione), ha rappresentato tra i prodotti dello sviluppo tecnologico, quello che più di ogni altro ha condizionato la vita quotidiana e i modelli di comportamento delle società industrializzate. La notevole espansione dei consumi superflui è ormai caratteristica fondamentale delle società avanzate, ove ha suscitato fenomeni estesi di rifiuto ideologico, nonché di critica da parte di alcune correnti intellettuali. Alla fine degli anni ’60 si verificò un’esplosione della protesta giovanile contro la società del benessere; iniziata negli Stati Uniti e diffusasi nell’Europa occidentale e in Giappone. L’episodio più clamoroso della contestazione studentesca fu la rivolta parigina del maggio ’68. Negli stessi anni si sviluppava un nuovo femminismo che criticava la divisione dei ruoli tra uomo e donna nella famiglia e nel lavoro, e più in generale rifiutava i valori maschilisti dominanti nelle società industrializzate. Di fronte alla nuova realtà della società del benessere, la chiesa cattolica tentò un proprio rinnovamento e un’apertura ai problemi del mondo contemporaneo. Tale nuovo corso iniziò col pontificato di Giovanni XXIII e proseguì con il concilio Vaticano II. L’aumento del prezzo del petrolio nel ’73 generò una crisi internazionale di vaste proporzioni. A differenza delle crisi del passato, la crescita della disoccupazione si sommava a un elevato tasso d’inflazione. La gravità della crisi indusse ad interrogarsi sui fondamenti dello sviluppo industriale e sulla distruzione delle risorse naturali da esso provocate: grande diffusione ebbero di conseguenza le tematiche ecologiche e la ricerca di fonti energetiche alternative. Il calo del prezzo del petrolio dell’85-86 ha però indotto a ridimensionare la portata della crisi degli anni ’70, anche perché il capitalismo ha mostrato con la rivoluzione elettronica insospettate capacità di trasformazione. Si è parlato a questo proposito di società postindustriale. Capitolo 27: “Distensione e confronto” Negli USA la presidenza Kennedy fu improntata a un indirizzo riformistico. In politica estera, la crisi legata alla presenza di missili nucleari sovietici a Cuba si risolse con un successo americano e non compromise la distensione. In Urss Kruscev accentuò i caratteri pacifici del confronto con l’Occidente. Ma nel 1964 fu destituito anche per il fallimento dei suoi piani economici. In Cina, l’insuccesso della politica di sviluppo agricolo lanciata nel ’58 favorì sul piano internazionale la definitiva rottura con l’Urss. Fra il ’66 e il 68 Mao stimolò un movimento di contestazione giovanile che portò alla defenestrazione di molti dirigenti, finché fu frenato dalla stesso Mao. A partire dalla metà degli anni ’60 si sviluppò progressivamente l’intervento militare americano nel Vietnam del sud, dove era attivo un movimento di guerriglia che godeva dell’appoggio nordvietnamita. Dopo il ritiro delle truppe americane avvenuto anche in seguito alla forte opposizione che quella guerra aveva suscitato negli stati Uniti, il governo sudvietnamita fu sconfitto nel 1975. Nello stesso anno si ebbe la PAGE 33 l’assemblea costituente, che videro il successo dei tre partiti di massa. Nel 46-47 i contrasti fra i partiti della coalizione antifascista si approfondirono. Le accresciute tensioni interne e internazionali provocarono nel gennaio ’47, la scissione del partito socialista e dei lavoratori italiani. Nel maggio, De Gasperi estromise socialisti e comunisti dal governo e formò un mister monocolore. I contrasti tra i partiti non impedirono il varo della nuova costituzione repubblicana che entrò in vigore dal 1 gennaio 1948. La Costituzione affiancava agli istituti tipici di un sistema democratico -parlamentare alcuni importanti principi di tipo sociale. La campagna per le elezioni del 18 aprile ’48 vide una forte contrapposizione tra socialisti e comunisti da un lato e partiti laici dall’altro. Sul piano della politica economica, ebbero il sopravvento le forze moderate che seguirono una politica di restaurazione liberista, rifuggendo da un uso incisivo degli strumenti di intervento statale nell’economia. Tale politica si affermò pienamente, dopo l’estromissione delle sinistre dal governo, per opera del ministro del bilancio Einaudi: il successo della sua linea di risanamento finanziario ebbe comunque forti costi sociali, soprattutto in termini di disoccupazione. Il trattato di pace, che comportava la rinuncia alle colonie e secondarie rettifiche a favore della Francia, fu firmato dall’Italia nel ’47. Restava aperta con la Jugoslavia la questione di Trieste, riunita all’Italia solo nel ’54. L’appartenenza all’Italia al blocco occidentale ottenne una sanzione sul piano militare con l’adesione nel 1949 al patto atlantico. Negli anni de centrismo la politica dei governi De Gasperi non fu priva di importanti interventi sociali, come la riforma agraria e l’istituzione della Casa per il Mezzogiorno. La politica di austerità finanziaria e contenimento dei consumi perseguita dal governo suscitò numerose proteste di piazza cui le forze dell’ordine risposero con durezza. Capitolo 31: “Guerra del golfo” Conflitto che nell’inverno del 1991 oppose l’Iraq a una coalizione internazionale formatasi sotto l’egida dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. La crisi che portò alla guerra ebbe inizio il 2 agosto 1990, quando l’Iraq invase il Kuwait proclamandone in seguito l’annessione (28 agosto).Le cause che portarono alla guerra del Golfo furono diverse e complesse. In primo luogo, per via della lunga e costosa guerra contro l’Iran, l’Iraq era sprofondato in una grave crisi economica e politica. L’opposizione al regime