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La Mosca e la Contingenza: Un'Analisi del Realismo Fantastico nel Cinema di Dreyer, Schemi e mappe concettuali di Storia Del Cinema

Filosofia del cinemaStoria del cinemaTeoria del cinemaEstetica del cinema

Il concetto di realismo fantastico nel cinema di Carl Theodor Dreyer attraverso l'analisi della scena della mosca in 'Giovanna d'Arco'. sulla importanza della tecnica cinematografica per creare un pensiero visivo e porre problemi filosofici, come il rapporto tra astratto e concreto, universale e singolare. La mosca è descritta come un elemento insignificante che apre mondi aperti e fa parte permanente dell'immagine.

Cosa imparerai

  • Come il realismo fantastico è consentito dal realismo dell'immagine cinematografica?
  • Come Dreyer utilizza la tecnica cinematografica per creare un pensiero visivo?
  • Come la mosca apre mondi aperti nell'immagine cinematografica?
  • Come la mosca evidenzia il carattere giovanile di Giovanna?
  • Come la mosca aggiunge qualcosa di inspiegabile alla scena?

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

Caricato il 18/10/2022

F1999
F1999 🇮🇹

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Scarica La Mosca e la Contingenza: Un'Analisi del Realismo Fantastico nel Cinema di Dreyer e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! Storia del cinema e del video (Carboni) Informazion: . ogni giovedì alle 15:30 vengono caricate le lezioni su generale e anche su file vengono caricate. Prendere gli appunti e segnare a quelle lezione corrispondono https://www.bibliotechediroma.it/opac/Opac , su questo si possono trovare i film e prenotarli e andare a prenderli in biblioteca. Oppure cercali sulle biblioteche dei comuni. Link lumier: https://www.youtube.com/playlist?list=PLutF9uQUVym_IgCL7nfe18SdeZyE6P5PU Testi consigliati: Che cos’è il cinema , Andrè Bazin L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecniche, Walter Benjamin Lezione zero La mosca nel film Giovanna d’Arco di Dreyer. Film sulla soglia tra il muto e il parlato. La protagonista scaccia la mosca per due volte dalla sua fronte, in quel momento Dreyer spera che l’operatore continui a riprendere quell’evento e in montaggio non taglia la scena. Ciò significa che Dreyer è un artista contemporaneo. Questo ci porta a pensare con il cinema. Il cinema è l’arte dell’instante qualunque, la mosca è come il ready-made di Du Champ. un oggetto decontestualizzato e portato in un ambiente in cui ci si aspetta un’altra cosa, come un’opera d’arte . Lezione 1 (A) Il cinema dal punto di vista teorico e filosofico. Cinema come forma di pensiero. Il cinema si identifica con la modernità. Il novecento è il secolo del cinema. Walter Benjamin: il cinema mostra tutte le forme di visualizzazione dei tempi e dei ritmi prefigurati dalle macchine moderne, di modo che tutti i problemi dell’arte contemporanea trovino solo nell’ambito del cinema la loro formulazione definitiva. Walter Benjamin paragona il cinema con il dadaismo. Una catena di montaggio frazionata, ognuno deve fare qualcosa, il cinema ha il sigillo delle catena di montaggio fordista. Quando si intende modernità, si intende l’industria, la catena di montaggio, il cinema. Il cittadino dal contesto del villaggio si è abituato al contesto metropolitano, allenato a continui shock causati dalla modernità, il traffico, la pubblicità, il traffico, rispetto alla vita di paese dell’artigiano, quindi una vita che ha un flusso continuo. Il cinema ha fatto salvare il mondo dalla gabbia della modernità, secondo Benjamin. Col primo piano si dilata lo spazio, si può ingrandire l’immagine e scoprire qualcosa del reale e così il rallenty ci fa scoprire elementi che prima non potevamo scorgere. Il cinema ci fa vedere il mondo frammentato, ma questi frammenti ci appaiono come un puzzle organizzato. L’immagine cinematografica ha 4 bordi, ma l’immagine supera questi 4 bordi. Le figure, i personaggi esagerati dei film, come Rambo, spiderman ecc, vengono inseriti in contesti, in vicende che fanno sembrare essi verosimili. Il cinema eccita, sollecita, ma organizza e disciplina. L’eccitazione delle spettatore prende il ritmo dato dal film. Paragone tra cinema e pittura: (libro es. Antonio costa, il cinema e le arti visive). Differenze materiali: nel film - nella sala al buio in cui sembra di essere in un grembo materno, in cui siamo insieme, ma ognuno fantastica a modo suo - ci identifichiamo con il personaggio e con ciò che viene raccontato. La pittura si guarda vigili e coscienti, è un sogno, diverso dal cinema. Il film costruisce il tempo, la pittura subisce il tempo di ricezione, il quadro è fermo e lo spettatore deicide il tempo in cui si guarda, mentre non si può dare uno sguardo al film. Il giudizio critico di un film è diverso tra cinema e pittura. Il cinema è più analizzabile in quanto più preciso nella situazione che è più isolata grazie la montaggio. Benjamin: il cinema raccoglie l’arte e la scienza, si ha un amalgama di queste due linguaggi. Il dipinto invita l’osservatore alla contemplazione, abbandonarsi alle proprie associazioni. L’immagine filmica non può essere fissata, in quanto cambia e ciò comporta uno schok, la rottura di una continuità che avrebbe potuto svilupparsi. Il film esige di essere accolto con maggiore presenza di spirito, maggiore allenamento allo schock, costruire una corazza allo schock. Il cinema è montaggio, elemento decisivo. I primi due grandi del montaggio: Griffith e Ejzenstejn. Il cinema: montaggio di frammenti. Continuità di una discontinuità. Tutto cambia