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Storia del diritto medievale e moderno, Sbobinature di Storia Del Diritto Medievale E Moderno

Fonti della volgarizzazione del diritto; Diritto giustinianeo; il germanesimo ;Crisi del mondo antico; Regni Germanici in Occidente; Longobardi e Franchi in Italia; I diritti germanici; Il Sacro Romano Impero; Diritto ufficiale e diritto volgare; La Chiesa fonte di norme giuridiche; Riforma gregoriana; il Decretum; Corpus Iuris Canonici; La consuetudine come fonte del diritto; Utraque lex

Tipologia: Sbobinature

2018/2019

In vendita dal 26/02/2021

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Scarica Storia del diritto medievale e moderno e più Sbobinature in PDF di Storia Del Diritto Medievale E Moderno solo su Docsity! La fine del mondo antico e l’inizio dell’età medievale (alto medioevo) coincide con l’anno 476 d.C. Per trattare meglio quella che viene definita la fine dell’impero romano d’occidente bisogna fare riferimento a due motivi: ➢ Il primo è che da più di un secolo l’imperatore Costantino, il primo imperatore cristiano, aveva spostato il centro operativo dell’Impero nella zona est, dividendo così l’intero territorio in due aree, orientale e occidentale, ponendo per quest’ultima una nuova capitale che sorse dov’era stata la città di Bisanzio, con il nome di Costantinopoli. ➢ Il secondo è che la morte dell’imperatore Romolo da parte di un “barbaro” non era stato motivo di reale rottura in quanto non era un fatto inedito. Sarà poi con Giustiniano, protagonista di una imponente strategia finalizzata alla ricomposizione dell’unità, che cercherà di riportare alla luce l’Impero romano, piano che subirà dei ritardi con la guerra gotica (535- 553) che vide opporsi l’impero Bizantino con quello degli Ostrogoti. Dopo la vittoria delle truppe del generale Belisario, Giustiniano operò una complessa e ben articolata organizzazione, basata su una fitta schiera di funzionari ben formati: il territorio peninsulare venne diviso in aree amministrative, con capitale a Ravenna (risiede l’esarca che nominava i duchi), collegata direttamente a Costantinopoli. entrambe godevano di una certa autonomia. Insomma, L’Italia bizantina, anche dopo la vittoria di Giustiniano sugli ostrogoti, se pur poteva vantare una robusta struttura istituzionale sostenuta dall’impero d’oriente, restava comunque una realtà fragile e tutt’altro che uniforme, tanto più che dopo il 568, quando la travolgente penetrazione dei longobardi nel territorio peninsulare aprì una lunga fase di instabilità e di violenta mutazione. 2-La compilazione Giustinianea 529 – 534 = Corpus iuris civilis: raccolta normativa fra le più importanti ed influenti nella storia ad opera di Giustiniano. ❖ alle consuetudini, alle deliberazioni del Senato, dottrina dei giuristi si sostituirono i rescripta (pronunce elaborate da funzionari in risposta di singole questioni) e le constitutiones (leggi imperiali). Prima di Giustiniano, non si avevano vere e proprie raccolte, si parlava per lo più di codici privati, es: Gregoriano ed Ermogeniano (III secolo), che raccolgono in un più piccolo volumetto una serie di costituzioni ritenute importanti. Anche l’opera di Teodosio II del 438 divisa in 16 libri che raccoglie costituzioni da Diocleziano a Teodosio. - Giustiniano prende spunto da tutti i precedenti atti legislativi di maggiore importanza per dare inizio alla sua più grande opera. Il fulcro dell’intera operazione si concentrò su due obiettivi principali di sistemazione, uno riguardante le costituzioni imperiali (leges) e l’altro la preziosa elaborazione dottrinale dei giuristi romani dell’età classica (iura). Nel 529 abbiamo così la prima versione del “codex” (“primus codex Iustinianus”), a cui ne seguirà un’altra, quella definitiva, nel 534 (“codex Repetitae Praelectionis”), che, con varie integrazioni e adattamenti, raccoglie più di 1500 costituzioni a partire da Adriano fino agli anni stessi di Giustiniano, ricoprendo più ambiti del diritto (privato, ecclesiastico, penale, pubblico, amministrativo). –è composto da: 50 libri del Digesto, forse l’opera più importante di Giustiniano, in cui si selezionano quasi 10000 frammenti di giuristi romani, fra i quali spiccano i nomi di Papiniano, Gaio, Ulpiano, Modestino e Paolo; le “Institutiones”, 4 libri, destinata a coloro che studiavano il diritto secondo la tripartizione (res, personae, actiones) proposta da Gaio in un’analoga opera; un Codex, raccolta di costituzioni imperiali; una serie ulteriore di “novalae costitutiones” pubblicate successivamente. Rimane da tenere presente che comunque, al di là del grande lavoro operato da Giustiniano, i vari imperatori fino a Giustiniano stesso, che hanno fatto del cristianesimo la religione ufficiale dello stato, hanno prodotto una legislazione destinata ad incidere e anzi ad alterare profondamente alcuni valori della cultura romana classica, portandoli sempre di più a perdere di valore (“pater familias”). -Giustiniano si impegnò ad estendere il suo ambito di vigenza anche alla parte occidentale dell’impero (che dopo la vittoria contro gli Ostrogoti si limitava alla sola penisola italiana). Il provvedimento con cui si dispose questa estensione fu la celebre “pragmatica sanctio” (554) che l’imperatore Bizantino dichiara di aver promulgato “pro petitione Vigilii” (su richiesta di Vigilio), il vescovo di Roma del tempo. In questo modo si cercò di ridare unificazione e una direzione solida al frammentato impero d’occidente, lavoro che non si portò a termine a causa di un nuovo irreversibile fatto: i Longobardi stavano progressivamente prendendo possesso dell’Italia. POPOLI GERMANICI: I Longobardi erano solo uno dei tanti popoli germanici che nel IV secolo si stanziavano stabilmente in territorio italiano ed europeo (Sassonia dai Sassoni, Baviera dai