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Storia del cinema DAMS 2022/2023, Appunti di Storia Del Cinema

Appunti delle lezioni integrati della prima parte del modulo di storia del cinema, tenuta da Alonge

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 18/08/2023

rab703
rab703 🇮🇹

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Scarica Storia del cinema DAMS 2022/2023 e più Appunti in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! STORIA DEL CINEMA – IL LINGUAGGIO CINEMATOGRAFICO FILM: parola inglese che indica una pellicola (sinonimo in italiano). -> all’inizio in Italia era LA film. OPERA AUDIOVISIVA REALIZZATA SU PELLICOLA. Materialmente è invece una lunga striscia flessibile di triacetato di cellulosa –o in certi casi da Poliestere- non infiammabile (mentre in passato era di nitrato di cellulosa con sali d’argento altamente infiammabile) ricoperta da emulsione, sostanza sensibile alla luce e dotata di perforazione laterale con la quale si può proiettare. PELLICOLA. Striscia flessibile costituita da due elementi: il supporto e l'emulsione. Il supporto è il materiale (attualmente triacetato di cellulosa, resistente e non infiammabile, in origine nitrato di cellulosa, altamente infiammabile) su cui si distende l'emulsione. L'emulsione è costituita da una soluzione di gelatina e bromuro d'argento (o altra componente) sensibile alla luce. Il suo formato si esprime in millimetri ed è definito dalla larghezza. Può essere variabile: 8 e 16 mm (formati ridotti), 35 mm (formato standard), 70 mm (formato panoramico). Su uno o su entrambi i lati la pellicola presenta una perforazione che le consente di essere trascinata in fase di ripresa e di proiezione. C’è il fotogramma centrale (ossia l’insieme delle immagini statiche) in cui i singoli fotogrammi sono divisi dal “passo” e poi accanto la pista sonora, che può essere la doppia pista ottica (del 35 mm) o magnetica (di materiale alla base di ossido di ferro, che approfittava del costoso sistema stereo). Ai lati i fori della perforazione. La pista centrale è rettangolare o cambia in base al mascherino. -> la colonna sonora magnetica. Ha avuto una grande diffusione sino ai primi anni ’50. La colonna sonora magnetica presenta quattro tracce disposte sui lati che delimitano le perforazioni e si presentano senza alcuna variazione di area o densità. -> la colonna sonora ottica. La colonna sonora ottica è una banda longitudinale larga 2,5 mm impressa sulla pellicola nello spazio compreso tra il fotogramma e la perforazione. Nei film mono può esserci una sola traccia audio; se sono due, il loro disegno apparirà identico. Il segnale mono, amplificato, viene inviato normalmente a una sola cassa acustica, posta al centro dietro allo schermo. Nei film stereofonici le due tracce disegnano due curve dissimili e non corrispondenti poiché riproducono due piste sonore completamente differenti. Il sistema stereo è stato introdotto nei primi anni Settanta e perfezionato alla fine del decennio (dolby A e poi Dolby stereo). A metà degli anni ‘10 diventa maschile. -> materialmente indica una pellicola – striscia molto lunga di un materiale di tipo plastico (celluloide altamente infiammabile; solo dopo gli anni 50 sarà non infiammabile con il triacetato di cellulosa) su cui è steso del materiale in strato sottile fotosensibile che si attiva quando l’otturatore/diaframma fa passare luce. Il diaframma è il dispositivo che regola il passaggio della luce, attraverso l'obiettivo, nella macchina da presa, per impressionare la pellicola. Se la profondità di campo dipende da un diaframma il più possibile chiuso, allora si deve disporre di una pellicola facile da impressionare e/o di un'illuminazione consistente. VARI FORMATI: quello standard industriale è 35 mm (la larghezza della pellicola) -> si può proiettare attraverso qualunque proiettore; 16 mm (formato industriale largo la metà ma con qualità inferiore) datato anni 20 come formato amatoriale i cui film erano di bassa qualità per il costo di tutti gli attrezzi. Dopo la seconda guerra mondiale anche il 16 mm diventa industriale per documentari e film didattici ma non per le sale di proiezione, che in gergo veniva “gonfiato” ai 35 mm. Formato 8mm e super 8 (a passo ridotto tra un fotogramma e l’altro) utilizzati ai margini dall’industria da registi amatoriali-> introdotto dalla Kodak quando acquistò la francese Pathé che aveva la 9,5mm. Formato 70 mm detto panoramico introdotto negli anni 50 ricco da un punto di vista visivo e più caro, destinato a poche sale in giro per il mondo poiché richiedeva impianti speciali. Nato per contrastare la televisione (i cui prodotti venivano trasmessi dal 35mm) diventata anche a colori dagli anni 70 (mentre quella a colori per il cinema nasce negli anni 30 ma usati solo alla fine degli anni 40 con l’avvento della televisione). Solo alla fine degli anni 50 inizio 60 si sviluppa transizione al colore grazie ad una nuova tecnologia e si lavora con il suono stereo, perfezionato negli anni 70 (prima era mono). Stesso fenomeno vale con il 3D che viene introdotto e poi di nuovo ritorna fuori moda con l’avvento tv (‘50) e con il computer. MASCHERINO (sorta di sagoma metallica con fori rettangolari inseribile nello sportello di proiezione davanti al fotogramma o nella macchina da presa). Anni 30 e 40, dominava il 4/3, di dimensioni 1,33:1 (quasi quadrato quindi-> formato Academy); poi formati più rettangolari a partire dalla seconda guerra mondiale: 1,66:1 e 1,85:1 rispettivamente europeo e americano; poi anni 50 introduzione delle dimensioni panoramiche con il cinemascope che comprimeva il fotogramma con lente anamorfica nella cinepresa in 35 mm e una lente nel proiettore decomprimeva nella dimensione originale-> 2,35:1 (pista ottica) e 2,55:1 (per la pista magnetica); per la pellicola 70 mm si usa 2,2:1. -> stesse dimensioni per vederlo nella forma originale in tv. Nata dalle industrie meccanica (sistema di rocchetti meccanici) e chimica (emulsione fotosensibile e modalità di impressionare la pellicola) -> Una pellicola non impressionata di celluloide, poliestere o altro materiale analogo, viene inserita nella cinepresa sotto forma di caricatore o bobina di partenza e qui, svolgendosi, viene fatta scorrere dentro una guida di metallo (il corridoio) per poi essere riavvolta su una seconda bobina detta ricevitrice o bobina di riavvolgimento. Quando scorre in corrispondenza del quadro la pellicola viene esposta alla luce proveniente dalla lente dell’obiettivo che la impressionerà, reagendo con la sostanza sensibile che ricopre la pellicola stessa e producendo l’immagine. Dopo l'impressione di un fotogramma, un otturatore rotante chiude il passaggio della luce, la pellicola avanza di un fotogramma e viene bloccata per il tempo scelto per l'impressione di un nuovo fotogramma. La meccanica della cinepresa fa in modo che, mentre la pellicola è in movimento, l’otturatore resti sempre chiuso. Le prime macchine da presa funzionavano a manovella, in seguito è stato applicato un sistema a molla. Oggi si usano normalmente motori elettrici alimentati da batterie. La sequenza di singole immagini così ottenuta su pellicola potrà poi essere riprodotta mediante un proiettore ottenendo un'immagine animata. Alcune macchine da presa consentono valori variabili della velocità, fino ad alcune centinaia di fotogrammi al secondo e