repentinamente. Percezione continua di una discontinuità. L’attore teatrale e la sua azione corrispondono alla ricezione visiva e uditiva dello spettatore. l’attore sviluppa una azione continua. L’attore cinematografico deve scomporre la sua prestazione in singolo frammenti, non c’è una lavorazione continua. L’azione dell’attore cinematografico non è mai contemporanea allo spettatore. L’attore cinematografico non è mai contemporaneo alla spettatore. La prestazione dell’attore teatrale viene presentata da lui stesso. Cosa significa pensare il cinema, analizzarne le condizioni, la produzione di cose che non troviamo già date nella natura quindi in questo caso le immagini. Cosa significare pensare con il cinema, una forma di pensiero che si da in immagini. Chi lo fa un film: nel film d’autore è il regista a decidere, mentre nel cinema di genere il regista si adatta al genere, ma questa cosa si intreccia come nel caso di hithchock e di tanti altri registi come tarantino. Fare cinema è produrre un pensiero per immagini. Si può pensare per immagini senza usare il linguaggio verbale? Questa è la domanda che il cinema si pone: come si fa a pensare, raccontare un pensiero per immagini. Ejsenzeinstein nei suoi scritti pone sempre questa domanda. Anche Godard pone questa domanda nelle sue opere. Gilles deleuze: immagine/immagine tempo. Ragionare per immagini. Bisogna riconoscere la capacità del racconto cinematografico di porre in termini visivi problemi di natura logico filosofica: come il rapporto tra astratto e concreto, tra universale e singolare, tra generale e particolare. Il regista vuole far pensare a qualcosa che vada oltre l’immagine concreta. Come si fa a rappresentare l’dea? Rendere immagine il concetto. Vedere il cinema come forma di pensiero. Non potremmo dare significato al film senza la memoria. Non potremmo identificare e collegare l’inizio con la fine. È nella memoria che la discontinuità del film prende forma come racconto. Intreccio tra comprensione e emozione, sapere e sentire. Intelletto e sensibilità. Rispetto alle altre forme artistiche, il racconto temporale cinematografico con il suo realismo, con l’evidenza spazio temporale salta maggiormente al nostro animo l’intreccio intreccio di emozione e intelligenza. Godard con il suo documentario “histoire(s) du cinema” parla del rapporto tra particolare e universale. Ed è praticamente un saggio sul cinema, fatto con le immagini. I mondi aperti dell’immagine cinematografica si aprono alla nostra memoria tramite particolari insignificanti, ma che ci appartengono, che ci affascinano e che sono individuali. O l’innamoramento dello spettatore per un personaggio, quindi il feticismo verso l’immagine cinematografica. A volte amiamo un film non per il significato, ma per un gesto di un personaggio, per i dettagli che ci appartengono, che non consideriamo, ma che rimangono nella nostra mente. Lezione 2 (A-B) Ronald Barthes “ la camera chiara” libro consigliato. La mosca nel film “ La passione di Giovanna d’Arco”: dimensione della contingenza e della casualità nel fare cinema. Un frammento di reale nella sua immediatezza e singolarità fa ingresso permanente nell’immagine, come un punctum, qualcosa che attrae lo sguardo e fora l’immagine. Ronald Barthes ll punctum e lo studium: egli analizza il punctum e lo studium attraverso la fotografia. Studium è l’applicazione a qualcosa, senza però particolare intensità, l’interesse per qualcosa, un interesse culturale, storico o morale. E in questo caso per Ronald succede con la fotografia, in cui egli partecipa attraverso la sua cultura alla circostanza, alla forma che la fotografia gli porta. Il punctum infrange e scandisce lo studium. In questo caso non è l’individuo che va in cerca del punctum, ma è lui che partendo dalla scena mi trafigge. Punctum è anche puntura, piccolo buco, macchiolina, piccolo taglio e impresa aleatoria cioè casuale. Il punctum di una fotografia è quella fatalità che mi punge, ferisce, mi attira. La mosca nel film fora l’immagine. Non fa parte dello studium, cioè quello che io posso ricostruisce culturalmente dell’immagine. Il regista non taglia l’inquadratura e fa si che l’incedente insignificante rimanga per sempre nella sua opera. Qualcosa che è volatile, quindi che compare e se ne va rimane per sempre nell’opera. Questa non è un’accettazione del caso, in quanto Drayer è famoso per il suo controllo dell’immagine filmica. L’episodio indica come l’opera d’arte sia qualcosa che nel suo stesso farsi appare radicalmente esposta all’evento fortuito che si dona. Il volo della mosca che ci ha regalato la natura. Quindi è esposto alla equiprobabilità dell’accadere. E queste sono proprio alcune tra le caratteristiche della arti contemporanee: l’esposizione, il dono dell’accadere, il caso… tutto ciò succede nelle performance, nelle installazioni che sono esposte al caso, alla contingenza. Mentre l’opera tradizionale è protetta dall’esterno, come la cornice dei quadri. La passione di Giovanna D’Arco di Dreyer fu girata negli anni del passaggio dal muto al sonoro, dal febbraio al novembre del 1927. Dreyer, anche se il film fosse muto, volle che gli attori senza trucco pronunciassero ad alta voce le battute, così che le parole tra immagine e parola fossero visibili. Le parole è come se fossero visibili sullo schermo, sembrano disegnarsi sulle labbra dei personaggi, inudibili, ma perforanti, sembrano scritte sul volto dei personaggi. Le parole sono visibili grazie ai movimenti dei visi. Un linguaggio che non sentiamo, ma che vediamo. Quindi il film è stato girato in un momento storico, anni 20’/30’, in