Bavari, ecc.). questi popoli manifestavano tutti alcuni tratti comuni: il nomadismo, la propensione militare e alla conquista, l’assenza di una cultura scritta- I barbari, al contrario dei romani, si reggevano su un patrimonio di consuetudini orali, che identificavano principalmente l’etnia della popolazione, quest’ultima considerata come la più importante, per loro era l’appartenenza al gruppo ad identificare i loro usi, costumi e usanze (principio di personalità del diritto) e consideravano perciò innaturale identificare l’ambito di vigenza delle regole sulla base del territorio, come invece era di norma per i romani (principio di territorialità del diritto). -Rilevanza giuridica del gruppo piuttosto che del singolo; • Manca la titolarità esclusiva di un bene--> uso e godimento di gruppo; nella maggior parte dei casi l’offeso operava lo strumento della vendetta che in alcuni casi poteva coinvolgere più persone, dai famigliari agli amici e compagni (faida); oppure l’offensore doveva superare una serie di prove molto dolorose o in alcuni casi un duello, si pensava potesse portare alla conoscenza della verità. --> Solo in seguito si suggerirono l’adozione di strumenti più tipici per la soluzione delle controversie, come ad esempio il pagamento in beni materiali o in denaro. In seguito si arriva ad un ulteriore sviluppo dal punto di vista giuridico di questi popoli BARBARI che giungono a dotarsi di un vero e proprio TESTO GIURIDICO scritto nel quale raccogliere le proprie consuetudini --> Passaggio decisivo perché: a) Supera la fluidità orale, accelera l’integrazione con le altre culture presenti nel territorio insediato o conquistato (soprattutto quella latina); consolida un processo di gerarchizzazione del potere. –esempi di legislazione scritta:. -Lex Romana Wisogothorum: 506, aveva l’obiettivo di dotare la nuova entità territoriale di norme più vicine alla sensibilità latina con cui si era entrati in contatto; -Pactus Legis Salicae: In questo testo normativo troviamo i principali contenuti previsti dalle consuetudini germaniche: successione legittima; composizione pecuniarie; consegna del reo; Editto di Rodari (643): invasione longobarda in Italia, che riuscì a conquistarla; ma c’era una grave incertezza politica interna che si concluse con l’incoronazione di Autari successivamente salì al trono Rotari che messe per iscritto le consuetudini longobarde, un’ampia opera che intendeva conservare le proprie leggi tradizionali e allo stesso tempo promuovere l’integrazione con la popolazione latina  Rinnovare e correggere le consuetudini longobarde. Nell’edito sono compresi questi istituti: mundium (potestà maschile); launefild (controprestazione nella donazione); waida (pegno del debitore); thinx (atto pubblico); gravi delitti punito con la morte (tradimento); Processi giudiziari definiti per via di duello o di giuramento; meccanismi di successione per esclusiva via legittima. -Più significative quelle del re Liutprando, la cui decisiva svolta politica-religiosa portò ad abbandonare l’originario credo religioso del popolo ed abbracciare la fede cattolica. 4.Consuetudini e mondo signorile: La civiltà altomedievale è fortemente segnata dalla consuetudine. Prima erano tramandate oralmente poi furono trascritte. Tra i tanti nuclei regolati dalle consuetudine, c’è né uno in particolare il feudo: si instaura all’interno delle comunità combattenti franchi al fine di disciplinare le forme di supremazia e di obbedienza necessarie. Quello feudale è un istituto complesso e multiforme, che avrà un successo e una diffusione enorme. Un uomo giura fedeltà al signore (dominus): il vassallo deve prestare il suo servizio militare e la sua totale collaborazione (comando e giustizia); il signore provvede al suo mantenimento e ai mezzi necessaria per la sua attività, in più gli concede un beneficio spartizione bottino guerra o terreno. – Signoria fondiaria: riguarda l’azienda curtense. La curtis era la villa- casa del dominus e comprendeva anche le terre coltivabili (pars dominicia) in cui lavoravano i servi; poi c’era il massarcium che era diviso in diverse unità che erano affidate a coltivatori. Il dominus ha il diritto di governare il territorio curtense e esprimere obblighi ai residenti limitazione di libertà, pero deve di una serie di monaci profondamente convinti della necessità di un percorso di rifondazione della Chiesa capace di opporsi all’asservimento al potere laico; influenzato da ciò fu il vescovo di Firenze Niccolò II che represse i fenomeni di corruzione e modificò le modalità di elezione del papa. Ma la vera svolta fu attuata dal monaco Ildebrando da Sovana, papa con il nome di Gregorio VII, che nel 1075 emanò il Dictatus Papae ovvero i principi fondamentali della riforma gregoriana che affermava il primato della Chiesa e del pontefice romano il quale diveniva un vero monarca, rappresentante di Dio sulla terra, con poteri di nomina e un potere legislativo illimitato che non poteva essere sottoposto a giudizio da nessuno, che aveva il potere della scomunica e poteva persino deporre lo stesso imperatore. Nel 1076 lo stesso Gregorio VII scomunicò e depose Enrico IV di Francia il quale si recò a Canossa per ottenere perdono, ma la riconciliazione si ruppe definitivamente nel 1084 quando Enrico, “antipapa”, prese Roma con la forza e costrinse Gregorio alla fuga. Tale lotta le investiture trovò uno sbocco con il concordato di Worms del 1122 tra Enrico V e il papa Callisto II in cui veniva stabilito il principio della doppia investitura: quella ecclesiastica spettante esclusivamente alla Chiesa, mentre le prerogative feudali potevano continuare ad essere concesse all’imperatore. Proprio sulla base della riforma gregoriana si affermo la posizione della chiesa posta su un livello speculare uguale a quello dell’impero. La sopravvivenza dei testi