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Effetti della Prima Guerra Mondiale: brutalizzazione, totalitarismo e decolonizzazione., Sintesi del corso di Storia Contemporanea

L'esperienza della Prima Guerra Mondiale e le sue conseguenze a livello politico, sociale e ideologico. Viene descritta la brutalizzazione e la spersonalizzazione prodotte dal conflitto, che avranno ripercussioni sulle esperienze politiche successive e porteranno a una fase di violenza che include la Prima e la Seconda Guerra Mondiale e la fase tra le due guerre. Viene inoltre presentata la guerra come una crisi dell'età di pace precedente e di progresso, e come un conflitto ideologico tra illuminismo e contro illuminismo. Infine, si parla della decolonizzazione come di un processo che si interseca con la ridefinizione degli equilibri internazionali all'interno dell'Europa sulla Guerra Fredda.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 05/05/2022

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Scarica Effetti della Prima Guerra Mondiale: brutalizzazione, totalitarismo e decolonizzazione. e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! 24.09.2021 – RIVOLUZIONE FRANCESE Ci occupiamo di Rivoluzione Francese e di un altro snodo centrale della modernità e della dimensione contemporanea, il 1789. Iniziamo da una frase di Eric Hobsbawm: «Tra il 1789 e il 1917, la politica europea – anzi mondiale – non fu in gran parte che una lotta pro e contro i principi del 1789, o quelli ancor più incendiari del 1793. La Francia fornì alla maggior parte del mondo il vocabolario e le finalità della politica liberale e democratico-liberale» Il vocabolario nel senso delle parole; la parola centrale della Rivoluzione francese è “nazione”, la sovranità della nazione. Siamo in un punto di svolta epocale di passaggio fra la società dell’Ancien Régime divisa in ceti e una dimensione in cui cambia lo sguardo sull’origine della sovranità. La sovranità non è più ereditaria, legata alla monarchia e di discendenza divina, ma è il popolo che si incarna nella nazione che è il depositario della sovranità e può avere i suoi rappresentanti. Siamo in una fase di rivoluzioni democratiche, fra le quali quella francese mostra la crisi del vecchio regime, ma questo non è un fenomeno solo francese; la Francia rappresenterà un modello per l’Europa. Addirittura, Hobsbawm parla di rivoluzione ecumenica, come se i francesi si sollevino e operino una trasformazione a livello globale nel modo di vedere la società. Sarà il modello per tutti i moti rivoluzionari successivi. Il conflitto che è alla base della Rivoluzione francese è tra gli interessi del vecchio regime per ceti e quelli del nuovo ceto in ascesa sociale, ha una certa radicalità nel contesto francese ed esploderà in esso, ma riguarderà anche tutto il vecchio continente. Le nuove forze sociali sono i ceti medi e la borghesia. In Francia il fallimento è più rapido perché le resistenze dei vecchi ceti dominanti sono più forti e le conseguenze per la monarchia sono più catastrofiche. Sono le forze di questa nuova classe sociale in ascesa che abbandonano le speranze in una monarchia illuminata (visione di evoluzione della monarchia antica che c’è fino allo scoppio della Rivoluzione) per riporle invece in un nuovo soggetto sovrano, il popolo, che si incarna nella nazione. Proprio la reazione dei ceti nobiliari e del clero (quella che Hobsbawm chiama la reazione feudale, il tentativo di mantenere i propri privilegi) provoca la scintilla che fa scoppiare la Rivoluzione francese. La proporzione fra la nobiltà e l’intera nazione è di 400 000 persone che compongono la nobiltà su 23 000 000 di francesi. Nello stesso tempo la nobiltà rappresenta la classe eletta che gode di privilegi: essi sono da una parte le esenzioni fiscali e dall’altra i tributi fiscali. La Francia, come il resto del continente, non è composta da un’unità statuale, ma da giurisdizioni territoriali, signorie. Vi sono signori e poteri locali che sono in grado di chiedere alla classe contadina e popolare dei tributi e anche parti del raccolto, che sono in grado di costituire leggi (c’è frammentarietà anche dal punto di vista del diritto). La monarchia assoluta francese ha un ethos che richiama la dimensione aristocratica e feudale, ma nello stesso tempo ha messo in atto un processo di privazione della classe nobiliare dell’indipendenza della sua iniziativa politica, abolendo dov’era possibile le istituzioni aristocratiche, i tribunali o le giurisdizioni private. Questo provoca una conflittualità che non è soltanto tra una nuova classe in ascesa e un nuovo senso di protagonismo della borghesia, ma anche una difficoltà della stessa nobiltà nei confronti della monarchia. Abbiamo diverse forme di nobiltà; da una parte abbiamo un’alta nobiltà ereditaria, dall’altra abbiamo la nuova nobiltà di toga, ovvero una classe media governativa che è stata nobilitata dal sovrano, che ha delle cariche pubbliche e che si esprime attraverso i tribunali - luoghi di potere della nobiltà esistenti in termini di istituzioni frammentarie, che sono l’origine del malcontento. Abbiamo un atteggiamento della nobiltà che tenta di preservare i propri diritti e privilegi, che si scontra con la borghesia in ascesa e che ha concorrenza con la classe media rispetto alle cariche ufficiali. Questa concorrenza dal punto di vista della nobiltà mina alla base lo stesso stato dal punto di vista dell’amministrazione pubblica, a livello provinciale e centrale; le cariche pubbliche sono vissute dalla nobiltà ancora come poteri frammentari all’interno del territorio e una dimensione di mal governo (stessa cosa di Manchester). Dal punto di vista del confronto con le classi popolari i diritti feudali in atto, le decime e le tasse tolgono gran parte delle entrate ai contadini e quello che rimane perde sempre più valore a causa dell’inflazione. Questo è lo scenario di partenza della Rivoluzione francese, di irrequietezza fra classi in ascesa e classi tradizionali sempre maggiore. C’è poi una dimensione di contesto specifica che apre la Rivoluzione francese, e sono i problemi finanziari della monarchia che precipitano in una fase congiunturale definendo una crisi fiscale. L’emergenza fiscale è causata dal mal governo fiscale che manca di unitarietà e manca di un’organizzazione comunitaria per il bene comune, ma anche dalle enormi spese militari che la Francia ha sostenuto soprattutto per la Guerra di Indipendenza americana. Il contesto di crisi fiscale porterà nel 1786 all’individuazione di un piano di riforma proposto dal ministero delle finanze francese che prevede alcuni cambiamenti nel tentativo di sopperire alla crisi: abolire le dogane interne; liberalizzare il commercio del grano; abolire le esenzioni fiscali; costituire assemblee elettive con compiti consultivi. Non è una grande riforma, ma comincia a mostrare il punto di rottura della veccia tradizione: essa consiste nel fatto che all’interno di territori frazionati ci sia un potere intoccabile che è rappresentato dalle abolizioni fiscali, nel fatto che le tasse statali sono pagate solo da alcune categorie e non da altre, nel fatto che ci siano privilegi interni poi venuti meno con le abolizioni delle dogane. Questa riforma viene accolta dalla monarchia, ma trova una ferma contrarietà dal parlamento di Parigi. Esso è un tribunale di nobili detentori di cariche pubbliche; si tratta del tentativo di opporsi ad un sistema che prova a limitare quei privilegi anche se in maniera ancora modesta. È il ceto nobiliare che fa resistenza per mantenere il rapporto di forza che ha. Il re di fronte a questa situazione di stasi annuncia la convocazione degli Stati Generali (1788). Essi sono un organismo di rappresentanza per ceti, mai riunito dopo il 1614, richiamato per uscire da questa impasse di conflittualità. Il Parlamento chiede che all’interno degli Stati Generali il voto sia per ordini; un voto per nobiltà, un voto per clero e un voto per il Terzo Stato, che è tutto ciò che non è nobiltà o clero, è il 98% del popolo francese. Questo provocherà un grande dibattito pubblico all’interno della Francia che si conclude con la concessione che il Terzo Stato abbia lo stesso numero di rappresentati degli altri due ordini. Si apre una fase di assemblee territoriali per l’elezione dei rappresentanti agli Stati Generali e all’interno di esse il dibattito pubblico prende corpo nella società francese, soprattutto con i Cahiers de doléances, reclami della discussione pubblica diffusi nella forma dei pamphlets, piccoli libri di illustrazioni di presa politica. Il più famoso è quello di Emmanuel Joseph Sieyès, Che cos’è il Terzo Stato. Sieyès è un abate figlio di un notaio, è un rappresentante del Terzo Stato. Già da qui capiamo che il Terzo Stato non è di dimensione solo popolare, non è solo proletariato e ceto contadino, ma parliamo di un’amplissima fetta della popolazione francese composta soprattutto da classi medie, da liberi professionisti. Che cos’è il Terzo Stato – secondo Sieyès il Terzo Stato è la nazione completa, la sua interezza. Si chiede all’inizio: Che cosa occorre perché una nazione prosperi? Attività private e funzioni pubbliche. Si possono raggruppare tutte le attività private in quattro classi: lavori delle campagne; Si tratta di una presa di posizione che difatti afferma quell’idea di rappresentanza unitaria della nazione da parte del Terzo Stato all’interno dell’assemblea nazionale. Questa presa di posizione, già dirompente rispetto all’organizzazione per ceti, porterà il sovrano ad invitare i rappresentanti del primo e del secondo ordine ad unirsi all’Assemblea Nazionale il 9 luglio del 1789. Abbiamo così un riconoscimento dell’Assemblea Nazionale e uno spostamento dei poteri. Allo stesso tempo, però, vi è l’ordine all’esercito di circondare Parigi. Il sommovimento sociale, questa richiesta di rappresentanza da parte di nuove classi è anche una dimensione di attacco diretto ai privilegi, di sconvolgimento di un ordine che viene subito eletto come potenzialmente rivoluzionario, in contrasto con la monarchia anche se di fatto non lo è ancora. Assistiamo ad una crisi politica assieme ad una crisi sociale ed economica che ha la sua maggiore manifestazione nei tumulti a Parigi legati ad una dimensione economica e sociale di sussistenza, legati al contrasto per l’aumento del prezzo del pane. L’avvenimento simbolico di questa crisi sociale che si innesta sopra una crisi politica è la Presa della Bastiglia del 1789; esso diventerà un elemento rituale della Francia rivoluzionaria. La Bastiglia è una prigione fortificata che è il simbolo dell’autorità regia; una folla si spinge verso di lei alla ricerca di armi. Abbiamo molta violenza: il capo della guarnigione della Bastiglia viene catturato, ucciso per strada e decapitato, la testa infilata su una picca e portata in trionfo per la città. C’è una dimensione simbolica del rovesciamento dell’autorità, perché la decapitazione non è voluta dal sovrano, ma da una folla che si definisce popolo. Vediamo per la prima volta la decapitazione, non ancora ghigliottina ma lo stesso simbolica per la Rivoluzione. È una situazione di tale sommovimento sociale che la monarchia cerca di mediare; si narra che il re accetti questo fatto e si appunti sul cappello la coccarda tricolore simbolo della Rivoluzione. Questo è lo scenario parigino, ma allo stesso tempo quello che accade a Parigi si trasmette anche nel territorio francese e l’estate del 1789 resta famosa come “l’estate della grande paura”, come definita dallo storico Georges Lefebvre. I disordini sociali scoppiano in realtà in tutta la Francia, non solo nelle aree urbane ma anche in quelle rurali. È una paura della trasformazione, di uno sguardo sulla società che non ha confini sociali, che non guarda soltanto le rivolte contadine che caratterizzano quest’estate (contro i castelli), ma anche la reazione delle signorie feudali rispetto a questa trasformazione. È uno scenario che ha a che fare con la radicalità della trasformazione del momento e che è contraddistinto da false notizie e da paura, da una parte dei nobili e dalle signorie spaventati che il sovrano possa cancellare a breve i loro privilegi feudali (cosa che accadrà), dall’altra si diffondono notizie che la nobiltà per contrastare la trasformazione abbia assoldato bande di uomini pronti a radere al suolo villaggi e case contadine. A fronte di questa instabilità sociale la Francia dà vita ad un nuovo soggetto, uno dei protagonisti istituzionali della vicenda. Si tratta della Guardia Nazionale, un corpo armato di volontari composto per la maggior parte da benestanti che ha il compito di difendere la rivoluzione. Parliamo sempre di classi medie liberali e borghesi al centro del Terzo Stato. C’è molta violenza anche nelle campagne contro gli ex signori e il clero. Nella notte fra il 4 e il 5 agosto il 1789 l’Assemblea Nazionale decreta l’abolizione del sistema feudale, arrogandosi il diritto di una sovranità nazionale. È un momento drammatico per la società che prende strade di grande violenza. L’Assemblea Nazionale definisce la cancellazione dei ceti, dei tributi, delle servitù personali, delle decime; scioglie le giurisdizioni territoriali (i tribunali signorili), elimina i privilegi fiscali (compresi quelli dei corpi territoriali), dichiara ogni cittadino eleggibile a ogni ufficio civile, ecclesiastico o militare. Da una parte elimina i privilegi, dall’altra rende ogni cittadino alla pari rispetto agli onori di cui parlava Sieyès, che erano prerogativa solo dei due ordini. Crolla in questo modo la società dei ceti e sorge quella dell’uguaglianza giuridica e dell’uniformità degli apparati dello stato. Il senso di uguaglianza e il senso della libertà sono al centro del quadro della Rivoluzione Francese; questi principi saranno al centro anche dell’emanazione, da parte dell’Assemblea Nazionale il 26 agosto 1789, della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Essa non è un testo normativo che definisce regole direttamente attuabili in termini giuridici, ma è una presa di posizione quasi filosofica di principi. Segna alcuni elementi cardine discussi nell’Assemblea Nazionale. Diventerà il preambolo della prima Costituzione della Francia rivoluzionaria, quella del 1791; sarà l’inizio di tutta una serie di costituzioni che si susseguiranno nel giro di pochi anni nell’evoluzione della Francia rivoluzionaria. Essa mette al centro l’uguaglianza dei diritti, che significa avere, nell’uniformità territoriale della nazione, una legge uguale per tutti che non vede più giurisdizioni private e privilegi. Preambolo: I rappresentanti del popolo francese costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri; affinché maggior rispetto ritraggano gli atti del Potere legislativo e quelli del Potere esecutivo dal poter essere in ogni istante paragonati con il fine di ogni istituzione politica; affinché i reclami dei cittadini, fondati d’ora innanzi su dei principi semplici ed incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti. Questo preambolo verrà richiamato anche nell’ultima costituzione francese del 1958; è un testo che rimarrà un punto di riferimento nella dimensione dei principi e segna, traducendoli in singoli articoli, i fulcri di una rivoluzione non solo francese, ma continentale. Art. 1 – Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Idea della libertà e dell’uguaglianza del diritto e della legge. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune. In realtà esistono delle distinzioni sociali, non siamo davanti ad un’uguaglianza democratica dal punto di vista anche sociale. L’uguaglianza del diritto, i diritti civili e politici non sono la stessa cosa della distinzione sociale, essa esiste ancora. Art. 2 – Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione. Il fatto che fra questi diritti inalienabili ci sia la proprietà privata ci fa capire che si è ancora legati ad una dimensione di distinzioni sociali. Hobsbawm dice che questa svolta epocale è frutto del coincidere di idee di un gruppo molto compatto che riesce a dare al movimento rivoluzionario unità. Questo gruppo è, a suo parere, la borghesia. Essa ha la capacità di esprimere un’idea che fa riferimento al liberalismo classico; le idee espresse qui sono contro una società aristocratica per ceti ma non sono ancora a favore di una società democratica fondata sull’uguaglianza sociale. La centralità è quella dell’uguaglianza di fronte alla legge e dell’accesso libero di fronte al talento. Nell’articolo 3 della Costituzione Italiana si dice che ogni cittadino ha diritti politici e che lo stato si impegna nel cercare di rimuovere gli ostacoli sociali a quei diritti politici per i singoli. La dimensione sociale rimane una problematicità anche se si affermano diritti politici universali, se intervengono fattori materiali e sociali ad opporsi a cariche di stato. Ovviamente, la Costituzione Italiana è frutto di altri periodi di guerra e di crisi sociale come quella della Prima guerra mondiale o del ’29. Esse fanno acquisire consapevolezza del nesso fondamentale fra diritti politici e sociali. Art. 3 – Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa. Art. 4 – La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Tali limiti possono essere determinati solo dalla Legge. La Legge ha allora il compito di sancire qual è il confine di libertà fra un uomo e l’altro, qual è il limite di questi diritti. Art. 5 – La Legge ha il diritto di vietare solo le azioni nocive alla società. Tutto ciò che non è vietato dalla Legge non può essere impedito, e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina. Art. 6 – La Legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa deve essere uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti i cittadini, essendo uguali ai suoi occhi, sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo la loro capacità, e senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti. La legge è espressione della volontà generale, dev’essere uguale per tutti. A noi sembra qualcosa di ovvio, ma in quel periodo non lo era. Art. 7 – Nessun uomo può essere accusato, arrestato o detenuto se non nei casi determinati dalla Legge, e secondo le forme da essa prescritte. Quelli che sollecitano, emanano, eseguono o fanno eseguire degli ordini arbitrari, devono essere puniti; ma ogni cittadino citato o tratto in arresto, in virtù della Legge, deve obbedire immediatamente: opponendo resistenza si rende colpevole. C’è un limite all’arbitrarietà delle giurisdizione e alla repressione istituzionale. Prima ci deve essere la legge, poi la pena. Uno dei principi cardine del diritto positivo: l’irretroattività della legge penale, non posso creare una legge penale che elegge un determinato comportamento come reato e prevede delle pene o un arresto, pensando di attuarlo per atti che si sono svolti prima che si definisse la legge. Abbiamo poi articoli che riguardano la libertà di opinione e religiosa, l’idea che ogni cittadino sia libero di parlare, scrivere, stampare liberamente. Abbiamo anche la libertà di culto. Si definisce anche come le spese di amministrazione debbano essere ugualmente ripartite fra tutti i cittadini in ragione delle loro sostanze, con un’idea proporzionale rispetto alla ricchezza. La società ha anche il diritto di chiedere conto di ogni agente pubblico della sua amministrazione, la nazione ha il diritto di chiedere conto dell’amministrazione territoriale e nazionale, per un’amministrazione che non possa scivolare nella corruzione e nella mancanza di una finalità comune. Art. 14 – Tutti i cittadini hanno il diritto di constatare, da loro stessi o mediante i loro rappresentanti, la necessità del contributo pubblico, di approvarlo liberamente, di controllarne l’impiego e di determinarne la quantità, la ripartizione, la riscossione e la durata. Hobsbawm ci fa notare come qui non venga specificato con quale sistema sarebbero eletti i rappresentanti. Siamo ancora in una fase in cui i sistemi elettorali sono per censo e per ceti; non si fa riferimento ad un’assemblea democraticamente eletta davvero espressione della cittadinanza. Art. 16 – Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha una costituzione. Idea che i poteri legislativo, giudiziario, esecutivo debbano essere scissi. Art. 17 – La proprietà essendo un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, salvo quando la necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga in maniera evidente, e previo un giusto e preventivo indennizzo. È previsto l’esproprio per necessità pubblica, ma deve prevedere un’indennità. Da che cos’è rappresentato il quadro sociale che ci mostra che c’è qualcos’altro nella Rivoluzione francese oltre che la dichiarazione di uguaglianza e libertà? Abbiamo già detto come il re accolga l’Assemblea Nazionale invitando clero e nobiltà ad unirvisi e come allo stesso tempo abbia chiamato l’esercito a Versailles; questa convocazione induce i membri dell’Assemblea a chiedere alla Guardia Nazionale di Lafayette di ricondurre il re da Versailles a Parigi. Versailles è il simbolo della monarchia e della disfunzione fra quello che accade a livello di crisi sociale a Parigi e quello che avviene subito fuori. Il 5 ottobre 1789 le popolane di Parigi si dirigono a Versailles per chiedere “pane e armi”, per prendere una posizione contro la crisi sociale presentando direttamente richiesta al re e all’Assemblea Nazionale. Anche questo aiuterà il re a riconoscere l’abolizione dei privilegi e la sovranità dell’Assemblea Nazionale; si sposterà a Parigi con la presupponevano distinzioni di nascita, né alcuna altra superiorità se non quella dei funzionari pubblici nell’esercizio delle loro funzioni. – Non vi è più né venalità, né ereditarietà di alcun ufficio pubblico. – Non vi è più, per alcuna parte della Nazione, né per alcun individuo, alcun privilegio, né eccezione al diritto comune di tutti i Francesi. – Non vi sono più né giurande, né corporazioni di professioni, arti e mestieri. – La legge non riconosce più né voti religiosi, né alcun altro impegno che sia contrario ai diritti naturali, o alla Costituzione. La Costituzione garantisce, come diritti naturali e civili: 1° Che tutti i cittadini sono ammissibili ai posti ed agli impeghi, senza altra distinzione che quella delle virtù e dei talenti; 2° Che tutte le contribuzioni saranno ripartite fra tutti i cittadini egualmente in proporzione delle loro facoltà; 3° Che gli stessi delitti saranno puniti con le stesse pene, senza alcuna distinzione personale. La Costituzione garantisce parimenti, come diritti naturali e civili: – La libertà di ogni uomo di andare, di restare, di partire, senza poter essere arrestato né detenuto se non nelle forme determinate della Costituzione; – La libertà di ogni uomo di parlare, di scrivere, di stampare e di pubblicare i suoi pensieri, senza che gli scritti possano essere sottoposti ad alcuna censura né ispezione prima della loro pubblicazione, e di esercitare il culto religoso al quale aderisce; – La libertà dei cittadini di riunirsi pacificamente e senza armi, soddisfacendo alle leggi di polizia; – La libertà di indirizzare alle autorità costituite petizioni firmate individualmente. Il Potere legislativo non potrà fare leggi che attentino o ostacolino l’esercizio dei Diritti naturali e civili indicati nel presente titolo, e garantiti dalla Costituzione; ma poiché la libertà non consiste che nel poter fare tutto ciò che non nuoce né ai diritti altrui, né alla sicurezza pubblica, la legge può stabilire pene contro gli atti che, attaccando o la sicurezza pubblica o i diritti altrui, sarebbero nocivi alla società. La Costituzione garantisce l’inviolabilità delle proprietà, o la giusta e previa indennità di quelle di cui la necessità pubblica, legalmente constatata, esiga il sacrificio. – I beni destinati alla spese del culto e a tutti i servizi di utilità pubblica appartengono alla Nazione, e sono in ogni tempo a sua disposizione. La Costituzione garantisce le alienazioni che sono state o saranno fatte secondo le forme stabilite dalla legge. I cittadini hanno diritto di eleggere o di scegliere i Ministri dei loro culti. Sarà creata un’istituzione generale dei Soccorsi pubblici, per allevare i fanciulli abbandonati, assistere i poveri infermi, e fornire lavoro ai poveri validi che non abbiano potuto procurarsene (vedi Manchester, dov’era il clero ad occuparsene). Sarà creata e organizzata una Istruzione pubblica, comune a tutti i cittadini, gratuita per quanto riguarda le parti d’insegnamento indispensabili a tutti gli uomini, e le cui istituzioni saranno distribuite gradualmente, in rapporto alla suddivisione del Regno. – Saranno stabilite feste nazionali per conservare il ricordo della Rivoluzione francese, per mantenere la fraternità fra i cittadini, e legarli alla Costituzione, alla Patria e alle Leggi. Sarà fatto un Codice di leggi civili comuni a tutto il Regno. Nel titolo secondo si definiscono le suddivisioni amministrative. 1. Il Regno è uno e indivisibile; il suo territorio è distribuito in ottantaré dipartimenti, ogni dipartimento in distretti, ogni distretto in cantoni. 2. Sono citadini francesi: – Coloro che sono nati in Francia da un padre francese; – Coloro che, nati in Francia da un padre straniero, hanno fissato la loro residenza nel Regno; – Coloro che, nati in un paese straniero da un padre francese, si sono stabiliti in Francia prestando il giuramento civico; – Infine coloro che, nati in un paese straniero e discendendo in un qualsiasi grado da un Francese o da una Francese emigrati per motivo di religione, vengano a dimorare in Francia e prestino il giuramento civico. 