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L'ascesa del fascismo in Italia dopo la Prima Guerra Mondiale, Appunti di Storia

La situazione socio-economica dell'Italia dopo la Prima Guerra Mondiale e le cause che portarono all'ascesa del fascismo nel paese. Viene analizzata la conversione fascista da interventismo di sinistra a interventismo squadrista di destra, culminata con la marcia su Roma del 1922. Vengono inoltre descritte le politiche del regime fascista, come l'abolizione delle libertà di stampa e di sciopero, e la concezione della donna secondo il fascismo.

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 30/09/2021

holypugni
holypugni 🇮🇹

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Scarica L'ascesa del fascismo in Italia dopo la Prima Guerra Mondiale e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! L'Italia fascista La crisi economica attraversata dal paese dopo la fine della Grande Guerra non fu mitigata dall'euforia della vittoria militare contro l'esercito austriaco. La disoccupazione dilagante, il ritomo dal fronte di reduci senza lavoro e senza terra, una popolazione ancora in larghissima parte rurale, un'industria che faceva molta fatica a riconvertirsi dalle produzioni belliche, il fallimento di molte imprese accanto a quella dell'importante Banca Italiana di Sconto, crearono una situazione esplosiva. Le elezioni del 1919, le prime dopo la guerra e le prime a suffragio universale maschile con sistema proporzionale videro l'affermazione dei primi partiti di massa: il Partito Socialista (probabilmente sull'onda della rivoluzione bolscevica russa del 1917) ottenne la maggioranza relativa con il 32,4% dei voti; il Partito Popolare, da poco fondato da don Luigi Sturzo come partito dei cattolici, ottenne il 20,6%, e fu necessario per appoggiare il nuovo govemo guidato dal liberale Francesco Saverio Nitti. In atto nel paese c'era uno scontro tra la maggioranza socialista che rivendicava la sua antica posizione neutralista contro la carneficina della Grande Guerra e la agguerrita minoranza dei reduci che rivendicavano i frutti e l'esaltazione della vittoria militare, che consideravano ‘mutilata’ dal mancato rispetto degli accordi segreti del Patto di Londra e dell'assegnazione di Fiume all'Italia nella Conferenza di Pace di Parigi. Negli anni 1919 e 1920 (il cosiddetto “biennio rosso”) i socialisti guidarono grandi scioperi operai e contadini fino ad arrivare all'occupazione di fabbriche e di terre, creando un clima di paura, da un lato, e di attesa, dall'altro, di un'imminente rivoluzione bolscevica in Italia. In questo quadro vanno visti il “combattentismo”, rappresentato dall'Associazione Nazionale Combattenti, un movimento figlio dell'interventismo di sinistra dell'anteguerra, e sull'altro versante, il “nazionalismo” dell'’Associazione Nazionalista di Alfredo Rocco (futuro legislatore del codice penale fascista) e di Luigi Federzoni (futuro ministro fascista). Nel settembre 1919, gruppi armati inegolari e reparti dell'esercito ammutinatisi, guidati da Gabriele D'Annunzio, il poeta vate dell'interventismo, occuparono militarmente la città di Fiume/Rjeka nel tentativo di mettere la Conferenza di Parigi di fronte al fatto compiuto. La cosa non andò a buon fine e fu, infine, risolta da Giolitti alla fine del 1920, quando come capo del governo mandò l’esercito a disoccupare Fiume nel rispetto del trattato di Rapallo. L'avventura fiumana, tuttavia, rese palese a tutti l'estrema debolezza del governo, delegittimando assieme alla vecchia classe dirigente tutta la democrazia liberale e lo stesso parlamento. “Il potere politico spettava direttamente ai ‘produttori’ e ai ‘combattenti’, non ai neutralisti traditori, e neppure agli screditati notabili liberali che il ‘parlamentarismo’' aveva espresso sino ad allora. Nella ricerca di un tale nuovo e più morale modello di democrazia, fu però svalutata l'idea stessa della democrazia rappresentativa, con grande soddisfazione della destra, alla ricerca di un'alternativa autoritaria." (Salvatore Lupo, Fascismo e Nazismo, in Storia