cui il cinema d’autore e d’avanguardia ebbe un grande successo. (Leger, Du Champ, richter per esempio) Si insisteva sulla percezione visiva, come nella scene di tortura di Giovanna d’Arco. La scenografia di Giovanna d’Arco era una ricostruzione storicamente fedele, di Hermann Warmm il quale si avvalse del espressionismo e dell’astrattismo: spazi spogli, ombre stagliate come grafismi sulle pareti. E questi genere di film d’autore hanno anche influenzato i film più commerciali. La mosca si è posata sul viso dell’attrice o su quello del personaggio? Dreyer: il cinema non si era ancora affrancato dal teatro e l’attore cinematografico allora doveva dimenticare di essere un attore. E la Falconetti lo fece, visse la parte di Giovanna d’Arco, in alcuni momenti c’era qualcosa di indefinibile attorno a lei, qualcosa che non era di questo mondo. Le riprese che subì sul set furono quasi reali, le costarono un forte esaurimento nervose che l’ha accompagnata per tutta la vita e secondo alcuni storici non è un caso che si sia suicidata. La costumista Valentine Hugo ricorda che durante la scena della rasatura dei capelli gli animi dei tecnici erano scossi come se il marchio infamante fosse veramente applicato alla persona. C’era un atmosfera intensa sul set, l’attrice piangeva realmente per la immedesimazione nel suo ruolo. E il film riporta ciò come un documentario, cioè riporta la traccia delle cose che sono accadute durante la sua lavorazione. Durante il set sembrava celebrarsi una cerimonia rituale, documentata sulla pellicola, che avesse ad oggetto un’autopsia su essere viventi. Lezione (2C) La mosca compare per due volte: la prima al minutaggio 29:20, quando c’è il processo a Giovanna la seconda al minutaggio 47:59, quando le viene offerta l’estrema unzione, ma Giovanna rifiuta di firmare il documento che le farebbe ammettere le sue colpe. L’irruzione della mosca sembra far incrociare casualità e inattese concordanze(in francese en abime). In uno dei momenti più drammatici la mosca si posa sul viso dell’attrice. Ma la coincidenza è che nella sceneggiatura c’era scritto “durante alcuni secondi il silenzio è tale che si sentirebbe volare una mosca”. Le domande che sorgono: si era accorto Dreyer della coincidenza? O il regista ha aggiunto in sceneggiatura quella frase dopo l’irruzione della mosca, dopo essersi accorto che la mosca si era appoggiata sul viso? Ovviamente Dreyer si accorse della mosca e parlò dell’accadimento durante un’intervista, descrivendo la mosca come un dono del cielo, un nuovo elemento, una terza dimensione che si è introdotta nella scena (un evento mistico), aggiunge qualcosa di inspiegabile. Lezione (3A) Contingenza, il fuori, l’evento. La contingenza: accidentalità, eventualità, possibilità di essere o non essere, circostanza, occasione, congiuntura. La contingenza e il cinema Il cinema fin dalle sue origini ha a che fare con la contingenza e l’accidentale, cioè quello che non si può controllare o almeno che si può controllare in minima parte. La prima volta che della persone vennero riprese cinematograficamente fu nel 1894, quando Louis Jean Lumièr posizionò la macchina all’uscita dell’azienda di famiglia. Anche se la macchina era fissa, l’operatore non poteva controllare tutti i movimenti delle persone, tutti i piccoli eventi che possono succedere. Il cinema dalle sue origini è controllo, mediazione, contingenza, immediatezza, è un compromesso tra controllo, mediazione tecnologica e contingenza. Il cinema incrocio tra realismo e finzione ( dai Lumièr a Meliès). Il cinema è l’esempio dell’impossibilità di separazione netta tra documentazione (immediatezza) e manipolazione, tra verità e codificazione, esso ha sempre lavorato sulla soglia di queste due caratteristiche che non che perdono senso, ma divengono indistinguibili e indiscernibili l’una dall’altra. Nel 1895 del 28 dicembre ci fu la prima proiezione a pagamento dei film dei Lumièr, al Salon Indien del Gran Cafè sul Boulevardes des Capucines. Il giornale Le Radical in merito ai loro film scriveva: Si potranno rivedere vivere i propri cari molto tempo dopo averli perduti. Il fantasma che rivive, questo è il cinema. Questo si poteva anche con la fotografia, ma in questo caso c’è il movimento e la vita è movimento. E questa arte non poteva che essere inventata dalla cultura occidentale, la quale è ossessionata dalla morte e vuole trovare un modo per lasciare una sua traccia. L’estremo illusionismo del digitale che produce con estremo realismo i personaggi e le cose tenta di far dimenticare che quelli che guardiamo sono fantasmi. La vita rivive con il cinema, qualcosa che torna come un fantasma, un’apparizione. Spazio e tempo vengono trasferiti sullo schermo bianco. L’illusione del reale. La tecnologia porta una percezione sempre più realistica, quindi sempre più illusoria. Da qui nasce l’estraneazione e il disconoscimento che si può avere nel vedere la nostra immagine proiettata sullo schermo. Tesi anticipata da Pirandello nel 1925 nel Quaderni di Serafino Gubbio operatore. Una tecnologia a portata di mano eppure i cui risultati ci distanziano da noi stessi, ci fanno altri, ci rendono altri. (la tecnologia presente soprattutto) La contingenza e l’imprevedibile si infiltra continuamente nella rappresentazione cinematografica, come nei primi film di Griffith, che per necessità di illuminazione venivano girati in capannoni senza tetto e nei quali si poteva vedere per esempio la fiamma della candela che si inclinava per il vento. La vita che entra nel film. La pratica del montaggio non era ancora sviluppata da far si che