3. Coloro che, nati fuori dal Regno da genitori stranieri, risiedono in Francia, diventano cittadini francesi dopo cinque anni di domicilio continuato nel Regno se vi abbiano inoltre acquistato degli immobili o sposato una Francese, o creato un’azienda agricola o commerciale, e se hanno prestato il giuramento civico. La cittadinanza si configura come un fattore di presenza sul territorio francese e non di sangue. SBOBINA 1.10 Linda Bortolini La rivoluzione francese anche nella fase del terrore rivoluzionario (biennio 1793-1794) ci offre due quadri diversificati della violenza: da un lato i massacri e le dimensioni di violenza di piazza che riguarda la guerra civile, e la dimensione degli arrestati, che saranno poi portati a giudizio nei tribunali rivoluzionari. Si presenta in entrambi i casi come una violenza epurativa, che vuole rigenerare la società. Che in termini cronologici ci pone tra la rottura della legalità che avviene con l’arresto dei deputati girondini, il quale avviene con l’assalto della convenzione da parte dei sanculotti e il colpo di stato del termidoro che mette fine alla repubblica giacobina con la destituzione di Robespierre. Ha questo tipo di violenza un protagonista per eccellenza: Robespierre. È visto storicamente, ma anche costruito e mitizzato come l’uomo del terrore, e non a caso sarà la sua messa sotto giudizio dallo stesso tribunale rivoluzionario che farà concludere il corso della violenza rivoluzionaria. Partiamo da una citazione da questo testo “terrore e terrorismo” (saggio storico sulla violenza politica); parte da una descrizione di Robespierre: “ciò che colpiva di lui era lo sguardo, intenso acuto e spesso inquietante; nei dibattiti di assemblea se ascoltava un’affermazione che gli era sgradita si faceva severo, e a volte sdegnato. Perfino quella notte quando, ferito ad una mascella e incapace di parlare, era steso su una tavola e i suoi occhi pungenti fissavano profondamente. Poi dopo la sua morte il racconto del suo sguardo, nel ricordo interessato di chi voleva demonizzarlo, sarebbe divenuto leggenda, e sarebbe stato narrato come minaccioso e sinistro, lo sguardo perturbante di un terrorista. Così sarebbe stato chiamato, è perciò il primo terrorista della storia, Robespierre. “ Con Robespierre si definiscono anche le parole per descrivere questa fase ed è da qui che emerge sia la parola terrore per definire questa fase della rivoluzione, sia l’idea di terrorista, che poi verrà declinata in maniere molto diverse successivamente. Il neologismo terrorista viene diffuso nei giorni successivi al termidoro, per descrivere Robespierre e chi aveva diffuso e organizzato il Terrore (quindi i più vicini a Robespierre, ma anche i deputati della convenzione che erano stati deputati e mandati in missione nei territori delle province per portare avanti questa violenza epurativa sociale e fermare varie ribellioni e insorgenze, e che si erano dati a comportamenti di particolare ferocia) ma sta anche a significare i membri del comitato di salute pubblica e tribunale rivoluzionario che diventa lo strumento per eccellenza di questa dimensione epurativa. Il 26 luglio 1794, il giorno prima di essere destituito dalla convenzione, Robespierre propone un discorso teso a giustificare questa strategia politica, che era stata adottata verso due categorie che si oppongono alla repubblica giacobina: da una parte coloro che all’interno della convenzione chiedono maggiore durezza dal governo rivoluzionario e coloro che, dall’altra parte, la volevano mitigare (gli arrabbiati e gli indulgenti). Robespierre per giustificare il clima di terrore e la violenza che sia in maniera strutturata e organizzata attraverso le regole del tribunale, sia in maniera più spontaneista(?) nelle province è andata dilagando denuncia una nuova cospirazione e preannuncia ulteriori misure di salvaguardia alla ricerca di un consenso per una nuova epurazione. Questa posizione lo porta ad essere apertamente contraddetto, e per la prima volta, ad avere una reazione dall’assemblea che lo chiama per la prima volta pubblicamente “tiranno”; con l’immediata proposta di metterlo sotto accusa che viene accolta da un tripudio generale. Si tratta di una vera e propria presentazione anche mitica rispetto al momento finale del potere di Robespierre, un vero e proprio tirannicidio: la sua figura, emersa centrale durante il periodo del terrore viene disconosciuta pubblicamente, ma all’interno del quadro, che Robespierre mette in luce in una serie di discorsi di giustificazione del terrore: "da dove viene l’idea del terrore?" Emerge anche il dibattito pubblico su questa particolare politica. È lo scontro con la componente girondina che determina una politica di governo che sarà legata al Terrore, in cui i giacobini invocano la necessità della “terribilità popolare”, e sarà Danton alla costituzione del tribunale rivoluzionario a dare un altro suggerimento (marzo 1793, il terrore inizia dal 2 giugno 93 con l'assalto alla convenzione dei sanculotti): "siate terribili per evitare al popolo di esserlo". L'idea è che la furia popolare rappresentata dai sanculotti in varie fasi della rivoluzione possa trovare un proprio portavoce del tribunale, e possa proporre una violenza legittima della rivoluzione a difesa di sé stessa, che in realtà salvi il popolo dall’essere violento. È un'esercitazione della giustizia sommaria. Che per esempio si era manifestata nelle prigioni parigine all’indomani della proclamazione della repubblica o nella festa dell'anniversario dell’insurrezione repubblicana (assalto al palazzo di Tuilières Agosto 1793) tra la folla appare la scritta “la giustizia del popolo è terribile”, cioè il terrore è fortemente legato all'idea dell'azione del popolo. Possiamo quindi già vedere tre elementi di questa violenza rivoluzionaria francese: da un lato il continuo clima di sospetto e cospirazione riproposto da Robespierre nei suoi discorsi, che riguarda sia il confronto con correnti politiche interne alla convenzione, ma che sono sempre collegate all'idea di nemici esterni (una delle prime immagini che abbiamo guardato della rivoluzione è la tentata fuga del re che viene rappresentata come un tradimento); altro elemento centrale è la violenza e la furia popolare. Una violenza che è legittima in quanto violenza del popolo; il terzo elemento è l’idea di una giustizia straordinaria. L’altra caratteristica della fase del terrore non è solo il tribunale rivoluzionario ma l’idea che tramite il tribunale e il comitato di salute pubblica ci sia una sospensione della legalità (ricorderete una costituzione che non entra in vigore) e dei diritti di difesa. Una sospensione che identifica uno stato di emergenza, caratteristiche che trascendono la Rivoluzione francese e troveremo in altri scenari rispetto alla violenza rivoluzionaria. Quindi una sospensione dell legalità ordinaria per una legalità straordinaria, ma al centro della discussione e retorica politica, il termine terrore assume significati diversi e lo possiamo scindere in vari significati per trovare caratteri che identificano la violenza rivoluzionaria al di là di questo momento. Abbiamo detto che la legislazione speciale del 1793-94, attraverso la quale è possibile sottoporre i propri avversari a una giustizia sommaria, e questa è la prima declinazione del termine terrore, che troviamo nel dibattito anche successivo. In questo caso è rappresentato in ambito francese dal tribunale rivoluzionario e dal comitato di salute pubblica e anche dalla legge dei sospetti (identificazione di categoria di sospettabili, una messa in accusa che va al di là delle azioni dei singoli ma identifica delle potenziali categorie pericolose per la rivoluzione) ma allo stesso tempo l’idea del tribunale rivoluzionario che mette in mora la costituzione del 93 e che fa nascere per un periodo limitato una dittatura rivoluzionaria. Il riferimento per questa dimensione di sospensione, della legalità, di eccezionalità del momento può essere accostato al concetto di stato d’eccezione che ci propone molto successivamente Karl Smith, riferendosi al nazismo. Ma l’idea di una sospensione del diritto, costruisce uno stato d'eccezione nella quale è legittima una forma di giustizia straordinaria e violenza d’emergenza, in particolare di repressione dello stato, che non può che produrre un accentramento, nel caso francese con la figura di Robespierre, di un dittatore e contemporaneamente legislatore. La massima espansione di questa fase di arbitrio e giustizia straordinaria e arbitrio dell’esecutivo la troviamo il 10 giugno 1794, il 22 pratile, con una legge che abolisce le garanzie di difesa per gli imputati Questo è il quadro che volevo darvi della violenza rivoluzionaria, ricapitolando gli elementi cardine. Una dimensione di violenza di governo, non di tipo civile, una violenza che ha due strumenti di espressione, il tribunale rivoluzionario (legittimazione della violenza di stato) e una dimensione epurativa della guerra civile e che ha come oggetto della violenza un nemico interno sempre accusato di tradimento con un potenziale nemico esterno. Avete qualche altra associazione riguardo agli strumenti (tribunale rivoluzionario) ed epurazione che passa dalla violenza sommaria che si fa guerra civile? Quello che viene subito in mente rispetto alla violenza rivoluzionaria è l’altra grande rivoluzione in quadro novecentesco, che è quella, anche della teorizzazione comunista, ed è quella bolscevica. Ed è per questo che in realtà vi propongo di fare un salto in avanti ripartendo da un testo di Lenin scritto tra l’agosto e il settembre 1917 ma pubblicato solamente nel 18 (quindi prima della rivoluzione di ottobre, quando Lenin ritorna in Russia e ha già applicato le tesi di aprile) su stato e rivoluzione. Quindi come vedete c’è una dimensione di governo, istituzionale e non di società civile. Qui parte da una riflessione sulla violenza riportando alcune considerazioni di Engels fatte sulla violenza. “La violenza nella società ha ancora un’altra funzione (oltre al male che esse produce nella subalternità del proletariato alla borghesia), una funzione rivoluzionaria. Che essa, secondo le parole di Marx, sia la levatrice di ogni vecchia società gravida di una nuova, che essa sia lo strumento con cui si compie il movimento della società e infrange forme politiche irrigidite e morte” quindi ritorna questa idea di rigenerazione della società, una forma politica che supera una società in funzione di un’altra, e che quindi si legittima riconoscendosi in questo valore. “È lo stato rivoluzionario”, secondo Lenin, “che è un'organizzazione particolare della forza. Che è l’organizzazione destinata a reprime una certa classe. Lo stato rivoluzionario ha un tempo limitato, i lavoratori hanno bisogno dello stato solo per reprimere la resistenza degli sfruttatori e solo il proletariato è in grado di dirigere e attuare questa repressione perché il proletariato è la sola classe rivoluzionaria fino in fondo, capace di unire tutti i lavoratori e gli sfruttati nella lotta contro la borghesia per soppiantarla completamente.” Quello che lui chiama il potere dello stato, cioè l’organizzazione centralizzata della forza e organizzazione della violenza sono necessari per questa repressione della classe degli sfruttatori e per dirigere l’immensa massa popolare nell’opera di avviamento all’economia socialista. Ha un valore pedagogico. E ci dice come Marx sottolinei la forma transitoria di questo governo rivoluzionario e di questa forma rivoluzionaria dello stato. “La dittatura del proletariato, l’organizzazione di un’avanguardia degli oppressi, non si può limitare a un puro e semplice allargamento della democrazia, ma deve operare una serie di repressioni alla libertà degli sfruttatori, degli oppressori e dei capitalisti. Costoro noi li dobbiamo reprimere per liberare l'umanità dalla schiavitú salariata, si deve spezzare con la forza la loro resistenza, ed è chiaro che dove c’è repressione e violenza non c’è libertà e democrazia”. Cioè, il passaggio transitorio del governo rivoluzionario implica una mancanza di democrazia e limitazione delle libertà della classe degli sfruttatori per colpire le resistenze della società. L’idea di Lenin è che solo nella società comunista, quando il capitalismo sarà sconfitto, sarà possibile fare a meno dello stato organizzatore della forza e si potrà parlare della libertà. “Perché a quel punto gli uomini si abitueranno ad osservare le regole elementari della convivenza sociale e ad osservarle senza costrizione, senza violenza e sottomissione, senza quello che uno speciale apparato di costrizione detto stato mette in atto. Solo il comunismo rende lo stato, e lo stato rivoluzionario, superfluo." In un altro passaggio del testo dice riconoscendo il rischio, “noi non siamo utopisti, e non escludiamo che siano possibili ed inevitabili eccessi individuali, come non escludiamo la possibilità di reprimere tali eccessi, ma anzitutto per questi non c’è bisogno di una macchina speciale, o di uno speciale di apparato di repressione (necessario solo nel momento transitorio del passaggio) lo stesso popolo armato si incaricherà di questa faccenda con la stessa semplicità con cui una qualsiasi folla di persone civili, anche nella società attuale, separa delle persone in rissa o non permette venga usata la violenza contro una donna.” L’idea è che dopo la fase rivoluzionaria in cui lo stato deve organizzare la repressione e la dimensione di violenza, è lo stesso popolo armato che si farà legge. La violenza rivoluzionaria è quindi dello stato ma in funzione del popolo”. Se questa è l’idea di base dell'utopia, è però un altro lo scenario che ci viene alla mente se teniamo alla base dell'idea di violenza rivoluzionaria il tribunale e la guerra civile, ossia i processi di Mosca, il comunismo fattosi stato. Il totalitarismo sovietico ha una sua caratteristica specifica in quello che è considerata la fase del grande terrore, che si gioca su una duplice dimensione: l'epurazione dall'alto, da parte della dirigenza comunista con una serie di processi pubblici, e dall’altra una epurazione della società che si gestisce soprattutto in un'articolazione territoriale che riguarda la categoria della nobiltà agraria. Per avere un’idea volevo mostrarvi delle immagini che riguardano un film recente, “the trial” (2018) diretto da Sergei Loznista che è andato al festival di venezia, e mette in scena uno di questi processi farsa degli anni 30, nel contesto sovietico, e che viene costruito usando materiali di repertorio di uno di questi processi, per metterne in scena soprattutto la ritualità di questi processi alla dirigenza comunista. Questo processo si svolge a Mosca nel 1930, che vede al centro della vicenda un gruppo di economisti accusati di aver architettato un colpo di stato e di essere responsabili dei mancati sviluppi dei piani quinquennali, le accuse sono false e stereotipate e l’accusa, questa struttura processuale di un altro tribunale rivoluzionario prevede in caso di riconosciuta colpevolezza la condanna a morte. Mette in scena il teatro della giustizia sovietica, tipico delle purghe tramite cui si inganna la nazione. Questi processi sono un elemento di propaganda. La situazione dei tribunali di Mosca ha un evento scatenante nel 34, che è l’omicidio di un dirigente bolscevico, che viene ufficialmente perpetrato e organizzato dal centro trotzkista unificato, composto da 16 membri del partito, a cui viene associata la figura di Trotski e del figlio, e che vengono chiamati in giudizio il 19 agosto da Stalin. Questo sarà il primo di tre processi di mosca che riguardano la dirigenza comunista e fondamentalmente nel primo di questi processi gli accusati devono rispondere di aver organizzato un centro terroristico i cui programmi erano di uccisione dei massimi dirigenti del partito, e devono risponderne davanti a un collegio militare, la suprema corte di giustizia sovietica, e il processo si conclude con l’emissione di 16 condanne a morte per tradimento e controrivoluzione, che provano l'esistenza di un nemico interno. È il tentativo di Stalin di usare i processi per provare l’esistenza di un nemico interno che viene considerato collegato con un nemico esterno. Il secondo processo è sempre contro il centro antisovietico trotzkista ed è del 37, in questo caso è un processo che mette al centro il sabotaggio, ma con l’idea di un nemico esterno pronto, con la collaborazione di un nemico interno, di ribaltare l’unione sovietica. Questi processi in realtà servono alla politica staliniana come porta di accesso per legittimare un ondata repressiva che investe la società sovietica e che riguarda la componente kulaka. È un processo di purificazione con le grandi purghe interne che ha da una parte questa dimensione penale di epurazione della classe dirigente bolscevica ma che si gioca su una nuova cultura del sospetto, rispetto al quadro dello stato del partito dei dirigenti e dei burocrati. Il manuale ci offre un approfondimento sulla norma del 37 che allarga la responsabilità a familiari e congiunti dei supposti traditori del popolo. Se in una famiglia un imputato viene accusato di tradimento, non solo nel partito ma anche nella dimensione più articolata della società, mogli e parenti non possono non saperlo e che quindi siano automaticamente condannabili per concorso morale. È attraverso questi processi e al terzo, quello del 38, che viene decapitata la classe dirigente sovietica, lasciando di fatto la classe dirigente nata dalla rivoluzione e optando per un pensiero unico che è quello staliniano. Il grande terrore si gioca tra il 37 e il 38, e appunto riguarda sia la classe dirigente sia la volontà da parte fette della società identificate come potenzialmente pericolose (kulaki) vengono schedati e possono essere immediatamente arrestati e fucilati (sistema di giustizia sommaria territoriale) questa fase di epurazione porterà all’arresto di quasi un milione di persone e la condanna di quasi 800 000, di cui 150 000 a morte. L'intreccio è tra alta e bassa epurazione. L’ultimo processo viene presentato pubblicamente a mosca nel 38 sancisce la vittoria della linea staliniana. Viene imputato a questo gruppo dirigente sovietico quella che è la carestia del 32. Vengono incolpati in questo processo di terrorismo e del terrore come mezzo per raggiungere il potere. Si chiude questa fase di particolare violenza nel novembre del 38, quando lo stesso Stalin, mette fine alle giurisdizioni sociali e blocca le operazioni di massa come errori e come politica di formazione dei comitati interni e territoriali. Questa fase porta alla scomparsa dei quadri superiori del partito, soprattutto quelli che offrono delle interpretazioni diverse del comunismo rispetto a stalin, ma colpisce soprattutto i dirigenti dell'armata russa (35000 ufficiali chiamati a giudizio), molti membri e delegati del comitato centrale. Il 10% è condannato a morte ma ci sono molti deportati e imprigionati. Questo quadro di processi si apre in contemporanea con la messa in atto dall'amministrazione dei campi di concentramento (gulag, che permettono imprigionamento e lavoro forzato da parte della società). Dal punto di vista processuale, questi processi non cercano una verità giudiziaria, ma vogliono essere di monito alla società intera, con imputazioni che sono rituali e false, riconosciute come tali storicamente, ma la loro struttura è rituale: cospirazione e boicottaggio con il nemico straniero. Le accuse sono tutte uguali. (Il film mostra la ripetitività e la scena pubblica di questi processi). Il fulcro del procedimento è collegato alla confessione degli imputati, che confessano le loro colpe, confermando la loro fedeltà al partito. Ma queste confessioni, come le testimonianze e imputazioni,sono preparate in anticipo e sono estorte con la tortura. Il carattere centrale è la pubblicità, attenzione mediatica e rappresentazione scenica, che è sotto forma di processo penale ma che si conclude sempre allo stesso modo: con la conversione dei devianti. Gli oppositori ecc mostrano la loro messa in discussione delle loro idee tramite la confessione. Nel processo c’è un attenzione specifica alle procedure, un irreale formalismo giuridico. Sia,o di fronte a processi fortemente politiche, senza dimensione credibile alle indagini, che non vengono quasi compiute, perché le confessioni sono estorte con la tortura, ma ciò nonostante c’è una strtuura esteriore di formalità del processo, della struttura processuale. È come se la struttura del diritto penale venga svuotata dallinterno in questi orocessi, scompaiono tra i 3 e i 10 milioni di persone, tra condannati a morte e ai lavori forzati, e in questo modo si applica una sorta di purificazione interna alla società sovietica, giustificata dal terrore del nemico intenro collegato a un nemico interno, quindi ancora per proteggersi dagli attacchi esterni (siamo all’interno di una fase diplomatica in cui c’è una sensazione di isolamento da parte della russia sovietica rispetto a quello che sta succedendo in europa, e siamo poco prima della firma da parte di stalin dellalleanza con ka germania nazista. La rissia sovietica si sente talmente minacciata dall’esterno,oltre che dallesterno, da scegliere in funzione di difesa dalle democrazie capitaliste di firmare un oatto di alleanza com la germania nazista col latto Molotov Ribbentrop). Un’altra giustizia rivoluzionaria che vive di ansia di cospirazione interna ed esterna che gioca con lo strumento giudiziario. Facciamo un ultimo salto, avvicinandoci al contesto italiano: quest’idea della violenza rivoluzionaria e del terrore/terrorismo può essere un filo conduttore nei confronti della resistenza. La resistenza, soprattutto per quanto riguarda la dimensione dei quadri urbani (GAP), agisce molto presto, già negli ultimi mesi del 43, La messa in evidenza di come il fascismo repubblicano usi gli strumenti dei tribunali straordinari e delle condanne a morte per giustificare delle rappresaglie in un'idea che a propria volta è collegata al senso rivoluzionario della violenza fascista delle origini e di una dimensione di epurazione della società. Dal congresso di Vienna alle rivoluzioni del 1848 Riprendiamo il nostro discorso sulla parte istituzionale, quindi riprendiamo dall’ultima lezione, peraltro fatta in quest’aula, sul periodo napoleonico. Ci siamo lasciati con la fine dell’Europa napoleonica e la ridefinizione di un altro equilibrio con il Congresso di Vienna. Riprendiamo oggi il punto guardando l’equilibrio del congresso di Vienna che ci serve per arrivare ad un’altra tematica, che è quella della lezione di oggi ovvero le rivoluzioni del ’48, quindi, come vedete dai capitoli segnati in programma, non vedremo in dettaglio né i moti del ’20 né del ’30. Condividiamo subito le slide. Questa è ancora una carta dell’Europa di Napoleone e quindi del quadro fino al 1814-15. Come vedete dalla carta in realtà abbiamo una dimensione ampia e unitaria dei territori sotto il controllo diretto e indiretto di Napoleone che raggiunge il suo apice nel primo decennio dell’800. La situazione del quadro immediatamente successivo invece è quella che è definita dal congresso di Vienna, come ricorderete da reminiscenze precedenti. A Vienna abbiamo proprio il disegno di un nuovo equilibrio internazionale da parte soprattutto di quegli stati che erano stati protagonisti delle coalizioni antifrancesi quindi soprattutto Austria, Russia e Prussia che sono anche artefici prima di tutto di un ridimensionamento della Francia che torna ad essere una monarchia costituzionale e ritorna dentro i confini del 1792. Vi è un cambio anche nell’area germanica con la fine del sacro romano impero e la formazione della confederazione germanica che raggruppa moltissimi piccoli stati dell'area germanica e anche città stato, sono 38 complessivamente le singole unità territoriali. Abbiamo anche un’espansione della Russia che recupera, dopo lo guardiamo in dettaglio con una carta, Finlandia, parte della Polonia e la Bessarabia, l’influenza asburgica rinnovata sull’Italia del nord e quindi il lombardo-veneto e anche sui Balcani e anche la costituzione di alcuni stati definiti come stati cuscinetto rispetto ad un possibile nuovo espansionismo francese. L’equilibrio internazionale definito dal congresso di Vienna è, da una parte, una nuova modalità di gestione del potere e della definizione degli equilibri di potere dei quadri territoriali concordata e diplomatica, e dall’altra parte ha come unione da una parte una dimensione evidentemente antifrancese e di restaurazione sia della dimensione dell’assolutismo monarchico sia del valore del potere della chiesa e quindi cattolico. Gli stati cuscinetto rispetto all’espansionismo francese sono da una parte il regno dei paesi bassi e dall’altra la ricostruzione del regno di Sardegna, quindi dei Savoia. Interruzione registrazione Anche questa in realtà è una carta che vi mostra più in dettaglio sia il quadro della ridefinizione austriaca sia dei confini francesi. Questa è l’Austria che torna ad avere un’estensione e un quadro di interesse evidente sia sull’Italia sia sui Balcani. Questa è una carta dell’impero russo i cui vedete nella colorazione in marrone più scuro le acquisizioni soprattutto a nord (Finlandia, Polonia, Bessarabia) e questa invece è un’immagine dell’alleanza militare principale che esce dal congresso di Vienna cioè la Santa Alleanza che sotto anche la fede cattolica unisce Russia, Prussia e Austria ovvero i protagonisti principali di questo quadro di definizione. Contemporaneamente in questa fase di uscita dal periodo napoleonico e di nuova restaurazione di una definizione di nuovi equilibri, abbiamo, e lo vedremo più in dettaglio nelle prossime lezioni, anche una riproposizione del potere imperiale russo, austriaco e anche del protagonismo dell’area germanica con la Prussia come stato centrale, ma anche gradualmente il disfacimento di quello che sarà l’impero ottomano che già nei moti degli anni ’20 perde un sostanziale territorio che è quello della Grecia e che avrà poi un disfacimento nel tempo. Non guardiamo i moti del ’20 e del ’30 attraverso cui in realtà i valori, i principi della Rivoluzione francese, l’idea di nazione, nonostante la restaurazione politica e diplomatica e gli equilibri di potere all’interno del continente si diffondono e restano essenziali dal punto di vista proprio della partecipazione politica, di una nuova idea di nazione e di una nuova idea di sovranità popolare. Già i moti del ’20 e ’30 esprimono questa diffusione di valori culturali. Facciamo adesso, prima di entrare in quello che sarà il quadro della lezione di oggi cioè l’Europa del ’48-49, quello che accade invece simultaneamente con una serie di proteste e movimenti popolari che riguardano un’area molto estesa soprattutto continentale e che interessa sia la penisola italiana, che la Francia, che il quadro germanico e la Prussia, che l’impero austriaco, come centri. E quadri principali, con l’emergere di una caratteristica nuova cioè una serie di rivendicazioni di identità nazionali all’interno di questi imperi sia per quanto riguarda l’impero austriaco e in particolare il caso ungherese, sia per quanto riguarda anche delle rivendicazioni dell’area slava e anche per quando riguarda la definizione di un’identità nazionale italiana. Diciamo che il ’48 anticipa una serie di spinte che saranno quello che porteranno nella seconda metà dell’800 all’unificazione di due grandi nuovi stati nazionali che sono l’Italia e la Germania. Però è necessario dal punto di vista del quadro concettuale che facciamo un passo indietro guardando i profili costituzionali della Rivoluzione francese cioè se quella che si diffonde è l’idea di nazione e questa idea anche di monarchie costituzionali che comunque, aldilà della sconfitta del progetto napoleonico di Europa, hanno portato alla definizione di modelli sia organizzativi ma sia culturali che sono debitori della Rivoluzione francese, possiamo considerare la storia continentale tra il 1820 e 1848 come la storia di una progressiva diffusione di questa rivendicazioni della sovranità affidata al popolo che però, come abbiamo già visto, ha delle limitazioni, una delle limitazioni dei poteri costituzionali è la frattura di genere, il soggetto al centro della sovranità nazionale francese è maschile, quindi il rappresentante legittimo della nazione non è l’intero popolo ma è il popolo declinato al maschile. Questa è la prima linea di frattura sociale che vediamo nei profili della Rivoluzione francese, nell’idea di cittadino e cittadinanza. Le rivoluzioni del ’48-49 in realtà ci mettono in evidenza diverse fratture sociali di cui la principale in realtà è quella della conflittualità di classe. Cosa voglio dire: la rivoluzione francese mette al centro il popolo e lo vede come un soggetto unitario ma non è un soggetto unitario intanto perché non considera la dimensione di genere, o meglio, la considera ma contemporaneamente, nella diffusione dell’idea di nazione, che è la base delle ideologie patriottiche prima ancora che nazionaliste che si diffondono nel continente e di una serie di rivendicazioni di quell’identità nazionale soprattutto laddove gli stati non corrispondono al senso di identità nazionale delle popolazioni, in realtà il contrasto è anche con un popolo che in realtà non è un soggetto unitario ma che ha delle divisioni di genere, di classe e sicuramente anche di razza se guardiamo la dimensione degli imperi coloniali e di quello che sarà l’imperialismo. Quindi in realtà già tra il tra il 20 e il 48 ma nella seconda parte dell’800 abbiamo una serie di emersioni di lotte per l'indipendenza dall'occupazione straniera e quindi di emersione di rivendicazioni di identità nazionale dentro gli imperi, quindi le lotte per la configurazione di nuove statualità e del riconoscimento di nuovi stati nazione. In questo senso l'idea di nazione si trasforma, non è solamente un quadro di equilibri e di rivendicazioni di potere di sovranità all'interno di uno stato ma anche di identità che si formano per opposizione rispetto alle altre nazioni con l'emergere di quello che è il nazionalismo, non l'idea di nazione, ma una dimensione aggressiva di imposizione. Dicevo: le fratture di genere. Affrontiamo l'argomento velocemente visto che ne avevamo in parte già discusso o fatto riferimento. Il quadro appunto universalista ideale alla base della dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 che, apparentemente, ci mostra i principi chiave di libertà e uguaglianza come universali, appunto li declina in realtà soltanto al maschile, per quanto abbiamo già visto la contraddizione del fatto che le donne siano presenti sulla scena della rivoluzione francese, lo sono sicuramente nella manifestazione popolare a Versailles dell'ottobre del 79, lo sono come promotrici di mozioni all'assemblea nazionale e sono anche presenti nei diversi club in particolare giacobini. Abbiamo già visto, ma lo ricordiamo in questa sede, come la costituzione del 1791 sancisca