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Storia del design: come nasce e come si sviluppa., Appunti di Design

Appunti precisi sulla storia del design.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 03/02/2022

Utente sconosciuto
Utente sconosciuto 🇮🇹

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Scarica Storia del design: come nasce e come si sviluppa. e più Appunti in PDF di Design solo su Docsity! 21-04-2021 Lezione 6 DESIGN E COMUNICAZIONE La comunicazione del design Poniamo dinanzi ad un aspetto centrale del Design che è quello della comunicazione. Parliamo di un ambito in particolare: la comunicazione d’impresa. Oggi siamo in grado di poter contare su tali tecniche; ma cosa vuol dire questo concetto? È un modo per conoscere i prodotti, per il profitto, per la vendita. Può riguardare il consumatore, il dipendente. Sono sofisticate strategie di commercio “la pubblicità è l’anima del commercio” = aumentare il numero di compratori se si è bravi a farsi pubblicità. I tempi cambiano e siamo in grado di usare metodi che garantiscono di arrivare ad ogni singolo individuo con scopi diversi. Si arriva a sollecitare l’attenzione nel consumatore con metodi che garantiscono di arrivare al singolo individuo con scopi diversi, si mettono in campo strategie diversificate per arrivare a tipologie di famiglie, di classi diverse. Possiamo parlare qui di comunicazione di massa. Ci sono diversi precedenti; qui vediamo una gamma di modalità usate per veicolare un’immagine dell’azienda. Ci sono due tipi differenti di immagini; alcune relative ad alcuni edifici come il Mulino a cilindro di Venezia edificio che nasce come mulino a vapore di un’azienda che macinava grano e fu collocato nella zona industriale della città stessa. Fu dismesso nel 1900 e fu usato come edificio per altri scopi, all’interno con un intervento di riuso-funzionale; ad albergo a cinque stelle. A destra vediamo un’altra fabbrica, meno nota; Napoli, edifico appartenete ad un’azienda, la famosa “Cirio”. La “Cirio” è un’azienda che vende tutto ciò che attiene a prodotti che si possono conservare in scatola, industria che si sviluppa d fine ‘800 quando si iniziò a produzione industriale del freddo e l’altra di inscatolare i prodotti enogastronomici. Non solo quelli derivanti dall’allevamento animale ma anche quelli della terra, quindi inscatolare prodotti provenienti dallo sfruttamento agricolo della terra. (prodotti ortofrutticoli). Azienda Piemontese che si spostò nel Mezzogiorno d’Italia tra il 1899 e il 1900 si stabilì lì e fondò l’industria conserviera “Ciro” che poi è diventata un’Azienda Nazionale estendendo i comparti di produzione dai prodotti ortofrutticoli in scatola al latte pasta al grano ad una tipologia sempre più variegata di prodotti. Cirio che subì negli anni ’90 una crisi finanziaria e tutto il patrimonio di questa azienda è stato acquisito. Ancora un’altra azienda, piccola, per sottolineare il rapporto comunicazione impresa che non riguarda solo le grandi aziende che ottimizzano questo settore della vendita si dotano di veri uffici di marketing sul pano della comunicazione ma è anche una politica adottata a tutte le scale, anche da parte dei piccoli imprenditori. Altra fabbrica che si trova nel basso Molise, si trova a Larino, nella zona industriale, prossima alla stazione ferroviaria che sorese nell’800 e favorì il processo di allocazione di una serie di attività produttive. Abbiamo due tipologie diverse di comunicazione d’impresa; in alto a sinistra c’è scritto “fratelli Battista” poi sotto c’è scritto LARINO e la rappresentazione dell’azienda. Di cosa si tratta? Intanto, si presenta come un foglio di un’azienda che è un biglietto da visita, sembra una lettera firmata da un “G. Battista” cognome di tale famiglia di imprenditori i quali si trasferirono a Larino. Lettera di tale imprenditore che non è di tipo personale, ma è un documento, che fa parte della contabilità di un’azienda. Fa parte della corrispondenza aziendale, attraverso cui si possono ricostruire i rapporti aziendali. Ci richiama l’attenzione l’intestazione con un profilo, una veduta del manufatto architettonico, perché è rappresentato sulla sinistra? Datata all’11 maggio. Dimostrano la loro grandezza in ambito Molisano, è un tratto distintivo. Parliamo di segni e comunicazione. Es: il logo di un’azienda sportiva “NIKE”. Si arriva a sollecitare l’attenzione del consumatore, con strategie che prima di arrivare all’utente sono legate alle possibilità di individuare classi articolate di persone. Le aziende non hanno necessità di mettere il nome, basta il logo per associarlo all’azienda. Si può dire che è un processo, una strategia messa in campo che a che fare con un cambio profondo dei costumi dei modi di vedere e guardare. Segno concepito perfettamente per la società dell’epoca. Attraverso delle icone era possibile imporsi ed associare il tipo di segni a caratteri. Per Larino abbiamo una corrispondenza, in particolare una fattura, un documento contabile che attesta la vendita di un prodotto, che fa capire l’andamento di un’azienda. Differente è l’immagine per la “Cirio” edificio rappresentato in maniera particolare con vetrate, scanalature, assume importanza per chi riesce a leggere tali aspetti. Concepito tra il 1928-1930 esito di un viaggio di studi condotto delle politiche economiche di diversi paesi. Tale pratica affonda le radici nel Gran Tour ma affonda le radici nel ‘900, con il turismo di massa. C’era un tipo di turismo relegato solo ad un numero limitato di persone, però con lo sviluppo intensivo dei sistemi ferroviari con un sistema collegato al weekend con la possibilità di avere 2 giorni liberi, per rispondere ad un’esigenza di tipo aziendale. Momento dedicato al piacere di godere di situazioni legate al divertimento, che è un bisogno indotto. Si otteneva una maggiore produttività e ci sono tutta una serie di filiere collegate al turismo. Diverso è quando si entra nella sfera, nel contesto temporale dei “Mass media” ;è con l’ingresso dei nuovi strumenti di comunicazione: dalla radio, al cinema, fino alla realtà virtuale, web, entriamo gradualmente in un periodo storico, in un’epoca in cui assistiamo un profondo mutamento della società. Cambia anche il modo di comunicare, evolvono le strategie di marketing dei mass media. Quando parliamo di mass media, il termine massa cosa intende? Produzione di massa, ma a chi ci riferiamo in particolare? Quando parliamo di massa i contesti sono tantissimi. Herbert McLuhan (1911-1980) è legato alla fenomenologia dello sviluppo dei Mass Media, colui che ha effettuato una serie di lavori e studi a partire dagli anni ’60 del ‘900. Sulla scorta dei suoi lavori, possiamo individuare tre punti principali. Egli del ’44 consegue un dottorato e parla del tema della mecanizzazione dei processi produttivi per il raggiungiment del comfort nella vita associata. Il suo lavoro si divise in tre fasi: una prima fase in cui analizza il fenomeno della comunicazine di massa con un’accezione volta a metterne in riliveo i rischi . Una prima fase che è compresa negli anni di fomazione tra gli anni ‘30 e ‘50. Una seconda fase in cui inizia ad elaborare una sorta di teoria della tecnologia, che è capace di modificare dei cambiamenti e ne determina sul singolo e anche a livello sociale dei profondi cambiamenti. Inzia a parlare di tecnomorfismo e attinge in tal periodo nei suoi studi di fisologia del cervello. Inzia a riflettere su alcuni studi scientifici