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La Prima Guerra Mondiale: una Guerra Civile Europea, Sintesi del corso di Storia

Una dettagliata analisi della prima guerra mondiale, considerata una sorta di guerra civile europea. Esplora le tensioni tra i paesi, l'inizio della guerra, la partecipazione italiana e le conseguenze sulla vita umana. Vengono inoltre analizzate le figure chiave, le rivoluzioni interne e la riorganizzazione economica. Il documento illustra anche l'ingresso della russia in guerra e le sue conseguenze, nonché la nascita del partito popolare italiano.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 25/02/2024

Giogghy
Giogghy 🇮🇹

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Scarica La Prima Guerra Mondiale: una Guerra Civile Europea e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! LA SOCIETA’ DI MASSA Società caratterizzata dalla diffusione di costumi, abitudini, prodotti disponibili per un sempre maggior numero di persone. Questa diffusione fu garantita da un rinnovato benessere economico che permise alla massa di poter fruire di prodotti un tempo accessibili soltanto a pochi (la parola massa, infatti, è in netta contrapposizione con la parola elitè, ossia un gruppo scelto di persone, come aristocratici e alta borghesia, capaci di recepire messaggi culturale) e dal passaggio dalle campagne alle città, passaggio che garantiva la partecipazione alla vita sociale da parte anche dei ceti più bassi. Per tale ragione, i servizi divennero accessibili a tutti e tutti entrarono a far parte dell’economia di mercato. La società di massa era formata da tre classi sociali: ● Classe aristocratica: La classe dirigente, colta e aristocratica ● Classe impiegatizia: ossia la borghesia, lavora e produce il proprio benessere, sarà la classe che comincerà a richiedere un determinato ruolo nella società. È caratterizzata da nazionalismo e individualismo ● Classe operaia: una classe che vive un fortissimo senso di solidarietà con gli altri membri del proletariato. È caratterizzata da solidarietà e internazionalismo. Assieme ai proletari, nacque un’altra figura: i colletti bianchi, ossia lavoratori dipendenti che non svolgevano lavori manuali. La fine dell’Ottocento fu caratterizzata dalla nascita degli eserciti nazionali, resa possibile grazie alla leva obbligatoria. Insieme alla nascita dei grandi eserciti a difesa del Paese, nacque la produzione in serie di armi. Ma gli uomini, costretti a rischiare la vita per il loro Paese, richiesero a gran voce la partecipazione alla vita politica: il suffragio divenne universale per tutti gli uomini maggiorenni. Inoltre, negli anni ‘70 e ‘80, anche l’istruzione primaria divenne obbligatoria: diminuì quindi il fenomeno dell’analfabetismo e vi fu larga diffusione dei giornali. Il sindacato. I sindacati iniziarono a diffondersi pian piano in tutta Europa, diventando il grande nemico degli imprenditori dato che difendevano i diritti degli operai (diritti che, nella loro violazione, portavano un grande guadagno ai capitalisti). I primi sindacati nacquero in Inghilterra, diffondendosi poi in Germania, in Francia e infine nel resto del continente. Si diffuse talmente tanto da diventare il più grande fenomeno di associazionismo di tutta Europa. I sindacati portarono all'attuazione di molte riforme, come la diminuzione delle ore giornaliere di lavoro, sussidi di disoccupazione, assicurazioni per infortuni… Esempi di sindacati: Trade Union in Inghilterra, CGL in Italia (a livello nazionale) Partiti socialisti. I partiti socialisti furono i primi partiti di massa, garantiti dall’estensione di voto a quasi tutta la popolazione. La lotta tra classi subì, per tale ragione, una trasformazione, e le organizzazioni politiche cercavano sempre di più il consenso del popolo. I partiti socialisti però, al contrario dei precedenti movimenti comunisti e socialisti, non pretendevano una rivoluzione immediata, ma azioni legali negli organismi totali. L’obiettivo non era più perciò sovvertire il potere, ma ottenere dei rappresentanti in Parlamento. SPD fu il partito socialista più importante in Germania. Laburismo. Nel Regno Unito le idee marxiste non riuscirono a sovrastare le già presenti idee delle Trade Unions, perciò fu fondato il Partito Laburista, a cui aderivano collettivamente tutti i sindacati senza che però ci fossero ideologie rigorose. La Seconda Internazionale. Tutti i partiti socialisti, che avevano idee filo marxiste molto simili, aderivano alla Seconda Internazionale. Fondata nel 1889, aveva come dottrina principale, appunto, il comunismo marxista. All’interno di questa organizzazione, però, vi erano due filoni: vi erano i democratici, che volevano un miglioramento della società tramite le riforme (erano più moderati, come i partiti socialisti), e i Rivoluzionari, detti anche revisionisti, che invece erano più vicini all’idea di Marx secondo cui bisognasse attuare una rivoluzione del proletariato, abbattendo la divisione in classi sociali e la proprietà privata. Nuove correnti di estrema sinistra. Dato che i partiti socialisti erano riformisti, nacque molta sfiducia nelle ali di estrema sinistra, più rivoluzionarie. Nacquero nuovi partiti, come la Lega Spartachista di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. Lenin. pseudonimo di Vladimir Uljanovsk, era un membro del partito (clandestino) socialdemocratico russo, che faceva riferimento alla SPD tedesca. Egli però non era d’accordo con questo modello, ed elaborò un progetto: un partito votato alla lotta formato da rivoluzionari di professione. Il partito socialdemocratico russo si divise quindi in due parti: i Menscevichi, moderati, e i Bolscevichi, guidati da Lenin. Questi ultimi erano la maggioranza. Sorel. Guidò il sindacalismo rivoluzionario francese, il quale si basava sull'idea che la più grande azione di ribellione che potesse essere compiuta fosse lo sciopero. I piccoli scioperi che avvenivano nelle singole industrie dovevano perciò servire da preparazione al grande sciopero generale che avrebbero poi messo in atto per porre fine al sistema borghese. La questione femminista. Alla fine dell’800, le donne subivano pessimi trattamenti sul luogo di lavoro, erano escluse dall’elettorato e, in molti Paesi, non avevano accesso agli studi professionali e non potevano gestire i propri beni. Le donne, quindi, acquisirono maggiore coscienza dei loro diritti, e iniziarono a protestare. In Inghilterra, ad esempio, c’erano le suffragette, ossia donne che manifestavano per ottenere il diritto al voto. Erano appoggiate dal partito laburista, mentre i dirigenti socialisti le contrastavano, temendo che le donne avrebbero votato i partiti di ispirazione cristiana. Inoltre, ritenevano che, per risolvere la questione femminile bastasse semplicemente precludere loro il lavoro in fabbrica e relegarle al lavoro domestico. Beatrice Webb fu una delle più famose suffragette. Una delle principali figure della Fabian Society, credeva che, per avere pari diritti e pari dignità, le donne dovessero impegnarsi nel lavoro tanto quanto gli uomini. No dovevano giustificarsi affermando di avere anche il lavoro domestico da fare, ma dovevano impegnarsi e farli entrambi. Questo per poter acquisire le stesse abilità degli uomini e poter chiedere tutto ciò che meritavano. Una delle più importanti protagoniste del movimento femminista