invece l'esclusione delle donne dalla dimensione pubblica, anche in forma delegata, e come le contraddizioni più stridenti siano messe in evidenza dalla Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina che viene invece scritta da Olympe de Gouges appunto mettendo a nudo le implicazioni sessiste della nuova legge rivoluzionaria francese con la richiesta che le donne possono essere in realtà ammesse agli impieghi civili e militari così come previsto per gli uomini. Questo darà vita anche la costituzione di organizzazioni femminili e in realtà le donne sono presenti anche nello scenario di violenza che abbiamo visto rispetto alla violenza rivoluzionaria: le donne sono rappresentate sulla scena pubblica nelle grandi rivolte popolari del 1792, sono donne armate di picche, sono donne che si fanno anche soggetto di violenza cioè al di là di questo non riconoscimento politico. Sarà proprio il governo giacobino del terrore nel 1793 ad attaccare le aspirazioni di presenza politica delle donne sulla scena pubblica con la scelta della convenzione di chiudere le organizzazioni femminili, che erano state invece inaugurate. Qual è il fattore di omogeneità però che vede come dire un passaggio, una trasformazione continentale e uno sviluppo pure in tempi diversi che però organizza l'intero continente? Diventa essenziale a livello europeo il fatto che si diffonda su un modello francese l'abolizione delle giurisdizioni feudali della servitù della gleba, cioè i contadini e il mondo delle campagne che ancora prioritario dal punto di vista economico passano dall’essere dei soggetti legati per nascita ad un proprietario o una proprietà terriera a soggetti liberi liberi di sposarsi, firmare contratti, acquisire proprietà. È un passaggio che trasforma e che in qualche modo determina la fine dell’Ancien Régime in territori diversi con tempi diversi. Per darvi un'idea come dire un’idea delle differenze dell’abolizione della servitù della gleba e delle giurisdizioni feudali è un'acquisizione tardiva rispetto alla Rivoluzione francese nel Regno di Napoli dove arriva nel 1806 ma viene estesa al Regno delle due Sicilie nel ’12, in Prussia è un'acquisizione del 1808 e ancor più nel impero austriaco e asburgico è soltanto del 1848, sarà la Russia l’ultima ad ottenere questo passaggio e l'eliminazione della servitù della gleba nel 1861. Quindi abbiamo un'affermazione dell'uguaglianza giuridica che si compie in una parabola lunga su territori diversi, con territori più arretrati e territori in realtà più avanzati. I nobili perdono i privilegi giuridici, appunto abbiamo detto la dimensione feudale, i poteri locali e territoriali e la frammentazione sul modello francese, ma questo non significa immediatamente un rispecchiamento nell'accesso ai diritti politici dell'intero corpo sociale. L'orizzonte quindi di lotta, in questa trasformazione della società, tra il 1820 e soprattutto il 1848 è la democrazia a suffragio universale, cioè l'idea che questa dimensione di uguaglianza dei diritti e di perdita di giurisdizioni frammentarie e territoriali si trovi, come dire, un riflesso nelle possibilità dell'intero corpo sociale, al maschile, di avere diritti politici se vogliamo è un processo di uguaglianza e di omologazione dal punto di vista del diritto politico e che però porterà proprio per la perdita dei privilegi a un'attenzione molto maggiore alla differenziazione sociale delle classi agiate, borghesi e aristocratiche, attraverso l'estetica, cioè sia la dimensione dei consumi che riguardano la persona e che riguardano l'abitazione, in particolare con la definizione di quelle che anche Banti definisce ‘barriere immateriali’ non c'è più come dire un'organizzazione giuridica che distingue le classi in questo senso o politica, ma sono dimensioni di rivendicazione di differenziazione culturale e anche spaziale all'interno della dimensione urbana come abbiamo visto. Mi soffermo un attimo a leggervi qualche passaggio del manifesto del partito comunista, appunto nella rappresentazione della borghesia, che è il vero soggetto: “la borghesia ha avuto nella storia una parte sommariamente rivoluzionaria, dove ha raggiunto il dominio la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliache. La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione e tutti i rapporti sociali. L'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca dei borghesi: si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile prima. Il bisogno di uno smercio sempre più esteso per i suoi prodotti sospinge la borghesia a percorrere tutto il globo terrestre. Con lo sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha dato un'impronta cosmopolitica alla produzione al consumo di tutti i paesi. Si tratta di industrie che non lavorano più soltanto materie prime del luogo ma delle zone più remote i cui prodotti non vengono consumati solo nel paese stesso, abbiamo un’interdipendenza quindi universale. Anche i prodotti intellettuali delle singole nazioni divengono bene comune e abbiamo un miglioramento di tutti gli strumenti di produzione con le comunicazioni infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà tutte le nazioni, anche le più barbare. I bassi prezzi delle sue merci sono l'artiglieria pesante con la quale spiana tutte le muraglie cinesi, costringe a introdurre in casa loro la cosiddetta civiltà, cioè a diventare borghesi, anche le altre classi. La borghesia ha assoggettato la campagna al dominio della città, ha creato città enormi, reso i paesi barbari e semibarbari dipendenti da quelli inciviliti. Durante il suo dominio di classe, appena secolare, la borghesia ha creato forze produttive in massa molto maggiore e più colossali che non avessero mai fatto tutte insieme le altre generazioni del passato: il soggiogamento delle forze naturali, le macchine, l'applicazione della chimica, la navigazione, le ferrovie, i telegrafi elettrici.” Questo è il quadro di una borghesia che viene descritta comunque anche nel suo contrasto uguale con il proletariato come la vera protagonista dell'epoca e anche la vera protagonista del quadro dell’Europa del ‘48/’49. Proviamo a entrarci allora in questo contesto di rivolte: abbiamo detto che il contesto generale del 48 nelle sue diverse strutturazioni territorialista e statuali è l'allargamento politico della base elettorale e quindi suffragio universale ma nello stesso tempo anche la diffusione di ideali patriottici razionalisti che non porterà, lo dico prima, a un cambiamento degli assetti geopolitici in questa fase, è una fiammata il ‘48 e viene considerata un movimento a domino rivoluzionario che in qualche modo contagia un paese con l’altro e che in maniera simultanea produce una fiammata ma in realtà avrà molto velocemente già tra il ‘48/’49 un ridimensionamento e un ritorno all'ordine. Sono determinanti in questo quadro le fratture sociali che sono legate anche all'andamento stesso del quadro economico. Il 45 e 47 sono due annate agricole particolarmente difficili per la produzione delle campagne in cui quindi abbiamo una situazione di diminuzione dei beni alimentari e di aumento dei prezzi il che produce a sua volta un crollo della domanda dal punto di vista dei beni di consumo artigianali e industriali e una reazione di licenziamenti e di diminuzioni salariali. Siamo ancora in una situazione di sviluppo economico fragile in cui basta una carestia e annate particolarmente disagevoli a produrre degli effetti sostanziali nel quadro anche di vita. Le campagne quindi si trovano in uno stato di affamamento e le città, di converso, ancor di più e con moti anche di tumulto con richieste basilari: pane e lavoro, democrazia e uguaglianza sono le parole che si mischiano in questa dimensione del 48 e nello stesso tempo una grande paura di un generale sovvertimento degli equilibri sociali in quello che è evocato da Marx e Engels come lo spettro del comunismo che incombe sull’Europa. Vi leggo un passaggio di Hobsbawm: “In breve negli anni intorno al 1840 il mondo si trovava in una posizione di equilibrio instabile, le forze della rivoluzione economica, tecnica e sociale scatenate nell'ultimo mezzo secolo erano senza precedenti e irresistibili anche per il più superficiale degli osservatori. D’altra parte, le loro conseguenze istituzionali erano ancora modeste. Come era inevitabile che la Gran Bretagna non potesse rimanere per sempre il solo paese industrializzato, era inevitabile che le aristocrazie terriere e le monarchie assolute dovessero capitolare in tutti i paesi nei quali si stava sviluppando una forte borghesia e inoltre era inevitabile che l'infusione di una coscienza politica e di un'attività politica permanente nelle masse, figlia anche del modello rivoluzionario francese, che era la grande eredità lasciata dalla rivoluzione francese, dovesse prima o poi significare che queste masse avrebbero avuto la loro parte ufficiale nella politica. Il presentimento che dominava tutta l'Europa di un'imminente rivoluzione sociale.” Questo è il quadro culturale anche di minaccia che sembra prefigurare con il 48 per le classi più abbienti. In realtà dobbiamo tenere a parte il quadro della Gran Bretagna cioè è proprio il maggiore sviluppo industriale della Gran Bretagna che permette una gestione più capace dal punto di vista governativo del malcontento popolare che viene gestito anche grazie a ormai un chiaro boom di sviluppo industriale nel contesto della Gran Bretagna soprattutto attraverso le ferrovie che si sono imposte a partire dal decennio ‘40/50 quindi è proprio la capacità di sviluppo e di benessere portato da un' industrializzazione ormai allo stato avanzato che permette alla Gran Bretagna di rimanere fuori dal contesto in realtà dei moti del ’48. Ancora continua Hobsbawm: “Con la rivoluzione del ‘48 l'originaria simmetria si spezza, la simmetria tra rivoluzione industriale e Rivoluzione francese. La forma muta, la rivoluzione politica passa in secondo piano, la rivoluzione industriale in primo, il 1848, la famosa primavera dei popoli, fu la prima e l'ultima rivoluzione europea nel senso quasi letterale del termine. La momentanea realizzazione dei sogni della sinistra e degli incubi della destra, l'abbattimento praticamente simultaneo dell'Ancien regime nella parte dominante dell’Europa continentale, a Occidente degli imperi russo e turco.” Allora torniamo un attimo alla carta: ecco come vedete dai simboli il quadro è proprio del cuore del continente cioè rimangono estranei e non coinvolti quelle che sono considerate le aree periferiche dal punto di vista dello sviluppo industriale e quindi da una parte quindi vi ho detto la Gran Bretagna invece per un avanzamento dello sviluppo e dall'altra invece la penisola iberica e quindi Spagna e Portogallo, la Russia per la sua arretratezza e l'impero ottomano che addirittura è in una fase di disfacimento. Invece tutto il resto appare come un grande domino rivoluzionario sono investite la Francia, quindi il paese per eccellenza protagonista delle rivoluzioni politiche che è già stato al centro anche dei moti del ’30, e fino però a dei piccolissimi principati come quello di Moldavia e Valacchia che chiedono e che addirittura insorgono per avere un'indipendenza rispetto all'impero russo. E poi sono protagoniste le due altre realtà per eccellenza della restaurazione quindi la Prussia e l'Austria cioè l’impero austro ungarico e la Prussia. La situazione di stabilità sociale ed economica evidenzia questa conflittualità in anticipo in due quadri minori che sono: quella dei cantoni svizzeri in cui vediamo una dimensione di insorgenza politico sociale che si lega in realtà con anche una conflittualità confessionale tra cantoni conservatori cattolici e invece cantoni protestanti liberali e che riescono ad avere una nuova Costituzione e il quadro della Galizia nel ‘46 dove abbiamo un tentativo di insurrezione che ha alla base, come dire, una dimensione sociale ma che, anche in questo caso, incrocia il nazionalismo invece, un tentativo di insurrezione nazionalista polacca organizzato dalla componente nobiliare dei proprietari terrieri che contrasta invece le rivolte contadine che sono incoraggiate dalla dimensione austriaca. Quindi un contesto di conflittualità sociale che incrocia in particolare queste identità nazionali. Entriamo negli scenari più conosciuti e più importanti del 48 con prima di tutto la penisola italiana: i moti del ‘48 iniziano nel Regno delle due Sicilie e in particolare a Palermo dove il 12 gennaio abbiamo un'insurrezione di gruppi autonomisti contro Ferdinando II che in reazione a queste insurrezioni a Palermo concede una costituzione il 10 febbraio. Non c'è ancora stato un passaggio politico nel contesto italiano di concessione di costituzioni, di testi costituzionali sul modello anche della monarchia costituzionale francese. Gli altri sovrani della penisola in realtà appoggiati da un'opinione pubblica liberale scelgono la stessa strategia cioè di concedere carte costituzionali, è il caso del Regno di Sardegna che è il caso come dire per eccellenza in cui Carlo Alberto di Savoia concede una carta costituzionale che è lo statuto albertino lo concede il 4 marzo del 1848 e sarà un testo costituzionale che avrà un'estrema fortuna nel tempo. Avete chiaro quando viene dimesso? A quanta distanza di tempo? Riesce a sopravvivere indenne non solo all’Italia liberale ma anche all’Italia fascista e soltanto con l'Italia democratica e non solo a un'estensione ovviamente dal Regno di Sardegna e di Savoia all’intero stato unitario con il 1861. Anche il Granducato di Toscana ottiene una costituzione concessa da Leopoldo II e la stessa cosa avviene nello Stato pontificio con Pio IX quindi una specie di moto generale di acquisizione politica di diritti concessi Se questo è il 48 e quindi una dimensione di convergenza di insurrezioni con uno stampo di classe ma anche con una richiesta che abbiamo visto vede l'orizzonte da una parte della perdita definitiva dei privilegi delle giurisdizioni feudali e dall'altra la dimensione di un ampliamento della partecipazione politica con il suffragio universale, comunque un movimento coeso che viene rappresentato nell’idea della primavera dei popoli ma anche appunto in raffigurazione come questa dell’universale democratica e della Repubblica sociale del ’48, quindi l'idea popoli che al di là dei quadri nazionali convergono in una richiesta di avanzamento dei diritti e di nuove classi popolari che entrano a ottenere questi diritti. Ciononostante, il ritorno all'ordine è molto rapido e molto veloce, e già tra il ‘48/’49 vediamo questo riflusso di questa insorgenza più generale. Vi do, come già fatto nelle lezioni precedenti, qualche squarcio sui testi costituzionali di questo primo momento, di questo primo passo, cioè se i moti del ‘48/’49 hanno un qualche modo una insorgenza rivoluzionaria e un secondo passo invece di ritorno all'ordine. Allora, fanno parte di questa prima fase abbiamo detto da una parte lo statuto del Regno di Sardegna che è appunto in assoluto lo statuto che rimane più longevo perché è l'unico che nella fase di ritorno all'ordine rimarrà intatto, non verrà ritirato. È però, abbiamo visto, il caso francese quello più avanzato in termini sociali e allora vi leggo, rispetto a questa seconda Repubblica francese, questa costituzione del 4 novembre del ‘48 che dice: “Nel nome del popolo francese l'assemblea nazionale ha adottato e conformemente all'articolo 6 del decreto 28 ottobre ‘48 il presidente dell'assemblea nazionale promulga la seguente costituzione.” Anche questa costituzione ha un preambolo e dice all'articolo primo: “La Francia si è costituita in Repubblica, nell'adottare questa forma definitiva di governo essa si è proposta come scopo di camminare più liberamente nella via del progresso e della civiltà, di assicurare una ripartizione sempre più equa degli oneri e dei vantaggi della società, di aumentare l’agiatezza di ognuno con la grande riduzione delle spese pubbliche e delle imposte di far arrivare tutti i cittadini senza nuove scosse, con l'ulteriore costante azione delle istituzioni e delle leggi, a un grado sempre più elevato di moralità, di lumi e di benessere. Ribadisce che la Repubblica francese come quella precedente è democratica e una e indivisibile e che ha come principi la libertà, l'uguaglianza e la fraternità, ma anche ha come basi la famiglia, il lavoro, la proprietà e l'ordine pubblico (siamo già in una concezione, dal punto di vista culturale, profondamente borghese). Essa rispetta le nazionalità straniere così come intende far rispettare la propria, non gli intraprende nessuna guerra a fini di conquista e giammai impiega le sue forze contro la libertà di alcun popolo (quindi un disconoscimento anche dello strumento della guerra). Doveri reciproci obbligano i cittadini verso la Repubblica e la Repubblica verso i cittadini, i cittadini devono amare la patria, servire la Repubblica, difenderla a costo della loro vita, partecipare a pesi dello Stato in proporzione della loro fortuna, devono assicurarsi col lavoro dei mezzi di esistenza e con la previdenza delle risorse per l'avvenire, devono concorrere al benessere comune aiutandosi fraternamente gli uni con gli altri e all'ordine generale osservando le leggi morali e le leggi scritte che reggono la società, la famiglia e l'individuo. La Repubblica deve proteggere il cittadino nella persona, la famiglia, la religione, la proprietà, il lavoro e mettere alla portata di ognuno le istituzioni indispensabile a tutti gli uomini, deve con un'assistenza fraterna assicurare l'esistenza dei cittadini bisognosi (il piano più avanzato è questo della dimensione dell'assistenza, di un dovere di assistenza verso i bisognosi) sia procurando loro del lavoro nei limiti della sua possibilità sia dando, in mancanza della famiglia, dei sussidi a coloro che non sono in condizioni di lavorare e, solo dal punto di vista organizzativo, l'idea che la sovranità risiede nell'universalità dei cittadini francesi è inalienabile, imprescrittibile, nessun individuo, nessuna fazione del popolo può attribuirsene l'esercizio.” viene ribadita appunto la libertà soprattutto politica ma anche di espressione e di stampa e di manifestazione e l'insegnamento libero ma dal punto di vista organizzativo non entra nel dettaglio di questa assistenza quindi è semplicemente una dimensione di quadro, di orizzonte di diritti sociali. Dicevo il ritorno all'ordine vede appunto la Francia come primo quadro perché le elezioni stesse dopo la promulgazione del testo costituzionale dell'assemblea costituente a suffragio universale in realtà vede la formazione di un'assemblea che ha maggioranza repubblicana ma moderata e per cui in realtà gli equilibri elettorali mostrano una permanenza, una rappresentanza monarchica e in realtà una limitazione della minoranza radicale socialista che sembrava al centro dell'insorgenza del ’48. Vi è soprattutto un modo di reazione di ordine nelle campagne è la soprattassa introdotta per l’atelier nationaux che porta una contro propaganda anti repubblicana e che porterà velocemente alla messa in scacco appunto dell'area più radicale, quella socialista, che sarà repressa e anche in realtà le figure principali saranno arrestate ed escluse dal nuovo governo per un appoggio delle organizzazioni più radicali all'idea di una guerra contro la Russia a favore delle richieste di indipendenza della Polonia e il tentativo di fare un salto e di imporre nuovamente un comitato di salute pubblica con una tassa sulla ricchezza. Questo orizzonte di rivendicazione sociale porta in realtà a una reazione del progetto politico e alla chiusura in realtà degli atelier nationaux con una massa di lavoratori disoccupati che vengono invitati ad arruolarsi nell'esercito e a essere di nuovo impiegati come braccianti agricoli. Vi è una rivolta popolare, una manifestazione a Parigi, una rivolta armata ma anche una reazione molto forte in termini militari dell'esercito con da parte del nuovo ministro della Difesa e a guida del governo che è Luois Eugéne Cavaignac e migliaia di morti nel contesto parigino e la promulgazione di una nuova costituzione il 21 novembre, che di fatto porterà a definire quello che è il modello centrale della statualità francese cioè l'idea di repubbliche presidenziali, cioè di un ruolo del potere esecutivo attraverso un presidente eletto a suffragio universale che è a capo dello stato. Vi dicevo appunto questa Costituzione e quindi l'effetto dei moti del ‘48 porta a una costituzione in novembre che ha dentro dei blandi doveri sociali e quindi una definizione molto generica di diritti sociali nel preambolo e l'indicazione dei principi dei rivoluzionari affiancati appunto dall'idea della famiglia, della proprietà e dell'ordine pubblico. Quindi mostra questa matrice moderata e porterà di fatto a delle elezioni presidenziali in cui si otterrà un consenso molto ampio, 5,5 milioni di consensi su un elettorato di 7 milioni e mezzo, della figura di Luigi Napoleone che è nipote di Napoleone Bonaparte e che si propone come continuatore del mito napoleonico. Anche l'assemblea eletta vedrà una maggioranza moderata e degli interventi repressivi. La parabola della situazione francese è tale che addirittura nel 1850 avremo una legge elettorale che volontariamente esclude la parte più povera della popolazione francese. Questo è in realtà un quadro più ampio dei moti del ‘48 che vi mostra appunto dove vi sono gli scontri maggiori. Se questo è il quadro della Francia, anche nel quadro austriaco, quindi anche dell'Italia del nord e in realtà per converso anche del resto della penisola, abbiamo un riflusso di quello che accade nel ’48: per quanto riguarda l'impero austriaco soprattutto vengono represse le volontà indipendentiste di Boemia e Ungheria, abbiamo una repressione con l'esercito imperiale a Praga che avviene durante il Congresso dei popoli slavi e che porta addirittura al bombardamento della città da parte dell'esercito e al totale recupero del territorio boemo. Anche nel contesto ungherese le truppe imperiali in settembre conquistano Budapest e decretano lo scioglimento del parlamento nazionale, vi sarà un tentativo in extremis di un comitato ungherese di difesa nazionale che cerca addirittura di inviare una forza armata su Vienna e un tentativo da Vienna della dimensione popolare di un'insurrezione a sostegno degli ungheresi ma di fatto anche nel caso ungherese l'esercito imperiale riconquista velocemente sia Budapest che Vienna nell'autunno del ’49. Nel dicembre l'esercito imperiale riesce a entrare in Ungheria e nell'aprile del ‘49 abbiamo in extremis, mentre ormai dal punto di vista militare le forze imperiali hanno ottenuto il controllo del territorio, comunque la proclamazione dell'indipendenza ungherese che è solamente simbolica. È sciolto anche l’organismo sovranazionale quindi l'assemblea costituente imperiale viene sciolta dalle stesse truppe imperiali e viene comunque emanata una costituzione moderata però. Il quadro del lombardo veneto ci serve in realtà per guardare più in dettaglio la dimensione italiana: Carlo Alberto di Savoia che ha già emanato lo statuto albertino cerca di sfruttare questo momento di debolezza dell’impero austriaco e degli Asburgo per conquiste territoriali italiane cioè per portare avanti quella che è la prima guerra d'indipendenza (non entriamo nel contesto dell'unificazione italiana però in questo caso la nominiamo) e cerca quindi di portare avanti uno scontro tra l'esercito sabaudo e gli austriaci che in realtà vedrà una sconfitta già nell'estate del ‘48 per quanto riguarda il territorio della Lombardia e di Milano e poi anche per quanto riguarda degli scontri sul versante piemontese a Novara, e sarà per queste sconfitte che Carlo Alberto sceglie di abdicare a favore di Vittorio Emanuele II cioè del figlio, senza però che vengano revocate le garanzie costituzionali che erano state emesse. La stessa cosa avviene in realtà dopo un lungo assedio da parte degli austriaci per quanto riguarda la Repubblica di Venezia che è costretta a cedere nell'agosto del ’49. È importante però avere chiaro che il contesto di sovrapposizione tra i moti e le richieste politiche anche sociali che avvengono nella penisola italiana nel ‘48 e contemporaneamente si incrociano con le richieste di indipendenza rispetto agli austriaci configurano per la prima volta nel contesto italiano l'idea che sia possibile una Federazione degli Stati esistenti, perché nel tentativo dei Savoia di contrastare la presenza austriaca nel Nord Italia abbiamo nel marzo/aprile del ‘48 una serie di corpi di spedizione che arrivano in aiuto del Regno di Sardegna dal resto della penisola: dal granducato di Toscana, dallo stato pontificio e dal Regno delle due Sicilie, quindi sembra possibile contro il nemico austriaco una definizione di una federazione, una convergenza degli interessi di più stati italiani. Questo quadro verrà infranto velocemente in realtà dallo Stato pontificio e dalla figura di Pio IX che si dissocia da questa guerra e verrà seguito dagli altri sovrani quindi anche da Leopoldo II di Toscana e da Ferdinando II di Borbone e quindi in una reazione di ordine avremo gradualmente uno per uno gli Stati italiani riprendere il controllo monarchico, per cui abbiamo prima di tutto nel Regno delle due Sicilie la monarchia che riprende il controllo e che era stato il primo scenario con Palermo dell'apertura del 48, poi con appunto non solo questo abbandono della guerra, della conflittualità e dell’alleanza rispetto alla conflittualità con gli austriaci, ma anche della dimensione politica anche da parte degli altri stati. È importante nominare la Repubblica romana. Non tutti gli Stati italiani riescono a uscire da questo quadro di radicalizzazione di ritorno all'ordine senza eventi cruenti e nella maniera più semplice come il Regno delle due Sicilie. Nel caso romano in realtà il cambio di equilibri verso una dimensione di abbandono quindi della causa dei Savoia a favore di un'identità nazionale porta il 15 novembre a un'aggressione da parte di un gruppo di patrioti del primo ministro dello Stato pontificio che viene ucciso e porta alla fuga di Pio IX che cerca protezione sotto i Borbone a Gaeta e che sarà la stessa posizione scelta di fuga anche da Leopoldo II per quanto riguarda il Granducato di Toscana. Sotto la pressione dei circoli popolari democratici che sono al centro di questa reazione viene proclamata la Repubblica romana il 9 febbraio del ‘49 quindi al termine in realtà del nostro percorso ed è una costituzione particolarmente avanzata che rimarca l'attenzione alla legislazione sociale. Appunto questa costituzione della Repubblica romana del ‘49 nei principi fondamentali dice: “la sovranità è per diritto eterno nel popolo. Il popolo dello stato romano è costituito in Repubblica democratica. Il regime democratico ha per regola l'eguaglianza, la libertà, la fraternità, non riconosce titoli di nobiltà né privilegi di nascita o casta. La Repubblica con le leggi e con le istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini. La Repubblica riguarda tutti i popoli come fratelli, rispetta ogni nazionalità.” La definizione di due nuovi stati nazione, in realtà il Regno d’Italia (1861) e l’Impero Tedesco (1871) con però un diffondersi più generalizzato di questo sentimento di nazionalismo. Abbiamo anche una ridefinizione del quadro della dimensione austriaca con una situazione di compromesso dopo le molteplici rivendicazioni (che abbiamo visto insorgere all’interno dell’impero asburgico durante i moti del ‘48) e in particolare quella ungherese, con una situazione di compromesso (1867) con una duplice monarchia: austriaca e ungherese. Questi processi sono tutti figli di una nuova fase di conflittualità e di una nuova fase di guerre. [Vi faccio un quadro di massima su questi temi perché in realtà né l’unificazione italiana né l’unificazione tedesca sono temi in realtà che avete nei capitoli del manuale ma per fare da unione rispetto a un passaggio di sguardo nazionale verso il nazionalismo e l’imperialismo]. Dicevo, sono figli di nuove guerre: da una parte la dimensione delle guerre d’indipendenza italiane che appunto si distingue nella guerra del ‘48, il passaggio tra ‘59 e ‘60 e quella del ‘66 ma poi la guerra prusso-austriaca del ‘66 attraverso la quale l’Italia partecipa per ottenere