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La fine della Res Publica e l'ascesa del Potere Imperiale, Dispense di Storia del Diritto Romano

La fine della repubblica romana e l'ascesa al potere di ottaviano augusto, che instaurò il principato. La debolezza della repubblica, il triumvirato, la guerra civile, la dittatura di cesare, la trasformazione del potere e la fondazione del principato. Vengono inoltre descritte le nuove istituzioni e le funzioni dei nuovi ruoli, come il prefetto urbano e i procuratori.

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 04/05/2019

Giorgiamarley
Giorgiamarley 🇮🇹

4.1

(8)

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Scarica La fine della Res Publica e l'ascesa del Potere Imperiale e più Dispense in PDF di Storia del Diritto Romano solo su Docsity! IL DISFACIMENTO DELLA RES PUBLICA Alcuni sostengono che la Res Publica durò fino al 27 a.C, anche se in realtà ebbe fine nel 49 a.C anno in cui Caio Giulio Cesare divenne unico arbitro di Roma. Roma aveva subito una crisi, già a partire dall’epoca dei Gracchi la democrazia era una finzione. Il mondo romano diventa troppo vasto e complesso per le istituzioni della repubblica, la debolezza di quest’ultima, in particolare del senato, divenne già evidente nel 1 triumvirato (accordo informale con cui i 3 più potenti di Roma, Cesare, Crasso e Pompeo, si spartivano le sfere di influenza e si garantivano appoggio reciproco). La figura più importante era Cesare, fin da giovane aveva aderito ai populares ed aveva costruito il suo potere con le conquiste militari, infatti alla morte di Crasso le ambizioni personali tra Cesare e Pompeo si scontrarono. Il senato si schierò con Pompeo che era più vicino agli optimates. Lo scontro tra i due continuò e il senato intimò a Cesare di rimettere il suo comando delle legioni che avevano indotto alla conquista della Gallia e tornare a Roma, ma il 10 gennaio Cesare attraversò con le sue truppe il Rubicone dando inizio alla guerra civile. La guerra civile fu combattuta vittoriosamente da Cesare che assunse il titolo di dictator. Il senato, perciò, temendo che Cesare volesse fare eleggersi imperatore decise di ucciderlo. Con l’uccisione di Cesare non si restaurò la repubblica, ma si diede inizio ad un nuovo periodo di guerre e scontri. I due contendenti erano Augusto e Marco Antonio, la guerra civile terminò nel 31 a.C con la battaglia di Azio che vide vincitore Ottaviano, il quale diede inizio al principato. Cesare è stato un dittatore, egli definiva la repubblica come un nome senza sostanza, né forma, accusando Silla di essere un analfabeta della politica in quanto aveva rifiutato la dittatura. La sola dittatura, secondo Cesare, era lo strumento che consentiva rapidità di decisione e possibilità di riforme profonde e incisive, probabilmente perché era consapevole che l’annualità del consolato garantisse un tempo troppo breve per riformare incisivamente lo stato. La dittatura, di norma, scadeva ogni 6 mesi, ma Cesare nel 49 a.C venne nominato dittatore e poi negli anni successivi la sua carica fu rinnovata, finché nel 44 a.C gli fu attribuita la dittatura a vita. E’ chiaro che vi sono delle differenze di fondo tra la dittatura di Cesare e quella di Silla. La dittatura Silliana era finalizzata alla ricostruzione della res publica. La dittatura di Cesare era finalizzata alla sua disfatta. Con cesare si cambia forma di governo: non vi è più una repubblica, ma una monarchia e quindi il governo di uno solo e per di più senza il controllo del senato. Vi era una vera e propria dictatura perpetua: che gli garantiva un imperium sovraordinato a qualsiasi altra persona. Bisogna sottolineare però che non cambia solo la forma di governo, ma anche la forma di stato: da uno stato di impianto democratico, si passa ad uno stato di impianto dispotico. Cesare svuotò anche le magistrature repubblicane. Dopo la vittoria a Munda un plebiscito gli