italiano ed europeo fu Anna Maria Mozzoni. Si impegnò per anni nella lotta femminista, affermando che anche le donne fossero cittadine contribuenti. Segnò la trasformazione del femminismo in un movimento politico organizzato. Lei lottò attivamente per: l’istruzione uguale per uomini e donne, il suffragio universale femminile, l’uguaglianza giuridica, l’uguaglianza sul campo di lavoro, l’abolizione del divieto di ricerca della paternità, il divorzio e la non regolamentazione della prostituzione. La Chiesa e la società di massa. La Chiesa divenne un’alternativa al socialismo; tramite le sue organizzazioni, fondò associazioni di lavoratori che si ponevano in concorrenza ai partiti socialisti. Leone XIII fondò la dottrina sociale della Chiesa, che riaffermava il ruolo sociale della Chiesa attraverso l’Enciclica Rerum Novarum. In questa enciclica, Il Papa criticava il Socialismo e Liberalismo, e chiedeva la collaborazione tra le classi. Questa collaborazione doveva basarsi però sul rispetto delle gerarchie, sulla moderazione e sulla laboriosità da parte degli operai, e sul rispetto della dignità dei dipendenti e una giusta retribuzione da parte degli imprenditori. A queste idee aderirono soprattutto i lavoratori dipendenti che però iniziarono ad usare comunque metodi di lotta socialista. Le teorie razziste. Le teorie razziste nacquero in seguito alla nuova idea di Nazionalismo, secondo cui la propria nazione e il proprio popolo fossero superiori agli altri, diversa dall’idea romantica secondo cui invece il nazionalismo era legato alla volontà di rendere libero e indipendente il proprio popolo, e in seguito all’imperialismo. Era nata infatti una teoria della razza, che affermava la superiorità di un popolo rispetto agli altri. Le teorie razziste attecchirono molto tra le classi popolari, dato che facevano leva alle componenti La belle époque La Prima Guerra mondiale era caratterizzata da un particolare ottimismo della classe borghese, e da una spiccata crescita economica e sociale, che portò a dare a questo periodo il nome di belle époque. Nonostante questo, fu un periodo segnato da contrasti politici, conflitti sociali e tensioni originate dalla politica imperialista e dalla corsa agli armamenti. Il caso Dreyfus Verso la fine dell’800, i repubblicani moderati (appoggiati dai socialisti) erano sempre più criticati dai monarchici, dai clericali e dalle forze nazionaliste. Alfred Dreyfus era un ufficiale ebreo ingiustamente condannato ai lavori forzati. Nonostante i parecchi dubbi sulla sua colpevolezza, gli alti ufficiali dell’esercito francese non vollero rivedere il caso, e furono sostenuti dai monarchici e dai clericali. Alla fine, però, Dreyfus ottenne giustizia e fu liberato. Le forze progressiste riottennero potere in ambito politico, furono sostituiti i vertici dell’esercito, venne bloccato ogni modo di interferire da parte della Chiesa e vennero applicate nuove riforme sociali. Conservatori e liberali in Gran Bretagna In Gran Bretagna si stava vivendo una crisi interna causata dall’attuazione di misure protezionistiche che contrastavano con la tradizione del libero scambio. Nel 1906 le elezioni furono vinte dai liberali, che adottarono una politica coloniale meno aggressiva e una serie di riforme sociali. Una di queste fu il criterio della progressività in campo fiscale, che prevedeva tasse proporzionali al reddito di chi le avrebbe pagate. Questa riforma fu ostacolata dalla Camera dei Lord, che fu quindi privata di alcune sue prerogative. Inoltre, il governo liberale approvò la Home Rule, un progetto che rendeva l’Irlanda autonoma, con un proprio governo e parlamento, ma ancora legata alla Corona. La Germania di Guglielmo II Guglielmo II aspirava a far diventare la Germania la più grande potenza mondiale. Per tale ragione, sostenne una politica estera più aggressiva, attuò un riarmo navale per colmare il divario con l’Inghilterra, grande potenza marina, e incrementò il sistema tecnologico e industriale, che era diventato paragonabile a quello degli Stati Uniti. Ciò portò allo sviluppo delle forze nazionaliste e ad una spinta a colonizzare e a conquistare più terre per ottenere sempre più materie prime, di cui la Germania era a corto. L’unica forza di opposizione alle tendenze nazionalistiche era la socialdemocrazia tedesca, che però era isolata dal Governo e dagli affari di Stato e, pian piano, si arrese alle politiche imperialiste dell’imperatore. Situazione in Russia La Russia di fine 800 era uno dei pochi Paesi che si reggeva su un sistema autoritario; gli Zar godevano di grande potere, e regnavano vivendo nel lusso più sfrenato dell’elegantissimo Palazzo d’Inverno. A partire dagli anni ‘90 del secolo, iniziò un processo di modernizzazione dell’economia (che era ancora basata sull’agricoltura), attraverso l’industrializzazione, che però colpì solo poche zone (la capitale San Pietroburgo, la zona di Mosca, la regione petrolifera di Baku e i distretti minerari degli Urali). Gran parte del Paese restava ancora impegnata nel settore agricolo: per tale ragione, il partito d’opposizione che meglio attecchì in Russia non fu il Partito social-democratico (rivolto alla classe operaia), ma il Partito socialista rivoluzionario, guidato da Lenin (si rivolgeva soprattutto alle classi rurali, che costituivano il 70% della popolazione). Il malcontento iniziò a diffondersi nel Popolo russo, costretto a vivere in condizioni di povertà mentre la famiglia reale poteva permettersi ogni forma di lusso, ma la scintilla scoppiò durante la Guerra contro il Giappone; all'esercito russo, infatti, serviva più denaro agli armamenti, perciò il Governo impose un aumento dei prezzi. La tensione aumentò, e nel 1905 migliaia di manifestanti si riunirono assaltando il Palazzo d’Inverno. Essi chiedevano agli Zar maggiori libertà politiche e un miglioramento delle condizioni di vita delle classi popolari: la risposta da parte del sovrano fu una violentissima repressione. Scoppiarono ribellioni in tutto l’Impero, che portarono alla nascita dei soviet, organismi autonomi rivoluzionari che si associavano sul luogo di lavoro. Alla guida dei vari soviet vi era il soviet di San Pietroburgo, che aveva a capo Lenin. Nicola II comprese quindi di dover placare gli spiriti rivoluzionari; per tale ragione nel 1906 fece eleggere a suffragio universale la Duma, un'assemblea rappresentativa. Da bravo stratega, però, fece in modo da non dare troppo potere alle classi popolari, dando al voto dei grandi proprietari un peso maggiore. Per guadagnarsi ulteriore fiducia da parte del popolo, lo zar fece promulgare una riforma agraria, proposta dal primo ministro russo Stolypin, che facilitava l’accesso ai contadini alla proprietà della terra. Fu una mossa astuta, perché i terreni erano troppo piccoli per garantire condizioni di vita accettabili, perciò si venne a creare una piccola borghesia rurale, che riusciva a garantire stabilità politica. Gli Stati Uniti d’America Gli Stati Uniti stavano progressivamente assumendo un ruolo egemonico, basato soprattutto sullo sviluppo economico, che era dovuto sia alle rivoluzioni agrarie del Midwest e sia all’industrializzazione (caratterizzata dalla nascita delle corporation, ossia associazioni che controllavano il mercato). Il presidente Theodore Roosevelt, esponente dell’ala progressista del Partito Repubblicano, diede un impulso sia alla produzione industriale che alla politica espansionistica: durante il governo Roosevelt vi fu la conquista delle Filippine e l’annessione delle Hawaii (1898). La politica estera di Roosevelt era però una politica molto aggressiva. Nel 1908 fu eletto Woodrow Wilson, democratico, il quale attuò una politica estera molto meno aggressiva e riprese l’impegno del presidente precedente sul piano sociale: egli lottò infatti contro i grandi monopoli per la diminuzione delle tariffe protezionistiche. Nel 1917, nonostante Wilson ritenesse che il ruolo degli Stati Uniti dovesse fondarsi più sulla capacità di espansione invece che sulle armi, decise comunque di far intervenire l’America alla Prima Guerra mondiale.   