del periodo seconodo i quali l’uso di strumenti di comunicazione crevano nel tempo veri e proprie lesioni cognitive legate a ricadute sia sul linguaggio verbale che su quello non verbale. La terza fase è quella che porta a parlare di taetro globale, dove non si parla più di spettatore ma di attore, inoltre dove il destinatario del messaggio diventa parte integrante. Siamo in una fase in cui si può iniziare a parlare di globalizzazione, dove ogni uomo è in collegamento con i problemi degli altri. Il ritorno all’oralità del linguaggio pone un problema di capire la struttura del linguaggio, sulle forme visibili della scrittura. La scrittura è l’elemento meno indagato, quindi in definitiva lui individua due sistemi di segni; quello orale e quello scritto. Con l’avvento del web siamo ad una sorta di ritorno dell’oralità, negli anni ‘80. Come si arriva alla società della comunicazione? Con tre passaggi di tale processo: 1) tradizione orale caratterizzata da una società chiusa che vive con la cultura tribale dell’orecchio; 2) scrittura e stampa che rompono l’equilibrio tribale sostituendo l’occhio all’orecchio; favoriscono la comunicazione degli individui; 3) elettronica in cui i media estendono circolarmente il sistema nervoso all’intero pianeta, ogni uomo è coinvolto nei problemi degli altri, si ripropongono, contatti simili a quelli che avvenivano nel villaggio. Si può iniziare a parlare di globalizzazione: da qui il villaggio globale dove l’uomo si interessa dei problemi dell’umanità. Ora ciò che è importante è cogliere i due aspetti e leggerli adeguatamente per conferire una pari dignità sia all’oralità e alla scrittura. Il linguaggio parte dal cervello, si esprime attraverso la voce ed è rappresentato dalla scrittura. In definitiva lui individua due sistemi di segni; quello orale e quello legato alla scrittura. Spinge verso un superamento del concetto di scrittura come rappresentazione della voce e ciò porta a parlare di scrittura come forma autonoma di comunicazione, di forme visibili della scrittura (pittogrammi, ideogrammi, grafema) che attengono a molte civiltà del passato. Per superare il primato dell’alfabeto, favorì lo studio della lingua scritta, le dette “nomoalfabetiche”, cioè delle scritture non alfabetiche. All’interno di tale comparto può essere utile una serie di esperienza condotte alla ricerca del linguaggio scritto e dell’interpretazione dei segni grafici nelle scritture non alfabetiche, un ruolo importante è quello portato avanti dal circolo linguistico di Praga. Josef Vachek, 1909- 1996, studioso che fin gli anni ’39 si è dedicato allo studio della lingua scritta. A lui si devono una serie di studi, in contemporanea con una serie di tentativi di cercare di comprendere ed interpretare anche lingue e scritture di civiltà diverse da quelle dell’occidente europeo, quindi non più un approccio Eurocentrico. Sicuramente tra i contributi che si possono chiamare in causa c’è il “Maya Hieroglyphic Codices” (1922-1996) infatti subito dopo la guerra tentò di codificare i geroglifici maya, lingua complessa, segni che avevano senso grazie all’uso di cromatismi differenti e si dedicò a tale civiltà nonostante li studi sui reperti della cultura di tale civiltà. A Vachek si devono diverse opere, tra anni ’40 e anni ’80, in cui sistematizza il suo pensiero ed i risultati in cui riuscì ad arrivare. Tra gli altri tentativi è importante menzionare il contributo di una donna, Marie Reidmeister Neurath, 1898-1986, una sorta di designer della comunicazione, la quale si specializzò in una serie di pubblicazioni, una collana volta a coinvolgere le generazioni più giovani nella comprensione degli stili di vita del passato. Condusse tale attività negli Stati Uniti d’America con rifermento ai costumi e mode d vita, con attenzione agli aspetti comunicativi per le varie civiltà del passato. Strettamente correlata a lei è la figura di Otto Neurath, 1882-1945, filosofo e sociologo, tra i fondatori del circolo di Vienna. Fu nel 1926 direttore di un museo e diventò nel ’19 segretario dell’istituto di ricerca per l’economia sociale, con un incarico nel settore delle case economiche e popolari, per soddisfare una casa a tutti a cui è legato il filone di studi condotto anche all’interno del Bauhaus, perla definizione di standard di unità minime per produrre case a basso costo. Al 1922 istituisce il Circolo di Vienna e al 1924 risale il Museo della società e dell’economia a cui diede veramente tanto, il cui scopo era quello di veicolare un’immagine sociale dell’economia e della statistica a quale si colloca il metodo della statistica. Quello di Neurath era un voler elaborare un sistema di visualizzazione, di semplificazione delle informazioni di carattere statistico legato all’economia e all‘obiettivo di coinvolgere i diretti interessati in un processo di consapevolezza, emancipare la classe lavoratrice. Voleva mostrare il sistema del corpo sociale e sul piano della comunicazione rendere accessibile tali info. Fu coadiuvato anche da grafici come Gerd Antz ed posa una struttura specializzata sulla comunicazione che era ispirato all’idea di impianto Bauhaus di far interagire discipline diverse. Un’iniziativa semplificativa, ma che tra gli anni ’80 e ’90 coinvolge le multinazionali che hanno necessità di riferirsi ad un pubblico molto vasto. C’è anche un altro settore di applicazione del design per la comunicazione; la progettazione legata alla funzione ottimale delle strutture ospedaliere. Come la segnaletica che viene adottata per favorire l’utente esterno per individuare i reparti, l’uso di colori per la differenziazione che richiama il concetto di Isotype. Infine, nel campo dei Beni Culturali all’applicazione del tema della comunicazione è strumentale per un’adeguata comunicazione; aver a che fare con la cartellonistica, con le applicazioni avere accessi alla struttura museale che consente esperienze prime inimmaginabili come la ricostruzione in 3D di edifici. Completa digitalizzazione di reperti mobili come antiche pergamene illustrate e quindi un mondo sostenuto da efficaci strumentazioni a disposizione per offrire un campo completo e funzionale al coinvolgimento diretto del visitatore che diventa, tramite l’interazione, non più un destinatario passivo, ma attivo, attore. 27-04-2021 7 lezione L’ALTRO DESIGN: ARCHITETURE E PAESAGGI Tutto ciò che ci circonda è paradossalmente un prodotto di design. Affermazione forte, che ha a che fare con una lettura della nostra età dominata dalla razionalità umana, dall’azione dell’uomo. Età ridefinita anche da un punto di vista biologico: si parla di “età geologica” che muta le caratteristiche eco-sistemiche del nostro pianeta. Quindi, noi affronteremo il tema del design cercando di capire come si esprime oggi, attraverso quali forme, fuori l’ambito strettamente aziendale realizzato in fabbrica. Vediamo una serie di immagini che richiamano questi aspetti. Sono immagini che sollecitano l’attenzione con interpretazioni diverse. Arcipelago di Dubai è l’esito di un paesaggio plasmato, disegnato dall’uomo, secondo un progetto, un atto creativo. Torniamo alla fase della progettazione, di creazione, di atto creativo, all’interno delle dinamiche aziendali. C’è una dimensione estetica di comunicazione visiva che trasforma ogni oggetto del paesaggio come uno strumento di comunicazione per persuadere dove il rapporto tra utente finale e produttore ha a che fare con la vendita, con le stesse dinamiche di vendita e di consumo. Anche