possedimenti a scapito degli Austriaci e la guerra franco-prussiana del ‘70-’71 che è centrale per definire un nuovo modello di esercito. Il nazionalismo, l’educazione al senso dell’idea di nazione ma anche di un orgoglio nazionale che diventa anche patria in armi. Il senso del dovere sul modello francese si amplia e diventa un modello generale con l’assunzione di un modello di coscrizione obbligatoria da parte dell’esercito prussiano che diventa un modello vincente sia nei confronti dell’Impero austriaco sia nei confronti della Francia. E quindi anche è figlio di una [non so se ricorderete come nelle guerre napoleoniche in realtà la sconfitta della Prussia e dell’orizzonte germanico aveva prodotto nel mondo intellettuale tedesco una] riflessione sulla scelta della coscrizione francese, su questa idea di un nuovo soldato che si sente cittadino e quindi della dimensione volontaria ma anche di introiezione di un senso di cittadinanza in armi. Nel passaggio soprattutto della guerra franco-prussiana la Germania trova il suo modello di coscrizione: relativamente breve in termini di anni, ma che è sentito come nuovo modello patriottico che è alla base della costituzione del nuovo impero tedesco. Abbiamo in realtà anche altri identità statuali che si costituiscono in questo periodo a scapito soprattutto dell’Impero Ottomano che è in graduale disfacimento con la costituzione sia di Romania che di Bulgaria collegata anche all’esperienza della guerra di Crimea. Quindi una serie di conflitti di dimensioni relativamente ridotte ma che sono alla base di questa nuova costituzione di identità nazionale e di nazionalismo. Seguiamo come al solito il filo che ci traccia Hobsbawm che dice: “L’unificazione dell’Italia implicava l’estromissione degli Asburgo al cui impero apparteneva la maggior parte dell’Italia del nord, mentre l’unificazione della Germania sollevava tre problemi: in che cosa consistesse esattamente la Germania da unificare e se dovesse esservi incorporate le maggiori potenze appartenenti alla confederazione germanica (Prussia ed Austria) e che cosa dovesse accadere dei numerosi altri principati.” Abbiamo visto come ci fosse una discussione che chiude in qualche modo la dimensione del ‘48 in area germanica sulla riflessione su quale dovesse essere l’entità e il disegno di unificazione. Di chi è l’iniziativa politica? Apparentemente la dimensione di nuove soggettività di nuovi protagonisti di classe e anche di una dimensione popolare dei moti del ‘48 potrebbe far presumere che siamo di fronte a delle unificazioni venute dal basso o di stampo popolare. In realtà l’iniziativa politica è da parte di forze di uomini che appartengono al liberismo aristocratico moderato se non addirittura conservatore e nel caso sia italiano che tedesco abbiamo due figure di questo tipo come figure centrali: Camillo Benso Conte di Cavour, che all’interno del regno di Sardegna come primo ministro si fa portatore di un progetto di unificazione e il primo ministro Otto Von Bismarck, che nello stato prussiano è il rappresentante degli junker tedeschi che sono i proprietari agrari (un’aristocrazia agraria proprietaria). [Guardiamo anche le carte e le slide per avere un’idea e per fare velocemente questo passaggio] questo è un quadro della suddivisione dell’Italia nel momento in cui avvengono i moti del ‘48 e quindi una suddivisione molto frazionata che coinvolge moltissimi stati (lo Stato della Chiesa, il Granducato di Toscana, il Regno delle due Sicilie, il regno di Sardegna) e riguarda appunto il problema di una conflittualità con l’impero d’Austria sul lombardo-veneto. I protagonisti: da una parte abbiamo un liberismo aristocratico moderato e di stampo conservatore e dall’altra abbiamo un’iniziativa monarchica: in Italia Vittorio Emanuele II succeduto a Carlo Alberto in concomitanza con i moti del ‘48 e in Germania Guglielmo I della dinastia degli Hohenzollern). Ma abbiamo nel caso italiano anche una componente di ispirazione repubblicano-democratica che riguarda da un lato la figura di Garibaldi e l’impresa dei Mille che converge in un progetto di ampliamento e di unione del contesto italiano sia da parte del regno di Sardegna ma anche con l’iniziativa popolare dal sud dall’altro la dimensione dei plebisciti: le guerre di indipendenza e la spedizione dei mille porteranno una scelta attraverso il voto per plebiscito con tempistiche diverse rispetto ai territori italiani e non complete perché mancano al territorio italiano nel momento dei primi plebisciti del 1860 sia il Veneto sia Roma in particolare che verranno definite con le ultime due guerre contro Austria e Francia. Questo è invece il quadro dei confini della Confederazione Germanica e quindi dello sguardo iniziale prima dell’unificazione dell’Impero Tedesco, che vede quella confederazione germanica sciolta durante il ‘48 e una ridefinizione di Confederazione tedesca di piccoli stati. Questa è la suddivisione sulle ipotesi di unificazione comprendenti l’intera Prussia e l’intera Austria con l’idea della piccola e grande Germania. In realtà le unificazioni italiane e tedesche riescono a completarsi proprio perché siamo in assenza di un pericolo rivoluzionario. Con la primavera dei popoli che sembrava l’orizzonte comune continentale nel ‘48 e che faceva presumere un avanzamento in termini di diritti sociali e di protagonismo delle masse di fatto nel ‘49 ha dimostrato la sua inconsistenza dal punto di vista geopolitico e di veri e propri cambiamenti. Ed è su questa dimensione che è possibile un incrocio tra iniziativa aristocratico moderata, monarchica e diplomatica, perché il contesto delle unificazioni passa anche attraverso una nuova diplomazia e un riconoscimento dell’Italia nel quadro continentale per esempio nelle alleanze per la guerra di Crimea. Le unificazioni si compiono sotto ideali liberali, borghesi che pongono al centro il popolo nella sua interezza, l’idea di nazione e delle rivendicazioni nazionaliste, patriottiche e identitarie che avevano come orizzonte comune il suffragio maschile universale. Hobsbawm nel trionfo della borghesia: “il liberalismo e la democrazia radicale, o almeno la richiesta di diritti e rappresentanza, erano inseparabili in Germania e in Italia, nell’Impero Asburgico e perfino in quello Ottomano e alla periferia dell’Impero zarista dalle rivendicazioni di autonomia e indipendenza a unificazione nazionale.” Appunto questo incrocio tra la richiesta dei diritti politici e allargamento del suffragio e l’idea di nazione, nazionalismo e unificazione. Decennio 1860-1870: riforma e liberalizzazione politica dall’alto con alcune concessioni in senso democratico che guardano anche a paesi altri (Gran Bretagna, Scandinavia e Paesi Bassi). L’Europa e il senso di identità nazionale alla base di queste unificazioni avrà spinta e influenza politica per un’estensione economica e militare del quadro occidentale sull’universo extraeuropeo e porterà a chiusura di queste unificazioni e nuove identità statuali a un’espansione coloniale e all’affermarsi di quella considerata l’Età degli Imperi o dell’Imperialismo (1870-1914) che incrocia la capacità potenziale della seconda rivoluzione industriale. Lo sviluppo contemporaneo di un senso di idea di nazione, di nazionalismo dei singoli stati anche unificati e di uno sviluppo industriale che fa un salto tra il 1840 e il 1870 produce una forza di espansione anche a livello capitalistico dell’occidente anche rispetto al mondo extraeuropeo. Hobsbawm: “se durante questo periodo la politica internazionale e quella interna appaiono strettamente legate l’una all’altra il vincolo che più chiaramente le univa era quello che noi chiamiamo nazionalismo ma che alla metà del secolo scorso conosceva ancora come principio di nazionalità” Non si chiama ancora nazionalismo (non c’è ancora questo senso negativo della parola) ma principio di nazionalità; l’idea di obiettivo nella creazione in Europa di stati nazione. Ma c’è una sorta di immagine tipo dello stato nazione in questa fase dal punto di vista culturale: uno stato completamente indipendente e quindi l’idea appunto di una conquista di indipendenza rispetto a quella che viene considerata l’occupazione straniera, uno stato territorialmente e linguisticamente omogeneo, tendenzialmente laico e spesso immaginato come uno stato repubblicano parlamentare. Questo è già alla base delle aspirazioni della primavera dei popoli nel ‘48 che si presenta con questa asserzione di nazionalità, o meglio di nazionalità rivali che cercano il diritto di diventare stati indipendenti e unificati unendo le forze interne contro governi che sono considerati oppressivi (esempio: nel caso italiano il governo oppressivo è l’Austria) Le rivoluzioni del ‘48 falliscono, ma le aspirazioni restano e la costruzione delle nazioni viene vissuta come trasformazione delle nazioni in stati nazione sovrani che devono avere un territorio compatto nell’area occupata da quella che è sentita come la nazione. Sono definiti da alcuni elementi caratteristici: una storia passata comune, cultura comune, presunta composizione etnica comune e omogenea, una lingua comune. L’impero tedesco è considerato una nazione nonostante sia composto da numerosi principati e addirittura da città-stato. Sebbene queste città-stato non siano state mai davvero unite territorialmente, hanno fatto parte per lungo tempo del sacro romano impero della nazione tedesca, avevano formato la confederazione germanica e soprattutto a livello di classi alte e colte condividevano la stessa lingua scritta e la stessa letteratura. La dimensione culturale è alla base di un senso di identità. Anche l’Italia non è mai stata un’identità politica in quanto tale ma vanta l’importanza di una cultura letteraria comune e comune all’élite. Quindi un criterio storico della nazionalità, storia comune, comune origine in cui diventano fondamentali le istituzioni e la cultura delle classi dominanti e delle élite colte. E questa dimensione culturale è presentata come una dimensione naturale, come se fosse legittimante per le rivendicazioni di unificazione. Nello stesso tempo a fianco di questo sguardo colto aristocratico (forse anche conservatore moderato) abbiamo però un nazionalismo diverso e molto più radicale democratico e rivoluzionario che non è istituzionale, non fa parte dei governi, (l’iniziativa politica da una a parte è di Cavour dall’altra di Bismarck, quindi da parte delle istituzioni, non da una dimensione popolare rivoluzionaria dal basso). Invece la dimensione ideologica radicale democratica si batte anche con l’idea che nessun popolo debba essere sfruttato o dominato da un altro popolo, quindi un senso di liberazione dal basso che non è però quello dominante. italiano per esempio la festa per lo Statuto Albertino, nel caso francese la presa della Bastiglia come giornata nazionale) abbiamo anche una serie di costruzioni mitologiche e patriottiche sul mito dei caduti, sull’importanza delle guerre di unificazione, sul sangue versato, sul sacrificio per la patria, quindi sempre più un ideale di guerra alla base del senso nazionale. Inoltre vi sono dimensioni letterarie che hanno questo tipo di base come prodotto ottocentesco sul senso di identità dell’Italia frazionata verso l’unificazione, anche un sentimentalismo patriottico che è molto forte anche nella forma del romanzo storico. {Procede a mostrare foto di argomenti già trattati e a commentarle brevemente perché si è accorta di essere rimasta indietro con le slide} Parte di questa identità nazionale si gioca anche sulla costruzione propagandistica collegata anche all’estensione coloniale fuori dai confini europei. Se adesso abbiamo guardato al nazionalismo, ora guardiamo alla dimensione dell’imperialismo: il rapporto tra se stessi come nazione (come identità nazionale) e l’esterno, in termini sia di conquista economica sia di conquista territoriale. Se alla base della costruzione delle nazioni c’è il senso di sovranità nazionale di popolo e anche di uguaglianza dei diritti (idea cardine della rivoluzione francese) e quindi una lunga esportazione e riconfigurazione di quella idea, nelle contraddizioni di quell’universalismo e uguaglianza dei diritti propagandata dai principi della rivoluzione francese non c’è soltanto un problema di frattura di genere e classe ma anche dal punto di vista delle razze. E’ immediata la contraddizione visibile già nel contesto della rivoluzione francese tra i diritti dell’uomo e del cittadino e l’universalismo alla base di questi diritti in Francia ma non nelle colonie. In particolare questa contraddizione sul piano razziale diventa evidente nella colonia francese di Santo Domingo, dove si apre dopo la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino un conflitto tra la componente bianca dei coloni e la componente mulatta, che rivendica a sua volta dei diritti. Questo porterà molto velocemente nel 1791 a una ribellione degli schiavi neri dell’isola caraibica che sarà capeggiata da Louverture, con l’appoggio dell’esercito spagnolo e d ella marina britannica. Questo contesto coloniale porta l’assemblea nazionale ad approvare nel 1792 l’estensione dei diritti ai mulatti. Per risolvere la ribellione interna a questa colonia nell’agosto del 1793 il commissario rivoluzionario che viene inviato sull’isola per sedare la rivolta proclama l’abolizione della schiavitù. La contraddizione è evidente tra l’universalismo dichiarato e una dimensione gerarchica razziale. Questa abolizione della schiavitù viene confermata dalla convenzione nel 1794 e sembra l’unica possibilità per la Francia di conservare la colonia caraibica. In realtà la ribellione viene sedata, Louverture giura fedeltà alla repubblica, però darà vita a un governo autoritario e a una costituzione autonomista costruita sulla sua persona che lo rende governatore a vita, tanto che nel 1801 napoleone invia a santo domingo un corpo di spedizione per arrestare Louverture e portarlo in Francia. 1803: proclamazione della repubblica di Haiti e la perdita definitiva dal contesto francese di questa colonia e di conseguenza un immediato ritorno indietro dalla rivoluzione francese: nel 1802 abbiamo un ristabilimento della schiavitù nelle colonie francesi che arriva fino al 1848. Solamente nell’ultima costituzione che prevede la nuova repubblica francese abbiamo di nuovo l’abolizione del contesto della schiavitù. Una dimensione contraddittoria anche nel contesto rivoluzionario ma lo è ancor di più nel mondo al di là dei confini europei: nel contesto statunitense la questione della schiavitù resta centrale. Per quanto formalmente vi è nel 1804 l’abolizione della schiavitù negli stati del nord, essa rimane prioritaria negli stati del sud, proprio alla base di un’economia soprattutto di piantagioni di cotone. Emersione negli anni ‘30-’40 di un movimento anti-schiavita, che vedrà un complicato equilibrio dei partiti e della formazione e distinzione di repubblicani e democratici. Elezione presidenziale del 1860 di Lincoln che sosterrà in maniera molto moderata l’abolizione della schiavitù solo negli stati di nuova acquisizione, ma che rappresenta una possibile proibizione della schiavitù a livello generale. Questo porterà alla proclamazione della secessione degli stati del sud e alla costituzione degli stati confederati d’America e alla Guerra di Secessione. Nella costituzione americana l’abolizione della schiavitù è introdotta come emendamento alla costituzione nel 1865, così come nel 1868 vi è un’attribuzione formale della cittadinanza anche alla componente nera e nel 1870 il voto agli afroamericani. Ma in realtà la guerra di secessione porta a una ricomposizione culturale, nazionale nella fase tardo-ottocentesca della componente bianca che è in forte contrapposizione con la componente nera, al di là della costituzione degli Stati Uniti con l’imposizione nei fatti di una politica segregazionista contro i neri all’interno dei singoli stati, che escludono la componente nera dalla vita pubblica attraverso un’esclusione anche spaziale. Questo avrà poi un proseguo. Il problema della dimensione gerarchica tra le razze e la possibilità o meno che una razza sia dominante sull’altra non è una questione chiusa nella seconda metà dell’Ottocento. Non lo è a tal punto che questo quadro è più evidente nel momento di maggior sviluppo del capitalismo europeo, con il boom di produzione a cavallo del 1870 e quindi della seconda rivoluzione industriale. Il progresso tecnologico europeo si gioca soprattutto su una modernità che riguarda l’ampliamento dei commerci internazionali, che sono stati in grado di ottenere attraverso un’estensione del controllo non solo economico ma anche territoriale diretto che andrà a coprire interi continenti (Africa, Asia, Oceania) nel corso di questo periodo di imperialismo (1870-1914) e che viene esaltato dal punto di vista del progressivo ampliamento dei commerci internazionali attraverso una forma che sono ad esempio le esposizioni universali. Vengono organizzate periodicamente nelle maggiori capitali a partire dal 1851 e mettono in mostra le nuove macchine, merci, tecnologie che celebrano l’espansione del commercio. Famosissima è l’expo parigina del 1889 con l’edificazione della Torre Eiffel. Dagli anni ‘80 in mostra non abbiamo soltanto merce e tecnologie ma anche popolazioni coloniali, esposti in gabbie come animali considerati esseri inferiori, fermi a uno stadio di evoluzione primitivo e vengono sfoggiati con l’idea assolutamente pacifica di una gerarchia di civilizzazione. Questo è un incrocio tra un discorso nazionalista che insiste sempre più sulla comunità nazionale come comunità di sangue e di discendenza che si intreccia alle prime riflessioni scientifiche o pseudoscientifiche sulle differenze razziali, sull’onda anche delle teorie evoluzioniste di Darwin, che offrono dei veri e propri schemi di gerarchizzazione delle razze. Banti vi cita in questo caso il saggio sulle disuguaglianze delle razze umane di De Gobineau, edito tra il ‘53 e il ‘55, ma abbiamo molti autori possibili. E’ di questo periodo anche un quadro che mette al vertice più alto la componente europea bianca ma anche considerata la componente ariana e che vede tra le razze inferiori non solo le razze colonizzate e gli altri continenti, ma che identifica già come razza meticcia e a uno stato di civilizzazione minore anche la componente ebraica. [Questo quadro di espansione verso l’esterno si gioca in corrispondenza con una dimensione di costituzione di nuovi stati ed entità di una certa taglia come il caso dell’impero tedesco e dell’unificazione del regno di Italia e della costruzione politica di identità nazionali, contemporaneamente a invece degradarsi o corrompersi per cicli successivi anche di vecchie configurazioni politiche come quella dell’Impero Ottomano.] L’impero ottomano dalla fine del ‘700 ha un graduale sfaldamento, una progressiva perdita territoriale. Esempi: guerra di indipendenza greca negli anni ‘20 il fatto che i principati di Serbia, Moldavia e Valacchia divengano protettorati russi la perdita dell’Algeria a vantaggio dei francesi nel 1830 il tentativo di secessione egiziano che si risolve nell’occupazione britannica dell’Egitto la guerra di Crimea che porta all’autonomia sia Valacchia che Moldavia l’indipendenza serba la costituzione di principato di Romania nel 1861, Montenegro nel 1858 e anche un processo di autonomia del libano. La disgregazione dell’Impero Ottomano prosegue fino ai primi anni dell’Ottocento, è fondamentale per creare una particolare crisi di equilibri nel quadro balcanico che saranno centrali nelle premesse per la Prima Guerra Mondiale. Da un lato abbiamo la riorganizzazione dell’equilibrio in Europa dall’altra il fortissimo espansionismo coloniale che comprende invece il continente africano, che viene completamente spartito dalle potenze europee. Questo è uno sguardo di insieme sulla condizione europea dopo il congresso di Berlino in cui si definiscono alcune scelte diplomatiche sulla divisione coloniale. Hobsbawm: “Il grande boom degli anni ‘50 segna la fondazione di un’economia industriale planetaria e di un’unica storia mondiale. I problemi sociali sembrano ora molto più controllabili grazie alla potente espansione economica, all’adozione di politiche e istituzioni conformi alle esigenze di uno sviluppo capitalistico non ostacolato.” Assistiamo alla forza di un’espansione di sviluppo capitalistico europeo in un contesto in cui i rischi rivoluzione sembrano limitati a portare una giustificazione all’imperialismo come nazionalismo fuori dai confini identitari. L’influenza politica, economica e militare europea si amplia perché lo sviluppo capitalistico porta una superiorità tecnologica dal punto di vista bellico: il contesto di guerra e la capacità di fare guerra degli occidentali, con armi automatiche, artiglierie ed esplosivi che determina una capacità di porsi territorialmente nel contesto extraeuropeo molto diversa. Il quadro di sviluppo economico, di ampliamento e di espansione commerciale e di necessità di ricerca di nuovi mercati e nuovi investimenti è quello che ci propone Lenin all’interno dell’imperialismo come fase suprema del capitalismo. Ci presenta l’imperialismo come fase definitiva del capitalismo che ha saturato i mercati interni e ha una spinta verso l’esterno. In realtà è molto più di questo perché c’è anche una dimensione di sostegno di identità culturale legate al nazionalismo e al razzismo. L’espansione coloniale occidentale di questo periodo ha nuovi protagonisti, non è più un’operazione solo della Gran Bretagna, della Francia, dell’Olanda, della Russia e tantomeno delle due potenze coloniali in declino (Spagna e Portogallo) ma vede nuovi protagonisti negli Stati Uniti, nel Giappone e anche nuovi stati come Germania e Italia. La necessità di avere una dimensione di espansionismo coloniale anche minore diventa centrale nella costituzione di quel senso di identità nazionale e di grande potenza. Ma abbiamo anche delle forme di colonizzazione prettamente economiche con nuove potenze economiche commerciali e nuovi mercati e aree di investimento. Colonialismo economico e commerciale: Stati uniti su America Latina centromeridionale in cui la dimensione di conquista dei mercati e presenza di società economiche sovranazionali è in grado di determinare la politica dei singoli paesi Conquista diretta: continente africano. Volontà diplomatica degli stati nazione di spartirsi l’Africa. Capacità di suddividersi il territorio. Erosione del territorio e conquista dell’Impero Ottomano con una conflittualità tra i singoli stati nazione. che saliva dentro lentamente. Quelli urlavano e saltavano, e giravano, e facevano smorfie orrende; ma quel che dava i brividi era il pensiero della loro umanità – pari alla nostra – il pensiero di una remota parentela con quel grido selvaggio e sfrenato. Brutt'affare. Brutt'affare davvero; eppure se eravate abbastanza uomini avreste dovuto confessare a voi stessi l'esistenza di un'eco, magari debolissima, alla tremenda franchezza di quel chiasso, un vago sospetto che contenesse un significato che noi – pur così lontani dalla notte dei primordi – potevamo comprendere. E perché no? La mente umana è capace di qualsiasi cosa – poiché racchiude in sé ogni cosa, tutto il passato e tutto il futuro.” Questa rappresentazione dello sguardo della foresta e dell’immagine di un diverso è primordiale, spaventosa e mostruosa eppure nella sua umanità scatena anche un senso di vertigine. Chiudiamo lo scenario nominando altri esempi di colonialismo: il protagonismo giapponese nella colonizzazione asiatica entra in contrasto con gli interessi russi nel 1907 la Russia riconosce L’influenza britannica sull’Afghanistan la conflittualità tra Francia e Gran Bretagna per il Sudan con una vera e propria crisi a fine Ottocento nel 1899-1902 la crisi anglo-boera: capacità e radicalizzazione di violenza ampie a fine secolo la guerra ispano-americana che vede un’altra area di interesse commerciale: il canale di panama aperto per collegare oceano atlantico e pacifico Guerre di espansione giapponese verso la Cina Crisi del Marocco che vede conflittualità tra Germania e Francia. Tentato protagonismo italiano sull’Etiopia. Inizialmente fallimentare poi tornerà sotto il fascismo Gli effetti demografici sulla dimensione extraeuropea sono devastanti. La gestione dell’impresa sia coloniale sia economica e politica porta milioni di vittime tra 1870 e 1914. Nello stesso tempo la rappresentazione per eccellenza dal punto di vista culturale e letterario rimane quella di una civilizzazione inevitabile. E’ forte la dimensione di giustificazione culturale sulla base della gerarchizzazione che viene raccontata come la necessità educativa verso la dimensione extraeuropea e quindi un racconto di innocenza dei conquistatori contro le razze inferiori. Lezione 14 ottobre: Violenza patriottica / Violenza coloniale Partiamo dalla battaglia di Solferino, siamo all’interno del quadro delle guerre di indipendenza italiane, è una battaglia del ’59 che vede contrapposte: la Francia di Napoleone III, alleata con il regno di Savoia (quindi regno di Sardegna e del Piemonte), contro l’impero austriaco. È una delle battaglie più sanguinose della fase risorgimentale, buon esempio della dimensione della violenza nazionalistica. Nelle lezioni precedenti abbiamo detto che le guerre nazionali di unificazione, dell’800 sono segnate, soprattutto per la definizione del regno d’Italia, da una serie di conflitti e da una retorica patriottica che vede nel cittadino in armi una delle strategie di costruzione dell’identità nazionale. Quindi le guerre di indipendenza italiane dal ‘48, ‘49, ‘50, ‘66, e la guerra franco prussiana, a cui si affianca quella di Crimea. Quindi una creazione di stati europei che passa attraverso la dimensione del conflitto rispetto a una diversa comunicazione della violenza. Immagini della guerra franco-prussiana: Ma che ha anche una nuova suggestione rispetto a una diversa comunicazione della violenza. Queste sono le prime fotografie di guerra, i campi sono molto lunghi, comincia a esserci una ricostruzione identitaria attraverso le divise, la fotografia, non solo attraverso i disegni. La fotografia permette anche di rendere meglio le conseguenze tragiche della guerra, per i segni delle violenze visibili in tutte le distruzioni. È un’immagine dell’esercito francese nella guerra. E questa è un’immagine altrettanto costruita, con una messa in posa dei soldati prussiani, in cui i caratteri propri nazionali diventano parte dell’identità: L’idea è di partire dalla battaglia di Solferino, qui ancora rappresentata in un disegno: Sulla destra ci sono dei corpi distesi a terra, ma non c’è la rappresentazione della reale ferocia che sembra invece esserci nella fotografia e nell’oggettività della dimensione fotografica. David Forgacs, Messaggi di sangue: la violenza nella storia d’Italia. Forgacs è un docente di italianistica presso la New York University e ci offre questa immagine della battaglia di Solferino come simbolo della violenza italiana. È in realtà un percorso sulla violenza che è anche propaganda e costruzione dell’identità nazionale. E lo fa attraverso le notizie ricavabili dalle notizie ufficiali dei diversi eserciti e dai corrispondenti di guerra stranieri e dalle stesse testimonianze, ci parla della violenza come una categoria tanto variabile nel tempo. Non è la violenza dello stato verso gli altri eserciti solamente, ma anche verso il lato inverno. Ci invita a guardare come la dimensione del racconto attraverso i mass media sempre più ampia, come la fotografia poi i filmati, la radio, sia da un lato la messa in luce istituzionale della ritorsione verso il nemico (la punizione), dall’altro un monito, le immagini di distruzione sono un monito per eventuali favoreggiatori in contesti di ribellione. Nello stesso tempo questa comunicazione è in grado anche di obliterare i casi di violenza, di distorcerla e non mostrarla nei casi più brutali. Quindi una violenza che è legittimazione di stato, che è propaganda, ma può anche tendere a diventare una dimensione di dibattito tra nazioni in cui lo sguardo dei corrispondenti esteri è molto diverso da quello italiano. Per la battaglia di Solferino diventa particolarmente importante la battaglia di Solferino perché viene considerata, soprattutto grazie alla cronaca di