di Saddam Hussein, diffusa ovunque nel paese, si era fatta particolarmente insidiosa nel nord e nel sud, e cioè nelle regioni a maggioranza curda e sciita, che minacciavano di rendersi indipendenti. Era peraltro caduta nel vuoto la richiesta rivolta da Saddam Hussein agli altri paesi del Golfo di ridurre la produzione di petrolio e innalzarne il prezzo, cosa che gli avrebbe consentito di ottenere maggiori entrate con cui affrontare la grave situazione. In secondo luogo, l’Iraq considerava una sua regione il Kuwait, del quale non aveva infatti mai riconosciuto l’indipendenza, e lo accusava di sfruttare indebitamente i ricchi giacimenti di petrolio situati presso il confine tra i due paesi e da entrambi rivendicati. Saddam Hussein riteneva che l’aggressione al Kuwait avrebbe sollevato le proteste della comunità internazionale, ma non le reazioni di quei paesi arabi e occidentali, e in particolare degli Stati Uniti, che lo avevano sostenuto nella guerra contro l’Iran. Nell’intento di puntellare il suo traballante regime, Saddam Hussein decise così di giocare la carta nazionalista, ignorando gli ammonimenti della comunità internazionale. PAGE 33 Capitolo 32: “L’Italia ai nostri giorni” Lo sviluppo dell’economia italiana si fece particolarmente intenso negli anni 58-63. Fu questo il cosiddetto miracolo economico che mutò definitivamente in senso industriale il volto del paese. Al boom dell’industria si accompagnarono due importanti fenomeni sociali: l’esodo dal sud al nord e la crescita dell’urbanizzazione. Entrambi si svolsero in modo caotico, creando notevoli problemi. In quegli anni, con la televisione si ebbe per la prima volta un’unificazione nella lingua e nei modelli di comportamento. All’altro simbolo dell’Italia del miracolo fu l’automobile, che ebbe una diffusione di massa. I mutamenti economici e sociali si accompagnarono, all’inizio degli anni ’60, a una svolta politica, con l’ingresso dei socialisti nell’area della maggioranza. L’inserimento fu graduale e molto contrastato. Nell’estate ’60, dopo la crisi del ministero Tambroni si formò un governo Fanfani che si reggeva grazie all’astensione dei socialisti. Nel ’63 si formò il primo governo di centro-sinistra presieduto dal leader Moro. In questa fase furono varati due importanti provvedimenti: la nazionalizzazione dell’industria elettrica e l’istituzione della scuola media unica. A partire dal ’63, il centro-sinistra venne esaurendo la sua spinta riformatrice, anche per le preoccupazioni suscitate dal peggioramento della congiuntura economica e dall’ostilità dei gruppi moderati. Nel ’68 esplose anche in Italia la contestazione studentesca, con caratteri di particolare radicalità in senso marxista. Il ’69 fu segnato da lacune agitazioni operaie. Le lotte operaie si conclusero con forti aumenti salariali e con un rafforzamento delle confederazioni sindacali. A queste agitazioni la classe dirigente non seppe rispondere in modo adeguato. Furono approvati tuttavia alcuni importanti provvedimenti (Statuto dei lavoratori, divorzio, istituzione delle regioni). Gli anni ’70 furono segnati dalle manifestazioni del terrorismo di destra e di sinistra, cui il governo non seppe reagire adeguatamente. Gli equilibri politici cominciarono a modificarsi dopo il successo del referendum che confermò il divorzio contro le posizioni della Chiesa, testimoniando i profondi cambiamenti della società. La nuova politica del compromesso storico, annunciata dal segretario Berlinguer favorì le vittorie elettorali dei comunisti. Dopo il distacco dei socialisti dal governo si giunse al governo di solidarietà nazionale, nel 1978. Proprio allora le brigate rosse compirono la loro azione più clamorosa: il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro. Nonostante alcune leggi di contenuto sociale il programma riformatore del governo di solidarietà nazionale non riuscì a realizzarsi, mentre si accentuarono le divisioni fra le forze politiche. Negli anni ’80, esauritasi l’esperienza della solidarietà nazionale, si ebbero per la prima volta governi a guida non democristiana con Spadolini e poi con Craxi. Tra i problemi maggiori affrontati dall’esecutivo vi furono quelli dell’espansione abnorme della spesa pubblica e della malavita organizzata. I contrasti interni alla maggioranza portarono nell’87 alla crisi del governo Craxi e a nuove elezioni anticipate. Dopo le elezioni, la coalizione si ricostituiva, dando vita a tre successivi governi( Goria, De Mita e Andreotti). I primi anni ’90 vedevano aggravarsi i fattori di crisi, sia sul terreno dell’economia, sia su quello della convivenza civile. Dopo le elezioni del 1992, che segnavano la sconfitta delle forze tradizionali e mettevano in crisi i vecchi equilibri, il governo presieduto da Giuliano Amato ottenne alcuni successi nell’affrontare l’emergenza economica e quella dell’ordine pubblico. Ma il ceto politico, delegittimato dalle inchieste della magistratura, non riusciva a trovare un accordo sulle riforme PAGE 33 costituzionali. Dopo le dimissioni di Amato il governo Ciampi affrontava la crisi economica e occupazionale del paese, mentre le forze politiche si preparavano a un nuovo confronto elettorale. Le elezioni del marzo ’94 tenutesi col nuovo sistema maggioritario uninominale, hanno portato al governo una precaria maggioranza di centro-destra guidata dall’impresario Silvio Berlusconi. Costretto dopo solo sette mesi a dimettersi gli succedeva Lamberto Dini. Nuove elezioni anticipate, vinte dalla coalizione di centro-sinistra, inauguravano una nuova fase di governo diretta dal leader Prodi. PAGE 33
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