l’arcipelago è replicabile. Il design spazia, è un dominio che si estende a tanti aspetti non collocabili in un discorso aziendale e lo vediamo dalle altre immagini che si riferiscono a delle piattaforme. Qui si fa riferimento anche ad una pubblicazione sulla tecnologia. Quanto il design sia importante per promuovere la fruizione dei musei, fino a parlare di estetica del paesaggio e design dell’ambiente. Evidentemente tali due domini sono stati presi in considerazione perché siamo arrivati ad un design totale, non più legato solo al comfort abitativo legato alla sfera domestica. Questo approccio al ruolo del design nel plasmare l’ambiente di vita dell’uomo e la dimensione naturale, affonda le radici nel dibattito contemporaneo, in un periodo che comprende anche il secondo Novecento. C’è una formula vincente del progetto “dal cucchiaio alla città” che sta a significare la propensione nella cultura architettonica ad interessarsi dal singolo oggetto utile per la vita domestica, verso una dimensione molto più ampia e riguarda la città. Secondo alcuni studiosi di storia del paesaggio non può esistere un paesaggio urbano, perché fatto dalla natura, e parliamo di urbano per un paesaggio artificiale. Tuttavia l’aforisma sta a comprendere la complessità del concetto di design come va maturando nel corso del ‘900. È infatti una frase che noi troviamo spesso; la Triennale di Milano aveva per tema “Design per tutti” con il titolo “dal cucchiaio alla città”. Oppure, ancora, giocando con il graphic designer il cucchiaio prende forma utilizzando uno spazio urbano delimitato siamo parlando della famosa piazza dell’anfiteatro di Lucca. Quando matura tale frase? Per l’Italia, sulle pagine di “Domus”, si sottolinea l’importante passaggio con l’architetto Rogers che vie ampiamente il ‘900 e muore nel ’69, in pieno boom economico, in cui esplode il fenomeno del made in Italy. Nel 1945 diventa direttore di Domus e CasaBella, altra rivista dedicata all’architettura del design. Nel 1946 scrive queste parole: Se l’architettura è il registra, maestro di una grande orchestra mediatore di tante componenti, è colui che plasma l’ambiente in cui l’uomo vive funzionale all’utilità e bellezza. Tornano quei temi centrale che hanno riguardato la storia del design dall’800 dal dibattito della grande esposizione di Londra, dove il rapporto guardando i prodotti di artigianato e industria, il rapporto utilità e funzionalità è un aspetto centrale affrontato con grandi risultati in ambienti come la Germania con le grandi esperienze del Baouhous. È un’esigenza di lungo periodo con i 4 famosi parametri del quadrifoglio di Renato De Fusco. Altro elemento è legato ad un protagonista della fase in cui si crea una competizione tra il primato raggiunto in Gran Bretagna e una maggiore qualità dei prodotti industriali da parte della Germania con il Berkbund e del Baouhuse. Erman Putesius il quale fu invitato a studiare le innovazioni tecnologiche e la qualità dei prodotti industriali in Gran Bretagna. A lui si deve la famosa frase “dal cuscino del sofà alla casa”, dunque la volontà di estendere il dominio del design dal singolo oggetto, all’intero sistema. È una prospettiva che trova degli importanti precedenti storici, anche in questo possiamo richiamare De Fusco con l’opera di Guttemberg con l’invenzione della stampa. Pensiamo anche alla trattatistica architettonica classica, come Vitruvio. Nel campo dell’architettura è una delle più antiche testimonianze, elaborato intorno al I secolo A.c il quale scrisse il “De architettura libri decem”; forme, per farla diventare strategica nell’economia mondiale, con il culturismo che va ben oltre il turismo di massa. In quel progetto il salto profondo che si ottiene con il progetto di architettura è evidente perché la curva di visitatori aumenta notevolmente. Museo con forme sinuose, con architettura pensata come iconica, cioè di grande impatto per la singolarità delle sue forme., con uno spazio tridimensionale è un museo di sé e prodotto da una comunità per rilanciare sé stessa. Un’architettura totale. Per arrivare ai nostri giorni, pensiamo alla città che si sottopone ad una sorta di “restayling”, cambia volto, migliora perché la città antica non risponde più al nuovo paradigma di una città fluida. C’è bisogno di ridisegnare, investire con nuove cose, i volti dei centri storici, dove le società nazionali fanno a gara per farsi anche pubblicità, attraverso la costruzione di grandi sedi che parallelamente alla comunicazione si fanno da sponsor. Swiss Re Building 2003, chiamato il “cetriolone” perché oggetto che per la sua forma può essere qualsiasi cosa. Strumento di persuasione, di pubblicità. Rispetto a questo modo di fare architettura Di estendere le mode del design al paesaggio abitato si collocano negli anni ’90 una serie di riflessioni serie, alla deriva di significati, simboli, che in qualche modo non tengono conto dell’esigenza che sa per entrare nella vita dell’uomo qualunque, un uso non dissipativo delle risorse, un approccio ecosostenibile. Importante anche il lavoro di Naomi Clain “No logo”, che tocca con mano come lavorare in una fabbrica. Importanti lavori: . Ruolo del designer in questi casi risponde ancora al ruolo dell’industrial designer? Rispetto a questo tipo di esperienze non mancano dei tentativi per cercare di riformulare un statuto epistemologico del design, ricondurre il design ad un concetto globale di sostenibilità, che ha a che fare con gli equilibri mondiali, con tentativi eloquenti di plasmare il mondo costruito. Come il caso dell’arcipelago di Dubai che ha una sua storia tradizionale anche se oggi la percepiamo come il luogo del lusso e dello sfarzo. Architetto John Harris impegnato nel nuovo disegno di Dubai, con una comparazione tra la Dubai recente e quella più antica che era caratterizzata da un porto. Una trasformazione totale dello spazio urbano. La sua espansione viene avviata si dagli anni ’50 secondo le teorie urbanistiche più all’avanguardia con modelli Occidentali, creare centri direzionali intorno ai quali possa poi pian, piano espandersi il centro abitato. Un piano urbanistico che è considerato il più moderno nella nostra contemporaneità. Non mancano serie di iniziative che sedimentano nel tempo, mentre Dubai cresce con disegni di progetti sempre più spinti nel dare una forma precisa rispondente a precise strategie di marketing del paesaggio. Tra le tante iniziative quella di modificare il paesaggio, correggendo l’andamento, attraverso canali artificiali e conquistando il mare, sottraendo all’acqua quantità di terra, in un piano che si fonda sulla base di tanti arcipelaghi con lo scopo di incrementare l’immagine di Dubai come un centro degli affari e di incrementare il turismo internazionale. L’arcipelago “The word” che dà vita ad una sorta di cartina geografica che riproduce il pianeta. Ad impegnarsi in tali iniziative sono imprese multinazionale che gestiscono il valore su una ricerca sofisticata per attrare capitali. Sono oggetti di design, che diventano suadenti che rispondono ad una logica propria di un certo tipo di design, indipendentemente dalle caratteristiche principali dell’Industrial Design che è quello di tenere insieme forma e funzione. Sono architetture attraenti con costi esorbitanti, con un grande ritorno all’immagine. Oggetti del genere sono sostenuti da grandi progetti internazionali, già la firma è una garanzia per ottenere fama, è una corsa a competere per la forma più