affidò la nomina di tutte le magistrature. Si fece eleggere console nel 46 per 5 anni e nel 45 per 10 anni, ma essendo anche dictator veniva meno la funzione dell’intercessio. Anche il senato subì un forte ridimensionamento, introdusse anche qui, nell composizione del senato, persone di sua fiducia. Portò a 900 il numero dei senatori facendo perdere così la forza e la rappresentatività dello stesso, il senato assumeva più una veste di consilium del dictator. Cesare tolse al senato l’incarico di controllare l’erario, riservandolo a sé, affidò l’amministrazione del tesoro a due prefetti, eliminò anche l’emissione e la circolazione del denaro, il controllo del senato sulle province non era più affidato ai senatori, ma egli stesso nominava dei governatori ed infine, con un plebiscito, al senato venne tolto anche il controllo sull’esercito. In questo clima le assemblee popolari avevano un ruolo ormai passivo. I comizi si limitavano ad approvare testi che il gabinetto di cesare aveva predisposto su indicazioni del dictator. ORGANIZZAZIONE DEI TERRITORI Una delle riforme più importanti varate da Cesare fu quella riguardante le autonomie territoriali attuate con la lex Iulia Municipalis, questa legge ha carattere generale sulla riorganizzazione amministrativa della citta, con essa molte città e colonie assunsero il rango di municipio. Inoltre essa prevedeva alcune norme sulla circolazione stradale all’interno dell’Urbe, come regolamentazione del traffico e il divieto ai carri trasportanti merci pesanti di circolare durante le ore diurne. Da questo divieto erano esclusi i carri trasportanti materiali adibiti alla costruzione di templi o altri edifici di culto. Per queste norme la lex iulia potrebbe essere considerata come il precursore del codice della strada. La legge inoltre affidò agli edili il mantenimento della pulizia dei luoghi pubblici come fori e piazze. Inoltre Cesare estense la cittadinanza agli abitanti della Gallia Cisalpina, che fu una premessa indispensabile per l’estensione dell’italia. Inoltre con una lex de provinciis riorganizzò il governo delle province. Dal 27 a.C. i termini imperator e princeps divennero equivalenti, designando la massima carica, ossia quello del sovrano romano. Anche se non faceva parte del cursus honorum e non deteneva nessun imperium, questo incarico portava comunque prestigio enorme al senatore che lo deteneva. IL FONDAMENTO DEL POTERE DELL’IMPERATORE Il fondamento effettivo del potere dell’imperatore deve essere riconosciuto, oltre che nella forza delle armate, nella sua auctoritas. Ottaviano dichiara di essere pari agli altri magistrati per potestas, ma superiore a tutti per auctoritas con cui si riconosce l’autorità del princeps. L’auctoritas gli consentiva di condizionare le elezioni, di dare istruzioni ai magistrati, di guidare i lavori del senato secondo le sue volontà. Alla luce di tali poteri ad Ottaviano fu assegnato l’appellativo di Augusto. Tale aggettivo in oriente veniva utilizzato per indicare divinità, o i sovrani più importanti innalzati al grado di theòs dopo la morte. Già Ottaviano dopo aver ricevuto l’appellativo augusto si faceva adorare come un dio soprattutto nelle province orientali; a roma invece tale epiteto conferiva esclusivamente prestigio politico. Inoltre il termina augusto deriva dal verbo augeo che in latino significa accrescere, quindi Augusto è colui che accresce ciò che è carente. Quindi rafforzava una struttura repubblicana carente. Bisogna sottolineare che l’auctoritas non è un potere bensì una preminenza, una supremazia, una prerogativa spettante al princeps. LA TRASMISSIONE DEL POTERE Augusto instaurò un regime monarchico che, tuttavia, voleva presentarsi come restauratore della repubblica. Non era, dunque, possibile inserire all’interno dell’ordinamento giuridico una norma che disciplinasse la successione nei poteri dell’imperator. Questa mancata previsione fu la causa di una serie