La I Guerra mondiale La Prima Guerra mondiale scoppiò nel 1914 a seguito dell’omicidio dell’arciduca austriaco Francesco Ferdinando da parte del serbo Gavrilo Princip. Molti affermano che la Prima guerra mondiale sia stata una sorta di Guerra civile Europea, scoppiata a causa delle grandi tensioni che vigevano tra i Paesi (come dimostrano le varie dichiarazioni di guerra incrociate), guerra civile che si sarebbe conclusa non nel 1918, bensì nel 1945. Gli strascichi della prima guerra mondiale porteranno ad una situazione di eterno conflitto che si ultimerà nel 1945. Guerra Civile perché fu una guerra tra popoli europei, popoli fraterni che condividevano una comune identità (come la cristianità). Di fatto, questa fu una guerra tra civiltà identiche che mai avrebbero dovuto combattersi, che combatterono solo per i fragili equilibri spezzati. Cosa portò alla Guerra? La situazione geopolitica europea, nonostante il benessere dato dalla Belle Époque, era caratterizzata da forti tensioni. Ad esempio, la Germania di Guglielmo II aspirava ad essere la più grande potenza mondiale, e aveva dato avvio ad un colonialismo sfrenato (che portò la nazione ad entrare in contrasto con un’altra superpotenza, il Regno Unito) e prevedeva persino di conquistare la Francia. Oppure l’Impero Ottomano, elemento di stabilità europeo, stava vivendo un grande periodo di crisi: le rivolte dei giovani turchi avevano portato alla nascita di un regno costituzionale, e per tale ragione nuove voci si stavano aggiungendo ad un dialogo europeo sempre più complesso. L’Austria aveva approfittato degli squilibri nell’Impero Ottomano, per creare nuovi focolai di guerra. Anche i Balcani, in generale, erano in crisi: gli Slavi del sud volevano l'autonomia, mentre la Serbia voleva controllarli creando un regno indipendente dall’Austria-Ungheria. Altre instabilità che portarono alla Grande Guerra furono:  Il nazionalismo aggressivo, che si stava ormai diffondendo presso tutti i popoli.  L’idea che la guerra fosse un dovere patriottico, un evento liberatorio e un’occasione per sfuggire dalla monotonia della quotidianità.  Lo sviluppo dell’industria bellica e la possibilità di guadagno in una corsa al riarmo. L’inizio della guerra 28 giugno 1914: L’epicentro fu Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina. Francesco Ferdinando venne ucciso poiché aveva espresso la volontà di rendere gli Slavi del sud autonomi. Ciò ledeva gli interessi del polo ungherese e favoriva gli slavi del sud. Ciò non piacque alla Serbia, che voleva conquistare il maggior numero di popolazioni per creare un nuovo popolo egemone che riunisse tutti gli slavi. Quest’omicidio scosse fortemente l’opinione pubblica, e la reazione dell'Austria fu molto dura: diede un ultimatum alla Serbia dicendo di dare inizio ad un’inchiesta all’interno del movimento nazionalista per capire chi fosse il responsabile, e si chiedeva che a svolgere le indagini fossero anche autorità austriache. La Serbia accettò l’ultimatum, ma chiese degli approfondimenti. Ma il 28 luglio, non essendosi bene accordati su delle questioni effimere, si arrivò allo scoppio della Grande Guerra, con l’Austria che dichiarò guerra alla Serbia. Come si giunse alla guerra mondiale? Attraverso il complesso gioco di alleanze. La Russia, protettrice della Serbia, dichiarò a sua volta guerra all’Austria. La Germania dichiarò guerra alla Russia e alla Francia. Non ci si aspettava di iniziare una lunga guerra della durata di quattro anni: i Paesi europei, soprattutto la Germania, avevano intenzione di condurre una Guerra lampo, una guerra che durasse molto poco e con molte poche perdite umane, che avrebbe portato più guadagni che danni. Il generale tedesco Von Schlieffen aveva messo a punto (qualche anno prima, in previsione di una guerra su due fronti) un piano per invadere la Francia e contava, in questo progetto, di servirsi di un’aggressione rapida del Belgio per poi muoversi verso Parigi. Il Belgio, però, oppose una resistenza non particolarmente significativa dal punto di vista militare, ma importante da quello temporale. La Francia, infatti, ebbe il tempo di organizzare la linea difensiva. La Prima guerra mondiale fu infatti una guerra di posizione, di logoramento, in cui ogni esercito aspettava l’attacco del nemico nelle trincee. Queste ultime furono tra le più grandi nemiche dei soldati: le condizioni di vita all’interno di queste enormi fosse erano pessime, e molti soldati morirono di stenti. Inoltre, è importante considerare anche le nuove armi e tecnologie, come gas letali e bombe, che mietevano moltissime vittime tra soldati e civili. 1914: L’Europa era caratterizzata dalla presenza di tre fronti  Fronte Occidentale, Impero tedesco contro la Francia. Dopo il fallimento del piano di invasione di Parigi, la Gran Bretagna si unì alla Francia contro la Germania e si creò una situazione di stallo, in cui le truppe tedesche e le truppe dell’Intesa attendevano l’attacco nemico.  Fronte Balcanico, Impero austro-ungarico organizzò una spedizione punitiva contro la Serbia. Le truppe serbe riuscirono però a respingere il nemico.  Fronte Orientale, Impero russo contro l’Impero tedesco. Questo fronte, grazie alle distese sterminate della Russia, fu caratterizzato inizialmente da una certa mobilità. Quando però la Russia conquistò la Galizia, ottenendo una posizione di vantaggio, si creò una situazione di stallo anche qui, dato che era veramente difficile riuscire a colpire la Russia. La situazione in Italia (1915) Inizialmente, l’Italia si era dichiarata neutrale. Infatti, nonostante facesse parte della Triplice Alleanza, riteneva che esso fosse un patto difensivo, e che quindi il suo intervento fosse richiesto solo in caso di attacco subito da Germania o Austria. In realtà, la scelta di neutralità era dovuta a ben altre motivazioni:  l’impreparazione tecnica italiana,  la paura di rivolte sociali,  l’opinione pubblica fortemente anti austriaca (l’Austria, nonostante fosse un’alleata, era ancora considerata nemico dell’Unione). Lo zar comprese che doveva assolutamente agire: per tale ragione, sciolse la Duma (l’assemblea popolare), la quale non riusciva a rispondere alle esigenze del popolo (era formata soprattutto da nobili che facevano i favori degli zar) e decise di formare un nuovo governo provvisorio. Questo era formato da nobili, rappresentanti liberali moderati e da un esponente dei socialisti rivoluzionari (Aleksandr Kerenskij). Purtroppo, la creazione di questo governo non fu sufficiente a calmare il malcontento popolare; lo Zar Nicola II, il 15 marzo 1917, decise di abdicare in favore del fratello, che rifiutò, dando