innovativa, creativa. Sono aziende che operano a livello internazionale, mondiale, con molti addetti quelle aziende di architetture, con grandi società per il “world class design” per una comunità mondiale e tra tali imprese ce ne sono alcune, come “aedas” che spazia attraverso il design attraverso i vari campi, per attingere in tempo reale a prodotti di qualità, dal design di arredo al teatro della comunicazione e “all’Urban design”. Sono aziende che dal nulla rispettando un certo livello sia comunicativo che un format di potenziali acquirenti creano i luoghi del futuro. Siamo difronte ad obbiettivi molto ampi; concepire un mondo perfetto e per fare questo ci sono poche grandi aziende. Su questo si basa su come dire, una riflessione che muove dalla consapevolezza che il processo graduale che porta ad ampliare gli interessi aziendali oltre i limiti della fabbrica affondano nel dibattito del ‘900. Giuseppe Pagano, architetto, propone in un numero del 1942, attraverso alcune icone una sintetica profilo del passaggio delle tappe più importanti dell’evoluzione della fabbrica. Se un tempo era un vecchio stabile disorganico per ragioni collegate alle risorse necessarie, poi diventa un insediamento efficiente collocato in periferia e non nella città, con lo scopo di creare condizioni di benessere pe lui. Viene rappresentata una fabbrica in cui il costruito e la natura dialogano, fino a diventare una fabbrica che risponde alla logica industriale. Quali sono le differenze? È un oggetto come uno dei tanti e potrebbe essere qualsiasi cosa, non sono mancati tentativi che sono letti per la qualità dei progetti, come l’iniziativa legata all’azienda nota nel campo della produzione di prodotti ceramici per la casa “Pozziginori” di particolare pregio, basata su un lunga produzione di oggetti di ceramica che nel corso degli anni ’60 sfruttando le risorse finanziare dello Stato per favorire il processo di industrializzazione e migliorare il divario tra sud e nord consentiva di creare delle are di sviluppo. Un progetto per un nuovo insediamento a Caserta, in collaborazione con la società tecnica. cronologica ad un livello ambientale più esteso; come un insieme di strutture. Si arriva a concepire delle fabbriche in aperta campagna. Fabbriche come guscio del ciclo produttivo che si modula attorno al ciclo stesso, ai macchinari e quando si capisce che è possibile creare un ciclo produttivo in linea, cioè orizzontale, vengono fuori delle nuove idee. Uno schema flessibile. Perché l’elemento di flessibilità supera i vincoli. Una fabbrica moderna, in sintonia con la natura, pensata per valorizzare l’uomo e una fabbrica che si insedia in campagna non più in città. È la fabbrica che torna in campagna; pensiamo alla rivoluzione industriale dove i primi impianti produttivi sorsero dove era l’acqua, dove c’era il combustibile, le risorse necessarie alla produzione, che vincolavano gli imprenditori alle campagne e alle loro vicinanze lungo i fiumi. Quando fu usato un combustibile di tipo diverso, come il carbon fossile, ciò portò la possibilità di svincolarsi dalle risorse energetiche naturali. Un combustibile fossile ricavato dalle miniere e non c’era più la necessità di stare vicino un fiume o una superficie boschiva, si poteva produrre dove più conveniva. Così le fabbriche iniziarono a localizzarsi dove meglio potevano, a sfruttare le principali strade, in vicinanza delle principali infrastrutture, nelle città di mare, o vicino alle ferrovie. Cos’ l’industria inizia ad identificarsi sempre più con la città. Questo è un momento importante, vivo nel dibattito di quegli anni, perché siamo in pieno secondo conflitto mondiale e saranno gli esiti di tale guerra a porre su basi nuove tali questioni. Sempre in Italia, si iniziò a riflettere profondamente sulle teorie degli architetti. Fabbrica verde che si identifica nell’opera di Adriano Olivetti, imprenditore Italiano, la cui città, Ivrea, è dal 2018 patrimonio dell’umanità. Costituisce un esempio di una nuova concezione ci città industriale e attività imprenditoriale che guardava al profitto e al miglioramento della società. Tale idea di fabbrica vere si concretizzò in Italia dopo il conflitto mondiale; si decise di investire al Sud, cove c’era un’economia di sussistenza prevalentemente agricola per evitare che gran parte della popolazione per conseguire benessere fosse costretta ad emigrare. Nasce la cassa del mezzogiorno che sarà un organismo di Stato per programmare lo sviluppo economico del sud. Fabbrica verde ispirata a nuove istanze, basate sul concetto di armonia: uno dei grandi esempi di progettazione ambientale applicata all’industria. Luigi Cosenza fu un ingegnere architetto. La sua è un’architettura Razionalista, ispirata al linguaggio che maggiormente si avvicina alle sperimentazioni condotte insieme al Bauhaus. Fu chiamato anche Porcinai. L’industria fu in quel momento il motore dello sviluppo economico del paese dove ruotano tutti gli aspetti legati alla vita sociale. La fabbrica diventa centrale. Adriano Olivetti cerca prodotti che siano al servizio della comunità esito di un equilibrio sul piano dei costi e lo stesso è l’impegno per il miglioramento socio-ambientale degli operai. Creare condizioni affinché l’operaio possa produrre meglio e più; agevolazioni, casa assicurata con servizi attenti alla cultura e all’arte. Il sud era povero, con pastori e contadini. La scelta del luogo come Pozzuoli era una scelta che individua come potenziale luogo, una città dove già c’era una cultura industriale. Dobbiamo partire da qui; Congresso Internazionale che si è tenuto a Torino nel 2008, dove ci fu il ventitreesimo congresso di architettura dove urbanisti, designer e architetti di tutto il mondo si incontrano per toccare le esigenze, le istanze del momento. Come in ogni grande manifestazione del genere si produce un manifesto, un documento, per far riflettere sui problemi contemporanei. Tema del manifesto: dalla crisi degli ecosistemi di mega-city verso gli eco-metropoli e l’epoca consumistica. Dunque si tratta di problemi ben presenti anche oggi: siamo dentro il discorso della sostenibilità. Documento che metteva in evidenza il paradigma della crescita illimitata; non si può sempre crescere. Su tale riflessione pesava tutto il dibattito sulla decrescita, che faceva parte di un ripensamento del concetto di sviluppo. Si tratta di una chiave di lettura dei tanti fenomeni dichiarati. Si dà anche un’interpretazione della definizione di globalizzazione e anche la consapevolezza di un uso non dissipativo delle risorse naturali. Si fa una diagnosi, rispetto alla quale poi si elabora una terapia. Sono emersi così problemi come la sovrappopolazione, lo sviluppo post-industriale. È una denuncia contro il monopolio nella gestione delle risorse; come dire le risorse del mondo sono in mano a pochi. Anche il consumismo come acceleratore della produzione da vizio a virtù. Rispetto a tali elementi di diagnosi, quale è la terapia? Che cosa fare? La conclusione di tale manifesto: Il cerchio così si chiude con una citazione di B. Commer, uno dei primi ecologisti. Prima abbiamo visto le riflessioni di Pagano, in quanto si sapeva già che l’industria aveva creato dei danni ambientali. Nella Londra Vittoriana, poco prima il lavoro delle azioni che si misero in campo per l’organizzazione della grande esibizione di Londra che coinvolse una quantità di pionieri del Design. In quel periodo c’erano anche pensatori ed intellettuali che iniziarono