un corrispondente svizzero, Henri Dunant, che scrive Souvenir da Solferino (1862), che partecipa volontariamente alla cura dei feriti, diventa centrale perché propone per la prima volta la creazione di un’organizzazione di soccorso che sia imparziale, che aiuti i feriti lasciati sul campo di combattimento a prescindere dallo schieramento: è la base per la costruzione della Croce Rossa. Dal suo scritto nel ’63 avremo la costituzione di un’associazione che è precorritrice della CRI. È la più sanguinosa perché sul campo ci sono quasi 5000 uccisi (4873) e sono di tutti gli schieramenti, oltre 2000 austriaci, 1600 francesi, 7/800 italiani piemontesi/sardi. Oltre i 2000 sono i feriti abbandonati che muoiono nei giorni successivi. Una carneficina. Sarà uno degli eventi alla base di una sensibilità dei contemporanei per la definizione anche di nuove regole e usi di guerre, che definiscono i diritti dei feriti. La battaglia è riletta, dopo l’unificazione italiana, in versione patriottica, ma ha anche questo carattere di sensibilità nazionale rispetto alle cronache che vengono fatte nella battaglia. Parimenti alla costruzione di questi due nuovi stati nazionali e dell’identificazione italiana e tedesca, vi è anche un grande espansionismo europeo nella seconda metà dell’800, questo vale anche per il contesto italiano. Abbiamo accennato rapidamente all’esperienza fallimentare coloniale italiana per quanto riguarda la fine del secolo e nel primo decennio dell’esperienza unitaria, con i fallimenti dell’impresa in Africa che sono promossi dallo stato liberale con delle mire espansionistiche nel tentativo di farsi strada nella spartizione dell’Africa in Etiopia. Carta dell’Africa orientale italiana in Etiopia: Se l’Italia mostra di essere incapace di diventare nuovo paese colonizzatore, sarà il fascismo a riuscire a dare materialità a questo sogno con la definizione dell’Africa italiana. Anzi, le due sconfitte che rimangono storiche per l’Italia liberale sono: la sconfitta di Eugale (1887) e quella di Adua (1896). Sono alla base sia di una insoddisfazione per la chiusura della prima guerra mondale, con i trattati di Versailles del ’19, ma anche per la fame coloniale dell’Italia che si mostra come grande proletaria: paese di nuova istituzione e anche diversa nel suo imperialismo rispetto ai grandi stati nazionali come Gran Bretagna (il colonialismo italiano si inserisce totalmente nel mito dell’italiano=brava gente). Prima del fascismo c’è un altro step: la guerra italo-turca 1911-1912, che vede la conquista della Libia e che rimarrà famosa per la politica di deportazione nei campi di concentramento della popolazione civile all’interno di questo quadro, ma anche qui abbiamo un’esperienza cardine: c’è un massacro, quello di Tripoli, che avviene nel 23/27 ottobre 1911, che rimane particolarmente esplicativo rispetto all’esperienza di violenza coloniale italiana. Si tratta di una rappresaglia che avviene dopo un attacco subito dai bersaglieri italiani il 23 ottobre da parte dei volontari arabi a Sharashat, dove muoiono 4/500 bersaglieri italiani. Nei giorni successivi ci sarà una reazione vendicativa indiscriminata contro la popolazione intera, che è sostenuta da due elementi cardine, desumibili dalle testimonianze, dalle posizioni istituzionali dell’Italia liberale ma anche dalle cronache straniere, che mostra una connivenza delle potenze europee rispetto a questa esperienza italiana, che non ci sarà nessun processo, né inchiesta. L’esercito italiano viene lasciato libero di sterminare il popolo arabo civile con una ferocia che sembra sostanziata da: Il tradimento: l’Italia costruisce una propaganda di guerra rispetto all’impresa in Libia che descrive la popolazione araba come amica, è una guerra contro la Turchia e l’impero ottomano, ma per conquistare un territorio che vuole essere liberato e vede una predisposizione positiva nei confronti dell’azione italiana, in realtà questo attacco a Sharashat mostra che non è così. Le testimonianze dei commilitoni che assistono all’uccisione dei propri compagni e vedono i cadaveri immediatamente dopo questo attacco. Dei cadaveri italiani ritrovati mostrano segni di tortura. Felice Piccoli, soldato italiano, scrive nel suo diario il 24 ottobre: ‘Troviamo un morso riverso a terra completamente nudo lo giriamo per vedere se qualcuno di noi lo conosce, è in uno stato che fa agghiacciare noi tutti: gli hanno tagliato le parti genitali e gliele hanno messe in bocca’. La parte mitica e reale di queste torture subite dai soldati italiani suscita un attacco, e rafforza il preconcetto europeo sulla rappresentazione delle popolazioni indigene come selvagge e incline a metodi brutali e addirittura in qualche modo giustifica la reazione non controllata delle truppe italiane, questo anche dal punto di vista dell’opinione pubblica europea in generale (=corrispondenti di guerra inglesi e francesi). Forgesch ci dice: ‘La logica della rappresaglia era che gli arabi non seguivano le regole di una guerra civile civilizzata e allora neppure gli europei erano tenuti a rispettare quelle regole. È la base di una guerra asimmetrica che viene accettata con la collusione delle altre potenze coloniali e che non determina nessun altro tipo di inchiesta successivo. Addirittura, sotto il fascismo questa esperienza diventerà uno dei quadri del ‘monumento ai bersaglieri’, edificato nel decennale della marcia su Roma, a Roma. Soltanto nel 1998 abbiamo un primo comunicato congiunto dei ministeri degli esteri italiano e libico, in cui si esprime da parte italiana il rammarico per le sofferenze arrecate al popolo libico a seguito della colonizzazione italiana. Ma è il ‘rammarico’ non la responsabilità. E c’è un’attenzione nei confronti della Libia che riguarda gli interessi economici alla fine del secolo. Le mire espansionistiche fasciste tornano a rivolgersi verso l’Etiopia soltanto negli anni ’30 e in particolare nel ’35 e lo fanno mostrando ancora la particolarità del caso italiano: in un momento in cui tutto questo sembra anacronistico. Negli anni ’30 del 900 le maggiori potenze coloniali hanno limitato, rispetto alle fasi centrali dell’imperialismo, la loro retorica culturale nei confronti delle popolazioni indigene rispetto alla dimensione di asimmetria. Ma è proprio in questo contesto che il fascismo in realtà cerca di conquistare l’Etiopia che è rimasta una delle poche parti del contesto africano indipendente. Lo fa a partire dagli avamposti di occupazione in Eritrea e Somalia precedenti. Lo fa molto rapidamente, tra il ’35-36 e in una condizione che vedeva un imperatore del territorio etiopico, che in realtà controllava non completamente il territorio, ma che Alleh Salasì, aveva attivato un processo di modernizzazione e accentramento del potere. Questo impero aveva resistito alle offensive italiane tardo-ottocentesche ed era teoricamente tutelato dal diritto internazionale, perché l’Etiopia aveva aderito alla società delle nazioni, dopo la prima guerra mondiale, nel ’23, e con l’Italia aveva siglato un rapporto di pace nel ’28. Nonostante questo, nel ’35 il ministro delle colonie Emilio De Mono viene designato in Eritrea per dirigere le operazioni. Comincia a mandare contingenti di truppe sul territorio africano con un trasporto di armamenti di automezzi che prepara alla guerra. Contemporaneamente viene affidato il fronte secondario somolo al generale Rodolfo Graziani. Il conflitto si scatena nell’ottobre del ’35 e prima che si scateni con la scusa di una scaramuccia ai confini che determini poi a livello internazionale la giustificazione dell’azione italiana, abbiamo un contingente che vede 190.000 soldati italiani in Eritrea, 23.000 in Somalia e anche a fianco delle formazioni dell’esercito regolare la presenza delle camicie nere. A cui si aggiungono gli ascari, truppe indigene, che sono circa 82.000 che vengono utilizzate in Etiopia, nella conflittualità interna. È il più grande esercito che uno stato europeo ha mai impiegato sul suolo africano. Siamo in una fase della dimensione tecnologica europea molto avanzata, nella guerra di Etiopia è presente l’aviazione e l’uso indiscriminato dei gas, come guerra chimica, che è già stata bandita dalla Società delle Nazioni, rispetto a dei protocolli a cui l’Italia ha aderito ma che viene utilizzata su volontà del generale Pietro Badoglio all’interno della guerra. I soldati italiani continuano ad aumentare nel corso dei 7 mesi di guerra e alla fine del conflitto ammontano a circa 330.000 Queste sono immagini della campagna d’Etiopia, ci sono truppe normali, mitragliatrici… …poi le Camicie Nere, il contingente italiano di militanti dipendenti dal partito nazionale fascista. Hailé Selassié, raccontando la vicenda italiana in Etiopia, dice: ‘Speciali spruzzatori furono installati a bordo degli aerei, in modo da poter vaporizzare su vaste superfici i gas letali sotto forma di una pioggia sottilissima. Gruppi di 9-15-18 apparecchi volavano disposti l’uno dietro l’altro in modo che la nebbia che si emetteva formasse una pioggia continua, una barbarie che aveva raggiunto un culmine di sofisticazione che portava la devastazione e il terrore nelle zone più densamente popolate del paese, le più lontane dall’ostilità. Questa spaventevole tattica ebbe successo, gli uomini e gli animali soccombevano e tutti gli esseri viventi toccati dalla pioggia precipitavano urlando dal dolore, anche chi beveva acqua avvelenata o mangiava cibo infettato moriva soffrendo terribilmente. L’Italia ha fatto decine di migliaia di vittime, io sono qui per testimoniare come il delitto perpetrato a danno del mio popolo, e mettere l’Europa in guardia contro la catastrofe che l’aspetta, se mai dovesse accettare il fatto compiuto. Io chiedo alle 52 nazioni di non dimenticare oggi l’impegno preso 8 mesi fa, sul quale io ho fatto assegnamento nel guidare la resistenza del mio paese contro l’aggressore che esse avevano denunciato davanti il mondo. Malgrado l’inferiorità degli armamenti, la completa mancanza di aeroplano o artiglieria, munizioni e servizio ospedaliero, la mia fiducia verso le Nazioni era assoluta. Ritenevo impossibile che 52 nazioni tra le quali c’erano le più potenti potenze del mondo, finissero col piegarsi davanti a un unico aggressore, in nome del popolo etiopico, membro della Società delle Nazioni io chiedo di adottare tutte le misure necessarie per assicurare il rispetto del patto. Io chiedo alle 52 nazioni, che hanno promesso al popolo etiopico di aiutarlo con la sua resistenza contro l’aggressore, che cosa intendono fare per l’Etiopia? ’ E la risposta della società delle nazioni è nulla: ci troviamo già in un periodo in cui il rischio potenziale, a livello internazionale, di un avvicinamento, che ormai è prossimo, tra le vie espansionistiche italiane e quelle tedesche, sì che le maggiori potenze europee preferiscano avere un atteggiamento di accettazione nei confronti dell’Italia. Sperano in una posizione di Mussolini che mitighi gli atteggiamenti della Germania nazista. La società delle nazioni e il suo ruolo crollano, non avendo nemmeno aperto un’inchiesta sulla questione dell’Etiopia. Rimanendo sull’utilizzo dei gas durante il conflitto: testo di Filippo Colombara, Raccontare l’Impero: una storia orale nella conquista di Etiopia. Raccoglie una serie di interviste di italiani presenti sul campo di battaglia, nel territorio piemontese tra fine anni 80-inizio 90, quando ancora questo utilizzo dei gas non è un elemento riconosciuto dallo stato italiano. Il riconoscimento avverrà negli anni ’90 con una campagna di stampa che coinvolge due figure per eccellenza: uno storico contemporaneista, Angelo Del Boca, dall’altro, anche sui giornali, la presa di posizione è di completa negazione di questo utilizzo da parte del giornalista Indro Montanelli, sarà solamente a cavallo degli anni ’90 che vi sarà una presa di posizione dello stato maggiore nell’esercito. Queste interviste precedenti mostrano ancora un’ingenuità dei testimoni nel dire quello che ricordano. Carlo Tocca dice: ‘C’erano centinaia di aeroplani che continuavano a buttar giù’ Intervistatore: ‘Voi eravate già a conoscenza dell’uso del diprite?’ C: ‘No, l’han detto subito dopo, il nostro comando ci ha riuniti e ci ha fatto questa spiegazione: se vedete delle macchie gialle come il fiore delle ginestre, state attenti a non toccarle perché siete andati. Siccome loro – gli abissini – erano tutti scalzi e non sapevano, morivano, questa povera gente. E come potevano curarsi?’ I: ‘Lei ne ha visti di morti di diprite?’ C: ‘Sì perché lì sull’Amaradam non so i morti, chi andava a contarli, di qui e di là, una montagna grande, ma sicuro 20/30.000 morti’. Immagine sulla propaganda uso gas <- Immagine dell’imperatore etiope -> Immagine del generale Graziani sul campo -> E vi sono ovviamente posizioni diversificate tra i testimoni, tra chi ricorda e fuori dalla polemica racconta di questi corpi carbonizzati, con le vesciche lasciate dal gas velenoso e invece chi nega già alla fine degli anni ’80. Ma non è solo l’utilizzo dei gas ad essere autorizzato dal generale Badoglio, ma anche l’opposizione alla resistenza interna, in questo processo di pacificazione, che viene gestito sotto il controllo di Rodolfo Graziani, viceré dell’Etiopia, a partire dalla conquista negli anni successivi. Ed è costellato da una serie di grandi operazioni di polizia, che però cerchiamo di guardare nelle loro caratteristiche attraverso tre grandi eccidi italiani: 1. è l’eccidio di Addis Abeba del 21 febbraio del 1937, conosciuto anche come la strage dello ‘Yokathit’ (?), che avviene dopo il tentativo di attentato del 19 febbraio 1937, durante una manifestazione organizzata in onore della nascita del primo genito di Umberto di Savoia e in cui i 2 attentatori eritrei lanciano bombe nel tentativo di uccidere il viceré Graziani, il quale viene ferito dalle schegge, ma non muore. Ci sono 7 morti italiani e 50 feriti, ma l’attentato è soprattutto (come nel caso di Tripoli) l’innesco di una serie di giornate di violenza incondizionata nei confronti della popolazione civile, e di un vero e proprio sacco della capitale, tra il 19 e il 21 febbraio, che coinvolge sia i militari italiani, sia i militi fascisti delle camicie nere, sia gli stessi civili italiani presenti nel territorio di Addis Abeba. Se c’è un primo momento in cui, nelle ore successive all’attentato, sono i soldati italiani che reagiscono violentemente nella cerimonia pubblica alla presenza di 2000 etiopici in cui venivano distribuiti beni ai poveri, queste persone presenti nel momento dell’attentato vengono immediatamente rastrellate e uccise sommariamente dai soldati italiani. Nello stesso tempo, nei due giorni successivi all’attentato, si lascia mano libera soprattutto alle milizie fasciste e ai civili italiani che operano un rastrellamento di caccia all’uomo nelle case e nella capitale con qualsiasi mezzo. Non vengono solo uccisi e fucilati i prigionieri, ma la popolazione civile, comprensiva di donne, bambini, viene uccisa a pugnalate, infilzata da baionette, con un lanciafiamme, in parte i corpi vengono anche legati ai camion e trascinati per la città. È un’azione dal sapore squadrista, con una forte volontà di vendetta, sono uccisi e bruciati nelle abitazioni. Del Boca quantifica la strage in quasi 3000 uccisi, ma in realtà il governo etiope ha una stima di migliaia di uccisi. Il 15 marzo del ‘37 il governo etiope denuncerà questa strage alla società delle nazioni, non ottenendo nemmeno un’inchiesta. Il dossier del governo etiope verrà arricchito di testimonianze negli anni, fino alla fine della II guerra mondiale e nel ’49 l’Etiopia chiederà l’estradizione di dieci criminali di guerra italiani, tra cui Badoglio e Graziani, sia per l’utilizzo dei gas, sia per questa strage, non ottenendo nulla. La denuncia viene presentata come dossier all’ufficio delle nazioni unite per i crimini di guerra, ma non porterà a nessun processo per crimini di guerra. A fianco a questo eccidio per l’attentato a Graziani, abbiamo un successivo eccidio a Debra Libanos tra il 21 e il 26 maggio del ’37, è una città situata a 30 km dalla capitale, dove risiedono i monaci copti e dove viene individuata, secondo Graziani, l’origine e la complicità nell’attentato di Addis Abeba. L’incarico di prendere la città è dato al generale Pietro Maletti che il 19 maggio giunge a Debra Libanos con l’ordine di sterminare i monaci copti e di agire in un luogo privo di testimoni. La strage avviene in due località e tempi diversi, una il 21 maggio, vengono caricati i monaci e trasportati a pochi chilometri, allineati sull’argine di un fiume e fucilati in massa dagli italiani, proprio con l’idea di non lasciare traccia dei cadaveri. Tre giorni dopo, chi era stato risparmiato del convento, viene intercettato e Maletti porta a termine un altro pezzo della strage a Egeca dove vengono scavate due fosse comuni per ammassare i cadaveri di 129 diaconi e di altri 266 etiopici della popolazione civile, non religiosa. Questa fase particolarmente cruenta delle operazioni di polizia fascista si chiude apparentemente nel novembre del ’37 con un cambio di responsabilità all’interno del territorio dell’Africa orientale italiana. La responsabilità viene tolta a Graziani, considerato eccessivamente radicale nell’azione di repressione e viene affidata invece come viceré ad Amedeo duca d’Aosta. In realtà è una falsa mitigazione delle azioni italiane, nel ’39, dopo un anno e mezzo che c’è Amedeo d’Aosta, ha luogo un’altra strage particolarmente importante per la radicalità del combattimento italiano, che rimane dimenticata nel contesto italiano fino al 2006, la riemersione si deve a Matteo Domenico Dominioni, si tratta dell’eccidio di Zeret del 3 novembre del ’39, siamo nell’altopiano del Gogian e la vicenda ha a che fare con un’azione di polizia coloniale condotta contro una banda partigiana che, in fuga dalla polizia italiana nei pressi della città di Zeret. Questo l’immagine della statua di Indro Montanelli, nei giardini pubblici di Milano, che è stata imbrattata. Montanelli come figura di giornalista al centro di una sottovalutazione coloniale italiana in quanto, da una parte al centro di quel dibattito e di quel confronto pubblico sui giornali rispetto all’uso dei gas da parte italiana nel contesto dell’Africa orientale e al contempo per la sua esperienza personale di aver accolto anche una moglie-bambina etiope. È la contraddizione di statue che richiamano al razzismo o al colonialismo, aprendo un dibattito sulla monumentalistica, se vada distrutta o reinterpreta. Al di là di Montanelli e di luoghi cardine del fascismo, anche in regione esistono dei richiami e monumenti abbastanza macroscopici, un caso è l’esempio di Vittorio Bottego, un esploratore parmense, che in realtà compie una serie di imprese nel contesto dell’Etiopia a fine ‘800 e che si macchia anche di una serie di violenze nei confronti della popolazione civile in queste imprese economiche. Immagine dell’occupazione di Asmara del 1889 🡪 Immagine del monumento alla sua memoria edificato a Parma. Le sue imprese si compiono tra il 1891 e il 1895 e soprattutto sono indirizzate a individuare delle vie d’accesso per l’Etiopia meridionale, consentendo una via d’accesso per il controllo del territorio italiano. Lo fa con contingenti italiani e di nativi e viene anche ritenuto colpevole di violenze alla popolazione civile, di razzie al territorio, riesce ad arrivare fino a 300 km da Addis Abeba, mentre in realtà era in atto la sconfitta di Adua, perché la sua impresa come esploratore avviene negli anni in cui si compie la sconfitta di Adua del ’96. Muore in Etiopia nel ’97 e gli viene edificato questo monumento a Parma, foto di oggi 🡪 è fuori dalla stazione, Bottego è rappresentato sopra una rupe in posizione eretta con una mano in tasca, l’altra sulla spada, che domina una coppia di africani distesi a terra in un atto di sottomissione. Questo monumento nel fascismo fu poi rivisto nel significato. Nel ’97 gli assessori alla cultura a Parma presentano un convegno sulla figura di Bottego: ‘Si tratta di un Bottego armato, marzialem che domina due indigeni, con un’iconografia che vuole significare certamente i territori sopraffatti da Bottego, ma vuole anche evidenziare un non mascherato sentimento razzista di superiorità dell’uomo bianco dominatore, quel che è certo è che nel centenario della sua morte si può ripensare alla sua figura, esploratore, naturalista, uomo d’arme, avventuriero, e insieme ripercorrere le vicende delle guerre africane, del colonialismo italiano ed europeo e del nostro rapporto con la cultura d’Europa e di Africa’. Questa immagine viene ripresa dal giornalista Giorgio Torelli: ‘Ogni volta che torno a Parma ecco che mi trovo davanti al monumento di Bottego, contornato da due guerrieri in atto di sottomissione, Giuba e Lomo, stanno lì buoni buoni. Quando mi fermo a salutare il capitano sono spesso raggiunto da un pensiero: prima o poi dal crescere degli extra comunitari neri di Parma si leverà una voce perché Bottego venga rimosso dal piedistallo glorifico? Al mondo accade di tutto e non vedo perché anche questo non dovrebbe avere luogo’. LEZIONE 18 OTTOBRE 2021 Sguardo relativo al contesto geografico, gli equilibri delle nuove alleanze, quali sono i quadri di cambiamento territoriali che portano ad una nuova definizione di conflittualità da una parte e quindi di nuovi confini all’interno della prima guerra mondiale. PREMESSSE: crisi progressiva dell’impero ottomano, una crisi con perdita progressiva di territori che è già un momento cardine nel quadro dei monti del 20, con la Grecia e l’indipendenza greca che dopo si amplia nell’800 e nel primo decennio del 900. Ultima lezione si fa riferimento alla guerra Italo-Turca e alla Libia, e quindi anche la perdita del quadro territoriale della Libia; ma è progressiva questa dimensione. Primo scenario di fondo insieme alla crisi dei Balcani che ci porta a guardare alle nuove alleanze. Ci siamo lasciati con un quadro dell’emersione di una nuova forma di nazionalismo aggressivo e di patriottismo anche imperniato di una nuova cultura ottocentesca della guerra e del senso di importanza degli eserciti e dei soldati. L’unificazione tedesca è strettamente legata anche alla guerra franco prussiana, nella quale non solo vi è la costruzione di una dimensione di identità anche legata ai simboli, alle divise; ma è centrale della perdita francese dell’Alsazia-Lorena, e di una conflittualità tra Francia e Germania che rimane al centro delle fasi successive. Guerra Franco-Prussiana, momento cardine nella costituzione dell’impero tedesco, ma anche con una caratteristica conflittualità. Nello stesso momento, la situazione balcanica e nuovi nazionalismi, con una competizione rispetto al disfacimento dell’impero ottomano. In questo contesto di fine 800 abbiamo anche accennato alla conflittualità delle potenze sulla dimensione coloniale africana e anche in questo caso con una conflittualità tra la Francia e la Gran Bretagna. Per esempio per quanto riguarda l'area del Marocco o anche della Russia, della Gran Bretagna per l’Afghanistan questi equilibri che riguardavano la dimensione coloniale e quindi una nuova spartizione. Abbiamo visto con nuove potenze emergenti da una parte anche la presenza tedesca e dall'altra in minima parte anche quella italiana ma con un attivismo anche in particolare delle nuove potenze europee, per quanto riguarda appunto la spartizione africana. Il quadro europeo che è un quadro in movimento, in quel nuovo senso dell'identità nazionale, produce nuove rivendicazioni e nuove richieste di popoli che rivendicano un'identità nazionale che si rifletta i nuovi stati. Abbiamo nel 1873 una alleanza che in realtà richiama gli equilibri passati tra i tre imperi tra i tre imperatori, quindi abbiamo un'alleanza tra il nuovo impero austro ungarico appunto definito con la doppia monarchia, l'impero russo e l'impero tedesco. Un'alleanza in funzione antifrancese e questa in qualche modo sembra essere anche un'alleanza che vuole già vedere delle forme di cooperazione per capire come spartirsi quello che si libera dell'impero ottomano rispetto a questo può ottenere dell'impero ottomano. Sempre meno chiaro nello stesso tempo a fine 800 abbiamo un atteggiamento sull'Europa continentale da parte della Gran Bretagna di estraneità. Le contese di potere, gli equilibri di potere per quanto riguarda l'area continentale e la crisi dell'impero ottomano quella che mette in evidenza in realtà una conflittualità anche tra questi stessi paesi alleati, cioè il quadro di una sempre maggiore volontà espansionistica sia dell'Austria Ungheria sia della Russia nei confronti della stessa area balcanica e di perdita dell'impero ottomano. Nel 1865- 76 abbiamo appunto il profilarsi di una serie di rivolte indipendentiste nell'area balcanica cioè nella Bosnia Erzegovina, in Montenegro, in Bulgaria e che sono duramente represse dall'impero ottomano, anche a scapito delle comunità cattoliche che tendono a fuggire verso l'Austria. Le dure repressioni diventano in qualche modo una scusa anche per l'intervento e in realtà non solo russo, in questo caso abbiamo una situazione dell'impero ottomano che vede anche una crisi dinastica interna, tant'è che verrà concessa una costituzione in questi anni che sarà ritirata già nel 1878 e che poi verrà invece ripristinata qualche anno dopo. E’ la guerra russa umana quella che cambia un po’ gli equilibri interni a livello continentale, cioè nel 1877-78 abbiamo un conflitto, appunto una presa di posizione della Russia nei confronti di queste ribellioni all'interno del quadro ottomano dei Balcani che si concluderà nel 78 con un trattato di pace il trattato di Santo Stefano; che definisce la nascita di uno stato bulgaro indipendente, però sotto l'influenza russa, di uno stato che in questo caso è abbastanza ampio. Anche l'indipendenza degli Stati della Serbia e del Montenegro e della definizione anche di uno stato rumeno, che unisce i principati di Moldavia e Valacchia e quindi una nuova configurazione di una influenza russa sui Balcani, che cambia gli equilibri e non viene assolutamente accettata in realtà nè dall'Austria Ungheria né in realtà suscita l'attenzione anche della Gran Bretagna. E l'equilibrio è talmente messo in discussione da far sì che Bismarck scelga di convocare una conferenza a Berlino, nel 1878, per definire in forma diplomatica e concordata un nuovo assetto della sfida dei Balcani. L’impero ottomano è praticamente estromesso dall’Europa, come controllo del contesto europeo e balcanico. Ed è questo quindi rafforzamento dei paesi minori e delle identità minori nazionali dell'area dei Balcani, che si costruisce un quadro di potenze tra la Serbia e l'Austria Ungheria. I confini del 13 che vendono anche la differenza dei possedimenti dell'impero ottomano e quindi la perdita completa da parte dell'impero ottomano della Macedonia e la costituzione di questi paesi per quanto minori che avanzano anche con delle rivendicazioni nazionaliste abbastanza chiare. La scintilla della prima guerra mondiale è proprio legata a questo contesto quindi a Sarajevo, in Bosnia Erzegovina perché è annessa in questo momento al contesto austro ungarico ed è un attentato contro l'erede al trono, l'arciduca Francesco Ferdinando da parte di un nazionalista serbo. In questo quadro di terrorismo che vede fondamentalmente dei gruppi nazionalisti Bosniaci nel tentare di forzare una situazione all'interno di un'occasione pubblica. In più l'attentatore ucciderà l'erede al trono e la consorte avvicinandosi e sparando a bruciapelo. Lo scopo dei gruppi di opposizione terroristica è quello di forzare una nuova posizione, anche dell'erede al trono, di maggiore riconoscimento nei quadri di indipendenza all'interno anche dello stesso impero austro ungarico. Proprio perché c'è una posizione di relativa apertura dell’azione terroristica, l’Ungheria si pone di fronte all'attentato in maniera molto radicale dando un ultimatum alla Serbia che prevedeva non solo la condanna di qualsiasi tipo di propaganda da parte dell’opposizione anche austriaca ma anche della Serbia ma anche la condanna e l'individuazione dei responsabili. Però anche l'apertura di un'inchiesta su quali siano i responsabili dell'attentato e sul successivo processo, che però richiede un elemento simbolico