giustinianei La compilazione giustinianea fu estesa all’Italia con la pragmatica sanctio del 554; ma la dominazione longobarda restrinse il suo ambito di utilizzazione sino a renderla ininfluente: furono le consuetudini ad avere la meglio. La lex in questi secoli è una modalità per indicare la tradizione giuridica di un popolo; in questo caso del popolo latino (lex romana) che manteneva una sua tradizione giuridica. La Chiesa rimane, nei secoli dell’alto medioevo la depositaria predominante della scrittura e dei prodotti culturali, ed inoltre si accreditava come autentica depositaria dei valori universali dell’Impero romano. Le due raccolte di constitutiones imperiali, il Codex e le Novellae, ebbero invece una qualche diffusione in forma di epitomi (Epitome Codicis; Summa Perusina; Epitome Iuliani) in cui è possibile rilevare i segni di una elementare attività interpretativa attraverso l’apposizione di glosse. I quattro libri delle Institutiones, poiché erano già un testo abbastanza conciso, furono invece conservati nella versione originale. Nell’alto medioevo si parla di “un’età senza giuristi” (Manlio Bellomo) nel senso che era pressoché totale l’assenza di centri di formazione di insegnamento e di apprendimento specializzato del diritto; c’erano giudici o notai, ma il loro percorso formativo avveniva secondo modalità diverse legate al luogo di residenza ecc. La conoscenza nell’alto medioevo era di tipo enciclopedico (generale) ed era espressa nel programma delle artes liberales chiamate così perché non comportavano lavori manuali, come le artes mechanicae, ed erano soltanto attività di conoscenza riservate all’uomo libero. Le arti liberali trovano una sistemazione con Isidoro di Siviglia nelle sue Etymologiae in cui 20 libri affrontavano tutta la conoscenza disponibile del tempo. Le arti liberali erano 7: ➢ 3 dette sermocinali: la grammatica (l’arte di disporre in modo corretto e comprensibile il discorso); la retorica (arte di esporre efficacemente e convincentemente il discorso); e la dialettica (arte di ragionare, organizzare il pensiero e fissarne i passaggi). ➢ 4 dette reali: indagavano la realtà delle cose ed erano aritmetica, geometria, astronomia, musica. Le Etymologiae presentavano il diritto come un sapere profondamente radicato nella morale religiosa e la consuetudine era posta sullo stesso piano della legge. Non esistevano scuole particolari dedicate al diritto e la cultura e la sua trasmissione erano normalmente appannaggio della Chiesa, che restava la migliore depositaria della cultura e dei centri di formazione. c) Giudici e notai Nel panorama giuridico dell’alto medioevo bisogna tenere conto che: non c’erano centri specializzati di formazione giuridica e c’era assoluta preminenza della consuetudine nel panorama delle fonti giuridiche. Il tratto dell’oralità era predominante e c’era il problema dell’accertamento del contenuto specifico della singola consuetudine: si doveva ricorrere alla memoria degli anziani o a testimoni affidabili. Il giudice pertanto doveva essere adeguatamente informato delle consuetudini vigenti e doveva essere titolare di iurisdictio ossia potere di amministrare la giustizia che era riconosciuto all’imperatore, al papa, ai re, ai vescovi, ai signori fondiari, territoriali e feudali. Essi spesso si avvalevano di soggetti esperti: adsessores, coloro che materialmente redigevano la sentenza; iudices o scabini coloro che emettevano la sentenza. La pronuncia giudiziaria si limitava a dichiarare operativa una certa regola consuetudinaria vigente, ma non si parlava di sentenza: l’atto era chiamato placitum. La giustizia non era quindi concepita come un’attività autoritativa. Il notaio aveva invece la capacità di dar vita ad atti espressivi della volontà dei privati, e doveva essere capace di creare un atto dotato di firmitas cioè di quella stabilità che nel tempo si traduceva in: irrevocabilità e inattaccabilità. La firmitas poggiava sulla sottoscrizione dei contraenti e dei testimoni e il contenuto dell’instrumentum (documento) poteva essere messo in discussione dal giuramento e dalle testimonianze → in tal caso si poteva ricorrere all’autorità del signore territoriale o a quella regia per ottenere la sanzione ufficiale; oppure si poteva fare ricorso alla pronuncia giudiziale: il giudice interveniva per rendere più salda quella firmitas che il notaio da solo non poteva assicurare. Il valore dell’instrumentum notarile risultava più esile negli ambienti di cultura germanica che preferivano affidarsi ai loro strumenti tradizionali, mentre nelle aree di cultura latina esso (anche senza un’insuperabile publica fides ovvero affidabilità) poteva vantare di una forte firmitas. Negli ambienti latini, inoltre, la scrittura occorreva anche la legittimazione dell’autorità. Il formularium era una raccolta di moduli finalizzati al raggiungimento degli effetti giuridici desiderati dal disponente o dai contraenti, e su tali formulari si formarono generazioni di notai. In ambito notarile gli schemi negoziali romani vennero riportati alla luce. Il notaio seppe porsi al servizio della vita economica dei territori: a Genova per es, vennero elaborati gli instrumenta guarentigiata (atti notarili contenenti promesse di pagamento immediatamente eseguibili). Le imbreviaturae erano invece una sintesi dell’atto da raccogliere in un apposito registro. 