possono avere anche lo scatto di un solo fotogramma alla volta (queste, in particolare, vengono utilizzate nella particolare tecnica di ripresa detta stop-motion). Il trascinamento della pellicola può avvenire anche all’indietro o a velocità variabili per fare in modo che le riprese sembri siano state fatte al rallentatore. Fino all’introduzione della videocassetta il mercato dei cinematografi continuò fino al 1970. -> il mercato era infatti molto sviluppato al di là dell’industria fotografica e cinematografica. C'era poi la diffusione scientifica e didattica della pellicola (riprese dei mutilatati della guerra o riprese subacquee). Diffusione pornografica realizzati illegalmente fino agli anni 60. --> I fratelli Lumière avevano a Lione una fabbrica di lastre fotografiche-> la pellicola cinematografica è una lunga pellicola fotografica che proiettata ad una certa velocità e produce l’illusione del movimento. La velocità standard del sonoro è 24 fotogrammi/s mentre la velocità del muto è 16/s (le scene d’azione tipicamente venivano accelerate fino a 20/s). Filmografia (titolo, anno di uscita, regista, attori principali, autori di soggetto e sceneggiatura, direttore della fotografia ecc.): lista di film organizzati in base ad un criterio, a seconda della ricerca che si svolge. Nel caso dei film sonori vengono organizzati in minuti o in base allo sceneggiatore, attore o regista mentre i muti in lunghezza della pellicola per la variabilità della velocità manuale con cui venivano proiettati -> I film muti venivano accompagnati da partitura musicale. Oggi sono andate perduti oppure diversi perché la pellicola infiammabile richiedeva attenzione e quindi venivano vendute o buttate. Solo negli anni 30 un francese le recupera con diverse cineteche e restaurano i film muti in modo più fedele alle riprese d’origine. anche la causa. (perché si sceglie di trarre un film da un’opera preesistente? 1. Storie di successo trasposte allo schermo replicano il successo. 2. Appartenenza del cinema o di una casa di produzione all’alta cultura. 3. in linea con la poetica del regista + piano creativo). C’è poi il TRATTAMENTO, che amplia il soggetto e a volte il passato degli attori per la costruzione e assegnazione di un personaggio. Serve per avere una visione più ampia del film, con precisazioni su ambientazioni, narrazione, personaggi. La SCALETTA, con cui organizzo l’ordine delle scene e quindi le riprese, a volte pensando ad un attore o attrice specifico (caso di Colazione da Tiffany e Monroe-Hepburn). Infine la stesura della SCENEGGIATURA, in cui si compongono i dialoghi e si pensa agli altri attori; a volte questi imparano qualcosa per il ruolo che andranno a svolgere (Harrison Ford in Indiana Jones) e -> PREPARAZIONE: si scelgono le location, scenografie, casting, si organizza il piano produttivo, periodo di prove degli attori + coreografo, insegnante di canto, maestro d’armi, dialogue coach, dialect coach -> RIPRESE. Queste vanno da un minimo di due tre settimane ad un massimo di sei mesi, con casi eccezionali (1900 di Bertolucci o Apocalypse Now di Coppola). Le riprese sono affiancate da tantissime figure che vanno da una ventina sino a diverse centinaia (direttore della fotografia, scenografo, costumista, tecnici degli effetti speciali + operatore (responsabile di azionare la macchina da presa), assistente operatore (responsabile dei fuochi), aiuto operatore (colui che materialmente cambia gli obbiettivi e sostituisce le pizze della pellicola-> l'assistente in pellicola preparava anche le pizze per caricare le cineprese e in certi casi montava e posizionava il cavalletto; oggi si montano macchina e obbiettivi mentre i girati in memoria sono gestite dal data manager)+ elettricisti, macchinisti + fonico, microfonista + script/continuity supervisor) al cui apice – impostazione gerarchica dei “reparti” - c’è • il regista, che normalmente dirige queste figure con il PIANO DI LAVORAZIONE (schema dettagliato delle giornate di ripresa) e a volte un découpage tecnico delle inquadrature e dell’organizzazione delle riprese -> sceglie la posizione della macchina (punto macchina), costruisce le inquadrature, dirige gli attori + accade poco che il regista sta alla macchina da presa (es. Garrone e Sodebergh); per lo più stava accanto all’operatore o il monitor: fino al 70 il regista doveva attendere i giornalieri (copie provvisorie della pellicola); con “Hollywood Party” di Blake Edwards del 68 si introduce il VIDEO ASSIST, riscoperto poi da Coppola. • accompagnato dal produttore (profilo economico della realizzazione e che mette i soldi oppure rappresenta una casa di produzione e controlla il budget sulla regola d’oro del “massimo risparmio”) affiancato da direttore di produzione, produttore esecutivo, organizzatore generale, ispettori, segretari e runner. • aiutato da l’aiuto regista, che dirige gli assistenti alla regia e scandisce i tempi di tutti i reparti. Cosa succede quando è tutto pronto? 1. L’aiuto regista grida “Motore!”. 2. Operatore e fonico azionano gli apparecchi. 3. Il fonico urla “Partito!”. 4. Cala il silenzio e il ciakkista batte il ciak. 5. Il regista o l’aiuto gridano i dati numerici presenti nella tavoletta e poi gridano “Azione!” e si inizia a recitare. Il ciak è l’oggetto che segna l’inizio di ogni inquadratura davanti alla macchina da presa, grazie al suono secco che produce e che permette di guidare gli addetti al montaggio in postproduzione per unire colonna video e colonna audio. Il ciak (il ciakkista in Italia è il macchinista più giovane) contiene le informazioni principali: nome del film, nome del regista e del direttore della fotografia; poi indicazioni tecniche con scena, inquadratura, numero di ripresa (o take) -> così l’assistente di ripresa segna la qualità delle scene e anticipa la selezione. Il ciak si chiama così perché serve per aver un suono secco che segna l’inizio della colonna sonora. Con il ciak capovolto si gira in coda poiché non si è potuto usarlo prima e senza che si pronuncino le battute. In genere le inquadrature variano dalle 600 alle 800 e variano in base al genere cinematografico; all’epoca del muto erano anche di più per creare un preciso effetto ritmico visivo siccome era assente la parola. Oggi vi è l’influenza delle pubblicità e dei videoclip ma il numero di inquadrature dipende e dipendeva anche dai gusti del regista e dal genere cinematografico. Il film d’azione ha un montaggio molto più serrato. -> esse non sono che una piccola parte dell’intero numero di ciak, contando quelli scartati in parte o interamente in postproduzione. Genere cinematografico-> film basati su appositi schemi narrativi; siccome al pubblico piace vedere sempre la stessa storia, i generi cambiano la narrazione ma essa dovrà contenere comunque un preciso set di situazioni, personaggi, cliché. Es: commedia, melodramma, musical, western... Inoltre ogni genere si articola in vari filoni e sottogeneri che spesso si fondono tra loro (es. Intrigo internazionale di Hitchcock del 59 è un film di spionaggio ma anche una commedia, con protagonista non casuale Cary Grant) Infine c’è il MONTAGGIO (postproduzione) con varie figure (addetto al montaggio, montatore, tecnico del suono, AUTORE DELLE MUSICHE –a volte caro collaboratore di un regista-, responsabile dei titoli di testa o front/end credits–costruiti su cartelli (speciali inquadrature