a riflettere sulle civiltà industriale. August Pugin si converte al Cristianesimo, prima era Protestante e tale cambio di fede religiosa comporta una riflessione anche sul piano etico e morale e lo fa paragonando uno scorcio della Londra Moderna. Quali sono le differenze? Queste sono le tre vignette che mostrano come si lavorava nello smog, con una coketawn, e si capì che era preferibile separare i luoghi della produzione da quello dell’abitare. È in questa logica che si muovono le pratiche di governo: infatti il today è caratterizzato da abitazioni che sono collocate in periferia e si lavora in luoghi in cui si concentrano le diverse tipologie di insediamento e si continua a lavorare in luoghi contaminati ma i luoghi sono separati. Il domani è collegato ad esperienze concrete messe in campo, dove si vive alla luce del sole in completa armonia con la natura. È una tesi che egli supporta sulla teoria dei tre magneti, dove lui pone al cento la comunità, dove concepisce dei limiti oltre il quale l’industrializzazione non può inoltrarsi. Una città con una perfetta sinergia tra lavoro in campagna e lavoro industriale. Sono tutti tentativi di porsi con un approccio diverso al tema della civiltà industriale dove rispetto alle prime denunce di Pugin e Charles Dickens e sfrutta una serie di intellettuali mettono in evidenzia i limiti del processo di Industrializzazione, c’è chi invece cerca una mediazione perché il luogo del lavoro, la fabbrica, è imprescindibile. Altro tentativo proviene da un architetto Americano, dove importante era stato il valore di Taylor e a sostenere la via americana dello sviluppo, sulla base del modello di vita per la società occidentale, e che matura a cavallo della metà del ‘900, ma che già all’inizio era un modello di riferimento è il progetto di Franck Loid Drided, per una ipotetica città del futuro basata su una bassa densità abitativa. Un controllo basato sul popolamento dove ancora una vola si tenta di mediare quelle che sono le innovazioni tecnologiche. Concepisce una città dove c’è una bassa densità edilizia, organizzata intorno ad un sistema di infrastrutture in cui concepisce mezzi di locomozione all’avanguardia, vediamo una sorta di elicotteri ad uso personali con risorse naturali come il vento la luce. Dietro tali disegni ci sono stati molti studi per cercare di creare nuovi modellini di tali mezzi di comunicazione che dialogano con quelli più tradizionali. Governare in maniera sistematica il territorio, differenziando gli insediamenti con le diverse attività lavorative con uno sviluppo organico del territorio. Edilizie concepite per l’ipotetica città del futuro. Altra figura dir rilievo nel dibattito sui temi della questione ambientale del primo ‘900 è Richard Buckminster Fuller, detto Bucky il quale si dedicò nel corso degli anni ’20 - ’30 a temi legati alla contaminazione ambientale nel tentativo di forzare lo sviluppo tecnologico a favore di un rapporto equilibrato tra uomo e natura. Fu uno sperimentare, inventore ma anche un architetto con la costruzione della famosa cupola concepita per salvaguardare una parte della città dall’effetto contaminante, quindi per contenere le dinamiche di contaminazione ambientale, con un uso attento delle risorse e un design allineato con le istanze della cultura ecologista. Troviamo già una certa attenzione ai temi del riciclaggio, fino ad arrivare a iniziare a parlare di questioni riguardo l’uso non dissipativo delle risorse naturali. Altro contributo è quello di Commoner, colui che è stato uno dei primi ad impegnarsi nel dibattito ecologista e in qualche modo ha affrontato il problema tenendo in considerazione, le strategie politiche. Commoner dice: “solo quando smetteremo di fare la guerra potremo veramente occuparci di ecologia”, mettendo in evidenza la ricerca e tutte le implicazioni della gestione delle risorse fossili nel mondo globale. Thomas Maldonado colui che si è impegnato nel rinnovare i principi nel design moderno, è colui che fu titolare di una delle prime cattedre di progettazione ambientale al politecnico di Milano con pubblicazioni famose contenute nel manuale “La speranza progettuale” dove ragiona su rapporto tra ambiente e società. Soprattutto quella ambientale che lui chiama “La questione delle questioni”. Siamo negli anni ’70, siamo alle soglie di quel profondo cambio di paradigma nell’analizzare i problemi indotti da una crescita capitalistica dell’economia mondiale. Documento che nasce nel 1968 nel club di Roma intorno alla figura di Aurelio Peccei, protagonista attivo in grandi imprese come la Fiat, Olivetti. Colui che sostenne assegnando a tali studiosi ed altri scienziati americani una sorta di dossier per capire quali potevano essere le prospettive future alla luce delle crisi in atto; nel 1973 a livello globale c’è la grande crisi petrolifera, momento in cui la questione ecologica esplode pienamente e ci si trova in una condizione che comincia a divenire irreversibile. Il lavoro del Club di Roma è però d’altro canto anche criticato perché viene visto come progetto di dominio, espressione di una classe ecologica sull’alta borghesia che cerca di avere il controllo in qualche modo esprimevano il tentativo di controllo da parte di una piccola fascia della città ricca, rispetto a problematiche che forse dovevano coinvolgere dal basso. Ma cosa si intende per approccio eco-sostenibile nel campo delle attività industriali’ Analizziamo un caso concreto. Uno dei temi centrali: lo smaltimento dei rifiuti e del contenimento dei residui della vita quotidiana dell’uomo. Una delle risposte è quella della pianificazione di una serie di termovalorizzatori. Così un settore del design ha cercato di dar vita a dei termovalorizzatori. Il termovalorizzatore è una tipologia di inceneritore in cui il calore sviluppato durante la combustione dei rifiuti viene recuperato per produrre vapore, a sua volta utilizzato per la produzione diretta di energia elettrica o come vettore di calore. Alcuni sostengono sia un modo di riciclare rifiuti, altri pensano che freni a monte il tipo di produzione e smaltimento di rifiuti. Tali impianti si occupano di una serie di rifiuti che non venendo differenziati vanno a definire in tali fabbriche che bruciando ad alte temperature producono energie. Termo-valorizzatori: temine che allude ad una funzione positiva di una fabbrica e il design è entrato a servizio di tali attività produttive. Queste macchine territoriali sono attente alla morfologia dei volumi, ai colori, ad attenuare l’impatto sul territorio, con un’attenzione maggiore sulla comunicazione. Studi hanno dimostrato come attenuare l’impatto visivo di tali contenitori che assumono colorazioni da essere poco percepite sul piano paesaggistico. Qui c’è design che collabora con l’industria in un’ottica di un approccio ecosostenibili. Sono scelte che guardano un tipo di economia sensibile ai problemi ambientali. Gui Bonsiepe ebbe modo di collaborare con Maldonado, fu nella scuola di Ulm e ad un certo punto della sua esperienza lavorativa decise di spostarsi dai grandi paese industrializzati per andare a vivere altrove per leggere da dentro le dinamiche legate al tema del trasferimento tecnologico; in particolare, il design nei Paese del terzo mondo. La questione ecologica diventa centrale da parte dei protagonisti del design moderno. Mette in evidenza, accenna a quella che lui chiama tecnologia appropriata, cioè quella tecnologia capace di far nascere dal basso, le vocazioni e