7. Verso un diritto universale La suggestione di quello che fu l’impero romano non si spense mai del tutto nell’alto medioevo (fonti ecclesiastiche, consuetudini di matrice latina, cultura dei notai, testi giustinianei ..ecc). Si iniziò ad avvertire la limitatezza e insufficienza della consuetudine: si avverte l’esigenza di un diritto unitario che superi la pluralità delle tradizioni etniche e territoriali. → perciò, non a caso, l’esito finale dell’alto medioevo fu la decisiva operazione irneriana di riscoperta dei testi romani giustinianei e la conseguente nascita di una scuola giuridica a Bologna. Momenti precedenti: La presenza nella Pavia (che era stata capitale del Regno Italico) dell’XI secolo di una scuola giuridica, dalla quale emerge il testo, la Expositio, che contiene una serie di annotazioni fatte risalire da una scuola di giuristi attivi a Pavia attorno al 1070. Tali annotazioni sono attribuite a diversi giuristi che mostrano di avere un’ottima conoscenza delle norme romane delle Istituzioni, del Codice; essi inoltre ricorrono alle norme romane per colmare lacune normative → è qui presente la prima precoce intuizione di quella che sarà la missione storica del diritto romano ovvero quella di creare un diritto comune a tutti. Contesa giudiziaria del placito (sentenza) di Marturi del 1076. Davanti alla marchesa Beatrice di Canossa si svolge un processo che oppone il monastero di San Michele al fiorentino Sigizione. Oggetto della contesa sono alcuni beni che anni prima erano stati concessi al monastero ma che poi erano stati illegittimamente usurpati dal marchese Bonifacio; Sigizone era entrato in possesso dei beni dopo una serie di alienazioni e riteneva di essere protetto dall’usucapione. L’avvocato del monastero, Giovanni, sa di poter contare sull’interruzione della prescrizione quarantennale grazie a prove testimoniali e documentali. Ma a questo punto assistiamo a una sorpresa: il giudice canossiano Nordilo passa oltre le prove addotte dall’avvocato Giovanni e cita un frammento del giurista Ulpiano tratto dal Digesto: egli fonda la sua sentenza a favore del monastero di San Michele, basata sulla restituito in integrum, un istituto romanistico secondo il quale Consiste nel ripristino di una situazione precedentemente modificata da un fatto o da un atto giuridico. Inoltre si parla della presenza in giudizio di un certo Pepo che era presente anche a Bologna negli stessi anni e che sarebbe entrato in possesso dell’intera compilazione giustinianea prima di Irnerio. 8. Il feudo Istituto di lunghissima durata che fu spazzato via dalla Rivoluzione francese. Il feudo propriamente detto è creazione dei Franchi, esso permise non soltanto di recepire e incorporare altre forme di legame militare, ma anche di dare veste formale a una vasta gamma di rapporti di soggezione personale di differente natura. Il feudo è di matrice consuetudinaria e solo in un successivo momento alcuni suoi aspetti verranno regolati per atto normativo. Esso si configura come una relazione giuridica tra due soggetti di condizione giuridica differente: uno superior che prende il nome di dominus e l’inferior che diventa vassus o vassallus. Il legame vassallatico, cioè il rapporto feudale si costituisce in base ad homagium ovvero l’atto con cui il vassallo giura fidelitas al suo signore. La fidelitas era espressione del valore supremo dell’onore: forniva dignità all’uomo armato e il giuramento che l’omaggio costruisce non costituisce soltanto un rapporto giuridico, ma investe la stessa credibilità e la dignità dell’uomo. → il legame che nasce è fortissimo e più pregnante di quelli biologici. Contorni più giuridici della fidelitas→ la fedeltà era un impegno dal quale scaturivano, a carico del vassallo, obblighi positivi di facere e obblighi negativi di non facere: 1. Gli obblighi di facere. -auxilium: l’obbligo del servizio militare a cavallo. Il vassallo deve sempre essere pronto ad assistere il signore nelle sue spedizioni belliche e ad obbedire alla sua guida. -consilium: attività di assistenza non militare come pareri o consigli forniti in occasione di provvedimenti normativi. 2. Gli obblighi di non fare. Implicano il divieto di allearsi con il nemico o di operare in qualsiasi modo a danno del proprio signore. Ipotesi del tradimento, fellonia: comporta la rottura del legame di fedeltà e del rapporto giuridico feudale, ma anche un disonore incondizionato nei confronti del traditore. Per questo si affermò la prassi del feudo “ligio” cioè del rapporto di fedeltà esclusivo nei confronti di un solo signore per evitare che il giuramento a più domini potesse sfociare in episodi di tradimento. D’altra parte il dominus è tenuto a fornire al suo vassallo protezione e mantenimento in cambio dei servizi e della fedeltà che riceve. Il signore deve inoltre provvedere alla necessità del suo vassallo, in particolare alla sua dotazione militare e deve metterlo in condizione di procurarsi una sua truppa e di esibire un certo decoro; a ciò si provvede normalmente con la spartizione del bottino di guerra o con l’attribuzione di cariche di prestigio: in ciò consiste il beneficium che il signore conferisce come ricompensa per la fedeltà. Ma, in breve tempo, il beneficium più ambito diventa la TERRA: nella cerimonia dell’investitura il signore conferisce al suo vassallo il beneficum feudale che finisce per consistere quasi sempre in un appezzamento di terra. → il conferimento della terra non può essere configurato come donazione, né come compravendita e non c’è nessun passaggio di proprietà; il vassallo acquisisce una sorta di diritto reale su cosa altrui, una specie di usufrutto. MA nella cultura romana c’è una summa divisio tra dominium e imperium ovvero tra proprietà privata e potere pubblico. Il mondo feudale non riconosce o nega questa divisione. Il vassallo può quindi, sulla terra ricevuta, compiere tutti quegli atti di godimento, di utilità e di sfruttamento economico ammessi nell’ambito dei diritti reali su cosa altrui e potrà esercitare anche poteri che si fanno rientrare nella sfera riservata agli organi pubblici. Due poteri del signore fondiario: iurisdictio ovvero il potere del vassallo di dirimere le controversie sorte tra i residenti; districtio ovvero il potere coercitivo sui residenti. Una visione tradizionale vede nell’investitura