inizio ad una crisi istituzionale. Fu Kerenskij, inizialmente, a farsi leader del governo, nel tentativo di guidare la Russia fuori dalla guerra e di attuare una modernizzazione radicale. Però, un’altra voce iniziava a farsi sempre più forte: la voce dei Soviet (assemblee di fabbrica costituite da operai ma anche contadini), in particolar modo del lato più rivoluzionario di questi gruppi: i Bolscevichi, guidati dal carismatico Lenin. Essi volevano infatti seguire le vie del marxismo e instaurare un governo comunista che avrebbe favorito i bisogni di tutti: per tale ragione, Kerenskij (che invece era più moderato), dovette calmare questa voce sempre più insistente in modo da mantenere saldi i rapporti con gli altri Paesi europei. Il timore che l’intero cuore dell’Europa potesse diventare comunista si faceva sempre più forte, e Kerenskij temeva che gli Stati europei avrebbero potuto estromettere la Russia dagli affari internazionali. I bolscevichi, però, ottenevano sempre più consensi dal popolo, infatti Lenin iniziò la sua propaganda politica con le Tesi di aprile e riuscì a conquistare la maggioranza dei Soviet. I bolscevichi invasero il Palazzo d’Inverno, per porre una fine definitiva al governo provvisorio indetto dallo Zar e per poter inaugurare un governo comunista che avrebbe avuto come leader Lenin. Inizialmente, l’occupazione non fu violenta, e i Soviet riuscirono a proclamare la Repubblica sovietica. Kerenskij, capita la gravità della situazione, scappò. La prima mossa del nuovo governo fu la richiesta di armistizio agli imperi centrali, che portò ad ottenere, nel marzo del 1918, la Pace di Brest-Litovsk. Questo trattato di pace fu umiliante per la Russia, e ne mostrò tutta l’inadeguatezza in guerra. Lenin al potere si impegnò per eliminare totalmente ogni forma di proprietà privata per dare finalmente inizio ad un nuovo Stato comunista: perciò, nazionalizzò le banche e le industrie, mossa strategica che portò anche all’arricchimento dello Stato; vennero sottratti territori ai nobili e agli Zar; venne determinata l'uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge e, addirittura, venne proclamato il suffragio universale, anche femminile. Vennero infatti indette delle elezioni e fondata un’assemblea costituente che potesse moderare le varie posizioni. Un’altra mossa compiuta da Lenin nei primi momenti del suo governo fu quella di instaurare il principio dell’autodeterminazione dei popoli (ogni popolo può scegliere la forma di governo con cui governarsi): la Russia, infatti, era formata da circa 60 etnie, ed era meglio evitare che si ribellassero contro il nuovo ordine costituito. Tutto sembrava volgere per il meglio, finché non si conobbero i risultati delle elezioni: i bolscevichi non avevano ottenuto la maggioranza sperata, perché i contadini delle campagne più lontane dal centro dell’impero si sentivano fuori dalla rivoluzione e abbandonati nella stessa situazione che c’era con gli Zar, ossia costretti allo sfruttamento da parte dei latifondisti . Lenin, allora, decise di annullare qualsiasi forma di opposizione e dar inizio alla dittatura del proletariato, la quale avrebbe dovuto essere momentanea. Venne instaurato un partito unico che doveva mettere a tacere ogni forma di opposizione, e venne creato il corpo delle armate rosse guidate da Trotskij, erano il braccio armato di quella che sarebbe diventata la dittatura comunista. Lenin organizzò un colpo di Stato, che portò allo sterminio della famiglia Romanov: questo fu solo l’inizio della sanguinosa guerra civile che avrebbe tormentato la Russia. Ciononostante, Lenin si rese conto che l’applicazione pratica delle idee marxiste era impossibile: la totale eliminazione della proprietà privata, infatti, aveva portato ad un blocco della modernizzazione economica, e ad un sempre più decisivo allontanamento dall’economia europea. Venne perciò elaborata la NEP, la nuova politica economica che avrebbe permesso alla Russia di allinearsi con gli altri Stati europei. In tutto questo, l’Europa temeva ogni possibile diffusione del Comunismo: perciò, per fermare questa minaccia, venne creato il cosiddetto cordone sanitario, una linea militare posta lungo i confini dell’ex impero onde evitare qualsiasi fuoriuscita di questa ideologia tanto temuta. VINCITORI E VINTI LA CONFERENZA DI PACE Il 18 gennaio 1919, a Versailles, ci fu una conferenza di pace a cui parteciparono i rappresentanti di 32 paesi dei 5 continenti. Rimasero esclusi i paesi sconfitti che furono chiamati solo a ratificare le decisioni prese principalmente dai capi di governo delle 4 grandi potenze vincitrici: il presidente americano Woodrow Wilson, il francese Georges Clemenceau, l’inglese David Lloyd George e l’italiano Vittorio Emanuele Orlando. Questi leader avevano come primo compito quello di ridisegnare la carta politica del vecchio continente, sconvolta dal crollo di 4 imperi: austro-ungarico, tedesco, russo e turco. I QUATTORDICI PUNTI DI WILSON Con il documento dei 14 punti del presidente Wilson del 1918, gli Stati Uniti indicavano soluzioni concrete per definire i vecchi e nuovi confini europei. Queste soluzioni si ispiravano al principio di nazionalità e autodeterminazione dei popoli. Proponevano anche una nuova riforma delle relazioni internazionali che aveva come scopo la libertà di navigazione, lo sviluppo del commercio e la rinuncia dell’uso della forza e la fine della diplomazia segreta. Venne istituito un nuovo organismo internazionale, la Società delle Nazioni, che assicurava la pace e il rispetto dei trattati (prevedeva la rinuncia dell’uso della guerra per risolvere i contrasti). IL TRATTATO DI VERSAILLES Nella realtà prevalse il desiderio di punire i vinti e acquietarli. Il trattato di pace, firmato il 28 giugno del 1919, fu una imposizione che impedì alla Germania di tornare a essere una grande potenza e rappresentare una minaccia. La Francia recuperò l’Aslazia e la Lorena (luoghi preziosi poiché ricchi di carbone), alcune regioni orientali vennero annesse al nuovo stato polacco come l’Alta Slesia e la Posnania. RIPARAZIONI E SMILITARIZZAZIONE La Germania, essendo responsabile della guerra, dovette risarcire ai vincitori i danni subiti nel conflitto . Fu anche costretta ad abolire il servizio di leva, rinunciare alla marina da guerra, ridurre l’esercito e lasciare priva di truppe la Renania. LE NUOVE NAZIONI La Repubblica di Austria venne ridotta a un piccolo Stato, l’Ungheria perse le regioni slave. Tra gli stati che ebbero un vantaggio dalla dissoluzione dell’impero asburgico ci fu l’Italia che ottenne le terre irredente. La Polonia tornò uno stato indipendente. I cechi e gli slovacchi confluirono nella Repubblica di Cecoslovacchia. Le popolazioni slave del sud si unirono alla Serbia e al Montenegro dando vita al regno di Jugoslavia. IL CROLLO DELL’IMPER OTTOMANO E IL PROBLEMA DELLA RUSSIA Il nuovo assetto dei Balcani era completato dall’ingrandimento della Romania e dal ridimensionamento della Bulgaria. Stava scomparendo dall’Europa l’impero ottomano che si era ridotto a uno stato nazionale turco. Rimase irrisolto il rapporto con il nuovo stato sovietico che non fu riconosciuto dalle potenze vincitrici. Furono riconosciute e protette le nuove repubbliche baltiche nate dopo il trattato di Brest-Litovsk (Estonia, Lettonia e Finlandia) Ai nuovi Stati dopo la Grande Guerra si aggiunse