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Storia del Giappone (Caroli & Gatti, 5-7), Sintesi del corso di Storia E Istituzioni Dell'asia I

Riassunti dettagliati dei capitoli 5, 6 e 7 del libro Storia del Giappone di Rosa Caroli e Francesco Gatti

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 02/12/2020

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Scarica Storia del Giappone (Caroli & Gatti, 5-7) e più Sintesi del corso in PDF di Storia E Istituzioni Dell'asia I solo su Docsity! Storia & istituzioni dell’Asia: Storia del Giappone Cap. 5  Ultima fase del periodo Edo (o Tokugawa 1603-1868): Crisi della società e del sistema economico feudale= malessere nelle zone rurali con insurrezioni contadine; inoltre proliferazione di gruppi religiosi di origine messianica (cristianesimo ed ebraismo), ma anche sette popolari che si guadagnarono un forte seguito tra le masse contadine x ricerca di sollievo e sicurezza nei confronti proprio della crisi. Anche le città vennero travolte dalla medesima ondata di violenza, ciò, coinvolse anche i samurai che protestavano per il diffuso malcontento riguardo le loro difficili condizioni economiche. Nonostante il disagio e l’insoddisfazione crescente, le proteste non raggiunsero un’unitarietà tale da potersi trasformare in un’istanza propriamente politica= le masse non riuscirono a partecipare al sovvertimento del sistema di governo o dell’assetto economico-sociale. Negli ambienti politici e intellettuali la crisi stimolò riflessioni e soluzioni diverse:  Ritorno a una società puramente agricola;  Rinvigorimento dell’efficacia del governo militare e della politica economica;  Consolidamento dell’unità e dell’identità nazionale, fondata sulla tradizione per poter ritrovare la fiducia nel sistema nazionale;  Miglioramento scientifico e tecnologico, ma anche militare, ispirato ai progressi in Europa Infatti, nel XVIII secolo, in Giappone, c’era la consapevolezza dell’esistenza di un Occidente evoluto e, proprio questa consapevolezza, era avvolta dal timore, soprattutto quando giunsero le notizie circa la presenza degli occidentali in Asia. Così, il fermento intellettuale già stimolato dalla crisi, fu ulteriormente sollecitato dalle trasformazioni sul piano internazionale. Per questo motivo si riscontra che nelle opere prodotte tra fine ‘700 e metà ‘800 i temi principali fossero la difesa delle frontiere, una politica di limitazione dei contatti con l’estero e la sicurezza nazionale. Dal 1792, dopo il tentativo russo di stabilire rapporti commerciali con il Giappone, gli studi occidentali cominciarono a essere applicati nei tentativi di risoluzione dei problemi del Paese. Rifiutando gli accordi con la Russia, il governo di Edo aveva indotto il bakufu (= governo militare) a conquistare l’Hokkaido, dove si trovavano i diplomatici russi, così da porvi il proprio commissariato. Si era già prefigurato il problema, e pericolo, russo addirittura nel 1791 e, conseguentemente anche l’inefficacia del bakufu. Per questo motivo era stata presa in considerazione come unica soluzione quella di guardare a un modello occidentale, ma questa idea non venne vista di buon occhio dal governo, e l’ideatore e scrittore Hayashi vide il suo libro distrutto e la sua famiglia esiliata. Al contrario, Honda, affrontò il problema in un modo ben visto dalle autorità, proponendo, cioè, di costruire una flotta che fosse solida e in grado di sostenere un’espansione territoriale che avrebbe anche fornito uno sbocco all’aumento demografico del Giappone, nuove opportunità di commercio con l’estero e, inoltre, la possibilità di accumulare moneta e metalli preziosi. Le idee di Honda ebbero comunque scarso successo tra i suoi contemporanei, ma la generazione successiva alla sua ebbe modo di rendersi conto del reale pericolo che minacciava il Paese, soprattutto a seguito delle notizie che giunsero dalla vicina Cina, costretta a firmare delle dure e amare condizioni di pace a seguito della sconfitta durante la 1^ guerra dell’oppio. Contestualmente, anche le elaborazioni del Kokugakusha (scuola nazionale per la rivalutazione della cultura autoctona) ebbero dei forti influssi sui giapponesi, date le loro