con sfondo nero o bianco in genere per scrivere sopra i credits o un’indicazione spazio-temporale) che a volte vere e proprie opere d’arte, come Anatomy of a murder di Preminger del 1959 o The pink panther di Edwards del 1963), che si occupano del montaggio della colonna visiva e del missaggio con dialoghi, suoni, musica. Spesso è il regista a supervisionare questo processo ma nella Hollywood classica era il produttore di uno STUDIO ad avere l’ultima parola e il “final cut”, neanche di fronte a registi di punta come Jonh Ford. Film Serial degli anni 10: sono film che venivano distribuiti a puntate. Un film è fatto di immagini in movimento che prendono il nome di inquadrature. L’inquadratura è l’unità di base del discorso filmico e può essere definita come una rappresentazione in continuità di un certo spazio per un certo periodo. L’INQUADRATURA-> unità di base del discorso filmico. Segmento continuo di pellicola impressionato in continuità e quindi delimitato da due stacchi di montaggio che chiudono una precedente inquadratura e ne aprono un’altra. Il regista sceglie le inquadrature che possono essere definite sia in termine temporale – asso temporale (può essere rapida oppure lunga) sia in termini spaziali – asso spaziale (si può inquadrare un panorama vastissimo in cui l’uomo si perde oppure un particolare di una parte del corpo umano, che Béla Belàzs chiama “microfisionomia”). -> l’inquadratura è la porzione di spazio ritagliata dal mascherino che sta davanti l’obbiettivo che vedremo poi sullo schermo. Teoria del cinema: la vasta riflessione che va dagli anni del muto e che giunge ai giorni nostri sulla natura estetica del film, il linguaggio, le sue parti, le connessioni con altre arti, con l’ambiente sociale o la dimensione psico-analitica. CONFRONTO CON “PIANO”. Si dovrebbe intendere, con inquadratura, il fatto che l’immagine cinematografica è racchiusa da una cornice che inquadra una porzione di spazio e, con piano, la porzione di spazio inquadrata, ciò che sta dentro le immagini dell’inquadratura. Le due espressioni hanno finito col sovrapporsi anche se, almeno in sede teorica, è bene tener presente come ognuna di esse sottolinei un aspetto diverso di una stessa entità. Quando parliamo di inquadratura, intendiamo un delimitare – la messa in quadro – che pone il problema del rapporto fra ciò che di un insieme è mostrato e ciò che invece non lo è, in quanto al di fuori dei bordi dell’immagine. Quando parliamo di piano, ci riferiamo invece alla porzione di spazio rappresentata e alle modalità della sua organizzazione e composizione che, ovviamente, sono determinate anche dalla cornice che racchiude tale spazio e dagli elementi che lo articolano. Profilmico (contenuto dell’inquadratura): tutto ciò che sa davanti alla macchina da presa che è costituito dalla scenografia, gli oggetti di scena, gli attori stessi, i costumi + tutte le scelte di reparto sulle luci, il suono, la recitazione. Siamo nel capo della messa in scena e il profilmico contiene ciò che fa parte della storia <- elemento in comune con il teatro. Filmico (cornice, linguaggio): il modo in cui gli oggetti, l’ambientazione, la scenografia, in generale il profilmico viene rappresentato-> dalle scelte del regista (scelte stilistiche e simboliche come in Psycho di Hitchcock o Vivre sa vie di Godard, che riprende la protagonista di spalle contro i canoni classici). Siamo nel campo della messa in quadro e sono qui in gioco codici più propriamente cinematografici come l’angolazione e la distanza, la dialettica di campo e fuori campo, quella di piani oggettivi e piani soggettivi, l’uso o meno di movimenti della cinepresa ecc. Ogni inquadratura ci mostra dunque qualcosa e ce lo mostra in un determinato modo. A partire da questa breve notazione è evidente come la ripresa non sia una semplice operazione di registrazione tecnica – determinare i limiti dell’immagine e premere il pulsante della cinepresa –. Il modo in cui si inquadra qualcosa, un personaggio, un ambiente, un oggetto, è determinato da un progetto – quello del film nel suo insieme – e da una soggettività, da un modo di vedere. In sostanza, come scrive Villain, inquadrare non è semplicemente riprodurre: «Inquadrare è scegliere. Selezionare, mettere in evidenza gli elementi significanti, quelli che lo spettatore deve individuare». Dobbiamo, in sostanza, tenere in mente almeno una grande distinzione: da una parte quelle inquadrature che danno vita a un solo quadro, a una sola immagine, che rimane pressoché costante dall’inizio alla fine (tipiche del cinema classico); dall’altra quelle inquadrature che, vuoi per un movimento filmico, vuoi per uno profilmico, si articolano in diversi quadri nel corso della loro durata (particolarmente nel cinema moderno, con long take e piani sequenze). L’inquadratura è anche una cornice che però invita lo spettatore a cogliere anche ciò che non compare all’interno dell’inquadratura -> concetto del fuoricampo (porzione di spazio che lo spettatore non vede ma della cui presenza è consapevole) e del campo/controcampo. MESSA IN QUADRO (FILMICO) Campo/Controcampo: in una scena di dialogo con almeno due personaggi il campo riprende il soggetto che sta parlando mentre nel controcampo l’altro soggetto ascolta o viceversa; un’altra soluzione molto utilizzata è un personaggio di quinta, cioè ripreso parzialmente di spalle mentre parla o ascolta di fronte ad un altro che si trova al centro; oppure si può decidere di inquadrare chi ascolta con un “piano d’ascolto” , con la scelta degli stacchi che ci suggerisce il movimento del dialogo e il rapporto tra i personaggi. Ma il regista può anche decidere di riprendere entrambi i protagonisti nella stessa inquadratura dei formati panoramici (come nei film di Preminger e Kazan tra i 50 e i 70) o ancora con un movimento di macchina continuo che si sposta naturalmente da chi parla nel dialogo alla battuta successiva (come faceva Godard). Il campo e fuoricampo può avvenire anche in un singolo personaggio quando si sente un suono off, quando il personaggio guarda in un punto non inquadrato ma di cui presto conosceremo il contenuto. Questo espediente è usato molto nell’horror per suscitare l’effetto sorpresa (funzione sintattica, come un assassino alle spalle della vittima) e infine usato in modo simbolico (funzione simbolica, come ad esempio nel dialogo tra Antoine e la psicologa del riformatorio in “Les 400 coups” di Truffaut del 59) -> in genere la dialettica campo-controcampo e il continuo scambio di ruoli e alla base del montaggio narrativo. Magnolia - Final Scene with Subtitles di Anderson del 1999 (drammatico) della pellicola. La lente considerata normale è quella fra i 35 e i 50mm, poiché il campo di vista ripreso è simile a quello dell’occhio umano. A questa lente standard si oppongono i cosiddetti grandangoli e teleobiettivi. I primi hanno una lunghezza focale ridotta, in genere dai 35mm in giù, che consente di rappresentare ampie porzioni di spazio. Essi accentuano la distanza fra ciò che è sull’avampiano e ciò che, invece, è sullo sfondo, danno risalto alla profondità dell’immagine, e provocato una distorsione delle linee rette che si trovano vicino ai margini del quadro (effetti di distorsione che si amplificano nel caso di immagini ravvicinate, come può accadere per quelle del volto umano). Un film come Quarto potere, del 1941, contribuì