il titolo legittimante e costitutivo di iurisdictio e districtio, mentre oggi si insiste sulla forza spontanea della titolarità signorile che fa sì che colui che ha la disponibilità della terra sia anche titolare naturale di poteri di giustizia e comando sui residenti. Il vassallo è a sua volta signore nei confronti dei residenti sui quali comanda e sulle cui contese giudica. l dominus deve concedere al vassallo l’immunitas ovvero deve astenersi dall’esercitare la iurisdictio e la districtio al fine di consentire al suo vassallo di esercitare liberamente i suoi poteri. Il rapporto feudale è personale, non trasmissibile e non trasferibile, permanente: esso viene meno solo al momento della morte di uno dei due soggetti o con il tradimento → Che ne è del beneficio dopo la morte o il tradimento? - Se il vassallo muore il beneficio ritorna nella disponibilità del dominus - Se muore il signore, il suo legittimo contenuti alla scienza dei glossatori. Le glosse fanno trasparire il pensiero dei più antichi maestri che spesso appare in conflitto: Marino continuava ad integrare il testo giustinianeo con fonti canoniche, mentre Bulgaro dava un’interpretazione strettamente tecnico-giuridica. Per comprendere e argomentare i testi i glossatori applicarono la logica aristotelica. Fra le molte specificazioni del genere della glossa vanno ricordate: • la continuatio titulorum, esplicante il nesso contenutistico fra i titoli • la summa, che riassume con intento di sintesi il contenuto di una singola lex • la distinctio, mirante a scomporre un concetto generale in concetti specifici, subordinati • il brocardum o notabile, incisive e sintetiche formulazioni di un principio generale • la solutio contrariorum, composizione delle apparenti antitesi fra le enunciazioni legislative • il casus, consistente nell’individuazione della fattispecie regolata dalle antiche leggi con il fine di tracciare le sue possibili pratiche applicazioni estensive • la quaestrio, ovvero interrogativi sollevati dalle fonti stesse. Scuole cosiddette “minori” tipo Modena in cui si trasferì Pillio da Medicina che, essendo in difficili rapporti con i legum doctores, volle offrire una didattica diversificata → Libellus disputatorius, raccolta di brocardi mnemonici tratti dal Codice e dal Digesto di Giustiniano che Pillio propose in alternativa allo studio dell’intero Corpus. Percorso a cui appartengono anche le altre opere pilliane: Cum essem Mutine, Tres Libri, Libri Feudorum che Pillio, cogliendo l’importanza delle giurisdizioni feudali, fece oggetto di insegnamento. Nel contempo nelle cattedre bolognesi si propagava il messaggio di una cultura nuova esclusivamente incentrata sulle norme romane; la miriade di glosse sempre più organizzate in apparati di un singolo giurista a un’intera parte della compilazione, si sedimentarono e stratificarono sui margini dei manoscritti giuridici. 5. Dalle scuole allo Studium a) La glossa Ordinaria All’inizio del 200 Bologna è ancora il tempio dell’esegesi letterale del corpus giustinianeo e della glossa; mentre nelle scuole minori si dava spazio a una più sbrigliata formazione a seguito della forte domanda di un percorso di studio mirato alle professioni legali. Alla prima modalità di insegnamento incentrata sul legere, si affiancò la discussione di quaestiones legitimae che conducevano al disciplinamento di un casus legis. C’era la certezza che la risposta all’interrogativo fosse quella indicata dalle antiche leggi di Giustiniano → disensiones dominorum ovvero dispute scolastiche fra i più illustri maestri in merito alla soluzione di casus disciplinati in prevalenza da costituzioni del Codex Iustinianus. Casus sintetizzati: da Francesco di Accursio e da Viviano Tosco al fine di illustrare il fatto sul quale il legislatore romano aveva espresso un giudizio e formulato una risposta normativa: essi divennero parte integrante della Glossa Ordinaria di Accursio. Ma sempre maggiori situazioni giuridicamente rilevanti esulavano dalla previsione e quindi dalla normativa contenuta nella compilazione giustinianea, spettava al giurista\interprete compiere l’operazione di raccordo fra le norme antiche e i fatti nuovi. Il casus (che era fonte di certezza) non previsto da Giustiniano generava la quaestio che rientrava nella sfera della probabilità. Esse però fornivano agli studenti un metodo di studio sui margini dei manoscritti dei libri legales trovarono spazio anche una moltitudine di quaestiones. Un ulteriore segnale di cambiamento fu nel recupero del genere delle summaele due sintesi migliori sono: Summa del Codex fatta da Azzone che esprime insofferenza nei confronti dello stratificarsi intorno ai libri legali dei materiali esegetici. Così Accursio, allievo di Azzone, sente l’esigenza di omogeneità e di univocità: il patrimonio interpretativo era talmente ricco che rischiava di perdere efficacia sia sul piano della didattica sia su quello concreto della pratica giudiziaria. Accursio fece la revisione degli apparati di glosse, all’incirca 97.000, ed immise nei circuiti della scuola e del foro una serie di apparati tanto chiari nel dettato quanto esaustivi nei contenuti: Magna Glossa al Corpus di Giustiniano, anche battezzati come apparati “ordinari” che indicano il carattere di autorevolezza. Dalla prima edizione del 1468 essa si impose per oltre 6 secoli come l’interpretazione corrente del complesso normativo civilistico, strumento di quel ius commune, nato nelle scuole di Bologna e diffuso attraverso il metodo dei suoi dottori di leggi. Il CORPU IURIS CIVILIS corredato dagli apparati accursiani segue la scansione in 5 volumi: 1. Codex 2. Digestum vetus 3.Digestum Infortiatum 4. Digestum novum 5. Volumen: in cui confluirono gli ultimi 3 libri del Codex, i 4 delle Institutiones, le Novelle di Giustiniano (nella redazione dell’Authenticum) e i Libri