che viene reso come una scusante, anche per innescare un conflitto armato che prevede la partecipazione diretta di magistrati d’Austria. Si parla di cheong easy cioè è la richiesta di giustizia sui supposti responsabili che sia gestita fuori da un controllo nazionale della Serbia e la Serbia non accetta quest'ultimo punto. L’Ungheria un mese dopo l'attentato dichiara guerra alla Serbia attuando il meccanismo delle alleanze che fa scattare immediatamente una guerra progressiva, inserendo tutti gli altri paesi chiamati in causa. Attuato da un sistema meccanico di correlazione tra le alleanze difensive per cui ci troviamo di fronte nell'arco di due settimane, al coinvolgimento di tutte le grandi potenze europee. E’ una condizione europea di guerra che in qualche modo vi propone uno scenario di guerra, che non si vede dalle guerre napoleoniche, che non coinvolge l'intera Europa, e che dalle guerre napoleoniche non ha questa estensione e lo fa dopo quasi 100 anni di pace a livello internazionale. Rispetto a una cultura che ha un’idea del conflitto del nuovo armamento che permetterà una guerra veloce, ma anche perché quella cultura nazionalista e intrisa anche di celebrazione della guerra e della dimensione di guerra come affermazione delle identità nazionali. E anche il ruolo della partecipazione alle guerre dei singoli e dei soldati come forma di cittadinanza come nuovo patriottismo fa sì che in realtà la prima reazione culturale all'interno delle opinioni pubbliche europee, via via coinvolte, è quasi sempre pieno di entusiasmo per questo nuovo conflitto europeo. Con l'illusione che si possa trattare di una nuova definizione di equilibri internazionali ma che sarà particolarmente rapida che sottovaluta il contesto generale. Il meccanismo delle alleanze inizia nell'agosto del 14 e alla fine vedrà scendere al fianco della Serbia, la Russia, la Francia, la Gran Bretagna per il meccanismo di collegamento che ci propone l'intesa; a cui poi si aggiungerà il Belgio e successivamente il Giappone che avrà un interesse a entrare in guerra relativo alle colonie in Estremo Oriente nel pacifico, in posizione anti tedesca. Con un anno di ritardo entra in gioco anche l'Italia. Al contesto italiano da parte della triplice intesa si assoceranno anche il Portogallo, Romania, Grecia e soprattutto a partire dal 1917 gli Stati Uniti che diventano centrali nel definire un equilibrio diverso di guerra. Il quadro dell'Italia è un quadro particolare dal punto di vista del dibattito pubblico interno, perché in realtà vede un dibattito pubblico abbastanza ampio prima dell'entrata in guerra e che non a caso è ritardata nel 15. In realtà l'Italia sarebbe chiamata entrare in guerra a fianco degli imperi centrali per la triplice alleanza e non è che non venga chiamata farlo ma entra in guerra dopo aver sottoscritto nella primavera del 15 il patto di Londra. E quindi in questo nuovo scenario di guerra in cui l'entrata in guerra dell'Italia è contesa sia da uno schieramento che dall'altro per aver ottenuto tutti quei possedimenti a cui mirava. Per cui da una parte le terre irridenti, dall'altro ottiene con il patto di Londra la promessa di ottenere il Tirolo meridionale, l'Istria e la Dalmazia e addirittura un protettorato sull'Albania e una parte anche dell’Anatolia, e quindi la spartizione della Turchia. I fronti interni politicamente del contesto italiano sono veramente variegati e c’è nel contesto italiano un dibattito fra interventisti e neutralisti che vede posizioni e profili molto diversi; cioè da una parte i neutralisti, cioè i socialisti che punta ad un'identità di classe che è internazionalista quindi che di fronte al conflitto dovrebbe mantenere fede ai probi principi e porsi quindi in una posizione neutrale, ma non sarà così a livello internazionale. In realtà il socialismo, l'organizzazione internazionale socialista, va profondamente in crisi di fronte a questo contesto di guerra e saranno attivi in pochissimi contesti nei quali paesi socialisti non prendono posizione e mantengono una alleanza internazionalista. Così non sarà in Italia, nel senso che nel contesto italiano la dimensione della posizione dei socialisti con qualche eccezione, cioè con Benito Mussolini e con le pagine dell'Avanti prende una posizione diversa. Nello stesso tempo c'è una grande altra culturale che è quella cattolica, cioè nel senso che è lo stesso Papa a porsi in un'altra posizione, contro il conflitto e abbiamo una parte gli anarchici sindacalisti che vedono nella guerra la possibilità rivoluzionaria. La prima guerra mondiale porterà un altro tipo di scenario che sarà quello di un confronto tra rivoluzione e controrivoluzione nella sua parte finale perché sarà attraversata dall'esperienza russa e dalla rivoluzione. E nello stesso tempo abbiamo un momento da parte degli interventisti rispetto alla attivisti e sarà soprattutto governativo ma anche politico, che vede appunto una posizione interventista rivoluzionaria ma anche nazionalista, ma anche dei democratici, di coloro che vi vedono nella guerra la possibilità di un'affermazione un’identità nazionalista democratica all'interno dell’Europa. Ma anche un interventismo di stampo liberale quindi vedono anche delle contraddizioni interne attraverso la firma del patto di Londra nella primavera del 15. L’Italia in realtà entra in guerra il 24 maggio e lo fa dopo una fortissima campagna, non solo di scontro all'interno del governo con la dimissione di Salandra e poi la sua riconferma con una famosissima presa di posizione pubblica, ma anche di intellettuali nella tranquilla figura dominante di D'Annunzio e dei suoi discorsi a favore di un interventismo di guerra dell'Italia. Un interventismo di guerra che nei suoi discorsi sovrappone con la dimensione patriottica risorgimentale. Dunque la presa di posizione in termini di volontari che partecipano alla prima guerra mondiale come hanno partecipato al Risorgimento, ma dall'altra parte dello schieramento vedremo invece gli imperi centrali e quindi l'Austria, Ungheria alleata con la Germania e poi con l'entrata in guerra. Come si è visto negli equilibri di alleanze e della triplice alleanza soltanto la Germania risponderà alla chiamata del l'Austria, l'Italia no. i quadri di diversi fronti di guerra che vedono nella parte finale della guerra la dimensione russa ma che riguarderanno anche l'esperienza tedesca in realtà, perché la Germania esce dalla prima guerra mondiale e firma un armistizio separato esattamente come la Russia per una riduzione scoppiata a Berlino che porterà alla destrutturazione dell'impero e alla Fondazione di una Repubblica che è poi la Repubblica di Weimar. E che costringe la Russia ad uscire dalla prima guerra mondiale e diciamo dal punto di vista degli accordi e delle rivendicazioni. la prima guerra mondiale, una guerra molto lunga rispetto alle aspettative dell'opinione pubblica europea ed è una guerra che viene voluta inneggiata dalle opinioni pubbliche, che mostra un furore patriottico in realtà dell'europa e che travolgerà i partiti socialisti e ci sarà un tentativo da parte socialista di conferenze internazionali nel 15 e nel 16 ma che in realtà mostreranno l'incapacità e l'inconsistenza di questa identità rispetto alla dimensione nazionale e nazionalista. Ma è una guerra soprattutto che coinvolge un'intera generazione che in quel momento, cioè tra il 14 e il 18, tra i 18 e 30 anni viene coinvolta in maniera totalizzante, nel senso la chiamata alle armi e la prescrizione diventa obbligatoria, quindi un'esperienza comune ma anche un'esperienza globale. E da questo punto di vista riguarda appunto tutti gli uomini di una generazione che segnerà la memoria di una generazione tecnologia di armamenti e quel salto tecnologico sulla capacità di uso dei nuovi armamenti per uccidere che lascerà un trauma e produrrà rispetto al numero di uomini coinvolti un 20% di tra morti invalidi e mutilati. E un'esperienza di guerra brutale e nelle forme perché si ripercuote sull'esperienza dei singoli, ma si ripercuoterà in maniera visibile anche sull’esperienze politiche successive alla guerra e di assuefazione alla morte di brutalizzazione di dimensione di violenza esperita e considerata normale che sarà visibile nell’uscita dalla prima guerra mondiale, soprattutto di quelli che diventeranno i paesi che avranno una svolta autoritaria e totalitaria. Coinvolge 70 milioni di soldati di cui 10 milioni restano uccisi e i 30.000 feriti, ma i feriti di fronte a una tecnologia così ampia di armamenti significa anche un numero molto alto che viene stimato in circa 8 milioni di invalidi mutilati e ciechi traumatizzati. Il nuovo armamento e le facce sfigurate e i corpi mutilati sono centrali nell'immaginario della prima guerra mondiale. E’ una guerra che si pensava fosse una guerra veloce invece diventa una guerra di trincea con un conflitto in realtà statico, che vede vivere i soldati all'interno le basi delle trincee in condizioni sia igieniche che alimentari che di vita inaccettabili. In realtà prevedeva degli assalti all'arma bianca, tra le due trincee, con una potenzialità di uccisione per essere sotto il tiro dell'artiglieria nemica, che va a produrre delle vere carneficine. In realtà nella terra di nessuno tra le due trincee contrapposte nei fronti di guerra i corpi, per il pericolo di recuperarli, venivano abbandonati a se stessi; quindi è una convivenza con il corpo dei compagni morti e con l'odore della morte. Che ha impedito alla Germania di portare avanti la guerra e quindi sarà considerato un tradimento interno; la famosa pugnalata alla schiena e la rivendicazione di una dimensione nazionalista di corpi speciali che sarà la base di quella che sarà la storia successiva della Germania. Il fronte orientale è un fronte apparentemente in maggiore movimento vede contrapposte la Germania e la Russia e nella prima fase di guerra fino al 1915 i tedeschi riescono in realtà ad andare verso il territorio russo e a entrare anche nell'intera Polonia e contemporaneamente l'impero austro ungarico occupa la Serbia. Si ha un’apparentemente iniziale sensazione di predominio sul fronte orientale degli imperi centrali e nel Febbraio ottobre del 1917 lo scoppio della rivoluzione russa. In particolare la prima rivoluzione del Febbraio con la scelta della Russia di non uscire dal conflitto; le condizioni assunte socio economiche interne e sul fronte di guerra per quanto riguarda la Russia e l'episodio invece della rivoluzione bolscevica dell'autunno del 17 produce in realtà una tale crisi che determina l'uscita dalla guerra. E’ un trattato redatto il 3 Marzo del 1918 e siglato appunto a Brest Litovsk, che è anche in questo caso trattato particolarmente sfavorevole alla Russia, ma che di fatto libera il punto orientale cioè le forze tedesche austroungariche che sono impegnate sul fronte orientale. Il fronte Italo austriaco sulle Alpi, il fronte del 1915 è sulla linea Isonzo-Carso e con una serie di offensive italiane particolarmente cruente di tentativo di sfondamento ma che non avranno come dire in realtà la capacità di muovere il fronte sul Carso, ma che vedono comunque 250.000 italiani uccisi. Del 16 vi sarà una controffensiva austriaca in Trentino particolarmente violenta considerata anche una vera e propria spedizione punitiva. Bisogna considerare che l'Austria Ungheria guarda l'Italia come il paese che non ha ottemperato all'alleanza ma che sia schierato con il nemico e per un interesse semplicemente di espansione o non si conosce ancora l'accordo di Londra. Il 24 ottobre del 1917 l'esercito austriaco e tedesco tentano allo sfondamento del fronte italiano e riescono a sfondare clamorosamente a Caporetto. Assistiamo a una ritirata italiana e all'occupazione del Veneto fino alla linea del Piave con l'effetto di un disorientamento dell'esercito italiano e di una rotta disordinata, ma anche una crisi interna di comandi militari. Si ha un cambio di comando tra Cadorna e Diaz e rompe la credibilità della propaganda interna italiana e il fallimento, non solamente dell’impressa militare ma si parla di mancata nazionalizzazione d'Italia. un giovane stato creato fino a pochi anni prima manca di una cultura unificante. La prima guerra mondiale è la prima esperienza nazionale che vede uniti gli italiani provenienti da regioni diverse e la rotta di Caporetto sembra l'espressione della mancata unità e nazionalizzazione del paese nella primavera del 18. Vi è un'altra offensiva austriaca però il fronte italiano è riuscito a reggere e si ha tra il 24 e il 30 ottobre del 1918 la battaglia di Vittorio Veneto dove l'esercito italiano riesce a sconfiggere gli austriaci avanzando in Trentino e riesce ad andare oltre le linee precedente. Il fronte sulle Alpi il 3 novembre del 1918 con l'armistizio con l'Austria chiude insieme all'armistizio siglato con la Germania la guerra. Il fronte non territoriale che è quello navale, si gioca soprattutto con una conflittualità delle flotte tedesche e inglesi e soprattutto la Germania in pieno sviluppo economico si contraddistingue in questa fase. Mette in campo una flotta navale che riesce in qualche modo a contrastare la prima primazia della Gran Bretagna da sempre sui mari. Gli incrociatori tedeschi attaccano i mercantili nemici non in realtà verso l'India, l'Africa. Contro l'America centro meridionale quindi fuori dalle coste europee per disturbare il traffico mercantile cioè una guerra economica per colpire l'economia dei paesi nemici. La Marina britannica riesce in realtà nel 1915 in parte a contrastare questa azione degli incrociatori tedeschi e neutralizzarli e fa a sua volta un blocco di rifornimenti però nel Mare del Nord per creare un problema economico ai trasferimenti commerciali della Germania. Il confronto tra Marina tedesca e Marina inglese porta alla guerra sottomarina, cioè l'altra grande tecnologia in campo sulla prima guerra mondiale. La dimensione dei sottomarini che attaccano sia mercantili sia attaccheranno i trasporti civili; infatti è famoso l'affondamento 7 maggio del 15 da parte di un sottomarino tedesco del transatlantico inglese Lusitania che è in servizio tra New York e Liverpool e dove sono presenti circa 150 cittadini statunitensi americani che muoiono in questa in quest’attacco. Negli anni di guerra successivi la flotta tedesca affonderà molte navi americane, ma l’intervento degli Stati Uniti non è motivato solo da questo. L'entrata in guerra nel 17 degli Stati Uniti sotto l'egida della retorica del presidente Wilson e quindi di una guerra contro le barbarie a difesa della democrazia parlamentare vede come dimensione centrale un quadro di interessi economici molto forte che lega gli Stati Uniti ai paesi dell'intesa. Legato sia al commercio all' esportazioni ma anche a una dimensione di prestiti che legano Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna in particolare. Inizialmente si tratta di un intervento quello statunitense basato sulla prestazione volontaria dei soldati in realtà anche nel caso degli americani vi è una coscrizione obbligatoria. gli americani arrivano sui teatri di guerra nella primavera del 18, sono fondamentali soprattutto per quanto riguarda il fronte occidentale. Le zone che l'Italia spera di ottenere con la sua partecipazione per quanto riguarda il fronte delle Alpi e quindi l'acquisizione a scapito dell’Ungheria sia del Trentino Alto Adige sia come dire della Venezia Giulia, dell’Istria e questo è un quadro complessivo del degli scenari di guerra. La dimensione dei possedimenti coloniali sono anche legate a scontri locali all'interno della dimensione dei conflitti coloniali e questo è il quadro di insieme. (la carta prima della prima guerra mondiale l'altra è quella successiva alla fine del conflitto in una ampia ristrutturazione di confini, la risoluzione dei confini è abbastanza evidente per quanto riguarda la crisi totale e la destrutturazione dell'impero austro ungarico con la costituzione all'interno dei trattati di pace di Versailles il 19 dei nuovi stati) Si ha un’Austria molto ridimensionata, una piccola Ungheria, uno stato di Oslavia e un Regno di Iugoslavia, la Romania e la Bulgaria. La costruzione della Polonia a scapito della Germania soprattutto che vede un territorio diviso in una Germania occidentale e una Germania orientale non collegate tra di loro. All'interno della Polonia vedete la Russia, e in realtà c'è proprio uno smembramento del territorio E con questa scissione e la costituzione nel territorio russo di tutta una serie di stati indipendenti che sono appunto la Estonia, la Lituania, la Finlandia; che diventano repubbliche baltiche ma anche la Polonia. Si è avuta la rivoluzione russa che ha avuto il problema della chiusura dei trattati di pace e per quanto riguarda la Russia rivoluzionaria che non viene riconosciuta a livello internazionale l’intento è quello di arginare il pericolo rivoluzionario e quindi anche costruendo una serie di stati nazione. La nascita delle repubbliche baltiche è anche la dimensione finlandese ma in particolare le repubbliche baltiche nascono a chiusura della prima guerra mondiale saranno al centro di una nuova spartizione nella seconda e quindi nel 39 saranno oggetto delle mire espansionistiche della Russia sovietica. Dopo il trattato siglato molotov Ribbentrop con la Germania nazista, quindi un trattato innaturale; la Germania nazista e la Russia sovietica in senso difensivo e quindi hanno un periodo di indipendenza molto breve dal 18 al 39 e saranno i primi paesi dell'unione sovietica a emergere negli anni 80 del 900 nella rivendicazione di un'indipendenza all'interno delle repubbliche sovietiche. A conclusione della prima guerra mondiale si hanno da una parte i disordini, la disorganizzazione dell'impero austro ungarico e l'emersione dei nazionalismi interni e questi Stati cuscinetto come cordone sanitario anticomunista. Le basi su cui sono costruiti questi nuovi stati e questi nuovi confini dopo la prima guerra mondiale sono definiti appunto con il trattato di Versailles che si apre nel gennaio del 19 con la volontà soprattutto di Francia ed Inghilterra di una pace punitiva nei confronti della Germania e che sia quindi anche una vessazione dal punto di vista territoriale ed economico. Dal punto di vista dei principi sono costruiti sulla base dell'accettazione generale del principio di autodeterminazione dei popoli e quindi di entità nazionali che sono definite su basi etnico linguistiche in senso di riconoscimento e di accoglimento delle rivendicazioni nazionali di questi paesi delle loro identità sulla base della posizione del presidente Wilson. L’entrata degli Stati Uniti è stato l'altro grande elemento di chiusura della prima guerra mondiale con la nascita dell'organizzazione della società delle Nazioni viene istituita con l'idea di bandire la guerra e di avere un organismo interno sovranazionale di concertazione diplomatica di eventuali conflitti futuri anche a fronte della consapevolezza del prezzo in termini di uomini e di sangue pagato sulla prima guerra mondiale. La società delle Nazioni nasce priva del suo principale sostenitore e mostrerà nel proseguo degli anni 20 la sua inconsistenza. Il fronte interno alla prima guerra mondiale, una guerra totale cioè non in senso soltanto di ampiezza territoriale ed i paesi coinvolti o di dimensione globale perché riguarda anche l'universo delle colonie ma è una guerra totale perché riguarda i fronti di guerra, una dimensione totalizzante delle esperienze del vissuto dei soldati ma è totale anche perché riguarda anche i fronti interni, cioè siamo in una fase già di sviluppo industriale, non solo degli armamenti ma anche dell'organizzazione interna dell'industria bellica. La mobilitazione di guerra non è una mobilitazione soltanto militare ma anche civile, dei lavoratori all'interno delle industrie belliche, ma anche della propaganda, di una dimensione di popolo che partecipa alla guerra anche nei territori che non sono direttamente coinvolti dal conflitto e che per esempio riguarda la chiamata dei soldati al fronte e le donne erano all'interno della dimensione industriale. E’ la società nel suo complesso che è chiamata a partecipare all'interno di quel mito nazionalista di sacrificio per la patria. Un'intera industria si riconverte in senso bellico e ha un fortissimo sviluppo ma dopo avrà il problema anche di ritornare a una trasformazione di un'industria di pace. cambio di forme del combattimento e di capacità appunto distruttiva della guerra sia in termini di territori e di economie che per una capacità di incisività sulla mortalità, ma è la brutalità della guerra quella che cambia anche la dimensione culturale di quella che sarà la politica del dopoguerra ed è una guerra che è contraddistinta da nuove tecnologie, da nuovi armamenti, ma anche da un nuovo ruolo dei fronti interni e della dimensione dei civili; è una guerra di massa, è un'esperienza collettiva, è una guerra che viene considerata democratica, non a caso sarà l'uscita della Prima guerra mondiale che porterà nei diversi paesi a tutta una serie di richieste di estensione del diritto di voto e del suffragio, proprio in riconoscimento della partecipazione alla guerra estensiva anche di una classe popolare soprattutto composta da contadini. È una esperienza collettiva che permette anche di radicare un senso di identità nazionale al di là della propaganda nazionale sull’immaginario della guerra, di produrre davvero un'esperienza collettiva e quindi l'idea di una evoluzione della tecnologia di guerra, della capacità di dare la morte anche con dei numeri che diventano appunto da società di massa e diventano anche espressione dello sviluppo industriale, ma anche l'impersonalità della guerra: il grande numero di non solo soldati chiamati a combattere, ma anche di uccisi e un grande numero di anonimi. Non è possibile come nell'esperienza della battaglia di San Martino e di una battaglia particolarmente sanguinosa in termini di uccisi il recupero dei cadaveri. L'entità del numero di uccisi permetteva il recupero dei cadaveri nelle guerre risorgimentali e spesso la loro identificazione; tipico invece della distruttività della Prima guerra mondiale è invece un numero molto alto di dispersi e di uccisi a cui non si può dare un nome, che non si possono identificare anche per il livello di violenza sui corpi. Una delle caratteristiche, dei simboli di questa nuova guerra è l'inizio di un immaginario non solo sulla guerra di terra e sulla guerra navale ma anche sulla guerra aerea. Si tratta ancora di un uso molto limitato degli aerei non determinante rispetto al conflitto, ma soprattutto con la teorizzazione di Giulio Dohet che è un militare italiano che scriverà un trattato sul dominio dell'aria nel 1921 si comincia a teorizzare l'importanza della strategia anche dell'aviazione all'interno del conflitto totale e soprattutto della strategia del bombardamento strategico cioè di un bombardamento che colpisca il fronte interno e che colpisca in realtà la dimensione economica e anche di produzione bellica cioè funzionale alla guerra. Quindi un impiego operativo dell'aviazione che ovviamente si svilupperà nel periodo interbellico poiché sarà più determinante nella Seconda guerra mondiale ma che fa già presagire come il fronte interno e la dimensione dei civili sia centrale nell'ipotesi dell'uso dei bombardamenti e l'utilizzo dell'aviazione in termini sia di ricognizione dei territori del campo di battaglia e dei territori di guerra, sia di offesa viene utilizzata dagli italiani per la prima volta nel contesto della guerra Italo turca del 1911-12 quindi in Libia. Centrale è l’immaginario/il simbolo delle trincee di questa guerra statica soprattutto sul fronte occidentale quindi nel contesto di quei fronti principali che vede contrapposte Francia e Germania. Giulio Dohet Nello stesso tempo però si instaura anche un’idea e un'ideologia di importanza del collegamento con il fronte interno che è legato alla produzione industriale, all'economia e anche al sostegno della popolazione in pace quindi a una dimensione di propaganda. La prima guerra mondiale, per l'entità e l'ampiezza dello sforzo totalizzante della società e per la organizzazione della produzione industriale di guerra e quindi una mobilitazione che è anche mobilitazione in patria della dimensione del lavoro e della dimensione civile, pretende una pianificazione industriale cioè uno stato che entra per la prima volta nella dimensione economica e che pianifica e che gestisce anche lo sforzo bellico vede anche per la prima volta proprio in questo innesto con la dimensione di sviluppo industriale anche un vantaggio in termini di profitto della guerra, un vantaggio anche in termini di possibilità di essere mobilitati in patria come forza lavoro e quindi essere esentati nello stesso tempo come operai dalla chiamata alle armi nel contesto del fronte di guerra. Vi è anche una dimensione del razionamento alimentare, ancor più strutturato nella Seconda guerra mondiale qui però con il tesseramento annonario. C'è una mobilitazione anche nel contesto dei fronti interni della componente femminile e quindi di una chiamata al lavoro delle donne e in sostituzione degli uomini all'interno della dimensione di fabbrica, una chiamata al lavoro che avrà come effetto nell'immediato dopoguerra la richiesta del diritto di voto quasi generalizzata in tutti i paesi coinvolti nel conflitto, ma ottenuta solo da alcuni. Non sarà l'esperienza italiana che invece vede esattamente la stessa richiesta ma a seguito della Seconda guerra mondiale, ma il tentativo di rivendicare un rapporto tra sacrificio all'interno dello sforzo bellico al fronte o in patria e una richiesta di cittadinanza è proprio l'effetto contrario di quel rapporto tra cittadinanza e presa delle armi all'interno dell'esercito di coscritti, che era di origine un'idea come direi rivoluzionaria. L'altro elemento centrale è la capacità di distruttività che segna i corpi dei soldati coinvolti al fronte. La pianificazione di guerra produce anche nuovi equilibri all'interno del contesto globale per cui proprio perché la produzione e lo sviluppo industriale vedrà la centralità degli Stati Uniti. È proprio con la dimensione della Prima guerra mondiale e ancor più nel passaggio alla Seconda e con in mezzo la crisi del 29 che vediamo come gli Stati Uniti in realtà si affermino a livello di egemonia economica all'interno di questo quadro in cui il conflitto non è solo quello dal fronte ma è anche la mobilitazione civile. Il 17 è l'anno centrale della guerra dal punto di vista sia dei blocchi economici e marittimi e navali sia da parte della Germania che della Gran Bretagna, ma anche delle rivolte e degli scioperi, degli ammutinamenti, delle forme di resistenza alla guerra; cioè se questa è una guerra in cui le popolazioni europee entrano con un forte senso patriottico di partecipazione e quasi come che la guerra rappresenti la messa in pratica della cittadinanza attiva e nello stesso tempo è all'interno dei primi tre anni di guerra che il livello di distruttività di questa guerra di massa industriale produce immediatamente una resistenza e una reazione che trova la sua espressione maggiore nella Rivoluzione russa ma che è in realtà esperienza di quasi tutti gli eserciti. Le rivolte e gli ammutinamenti e anche le stesse forme di autolesionismo per allontanarsi dal fronte di guerra e quindi della dimensione della trincea sono volte a richiedere dei miglioramenti delle condizioni esistenziali all'interno delle trincee cioè un miglioramento delle condizioni alimentari, delle condizioni igieniche, delle condizioni di guerra cioè nel senso di poter avere anche dei periodi di riposo, di essere allontanati e di non essere sottoposti al pericolo e alla distruttività della guerra senza possibilità di neanche avere dei momenti di pausa; l'esperienza della Rivoluzione russa e quindi di un paese che in realtà gioca la sua rivoluzione anche sulla richiesta dell'uscita dalla guerra farà deflagrare ancor di più le tensioni sociali anche negli altri contesti degli eserciti. Appunto è la messa in pratica di tutta quella evoluzione di passaggio da un esercito di mercenari ad un esercito di cittadini è il punto estremo di risoluzione di questo quadro. Dal punto di vista delle definizioni (siamo partiti dalla guerra civile europea) gli stessi contemporanei cambiano il modo