di scontri conflitti e di instabilità istituzionale dopo la morte dell’imperator. Il problema della successione fu risolto, da Augusto, empiricamente ricorrendo alla prassi dell’adozione e dell’associazione al trono. In ogni caso colui che veniva ‘designato’ successore non era considerato tale fino a quando non fosse intervenuto il senato a riconoscerlo tale. Non vi era quindi nessun passaggio immediato dell’imperium, vi era piuttosto, una soluzione di continuità nel potere di comando. Il ricorso del meccanismo dell’adozione era finalizzato a instaurare un rapporto di filiazione fra adottante e adottato che comportava la trasmissione non solo del patrimonio dell’imperator, ma anche del complesso di rapporti di clientela che facevano capo al princeps. Con l’adozione veniva trasmessa anche l’auctoritas. L’adozione avveniva con apposita adrogatio seguita da una dichiarazione pubblica con la quale l’arrogato era considerato erede nel potere. Con Marco Aurelio si ha una svolta decisiva: dopo la morte del fratello Lucio Vero, in precedenza associato al trono, l’imperatore conferì al figlio Commodo il titolo di Augusto, realizzandosi per la prima volta l’associazione nel potere. Un tentativo di imporre una successione dinastica venne effettuato da Vespasiano, ma ebbe vita breve, terminando con la morte di Domiziano. Con Marco Aurelio l’idea dinastica trova nei fatti la sua applicazione, venendo poi confermata con la dinastia dei Severi: es. Settimio Severo ha designato come suoi successori i figli Geta e Caracalla. Morto Alessandro Severo sarà soprattutto la volontà dell’esercito o dei pretoriani a determinare la successione al trono. La differenza tra principato dinastico e adottivo sta nel fatto che: dinastico il titolo di princeps viene trasmesso all’interno di una dinastia. Adottivo il princeps in carica sceglie a chi passerà il potere dopo di lui (questa persona non fa parte della famiglia del princeps). Sicuramente il principato adottivo ha dato maggiori garanzie di stabilità perché il princeps designava come suo successore uno che si distingueva per particolari meriti e competenze e che, ovviamente, sarebbe stato in grado di governare Roma. LA BUROCRAZIA IMPERIALE Il principe in virtù della sua posizione di vertice istituzionale dello stato doveva svolgere tutta una serie di funzioni che necessitavano una struttura complessa di laboratori. Dunque, vi era una necessità da parte dell’imperatore di essere rappresentato nel compimento di atti aventi rilievo pubblico. Così si riesumò un’antichissima figura che, secondo la tradizione, avrebbe giocato un ruolo decisivo addirittura nella nascita della repubblica che anticamente aveva un carattere magistratuale, che aveva il compito di sostituire i magistrati supremi quando si allontanavano dalla città per svolgere operazioni militari. Tale figura è la figura del prefectus urbi. Verosimilmente era stata creata nell’epoca del re Servio, dunque rievocava pure suggestioni monarchiche. I prefecti erano collaboratori del princeps, possiamo distinguerli in: 1. Praefectus urbi aveva funzione di urbis custodia in assenza di magistrati supremi, aveva funzione di polizia e successivamente detenevano un’attività giudiziaria nell’ambito della cognitio extra ordinem, prima in ambito criminale poi civile. 2. Praefectus praetorio deteneva il controllo militare di tutta la penisola italica; era giudice d’appello per tutte le sentenze civili emesse nelle province; stava a capo della corte dei pretori. 3. Praefectus annone si occupava dell’approvvigionamento della città, ad es. rifornimento alimentare. 