l’Irlanda che diventò nel 1922 indipendente dalla Gran Bretagna, con l’esclusione del Nord protestante che rimase parte del Regno Unito. LE MINORANZE ETNICHE Il crollo degli imperi multietnici rappresentò il successo di molte lotte per l’indipendenza. L’applicazione del principio di nazionalità risultò difficile in Europa Orientale e nell’impero ottomano nei quali si era abituati a convivere con culture diverse dalla propria. Le minoranze iniziarono a rappresentare una minaccia per le comunità nazionali omogenee o unite. Poiché non si riuscivano a trovare soluzioni condivise a livello internazionale, milioni di persone furono costrette a trasferirsi in base alla loro cultura. IL FALLIMENTO DELLA SOCIETA’ DELLE NAZIONI La Società delle Nazioni avrebbe dovuto assicurare la pace e l’equilibrio ma fin dal 1920 fu indebolito da:  l’esclusione degli Stati sconfitti e la Russia Sovietica,  la mancata adesione degli Stati Uniti. La potenza che uscì più rafforzata dalla guerra si orientò verso una politica di rifiuto delle sue nuove responsabilità mondiali che nemmeno le vecchie potenze europee erano in grado di sostenere. DOPOGUERRA E FASCISMO L’esperienza della Grande Guerra aveva sconvolto l’Europa. Tutti i paesi erano usciti dal conflitto con condizioni economiche disastrose. Per far fronte ai costi della guerra i governi hanno alzato le tasse aumentando il debito pubblico e si erano indebitati con alcuni paesi come gli Stati Uniti. Né le tasse né i debiti riuscirono a coprire le spese di guerra. I governi iniziarono a stampare carta monetaria in eccedenza provocando la crescita dell’inflazione. Tra il n1915 e 1918 i prezzi aumentarono di tre volte e mezzo in paesi come la Francia, l’Italia e la Gran Bretagna. L’inflazione colpiva i risparmi dei ceti medi e di chi aveva investito i titoli in debito pubblico. Per non aggravare la situazione i governi mantennero il blocco sui prezzi dei generi di prima necessità. Rimasero in vita alcuni apparati burocratici, come i commissariati. Grazie all’adozione da parte dello stato di protettivi e facilitazioni creditizie, l’industria europea riuscì inizialmente a mantenere i livelli produttivi degli anni di guerra ma questa fase si interruppe circa nel 1920/21. IL CALO DEGLI SCAMBI La ripresa delle economie europee era frenata anche dal calo degli scambi internazionali: quattro anni di interruzione delle correnti di traffico usuali avevano inferto un colpo duro alla tradizionale supremazia commerciale dell’Europa. Gli Stati Uniti e il Giappone sostituivano gli europei nei mercati dell’Asia e Sud America. Altri paesi come il Canada e l’Argentina avevano sviluppato una loro produzione industriale e iniziarono a dipendere sempre meno dall’Europa. Gran Bretagna e Francia non potevano più contare su molti partner commerciali europei: la Germania era economicamente distrutta, la Russia era devastata dalla guerra civile e l’Impero Astro ungarico era stato suddiviso in tanti altri stati ciascuno con la sua moneta e i suoi dazi doganali. Nel dopoguerra si ebbe quindi una ripresa del protezionismo doganale. Le trasformazioni della vita sociale: ai cambiamenti economici si aggiunsero anche le trasformazioni della vita sociale. L’espansione dell’industria bellica aveva spostato dalle campagne alle città tanti lavoratori non qualificati come donne e ragazzi non ancora all’età di leva. L’allontanamento prematuro e duraturo dei giovani e dei capifamiglia dalla famiglia, aveva messo a dura prova le strutture tradizionali della famiglia e provocato profondi cambiamenti nelle abitudini delle generazioni più giovani. C’era meno rispetto per le tradizioni e le gerarchie consolidate. Tutti cercavano compensi per le sofferenze subite o per gli anni perduti a causa della guerra. LE DONNE Cambiamenti importanti si ebbero anche nel mondo femminile. Per quanto riguarda il lavoro durante la guerra le donne avevano spesso preso il posto degli uomini nei campi e nelle fabbriche assumendo responsabilità mai avute fino ad allora. Divennero operaie nelle fabbriche di armi, impiegate in banca e guidatrici di tram. Anche in casa il loro ruolo cambiò: passarono da essere delle esecutrici di mansioni LA “GRANDE COALIZIONE” E IL COMPLOTTO DI MONACO Nell’agosto 1923 si formò un governo di “grande coalizione” presieduto da Gustav Stresemann, il leader del partito tedesco popolare. A settembre fu ordinata la fine della resistenza passiva di Ruhr e vennero riallacciati i rapporti con la Francia. Subito dopo il governo decretò lo stato di emergenza per reprimere le insurrezioni scoppiate nel paese e la ribellione della destra nazionalista in Baviera. A Monaco tra l’8 e il 9 novembre 1923 alcuni aderenti al partito nazionalsocialista guidato da Hitler cercarono di organizzare una insurrezione contro il governo centrale. Il complotto fu represso e Hitler fu condannato a 5 anni di carcere. Quando l’autorità dello stato fu ristabilita il governo cercò di risolvere i problemi economici avviando una politica deflazionistica (basata sulla limitazione del credito e sull’aumento delle imposte) che portò ad altri sacrifici la popolazione tedesca ma determinò un graduale ritorno alla normalità monetaria. IL PIANO DAWES Una vera e propria stabilizzazione fu possibile solo grazie a un accordo con i vincitori sulle riparazioni. All’inizio del 1924 il piano Dawes prevedeva che l’entità delle rate da pagare fosse graduata nel tempo e che la finanza internazionale aiutassero la ripresa economica tedesca con dei prestiti a lunga scadenza. Negli anni successivi la situazione politica in Germania divenne più stabile. I partiti di centro e centro-destra restarono al potere fino al 1928 quando i socialdemocratici ritornarono al governo. Stresemann rimase fino alla morte il ministro degli esteri assicurando la collaborazione con le potenze vincitrici. DINAMICHE DEL DOPOGUERRA Per poter osservare le dinamiche sociali che portarono a questa realtà, dobbiamo vedere quali furono i soggetti sociali e politici coinvolti in queste nuove dinamiche: innanzitutto, una voce importante durante il primo conflitto mondiale, colui che cercò di scoraggiare il Governo Italiano convincendolo a non portare avanti una guerra inutile, fu il mondo dei cattolici. Da sempre avevano avuto un ruolo nella vita politica, ma di fatto, Papa Pio IX, dopo l’ingresso dei bersaglieri a Roma nel 1970, aveva vietato ai cattolici italiani di partecipare alla vita politica. Nel 1913, con il Patto Gentiloni (un accordo sottoscritto fra le rappresentanze liberali del governo e l’unione elettorale cattolica formata da cattolici praticanti), si invitavano i cattolici (che erano sempre stati esclusi dalla vita politica) a intervenire e sostenere politicamente quelle rappresentanze che, pur essendo liberali, avrebbero difeso le posizioni della Chiesa. Dopo la famosa “Bolla non expedit” di Papa Benedetto XV, con cui egli cercava di scoraggiare la partecipazione alla guerra, nel 1919 nacque il Partito Popolare Italiano (di chiara ispirazione cattolica) fondato da Don Luigi Sturzo, presbitero e politico italiano, con l’intento di dare un’impostazione cattolica anche alla politica che non era né di destra, né di sinistra, era neutra, democratico, di massa, interclassista, si poneva un po' superpartes. LA FIGURA DEGLI EX COMBATTENTI In Italia nasce l’Associazione Nazionale Combattenti, riconosciuta