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Fine Fascismo e Inizio Guerra in Italia: Crisi Regime e Nascente Resistenza, Prove d'esame di Storia Contemporanea

La transizione dell'Italia dalla caduta del fascismo alla dichiarazione di guerra alla Germania, attraverso la crisi del regime e l'emergente Resistenza. Il documento illustra come il regime si dissolveva definitivamente, con la formazione del Regno del Sud e della Repubblica Sociale Italiana, e come la popolazione italiana si trovava di fronte a una terribile alternativa tra appoggiare la Resistenza o diventare complici dei nazifascisti. Il testo include anche informazioni sui primi nuclei partigiani, le operazioni militari e la deportazione degli ebrei.

Tipologia: Prove d'esame

2017/2018

Caricato il 09/02/2018

mirella.Carrat
mirella.Carrat 🇮🇹

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Scarica Fine Fascismo e Inizio Guerra in Italia: Crisi Regime e Nascente Resistenza e più Prove d'esame in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! Lezione 2 Lezione La resistenza in Italia. Cenni generali Letture Studia il cap. X di Storia e storiografia e i capp. I e II di Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi Lezione 2 La Resistenza in Italia. Cenni generali. La filantropia: tra assistenza e ricerca sociale Obiettivi di apprendimento: 1. Individuare le linee essenziali che conducono l’Italia dalla caduta del fascismo alla dichiarazione di guerra alla Germania 2. Comprendere il percorso che conduce alla Resistenza organizzata 3. Individuare i complessi aspetti socio-politici presenti nei Comitati di Liberazione Nazionale da un lato e nella Repubblica di Salò dall’altro 4. Ricostruire le vie che conducono il Paese alla liberazione 5. Evidenziare il significato della liberazione 6. Comprendere la posizione storica sulla Resistenza come guerra civile Lezione 2 La Resistenza in Italia. Cenni generali Prima parte Ginsborg, capp. I e II Desideri, vol. III, tomo 2, cap. X 1.Dalla caduta del fascismo alla dichiarazione di guerra alla Germania Per comprendere le dinamiche dell’Italia repubblicana è necessario delineare, seppure in linee generali, gli ultimi confusi anni della guerra. Il regime fascista, al fianco della Germania hitleriana, si era avventurato in una guerra che avrebbe dovuto concludersi vittoriosamente in brevissimo tempo, e che invece si stava dimostrando lunga e rovinosa. Gli anglo-americani da un lato, i sovietici dall’altro, nel 1943 erano riusciti ad invertire la tendenza, e stavano procedendo vittoriosamente su tutti i fronti. Hitler e Mussolini. Stretto nell’ “abbraccio mortale” con la Germania nazista, Mussolini si getta in una guerra che accelera, in modo inequivocabile, la crisi del regime Con lo sbarco alleato in Sicilia (10 luglio 1943) si accelerava la crisi del regime. La consapevolezza che la guerra era perduta e che era giunto il momento di salvare il salvabile, tutelando, per quanto possibile, i propri ruoli di potere, si era insinuata sia nel partito di Corte che nelle alte gerarchie del Partito fascista. Nel crollo generale ormai imminente, il re, temendo che la caduta del regime significasse la fine della monarchia, era ansioso di liberarsi diMussolini; allo stesso modo, gli alti gerarchi fascisti speravano che si potesse dare vita, in qualche modo, ad un fascismo senza il “duce”. La seduta del Gran Consiglio del 24 luglio, tenuta l'indomani dei bombardamenti alleati su Napoli e Roma (19-20 luglio), si incentrò sull'ordine del giorno di Dino Grandi, presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni: in esso si proponeva la decadenza del regime di dittatura e il ripristino di tutte le istituzioni previste dallo Statuto, a cominciare dalla riassunzione da parte della Corona dell'effettivo comando delle forze armate. Occorreva anche ripristinare il Consiglio dei ministri e il Parlamento, restituendo aquest'ultimo piena