notevolmente alla diffusione degli obiettivi grandangolari. La versione estrema del grandangolare è il “fish eye”, che abbracci e distorce un campo di 180°. I teleobiettivi, invece, sono lenti dalla lunghezza focale maggiore, da 75mm in su, fino ai 250. Essi consentono di vedere come fosse vicino qualcosa che invece è lontano dalla macchina da presa, accentuano la piattezza e bidimensionalità del piano, schiacciano fra loro i diversi elementi dell’immagine, tendono ad azzerare le distanze, a tenere a fuoco alcuni elementi anziché altri, e danno vita a inquadrature sgranate. L’uso del teleobiettivo è nato soprattutto nell’ambito del cinema documentario, dettato dalla necessità di riprendere qualcosa cui non ci si può avvicinare troppo (un evento sportivo, un animale feroce): per questo tali immagini conservano, anche nel cinema di finzione, una sorta di immediatezza documentaria. Con uno ZOOM, ovvero un obiettivo in grado di cambiare la lunghezza foca le, si può ottenere un effetto di allontanamento (passando da una focale normale a una corta), oppure di avvicinamento (passando da una focale normale a una lunga), anche definita carrellata ottica (vedi sotto). In genere, nelle riprese di un film, almeno di un film narrativo (nel caso del cinema d'avanguardia si possono fare anche scelte molto ardite sul piano visivo), si usano prevalentemente gli obiettivi normali, perché - lo suggerisce il termine stesso - offrono una visione che il pubblico percepisce come "naturale", mentre il grandangolo e il teleobiettivo vengono utilizzati per passaggi in cui si vuole ottenere un effetto particolare. Per esempio, in 2001: Odissea nello spazio, molte inquadrature all'interno dell'astronave sono girate con il grandangolo, in modo da accrescere il senso di uno spazio straniante, sottoposto a leggi fisiche che non sono quelle della vita sulla terra. Nel finale di Full Metal Jacket, Kubrick usa il teleobiettivo, con lo zoom che stringe su uno dei marines, per simulare il punto di vista del cecchino che esplora il campo di battaglia con il mirino telescopico del suo fucile di precisione. Potremmo comparare due scene tratte, una, da Edward mani di forbice (Edward Scissorhands, Tim Burton, 1990) e, l’altra, da Il laureato (The Graduate, Mike Nichols, 1967). Nella prima, il «diverso» Edward, un uomo che al posto delle mani ha due grandi artigli meccanici, si trova per la prima volta a cenare con la famiglia che lo ha ospitato. Le inquadrature dei personaggi a tavola sono girate con obiettivi grandangolari, che esasperano così le distanze fra Edward e gli altri commensali, a evidenziare la sua condizione di estraneità (è «diverso» e quindi lontano dagli altri). Nel film di Nichols, invece, la disperata corsa del protagonista verso la chiesa in cui si sta svolgendo il matrimonio della ragazza amata, e che lui vuole a tutti i costi impedire, è ripresa, in un’inquadratura frontale e in campo lungo, con un teleobiettivo che, comprimendo le distanze, ottiene l’effetto ottico di rallentare la velocità della corsa dell’uomo, che sembra quasi non muoversi dal suo punto di partenza. L’intento è così quello di accentuare visivamente le difficoltà della sua disperata lotta contro il tempo. In Burton il grandangolo esaspera le distanze per creare estraneità, in Nichols il teleobiettivo le azzera per accentuare le difficoltà. Accanto a quella dell'obiettivo, un'altra scelta fondamentale è quella dell'angolazione e dell'inclinazione della macchina da presa rispetto all'orizzonte. Nel cinema narrativo, così come in genere si usano obiettivi normali, si tende anche a collocare la macchina da presa frontalmente rispetto agli attori, grosso modo all'altezza dei loro occhi, una posizione che, per convenzione, il pubblico sente come naturale. Un'inquadratura con una forte inclinazione dal basso o dall'alto, o addirittura capovolta, oppure una macchina da presa che riprende il soggetto lungo una linea nettamente obliqua, creano sempre un qual che senso di inquietudine nello spettatore. In Ipcress (The Ipcress File, 1965), un'intricata storia di spionaggio (che trasformò Michael Caine in un divo), il regista Sidney Furie scelse di girare molte inquadrature con punti di vista insoliti, con la macchina in alto o di sbieco, per dare l'impressione che ci fosse qualcuno che spiava i personaggi. L'inquadratura a piombo, che riprende il campo dall'alto, come spesso avviene nelle coreografie di Busby Berkeley (grande e regista di musical della Hollywood classica), in modo da comporre delle figure astratte con la massa dei ballerini in movimento offre una visione altrettanto straniante, perché anomala rispetto al modo in cui normalmente guardiamo il mondo (si veda l'esempio qui sotto tratto da La danza delle luci [42nd Street, 1933, di Lloyd Bacon]). + inquadratura orizzontali che si concentra su un personaggio frontalmente, di ¾, di profilo, di spalle, supina. Ozu (regista giapponese) che utilizza quasi sempre riprese dal basso come marchio personale e stilistico oppure la ripresa dal basso della poetica neorealista che avvicina così lo spettatore al punto di vista dei bambini. In generale dall’alto si sottolinea la debolezza e lo schiacciamento del personaggio, mentre dal basso fa svettare il personaggio sottolineandone la forza -> ogni film comunque declina a modo proprio i significati della messa in quadro. Es. di “La passione di Giovanna d’arco di Dreyer del 28: nella scena di apertura, Giovanna (Renée Falconetti) è spesso ripresa dall'alto e i giudici dal basso, per mettere in evidenza la condizione di debolezza della prigioniera davanti al tribunale. Però, bisogna notare che l'idea della fragilità di Giovanna, veicolata dal gioco alto/basso, viene ribaltata dalla dialettica staticità/ movimento che troviamo all'in terno della scena. Le inquadrature di Giovanna sono per lo più immobili: lei rimane ferma, e così la macchina da presa. Molte inquadrature dei giudici, invece, sono caratterizzate dal movimento, degli attori e/o della camera. In un caso, dopo un'affermazione di Giovanna che i giudici trovano particolarmente scandalosa, il movimento della macchina si fa oscillatorio, scomposto. Giovanna, per quanto sia sola, nelle mani del nemico, "schiacciata" dall'obiettivo, è salda nella propria fede, mentre i giudici si agitano di fronte al coraggio della ragazza, la cui volontà non sono in grado di piegare. A Boy's Best Friend - Psycho (2/12) Movie CLIP (1960) HD -> Tecnica utilizzata per trasmettere il senso di oppressione, pericolo dei protagonisti. In “Quarto Potere” di Welles il protagonista Kane viene ripreso dal basso per suggerire o la sua grandezza oppure richiama al futuro che presto toccherà Décadrage: una figura in un’inquadratura non viene posta al centro ma viene spostata ad uno dei due lati o completamente esclusa dal montaggio (finale de “I 400 colpi) Inquadratura laterale: tipico dei film dell’origine che erano realizzati con una tecnica di ripresa fissa (ad esempio le riprese dei fratelli Lumière nei confronti di un treno che parte dal basso e arriva in alto verso lo spettatore con un movimento che suscitava terrore) MOVIMENTI DI MACCHINA. Il cinema delle origini era statico e non prevedeva lo spostamento della cinepresa. Piano piano, il movimento della macchina da presa introduce lo spettatore nello spazio in cui si svolge la vicenda della scena. Ci sono diverse modalità di movimenti di macchina. I movimenti di macchina possono essere classificati in base a tre diversi parametri: • Il rapporto che intrattengono con i personaggi e con l’azione. • La tecnologia utilizzata per realizzarli. • Il tipo di movimento compiuto dalla macchina da presa. 