il montaggio fosse diverso dalle clip girate. Era quasi tutto in piano sequenza. E il nuovo cinema d’autore degli anni 70’ ha guardato con molto interesse la rudimentalità delle origini del cinema. Per contrapporsi alla artificiosità di Hollywood. Tornare a una verità documentaria. (Warhol, Godard, Wenders, Antonioni, il primo neorealismo italiano) Questo è un tipo di cinema non proteso a proteggersi dal caso a differenza del cinema Hollywoodiano. Il cinema d’autore (es. Godard) è aperto ciò che accade, al contingente, l’indeterminato e l’accidentale, ciò che abbiamo sempre davanti agli occhi senza accorgercene, hanno un ruolo decisivo. È come se il regista non possa governare fino in fonda la propria opera. Il cinema del periodo classico e la narrazione convenzionale si sforzano di far dimenticare che sono in una sala cinematografica e che sto vedendo cose finte, mira a far scomparire la macchina da presa, i suoi movimenti, in favore dell’illusione estetico percettiva e della logica narrativa, tiene per quanto possibile a distanza l’inatteso e controlla il caso. Tutto ciò in favore dell’illusione, per far dimenticare che sono al cinema. Truffaut nel suo film effetto notte fa pronunciare al personaggio del regista suo alter ego: I film sono più armoniosi della vita, non ci sono intoppi nei film, non ci sono rallentamenti, i film vanno avanti come treni, i treni nella notte. Si riferiva al cinema classico, che rende più armoniosa la vita, a differenza dei film d’autore in cui ci sono intoppi. Il cinema d’autore dichiara i propri strumenti, ci fa sentire la cinepresa, vuole che ci ricordiamo che stiamo guardando cinema e non stiamo guardando realtà e si esibisce in quanto artificio. Accetta l’accidentalità, attraverso la frammentazione del racconto, lo squilibrio tra la varie fasi, attraverso i tempi morti, come nei momenti della vita in cui non succede niente, risultando inverosimili perché troppo veri. Nella vita quotidiana guardiamo qualcosa ed è normale, mentre in un film se il regista si ferma su un vaso ci chiediamo perché non va avanti. Antonioni alla fine di un suo film mostra cornicioni di palazzi romani per vari minuti. Il cinema delle origini subiva l’accidentalità, mentre il cinema d’autore accetta l’accidentalità. Godard: “Quello che voglio è il definitivo per caso”. Dice ciò in merito al suo film “Vivre sa vie” in cui c’è la protagonista che guarda il film di Dreyer Giovanna d’Arco e piange, perchè l’attrice di Giovanna d’arco si presenta come una persona attraverso la finzione, attraverso la sua interpretazione riesce a essere quel personaggio e non rappresentarlo. Stendhal nel il rosso e il nero: non si guardano le persone come fossero quadri. Quindi potremmo dedurre che non si guardano le persone come se fossero immagini cinematografiche. LEZIONE (3B) Contingenza George Mèlies va a vedere una veduta dei Lumièr “La colazione del bebè”, in cui c’è la scena di due genitori che imboccano il proprio bebè, ,ma Meliès non se ne cura perché non lo attira, il suo occhio è rapito dalle foglie degli alberi che si agitano sul fondo della scena, dunque è attratto da ciò che non dovrebbe attrarre, da un particolare non intenzionale, da un dettaglio contingente. Dettaglio ne previsto, ne organizzato, ne cancellato dal regista. Hussel: il contesto accompagna sempre la percezione focalizzata. Ciò su cui mi sto focalizzando è il mio vissuto attuale, mentre lo sfondo è il vissuto inattuale. (collegabile al fuori campo cinematografico). Una presenza apparentemente neutra, ma che l’immagine ci restituisce Quelle foglie, sono ciò che in quanto contingenza non può non esserci. Il contingente accade necessariamente, ma non origina situazione necessarie. Quindi Meliès viene attirato da un particolare extradiegetico, da qualcosa che non c’entra con il micro racconto. Forse questa è una specificità del cinema, cioè che lo sguardo possa vagare nell’inquadratura, che è differente dal vagare dell’occhio su una tela su cui è tutto volontario. Questo potrebbe mostrarci quanto lo sguardo dello spettatore può ridistribuire la lettura dell’immagine, rimontarla, quindi riorganizzare ciò che mi è dato. Aspetto cruciale delle arti moderna contemporanee, lo spettatore partecipa. Ed è l’instante qualunque che è poi è stato ripreso dal cinema d’avanguardia per allontanarsi dalla falsificazione hollywoodiana. Endy Warhol con la camera fissa sullo state building, sul poeta john gionro che dorme, le sequenze vuote di straube huillet. Il ritorno all’instante qualunque. Un cinema orizzontale. Filmare la vita. In cui si può ritrovare anche l’estetica dei reality show, ovviamente molto pompata e fasulla. Questa situazione fu anticipata da alcuni artisti: Fernard Leger: che dice di aver sognato un film di 24h di una coppia qualsiasi senza che lo sappiano, senza omettere nulla, senza alcun controllo, Questa è la specificità del cinema, nessun altra arte può inventarsi questo tipo di riproduzione Cesare Zavattini ( sceneggiature di film neorealisti): il mio ideale è un film che descrivesse la giornata di un uomo qualunque, la lunghezza del film dovrebbe essere quanto la giornata dell’uomo. Tutto riprodotto con fedeltà. Ricettività totale della vita, senza cornice, apertura sull’accadere, il quotidiano nella miriade mi micro eventi che lo compongono e in cui si disperde, nella incalcolabile contingenza, il quotidiano diventa spettacolo, indipendentemente dalla propria volontà, filmare la contingenza, l’istante qualunque. Da questo punto di vista il cinema è l’unica arte dell’instante qualunque. LEZIONE 4 Cinema come arte