implicazioni anche nella sfera religiosa es. Hirata Atsutane= attività a sostegno del rinnovamento dello Shintoismo e > prestigio della dinastia imperiale, MA censura da parte del governo; es. Aizawa Seishisai (scuola di Mito)= con l’opera “Shinron” e la teoria del sistema nazionale esaltò la figura imperiale condannando le dottrine straniera (come il Buddhismo), concepì anche il confronto con l’occidente come un’occasione storica che avrebbe dato una spinta significativa verso un rinnovamento morale del Giappone, anche per ottenere una solida identità nazionale. Nonostante ciò, le sue idee vennero accolte dal movimento xenofobo, detto jōi. Scuola di Mito= reagisce alla minaccia occidentale senza assumere toni anticoficiani; Kokugakusha= intento di difender l’identità nazionale come patrimonio tradizionale, dato però dal predominio della cultura cinese; ↘ Punti in comune: 1) fornire un contributo alla rivalutazione degli antichi miti shintoisti e della figura imperiale; 2) sono stati i precursori della restaurazione del ruolo storico del tennō e della promozione dello shintō a culto ufficiale dello Stato; 3) idea di nazionalismo fondato sull’idea di unicità e carattere divino del popolo e della nazione giapponese. Questi tre elementi hanno dato una risposta rassicurante, dal punto di vista culturale, al senso di inquietudine dato dalla crisi. Gli ultimi anni del periodo Tokugawa & la fine del bakufu fermento intellettuale che confermò le forti tensioni all’interno della società giapponese e donò anche l’immagine di un Paese dinamico e in costante ricerca di soluzioni innovative per fare fronte alla crisi interna. Tuttavia, la presenza e la paura nei confronti degli occidentali in Asia, sommata alla diffusa insoddisfazione nei confronti del bakufu (non era stato in grado di mettere in atto un’efficace politica economica di risanamento) aggravarono ulteriormente la situazione e il già precario rapporto tra popolo e autorità politiche. Alcuni han (feudi) cercarono di far fronte al problema a livello locale, facendo esperimenti volti a sanare le finanze dei loro domini: Es. Chōshū= miglioramento agricoltura per ridurre le spese e maggiori sforzi nelle attività commerciali > ricchezza usata per migliorare l’organizzazione militare, con l’uso anche di equipaggiamenti occidentali; Es. Satsuma= grazie al controllo sulle isole Ryūkyū e al monopolio sulla produzione di zucchero ebbe le risorse per poter puntare il risanamento sull’attività mercantile. Le libertà prese dagli han furono condizioni necessarie affinché le potenzialità economiche che si erano create in Giappone potessero uscire dai limiti del sistema feudale. Verso la fine dell’Ottocento il Giappone sarebbe potuto essere un vero e proprio stato moderno dati il grande sviluppo di capitale mercantile e rurale, un certo grado di accentramento politico, una struttura amministrativa e burocratica composta da personale competente e all’istruzione diffusa ai diversi livelli della società. Inoltre, dal punto di vista territoriale, l’impero Tokugawa comprendeva lo stesso territorio che sarebbe stato poi inglobato nello stato Meiji, come simbolo di unità nel presente e di continuità con il passato. Nonostante ciò, però, si andò delineando una nuova forma di rapporto con il mondo esterno che, di fatto, portò a mutamenti sul piano delle istituzioni politiche. Al tentativo russo di stabilire rapporti commerciali con il Giappone, del 1792, ne seguì un altro pressoché identico nel 1804, che venne nuovamente rifiutato, con anche il divieto imposto dal bakufu di accedere a tutti i porti, tranne che a quello di Nagasaki. Ciò però non impedì le incursioni russe che, ad ogni modo, diminuirono drasticamente con l’invasione napoleonica della Russia, ritrovando però vigore alla fine della Guerra di Crimea (1856). Nel frattempo le navi britanniche iniziarono a comparire all’orizzonte, già interessante alla terra di Yamato da inizio secolo, tuttavia, l’attenzione della corona si spostò sempre di più verso la Cina. 1839-1842 la 1^ Guerra dell’oppio il governo cinese, con molti sfrozi, era riuscito a tenere segregato solo il porto di Canton agli scambi con gli europei, che scambiavano gli oggetti