'Le Fils' opening -> la macchina segue e sta molto vicino, quasi attaccato ai corpi dei personaggi, richiamando così ai tipici movimenti dell’uomo -> di accompagnamento vs m.d.p. autonoma My Life to Live [Vivre sa vie] (1962) by Jean-Luc Godard, Clip: Anna Karina talks to Raoul at a cafe -> con un carello Godard decide di spostarsi da destra a sinistra fermandosi tra una e l’altra dietro la testa dell’uomo: scelta stilistica perché la scena non aveva bisogno di un carello o di una ripresa alterna come quella scena. I movimenti di macchina centrali sono la carrellata e la panoramica che richiamano ai movimenti umani e seguono i personaggi nell’inquadratura. Nella carrellata la macchina da presa si muove in maniera lineare, in genere su un carrello Camera car: la macchina da presa registra da un veicolo (es. “Caro Diario” di Nani Moretti) Carrellata aerea: realizzata da un elicottero o un aeroplano Carrellata laterale: i personaggi vengono ripesi di lato (es. Titoli di testa Jackie Brown di Tarantino) Carrellata a precedere (se arretra di fronte ai personaggi) o a seguire (se sta dietro i personaggi) Carrellata ottica: zoom che provoca un movimento su un asse ma non attraversa lo spazio Le mépris (1963) - Intro Le Mépris (Final Scene) Film meta-cinematografico: parla del cinema stesso e Godard stravolge già a partire dall’inizio dove i titoli di testa sono elencati in voice over da Godard. Infine la macchina da presa della carrellata punta direttamente nell’occhio della macchina da presa del film. Panoramica circolare: la macchina da presa fissa ruota sull’asse per conoscere lo spazio circostante - > Il bacio della donna ragno, 1985. Panoramica circolare (www.cinescuola.it). Di Babenco Panoramica a schiaffo: movimento che va molto veloce da un punto ad un altro Effetto vertigo/dolly zoom: effetto che riesce a trasmettere il senso di vertigine e perdizione. L'effetto Vertigo o dolly zoom è la combinazione di uno zoom in avanti e di una carrellata indietro, o di uno zoom all'indietro e una carrellata in avanti. Dolly/Gru. È un movimento complesso, che può comporre la linearità presa, della carrellata e la circolarità della panoramica. Un dolly è un braccio meccanico, che poggia su una piattaforma dotata di ruote, in cima al quale è posta la macchia da presa, insieme all'operatore. Il braccio va su e giù, mentre la piattaforma può andare avanti o indietro, oppure di lato. In alternativa, si può usare anche una gru (più grossa di un dolly). Un dolly con operatore sale al massimo fino a quattro metri di altezza, mentre una gru può arrivare a quindici metri. Oggi, sul braccio dei dolly superiori ai quattro metri e delle gru in genere si monta una macchina remotata. L'operatore non sta fisicamente accanto alla camera, ma la controlla da terra, con un comando a distanza. Correzione. correzione di campo o, più recentemente, re-inquadratura (dal francese recadrage o dall’inglese refraiming). Si tratta di brevi movimenti della macchina da presa, rapportati a quelli di un personaggio che si sposta all’interno di uno spazio limitato: alzandosi ad esempio da una sedia, inchinandosi verso qualcosa o qualcuno, avvicinandosi di un passo o due a un oggetto ecc. Compito di questi piccoli spostamenti di macchina, quasi inavvertibili agli occhi di uno spettatore non particolarmente smaliziato e presenti in un film molto più di quanto comunemente non si creda, è quello di mantenere l’equilibrio e la centratura del piano nonostante gli spostamenti profilmici che continuamente ne minacciano la stabilità. È evidente che i movimenti di macchina subordinati sono più vicini a un cinema giocato su un’istanza narrante che tende a farsi “invisibile” e “armonico”. Macchina a mano. La macchina è posta sulla spalla dell'operato re. Se questi si muove, il quadro risulterà inevitabilmente mosso. È un tipico movimento del cinema documentario, in cui si sta Il DIALOGO e le parole sono la parte più importante. I dialoghi rivelano la personalità dei personaggi e le loro contraddizioni; nei dialoghi si dicono cose significative e si aggiungono elementi utili per la vicenda e quindi si devono sentire chiaramente, almeno a Hollywood. Il cinema classico (alla cui base c’è la regola economica) presenta dei dialoghi essenziali che costituiscono il passaggio da A a B e che anche se sembrano innocenti incrementano il numero degli elementi della storia, tutti utili alla narrazione e alla chiarezza narrativa. Se non viene udito qualcosa, è perché ci verrà rivelato a fine film. L’accumulo di elementi che non servono a nulla sono invece usati per “replicare il reale” (es. Dialogo chiarificatore in “A’ bout du souffle” a letto). Nel cinema classico tra l’altro sono sempre puliti e puri poiché venivano ripresi in studio e non in presa diretta (all’esterno e dal vivo) e perché i dialoghi venivano registrati su un’altra pista il cui inizio è dettato dal CIAK. La commedia all'italiana ha rappresentato uno dei generi portanti dell'industria cinematografica del nostro paese, tra la fine degli anni Cinquanta e tutti gli anni Settanta. Solitamente si fa partire la storia della commedia all'italiana da I soliti ignoti (1958), diretto da Mario Monicelli, su un soggetto scritto da Age (nome d'arte di Agenore Incrocci) insieme al suo partner abituale Furio Scarpelli. Fino agli anni 50 il suono è registrato in studio. Specie per le scene ambientate in esterno, perché non c’era la possibilità di migliorarne la qualità. Anche il cinema neorealista funzionò così. In particolare in Italia, fino agli anni 70 i dialoghi erano girati in postproduzione in studio. Per quanto riguarda le inquadrature, esse nel cinema classico sono costruite sull’illuminazione omogenea e distribuita e se sono presenti dei contrasti, sono giustificati da un elemento diegetico. Alo stesso tempo tutti i dialoghi devono essere puliti e con perfetta dizione. Questo fine alla nascita dell’ “Actor Studio”, fondata dopo la seconda guerra mondiale a New York da Lee Strasberg (teorico e insegnante di recitazione da cui nasce l’omonimo metodo che si poggia sul metodo teatrale Stanislavskij -> ne escono Marlon Brando, James Dean, Montgomery Clift, Rod Steiger e Paul Newman). La recitazione precedente era ancora legata a quella stilizzata del muto. Pian piano gli attori iniziano a mangiarsi le parole e ad aggiungere altre azioni per maggiore naturalezza. La musica invece è molto utilizzata nel cinema classico per la chiarezza espositiva e accompagna i dialoghi e le azioni dei personaggi. Ma anche la musica non dovrà mai coprire i dialoghi. Scena da “Le mépris”: scena del dialogo con frasi inutili e da personaggio romantico tra Brigitte Bardot e Michel Piccoli che viene interrotto da una musica che copre le battute e un filtro a luce gialla e poi blu entrambi ingiustificati. COLONNA SONORA Suoni in, suoni off (diegetici, che sentono sia il pubblico sia i personaggi -> all’interno della dimensione del racconto), suoni over (extradiegetico, stanno fuori dalla dimensione del racconto e solo lo spettatore in sala può udirlo perché sta sopra le inquadrature-> un