4. Praefectus vigili aveva delle competenze limitate essenzialmente alla città di Roma, svolgeva funzioni di prevenzione degli incendi , aveva una serie di poteri di intervento che potevano essere caratterizzati come poteri di polizia es. prevenzione di furti e rapine ecc. 5. Praefectus aegypti era il titolo assegnato al governatore della provincia romana d'Egitto a partire dal 29 a.C., quando Augusto scelse per tale carica Gaio Cornelio Gallo.Di rango equestre, il prefetto era scelto direttamente dall'imperatore, a cui solo rendeva conto. La ricchezza e l'estensione dell'Egitto ne faceva una delle province più importanti e al tempo stesso pericolose per la stabilità dell'impero, tanto da essere affidata a un funzionario di stretta fiducia del Principe, esterno al ceto aristocratico senatorio. UFFICI IMPERIALI In questa burocratizzazione dell’impero si possono notare alcuni uffici imperiali. A causa delle più ampie facoltà che l’imperatore si riservava, aveva bisogno di collaboratori che lo aiutassero a sbrigare quei compiti che l’imperatore aveva trattenuto presso di sé. Per questo vi fu l’istituzione di uffici pubblici, cioè uffici che appaiono come preposti allo svolgimento di pubbliche funzioni. Tra i più importanti uffici troviamo: • Ab epistulis che si occupava della corrispondenza del principe • A libellis che preparava le risposte dell’imperatore ai privati cittadini • A cognitionibus cui è affidato l’esecuzione delle suppliche dei privati • A memoria cui competono determinate pratiche amministrative • A rationibus la cui funzione è quella di sovrintendere all’amministrazione finanziaria I funzionari di grado più elevato prendevano il nome di procuratores che presiedevano l’organizzazione dei servizi pubblici: come la biblioteca, la cura delle vie e delle acque. AMMINISTRAZIONE PERIFERICA L’ordinamento giuridico nell’età del principato si caratterizza, tuttavia, per essere svincolato da tradizioni nazionali che si sposta a tendenze nuove dando vita ad una tendenziale universalità del diritto romano. FONTI DEL DIRITTO NELL’ETA’ DEL PRINCIPATO 1. Legge 2. Plebiscito norma votata dalla plebe su proposta dei tribuni. 3. Senatoconsulti 4. Costituzioni imperiali 5. Editti dei magistrati (fonti di ius honorarium e non ius civile) 6. Responsi dei giuristi LA LEGGE E I SENATOCONSULTI (vd. Altri riassunti) LE COSTITUZIONI IMPERIALI Tra le fonti del diritto ricordate da Gaio compaiono anche le costituzioni imperiali che Papiniano precisa essere fonte di ius civile. Le costituzioni imperiali sono le decisioni pari a quelle di legge adottate dall’imperatore nell’esercizio delle sue funzioni, tramite: edicta, mandata, decreta, rescripta ed epistulae. Analizziamo le seguenti costituzioni imperiali: • Edicta erano provvedimenti di carattere generale e astratto che disciplinavano una serie di casi concreti sia in campo amministrativo, in particolare nell’amministrazione di province, sia in campo del diritto e del processo criminale. • Mandata erano istruzioni dettate dagli imperatori ai loro funzionari, ma anche ai governatori delle province senatorie. Inizialmente erano di carattere personale e non avevano efficacia oltre il caso specifico. Riguardo il contenuto riguardano il campo amministrativo (es. amministrazione fiscale, organizzazione della cognitio extra ordinem criminale). • Decreta sentenze emanate dall’imperatore in materia civile e criminale in forma solenne o con procedimento sommario. Appaiono come provvedimenti interpretativi che si limitavano ad applicare il diritto vigente. • Rescripta ed epistulae mirano entrambe a risolvere le questioni di diritto controverse. La differenza che intercorre tra i due sta nel fatto che le epistule erano risposte date ai quesiti sottoposti all’imperatore da un funzionario, magistrato o anche un giudice. Il rescriptum invece è la risposta che gli uffici imperiali a libellis davano alle istanze di privati cittadini relative sempre alle controverse questioni di diritto. La validità del rescritto era accompagnata da clausole che alludevano al fatto che l’accertamento dei fatti spettava comunque a un giudice o a un funzionario. L’EDITTO DEI MAGISTRATI Gaio afferma che questi non abbiano forza di legge, ma che si limitano semplicemente ad integrare