cinesi con monete preziose; nonostante ciò, però, difronte all’atteggiamento intransigente del governo di Pechino, la East Indian Company mise in piedi un fitto commercio illegale di oppio che provocò effetti deleteri sul piano sia sociale che economico del Paese, con il fine di sovvertire maggiormente l’equilibrio economico della Cina. Fu così che nel 1839 a Pechino il governo fece bruciare tonnellate di oppio sequestrato, scatenando così una reazione da parte dell’Inghilterra, la quale diede inizio alla cosiddetta guerra dell’oppio. Nel 1842, con la fine dello ostilità, la Cina fu costretta a firmare una serie di trattati che l’avrebbero sottoposta a meccanismi economici e territoriali di controllo da parte delle potenze europee. Le notizie che giungevano dalla vicina Cina indussero il bakufu a ridurre le rigidità di alcuni provvedimenti con il fine di consentire almeno l’approvvigionamento di navi straniere approdate nei porti giapponesi. Nello stesso periodo, inoltre, il re d’Olanda mandò una missiva in cui esortava le autorità giapponesi a Il Giappone del 1^ Meiji Meiji= illuminato, nome dell’era scelto nel 1868, quando il giovane Mutsuhito divenne imperatore. Egli si prodigò per la formazione di uno stato moderno, fondato sulla centralizzazione del potere politico e sulla trasformazione delle istituzioni economico-sociali in istituzioni capitalistiche. Quindi, più che parlare di un ritorno al passato, come viene suggerito da alcuni storici, dato che si ebbe il ripristino della figura imperiale, si dovrebbe parlare di questi anni come una Restaurazione. Altri storici, invece, parlano di rivoluzione borghese, mentre invece il contributo della borghesia fu visibile soprattutto in quelle zone dei Paese più aperte all’Occidente; proprio questi ultimi minarono le basi del sistema feudale portando lo Stato verso un sistema protocapitalistico. Nonostante ciò, il ruolo principale venne svolto da membri dell’élite della classe militare locale che sarebbero diventati la classe dirigente del governo Meiji. Questi ultimi altro non erano che gli avversari diretti del bakufu e, nei loro intenti, vi era anche quello di ridimensionare il potere shogunale, ristabilire l’autorità imperiale e rafforzare il Paese dal punto di vista sia militare che politico. Si trattò, perciò, di una “rivoluzione dall’alto” che, anche grazie alle tensioni generate dalla stipulazione dei trattati ineguali, riuscì a creare un processo di transazione capitalistica in Giappone. L’opera di centralizzazione dei poteri per poter attuare una simile e diversa concezione dello Stato, il governo Meiji dovette azionarsi per poter superare il fazionalismo, insito nel sistema precedente. Il tutto venne eseguito con il motto “ricco il Paese e forte l’esercito”. Nel 1871 si iniziò con la confisca del potere locale dei daimyō + definitiva abolizione dei feudi e all’istituzione di un sistema provinciale. Il territorio fu riorganizzato in province (ken) a cappo delle quali vennero posti dei governatori, e in distretti (fu) così da sottoporre l’amministrazione locale al controllo del governo di Tokyo. Questo provvedimento non andò incontro a reazioni violente di alcun genere dato che gli ex-feudatari avevano uno stipendio garantito e un titolo nobiliare. Inoltre, sia i debiti dei vari feudi, sia gli stipendi dei samurai passarono nelle mani del governo centrale; la creazione di uffici amministrativi locali fornì posti di lavoro a membri della classe samuraica e ai capi villaggio. L’istituzione di assemblee a diversi livelli locali, invece, sembrò un modo per poter partecipare attivamente alla vita politica del Paese, sebbene questi organi non avessero alcun potere decisionale. L’ultimo passo verso il superamento dell’autonomia locale fu l’istituzione del ministro degli Interni (1873), le cui competenze spaziavano dall’amministrazione alle comunicazioni con i governatori provinciali, fino al controllo sulla polizia nazionale. Il 1^ fu Ōkubo Toshimichi. Nel 1868, invece, fu emanato il Giuramento sui 5 articoli (Gokojō no seimon) che rispondeva direttamente alla richiesta di allargamento della partecipazione al processo decisionale e, in più, indicava la necessità e la