cicli produttivi territoriali attraverso un processo graduale di contaminazione tra i vari saperi per dar vita ad uno sviluppo del design autonomo. Aspetti che hanno ricadute a livello nazionale, come il tema specifico del design ecologico che ripensa il problema del prodotto industriale come elemento che induce al consumo, dell’usa e getta al design per tutti. Aspetto non secondario, perché se riflettiamo sono prodotti che sono disponibili per tutti. Ci sono costi elevati, ma non possiamo non dire che non tutti possono permettersi un computer o cellulare. Quali saranno gli oggetti del futuro? Si dovrà ancora ragionare su tre parametri che ci consento di parlare di design per tutti: 1) la qualità del prodotto (binomio tra arte e scienza applicata); 2) la quantità degli oggetti; (realizzati in un’infinità di esemplari; 3) basso prezzo per poter rispondere a tutti un oggetto di design bisogna che sia accessibile economicamente a tutti e dunque a basso prezzo. De Fusco, alla luce della sua storia del design fa una riflessione: questo è un progetto che è rimasto irrealizzato e spiega perché. In larga parte i design di qualità si identifica con pezzi unici, esemplari unici perché quel tipo di design di qualità è quasi mai esclusivamente un prodotto seriale e un prodotto di sintesi tra industria e artigianato. Dall’altro, il limite di tale progetto sta nel riprodurre copie del passato, quanto alla qualità è legata al saper fare manuale, alla moda che è ancora per pochi. Quanto alla quantità e al basso costo abbiamo uno scollamento tra i prodotti di alta qualità (come il design della moda) che sono poco accessibili a tutti perché i costi sono elevatissimi. Ciò vuol dire che “il fac simile” in qualche modo differisce con una qualità che è comunque scadente rispetto il prodotto di alta moda. È un progetto irrealizzato, salve che in alcuni casi; è il prodotto di un’azienda nota in tutto il mondo come l’Ikea. L’apertura di tali grandi store fu clamorosa. Qualità, quantità e basso costo sono presenti nei prodotti concepiti e messi sul mercato da questa azienda svedese. La sua attività inizia nel 1943 e sono nel ’45 diventa un’azienda autonoma fondata da un imprenditore, impegnato nel trasporto di vari fornitori, in realtà era un distributore. Kamprad inventa una tecnica di vendita innovativa che ha ridotto enormemente i costi dei singoli prodotti, c’è stato un vero e proprio taglio in una delle fasi della vendita dei prodotti. In realtà gli elementi sono due: lo smontaggio dei pezzi che mi consente di portare a casa gli oggetti e di montarli attraverso le istruzioni, e altro elemento: ha ridotto i costi di trasporto e anche di vendita. Abbassando tali costi, eleminando degli intermediari, Al mondo d’oggi sta diventando preponderante l’acquisto online che ha fatto schizzare i prodotti di grandi aziende. Amazon: azienda mondiale che virtualmente mi fa entrare nel grande catalogo e ce lo portano fin dentro casa. Scegliere, cliccare e pagare. Fenomeno Ikea è possibile storicizzarlo, sono queste le riflessioni di De Fusco: l’abbassamento dei costi dovuto alla riflessione logistica alla quale si è associata un cambio di mentalità. Non c’è più il commesso o la commessa che mi aiuta. Tutto quello che ha fatto Kamprad nel corso del secondo Novecento, è legato anche ad un cambio di mentalità. Tuttavia l’elemento di riflessione è che accanto alla quantità e al basso costo, Ikea è riuscito ad associare il terzo elemento fondamentale che è la qualità. Anche se gli standard qualitativi non sono altissimi, ma che rispondono ai cambiamenti di gusto nel tempo. Non a caso possiamo permetterci di sostenere spese più frequentemente. In questo caso è un’obsolescenza indotta perché avendo dei costi bassi, noi possiamo pensare di cambiare spesso, grazie allo stile Ikea. In questi elementi che De Fusco riconosce che nel campo dell’uso e getto con tale trinomio si raggiunge l’obiettivo che tiene insieme gli elementi come qualità, quantità e basso costo. Pensare che non vi sia latro nella strategia aziendale di tale multinazionale sarebbe un errore, perché la questione della logistica è importante. Magazzino Ikea contraddistinto da colori come giallo e blu in posizioni strategici. Il luogo dove sono collocati sono strategici, perché consentono il massimo dei profitti possibili, con un’affluenza maggiore assicurata. C’è bisogno di un progetto complessivo che ha a che fare con un design di architettura. C’è dietro un progetto di marketing sull’immagine. C’è una scelta localizzativa. Il termine “intermodalità” indica una particolare tipologia di trasporto. Si parla, infatti, di “trasporto intermodale" quando vi è l'utilizzo combinato di differenti mezzi di trasporto. Tale meccanismo mi permette di andare direttamente nella fabbrica, con un magazzino visibile che consente di avere una pubblicità costante. Sono impianti che si trovano tutti in corrispondenza di incroci stradali, cioè nei punti di raccordo. C’è una strategia oculata data anche da una serie di servizi accessori: parcheggi, bar. Altro aspetto riguarda il ragionamento di De Fusco che riguarda l’usa e getta che non è connesso ad Ikea. Renato De Fusco pone in evidenza un nuovo paradigma che è quello della funzione senza forma. La funzione senza forma De Fusco avanza delle considerazioni ulteriori: affronta la maturazione di un nuovo paradigma. Quello di design fondato sulla funzione senza forma derivato dalla tecnologia fondata sui circuiti, per esempio. Noi comprando un cellulare, manipoliamo altro rispetto a ciò che vediamo realmente, sono tutti circuiti interni a tali oggetti. Siamo di fronte ad uno scollamento evidente tra un aspetto formale, rispetto all’aspetto funzionale. Se quell’oggetto ha quella forma deve pertanto piacere, creare un rapporto tale che mi spinge ad utilizzarlo. De Fusco sostiene che il futuro ci vedrà sempre più impegnati in una sfida biologica, cioè quella di integrare organi e circuiti. Siamo dinanzi ad un mercato di oggetti non più riconoscibile per la sua funzione. De Fusco dice che con riferimento agli oggetti usa e getta distinguiamo oggetti positivi e negativi. Nel campo dell’igiene per esempio, l’uso di oggetti per attività chirurgiche è sicuramente un tipo di usa e getta positivo. Però ci sono poi gli elementi negativi: danno all’ambiente, consumismo. De Fusco dice che il rischio maggiore per il futuro è che noi configureremo una città senza segni, senza oggetti. Ci porterà in un futuro a configurare una realtà senza segni distintivi perché c’è una continua sostituzione. Si corre il rischio di essere una società senza storia. Anche il tema del riciclo e del riuso o il tema della durata nel tempo, cioè creare un genere duraturo di manufatti, dunque tronare a quella dimensione se non artigianale a quei principi di fondo della nascita dell’industrial design. Sono teorie discutibili perché sono estranee alla produzione non si può fare un ragionamento su questi temi se concepiamo il design un aspetto legato alla produzione. Non vi è un’impresa aziendale che possa non puntare sul consumo; per vendere c’è bisogno del parametro del consumo. Consumo che è sottoposto ad impulso che ci viene dalla vita associata e che sono sempre più di breve durata, al passo col tempo. Non si può prescindere dall’importanza della crescita della produzione. Qui entra in gioco un’altra riflessione: De Fusco appare drastico nel dividere gli ambiti, ossia design di servizi e design di prodotti. Il design di