dallo Stato, che aveva come scopo quello di tutelare i diritti dei combattenti che, tornati dalla guerra, non avevano avuto la possibilità di ricollocarsi nel mondo del lavoro (a causa di gravi mutilazioni o di forti condizioni psicologiche). Un’Associazione molto ampia, con base popolare, nutrita di un fortissimo risentimento nei confronti del Governo. Essa rappresentò un’importante base su cui poi intervenne il fascismo. Sempre nel 1919 nascono i “fasci di combattimento”, creati nel famoso Discorso di San Sepolcro da Benito Mussolini. Egli era stato un ex dirigente socialista che, ad un certo punto era stato cacciato dal Partito poiché aveva sostenuto posizioni favorevoli alla guerra. Sulla base di un programma preciso, fonda questi “fasci di combattimento”, con l’obiettivo di coinvolgere il maggior numero di reduci di guerra, esponenti del ceto medio e di una piccola borghesia di impostazione anti-socialista e socialisti (i socialisti rappresentavano una voce importante in questo periodo, poiché erano una forza politica e sociale in grado di influenzare e indirizzare le masse e distrarle da nuovi programmi politici in linea con i loro principi). Le idee socialiste di Benito Mussolini però, non si persero facilmente, infatti, in molti aspetti del Programma di San Sepolcro, troviamo delle somiglianze con le imposizioni socialiste, in particolare quelle del movimento operario (esempi: il sostegno della forma di stato repubblicana, la presenza del post progressiva sul reddito, la conquista dei profitti di guerra, l’importanza del voto e della consapevolezza femminile, l’abbassamento dell’età pensionabile e l’impostazione della giornata lavorativa di 8h). Motivi di convenienza politica e di formazione politico-culturale portarono Mussolini ad elaborare un programma, come quello di San Sepolcro, che aveva molti punti in comune con il movimento socialista, ma c’erano anche delle importanti differenze. Mentre il socialismo rifiutava e combatteva lo sciovinismo (ritenere che la propria nazione sia al di sopra di tutto e che non ci siano altri riferimenti di valutazione se non la propria nazione), il Programma esaltava al massimo due concetti: l’anti bolscevismo (anticomunismo per eccellenza) ed il nazionalismo. Iniziò a diffondersi questa paura molto forte nei confronti del comunismo, e fu proprio su queste paure che il bolscevismo andò a lavorare. Un’impostazione ideologica molto subdola. Nel 1919 si arriva poi alle elezioni a cui si arrivò con il suffragio universale maschile (tutti potevano votare) ed una legge proporzionale che permetteva un’ampia rappresentanza a tutte le forze politiche. Come andarono queste elezioni? Coloro che ottennero più successo in assoluto furono i socialisti (in quel momento erano molto potenti) e popolari (i cattolici, su cui aveva fatto presa a Chiesa), e questo confermò la forza della massa e del popolo che viene coinvolto emotivamente alla partecipazione alla vita politica. I liberali ed i radicali facenti parte della classe liberale invece, accusarono una fortissima sconfitta. Si formò il Governo Nitti, un governo che fu di coalizione fra liberali e non liberali, privo quindi di un indirizzo politico ben preciso. La peggiore sconfitta però, fu ottenuta dai fascisti. La loro ideologia non aveva fatto presa sulla massa, nonostante il Programma di San Sepolcro fosse particolarmente accattivante, evidentemente le idee socialiste erano quelle che ispiravano più fiducia al popolo dal punto di vista politico. Un personaggio significativo che, con la sua politica di compromesso, finì per “bruciarsi” dal punto di vista politico fu Giolitti. Egli ebbe una carriera politica piuttosto altalenante e, quando tornò al potere, ritenne opportuno sostenere le richieste del popolo e delle classi lavorative (le più rappresentative dello stato) e mantenere un dialogo con i socialisti. Nello stesso tempo però, Giolitti aveva una missione (che divenne sempre più urgente nell’immediato dopo guerra): restituire all’Italia un ruolo di preminenza dal punto di vista industriale (fare i conti con la classe degli industriali fu un’operazione estremamente difficile poiché la sua politica di forte trasformismo molto criticata cercò di rompere gli equilibri su cui si basavano le dinamiche economiche e politiche e ricostruirne di nuovi, ma queste dinamiche di fatto non accontentavano nessuno). Nel 1920 quindi, si arrivò ad una realtà di forte contestazioni nelle campagne e nelle città che crearono una profonda confusione sociale. In particolare si intensificarono le occupazioni spontanee delle terre, soprattutto nella zona del Lazio e del mezzogiorno. L’Italia però non era pronta ad un discorso del genere, perciò questo esperimento fu destinato a fallimento. Inoltre, il movimento operaio rappresentò una voce molto importante con i “consigli di fabbrica” (di ispirazione sovietica) con cui gli operai cercavano di sostenere una sorta di autogoverno; addirittura essi ebbero la pretesa di sostituirsi alle associazioni sindacali. Secondo Gramsci, questi “consigli di fabbrica” costituirono il nucleo fondamentale del Movimento Proletario. Questa forza sociale però, non ebbe successo, probabilmente poiché venne ritenuta eccessivamente aggressiva. Il governo Nitti decade definitivamente nel 1920 e decade ancora una volta Giolitti che per ben 5 volte salì al governo, cercando di gestire la situazione dell’Italia durante una guerra. Quali erano i punti del Programma Dronero (quinto governo di Giolitti)?  Innanzitutto restituire una sorta di centralità al Parlamento (scalzato da tutte queste voci che sostenevano una sorta di autogoverno) e soprattutto promuovere l’azione parlamentare che facesse luce su quelli che erano stati gli aspetti più scuri e ambigui della guerra, la quale aveva creato per molti dei profitti.  Giolitti riteneva che, una società realmente liberale dovesse fare i conti e difendere i diritti dei lavoratori (che dovevano essere tutelati dal punto di vista sociale ed economico) e la classe degli imprenditori che gestivano i meccanismi della produzione. Naturalmente la destra attaccò fortemente la politica giolittiana definendola trasformista e pericolosamente sbilanciata verso sinistra (poiché difendeva i diritti dei lavoratori per la prima volta). Questo, insieme alle agitazioni che vennero a livello industriale, creò un disordine sociale. Il Programma di San Sepolcro non era un manifesto politico, era un manifesto ideologico. Sarà proprio questa mancanza di connessione con la politica a penalizzare fortemente i fascisti inizialmente (non saranno oggetto di fiducia da parte di un’Italia in crisi che stava cercando in tutti i modi di riprendersi). Infatti, a poco a poco, il fascismo cercherà di trasformarsi in una forza politica, cercherà di inserirsi nella trama della politica e diventarne parte attiva. Cos’erano i fasci di combattimento? Una nuova forza, abbastanza eterogenea, che comincia a lavorare ideologicamente contro il socialismo che racchiudevano un po' tutti (ex combattenti, cattolici, in parte liberali, tutti coloro che nutrivano un profondo malcontento nei confronti degli esiti della guerra: morti, feriti crisi economica). Ciò che caratterizzava davvero i fasci di combattimento era proprio la mancanza di un programma, era un semplice nucleo ideologico che si muoveva come un blob (una massa informe) che