facoltà di legiferare. Messo ai voti al termine di una convulsa seduta che si prolungò per dieci ore fino alla tre del 25 luglio, l'ordine del giorno Grandi riscosse l'approvazione di diciannove membri del Gran Consiglio contro sette voti contrari e uno astenuto. Mussolini non ebbe chiara percezione di quanto stava accadendo, convinto com’era che avrebbe potuto facilmente dominare la situazione. Ma i suoi conti erano sbagliati. Nel pomeriggio del 25 luglio, il “duce” si recò a Villa Savoia per l'udienza settimanale col re: ma Vittorio Emanuele, troncando il resoconto di Mussolini sulla situazione militare e sulla seduta del Gran Consiglio, gli comunicò, “in poche frasi sconnesse”, la richiesta di dimissioni e la nomina di Badoglio a capo del Governo. Subito dopo il colloquio, all'uscita di Villa Savoia, il “duce” fu Sud, senza alcuna autorevolezza e capacità di esprimere un progetto politico; al nord, nella parte del paese controllata da fascisti e tedeschi, la Repubblica sociale italiana. Nel momento di maggiore emergenza della vita politica del paese, nel più grande smarrimento, si trovarono gli elementi per una autonoma riscossa, che col passare del tempo sarebbe diventata sempre più consapevole. La Resistenza nacque nel settembre '43 dall'incontro tra il vecchio antifascismo della lotta politica, dell'esilio e del carcere, dal PCI al PSIUP al Partito d’Azione alla DC ai liberali ai gruppi che in vari modi stavano pagando lo scotto della loro opposizione al regime, e il nuovo antifascismo, che era sorto nell'interno della nazione (come nei fronti di guerra) durante la seconda guerra mondiale. Questo nuovo antifascismo, alimentato dalla fame, dalla paura, dalle bombe, dalle difficoltà quotidiane che la gente comune doveva subire in nome di una guerra che appariva dissennata, si collegava alle prime lotte operaie che, incuranti delle minacce del regime, avevano cominciato, già nel marzo del ’43, ad infiammare con ondate di scioperi le grandi città industriali del nord. Gli animi erano pronti. Le prime azioni militari di riscossa furono immediatamente successive all’armistizio, e non si aspettò l’arrivo delle truppe alleate. Mentre il re e Badoglio abbandonavano Roma, lasciando la città ai tedeschi, civili e militari combattevano insieme per due interi giorni, prima di alzare bandiera bianca. “Fu una resistenza poco più che simbolica, ma indicò la strada da battere”. Dopo Roma, Napoli in armi, con esito stavolta felice, senza attendere l’arrivo degli alleati scacciava, nelle famose “quattro giornate” (27/30 settembre), i tedeschi, dopo combattimenti avvenuti strada per strada, casa per casa. “Nel settembre 1943, dopo l'armistizio, i tedeschi occuparono per breve tempo la città, ordinando immediatamente a tutti gli uomini validi tra i 18 e i 33 anni di presentarsi per un servizio di lavoro obbligatorio. Obbedirono soltanto in 150. Quando poi i tedeschi avviarono una massiccia serie di rastrellamenti indiscriminati, la città esplose in una rivolta. Per quattro giorni Napoli fu teatro di un’aspra battaglia per le strade. Il 30 settembre, mentre gli alleati si avvicinavano rapidamente, i tedeschi si ritirarono, lasciando sul terreno162 napoletani uccisi e una scia di distruzione e terrore”. (Ginsborg) Così, nei giorni convulsi successivi all’armistizio, si formavano i primi nuclei partigiani: militari del disciolto esercito ed ex prigionieri alleati si riunirono in bande per proteggersi dai tedeschi, presto rinforzati da civili, per lo piú vecchi antifascisti, e, qualche tempo dopo, da giovani che fuggivano dalla leva ordinata dalle autorità della Repubblica Sociale. Nasceva così, pur con limiti e ombre, la ancora gracile pianta della resistenza armata, destinata, col passare dei mesi, ad ingrossarsi e ad acquistare sempre maggiore coscienza politica e peso militare. E' merito delle forze democratiche e antifasciste avere trasformato i primi gruppi