di descrivere questa guerra, viene utilizzato per esempio il termine di guerra integrale utilizzato in Francia per la prima volta nel novembre del 17 dal primo ministro George Clemenceau nella presentazione del governo al Senato ed è usato per descrivere una guerra che ha i civili come protagonisti attivi, appunto la parte del fronte interno che però si trasformano anche in obiettivi prioritari dell'azione bellica e vengono quindi coinvolti passivamente nel conflitto. L'uso di altre definizioni come quella di guerra totale avviene sempre in Francia nel 1918 per esempio da parte di León Daudet che è sempre un politico francese per denotare invece i caratteri della strategia tedesca contro la Francia e il trascinamento del conflitto della società nel suo complesso con una mobilitazione totale che è anche l'idea della costruzione di una demonizzazione del nemico sul campo di battaglia e quindi abbiamo una doppia mobilitazione: sul fronte militare, sul fronte civile ovvero sul campo di battaglia e come esercito del lavoro per quanto riguarda tutto ciò che serve alla guerra cioè gli approvvigionamenti alimentari, trasporti, la produzione industriale, gli armamenti, ma anche un'idea di questa nuova guerra e che ritroviamo per esempio nelle parole di un alto ufficiale tedesco Erich Ludendorff che è responsabile dello Stato maggiore sul fronte orientale nel 1914 per quanto riguarda l'impero tedesco ma è anche capo di Stato maggiore generale nel 17 che ci presenta la Prima guerra mondiale come una guerra dei popoli quindi una guerra che coinvolge civili e la vita civile come obiettivo prioritario e che ha come centro il fatto di essere una guerra democratica appunto democratica perché coinvolge l'intera nazione in senso militare e civile che vede la centralità della demonizzazione dell'avversario e di cui appunto la dimensione totale data anche dalla presenza sul campo dei contingenti coloniali cioè del richiamo come dire al conflitto anche delle popolazioni che fanno parte delle colonie legate ai singoli Stati europei. È una guerra di popolo perché è letta come una guerra che diventa tale perché l'intera nazione si sente minacciata e lotta per l'esistenza e in cui si comincia a teorizzare l'idea che la politica debba servire la dimensione del conflitto come estrema espressione di un’imposizione anche dal punto di vista razziale. Si intravede in lontananza quello che sarà il passaggio successivo e la guerra totalitaria con l'immagine della Seconda guerra mondiale e abbiamo quindi una netta trasformazione di quella che era stata la teorizzazione del generale prussiano Karl Von Clausewitz che aveva ipotizzato un rapporto tra politica e strategia di guerra cioè di una guerra funzionale all'identità prussiana; qui ci troviamo di fronte a un'inversione in cui la politica è completamente sottomessa all'idea di guerra e di affermazione della guerra. Addirittura nel dibattito dopo la Prima guerra mondiale avremo una tentativo di immaginare la futura guerra cioè l'esperienza di guerra è talmente totalizzante anche da presupporre immediatamente all'uscita del conflitto la necessità di preparare in tempo di pace quello che potrà essere il conflitto successivo e quindi di preconizzare i caratteri della Seconda guerra mondiale, in primis quello che sarà l’elemento cruciale della Seconda guerra mondiale cioè la perdita di distinzione tra armati e inermi all'interno del conflitto. È il punto culminante dell'età imperiale e imperialistica e ha comunque per obiettivo la vittoria totale: è un'evoluzione, una parabola che porterà poi alla dimensione della resa incondizionata sulla Seconda guerra mondiale. In questo passaggio anche in termini di rappresentazione di percezione della guerra in termini politici ma anche di esperienza dei simboli è visibile o comunque concretizzato nell'esperienza della mortalità, ma anche nell'esperienza dei feriti. Abbiamo già messo in evidenza come sia una guerra che segna un'intera generazione, anche di giovanissimi, perché sul campo di battaglia abbiamo una preponderanza di giovani tra i 18 e 25 anni e come vi sia un 20% tra morti invalidi e mutilati, abbiamo parlato di 70 milioni di soldati coinvolti e di 30.000 feriti di cui 8.000 feriti con delle lesioni che dal punto di vista sia fisico che psicologico rimangono centrali per l'esperienza di vita anche europea del tempo di pace successivo. La brutalità della guerra è in qualche modo esemplificata dall'immagine dei feriti sfigurati dalla guerra, sono quelli che in francese sono noti come “gueules cassees” cioè le bocche, le facce fracassate e sono l'immagine più forte nel tunnel del ritorno dei reduci della violenza della guerra insieme alla dimensione dei mutilati non solo nel viso. Anche nelle rappresentazioni che riguardano il periodo successivo e quello della resa incondizionata di Caporetto abbiamo continuamente questo richiamo alla mutilazione e alla dimensione dei feriti, si tratta dell’esperienza più tangibile della distruttività della guerra anche di raccordo tra l'esperienza dei soldati sul fronte di guerra e la dimensione invece delle famiglie in patria. È talmente determinante che produrrà nel delle punizioni. Rimane abbastanza famoso il caso della fucilazione di Alessandro Ruffini a Noventa Padovana il 3 novembre 1917 che viene fucilato al cospetto anche della popolazione civile a ridosso dei fatti della sconfitta di Caporetto e del momento di disfatta dell'esercito italiano in cui si perdono anche le capacità di controllo sul l'esercito; questa fucilazione viene operata dal generale Andrea Graziani che è stato nominato ispettore generale del movimento di sgombero dopo il passaggio di consegne tra Cadorna e Diaz e questo soldato viene ucciso e fucilato pubblicamente perché all'appello mentre questo generale risponde non togliendosi dalla bocca il sigaro e viene ucciso e considerato responsabile di un atto di indisciplina semplicemente per questo. La notizia viene veicolata sulle pagine dell'Avanti, quotidiano socialista nel 1919 e rimane in qualche modo simbolica soprattutto all'interno di quella che sarà una commissione d'inchiesta sulla disfatta di Caporetto che viene messa in atto nell'immediato dopoguerra. Gli effetti di questa strategia di disciplinamento sono molto nocivi al punto che sono ampi esempi non solamente all'interno delle inchieste successive ma anche della memorialistica anche letteraria sul fatto che ci si trovi anche di fronte non solo a queste esperienze di fucilazioni legate anche alla decimazione quindi a una scelta casuale di coloro da fucilare, ma anche di plotoni chiamati a mettere in atto queste fucilazioni che sono refrattari e che cercano di evitare di eseguire gli ordini mostrando appunto la disperazione di fronte ai legami militari e legami territoriali. Sono pochissime le fotografie sulle fucilazioni italiane e quelle che abbiamo sono frutto di un'iniziativa privata dei soldati di documentare perché si ha un’ampia censura di stampa e una volontà propagandistica di nascondere questo tipo di azioni all'interno del contesto di guerra italiano e sarà sempre nel contesto dell'esercito italiano costituito durante gli anni di guerra un Commissariato generale per l'assistenza civile la propaganda che appunto si occupa di definire anche attraverso iniziative pubbliche spettacoli patriottici e notizie di stampa una propaganda sulla guerra che è assolutamente non comprende le esecuzioni ma nello stesso tempo vi è anche un'Organizzazione di uffici di propaganda all'interno dell'esercito invece funzionali a una propaganda rivolta ai soldati. È interessante da questo punto di vista l'immaginario sulla Prima guerra mondiale legato all'importanza all'interno del contesto di guerra di quelle che vengono evidenziate da Marc bloch come le false notizie cioè il fatto che si costruiscono delle notizie, delle leggende sulla guerra che vengono veicolate all'interno dell'esercito e che corrispondono anche alle maggiori paure, a dei preconcetti culturali rispetto al nemico in qualche modo ipotizzando anche una ferocia particolare come nel caso francese della popolazione belga e della dimensione dei franchi tiratori. È interessante vedere anche come Bloch identifichi proprio nella dimensione di guerra delle trincee, in una organizzazione delle notizie che viaggiano all'interno degli eserciti, il luogo in cui una cultura orale che è proprio mobilitata dall'eccesso di propagande; quindi, dall'idea che la propaganda rappresenti una guerra falsa determinano. Vi leggo un passaggio tratto dall’apologia della storia: “Tutti sanno quanto questi quattro anni si siano mostrati fecondi di false notizie e specialmente fra i combattenti e nella società particolarissima delle trincee che la loro genesi parte la più interessante da studiare. La funzione della propaganda e della censura fu a suo modo considerevole ma esattamente contraria a quella che i creatori di quelle istituzioni si riprometteva da essa. Come ha detto molto bene un umorista nelle trincee prevale l'opinione che tutto poteva essere vero fuorché quello che si permetteva di stampare. Non si credeva ai giornali e nemmeno alle lettere giacché oltre ad arrivare al regolarmente avevano fama di essere molto controllate, donde un rifiorire prodigioso della tradizione orale, antica generatrice di leggende e di miti con un colpo ardito che neppure il più audace sperimentatore avrebbe mai osato sognare, i governi abolendo i secoli trascorsi ricondussero soldato dal fronte ai mezzi di informazione allo stato d'animo delle epoche antiche prima del giornale, prima del manifesto, prima del libro. Solitamente non era nelle prime linee che le voci nascevano, per una cosa come questa i piccoli gruppi erano troppo isolati gli uni dagli altri, il soldato non aveva il diritto di spostarsi senza autorizzazione e d'altronde non l'avrebbe fatto il più che le volte a rischio della propria vita. Di tanto in tanto circolavano viaggiatori occasionali, agenti di collegamento, telefonisti addetti alle riparazioni alle linee, osservatori di artiglieria, ma questi personaggi importanti non avevano granché rapporti con il soldato semplice, vi erano però comunicazioni periodiche molto più importanti, esse erano imposte dal bisogno di viveri; l'agorà di questo piccolo mondo dei ricoveri e dei posti di vedetta erano le cucine, là 1/2 volte al giorno si ritrovano gli addetti al servizio viveri venuti dai diversi punti del settore e chiacchieravano fra loro coi cucinieri, questi sapevano molte cose perché collocati al crocicchio di tutti i reparti e avevano inoltre il raro privilegio di poter quotidianamente scambiare qualche parola con i responsabili dell'andamento del reggimento, uomini fortunati che alloggiavano nei pressi degli Stati maggiori. Così per un momento attorno ai fuochi all'aperto, ai focolari delle cucine mobili si annodavano tra ambienti singolarmente dissimili relazioni precarie poi le corvè si muovevano lungo le piste, i camminamenti e riportavano sino ai posti più avanzati con le marmitte le informazioni vere o false in ogni caso quasi sempre deformate e già pronte per una nuova elaborazione. Su una carta topografica un pò più indietro dei tratti aggrovigliati che disegnavano le prime posizioni si sarebbe potuta ombreggiare con tratteggi una striscia continua, sarebbe stata la zona di formazione delle leggende.” Quindi lui ci propone una ricostruzione anche di come l'organizzazione della prima linea e dell'esercito definisca anche l'organizzazione di un passaggio di notizie trasformate anche dall'idea che sia proprio la propaganda ciò che non può essere considerato vero. Se le fotografie delle esecuzioni militari sono censurate e quindi vi è un tentativo di limitare la circolazione delle informazioni sull'esecuzione militare esistono anche casi al contrario di utilizzo propagandistico delle esecuzioni, di cui il più famoso è quello dell'esecuzione pubblica di Cesare Battisti da parte dell'esercito Austro ungarico che invece ha volontariamente e ampiamente fotografata, documentata e pubblicizzata. Cesare Battisti è originario di Trento ed è cittadino austro-ungarico, ma diventa deputato di Vienna e si batte per l'autonomia del Trentino e passerà durante la Prima guerra mondiale sul suolo italiano e si arruolerà nell'esercito italiano. Verrà catturato dagli austriaci e sottoposto a un processo come traditore e imprigionato e dopo essere stato condannato a morte all'interno del castello del Buonconsiglio di Trento questa condanna a morte verrà eseguita il 12 luglio del 1916. Si tratta di morte per impiccagione, non per fucilazione; viene impiccato in abiti civili volontariamente per degradare la figura dal punto di vista militare quindi non gli è riconosciuto l'onore delle armi. La sua foto dell’impiccagione viene usata in senso nazionalista e vuole essere utilizzate nel senso nazionalista da parte austriaca, ma circolerà anche in campo italiano e verrà usata invece per una contro propaganda per mostrare come dire la barbarie del dell'esercito austriaco perché in questa fotografia il boia che è Josef Lang appare particolarmente sorridente cioè anche una sorta di soddisfazione dell'uccisione di questa figura che verrà invece recuperata dalla propaganda italiana come eroe e al punto poi che alla figura di Cesare Battisti sarà anche dedicato uno dei mausolei edificati dopo la Prima guerra mondiale. Impiccagione Cesare Battisti La dimensione di violenza riguardante le esecuzioni militari che non circola soprattutto nel rapporto tra dimensione militare e fronte interno nel contesto della guerra comincia a trapelare sulla stampa tra il 1919- 20 anche per effetto di questa commissione di inchiesta sulla disfatta di Caporetto e in particolare per l'attenzione della stampa socialista che già opera durante il contesto di guerra in senso antimilitarista. Va detto però che questo tipo di notizie sulla radicalità della disciplina interna all'esercito in particolare italiano ma non solo e che mostrano la contraddizione tra la brutalità del contesto di guerra e la dimensione della ribellione soggettiva degli stessi soldati sono completamente messe a tacere nel contesto della scena fascista con il 22 e l’ascesa di Mussolini, viene vietato qualsiasi racconto negativo sulla Prima guerra mondiale e abbiamo una dimensione di recupero in senso proprio celebrativo dell'esperienza della Prima guerra mondiale. Simbolo anche della mentalità della memoria della Prima guerra mondiale e del mito dei caduti è il sacrario di Redipuglia in provincia di Gorizia che viene inaugurato nel 38 da Benito Mussolini e che raccoglie le spoglie di 100.000 soldati italiani. Questa architettura monumentale vuole sancire l’importanza e la grandezza della Prima guerra mondiale e del prezzo pagato in termini di vita; è una retorica di politiche della memoria che si incrocia con una dimensione di piccoli monumenti che ricordano il sacrificio territoriale che in realtà costellano tutto il territorio italiano e tutti i piccoli paesi dove in ogni paese abbiamo un piccolo monumento alla memoria della guerra. A questa politica della memoria si associa non solo nel contesto italiano ma anche nel contesto italiano una forma specifica di celebrazione dei soldati caduti nella Prima guerra mondiale che è la politica della memoria incentrata sulla figura del milite ignoto cioè quella spersonalizzazione data dalla guerra di massa e dalla ampiezza di una guerra collettiva così radicale si trasforma nell'idea che non possiamo più identificare i caduti, ma che è proprio il corpo del caduto che non ha nome a diventare simbolo della celebrazione della Prima guerra mondiale: nel caso italiano vengono scelti un certo numero di corpi di soldati caduti non identificati all'interno di un rituale di riconoscimento anche da parte delle madri dei caduti viene costruita una processione di queste salme dei militi ignoti da Aquileia che attraversa con delle bare scoperte tutto il paese e che in ogni piccolo centro vede le celebrazioni e la costruzione di una iniziativa patriottica intorno alla figura del milite ignoto. Non è solamente una forma italiana questa, ma l'attenzione per i cimiteri militari e per la celebrazione della vastità del sacrificio umano della Prima guerra mondiale ha caratteristiche proprie poi in ogni dimensione nazionale. Mausoleo per Cesare Battisti, Trento 1935 Sacrario Redipuglia, Gorizia 1938 che avviene il 7 novembre (secondo il calendario giuliano, il 24-25 ottobre con l’assalto del palazzo d’inverno, che è il simbolo del potere zarista). Con questa rivoluzione si pone fine all’Impero. Abbiamo dunque l’entrata nella seconda fase, nella rivoluzione di ottobre. A questo punto la Russia è talmente lacerata nella crisi interna, da decidere di uscire dalla guerra e firmerà un armistizio separato, una pace separata il 3 marzo 1918, con la pace di Bres-Litovsk. In seguito alla pace, il territorio dell’ex Impero russo viene fortemente ridotto, passando per buona parte sotto il controllo tedesco, perché la pace separata riguarda il conflitto in particolare con l’Impero tedesco e con la Germania. La rivoluzione ha questo quadro dal punto di vista temporale, ma soprattutto rappresenta un nodo di svolta dal punto di vista della storia generale del ‘900, perché diventa anche un modello; siamo in una fase in cui già le comunicazioni nel contesto di guerra permettono una comunicazione e quindi un’interdipendenza di conoscenza molto più rapida su quello che avviene negli altri Paesi; la notizia, l’esempio della rivoluzione russa rimane come ispirazione e modello per molte altre forze nell’ambito socialista e operaio, già nel contesto di guerra. Di fatto, avremo un’ondata rivoluzionaria nel 1918, a seguito di quest’esperienza russa. Torniamo ora indietro, guardando più in dettaglio il contesto della rivoluzione di febbraio. La rivoluzione di febbraio rappresenta un’opzione d’insurrezione abbastanza anarchica, spontanea, che vede come soggetti al centro della protesta le donne, la popolazione e gli operai di Pietrogrado e soprattutto come elemento cruciale il non intervento dell’esercito per reprimere questa insurrezione. Il passaggio è quello dell’abdicazione dello zar Nicola II e il passaggio da un governo provvisorio, che apre una fase di Assemblea costituente, ma che non riuscirà a emanare, tra febbraio e ottobre, una costituzione e l’emergere del potere dei soviet. Centrale, in questo passaggio è il ritorno in Russia di Lenin, che ritorna Pietrogrado. Un dirigente bolscevico, in esilio in Svizzera dal 1907, a seguito anche della rivoluzione del 1905, e che è favorevole invece alla fine della guerra, cioè all’idea che a seguito anche della prima fase rivoluzionaria ci sia una decisione di presa di posizione, di andare contro la Prima guerra mondiale, contro la guerra in assoluto, la guerra capitalista. Ritornato in Russia, Lenin tiene un discorso ai membri del partito socialdemocratico operaio (che era stato costituito nel 1912) – che verrà pubblicato sulla Pravda – sui compiti del proletariato. Questo discorso è famosissimo come “Tesi di aprile”; è un discorso contro la guerra imperialista, che prevede una rinuncia a qualsiasi tipo di azione di espansione della Russia, ma che unisce l’idea della pace all’abbattimento del sistema capitalista. Mette anche in luce un’originalità delle condizioni del contesto russo, in cui il passaggio dalla prima fase rivoluzionaria (quella considerata “borghese”) alla seconda fase (che vede la centralità del proletariato e delle masse contadine), vada operato senza violenza. Le Tesi di Lenin mettono in luce la possibilità di un passaggio alla dittatura del proletariato, e quindi a uno stato socialista, all’interno di un contesto che in realtà è arretrato rispetto all’idea marxista; contraddice l’idea che sia una centralità di uno Stato avanzato dal punto di vista dello sviluppo capitalista. È una presa di posizione contro il governo provvisorio, che viene profondamente criticato e che ne disvela anche le ipocrisie, e che impone al centro l’importanza della Repubblica dei soviet e dei soviet come elemento cruciale. Propone, in maniera radicale, la soppressione della polizia, dell’esercito e dell’amministrazione, nonché la nazionalizzazione della terra, ma anche del sistema delle banche. Tuttavia, non propone l’immediata instaurazione del socialismo, ma un controllo della ripartizione dei prodotti da parte dei soviet e, contemporaneamente, un rinnovamento dal punto di vista del sistema dell’Internazionale e dell’organizzazione operaia internazionale. Le tesi di Lenin non sono accolte favorevolmente. Lenin sembra proporre un passo in avanti e uno scenario che appare anche poco realistico rispetto alle condizioni russe del momento e il giudizio nei suoi confronti è influenzato dal suo essere stato fuori dalla patria, in un contesto internazionale, e di non avere quindi il polso della situazione reale del contesto russo. Ma, leggiamo almeno le prime due tesi di aprile, in modo da avere chiaro il quadro proposto da Lenin: «Nel nostro atteggiamento verso la guerra, la quale sotto il nuovo governo Lvov e consorti e grazie al carattere capitalistico di questo governo, rimane incondizionatamente da parte della Russia, una guerra imperialistica e di brigantaggio, non è ammissibile nessun benché minima concessione al difensivismo rivoluzionario. A una guerra rivoluzionaria che realmente giustifichi il difensivismo rivoluzionario, il proletariato, cosciente, può dare il suo consenso soltanto alle seguenti condizioni: passaggio del potere nelle mani del proletariato e degli strati più poveri della popolazione contadina, che si mettono dalla sua parte. Rinuncia effettiva a parole, a qualsiasi ammissione, rottura completa effettiva con tutti gli interessi del capitale. Data l’innegabile buona fede di vasti strati delle masse, che sono per il difensivismo rivoluzionario e accettano la guerra come una necessità e non per spirito di conquista, dato che essi sono ingannati dalla borghesia, bisogna innanzitutto mettere in luce i loro errori ostinatamente, pazientemente, mostrando il legame indissolubile fra il capitale e la guerra imperialista; dimostrando che non è possibile mettere fine a una guerra con una pace puramente democratica e non imposta con la forza, senza abbattere il capitale. Organizzazione della più vasta propaganda di questi concetti nell’esercito combattente, e fraternizzazione». Questa tesi è dirompente, poiché prevede l’idea che, dal punto di vista diplomatico, la Russia rivoluzionaria accetti una pace fortemente punitiva: che l’uscita della guerra sia prioritaria a qualsiasi tipo di obiettivo; disvela la parte più radicale e feroce del primo conflitto mondiale. Sono le contraddizioni di quella dimensione di contadini al fronte e d’intollerabilità delle condizioni di guerra a essere messe al centro di questa posizione, con l’idea che comunque si tratti di una guerra imperialista, anche se legata a un nuovo Stato rivoluzionario. E poi, la seconda tesi, che mette in evidenza le peculiarità dell’attuale momento in Russia. Ciò consiste nel passaggio dalla prima tappa della rivoluzione, che causa delle insufficienti coscienze ed organizzazione del proletariato, ha dato il potere alla borghesia, alla seconda tappa, che deve dare il potere al proletariato e agli Stati poveri dei contadini. 🡪quest’idea di un’alleanza tra la dimensione operaia e la dimensione contadina, che non è così scontata come può sembrare. Da una parte, questo passaggio è caratterizzato dal massimo di legalità («tra tutti i Paesi belligeranti, la Russia è oggi il Paese più libero del mondo») e dall’altra parte, «dall’assenza di violenza contro le masse, e infine dall’atteggiamento inconsapevolmente fiducioso delle masse verso il governo dei capitalisti, dei peggiori nemici della pace e del socialismo. Questa peculiarità ci impone di saperci adattare alle condizioni particolari del lavoro del partito fra le immense masse proletarie, appena destate dalla vita politica». Le tesi successive continuano con l’idea di non appoggiare in alcun modo il governo provvisorio, e anche il riconoscimento, in realtà, che il partito bolscevico resti ancora una minoranza e che sia necessario spiegare alle masse, ai soviet dei deputati operai che l’unica forma possibile di governo rivoluzionario siano i soviet, e quindi che sia necessaria una lenta opera di propaganda, di spiegazione sistematica e perseverante dei bisogni delle masse, per riportare al centro il sistema dei soviet. Quindi, quest’alleanza tra operai e contadini, con al centro un’organizzazione dei soviet, e poi la richiesta, da una parte di confisca di tutte le terre ai grandi proprietari fondiari, quindi della riforma agraria, e anche di nazionalizzazione delle banche. La rinascita dell’Internazionale, che viene messa in evidenza nell’ultima tesi di aprile, è quella di un programma rivoluzionario all’interno di una prospettiva di rivoluzione globale, in cui già la Russia rivoluzionaria si presenta come esempio per la dimensione internazionale. Le tesi di Lenin non vengono accolte immediatamente come credibili. In realtà, sarà necessario un passaggio, rappresentato dal colpo di stato a cui accennavamo precedentemente e che segna il cambiamento di equilibri. [SLIDE 2] : immagine successiva, ma che mette in risalto, anche nella propaganda, la dimensione operaia e contadina. In realtà, la situazione prosegue anche dopo questo intervento di Lenin, intanto con un’organizzazione militare delle forze bolsceviche (le guardie russe, che sono composte da circa 10000 operai armati dal soviet dai soviet di Pietrogrado). Gradualmente, l’azione bolscevica si assesta sulle tesi di Lenin e prende una dimensione di centralità, all’interno del contesto della prima rivoluzione. Nel governo provvisorio, sarà il Ministro della Guerra Kerenskij – un socialrivoluzionario – a gestire una nuova offensiva contro gli Austriaci in Galizia, che sarà un momento di disfatta dell’esercito russo, nel contesto della Prima Guerra Mondiale. Questo porta, in luglio, a un tentativo di rivolta popolare, contro la partenza delle nuove leve, dei nuovi soldati. Quindi, la dimensione della guerra e di questa scelta del governo provvisorio, di rimanere all’interno del contesto di guerra, è centrale e il governo di coalizione guidato da Kerenskij, per fermare questa protesta contro la guerra e le nuove partenze, opera una serie di arresti della componente bolscevica e contemporaneamente avremo un tentativo di colpo di stato da parte del generale Kornilov, il capo dell’esercito in quel momento, e che marcia contro Pietrogrado con la cavalleria, tentando un colpo di Stato, che verrà però sventato dal sostegno della componente bolscevica, che viene dai maggiori rappresentanti della componente bolscevica, che vengono appositamente rilasciati dal governo provvisorio. Siamo alle soglie, o comunque in previsione dell’Assemblea costituente, che viene prevista per novembre e che però comincia a essere guardata con il rischio che il risultato elettorale sia moderato. Il rischio è dato anche da un altro elemento centrale, compiuto comunque già dal governo provvisorio: la concessione, il 20 luglio 1917, del voto alle donne. La problematica dello spostamento in senso moderato di una dimensione filozarista, riproposto nell’Assemblea costituente, è anche data dal non sapere come possa essere orientato il voto delle donne. La rivoluzione delle donne è figlia di questo colpo di stato militare, in senso nuovamente monarchico. Avviene, secondo il calendario giuliano, tra il 24 e il 25 ottobre 1917 e vede un’insurrezione capeggiata dai bolscevichi e un colpo di stato della parte militare filobolscevica e delle guardie russe, che espugnano il palazzo d’inverno. Questo è l’immaginario rappresentato sul palazzo d’inverno sede del governo; ne arrestano i membri. A questo punto, ci troviamo di fronte alla costituzione di un consiglio dei commissari del popolo, che sarà presieduto da Lenin e che porterà, in realtà, avanti quelle tesi di aprile che all’inizio sembrano così “fuori fuoco” rispetto al contesto politico russo. Prenderà il controllo del ministero degli esteri Trotskij, mentre al ministero delle questioni nazionali vedremo la presenza di Stalin. Immediatamente viene definita la scelta di uscita dalla guerra e di una trattativa di pace separata, senza annessione