si adattava alle circostanze. Non potevano essere perciò, classificati con un logo, uno slogan, semplicemente rappresentavano il malcontento del popolo, eterogeneo nella sua composizione. Un’ulteriore caratteristica che li distingueva era la mancanza di un credo ideologico, organizzato con un’ideologia ben fissa (come il comunismo). I fasci di combattimento avevano la semplice ambizione del potere. Avevano come punti di riferimento il nazionalismo, il bolscevismo, la difesa dei braccianti, degli operai. Inoltre, ritenevano di dover creare una forza attiva, violenta, per poter scalzare completamente il passato. Non essendo un manifesto programmato e vincolante per i fasci di combattimento, il manifesto di San Sepolcro permise ai fasci stessi di inserirsi nella politica. Per non spaventare gli elettori si inserirono in una maniera un po' subdola, come rappresentanza politica, all’interno di liste eterogenee (in cui c’erano anche liberali, democratici e nazionalisti). I fasci di combattimento poi, erano delle realtà assolutamente eterogenee, erano composte da molti nazionalisti (che non vedevano altra nazione se non l’Italia), poi c’erano molti sindacalisti rivoluzionali, liberali; quello che caratterizzava questi gruppi era proprio la violenza: sistematicamente la utilizzavano come unica arma, uno strumento attraverso cui il fascismo controllerà i comportamenti dei cosiddetti dissidenti. Quando il fascismo si affermerà come forza politica i fasci e poi le camicie nere diventeranno lo strumento violento attraverso cui ogni forma di dissenso verrà represso. La parola chiave di questa prima fase della politica di Mussolini sarà “produttivismo”. Mussolini era stato il fondatore di una rivista: “Il popolo d’Italia”, una rivista che rappresentava un po' l’espressione del socialismo (Mussolini socialista). Egli, cacciato dal Partito Comunista, pensò bene di cambiare il titolo a questa rivista che divenne “Quotidiano dei combattenti e dei produttori”. L’idea di Mussolini non era di opporre le forze produttive in campo (che avrebbe provocato un ulteriore danno all’Italia), ma quella di opporre, dal punto di vista ideologico, tutti i produttori (industriali, contadini, Perché era forte la necessità di un controllo al fine di creare una struttura politica efficace che sostenesse, al di là del suo programma politico, la sua immagine e la sua autorità carismatica. Con i regimi totalitari inizia l’idea del culto della persona che raggiungerà alti livelli con Hitler e Stalin. Il momento significativo dell’affermazione del fascismo, come forza violenta e autoritaria all’interno dello stato, fu la cosiddetta “Marcia su Roma” nel 1922. In questo anno la CGL (di impronta socialista che difendeva i diritti dei lavoratori) proclamò uno sciopero generale per difendere i diritti dei lavoratori e, in risposta a questo gesto di difesa, Mussolini fece marciare su Roma le sue camicie nere (coloro che aderivano alla milizia volontaria nazionale, una sorta di esercito personale che difendeva Mussolini e il suo operato) con lo scopo di impartire un messaggio ben preciso: mostrare ai dirigenti socialisti e sindacali la forza dirompente del fascismo. La “Marcia su Roma” inoltre, voleva costringere il re Vittorio Emanuele III a incaricare Mussolini per la formazione di un nuovo governo. Le prime mosse politiche di Mussolini furono molto simili a ciò che fece Augusto quando ottenne il potere (Augusto si pose come colui che avrebbe riappacificato Roma dopo le guerre civili che l’avevano dilaniata): fu soft, un modo per scongiurare ogni rischio di dittatura. Al momento del suo insediamento, Mussolini pronunciò un discorso (“il Discorso del Bivacco”) con cui si rompeva con le posizioni del governo precedenti: in questo breve discorso molto populista, emerge tutto il narcisismo della sua scelta politica ed il suo forte disprezzo per l’assetto parlamentare. Dietro il suo discorso percepiamo un assetto propagandistico volto a sostenere questa immagine. Gli elementi che caratterizzano il fascismo in questa fase, sono principalmente due: Ø  l’assenza totale di regole, di una morale, il fascismo si muove all’interno di limiti che si autoimpone, come se si autodeterminasse, in questo modo veniva meno il Parlamento, l’organo politico con il compito di porre dei limiti; Ø  assoluto disprezzo per la dialettica politica (che avveniva all’interno del Parlamento), veniva ritenuta una vera e propria “infezione sociale” (siamo sulla strada della dittatura, la quale impedisce qualsiasi genere di confronto). A questo punto, Mussolini risulta pronto per salire al potere in maniera definitiva ma, ancora una volta, non sceglie l’idea del governo rappresentato solo da fascisti, anche perché in campo c’erano delle forze sociali che non erano completamente convinte della sua ascesa, perciò decide ancora una volta di formare un governo di coalizione. All’inizio si pone come un punto di riferimento per i fascisti, ma anche e soprattutto per i liberali, cattolici e democratici. Per consolidare il proprio potere, egli inizia una campagna sistematica di screditamento del Parlamento: incomincia a far ricoprire dei ruoli politici importanti ai suoi camerati (i suoi collaboratori, i quali portano avanti sistematiche azioni di violenza nei confronti di posizioni contrarie a quelle del fascismo). La violenza non è più lo strumento di controllo per arginare il bolscevismo (tipico del fascismo della prima ora), ma diventa proprio uno strumento di controllo delle masse. I primi provvedimenti, le riforme del Governo Mussolini sono: Ø  ripristinare l’economia del tempo, Ø  ridurre la spesa pubblica e arrivare alla defiscalizzazione dei redditi (impose l’aumento delle imposte sui redditi dei contadini, ovvero tassò i contadini), Ø  abolire le tasse sui super redditi di guerra, Ø  utilizzare i fondi pubblici per evitare il fallimento del banco di Roma, una banca sostenuta anche da cattolici e industriali, per accattivarsi le simpatie di questi ultimi. Dal punto di vista sociale e culturale, abbiamo la famosa “Riforma Gentile”, la riforma della scuola, che di fatto crea una separazione tra il mondo umanistico ed il mondo tecnico-pratico; con questa scissione si crea l’idea che la classe dirigente avrebbe dovuto frequentare i licei e la classe proletaria avrebbe dovuto orientarsi verso gli istituti professionali per imparare un mestiere (si creava un solco importante nella cultura). Il Governo Mussolini si muoveva nel solco dello Statuto Albertino del 1848, promulgato da Carlo Alberto di Savoia. Nel 1924 Mussolini, con la “Legge Acerbo” stabilisce un nuovo criterio per la rappresentanza politica: bastava superare il 25% dei voti per conquistare i 2/3 dei seggi e prendersi tutto il potere. Ovviamente questa campagna elettorale fu violentissima (voleva eliminare i potenziali avversari in tutti i modi) e di fatto, nel 1924 i fascisti stravinsero. Giacomo Matteotti, un deputato socialista moderato, chiese di far luce sulle modalità di svolgimento di queste elezioni e, dopo questa sua affermazione venne fatto sparire letteralmente (quando ne venne ritrovato il copro, si capì subito che era stato un delitto di matrice fascista). Quando l’opposizione chiese che il Parlamento si muovesse secondo regole ben precise e trasparenti, Mussolini rispose: “Se il fascismo è una associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione” uscendo