dell’instante qualunque, ricettività totale della vita. Cinema arte senza cornice, anche se ce l’ha nella selezione di ciò che riprende, ma senza chiudersi all’evento che può accadere come Dreyer con la mosca. Ciò che la vita porta, il cinema riceve. Questo discorso non vale per il cinema commerciale in quanto selezione in reale in base della narrazione. Ovviamente questo riprendere la vita è stato ripreso da format commerciali come il grande fratello. La tecnica lavora alla scomparsa di se stessa, de tecnicizzazione attraverso la tecnica. La comparsa della mosca è il punto in cui la natura irrompe nell’arte. Nel punto in cui la mosca compare nell’immagine prodotta tecnologicamente irrompe la natura. La tecnica nasconde la tecnica per far sembrare la tecnica natura. La tecnica e la natura divengono indiscernibili nella scena della mosca, opposti complementari. Nella recensione di Bazin a ladri di biciclette scrive niente più attori, niente più messa in scena, niente più cinema. Illusione perfetta delle realtà che è la realtà stessa e non è più cinema, tecnica che de tecnicizza se stessa. Dreyer ripeteva che bisogna utilizzare la macchina da presa per sopprimere la macchina da presa, arrivare al realismo. Cinema come scomparsa del cinema, fantasma di un fantasma che però vuole recuperare la presenza pura e immediata, quella che non può mai darsi come tale. Teatro di Grotosky, forma di de teatralizzazione. Come il ready made, inserire un oggetto qualunque in un ambiente in cui si si aspetta dell’arte, invece niente più cornici. La rottura dell’arte. La mosca è l’esempio delle analisi della contingenza nel cinema. La mosca si posa sul viso dove ci sono parti su cui l’uomo può poco o niente (dice belà balache), il viso che è forse la parte del corpo in cui più si manifestano i muscoli involontariamente, quindi l’inintenzionalità delle nostre espressioni. Sul viso si manifestano le micro fisionomie involontarie. L’anima emerge dal viso inintenzionalmente, come il rossore della vergogna. Attraverso il volto io mi espongo allo sguardo dell’altro ed è li che si sviluppa il senso di responsabilità reciproca. Il viso che diventa volto, il volto è la visione etica del viso, la verità si instaura attraverso un rapporto etico “ guardami negli occhi”. Il cadavere ha un viso, ma non ha un volto. Il volto dell’attrice è offerto alla macchina da presa e quindi a noi che lo vediamo, allo sguardo dello spettatore. Il viso dell’attrice si confronta con il nostro sguardo, noi ci confrontiamo con il suo volto. Sul viso si poggiano le superfici incontrollabili, come la mosca. Saltano i confini tra l’opera programmata intenzionata e l’irruzione dell’accidentale, della contingenza, tra controllo tecnico operativo dell’arte fatto e incontrollabile contingenza. Si può diminuire la contingenza, ma non controllarla. La mosca si ferma sul solco di nulla che divide il visibile intenzionale dal visibile involontario, il mondo reso opera dal mondo non cercato, la mosca. Su questa base si può affermare che non siamo tanto di fronte al volto puro della falconetti sul quale si posa la mosca, ma siamo ad una concatenazione volto-mosca, un'unica immagine segno, Gilles Deleuze direbbe al divenire mosca del volto, il volto che diventa mosca. Vediamo sullo schermo il volto dell’attrice ma questo, il volto, è a sua volta lo schermo su cui si proietta la mosca. La mosca si proietta nell’immagine del volto dell’attrice. Il volto è a sua volto lo schermo sui cui si proietta la mosca. Ronald Barthes in camera chiara, la fotografia conferma che la contingenza si pone davanti all’obiettivo. La fotografia riporta qualcosa che non si può negare sia stato davanti all’obiettivo e questo non si può dire di un ritratto, di un dipinto. La mosca afferma che l’accidentalità del libero accadere passa davanti alla macchina da presa. La mosca è il punctum che punge l’immagine e attrae. Questo testimonia il semplice fatto che il regista fotografo era la e dunque può testimoniare. UN esempio è il fotografo di guerra che fa del caso la sua fotografia, si trova in guerra e le azioni succedono per caso e lui ne fa fotografia, testimonia che è successo avanti a se. La genialità di Dreyer è aver conservato quella mosca, non aver girato dove volava la mosca, perché può documentare la sua presenza. La situazione è cambiata con le tecnologie digitali, in quanto perdiamo la sicurezza che quella cosa sia stata effettivamente lii quando si è scattato e non aggiunta dopo in post. La digitalizzazione da la possibilità di azzerare l’inintenzionale, l’imprevisto, poter creare l’immagine sinteticamente. La prima grande applicazione del digitale al cinema è al gladiatore del 1999. (tarkosky regista consigliato) Riprendere la mosca è l’incontro con l’incontro, con il fortuito, con quello che ci governa, il caso. Il caso è una delle forme in cui si presenta a noi ciò che da ultimo ci governa e che ha fatto incrociare il volo di una mosca e un certo assetto situazionale operativo dotato di strumenti di archiviazione registrazione del presente. La decisione di Dreyer ci mostra come sia aperto al caso, sperando che l’operatore non interrompa la ripresa. Ma allo stesso modo non si possono fare deliberatamente esperienza del caso, perché caso colpisce, io arrivo dopo il caso. Dreyer produce l’improducibile, perché il caso non è producibile. Dreyer prende contatto con l’ incontattabile. Questo fa capire come egli abbia organizzato il set non solo in termini programmatici, ma anche secondo intuizioni non programmate. Creare le condizioni per essere presi di sorpresa. Cinema