ribelli in combattenti consapevoli, avere trasformato una guerra per bande in «guerra di popolo», quella guerra di popolo che era mancata nel Risorgimento. Ma tutto ciò riguarda solo il nord d'Italia (e in qualche misura il centro). Fatta salva, come dicevo prima, la vicenda luminosa della liberazione di Napoli ad opera delle forze popolari, «al Sud», scrive R. Battaglia, «vi è il Regno, in cui sopravvive o agonizza la continuità istituzionale dello Stato, limitato nei poteri e nel territorio dall'occupazione anglo-americana»; un organismo a lungo incapace di esprimere una propria iniziativa politica. Una diversità, questa tra il Nord e il Sud, che poteva determinare una tragica rottura all'interno del paese. ▲ 3. La Resistenza e i Comitati di Liberazione Nazionale La guerra di liberazione ebbe dunque origini spontanee e si manifestò in forme diverse: cominciata in sordina, come si è detto, per l'iniziativa di piccoli gruppi formati da soldati sbandati, da ragazzi fuggiti dalle città per sottrarsi ai rastrellamenti nazisti (che dopo l'8 settembre si erano nascosti nei boschi, nelle valli e sulle montagne), passò rapidamente ad utilizzare la propaganda e la controinformazione, il sabotaggio ai danni dell’esercito tedesco, ad aiutare i prigionieri alleati e gli ebrei: dalle prime iniziative di lotta armata individuali e isolate, si giunse in breve a “vere e proprie operazioni militari concordate tra varie formazioni, che si conclusero con l’occupazione di ampie aree e di centri urbani importanti”. Fra gli oltre 230.000 uomini che presero parte alla Resistenza, la maggior parte era costituita da operai, anche se “forte era la presenza dei ceti medi”. E alta fu la partecipazione delle donne, con ruoli diversi, benché in genere, tranne poche eccezioni, in ruoli subalterni. Elsa Oliva, tra le poche donne comandanti, ritratta con il suo gruppo di partigiani in Val d’Ossola. Gruppo di partigiani Le formazioni partigiane, tranne pochi casi, erano tutte connesse ai partiti politici antifascisti, che avevano costituito a Roma, immediatamente dopo l’armistizio, il Comitato di liberazione nazionale (CLN): le brigate Garibaldi erano dirette dal Partito comunista, le Matteotti dal Partito socialista, le Giustizia e libertà dal Partito d’azione. Erano presenti anche formazioni legate alla Democrazia cristiana, soprattutto in Veneto, e gruppi indipendenti, legati al partito liberale e alla monarchia. Presenti anche nelle grandi città attraverso i GAP (Gruppi di Azione Partigiana) e le SAP (Squadre di Azione Partigiana), le formazioni partigiane operavano soprattutto in montagna, dove c’era la possibilità di nascondersi per poi sferrare attacchi improvvisi e mirati. E la lotta clandestina era irta di pericoli: i nazisti e le brigate nere della Repubblica Sociale si comportavano con straordinaria ferocia nei confronti dei partigiani, e di quanti li appoggiavano: torture e uccisioni non erano riservate solo a quanti cadevano nelle loro mani, ma anche alle popolazioni civili che erano sospettate di aiutarli. I partigiani sono pochi, male armati, senza ricoveri e cibo per affrontare l'inverno che avanza. Per sopravvivere possono contare solo sull'aiuto della popolazione civile che impara presto a quale rischio si esponga: il 19 settembre, Boves, un paesino alle porte di Cuneo, è incendiato e 23 abitanti vengono fucilati dai nazisti che vendicano così la morte di un soldato tedesco caduto in una imboscata partigiana. Boves sarà solo il primo anello di una catena di rappresaglie che seminano terrore, ma anche tanta diffidenza e ostilità versogii antifascisti alla ricerca di asilo. E difficile però tenere la resistenza fuori dalla propria casa, far finta che non esista, erigere tra sé e quanto avviene ne! paese un muro impenetrabile. Là dove si combatte, lo voglia o no, la popolazione è coinvolta, messa di fronte, appunto, alla scelta se appoggiare i partigiani o diventare di