narratore interno o esterno –come in “Sunset Boulevard” di Billy Wilder del 50, musiche di commento) Suoni in: suoni di cui noi vediamo la fonte in campo / Suoni off: la fonte del suono è fuori campo. -> in “Casablanca” il suono off sul volto di Rick si trasforma in suono in nel pianoforte di Sam (montaggio sonoro, raccordo sonoro) Suoni over: la fonte è esterna al piano del racconto. Ad esempio un narratore esterno (l’incipit di “L’appartamento”). Anche la musica di commento è extradiegetica. A volte queste differenze vengono meno e un suono in e off può diventare over e viceversa. In Casablanca quando Sam canta “As Time goes By” a Isla a livello diegetico e Rick interrompe portando la canzone a livello extradiegetico ai giorni di Parigi. A volte è volutamente ambiguo/parodico: ad esempio in “Eyes Wide Shut” la canzone del valzer dell’inizio passa dall’over sui credits (già di per sé extradiegetici) e sulle prime inquadrature a suono in dello stereo che Nicole Kidman e Tom Cruise possiedono nel loro appartamento borghese. Inoltre, in “Bananas” di Allen del 71, lo stesso Allen ne fa una parodia mischiando i due piani con uno strumento classico come un’arpa. In “Full metal Jacket” l’ambiguità coinvolge a metà musica e rumori nel finale. LE PAROLE. Da qui deriva il fatto che il volume del SUONO D'AMBIENTE (per esempio, il rumore del traffico in una scena che si svolge lungo una strada) è spesso basso in modo innaturale. Come ha osservato Michel Chion, il maggior studioso del suono nel cinema: «Le regole tecniche ed estetiche del cinema classico sono implicitamente concepite per valorizzare la voce e l'intelligibilità del dialogo». Questo è fondamentalmente vero, anche se si possono trovare delle eccezioni, come nella commedia hollywoodiana degli anni Trenta, caratterizzata dall'overlapping dialogue, il "dialogo in sovrapposizione", dove i personaggi parlano l'uno sull'altro, lanciandosi battute molto veloci, piene di giochi di parole e di slang, con scambi verbali al limite dell'intelligibilità. Il caso più emblematico di overlapping dialogue è rappresentato probabilmente da “La signora del venerdì” (His Girl Friday, 1940) di Howard Hawks, tratto da una pièce teatrale che già conteneva l’overlapping. Ma il cinema classico, erede del grandioso cinema muto che emozionava senza l’uso della parola, fa a meno dei dialoghi (specie se si tratta di registi come Ford, Lubitsch, Hitchcock, Hawks che avevano iniziato la carriera nel muto). Analisi della sequenza iniziale senza parole di “Un dollaro d’onore” (Rio Bravo, del 59 di Howard Hawks). Lo stesso vale per la commedia italiana ma non per il cinema della modernità, nel rifiuto della chiarezza narrativa e del racconto lineare e appagante o ancora del personaggio che agisce (es. “Blow-up” di Antonioni del 66 o “La dolce vita” di Fellini del 60, così come “Le mépris” di Godard del 63 e “Le Charme discret de la bourgeoisie” di Bunuel del 72) -> tutti annunciano “Siamo al cinema e quindi rovesciamo volutamente l’illusione di realtà”. A partire dagli anni 60, nell’ambito del cinéma vérité-> PRESA DIRETTA. Ciò avviene registrando immagini della vita privata con attrezzature leggere e con il Nagra, per la buona resa del suono in esterno. È un SUONO SPORCO MA PIU’ VERO. IL DOPPIAGGIO. All'epoca del muto le didascalie venivano tradotte per l’estero. Con il sonoro, fino all’invenzione del doppiaggio nel 1932 venivano usati stratagemmi complicati: in uno stesso set si giravano copie multiple, con attori di lingue diverse oppure più lingue all’interno dello stesso film (es. Nei film di Georg Wilhelm Pabst). Con l’arrivo del doppiaggio-> problema filologico tra sottotitoli e doppiaggio stesso. I primi distraggono e possono oscurare il quadro compositivo di un’inquadratura mentre il secondo elemento può essere fatto più o meno bene e può stravolgere il testo di partenza. LA MUSICA. In origine i film muti erano accompagnati da esecuzione dal vivo (dal singolo pianoforte a un famoso musicista a un’orchestra intera). Con il sonoro (1927), diventa un elemento fondamentale: nel cinema classico essa chiarisce la dimensione narrativa (come per i compositori Steiner e Tiomkin) accompagnando le immagini e il tema portante; si pensi a Casablanca o all’incipit di “Un dollaro d’onore”. Questa ridondanza rimane nel cinema neorealista ma non nel resto del cinema moderno, seppur rimanendo importante o scomparendo volutamente (es. Finale de “I 400 colpi”, in cui regna in un long take data dalla camera car e dai passi sull’asfalto e gli usccelli. I RUMORI. In genere vengono registrati un po’ in presa diretta un po' in studio in post con l’aiuto dei RUMORISTI. Stereofonia-> Dolby-> surround. MONTAGGIO L'unione di un’inquadratura (la testa, cioè dopo il ciak) con l’inizio della successiva (rimozione della coda, cioè di tutto ciò che viene ripreso dopo lo stop!) che può avere una valenza spaziale oppure un’ellissi nel tempo. Nei film dell’origine il montaggio era quasi assente e inizia a comparire con la scuola inglese (Mary Jane's Mishap (1903) di G.A. Smith che appartiene appunto alla scuola. Il regista passa dal campo totale della stanza a un piano americano e anche un mezzo primo piano). Modalità di transizione da un’inquadratura ad un’altra Passaggio da un'inquadratura a un'altra, può trattarsi di: - Stacco, se il passaggio è diretto e immediato, facilmente individuabile nella sequenza in cui Holly canta Moonriver alla finestra in Colazione da Tiffany. - Dissolvenza, molto frequente nel cinema classico, in particolare per sottintendere un'ellissi temporale; si parla di dissolvenza in apertura, se l'immagine appare progressivamente a partire dal nero dello schermo, di dissolvenza in chiusura, se l'immagine scompare progressivamente sino a diventare nera, e di dissolvenza incrociata, quando le due immagini si sovrappongono per alcuni istanti sullo schermo. È realizzata da una macchina che si chiama TRUKA: la macchina da presa è sincronizzata con un proiettore e per sovrapporre due inquadrature si proietta la seconda inquadratura sul proiettore che ha già ripreso la prima. Nel cinema classico la dissolvenza consisteva in un punto a capo che segnalano dei salti spazio- temporali. Ci sono delle eccezioni come in “All quiet on the western front” di Milestone del 30 e “Taxi driver” di Scorsese del 76 (discontinuità temporale –comunque breve- ma non spaziale) + significato sempre simbolico di certe scelte (straniamento del protagonista dopo la guerra). - Trasparente (back projection), ossia uno schermo trasparente in cui dietro si proietta una o più scene realizzate in precedenza all’aperto e davanti troviamo i protagonisti in studio; usato soprattutto per le scene in automobile. Alcuni registi (Welles) utilizzano anche il front projection. - Tendina, effetto oggi poco utilizzato che introduce la nuova inquadratura facendo scorrere via dallo schermo quella precedente. - Iris, un foro circolare che si apre o si chiude intorno ad una parte dell'immagine, oggi in disuso. Al di là del caso specifico dell'apertura/chiusura a iris, nel cinema muto era frequente che parti dello schermo venissero oscurate con l'ausilio di un mascherino, per esempio uno di forma ovale per circondare il volto di un personaggio, a imitazione della ritrattistica pittorica e fotografica. Nel muto non esisteva lo zoom (che compare all'inizio del periodo sonoro), e la macchina da presa era tendenzialmente statica, per cui era utile disporre di uno strumento che permettesse di guidare l'attenzione dello spettatore su una porzione del quadro. Non che in tutto il cinema muto fossero assenti i movimenti di macchina. Nel cinema tedesco degli anni Venti, gli operatori si sbizzarrivano in movimenti arditi. Si veda, per esempio, la macchina a mano di L'ultima risata di Friedrich W. Murnau, nella scena in cui il protagonista si ubriaca, oppure le riprese dal trapezio del circo in Varieté (Variété. 