Contemporanea, Donzelli, Roma, 1997, p. 365) Nel biennio 1920-21, ci fu la conversione fascista da interventismo di sinistra in interventismo squadrista di destra contro i socialisti. Già nel 1919 Benito Mussolini aveva fondato a Milano il movimento dei ‘Fasci di combattimento’. Il movimento quell'anno non prese voti alle elezioni dell'autunno ma, finanziato dagli agrari prima e dagli industriali poi, si organizzò in ‘squadre’ paramilitari, composte da militanti 1 proveniente da diverse parti del paese, per colpire, devastare e bruciare sedi del Partito Socialista, Case del Popolo, Cooperative, picchiare e pestare brutalmente gli avversari politici. In questo modo alle elezioni del 1921 entrarono in Parlamento 35 deputati fascisti. Le azioni militari dei fascisti continuarono, aumentando il clima di paura nel paese fino alla ‘marcia su Roma' del 28 ottobre 1922, quando, dopo aver assaltato alcune prefetture, i fascisti, armati e in assetto militare, da più parti puntarono su Roma. Il Re si rifiutò di firmare lo stato di assedio proposto dall'allora presidente del consiglio, il liberale Facta, e incaricò Mussolini di formare un governo di coalizione con liberali e popolari. Fu proprio in occasione della presentazione di tale governo alle camere che Mussolini pronunciò il celebre discorso in cui affermò che avrebbe potuto fare “di quest'aula sorda e grigia un bivacco per i miei manipoli”, ma per il momento si sarebbe accontentato di formare un governo di coalizione! Dopo il superamento della crisi di consenso seguita al delitto Matteotti, Mussolini con il discorso del 5 gennaio 1925, iniziò la costruzione del regime, di quella che sarà l'Italia fascista, che finirà il 25 luglio 1943 con la caduta del governo e l'arresto di Mussolini da parte del Re. Il regime e il consenso Tra l'ottobre 1922 e l’inizio del 1925, Mussolini creò le condizioni per la costruzione di quello che sarà il regime fascista. Il centro della sua azione fu la mano libera ai capi delle squadre paramilitari, le ‘camicie nere' che avevano organizzato la ‘marcia su Roma', per l'intimidazione degli oppositori del governo, fossero essi comunisti e socialisti, oppure liberali e popolari cattolici. Il culmine si ebbe con il rapimento e l'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti nell'estate del 1924. Il crimine destò molto clamore; i non- fascisti liberali si divisero tra chi appoggiava Mussolini e chi stava con gli oppositori; tra questi, per esemplificare, Giovanni Gentile, promotore di un “Manifesto degli intellettuali fascisti”, e Benedetto Croce, promotore di un Manifesto di segno opposto. Mussolini mostrò di poter superare il momento critico con un forte giro di vite in senso repressivo. Dopo che il 5 gennaio 1925, in un discorso alla Camera, 2 si assunse l'intera responsabilità politica di quanto accaduto, iniziò con le cosiddette ‘leggi fascistissime', e, in pochissimi anni, procedette all'abolizione di ogni libertà di stampa, allo scioglimento di tutti i partiti politici ad eccezione del Partito Nazionale Fascista, all'abolizione di fatto dei sindacati e del diritto di sciopero, alla istituzione della figura del Capo del Governo, il Duce — con un suo esercito personale, la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, formata dai reduci delle squadre di ‘camicie nere' — fino all'abolizione di fatto del Parlamento e alla sua sostituzione sostanziale con il Gran Consiglio del Fascismo. Le direzioni principali per la costruzione del regime e del consenso, tuttavia, furono essenzialmente la repressione e la propaganda. Capillare ed efficiente la prima, attraverso un'occhiuta polizia segreta, l'OVRA, e l'istituzione del Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato, le cui sentenze inappellabili condannarono al confino o in carcere i maggiori oppositori politici, oltre a intellettuali e lavoratori. Tra questi Antonio Gramsci, segretario del Partito Comunista, che morì in carcere, e Sandro Pertini, dirigente socialista e futuro presidente della Repubblica Italiana.
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