lo ius civile. E’ un documento in cui ciascun magistrato all’atto dell’insediamento fissa e rende pubbliche le linee che seguirà per la propria opera. Papiniano sottolinea che non verrà mai assimilato allo ius civile. I RENSPONSA PRUDENTIUM, lett. Giuridica, giurisprudenza classica,le opere istituzionali,storia delle istituzioni (vd. Riassunti) LA CITTADINANZA La cittadinanza durante il principato continua ad essere trasmessa per nascita da padre cittadino, per adozione e manomissione (atto con cui un dominus dichiara libero il suo servo). L’imperatore poteva concedere con proprio provvedimento la cittadinanza ai singoli stranieri o ad intere comunità. Al fine del 2 sec. A.C e del 1sec. A.C la cittadinanza veniva considerata come un premio. La legislazione augustea introdusse una serie di limiti alle manomissioni e alla possibilità di acquistare la cittadinanza. Pian piano si scorse un meccanismo graduale di estensione della cittadinanza che culmina con l’editto di Caracalla del 212 d.C. Caracalla, avendo ucciso il fratello Geta affinché regnasse da solo, ordinò a Papiniano di comporre un discorso onde scusare il fraticidio, ma Papiniano si rifiutò in quanto in primis non vi era una scusante per l’atto commesso e in secundis qualora avesse accusato il fratello Geta era come se commettesse un ulteriore parricidio, così Caracalla infuriato e sdegnato ordinò di farlo decapitare. Alla luce di questi fatti non era molto ben voluto dal popolo, per cui, per captare la benevolenza popolare tramite l’editto di Caracalla estese la cittadinanza a tutti gli abitanti dell’impero con esclusione degli stranieri che erano stati condannati a una pena che aveva comportato la perdita della cittadinanza e degli schiavi manomessi che avevano tenuto un comportamento turpe. La conseguenza dell’estensione della cittadinanza romana fu anche l’estensione del diritto romano e il contrasto con i vari diritti locali delle altre comunità che, ovviamente, non potevano essere banditi dall’oggi al domani. Diversa dalla cittadinanza e la origo che individua l’appartenenza a una specifica comunità. Si poteva, invero, essere cittadini romani ed avere l’origo in un municipio o in una colonia. La origo serviva per distinguere chi poteva assumere le cariche locali e chi dovesse soggiacere ai munera cittadini. COGNITIO EXTRA ORDINEM IN AMBITO CIVILE Augusto aveva riformato il processo, abrogando definitivamente la procedura per legis actiones [In diritto romano con l'espressione Legis actio sacramento si indicava uno schema procedurale di antichissima applicazione che poteva essere utilizzato per la tutela di qualsivoglia pretesa che fosse comunque riconosciuta dalla ius civile arcaica. L'antico schema prevedeva una sfida tra due contendenti (ACTOR "colui che avvia l'azione" e il REUS "convenuto, colui che è chiamato in giudizio") posti su un piano di parità. Ciascuna delle parti affermava con parole solenni o la spettanza di una determinata res (e in tal caso si aveva la legis actio sacramento in rem) o l'una negava e l'altra affermava l'esistenza di un credito (e in tal caso si aveva la legis actio sacramento in personam). Il sacramentum era per l'appunto la solenne sfida, la scommessa, in origine un giuramento con implicazioni religiose donde il nome sacramentum, e chi usciva sconfitto al termine della controversia era costretto a pagare la summa sacramenti per aver giurato il falso.] e stabilendo come unico sistema processuale quello formulare. Ad utilizzare il processo formulare a Roma sono il pretore peregrino e gli edili. Augusto iniziò ad utilizzare un nuovo tipo di processo. L’occasione fu il riconoscimento dei fedecommessi, disposizioni di ultima volontà in cui ci si rimetteva alla fides dell’erede o del legatario per l’esecuzione. Augusto affidò ai consoli la competenza sulle relative controversie; con Claudio venne istituito un apposito praetor fideicommissorius, un apposito