Feudorum. b) La nascita dell’istituzione universitaria Lo stabilizzarsi della fortuna delle scuole dei glossatori modificò gli originari assetti che avevano improntato i rapporti fra studenti e docenti: gli scolari e i dottori erano legati da obbligo di reciproche prestazioni che impegnava gli uni a corrispondere una collecta, gli altri a somministrare il loro sapere. La prima testimonianza di un’organizzazione tra dottori e discepoli risale al 1155 quando una numerosa rappresentanza di studenti colse l’occasione del passaggio da Bologna dell’Imperatore Federico I Barbossa per ottenere un privilegio: prevedeva un foro speciale per gli studenti forestieri. Le societas degli scolari assunsero la forma delle nationes e poi quella più strutturata delle universitates. I docenti entrarono in diretto rapporto con il comune, che progressivamente garantì loro lucrosi stipendi. Si determinò poi il piano degli studi previsto fra i 5 e 7 anni e il pontefice Onorio III dispose che la laurea venisse celebrata con la discussione nella cattedrale di San Pietro alla presenza dell’arcidiacono. 6. Un nuovo ordine per il diritto della Chiesa: a) Il Decretum di Graziano: Il riformismo gregoriano e la lotta per le investiture raggiunsero l’apice con il concordato di Worms siglato dall’imperatore Enrico V e da papa Callisto II; questa rivoluzione papale segnò in Occidente l’autonomia della giurisdizione spirituale. Le gerarchie di un ordinamento politico e giuridico “riformato” sollecitavano la produzione di un potente complesso normativo. (diritto canonico e scienza canonistica). I canonisti erano convinti che al giurista/interprete competesse di conciliare le fonti normative con le mutevoli istanze del presente. Espressione diretta del riformismo gregoriano fu il Decretum di Graziano che dichiarava la volontà di conciliare le due supreme giurisdizioni. L’opera è stata descritta come il primo sistema giuridico moderno diretto a disciplinare l’organizzazione della Chiesa. Graziano nacque probabilmente intorno alla fine del XI secolo e godeva grande prestigio presso la Curia Pontificia. I materiali raccolti afferiscono sia alla tradizione del Vecchio e del nuovo Testamento, sia alla normativa espressa a partire dall’Età tardo Antica dalle assemblee conciliari dei vescovi (canones) e dei romani pontefici (decretales). Il Decretum benché destinato a divenire il primo pilastro normativo dell’ordinamento ecclesiale, non venne mai promulgato o riconosciuto come “legge” dai pontefici. La divisione in 3 grandi sezioni disciplinanti le gerarchie della Chiesa, il processo canonico e le modalità di somministrazione dei sacramenti, vide l’aggiunta dei dicta ovvero brevi annotazioni di raccordo tra i canoni attraverso i quali si concretizza l’ambizioso intento di conciliazione e di razionalizzazione fra dogmi, principi e normative di tanto varia cronologia e provenienza. Graziano applicò 4 regole generali di concordanza fra le norme giuridiche: la prevalenza della legge nuova sulla vecchia, della locale sulla universale, della speciale sulla generale in quanto eccezione e in quanto delimitazione di contenuto. Il Decreto gettò le fondamenta di un ordine nuovo per il diritto della Chiesa e aprì le porte ad un’esuberante produzione di collezioni di canoni, di glosse e di apparati di glosse (produzione decretistica). La scienza giuridica decretistica raggiunse rapidamente una dimensione e una diffusione europee. Ma la scienza dei canoni brillò soprattutto per le summae al Decreto e va tenuto presente che le fonti canonistiche parlavano la lingua della contemporaneità e necessitavano in maniera inferiore di un’interpretazione letterale del testo. Diversi autori scrissero summae, come Ruffino oppure Uguccione da Pisa la cui Summa costituisce il punto più alto di questa prima stagione della canonistica bolognese. b) Le altre compilazioni e la decretalistica Questa intensa attività esegetica aprì la strada a iniziative di raccolta, di sistematizzazione e di studio delle decretali dei pontefici → 5 raccolte di decretali che aggiornavano il versante della legislazione dei pontefici: Quinque Compilationes Antiquae. La prima a opera di Bernardo da Pavia è divisa in 5 libri, ognuno dei quali abbraccia una materia basilare: fonti e norme generali, procedura, ordine ecclesiastico, matrimonio, diritto penale. Esigenza di provvedere le scuole di raccolte aggiornate → il pontefice Innocenzo III affidò un’ulteriore opera di compilazione al notaio apostolico Pietro Collevaccino che fu la prima raccolta ufficiale di decretali; essa fu trasmessa alla Scuola di Bologna che ne garantì la conoscenza e diffusione nel mondo cristiano cattolico. La Compilatio Quarta prodotta nell’ambito del Quarto Concilio Lateranense opera di Giovanni Teutonico e poi la Compilatio Quinta promossa da Onorio III. Il passo successivo fu compiuto dal pontefice Gregorio IX che nel 1234 con la bolla Rex Pacificus promulgò il Liber Extra comprensivo anche delle norme contenute nelle precedenti 5 compilazioni. Seguirono poi: il Liber Sextus di Bonifacio VIII; la raccolta delle decretali di Clemente V detta Clementina, e le raccolte di extravagantes di Giovanni XXII. La decretalistica duecentesca toccò le vette più alte con i grandi commentari al Liber Extra da parte dei grandi giuristi. Questa potente stagione della scienza canonistica fu di decisa affermazione ierocratica celebrando il primato della Chiesa e delle sue gerarchie sull’Impero. c) Il Corpus Iuris Canonici Nel 1500 l’editore Jean Chappuis diede alle stampe l’insieme delle collezioni pontificie e ne nacque il CORPUS IURIS CANONICI. Esso comprendeva: il DECRETO di Graziano; il LIBER EXTRA di Gregorio IX; il SEXTUS di Bonifacio VII; le CLEMENTINAE di Clemente V; le EXTRAVAGANTES di Giovanni XXII. Così completato il Corpus rimase immutato nei secoli a venire e costituì il diritto vigente per la Chiesa cattolica. 