di fatto allo scoperto e dichiarandosi il responsabile morale dell’accaduto. Nel 1924 dunque, iniziano le cosiddette “Leggi Fascistissime” (le leggi più fasciste del fascismo), le quali indicavano: Ø  la soppressione della libertà di stampa (eliminando tutte le voci contrarie del suo governo), Ø  la soppressione delle libertà sindacali (i sindacali sono coloro che rappresentano le classi dei lavoratori, degli industriali), Ø  lo scioglimento dei partiti di opposizione (eliminando di fatto l’opposizione), Ø  l’istituzione di un Tribunale Speciale (tribunali gestiti da fascisti che giudicavano e condannavano chiunque non facesse parte della logica del fascismo), Ø  l’allargamento dei poteri del Presidente del Consiglio del Governo e la sottomissione dei parlamentari alla sua volontà (esattamente come aveva fatto Augusto a suo tempo). Inoltre, viene creata una sorta di sovrapposizione fra il Governo e il partito politico: il fascismo, cioè è l’espressione del governo ed il governo è la “facciata” del fascismo. Di fatto quindi, il fascismo entra nella politica e Mussolini decide di creare degli organi politici che potessero servirgli per poter operare all’interno dello Stato e sono: Ø  il Gran Consiglio del Fascismo, un organismo parallelo al governo ufficiale, un consiglio formato da fascisti che finì per esautorare il governo; Ø  la Milizia volontaria per la Sicurezza Nazionale, una sorta di esercito personale di Mussolini che finì per legalizzare la violenza delle camice nere. Qualsiasi atto di violenza e qualsiasi forma di coercizione furono legalizzati dallo Stato. Come risolvere i rapporti con Chiesa? La Chiesa era sempre rimasta un po' in imbarazzo, ma nel 1929 Mussolini e il cardinale Pietro Gasparri firmano i famosi “Patti Lateranensi”, il cui slogan era “libera Chiesa in libero Stato” che voleva dire “ognuno si muove liberamente senza schiacciare i piedi all’altro”. Così il fascismo ottenne l’appoggio anche del Vaticano. In quali ambiti si muovono il concetto di “repressione” e di “consenso” di Mussolini? Sono due elementi che si muovono di pari passo. Con le “Leggi Fascistissime” veniva esercitato un controllo dei mezzi di informazione, non ci fu soltanto l’eliminazione della libertà di stampa, ma furono creati degli organismi preposti alla diffusione del messaggio fascista, ad esempio: Ø  nasce, alle porte di Roma, Cinecittà (la cittadella del cinema), la quale si poneva come alternativa italiana agli Studios americani (luoghi in cui si faceva cinema in America) e iniziò a trasmettere film e documentari che sostenevano l’immagine del fascismo; Ø  fu creato l’EIAR (Ente Italiano delle Audizioni Radiofoniche) destinato alla propaganda di massa, una sorta di radio che trasmetteva la voce e le idee di Mussolini negli edifici pubblici (scuole e teatri); Ø  si diffuse la propaganda nella scuola, il saluto fascista viene messo anche nelle scuole; Ø  si diffuse l’uso del confino, un sistema repressivo per cui venivano allontanati tutti coloro che mostravano dissenso nei confronti del fascismo (Antonio Gramsci, Sandro Pertini, Carlo Rosselli, Giorgio Amendola, furono tutti degli intellettuali che, ad un certo punto, vennero mandati al confino). Il confino fu anche un luogo in cui si coltivarono i grandi ideali antifascisti (Antonio Gramsci scrisse le sue “Lettere dal carcere”), questi intellettuali ebbero la possibilità di ripensare le proprie posizioni e creare idee antifasciste che poi, furono trasmesse; Ø  infine, nasce il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, un tribunale fascista che giudicava tutti coloro che erano accusati di apologia, esaltazione di attentato e di offese al duce (fu introdotta la pena di morte, uno strumento di intimidazione). È importante ricordare che l’atteggiamento di Mussolini fu sempre di “vicinanza” nei confronti del suo popolo, non si serviva di intermediari ma, parlava lui direttamente alla gente. Si ricorda la nascita dell’OVRA (l’Opera di Vigilanza e di Repressione) che introduceva la polizia segreta del fascismo e rappresentava un sistema di controllo e di repressione. Il fascismo ottenne un larghissimo consenso dagli italiani, ma passivo, ovvero non deriva da una libera e felice adesione ai principi del fascismo, ma deriva dall’assenza di un’alternativa (l’alternativa era il dissenso, ma esso veniva punito). Secondo la famosa teoria del filosofo Giovanni Gentile, anche il fascismo fu un regime totalitario, dal momento che assorbì totalmente tutte le forze politiche e sociali in gioco e le sottomise alla sua logica. Secondo, invece, delle nuove teorie, il fascismo sarebbe una forma di totalitarismo imperfetto perché non riuscì mai a stabilire una sovranità assoluta ed indiscutibile sullo Stato, dovendo fare i conti, per tutta la sua durata, con due grandi istituzioni: la Chiesa cattolica e la monarchia dei Savoia (le quali non furono mai disposte a dialogare con Mussolini). Inoltre, sempre secondo questa teoria, nonostante il fascismo si macchiò di violenza, non praticò mai la repressione del dissenso in maniera sistematica come fece Stalin con i gulag (campi di concentramento in cui venivano rinchiusi tutti coloro che avevano un pensiero contrastante con quello staliniano). APPROCCIO DEL FASCISMO NEI CONFRONTI DELLA SOCIETA’ Il fascismo tentò più volte di inserirsi nelle maglie della società, andando a scardinare delle impostazioni di tipo socialista. Ad esempio, il mondo del lavoro era regolamentato dai sindacati, la forza sindacale più rappresentativa era la CGL (la “Marcia su Roma” nacque proprio come risposta al grande sciopero della CGL, il quale è sempre stato il sindacato più importante per i lavoratori). Se dovessimo individuare una linea di tendenza dell’economia fascista, possiamo dire che ai fascisti non interessava elaborare una teoria economica sistematica che permettesse una regolamentazione dell’economia stessa (come il liberismo). In virtù del loro continuo trasformismo, non vollero mai elaborare una teoria economica. Tutte le iniziative economiche che furono portate avanti dal fascismo, non obbedirono ad una teoria economica ben precisa, ma si mossero in rapporto alle esigenze del paese. All’interno del periodo fascista, dal punto di vista economico, possiamo individuare 3 fasi: 1.      la prima fase fu quella liberista, la quale ebbe come protagonista il Ministro delle Finanze Destefani, fu una fase piuttosto breve durante la quale il governò si impegnò a sedare i disordini provocati tra le forze capitalistiche e socialiste (momento di risistemazione e pacificazione dell’economia che richiedeva alcune prese di posizione in campo economico, quali il blocco dell’emigrazione); 2.      la seconda fase fu la fase dirigista, la quale vide come protagonista il Ministro delle Finanze Giuseppe Volpi e, il quale puntò al potenziamento della lira nei confronti della sterlina (quota 90); 3.      la terza fase è considerata una fase di nazionalizzazione implicita, il regime accentuò ulteriormente la sua fase dirigista (il governo incominciò a dettare le regole man mano che si presentava la necessità), tutte le scelte che vennero fatte in campo economico, vennero imposte da 2 organismi che gestivano l’economia: l’IMI, l’istituto mobiliare italiano, che permise al fascismo di
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