servizi è assimilabile a quella di prodotti quando si parla del settore telematico, di prodotti digitali che sono prodotti di design. Il design ha però ha a che fare con la cultura materiale, mentre il design di servizio di rivolge alla prestazione. Parla anche di “piena occupazione” e dice in conclusione che il consumo fa parte della società. La tesi è: ci sono margini di espansione di industrie e di mercato, ma quanti prodotti dell’Occidente che si consumano, sono quelli che si consumano anche nel terzo mondo? Fin tanto che ciò non avviene con un’omologazione dei mercati, il consumo farà sempre parte dell’umanità. i pezzi che vengono installati provocava delle sensazioni: cosa centrano le macchine con l’arte? Siamo nel 19390, anni in cui il Bauhaus è già esistente, mentre in Italia su una rivista di settore ci si interroga su tali questioni. Richiama lo scritto di Perisco e anche quello di Ugo Oietti su una rivista “Pegaso” da poco istituita creata, nella quale Ojetti pubblicò una lettera indirizzata a Giovanni Ponti sul tema del lusso necessario. Tutto ruota intorno al dibattito dell’esposizione della triennale. Ojetti è un giornalista, fondatore di Pegaso, allineato con la cultura fascista. Ponti è un esponente della cultura del design. De Fusco richiama tale lettera perché Ojetti nel rivolgersi a Ponti inizia a ripensare sul destino del design e pone in evidenza anche una certa resistenza, un’improbabilità che potesse trovarsi pienamente in condizione di svilupparsi in un paese come quello italiano. Tra Ojetti e Perisco, dice De Fusco, si possono evidenziare due anime; uno è quello definito orgoglio della modestia, l’altro è il gusto necessario. Nel primo caso si fa riferimento preciso all’industria vera e propria, la produzione seriale che guarda al benessere di tutti, progettazione che ha a che fare con il confort abitativo per tutti. L’altro fa riferimento alla popolazione più ambiente, che può permettersi di accedere a livelli più alti. Quindi ruota intorno a tali due aspetti la cultura del design in Italia con riferimento ad un settore specifico, quello dei veicoli di massa in un periodo a cavallo della Seconda Guerra Mondiale. Uno fa capo alla Fiat di Torino, al Lingotto e subito dopo si inizia a penare ad una nuova fabbrica sempre a Torino. Fiat 500 Topolino di Dante Giacosa 1934. Siamo in un periodo in cui non si può parlare di consumo di massa; fiat topolino pensata come veicolo di massa, economicamente accessibile destinata a diventare il mezzo di trasporto, quanto più possibile ampia, della popolazione. Altro simbolo dell’economia italiana e simbolo dell’industrializzazione del consumo di massa è la Vespa Piaggio. Grande progetto che risale al 1947 del designer Corradino d’Ascanio. Questo è sicuramente il settore principale nel quale si può parlare di design di una produzione seriale che guarda ad un consumo di massa. Diverso è il discorso legato ad un altro settore che ha a che fare con la dimensione domestica, con prodotti connessi all’arredamento, come quello del mobile dove si coglie ancora la dimensione legata al gusto. Luigi Caccia Dominioni progetta una sedia che risala al 1958, siamo nella sfera del lusso perché sono prodotti che non tutti possono permettersi. De Fusco fa riferimento anche al settore automobilistico. Battista Farina, fautore dell’azienda che risala agli anni ’30 del 900 in cui viene fondata l’anonima carrozzeria con un tipo di automobile particolare “berlina” esposta anche al Moma di New York. De Fusco sottolinea che il design Italiano negli anni ’50 è ancora ad un livello artigianale. Fiat esito di una progettazione di livello aziendale concepita all’interno della fabbrica; bisogna pensare che l’incontro tra l’arte e l’industria porta alla costruzione di veri e propri centri di progettazione. De Fusco richiama il ruolo del “Centro Stile FIAT” centro che aveva il compito di controllare la progettazione. Non riguardava solo la macchina, ma anche i cicli di produzione, c’era un incontro tra la dimensione artistica del progetto. Prendeva forma una sorta di vera e propria strategia di marketing. Fiat 1400 rappresentata da Giorgio De Chirico. Le aziende saranno costituite da un vero laboratorio di figure professionali, fino ad arrivare a lavorare come liberi professionisti a servizio delle diverse aziende. Come una naturale evoluzione di uffici, di piani, di progetto come il centro stile fiat. Italian Design un'azienda italiana fondata a Torino il 13 febbraio 1968, da Giugiaro. Si tratta di un’azienda che si muove su scala internazionale; centri di progettazione che lavorano per tutte le grandi aziende presenti sul mercato mondiale. In un’azienda, come questa, il progetto di design non è legato alla singola figura e quindi all’idea che si può avere design come il genio creativo. C’è la frammentazione dei saperi specialistici che porta alla creazione di aziende autonome. Un certo tipo di produzione seriale si può cogliere anche con riferimento al settore che De Fusco collocava nella categoria del lusso, se non del lusso necessario. Quella del design è un tipo di professionalità ce manca di un albo specifico. Ancora, negli anni ’60 si collocano molte opere come la lampada ad arco da terra del 1962. Opere chiamate così perché anche esposte. Luigi Olivetti figura precedentemente ricordata per Pozzuoli. Olivetti: fondamentale per le macchine da scrivere, si coglie l’ampio repertorio di oggetti scanditi nel lasso del tempo. Con le prime macchina con un telaio in ferro, fino ad arrivare al modello “lettera 22” che era un prototipo. Capacità di progettare una macchina in grado di stampare un foglio anche in più copie attraverso l’uso della carta copiativa, con un doppio foglio di lavoro dattiloscritti. Parliamo di un oggetto che oggi è molto difficile trovarlo, sono di culto, si trovano nei musei. Il primo modello risale al 1911, presentata all’importante esposizione di Torino. Torino sede di una serie di aziende molto importanti, capoluogo di una regione che traina il decollo dell’economia Italiana, il famoso triangolo industriale Torino, Milano e Genova. Macchina costituita da una serie di ingranaggi con una serie di tasti corrispondenti ad una lettera. L’aspetto funzionale e strutturale sono quasi un tutt’uno, perché cogliamo immediatamente forma e funzione. Vediamo non più il Progetto di Maldonado. Siamo in un’epoca dove si sta mettendo in piedi un modello. Emilio Ambasz era un architetto che nel 1972, a meno di 30 anni, si impegnò molto nel dibattito tra il rapporto tra spazio costruito e spazio naturale. E il curatore del dipartimento del Moma. Egli coglie, con tempestività, in un paese simbolo come l’Italia, delle accellerazioni e dei primati e vive la fase anche di profonda crisi perché è introno agli anni ’70 che si colloca una crisi mondiale dovuta alla fine di un’epoca. Al passaggio dell’età post-moderna, dove la società è in qualche modo in crisi perché gli anni ’60 hanno prodotto nuove rivoluzioni. Dunque una fase delicatissima, dove da un lato ci sono i grandi gruppi di potere e dall’altro una crisi profonda. Una società che stava concludendo il suo percorso. La capacità di Ambasz è stata quella di fare qualcosa attraverso il design. “Il design esprime la cultura di ogni paese “Ambasz dà centralità alla dimensione domestica, che va ben oltre il tema dell’abitare della casa, è l’abitare sulla terra. I tre ambiti nei quali si muove il design italiano in quel periodo e che oggettivamente erano aspetti