7. Le storie diverse dell’Italia e dell’Europa: a) Il Comune cittadino Facciamo un passo indietro al secolo XI che costituì terreno fertile per la rinascita del continente europeo dalla critica situazione altomedievale; l’intera società occidentale entrò in una fase di profondi mutamenti che coinvolsero i suoi assetti economici, politico-istituzionali e giuridici. Si ebbe una crescita demografica, incremento della produzione agraria, l’estinguersi delle incursioni barbariche, lo sviluppo di intensi commerci che contribuirono al recupero della dimensione di vita cittadina (cominciano a prendere forma alcune strutture regnicole come il Regno di Sicilia, di Francia, di Germania e di Inghilterra). Si ebbe la rinascita dei contesti urbani. Nell’Italia settentrionale ogni città giunse attraverso vicende diverse, all’istituzione del comune, modalità di organizzazione politica della città incardinata nel patto giurato stretto fra le classi di potere politico ed economico aspiranti a reggere le sorti delle singole realtà urbane (a Genova si giunse nel 1099 a stipulare un’associazione volontaria giurata di tutti gli abitanti con l’elezione di consoli e la rinuncia da parte del vescovo all’esercizio della giurisdizione temporale; a Milano il comune dei consoli, individuati dai 3 ceti, cominciò a operare regolarmente dal 1130. A Bologna l’atto di nascita del Comune si fa risalire alla concessione alla città nel 1116 di alcune funzioni giurisdizionali da parte dell’imperatore Enrico V. A Firenze il comune nacque intorno agli anni 1125-1138 con l’istituzione dei consoli, di un consiglio e di una magistratura. Questo modello del “consolato” si trasmise poi alle città francesi e a tutto il resto d’europa). Elementi della fioritura del comune nel Regnum Italiae: 1. Il patto giurato fra le componenti sociali di potere politico (vescovo, grande e piccola feudalità) ed economico (mercanti e artigiani) al fine di conseguire la titolarità delle funzioni di governo sulle città. 2. La delega a un collegio di consoli dell’esercizio di queste funzioni. Tutto ciò si accompagnò ad uno scontro con l’Impero → l’indipendenza e l’autonomia delle città (gestione della giustizia civile e criminale, attività assimilabili a quella legislativa, leva militare, riscossione dei tributi) era stata di fatto usurpata approfittando della latitanza dell’autorità imperiale nel Regno. Quando Federico I Barbarossa, imperatore e re d’Italia dal 1152, cercò di ricondurre le città italiane entro la sua orbita giuridica incontrò resistenze fortissime, la costituzione De regalibus “sulle regalie” emanata nel 1158 a Roncaglia conteneva un dettagliato censimento dei diritti imperiali sulle persone, città e territorio; probabilmente contribuirono alla realizzazione i “4 dottori” di Bologna che vennero gratificati. b) Il ruolo dei notai Importante fu il contributo dei notai alla legittimazione delle nascenti nuove aggregazioni. Formati in apposite scuole professionali, rientranti tra le arti liberali, si tramandavano per generazioni la facoltà di rendere “pubblici” ovvero opponibili a terzi, i documenti da essi rogati. Tale facoltà discendeva dalla concessione da parte dell’Imperatore o di un grande feudatario e si materializzava nel possesso del sigillo recante il logo dell’autorità concedente. La giustapposizione del sigillo alla firma del notaio aveva la forza di pubblicare l’accordo stretto fra le parti e confortato da testimoni. Questa stessa procedura venne usata per siglare e pubblicare le dichiarazioni giurate costitutive degli organismi comunali. c) Il diritto dei Comuni La resistenza alla dimissione delle facoltà di autogoverno e di autonomia provocò l’esemplare assedio e la distruzione di Milano nel 1162 da parte del Barbossa, cui seguì nel 1167 la l’avvocato non può prescindere dai significati “comuni”: il diritto comune costituisce canone interpretativo universale che circostanzia e disciplina le figure giuridiche. 9. Il trionfo del diritto giurisprudenziale e le radici profonde di un metodo nuovo: a) Accursio e Odofredo, due metodi a confronto. L’esegesi dei glossatori costituisce la prima chiave di lettura del corpus del diritto civile. Nel testo rigido e immutabile delle antiche leges i giuristi fanno rientrare le fattispecie vecchie e nuove. Il 200 vede gli ultimi grandi maestri della scienza della glossa convivere nello Studio di Bologna. la scienza giuridica si prepara ad affrontare il necessario cambiamento che sposterà dalla littera alla ratio legis. La selezione operata da Iacopo Balduini vince sull’eredità scientifica dei dottori che lo avevano preceduto da almeno 4 generazioni ed entra nella storia come lettura rigorosamente tecnica del corpus normativo. Accursio e Odofredo erano rivali in quanto entrambi volevano scrivere un’opera di corredo al corpus iuris civilis. La Glossa Ordinaria di Accursio e le Praelectiones di Odofredo indicano una divaricazione di approccio esegetico all’interno delle scuole bolognesi dei glossatori. La Glossa è caratterizzata da glosse che inquadrano il testo dei libri legali, mentre l’opera di Odofredo aggiunge ed integra quaestiones, glossae e aneddoti. Altri esempi del metodo di Odofredo sono: le Quaestiones Aurae di Pillio da Medicina e le Quaestiones Sabbatinae di Roffredo offrono una ricca casistica e una spiccata attenzione per la realtà; con loro il mondo dei fatti entra nelle scuole e nella formazione del giurista. E i fatti appartengono a universi normativi esterni al corpus iuris civils ma riconducibili ad esso.Un’alternativa, questa, che non si pone in contrapposizione ma in un’ottica di diversità e varietà di obiettivi scientifici. b) Il legame con le istituzioni, l’attenzione agli iura propria Nella sede didattica i giuristi di scuola esercitavano una mirata