1925) di Ewald Dupont. In linea generale, però, il cinema muto faceva un uso piuttosto esiguo dei movimenti di macchina, affidandosi soprattutto al montaggio per creare dinamismo all'interno di una scena. In un film come Nascita di una nazione (The Birth of a Nation, 1915) di David Wark Griffith, che dura più di tre ore, i movimenti di macchina si contano sulle dita di una mano. - Inserto, ossia un’inquadratura sganciata dallo spazio della sequenza complessiva in cui c’è. - Di direzione: la traiettoria di un personaggio che entra in campo deve risultare coerente con la sua eventuale uscita precedente; se esce da destra dovrà entrare nell’inquadratura dopo da sinistra. - Di direzione di sguardi: nel corso di un dialogo lo sguardo di ogni personaggio si rivolge sempre verso l'altro, uno verso destra e l’altro verso sinistra. Ciò che accomuna questi tre raccordi è dunque la preoccupazione di rappresentare chiaramente lo spazio, in modo che lo spettatore possa agevolmente rendersi conto della disposizione dei personaggi in un determinato ambiente. Lo spazio filmico non deve creare effetti di disorientamento, perché tali effetti sono avvertiti come qualcosa che può distrarre lo spettatore dalla storia. La sequenza dell'assassinio del presidente Lincoln in Nascita di una nazione di David Wark Griffith, uno degli inventori di questo stile di montaggio. La sequenza inizia con un'apertura a iris. In primo piano, circondati dall'ombra nera del mascherino, ci sono due dei protagonisti del film, Elsie Stoneman (Lilian Gish) e suo fratello Phil (Elmer Clifton). Il cerchio dell'iris si allarga e capiamo che i personaggi si trovano in un teatro gremito di spettatori. Questo campo medio, che abbraccia la platea, parte dei palchi e il palcoscenico, è un tipico PIANO D'AMBIENTAZIONE, un'inquadratura d'insieme, che serve a farci capire subito dove si svolge l'azione, per poi stringere il campo sul segmento di spazio più significativo dal punto di vista del racconto. Infatti, dal totale del teatro si passa a un mezzo primo piano dei due, che hanno preso posto, per poi ritornare al totale, che ci permette di vedere il sipario che si alza. Segue un gioco di campo/ controcampo tra il pubblico e gli attori sul palco. Poi, introdotto da un cartello che ne annuncia l'arrivo, alle ore 20.30, compare Lincoln, insieme al suo seguito. Il presidente si accomoda in un palco, salutato dagli applausi degli spettatori (la Guerra Civile è appena terminata e Lincoln ha guidato il Nord alla vittoria). La guardia del corpo di Lincoln si piazza di fronte alla porta del palco presidenziale, ma poche inquadrature dopo abbandona il suo posto e va a sedersi in poltrona, per guardare lo spettacolo. Un nuovo cartello ci informa che sono le 22.13 (ecco perché diciamo che una sequenza e non una scena: c'è un'ellissi temporale), e che l'opera questa è teatrale è arrivata alla scena 2 dell'atto III. Nel découpage classico, abbiamo detto, il montaggio seziona il tempo e lo spazio in funzione della costruzione del racconto. L'ora e tre quarti che, nella realtà, trascorsero tra l'arrivo del presidente in teatro e il suo assassinio, sono inutili da un punto di vista drammaturgico, e quindi Griffith salta direttamente al momento dell'omicidio. Per il pubblico americano, soprattutto quello dell'epoca (i fatti illustrati nella sequenza si svolgono nel 1865: molti spettatori ne avevano memoria diretta), la didascalia che recita «Time, 10:13. Act III, Scene 2 è un chiaro annuncio di morte. Infatti, subito dopo appare John Wilkes Booth (il regista Raoul Walsh), il sudista fanatico che ucciderà il presidente. L'uomo è stretto nel cerchio dell'iris, lo sguardo torvo della "personalità criminale" (questi sono gli anni in cui le teorie di Lombroso sono accetta- te come verità scientifiche), una mano infilata nella giacca, come Napoleone, a significare un delirio di onnipotenza. Il montaggio a questo punto costruisce una struttura quadripartita, mostrandoci, alternativamente: i fratelli Stoneman e il resto del pubblico che guardano la rappresentazione, gli attori sul palcoscenico, l'assassino, la sua vittima. Il ritmo è volutamente lento, una lentezza che fa crescere l'ansia dello spettatore, che sa che il presidente sta per essere ucciso. È quella che si chiama IRONIA DRAMMATICA quando il pubblico ha più informazioni dei personaggi. A un certo punto, Lincoln è scosso da un brivido di freddo e si mette il cappotto sul- le spalle, come sentisse su di sé l'alito gelido della morte. Il killer arriva davanti alla porta del palco presidenziale. Dettaglio della pistola in pugno a Booth. È l'unico dettaglio di tutta la sequenza, non a caso dedicato a un oggetto estremamente importante. Booth entra nel palco e fredda Lincoln. Segue un epilogo giocato sulla contrapposizione tra i campi medi che ci mostrano la sala nel suo insieme, scossa da un moto di orrore, e i campi più stretti sul palco presidenziale, dove giace il corpo di Lincoln. Nel complesso, la sequenza dura cinque minuti e mezzo, per un totale di cinquantasei inquadrature (esclusi i cartelli, che sono otto). Ma lo spettatore non si accorge degli stacchi, e quindi, virtualmente, non si accorge di essere al cinema, perché il montaggio costruisce un ritmo che lo "risucchia" nella storia, facendolo scivolare inavvertitamente da un'inquadratura all'altra. FALSO RACCORDO (jump cut): errore rispetto al montaggio classico di due piani simili. Nel découpage classico, insomma, ogni inquadratura deve offrire allo spettatore "qualcosa in più", in modo tale che "non si accorga" dello stacco. Se si vogliono attaccare due inquadrature sullo stesso oggetto, filmate dalla stessa distanza (e dunque senza attacco sull'asse), sarà necessario variare l'angolo di ripresa di almeno 30°, in modo tale che le due inquadrature risultino diverse in termini figurativi. Per esempio, la prima mostrerà il personaggio di profilo, e la seconda di fronte. Se invece la macchina da presa non si muove, o si muove troppo poco, le due inquadrature risulteranno sostanzialmente identiche, e dunque lo stacco sarà evidente, proprio in quanto inutile. Se le due inquadrature sono tra loro uguali, infatti, non c'è nessun bisogno di farne due, basta allungare la prima ripresa. IRONIA DRAMMATICA-> definizioni di Hitchcock di SORPRESA, cioè lo spettatore è all’oscuro dei prossimi avvenimenti (come lo scoppio di una bomba in una stanza) e si sorprende nel momento in cui accade sullo schermo, e SUSPENSE, cioè lo spettatore è cosciente che qualcosa di terribile sta per accadere in una scena apparentemente non interessante. Falsi raccordi famosi: incipit di “Citizen Kane” di Welles, uccisione di Marion in “Psycho”, scena del giro in macchina di “Au bout de soufle” (tutti voluti-> senso di agitazione o rivoluzione). Scavalcamenti famosi: attacco alla diligenza in “Ombre