e senza indennizzi, così come una delle prime scelte del nuovo governo rivoluzionario è quello della confisca delle proprietà terriere della Chiesa e la ridistribuzione, ai contadini, della terra, che è un punto programmatico dei socialrivoluzionari, che viene, in qualche modo adottato dalla componente bolscevica. Avremo, alla fine di novembre, l’elezione della costituente, con una maggioranza schiacciante della componente socialrivoluzionaria e, proprio per questo, nel gennaio del 1918, l’Assemblea costituente sarà sciolta con la forza dalla componente bolscevica, secondo la linea tracciata dalle tesi di aprile ed è qui che vi è l’instaurazione vera e propria del regime dittatoriale a partito unico. Questo scenario, ci mostra come la rivoluzione di ottobre metta al centro le esigenze della dimensione popolare, legate a due parole d’ordine: esperienze di brevissimo periodo, ma l’ondata rivoluzionaria del 1918, che riguarda il contesto austriaco, ungherese, della Germania, sembra far diffondere potenzialmente una prospettiva rivoluzionaria. Andare contro una cultura della guerra è in se stessa un’idea rivoluzionaria, rispetto alle logiche precedenti e quindi vi è anche una presa in considerazione di questa delegazione, una presa di posizione di chiudere comunque un trattato di pace con la Russia rivoluzionaria, per arginare il tipo di denuncia che la Russia rivoluzionaria potrebbe in qualche modo rappresentare, veicolare al mondo europeo (delle altre potenze, nel quadro della Prima Guerra Mondiale) come contraddizione. Continuare la guerra a scapito della Russia, non accettando la mediazione di un trattato di pace parziale, avrebbe significato mostrare la violenza del quadro imperialista, rispetto alla dimensione rivoluzionaria. È un modo per spuntare le armi alla prospettiva russa, che però è dirompente rispetto alle logiche precedenti e lascia un grande segno come immagine, modello, rappresentazione, illusione in diversi Paesi, anche per quella che sarà poi l’organizzazione della Terza Internazionale, a partire dal 1919, che si apre proprio con l’idea dell’organizzazione di partiti operai, che diventino partiti comunisti, sul modello del partito leninista, dunque di un partito particolarmente gerarchico, organizzato, e che punti alla rivoluzione che si diffonde comunque nel contesto europeo; appunto, nel contesto italiano, abbiamo la scissione socialista nel 1921, quindi contro un’idea riformista e di mediazione e per una radicalizzazione del confronto in senso comunista, però con l’esempio dell’esperienza russa. Ma guardiamo per un momento i trattati di pace, che avevamo lasciati sospesi alla fine del quadro sulla Prima Guerra Mondiale. Nei trattati di pace diventa centrale la dimensione dell’autodeterminazione dei popoli, cioè il concetto/principio base per ridisegnare la carta politica, per entità nazionali, su base etnico- linguistica, come era stato ipotizzato nei quattordici punti del presidente americano Wilson. Al contempo, i trattati di pace mostrano quest’attenzione congiunta delle potenze europee, di frenare le tensioni di lungo periodo scoppiate come contraddizione all’interno della Prima Guerra Mondiale e difendere l’Europa dalla minaccia rivoluzionaria, rappresentata dall’esempio russo, ridisegnando i confini. Da un lato, abbiamo la ridefinizione del quadro per quanto riguarda la Germania. La Germania è costretta a una vessazione, a una pace punitiva, che vede da una parte la perdita e la restituzione dell’Alsazia-Lorena alla Francia, ma anche la perdita della Slesia, della Posnania, della Pomerania a vantaggio della Polonia, e la costruzione della Prussia orientale, che diventa una specie di piccolo Stato, circondato dai territori polacchi, dove abbiamo anche l’esperienza di Danzica come città libera; la completa perdita delle colonie, da parte tedesca, che vengono spartite tra Francia, Gran Bretagna e Giappone; un’ampia definizione dei danni di guerra che la Germania deve pagare agli Stati vincitori; il fatto che sia sottoposta all’idea di un’abolizione della coscrizione alla rinuncia della flotta. [SLIDE 11]: qui vediamo con più chiarezza la perdita dell’Alsazia-Lorena e l’occupazione francese della Ruhr, che poi sarà tra il ’23 e il ’25; un’imposizione dell’occupazione e smilitarizzazione della fascia del Reno, come zona di occupazione alleata, in Renania. Quindi, un forte ridimensionamento dei confini precedenti dell’Impero tedesco. A questo quadro si associa anche la dissoluzione (anche questa in parte già tratteggiata) dell’Impero austro- ungarico, con la proclamazione d’indipendenza, nel 1918, di Stati slavi, cechi, ungheresi e polacchi e l’abdicazione dell’imperatore. Abbiamo la costituzione di una Repubblica austriaca molto ridimensionata e di una piccola Repubblica ungherese; l’istituzione di un regno di Jugoslavia, che vede insieme i territori sloveno, serbo, croato; di un Regno di Romania e di una Repubblica della Cecoslovacchía, con Boemia, Moravia e Slovacchia, e anche il quadro italiano di ottenimento delle terre irredente, sia per quanto riguarda il Trentino Alto-Adige, sia per quanto riguarda l’Istria, il territorio di Trieste e alcune isole della Dalmazia, nonché anche la città di Zara, a cui rimane fuori la questione di Fiume. Abbiamo anche una dissoluzione dell’Impero ottomano. La dissoluzione dell’Impero ottomano vede una ribellione dell’area araba e delle forti mire espansionistiche della Grecia. Al di là del contesto della Prima Guerra Mondiale, stavamo parlando dell’uscita dalla guerra e del ridimensionamento e della pace punitiva della Germania, ma anche del quadro di dissoluzione dell’Impero austro-ungarico, con le nuove identità nazionali che emergono. Abbiamo, per quanto riguarda la distruzione dell’Impero ottomano, da una parte una ribellione nell’area araba, ma anche, contemporaneamente, delle mire fortemente espansionistiche della Grecia e, di fatto, anche un progetto, un impegno della Gran Bretagna per la costituzione di una patria nazionale del popolo ebraico, con la definizione anche di uno Stato palestinese. Abbiamo, inoltre, l’occupazione, da parte dei Paesi dell’Intesa, del Medioriente costituirà tutta una serie di nuovi Stati, anche in maniera artificiale: la Palestina, la Transgiordania, l’Iraq, il Kuwait sotto il controllo inglese e la Siria e il Libano sotto il controllo francese, con questa politica dei mandati, e quindi di un’organizzazione dei quadri, dei regimi dei mandati, e quindi di protettorati, da parte francese e da parte inglese. Avremo anche tutta la problematica che riguarda il nazionalismo turco e, nel conflitto tra Greci e Turchi, il tentativo di costituzione di una Repubblica di Turchia, nel ’23, anche con una ferocia particolare e un quadro di deportazione della popolazione greca (circa un milione di persone), che porta a una dimensione di “pulizia etnica”. Poi, abbiamo il quadro di dissoluzione dell’Impero russo. La Russia rivoluzionaria non è riconosciuta a livello internazionale, ma invece produce comunque un effetto importante. [SLIDE 7]: quadro della Turchia, che vede sia il riassestamento dell’area con i nuovi Stati, sia il confronto con il quadro greco e turco e la difficoltà di trovare una definizione internazionale. Nel quadro, invece, della perdita di territori dell’Impero russo, è proprio l’indipendenza della Finlandia e delle Repubbliche baltiche quella che dimostra l’attenzione internazionale verso il rischio di una diffusione della rivoluzione. È quindi un cordone sanitario anticomunista, che riguarda Finlandia, Estonia, Lituania e Lettonia, ma anche la Polonia e anche una Romania ingrandita. Come abbiamo visto, vi è anche la costituzione, nel 1920, della Società delle Nazioni, a Ginevra, con l’idea di un organismo sovranazionale, che permetta un nuovo quadro di arbitrio e di concertazione diplomatica, di fronte a future contese, ma che nasce già depotenziato dalla mancata adesione degli Stati Uniti. La paura della dimensione rivoluzionaria è quella che porta, in realtà, già dopo i trattati di pace separati della Russia, a un biennio di vera e propria guerra civile, in cui lo scontro verso la Russia rivoluzionaria non è solo interno: abbiamo una riorganizzazione delle forze politiche interne al contesto russo, con l’organizzazione di armate bianche controrivoluzionarie, che sono in realtà di composizione molto differenziata🡪 da una parte sono l’effetto di forze imperiali, ancora zariste; dall’altra, sono proprio organizzate, invece, dalle potenze straniere. Dunque, si tratta di truppe fedeli allo zar, ma anche reparti cecoslovacchi, ma anche un corpo di spedizione anglo-francese, truppe nazionali estoni, lituane, lettoni e anche truppe nazionaliste ucraine, sostenute dai Tedeschi, che si battono all’interno di un quadro di scontro verso il progetto rivoluzionario, quindi non solamente verso lo Stato. È un accerchiamento della Russia rivoluzionaria, che per rispondere a questo attacco, un attacco delle contraddizioni interne, dei poteri interni, ma anche internazionali, organizza un nuovo esercito – quello dell’armata russa – che è un esercito rivoluzionario composto da cinque milioni di soldati. È creato nel 1920 e organizzato con una disciplina particolarmente rigida. In realtà, vede anche la presenza di ex ufficiali zaristi, ma che sono affiancati da commissari del popolo, quindi da questa nuova figura di controllo anche politico- rivoluzionario, rispetto ai reparti dell’esercito. Siamo, contemporaneamente, in una fase in cui la Russia sconta un periodo di estrema sofferenza, e quindi anche di penuria alimentare, dal punto di vista della produzione agricola; tra gli scontri della guerra civile e il contesto della carestia, con l’uscita dalla soluzione rivoluzionaria, sono sette milioni i morti russi, di cui due milioni per la carestia. Nel frattempo, il governo rivoluzionario porta avanti, in realtà secondo le Tesi di Lenin, un progetto di nazionalizzazione e di ridistribuzione delle terre e sia del contesto di fabbrica, dunque sia della produzione industriale, che della produzione agricola. Entriamo nella fase del comunismo di guerra, in cui anche la gestione delle derrate alimentari è fortemente razionata, con l’organizzazione di una requisizione di viveri e di prodotti dalle campagne e anche dure repressioni interne (costituzione di una polizia politica – la CECA -, mirata a contrastare la dissidenza interna), migliaia di esecuzioni sommarie di quelli che sono considerati i nemici del popolo. Si instaura un apparato burocratico statale centralizzato, fortemente collegato al Partito bolscevico, che poi sarà anche frutto di ampie forme di clientelismo, cioè in cui la dimensione di partito, che controlla tutto il quadro burocratico, in forma centralizzata, definirà anche le riforme di poteri locali. È del luglio del 1918 l’approvazione di una costituzione, che attribuisce il potere ai soviet e nega il diritto di voto ai nemici dello Stato, ma lo riconosce invece alle donne; abbiamo, inoltre, la messa in atto di una politica di polizia e di punizione contro la resistenza interna, con militanti perseguitati e arrestati; infine, la vera e propria messa in atto di un quadro di regime politico a partito unico. Tra il ’19 e il ’20, le armate bianche vengono sconfitte, perché in realtà sono molto frazionate, hanno una genesi molto diversificata tra forze ex imperiali e dimensioni che hanno interessi nazionalisti nell’area intorno alla Russia rivoluzionaria o che addirittura sono contingenti mandati dalle potenze dell’Intesa e proprio poiché non hanno obiettivi comuni e un comando unico, in realtà il governo rivoluzionario riesce a contrastarli. Il quadro si complica nel 1920, anche con una guerra con la Polonia. La Polonia, che è appena stata costituita, per effetto dei trattati di pace, dichiara guerra alla Russia e, in realtà, dopo un conflitto che dura un anno, è definita una pace nel 1921, con l’assegnazione alla Polonia di ulteriori territori, che riguardano la Bielorussia e l’Ucraina. Quindi, di fatto, ci troviamo di fronte a un’uscita dalla fase rivoluzionaria della guerra civile, con un territorio russo che è limitato all’area centro-settentrionale e si spinge dagli Urali fino ai confini degli Stati baltici, ma con una forte riduzione rispetto all’Impero precedente. Abbiamo visto come sia centrale la questione degli Stati baltici, ovvero delle Repubbliche baltiche che nascono nel ’18 come Stati indipendenti e che sono centrali anche nel quadro strategico dei trattati di pace, rispetto al contenimento del pericolo rivoluzionario russo. L’eco della Rivoluzione russa non si ferma al quadro europeo; è un’eco rivoluzionaria che ha una portata mondiale e che vede un’esemplarità anche nelle opinioni pubbliche, che vanno dal quadro del contesto americano di Cuba alla dimensione del Messico, piuttosto che alla dimensione del contesto asiatico, rispetto allo sguardo di Pechino o dell’Indonesia. È proprio scardinante la logica in cui la Russia rivoluzionaria si muove, all’uscita della Prima Guerra Mondiale. Vi è comunque una prima ondata di rivoluzioni, tra il 1918 e il 1919, sull’esempio russo di rifiuto della guerra, che coinvolge Austria, Germania, Ungheria, Bulgaria. Potremmo leggere la scelta di puntare in maniera così decisa sull’autodeterminazione nazionale, all’interno del quadro di ridefinizione dei confini della conferenza di pace di Versailles, anche come tentativo di arginare l’appello internazionalista russo. Dare un quadro, un’identità nazionale a quei Paesi, soprattutto nell’area balcanica e dell’ex Austria- Ungheria, che richiedevano il riconoscimento del loro quadro nazionale, è un modo per arginare il richiamo a una dimensione d’identità di classe, che tagli trasversalmente le identità nazionali. Si diffonde il modello del Partito d’avanguardia leninista: un partito in cui è centrale la dimensione della disciplina e dell’ortodossia, come forma di difesa alla disgregazione, in senso riformista, dei partiti operai; vi è anche il definirsi di un immaginario sul sacrificio per la Rivoluzione, ovvero l’idea di militanti che sono dei rivoluzionari di professione e che sono disposti, per l’identità di classe e per la fedeltà alla causa, a una vera e propria dedizione, in senso rivoluzionario. È un immaginario che avrà una forte attrattiva anche nel quadro extra-europeo, non solo nel contesto europeo. Al contempo, anche la scelta di mantenere un distanziamento dai partiti socialdemocratici, in altri contesti europei, porterà a una presa di posizione moderata e molto più riformista delle socialdemocrazie in Europa, per esempio nei contesti dei Paesi nordici, quindi della Svezia, della Finlandia, ma anche di Germania, Austria, Belgio, Gran Bretagna. La dimensione internazionale, che dà un ruolo predominante alla Russia rivoluzionaria come Stato guida, e quindi anche all’Unione Sovietica, troverà una nuova alleanza all’interno del quadro di unità anti-fascista, dopo il trionfo di Hitler in Germania e dopo una nuova politica espansionista del Nazismo; manterrà una coesione a livello internazionale, anche nel post Seconda Guerra Mondiale, che vede un punto di cesura importante nel 1956 (i fatti di Ungheria e la repressione sovietica all’interno di quella che è già la definizione di un’Europa della Guerra fredda, in due blocchi. Ciò determina una crisi di un’identità politica internazionalista, anche nell’Europa occidentale, nei Partiti comunisti occidentali). Se vogliamo tracciare dei quadri di lunghissimo periodo, possiamo considerare l’esempio russo come genesi di un’esperienza che suscita due ondate rivoluzionarie, a livello internazionale: 1) quella dell’immediato post Prima Guerra Mondiale, nel 1918-1919; 2) quella che riguarda il quadro rivoluzionario che attraversa la Seconda Guerra Mondiale e il dopo Seconda Guerra Mondiale, che vede nell’esperienza partigiana e di resistenza, all’interno dei Paesi occupati dalla Germania nazista, e nell’idea della lotta per la liberazione dal Nazismo, in particolare dopo l’attacco all’Unione Sovietica del 1941, un nuovo immaginario rivoluzionario, che mobilita movimenti comunisti a livello internazionale. Questo sarà, in realtà, al centro di un’ondata rivoluzionaria che non è soltanto viva nel contesto europeo, ma che ha delle diramazioni soprattutto per quanto riguarda la dimensione coloniale asiatica e che sarà anche centrale nel modello della decolonizzazione: l’idea della guerra di liberazione e di una nuova identità nazionale. Quest’idea attraversa una serie di esperienze di seria decolonizzazione, mantenendo forte l’immaginario sulla Rivoluzione russa, che sarà centrale nel contesto europeo, quanto sotto altri aspetti abbiamo visto essere centrale l’immaginario, ad esempio, della Rivoluzione francese, segnando in maniera diversa ‘800 e ‘900. Possiamo rivedere il modello di rivoluzione comunista anche molto più avanti, anche nel modello di rivoluzione come colpo di Stato militare, che sarà centrale in America latina oppure nella rivoluzione come esito di una lunga lotta armata di liberazione, come quella algerina (idea della guerriglia che ha un collegamento con il contesto rurale, delle campagne). Il quadro rivoluzionario ha, dal punto di vista culturale, ancora una presa molto forte, per esempio, nelle mobilitazioni di un altro quadro globale (quelle del ’68: il modello teorico marxista e rivoluzionario torna a essere preponderante, almeno rispetto al pensiero politico). È quindi un’esperienza storica che, di fatto, ha una portata per quanto riguarda l’esperienza, la storia della Russia al centro dell’esperimento rivoluzionario e poi della dimensione della federazione di Repubbliche sorelle consociate nell’Unione Sovietica, ma che è anche una nuova prospettiva politica, che avrà una lunghissima durata e che segnerà il secolo breve (il quale, non a caso, si chiude con la definitiva eclisse, non solo dell’Unione Sovietica, ma dell’esperimento rivoluzionario rappresentato dall’ideologia comunista, come possibile alternativa alla democrazia e al capitalismo). sbobina storia contemporanea, lezione del 28/10/2021 Oggi riprendiamo il discorso dell’ultima lezione sulla dimensione della crisi degli anni ‘30, ma lo facciamo per vedere quali sono le diverse soluzioni proposte dal punto di vista economico da parte dei diversi paesi per l’uscita dalla crisi. Quindi ci occuperemo in particolare delle alternative sul piano dell’imporsi della pianificazione economica come soluzione preferenziale dei regimi autoritari e totalitari che si affermano negli anni ‘30, anche in stretto collegamento con la crisi economica. Ci eravamo appunto lasciati con un rapido sguardo sulla crisi della borsa di Wall Street del ‘29, il collegamento tra la crisi americana e l’economia europea attraverso anche i legami che si instaurano per meccanismi di prestito, legati ai trattati di pace e ai risarcimenti di guerra. La Germania è al centro dei quadri di questa crisi per quanto riguarda l’Europa: è il paese più collegato all’economia americana per questo sistema di prestiti, unico paese però che tra 33 e 38 riesce ad eliminare la disoccupazione, fino ad arrivare ad una dimensione di pieno impiego. In Germania, a causa della crisi del 29, abbiamo una disoccupazione che coinvolge il 30 per cento della forza lavoro e questa crisi sociale si lega con l’aumento nell’opinione pubblica di una rivendicazione contro i trattati di pace, contro le riparazioni, che infatti, a cavallo della ascesa del nazismo, giunge a interrompere le riparazioni di guerra: prima col consenso della società delle nazioni, poi dal 33 in maniera autonoma. Nello stesso tempo questa crisi è quella che da slancio a una politica nazionalista e razzista all’interno del partito nazionalsocialista con una forte ricerca anche di un nemico interno. La crescita del partito è evidente nel 32, diventerà velocemente il secondo partito tedesco nel pieno della crisi economica, dopo l’SPD, e poi nel 33 Hitler otterrà il ruolo di primo ministro e chiederà i pieni poteri: passeremo da una situazione democratica al terzo reich. Il nazismo opera molto velocemente un piano di lavori pubblici e una politica di finanziamento statale delle imprese in crisi, soprattutto puntando sull’industria bellica, quindi sulla siderurgia e sulla meccanica, con l’idea di pianificare una preparazione a un nuovo conflitto mondiale. Nello stesso tempo però la crisi economica è quella che in generale nel contesto europeo produce, all’opposto, una forte adesione dei partiti comunisti europei, perché apre un senso di disorientamento, sia a livello produttivo che a livello sociale, che sembra non trovare soluzione all’interno della cornice dei precedenti governi liberali: è la crisi di un modello di democrazia quello e si gioca negli anni 30. In un primo momento le politiche attuate dalle democrazie liberali sono quelle della ripresa di un protezionismo difensivo dell’economia a livello nazionale e quindi l’inserimento di barriere doganali, un ritorno a una contrazione del commercio internazionale. Si è già accennato a un idea che vi sia un abbandono generale del sistema che vede nella sterlina la moneta di riferimento convertibile in oro, moneta che sia punto di stabilità per le altre monete, in Gran Bretagna questo avviene con un passaggio che in realtà simboleggia l’uscita da un sistema, da un punto di vista economico e anche teorico, di solo libero mercato. Quello che si afferma è la necessità di occuparsi della crisi sociale e della dimensione di instabilità che attraversa le singole società e, per farlo, la necessità che ci sia una pianificazione economica, che vi sia uno stato che per la prima volta si occupi e teorizzi il proprio ruolo all’interno della gestione economica. Quindi un nuovo modello di stato assistenziale e interventista che pianifichi l’economia e di cui punto di riferimento è John Keynes: economista che per primo è il teorico che mette in discussione il sistema liberista economico. Abbiamo una situazione che, dalla fine della prima guerra mondiale, ci propone dei nuovi protagonisti economici. L’uscita dalla guerra vede il dominio economico degli Stati Uniti, che divengono i principali creditori mondiali. Allo stesso tempo gli Stati Uniti non si assumono questa egemonia da un punto di vista economico dal punto di vista di stabilizzare la situazione economica globale: è da loro che parte una crisi di sovrapproduzione e speculazione con il crollo della borsa. Il cambio di produzione legato ai beni di consumo durevoli ha delle proprie caratteristiche che amplificano questa crisi: idea che i beni di consumo durevoli sono acquistati anche attraverso un sistema di crediti ai consumatori. L’acquisto a rate amplifica quindi questa discrepanza tra l’economia finanziaria e la produzione. Quindi un clima di pessimismo diffuso che investe il contesto economico dei paesi a capitalismo sviluppato, un aumento della tecnologia che è ancora l’onda lunga della seconda rivoluzione industriale e che si riflette in nuovi mezzi di comunicazione di massa (la radio, il cinema, la stampa), ma una fase che mette in evidenza la crisi del modello liberista e che spinge economicamente (e politicamente) verso le economie autoritarie di stampo sia fascista che comunista: quadri che propongono soluzioni di uscita dalla crisi che sembrano più convincenti. Da una parte vi è l’ingresso dell’Unione Sovietica all’interno di un quadro nuovo di politica economica con i piani quinquennali e una rapida industrializzazione a partire dal 28, dall’altra abbiamo l’emergere di prospettive anche nel quadro dei paesi di stampo autoritario, soprattutto l’Italia propone con il corporativismo un quadro generale di uscita dalla crisi economica. Vi leggo un estratto di un documento di Keynes che riguarda una trasmissione radiofonica, lui interviene all’interno di una serie di trasmissioni radiofoniche e questo è un incontro dedicato all’idea della pianificazione statale diffuso il 14/3/1932. Serve per spiegare le nuove politiche economiche, infatti a fianco delle soluzioni delle economie pianificate comuniste e del corporativismo fascista abbiamo, anche seguendo l’idea di Keynes, la prospettiva statunitense del New Deal. Keynes dice: “Possiamo accettare l’opportunità e anche la necessità della pianificazione senza essere comunisti, socialisti o fascisti, ma è possibile realizzare la pianificazione nella sua effettiva natura senza un grande cambiamento nella tradizione e nel modo di funzionamento del governo democratico? (l’idea della pianificazione statale, di uno stato che entra nel quadro economico, è un’idea che si ricollega da un lato a un’idea socialista di collettivizzazione e perdita d’importanza della proprietà e iniziativa privata, dall’altro del modello corporativo) Le forze che ci stimolano a pensare alla pianificazione provengono da due fonti diverse: la prima è la forza dell’esempio (Fa l’esempio della Russia con il piano quinquennale, sul quale dice “Il comunismo gode di un successo sbalorditivo”. Già il primo piano mostra una capacità d’industrializzazione dell’Unione che non ha paragone visto anche il punto di partenza. Altro esempio che fa è quello del corporativismo italiano). Cosa notevole e significativa che i due straordinari movimenti politici dell’età moderna, affrontando il loro compito da poli opposti, morali ed emotivi, si trovino poi d’accordo su un punto vitale: che la pianificazione statale, l’intelligenza e la volontà centralizzata debbano soppiantare l’ammirato disordine del XIX secolo. Per dimostrare prima facie la validità della pianificazione non c’è bisogno di ricercare e scoprire i successi dei regimi pianificati del sud o dell’est, è sufficiente prendere il fallimento in relazione alle opportunità esistenti dei regimi non pianificati qui a casa nostra e ad occidente. Quali sono infatti gli aspetti dell’attuale situazione economica mondiale che più di altri colpiscono l’immaginazione dell’osservatore meno attento? La straordinaria capacità di produrre ricchezza materiale, anche se per distruggerla successivamente, che abbiamo sviluppato durante la guerra, lo spettacolo opposto di questi giorni in cui vediamo gente affamata in mezzo a così tanta abbondanza, la nostra incredibile incapacità di portare alla bocca il nutrimento che abbiamo prodotto con le nostre stesse mani. (La guerra è infatti l’esperienza più vicina a un regime pianificato, l’esperienza della pianificazione di guerra e della dimensione produttiva di guerra è alla base dell’idea della pianificazione di fronte alla crisi del 29) Oggi proprio negli Stati Uniti, dove la tradizione nazionale e le forme di governo sono le più contrarie alla nozione di pianificazione, è più evidente il fallimento del sistema economico”. Pianificazione o economia nazionale, il problema dell’organizzazione generale delle risorse è il centro del discorso di Keynes, ci spiega anche che la pianificazione, nell’idea sia anglosassone che statunitense, è legata a quelle che sono, secondo Keynes, per natura le attività fuori dalla portata dell’individuo, cioè non mette in discussione l’atteggiamento individuale dell’imprenditore, ma sopperisce alla crisi sociale. “Ho affermato che il senso dell’organizzazione statale consiste nel fare quelle cose che, per loro specifica natura, sono al di fuori della portata dell’individuo. Essa differisce dal socialismo e dal comunismo perché non cerca di estendere i compiti dello stato a suo proprio vantaggio, non cerca di prendere il posto dell’individuo nella sfera delle sue proprie competenze, di trasformare il sistema salariale o di abolire il movente del profitto. Il suo oggetto consiste nel tenere saldamente in mano i controlli centrali e di governarli con saggezza e preveggenza, in questo modo modificare e condizionare l’ambiente nel quale gli individui operano in piena libertà”. Parla nello specifico della distribuzione del carico fiscale, delle tariffe doganali, ma anche di un controllo degli scambi rispetto alle valute, dei trasporti e addirittura parla anche dei settori in cui ancora non esiste la pianificazione: fa un riferimento all’urbanistica e all’attenzione per l’ambiente naturale, dimensione di attenzione tra la produzione e la difesa ambientale, la localizzazione delle industrie. Si chiede però: “La pianificazione statale
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