attività di consulenza: il professore civilista diviene il sapiens a cui rivolgersi quando siano coinvolti aspetti politici o giuridici della amministrazione locale. A bologna dal 1183 con il giuramento di Lotario da Cremona il docente di leges è chiamato a giurare al podestà di prestargli auxilium e auditorium; dal 200 i giuristi sono tenuti a presenziare ai consigli cittadini in quanto rappresentanti del collegio dei dottori di diritto civile. Un’analoga partecipazione a pubbliche funzioni si esprime con il consilium sapientis iudiciale che era richiesto dal giudice al dottore di leggi al fine di precisare il dispositivo della sentenza in punto di diritto e che venne disciplinato dalle normative statuarie che ne fissarono le modalità e in alcuni casi il quantum da corrispondere al sapiens. Attraverso questa “giurisdizione delegata” la sostanza delle decisioni giudiziarie era vincolata dal vocabolario e dalle figure del diritto comune romano- giustinianeo. Con gli Apparati Ordinari di Accursio si presuppone una attenzione nuova per gli aspetti pratici della vita, attraverso l’uso delle quaestiones scaturenti dai fatti e discusse in schola. La didattica questionante divenne parte integrante della formazione dei giuristi e del precorso degli studi. Le porte della scientia iuris si aprirono al diritto particolare nel momento in cui esso iniziò ad essere letto e interpretato secondo il canone della glossa. c) Le esigenze della pratica Dopo la potente consolidazione di Graziano, due fenomeni esercitarono un ruolo uniformante fra gli iura universali: prima di tutto la produzione di decretali che fu sistematizzata nelle Quinque compilationes antiquae riassorbite nel Liber extra di Gregorio IX (1234); e poi l’ingresso del diritto romano nella dottrina e nella didattica dei canones (un’apertura legata al canonista Uguccione da Pisa e alla sua Summa Decreti). Una politica della Santa Sede emblematizzata dalla Super Specula di Onorio III vietava l’insegnamento del diritto romano nello Studium di Parigi, ma mirava solo a contrastare un’eccessiva mondanizzazione dei ministri di culto nonché l’infiltrazione di tesi ereticali. A partire dal primo Duecento non è raro incontrare canonisti che tengono anche insegnamenti di leggi. Il rito celebrato nei rispettivi tribunali si era nutrito delle leges giustinianee arricchite da tantissimi canoni e decretali, e c’era l’intento di tradurre l’intricato sistema delle azioni romanistiche e del processo extra ordinem giustinianeo all’interno del contenitore medievale del libello scritto. La discussione scolastica delle quaestiones de facto contribuì in modo incisivo alla recezione di diritti pratici nel dibattito scientifico: particolare attenzione fu data alla legislazione statuaria alla quale nel ‘200 i dottori di leggi, nel loro ruolo di consiliatores, applicavano i canoni della scientia iuris. Il processo logico della specificazione prevedeva l’applicazione della norma statuaria nel ragionamento giuridico sviluppato nel Corpus iuris civilis; l’appartenenza degli statuti al diritto comune venne legittimata assimilandoli alla consuetudine a cui lo stesso Giustiniano riconosceva forza pari se non superiore a quella delle leges in quanto espressa dal consenso del popolo. Una casistica riconducibile all’applicazione/interpretazione dello ius proprium è già presente nelle Quaestiones aureae di Pillio da Medicina e nelle questioni discusse da Roffredo. Essi incontrarono il giurista Alberto da Gandino che scrisse le Quaestiones statutorum. Avviene il passaggio verso le summae e i tractatus quaestionum. Ulteriori opere De maleficiis e De tormentis relativi alla tortura e alle questioni criminali: il diritto e la procedura penale costituirono infatti un ponte tra il diritto statuario e la scientia iuris scolastica. Con la sconfitta definitiva e la morte di Federico II di Svevia, la sconfitta dei ghibellini e le violente lotte intestine accentuarono nella città il ricorso a misure repressive che segnarono la nascita di nuovi istituti come il bando e la confisca dei beni per gli avversari politici (risposte introvabili nel Corpus Iuris). Il rito inquisitorio, a differenza di quello accusatorio che era avviato dalla vittima del reato, aveva carattere “pubblico”: il giudice una volta informato di un delitto aveva il dovere di compiere le indagini necessarie ad accertare le responsabilità dell’imputato. A bologna si istituì una matricola dell’arte che fu l’atto di nascita della corporazione: la societas notariorum ; una cultura, quella notarile, che rimase a lungo ars notaria vale a dire insegnata nelle scuole di arti liberali per la sua connotazione concretamente legata al sapere grammaticale che solo dalla metà del ‘300 entrò a far parte dello Studio dei giuristi. Rolandino de’ Passeggeri scrisse la Summa totius artis notariae che fu il manuale che formò generazioni di notai. d) La scuola di Orleans Nel 1235 il pontefice Gregorio IX autorizzò presso le scuole vescovili di Orleans l’insegnamento di quel diritto romano che il suo predecessore Onorio III aveva vietato a Parigi. Guido de Cumis narra che era stato allievo di Iacopo Balduini che lo aveva “salvato” dall’impaccio nel quale era incappato quando aveva osato criticare una glossa di Accursio. L’insegnamento di Balduini come quello del suo allievo Odofredo, erano in qualche modo alternativi al magistero accursiano ed ebbero sulle modalità dialettiche orleanesi un peso maggiore di quelle che ebbe la Glossa Ordinaria. Inoltre la collocazione di Orleans nei paesi settentrionali in cui prevaleva la consuetudine e la natura ecclesiastica delle scuole orleanesi spiega come questo ambiente, piuttosto che quello bolognese, costituì la culla per la nascita di una nuova stagione della scienza giuridica europea.
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