fatto complici deinazifascisti E non sono solo gli italiani che abitano in collina e sulle montagne a trovarsi di fronte questa terribile alternativa; nel novembre '43, nelle città si vanno organizzando i gap(Gruppi di azione patriottica) che iniziano una guerriglia urbana destinata a suscitare infinite polemiche, soprattutto dopo l'attentato di via Rasella a Roma nel marzo del '44, quando un commando partigiano fa esplodere una bomba contro un drappello di tedeschi. Sono 33 i soldati nazisti rimasti uccisi; saranno 335 - più di dieci italiani per ogni soldato definiti con disprezzo - contro gli antifascisti quando ormai per loro non c'è più speranza alcuna di vittoria e tutto il paese li maledice e li ripudia. Nelle brigate nere che si formeranno di lì a poco, c'è tanta feccia, ma anche molti idealisti in preda a una sorta di cupio dissolvi, quasi un desiderio di annientamento— e la disperazione traspare persino nelle canzoni che accompagnano le loro marce: Le donne non ci vogliono più bene perché portiamo la camicia nera. Simona Colarizi, Storia del Novecento italiano, Rizzoli, Milano 2001, pp. 281-82. Mussolini e i soldati della Repubblica Sociale Italiana Repubblica Sociale Italiana: Mussolini e Hitler Il processo di Verona, lo sbarco alleato ad Anzio, le Fosse Ardeatine disegnavano la geografia di un paese straziato in cui gli scenari mutavano in modo inquietante e imprevedibile. Nel febbraio '44, mentre si combatteva aspramente sul fronte di Cassino e di Anzio, il governo di Badoglio si era trasferito a Salerno, divenuta capitale del Regno del Sud. Era un governo di tecnici e di funzionari, strettamente legato alla Corona e sostenuto dagli alleati, specialmente dall'Inghilterra di Churchil, che guardava alla monarchia come ad una forza moderata, e quindi ben più affidabile dei gruppi della Resistenza. Il Comitato di Liberazione Nazionale, i partiti, la stampa esercitavano invece forti pressioni perché si formasse un governo “straordinario”, un governo nuovo, espressione dell'Italia democratica e antifascista, ma queste spinte erano paralizzate dalla irrisolta questione istituzionale. Anche grandi personalità moderate, liberali o cattolici come Croce e De Nicola, rifiutavano di partecipare al governo, perché giudicavano il re troppo compromesso con il fascismo. A Bari, nel gennaio 1944, il Congresso del CLN (la prima assemblea nazionale dopo il 1926) aveva chiesto l'immediata abdicazione del sovrano e la creazione di un governo democratico di guerra, giungendo però al risultato di creare una pericolosa frattura tra le forze politiche. Si delineava una scissione che vedeva da una parte il PCI, il PSI, il P. d'A.; dall'altra la DC, il PLI e altri gruppi minori. Togliatti Mentre al nord si viveva una nuova grande ondata di scioperi nelle fabbriche, la a situazione politica fu sbloccata dalla proposta avanzata nell'aprile '44 da P. Togliatti, leader del partito comunista, rientrato da poco in Italia dopo 18 anni di esilio.Togliatti, accantonando l'ipotesi rivoluzionaria, pensava che la “via italiana al socialismo” dovesse passare attraverso un graduale processo di democratizzazione dello Stato ed attraverso la collaborazione del Partito comunista con i partiti liberali e democratici per il conseguimento di successivi obiettivi intermedi. Per realizzare il primo di questi obiettivi - la cacciata dei tedeschi dall’Italia e la vittoria definitiva contro fascismo e nazismo - Togliatti non esitava ad accettare la formula del compromesso istituzionaleelaborata da De Nicola, secondo la quale il re si doveva impegnare a delegare i suoi poteri al figlio al momento della liberazione di Roma. Il compromesso avrebbe garantito la concentrazione di tutte le forze nazionali, dai monarchici ai comunisti, nella guerra di liberazione. “A guerra vinta” un referendum popolare avrebbe reso possibile la soluzione del dilemma “monarchia o repubblica”. La proposta, che