pretore. I consoli impiegarono una nuova procedura che stava al di fuori dell’ordo iudiciorum privato rum, incentrato sull’impiego delle formule. E’ possibile che l’impiego di una nuova procedura fosse conseguenza del fatto che materia testamentaria, essendo legata a principi tradizionali, non si prestava a radicali innovazioni. Anche se non è escluso che dietro tale innovazione vi fosse il disegno di Augusto volto al suo accentramento. Infatti l’auctoritas del principe comportava la direzione suprema di tutta la vita della comunità e ovviamente in questo disegno non poteva mancare l’intervento anche in ambito processuale. concludere, si ha una rottura del dominium per dare vantaggio alla tutela della persona. • Iustitia è uno dei valori cardine dell’ordinamento repubblicano, era lo stato l’aequitas che esprime l’idea dell’equilibrio. Ulpiano, a riguardo, dà una serie di definizioni di iustitia. Innanzitutto parte dalla radice facendo derivare la parola ‘’ius ‘’ da ‘’iustitia’’, pertanto è come se dicessimo che il diritto è figlio (discende) dalla giustizia. Non a caso i giuristi sono raffigurati come i sacerdoti del diritto perché coltivano la giustizia, separando l’equo dall’iniquo, il lecito dall’illecito, aspirando a rendere gli uomini migliori non solo con il timore delle pene, ma anche con il timore delle pene ma con l’esortazione di premi professando la vera filosofia non quella finta. LA CRISI Nel 3 secolo d.C l’impero va incontro ad un nuovo periodo di grave instabilità. Marco Aurelio aveva stabilito che a succedergli fosse il figlio Commodo. Commodo era estraneo alla politica e all’ambiente militare, fu inoltre descritto, già in giovane età, come estremamente egoista e con gravi problemi psichici, appassionato in maniera eccessiva di giochi gladiatori ( a cui lui prendeva parte), passione ereditata dalla madre. Marco Aurelio riteneva, erroneamente, che il figlio avrebbe abbandonato quel genere di vita così poco adatta ad un princeps, assumendosi la responsabilità di governare un impero come quello romano, ovviamente così non fu. Morto assassinato Commodonel 192, gli successe Pertinace, il quale venne a sua volta ucciso dalla guardia pretoriana. La guerra civile che ne seguì vide la vittoria finale di Settimio Severo e la salita al trono della dinastia dei Severi: il principato semi-repubblicano andò così trasformandosi in monarchia, il principato si trasformò in dominato una monarchia assoluta. La crisi verso cui pendeva l’impero non era solo istituzionale, ma anche culturale e sociale: Roma aveva accolto persone disparate per lingua, razza, cultura metabolizzando anche elementi religiosi diversi. Vi fu un’imposizione del culto della divinità siriaca Baal che portò alla celebrazione di cerimonie estranee al mondo estraneo, che determinò un chiaro segnale di smarrimento dei valori tradizionali. La crisi colpì anche il fronte economico: colpì le classi medio-basse ed in particolare la piccola proprietà terrena; questo fenomeno insieme con l’aumento del prezzo degli schiavi finì per impoverire la classe media favorendo la nascita di concentrazioni latifondistiche; per fronteggiare le spese militari venne incrementata la pressione fiscale. I latifondisti organizzavano in proprio l’amministrazione della giustizia fondando un’economia chiusa ed autosufficiente. Non essendo disponibili le macchine l’unico modo di rimettere in produzione le terre abbandonate era quello di passare a un nuovo rapporto di produzione che comportasse i costi della schiavitù, ma ne mantenesse i vantaggi. Questo nuovo rapporto fu appunto il colonato: la sostituzione degli schiavi con lavoratori ‘’liberi’’ o coloni, legati al padrone da un rapporto contrattuale di affittanza, non di servitù. Ben si può comprendere come la libertà individuale, già fortemente compromessa nell’età del principato, ora si annienta completamente.
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