arte tra controllo e immediatezza. Per Dreyer il cinema è il campo in cui diventa indistinguibile la programmazione e la sorpresa, il progetto e l’incalcolabile. (L’ufficio delle legende serie su amazon prime) LEZIONE 5 A Il set un frammento di mondo che mette in scena il mondo stesso, come il teatro. Nel set quindi come nel resto del mondo può prendere campo la casualità e bisogna decidere cosa fare. La decisione etica parte sempre da un futuro non prevedibile. Il set costituisce una situazione che non è mai continuamente garantita. L’irruzione della mosca lacera l’omogeneità del contesto e quindi conferma che la situazione è sempre esposta al caso. Il programma mai si realizza nelle stesso modo in cui lo avevo pensato visto che il caso può succedere in qualsiasi momento, come il regista con i movimenti degli attori. Ma la contingenza non va intesa come un ostacolo al programma, perché come nell’esempio delle celebre colomba di Kant che non potrebbe volare senza l’attrito dell’aria in quanto lotta per contrastare l’attrito volando, il programma continua in resistenza alla contingenza. In set è una situazione in cui le persone sono profondamente implicate, affrontando anche gli eventi incerti. Il set è come la vita, dice Godard, si lavora con ciò che si trova sul luogo. Dreyer e Ejzenstein accettando la mosca dimostrano di far corpo con l’ambiente, di lavorare con ciò che trovano. Belà Balache, la macchina da presa ci svela, nella passione di Dreyer, la crudele autopsia di micro fisionomie sconvolte dalla rabbia (fratacchioni) o dall’estasi mistica ( Giovanna d’arco), ci mostra una geografia di rughe e verruche, lacrime e saliva, geografia che iscrive sui volti. Una corporalità fortissima. (Rudolf Matè l’operatore che non spense le macchine) L’attrice offre il suo volto vulnerabile, aperto. Una passività senza difese. Il trovarsi già da sempre esposto nell’esteriorità è la cifra originaria del corpo. Questa vulnerabilità del c’è sempre e c’è stata. (il corpo di Umberto Galimberti libro consigliato) (Dreyer cinque film, 1967 Einaudi libro) Dreyer in uno scritto parla dei primi piani di Giovanna d’arco e ne parla in modo molto congruente al piano interpretativo che utilizziamo per la mosca: I primi piani erano invadenti, senza essere annunciati, con una loro posizione e senza armonia, una banda di rumorosi disturbatori. Proprio come la mosca. Diceva Dreyer: I primi piani dovevano funzionare da fattori d’urto, con lo scopo di creare una serie di onde d’urto che sorprendessero. È come se il primo piano venisse da un fuori. Agli eventi che vengono da fuori non si può applicare la logica del vero o del falso, ci sono e basta. Inopportuni, impertinenti, sorprendenti. Come la mosca. Come la mosca irrompe dall’esterno, così come dice Dreyer i primi piani provengono da una esteriorità. Queste irruzioni fanno saltare il flusso della narrazione, perché non si armonizzano. Con il primo piano come con la mosca abbiamo a che fare con un qualcosa che ha un rapporto con una dimensione esterna rispetto al flusso. È quasi certo che Dreyer avrebbe eliminato il fotogramma con la mosca se si fosse posata in un totale o in una panoramica, se si fosse poggiati su tavoli o su vestiti. Questo significa che stiamo trovando indizi che ci portano alla convinzione che la scelta di tenere la mosca in primo piano fa parte integrante di una strategia registica sospesa tra l’impaginazione formale rigorosa, orchestrazione rigosa, decisione autoriale e il suo opposto, l’abbandono al puro accadere, accogliere la vita. Dominio, logica e propensione a lasciare ciò che accade davanti alla macchina da presa accada anche nel film. Attitudine che si mostra anche nell’inconsueta decisione di girare le scene nell’ordine naturale del loro susseguirsi narrativo. Ricerca di adesione a specchio tra realtà vissuta e la sua rappresentazione La mosca zampetta sul confine tra visibile progettato e visibile involontario. Dreyer ama anche molto tagliare l’immagine, comporre l’immagine. Infatti l’immagine in Giovanna D’arco è molto composta e lui usa la tecnica del decadrage. Cos’è il decadrage? LEZIONE 6 A Decadrage, cos’è? È un procedimento compositivo che relega il personaggio o l’azione ai bordi dell’inquadratura, evita una percezione normale e codificata tra centro geometrico plastico dell’immagine e centro drammatico narrativo. Elude l’identificazione che avviene quando l’immagine o l’azione è al centro. Il centro narrativo dell’immagine è spostato lateralmente rispetto al centro ottico dell’immagine. Immagine decentrate e svuotate, squilibrate quelle di Dreyer. Influsso evidente di avanguardie pittoriche e cinematografiche surrealiste. Ricordano Giotto ad Assisi e agli Scrovegni dal punto di visti plastico figurativo. Le figure convergono fuori dalle immagini. Tale particolare configurazione geometrica fa si che ogni scena rimandi a quella adiacente e all’intero ciclo del racconto. (citys en kein, quarto potere del 41’) Mentre la cornice dell’inquadratura sigla di solito l’entrata e l’uscita dei personaggi nel cinema classico hollywoodiano, spesso invece nel film Dreyer l’entrata e l’uscita dei personaggi avvengono dal bordo inferiore dell’inquadratura. E produce un effetto ottico squilibrato e squilibrante. Così il centro dell’inquadratura diventa altro, vuoto. C’è anche un primo piano del vuoto. L’effetto di questo tipo di decadrage è doppio: da una parte sentiamo il peso dell’immagine, avvertiamo la legge di gravità grazie a trasgressioni ottiche, l’immagine si presenta come immagine e non trasferisce contenuto. Dall’altra c’è una contro