urtava contro il radicalismo intransigente di tanta parte della sinistra (soprattutto del PSI e del P. d'A.), suscitò scandalo e discussioni vivacissime tra i partiti e nell'interno di ciascuno di essi, ma il re accettò il compromesso istituzionale, e, dopo lunghe trattative, il 22 aprile 1944, fu composto quello che fu il secondo governo Badoglio ed il primo governo d'unità nazionale antifascista (svolta di Salerno). Al governo sedettero, accanto a Badoglio e ad alcuni generali, liberali (Croce), azionisti (Omodeo), cattolici (Rodinò), socialisti (Mancini) e, tra i comunisti, lo stesso Togliatti. Nel suo programma il ministero pose al primo punto l'impegno di chiamare gli Italiani, dopo la fine della guerra, ad eleggere con suffragio universale l'Assemblea Costituente che avrebbe definito le forme istituzionali del nuovo Stato. Nel frattempo le operazioni degli alleati in Italia subivano un primo rallentamento, e solo nel giugno si giunse alla liberazione di Roma, e poi a quella di Firenze, in cui, però, i partigiani ebbero un ruolo di primo piano. Subito dopo la liberazione di Roma,il re, come richiedevano gli impegni precedenti, passò i poteri al figlio Umberto, e Badoglio, troppo discusso e malvisto, fu sostituto da Ivanoe Bonomi, un vecchio socialista riformista, che formò un governo in cui confluirono tutti partiti del CLN. Malgrado le polemiche suscitate dalla svolta di Salerno, è indiscutibile che Togliatti fosse riuscito ad ottenere un clamoroso successo nell’avere portato al governo gli uomini del CLN, e nell’avere quindi obbligato sia la corte che gli alleati a riconoscere le forze della Resistenza come forze non solo militari, ma politiche. ▲ 5. La liberazione Il nuovo rallentamento dell’offensiva alleata dell’autunno del ’44 significò per l’Italia l’inasprirsi degli attacchi nazifascisti; e il periodo successivo fu particolarmente difficile. Un proclama del generale Alexander, capo delle truppe alleate in Italia, invitava i partigiani a sospendere qualunque operazione e a mantenersi unicamente in difesa, in attesa dell’attacco finale, che sarebbe stato sferrato dagli alleati in primavera. Allora i nazifascisti ripresero vigore: la guerra divenne molto dura per i bombardamenti, i rastrellamenti, le stragi di massa. Per i partigiani la sosta richiesta dal generale Alexander ben rivelava che il disegno politico degli alleati restava intatto: al momento risolutivo i comandi alleati avrebbero inteso limitare rigorosamente il contributo del movimento partigiano, popolare e democratico alla vittoria. Infatti, quando nella primavera del ’45 era imminente l’offensiva definitiva delle forze alleate contro i nazifascisti, il comandoangloamericano spinse i partigiani a non intraprendere azioni indipendenti, ma ad agire al seguito delle truppe alleate. In questa situazione storica di carattere generale occorre inserire l'iniziativa della Resistenza italiana. Puntando sulla insurrezione, reagendo alle proposte di compromesso, essa non solo garantì le possibilità di sviluppo democratico dopo la liberazione, ma portò anche un notevole contributo, sul piano internazionale, alla conclusione antinazista del grande conflitto. alla limpidezza della vittoria finale. Roberto Battaglia, La seconda guerra mondiale, Editori riuniti, Roma 1964. I partigiani liberano Milano Così, incuranti delle “indicazioni” angloamericane, i CLN lanciarono per il 25 aprile l’insurrezione del nord, precedendo di alcuni giorni l’arrivo delle truppe alleate. Gli Alleati avevano ormai sfondato la «linea gotica» e avanzavano nella pianura padana. Le formazioni partigiane diedero allora l'assalto decisivo alle città e dopo combattimenti, in molti casi assai aspri, entrarono a Torino e a Milano, riuscendo nella maggior parte dei casi a salvare gli impianti industriali prima che i tedeschi potessero farli saltare. Era un evento di
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