che in qualche modo intercettavano un disagio che non era Italiano, ma di dimensione globale. Quali erano le tre categorie? Ambasz colse la crisi di un modello industriale. Dunque la mostra si sviluppava lungo tre filoni differenti: - Design conformista: un tipo di design che rispondeva con precisione alle logiche di mercato. Dunque un design conforme allo status quo. - Design riformista: che non si riconosce pienamente nelle logiche industriale. Guarda alle ragioni dell’utente finale. Un design che guarda al benessere, alla felicità individuale. -Design contestatrice: non a caso si parla di ri-design, un design moderno in sintonia con le esigenze della vita associata. Bisognava definire nuovi codici comportamentali, nuovi valor. Rispetto a ciò non ci si poteva non muovere con l’utopia, per favorire la creatività umana. Dietro l’utopia, c’è il sogno, c’è la volontà di cambiare. Il Design Italiano, assume il ruolo importante proprio perché nel corso degli anni ’60 l’Italian Style era diffuso ovunque. Nella terza categoria c’è un’ida di rifiuto totale dell’oggetto seriale, industriale, di alcuni valori fondanti dell’industrial design e quindi una flessibilità dei rapporti. Siamo negli anni, in cui, si inizia a parlare non più di catena di montaggio e ciò cambia il rapporto tra operaio e fabbrica e le procedure di produzione. Si sta modificando perché c’è un altro fenomeno in atto. Infatti, il Mondo cambia secondo una logica industriale di ottimizzazione dei processi produttivi e il design deve modificarsi di conseguenza. Considerazioni Video della mostra del 1972 Italia C’è un’utopia pensata per non abbienti. In primo luogo quel prodotto non era stata preparata per ogni tipologia di famiglia, in secondo luogo un arredo componibile fatto in serie. Sono gli anni in cui si mettono in luogo dei progetti utopistici, come le vele di Secondigliano a Napoli. Sono grandi edifici pensati secondo forme abbellistiche progettate da architetti per popolazioni meno abbienti e che nel tempo hanno mostrato il totale fallimento di tali ipotesi. Fallimento di attribuire agli utenti finali o alla politica, agli organismi che avrebbero dovuto garantire nel tempo l’uso efficace, attento, costante nel curare la manutenzione. Riflessioni conclusive registrano quella dimensione utopica di voler cambiare tutto. Filmato proposto per presentare un documento di forte interesse. Sentire le testimonianze dei diretti attori sono di eccezionale valore ed è stato abbastanza ben raccontato. A Dacca, in Bangladesh, 26 aprile 2013, ci fu in brutto incidente, dove viene usato lo stesso logo dell’azienda per denunciare l’accaduto. Stiamo parlando anche di Eco-Design, dove per “eco” assumiamo un concetto di eco- sostenibilità che va ben oltre la natura. Quando parliamo di eco-sostenibilità culturale, ci rendiamo conto come in altri paesi, grandi aziende innovative abbiano raggiunto un primato soprattutto nel campo della comunicazione. Al di là dei caratteri principali e dei parametri di efficienza e di genialità poi c’è anche l’altra faccia della medaglia, che è un’azienda occidentale, che deve fare profitto e che ha localizzato le aziende produttive nei paesi in cui è possibile usare la manodopera a basso costo. Eppure in questi paesi c’è un trasferimento tecnologico, c’è una presenza di un’industria, c’è una piena occupazione, sono presenza che possono garantire una crescita economica. Non mancano manifestazioni contro questo tipo di sfruttamento delle risorse naturali. Il discorso di Bon Siepe e quello di Maldonado si fondano su una riflessione molto più tecnica che ha a che fare con un modo nuovo di concepire il design. Grande iniziativa risale a poco più di una decina di anni fa quando al museo di New York fu allestita, nel 2007, una mostra con questo tema: il design e l’altro 90% abitanti del pianeta, testimoniando il fatto che il potere economico e anche politico che è in mano a pochi. È una mostra che si inscrive nel discorso della sostenibilità, ma anche un design attento alle vocazioni locali, cioè apporta degli accorgimenti tipicamente Occidentali, in piena sintonia con gli accorgimenti artigianali locali. Abbiamo richiamato le riflessioni di Bon Siepe, su alcuni aspetti, ed egli è duro su tali argomenti. La supremazia dei paesi industrializzati fu imposta come standard. Fa risalire l’avvio di tale processo agli anni ’40 del 1900. In che modo si può trasferire la tecnologia in tali paesi, dice Bon Siepe? Usa termini come il mondo periferico è un mondo etero-transizionale, cioè diretto, invece bisogna pensare a paesi che possono assumere autonomamente la capacità di svilupparsi, altrimenti non c’è emancipazione e non potrò mai esserci una tecnologia del terzo mondo. Sulle riflessioni di Bon Siepe, si sofferma Maldonado e aggiunge altre domande: quale strategia di modernizzazione si può adottare? Possiamo avere tre tipi di tecnologie: - Avanzate: un tipo di trasferimento del sapere che si riduce all’acquisto di brevetti. E un trasferimento di prodotti vincolai all’industrial design che non portano un effettivo elemento di sostegno, di aiuto, per affrancare dal vincolo con i paesi occidentali del terzo mondo. - Appropriate: con un uso di tecnologie povere ed autoctone che favoriscono il miglioramento ma che non danno un avvio ad uno sviluppo sul piano manifatturiero ed industriale - Intermedie: quella che sia Maldonado e Bon Siepe ritengono la più appropriata. Una tecnologia che destina al paese interessato un Q.O attivo in grado di creare quella “rottura selettiva” in grado di spezzare il circolo vizioso della tecnologica autocentrata, cioè l’impianto etero centrato. Diagramma che mette in evidenza come si è creato il processo di design asiatico, con l‘introduzione di oggetti. Il Giappone è presente con il proprio padiglione già nell’esposizione Internazionale di Vienna. Siamo negli anni in cui si costruisce una sora di repertorio di stili, d forme, nell’arte decorativa. Pian, piano il Giappone ha raggiunto livelli tali che imposi a livello internazionale, come paese in grado di incidere nella competizione internazionale. C’è ancor un altro paese che ci fa capire come molte innovazioni siano proposte dall’Oriente. Il Toyitismo (Toyota) sostituisce il fordismo, cambia il ruolo dell’operai all’interno della fabbrica, cambia il ruolo aziendale. Nelle fabbriche della Ford si parla di qualità aziendale, non sono nella dimensione stessa del manufatto, ma anche qualità dei servizi. Le automobili prodotte dalla Toyta non si fondavano più sul parco macchine in deposito, cambia la produzione si parta dalle scelte dell’utente finale, e sulla base di queste si avvia il ciclo di produzione qui è il “justing time” produrre per quello che serve e per quello che chiede il mercato. Oggi sulla produzione snella si è sviluppato con la globalizzazione un fenomeno ancor più complesso che consente di parlare di architetture fratte perché per le industrie dell‘Occidentale. Ben diverso è il caso di altri paesi, che si sono ampiamente emancipati, soprattutto in Cina. Cina è un paese di maggior peso nell’economia mondiale. Possiamo anche aggiornare il linguaggio significativo come l’esposizione di Chicago del 2010 o l’esposizione tenutasi a Milano nel 2018 con il ruolo di esaltare il design nella produzione industriale. Industria che ha a che fare con una serie di contaminazioni, industria che recuperare anche la dimensione artigianale.
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