spinta percettiva perché i personaggi appaiono dal bordo inferiore dell’immagine, si fanno visibili salendo e non facendoci sentire il loro penso e come se lasciassero il loro peso per salire nell’inquadratura. Il decadrage squilibrando mette ciò che è contenuto nell’immagine in tensione dialettica con il fuori. L’inquadratura di Dreyer dialoga con il fuori, ha bisogno di qualcos’altro per rimettersi in sesto e magari questo elemento non arriverà mai. Le inquadrature trovano la loro armonia nella completezza del film e non in una solo inquadratura. Lavorando sul decadrage, interrogando i bordi dell’immagine, attivando i margini, Dreyer mostra che questa tensione che va verso il fuori è strutturale al suo linguaggio e non accidentale. La mosca irrompe nell’immagine provenendo dal fuori campo. Il fuori campo: è tutto ciò che è escluso dall’immagine filmica in generale? No è ciò che è escluso dall’immagine attuale, ma che rimane suscettibile di entrarvi, dunque di partecipare non solo alla continua riconfigurazione della spazio visivo, ma anche di contribuire allo sviluppo narrativo. La cornice dell’immagine filmica è centrifuga, evoca sempre il fuori, l’immagine fotografica è centripeta, va verso il proprio centro. Quindi il cinema chiama sempre lo spazio esterno. L’inquadratura solo dandosi stabilisce un rapporto di esclusione inclusiva con il fuori campo, in quanto lo esclude ma riferendosi a lui lo include. Include l’esclusione del fuori. L’immagine cinematografica è in costante collegamento con ciò che non è. La sollecitazione del non ancora visto è strutturale della forma cinematografica. Ciò che si vede è in rapporto stretto a ciò che non si vede. Il cinema come arte del visibile, che proprio per questo è in continuo contatto con ciò che è invisibile. In quanto ciò che vedo esclude quello che non vedo. Essendo il tempo del racconto filmico quasi sempre più breve dell’evento raccontato, a parte nei film in cui non c’è taglio come L’arca russa, è evidente che nel linguaggio cinematografico è decisiva la dialettica tra visibile e non visibile, sia nel caso in cui l’invisibile resta sempre invisibile sia per il non visibile che poi diventa visibile. La narrazione prosegue per ellissi, sintesi visive. (esempio Odissea nello spazio 2001) Gran parte del senso del film gioca tra quello che vediamo e quello che non vediamo e intuiamo o non intuiremo. Dipende dall’autore se quello che si percepisce da fuori poi verrà mostrato o no. Questa dialettica è fondante del cinema. Vedere di non vedere qualcosa. L’autorialità si vede in questo rapporto tra quello che si fa vedere e non si fa vedere. Scegliere cosa far vedere. Il centro di gravità per lo spettatore nel capire il film si sviluppa in questo vedere e non vedere. Vediamo di non vedere, belà balache. LEZIONE 6 B La mosca proviene da un mondo che porta con se, nell’immagine arriva il mondo. Se l’inquadratura è il prodotto della macchina da presa e il nostro occhio coincide con quella della macchina da presa, la mosca proviene dal medesimo luogo in cui si origina il nostro sguardo. Se è vero che non possiamo vedere ciò che non è stato ripreso dalla macchina da presa, vuol dire che l’altrove rappresentato dalla mosca siamo noi, la mosca è in nostro ritratto. LEZIONE 7 B Prendendo come riferimento il testo di Walter Benjamin “L’opera d’arte nell’epoca….”, analizziamo il pensiero di Luigi Pirandello: La digitalizzazione con il suo estremo realismo vuole supplire il fatto che il cinema metta in scena fantasmi. Questo causa la nostra percezione di estraniazione quando vediamo il nostro volto in immagine. È la tecnica di riproducibilità che causa questa estraniazione. Questa estraniazione ovviamente è esistita dalle origini del cinema. Il cinema nasce come riproduzione e la riproduzione tecnologica causa il proprio disconoscimento. Questa teoria fu anticipata da Pirandello nel suo romanzo del 1915 “quaderno di Serafino Gubbio operatore”. E scrisse anche un altro libro sul cinema “ Si gira”. Il massimo dell’effetto di naturalità è raggiungibile attraverso il massimo del suo contrario, della tecnologia, con la prestazione di una macchina, con l’artificio. Pirandello spiega che per ottenere il massimo della finzione bisogna operare con il mezzo che meno si presta all’inganno, la riproduzione fotografica. È lo stesso discorso di prima, ma visto al contrario. Con il mezzo che maggiormente mi riproduce la realtà, si può fingere. Il fantastico acquista realtà solo attraverso l’arte. E la realtà che il fantastico acquista viene da una macchina che allo stesso tempo uccide il fantastico perché lo scopre come finzione e lo mostra come reale. Il cinema ci fa vedere la realtà attraverso fantasmi. Più la finzione è perfetta più credo sia realtà. Al film importa che l’attore presenti un’altra persona, ma che presenti se stesso all’apparecchiatura e che lo restituirà in rappresentazione. Questa trasformazione fondata sul test ottico sull’attore è stata notata da Pirandello. Pirandello: gli attori si sentono come in esilio, non solo dal palcoscenico, ma anche da loro stessi. La loro azione viva sulla tela cinematografica non c’è più. C’è solo la loro immagine che guizza e scompare. Come la mosca che compare e scompare. Gli attori cinematografici avvertono confusamente che il loro corpo è privato, svuotato della loro realtà, del loro respiro, della loro, perché tutto ciò è filtrato dall’apparecchiatura. Sono privati delle loro realtà. Diventano solo un’immagine che tremola e scompare, come un’ombra inconsistente. L’apparecchiatura succhia il “se stesso” dell’attore. Benjamin: l’attore cinematografico rinuncia all’aura, legata alla immediatezza. Questo accade per la prima volta con il cinema. Invece l’attore teatro è immediato, ha la sua aura. Il cinema pone l’apparecchiatura la posto del pubblico. Viene così meno l’aura dell’interpreta e anche l’aura del personaggio interpretato. LEZIONE 8 A Prendiamo in analisi Testo di Yosef Roth, scrittore e giornalista austriaco, “ Hollywood lade dell’uomo moderno” Cinema classico hollywoodiano anni 30’ 40’. “Billy Wilder Viale del tramonto, film consigliato” Orson Welles, regista consigliato Alberto Abruzzese: anni 10’ 20’ 30’ nasceva una cultura di massima per iniziativa capitalistica. Stati uniti produzione della cultura di massa totalizzante. Le opere artistiche prodotte artigianalmente, come i racconti, sono state prese dagli americani riutilizzandole e mettendole in pratica tecnologicamente per il mercato. Jacques Aumont “L’occhio interminabile” libro: dal punto di vista estetico cos’è il cinema hollywoodiano. David Bordwell: lo stile narrativo americano è legato al personaggio principale. Inquadrature centrate soprattutto. il cinema americano classico riprende la centratura pittorica. La centratura cinematografica è la traduzione visiva del racconto. Equilibrio delle masse plastiche. Il cinema classico hollywoodiano stabilisce delle norme che sono regole complementari ai gusti e ai bisogni del pubblico di massa, che non va scioccato, ma al quale occorre ogni tanto distribuire un po’ di novità. Equilibrio produttivo delle merce estetica. Torniamo al testo di Yosef Roth: Spiega che quando incontra un attore cinematografico gli sembra di incontrare la sua ombra, sa però che lui è l’artefice di quell’ombra perché è la sua riproduzione. Eppure quando lo incontra vede l’ombra della sua ombra, in quanto quello che ha visto al cinema è l’ombra del corpo reale dell’attore. Hollywood città dei morti, città delle ombre. Apparire sullo schermo come l’ombra di se stesso. Si potrebbe dire che c’ho che appare dell’attore sia ancora meno dell’ombra di se stesso, in quanto l’ombra costituisce la sua esistenza, invece non rappresenta più se stesso ma un sosia che non esiste affatto, l’attore è il sosia della sua stessa ombra che manda al cinema. Ciò si collega alla depersonalizzazione di Benjamin. L’attore ha prestato il suo corpo per farlo immagine una sola volta, ma resta per sempre quello che c’è di più fugace della nostra esistenza sulla terra, l’ombra. Quando l’attore muore, il personaggio rimane, la vita reale diventa quella del film. Per questo vuol dire che la sua verità, cioè l’ombra, è eterna mentre l’attore è solo il sosia dell’ombra. L’ombra rimane per sempre. Questo vuol dire che c’è una parte di uomini che hanno vissuto come ombre e che non possono morire perché non hanno vissuto, essendo diventate ombre volontariamente. Non solo sono diventati ombre da vivi, ma sono restati ombre da morti, continuando a vivere sullo schermo. L’attore ha venduto la sua morte a Hollywood. L’attore conquista l’immortalità sullo schermo. Il cinema ha promesso l’immortalità agli uomini quando sono ancora in vita. Il mondo in cui viviamo conosce l’ade dei vivente, cioè il cinema, Hollywood è l’ade moderno. LEZIONE 8 B Jacques Derrida , filosofo francese. Bernard Stiegler, ecografia delle televisione, libro intervista a Derrida. Ne leggiamo delle parti: l’invio a distanza c’è stato prima della televisione, già con l’invio delle lettere. Con la televisione non c’è totale padronanza del proprio dire, ma ormai succede anche con le altre comunicazioni tecnologiche. Già la scrittura allontana dall’intenzionalità lo scrittore, in quanto la scrittura si allontana e non dare possibilità di riscontro. La parola viva da possibilità di immediatezza nel confronto. La scrittura è già una telecomunicazione. È un continuo compromesso di padronanza e non padronanza. ormai è impossibili rimanere padroni della propria immagine. Si può sperare che non si faccia l’uso delle nostre parole e della nostra immagine che noi non vogliamo. Ricordiamo però che l’uomo è originariamente tecnologico, la tecnica l’ha inventata l’uomo. La macchina tecnologica si occupa di perpetuare e conservare un evento vivente. E ciò sarà riprodotto come vivente ma non sarà più vivente. Nel momento in cui stanno facendo l’intervista e sanno di essere ripresi, si apre la possibilità della morte. La azione fotografica apre alla possibilità della morte di colui che è fotografato e ripreso. Perché lo potremo rivedere anche quando lui è morto. Allora Derrida mentre è ripreso dice che li compare la morte. La morte è già nella scrittura e quindi nella ripresa. E se la scrittura è la riproduzione della voce, già nella voce c’è la morte. Sia la scrittura che la ripresa potranno essere riutilizzati e guardati chissà per quanto, anche quale i protagonisti saranno morti. Dalla fine dell’800 si apre la possibilità si sentire la voce registrata come vivente e poi anche l’immagine con i fratelli Lumièr. Nasce la possibilità della archiviazione e della riproduzione. Ma dice Derrida che nel momento in cui registro la mia voce e il corpo, la morte è già presente. LEZIONE 11 Terza direttrice interpretativa: L’evento Come Du Champ, nel cinema d’origine si cominciano a riprendere istanti qualunque che diventano opera d’arte. È impossibile che il passato non sia stato, non è possibile che sia richiamato. Invece il cinema per la prima volta riesce a riprodurre il passato e può riprodurre il film al contrario. La tecnica ha un suo aspetto magico.
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