rosse”, “Casablanca”, “The Shining”, “My Darling Clementine”, “Top Hat” (tutti giustificati-> esaltare tensione e drammaticità). MONTAGGIO PROIBITO. “Il cinema viene infatti a moltiplicare le interpretazioni statiche della fotografia con quelle che nascono dall'accostamento delle inquadrature” << Ma, reciprocamente, bisogna che l'immaginario abbia sullo schermo la densità spaziale del reale. Il montaggio non può essere utilizzato che in limiti precisi, sotto pena di attentare all'ontologia stessa della favola cinematografica. Per esempio, non è consentito al regista di aggirare col campo- controcampo la difficoltà di far vedere due aspetti simultanei di un'azione. Albert Lamorisse lo ha perfetta mente capito nella sequenza della caccia al coniglio, in cui abbiamo sempre simultaneamente, in campo, il ca vallo, il bambino e la selvaggina, ma è vicino a commettere un errore in quella della cattura di Crin Blanc, quando il bambino si fa trascinare dal cavallo al galoppo. Non importa allora che l'animale che vediamo da lontano trascinare il piccolo Folco sia il falso Crin Blanc, e neppure che per questa operazione pericolosa Lamorisse abbia lui stesso doppiato il ragazzo, ma mi disturba il fatto che alla fine della sequenza, quando l'animale rallenta e poi si ferma, la macchina da presa non mi mostri in maniera in confutabile la prossimità fisica del cavallo e del bambino. Una panoramica o un carrello indietro lo potevano. Questa semplice precauzione avrebbe autentificato retrospettivamente tutte le inquadrature precedenti, mentre le due inquadrature successive di Folco e del cavallo, aggirando una difficoltà che pure era divenuta benigna in questo momento dell'episodio, vengono a rompere la bella fluidità spaziale dell'azione.>>. Al contrario, scena della leonessa con campo totale in “Where no vultures fly” di Harry Watt del 51. “Se ora ci si sforzasse di definire la difficoltà, mi sembra che si potrebbe porre come legge estetica il principio seguente: «Quando l'essenziale di un avvenimento di pende da una presenza simultanea di due o più fattori dell'azione, il montaggio è proibito. Esso riprende suoi diritti ogni volta che il senso dell'azione non dipende più dalla contiguità fisica, anche se essa è implicata. Per esempio, Lamorisse poteva mostrare, così come ha fatto, in primo piano, la testa del cavallo che si gira verso il bambino come per farsi perdonare, ma avrebbe dovuto, nel piano precedente, legare con una stessa inquadratura i due protagonisti. Non si tratta affatto tuttavia di tornare obbligatoria. mente al piano- sequenza né di rinunciare alle risorse espressive e alle eventuali facilità del cambiamento d'in- quadratura. Queste osservazioni non riguardano la forma ma la natura del racconto o più esattamente certe interdipendenze della natura e della forma.” Esempi che ne seguono: nei documentari è una scelta essenziale (vedi NANOOK) vs reportage, cinegiornali. Film di finzione in cui immaginario e realtà coesistono-> essenziali alternarli. Film di puro racconto e poi essenziale nel cinema comico per l’interazione con lo spazio. I due elementi vengono già adottati durante il cinema classico statunitense, in particolare da Orson Welles negli USA e da Jean Renoir in Francia. Il primo autore viene molto analizzato nel “Cahier du cinema” di André Bazin -> è il montaggio che preferisce a quello più classico perché dà maggiore realismo alle scene e presenta allo spettatore l’ambiguità del reale e la continuità spazio-temporale, facendo scegliere a lui cos’è importante. Piano sequenza (che deriva da plan-séquence fr.): (non è un long take, anche se in inglese sono sinonimi). Inquadratura molto lunga in cui è assente il montaggio e che costituisce una scena o sequenza a sé stante, un’unità narrativa che si esaurisce e che può svolgersi in un ambiente (quindi in qualità di scena) o in più ambienti (come sequenza narrativa) -> The Long Take: Goodfellas Long take è un’inquadratura più lunga delle altre inserita anche all’interno di una sequenza (ad esempio in una scena lunga abbiamo più inquadratura e un long take dura un minuto rispetto alle altre ma che non risolve l’episodio drammaturgico) In ogni caso nei set con piano-sequenza si indicano tutte le inquadrature più lunghe Questione sulla continuità spaziale e temporale che per Bazin costituisce un realismo ancora migliore, con maggiore profondità e migliore messa in scena della drammaticità -> la ripresa in continuità implica una precisa messa in scena che metti in evidenza la profondità del campo e viceversa per sfruttare un profondo spazio scenico occorre un’inquadratura e una ripresa più lunghe. Il cinema delle origini utilizzava la profondità di campo perché utilizzava la pellicola ortocromatica, che necessitava di poca luce e la pellicola era sensibile al blu-viola dello spettro visibile dei colori, ma insensibile fino al giallo-rosso, il che significava che riproduceva i rossi e i gialli come nero e l’azzurro come bianco. Il cinema classico (ad eccezione di Welles) si basava sul “shallow focus” tramite pellicola pancromatica, cioè solo una porzione di quadro è a fuoco, a causa delle limitazioni della pellicola fotocromatica. Si utilizza questa tecnica di limitata nitidezza sia per ragioni pratiche che per funzionalità al modello narrativo. Con l’arrivo della pellicola pancromatica dalla vasta scala di grigi la profondità di campo (cioè un quadro in cui tutto è perfettamente a fuoco) è più complicata da realizzare perché necessita di molta luce. Il cinema classico usa il “deep focus” per concentrare l’attenzione su un unico punto alla volta e guidare naturalmente lo spettatore sui vari piani di narrazione. -> Jean Renoir inizia negli anni 30 con la ripresa in continuità e la MESSA IN SCENA IN PROFONDITA’ (poiché e figure sullo sfondo dei suoi film sono essenziali come quelle in primo piano ma non sono ancora tecnicamente a fuoco) + PROFONDITA’ DI CAMPO LATERALE nella scena della danse macabre in “La regola del gioco”, anticipando così il cinema della modernità. Elementi portati in auge negli USA da Welles e “Quarto potere”. -> un giornalista va a intervistare varie persone che lo hanno conosciuto dando vita a una serie di flashback. Chi è stato Charles Foster Kane? Un uomo buono o cattivo? Un progressista o un reazionario? Un sognatore o un folle? Al termine della proiezione non lo sappiamo. O, meglio, il film non ci offre una risposta univoca, come farebbe un film classico. Anche qui, come nel caso di La regola del gioco, ripresa in continuità e profondità di campo sono in qualche modo "necessari". Quarto potere, scrive sempre Bazin nel saggio che abbiamo citato in apertura di paragrafo, non è concepibile che in profondità di campo», proprio perché la profondità di campo reintroduce l'ambiguità nella struttura dell'immagine». Secondo Bazin, la ripresa in continuità e la profondità di campo sono soluzioni intrinsecamente "realiste" perché restituiscono al cinema la continuità spazio- temporale della realtà, in contrapposizione all'artificio del montaggio, che seleziona le porzioni di spazio e di tempo funzionali al racconto. La profondità di campo, ha scritto un altro critico e cineasta francese, vicino a Bazin, Astruc, obbliga l'occhio dello spettatore a fare lui stesso il suo découpage tecnico, perché il pubblico può
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