volontà di modernizzare il Giappone partendo dai modelli Occidentali. Inoltre, in questo giuramento l’imperatore stesso si impegnava a promulgare una Costituzione e a realizzare gli obbiettivi di governo Es. unità di classe, istituzione di un’assemblea e la garanzia di un dibattito pubblico per le questioni di Stato. Il contenuto di questo giuramento venne incorporato nell’articolo 1 del Documento sulla forma di Stato (Seitaisho), che rappresentò il primo tentativo di stesura di una Costituzione nazionale. Questo documento, di fatto, dava pieni poteri di governo al Dajōkan, il Gran consiglio di stato che, articolato in 7 sezioni, assumeva il potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Nonostante l’introduzione della separazione dei poteri, per poter accedere alle nomine delle 7 sezioni, venivano prese in considerazione sia il rango che l’ereditarietà. (Ciò fino al 1885= governo di gabinetto). Appena un anno dopo il documento venne sottoposto a revisione:  Respinta l’idea circa la separazione dei tre poteri, venne instituita una struttura più autoritaria e simile al periodo antico;  Dajōkan divenne l’unico organo esecutivo, guidato dal ministro della Sinistra e da quello della Destra ed era composto dai membri del consiglio consultivo;  Dajōkan venne affiancato dall’Ufficio degli Affari shintoisti con un deputato all’esecuzione dei riti e al controllo spirituale (+ alto organo dello Stato);  L’assemblea deliberativa assunse un ruolo sempre più marginale fino a quando non venne sciolta (+ allontanamento dal governo delle figure considerate secondarie). Nacque così una vera e propria oligarchia formata da pochi capi energici e provenienti per la maggior parte dalla Corte e dai 4 Han e in maggioranza intenzionati a far prevalere gli interessi nazionali, invece che quelli particolaristici. Fu però dal 1871 che il governo sembrò possedere le caratteristiche e la solidità per poter affrontare l’opera riformistica, nonostante rischiasse di incontrare forti resistenze. Infatti, con il fine di garantire allo Stato sia fonti indipendenti di reddito, sia una solida forza militare, vennero presi alcuni provvedimenti preliminari: 1) Abrogato l’obbligo di occupazione vincolato dalla classe sociale = libera scelta di impiego; 2) Cortigiani ed ex daimyō iniziarono a far parte dell’aristocrazia, mentre i contadini, i mercanti, gli artigiani e i samurai facevano parte della popolazione comune; 3) Alla popolazione comune venne concessa la libertà di movimento, possibilità di scegliere un cognome e di sposarsi con individui di altre classi, altre che il diritto di acquistare o vendere la terra; 4) Rimozione del divieto di compravendita della terra, ora quindi considerato un bene commerciale e, conseguentemente, venne aperta la strada alla concessione della proprietà privata.  Tutti questi elementi favorirono la mobilità della popolazione sia nella società che nel territorio; tuttavia, la classe samuraica venne privata del monopolio sulla sua professione. La posizione dei samurai venne ulteriormente aggravata con l’introduzione della circoscrizione obbligatoria (grazie all’abolizione delle differenze tra classi), ideata dal generale Yamagata Aritomo nel 1873 obbligo di servizio attivo per 3 anni e di 4 anni come riservisti a tutti i maschi che avessero compiuto i 20 anni e, indipendentemente dalla condizione sociale. Ciò portò allo scardinamento della classe dei samurai ma, dall’altra parte, pose le basi per la formazione di un esercito moderno e regolare. Questo obbligo, però, venne recepito come una “tassa di sangue” dalle campagne, che si sarebbero visti privare di forza lavoro e, conseguentemente, in numerose zone del Paese si registrarono numerose rivolte. La situazione del Giappone nel 1^ Meiji 1) Penuria di capitale disponibile & 2) Diffidenza da parte degli investitore nell’investire su settori diversi da quelli tradizionali. Nonostante ciò, però, al Giappone serviva una rapida industrializzazione per poter competere con le potenze Occidentali e, quindi, il ruolo di investitore venne assunto dallo Stato. Per garantirsi fonti sicure di entrata il governo guardò all’agricoltura, infatti vennero attuare delle riforme sulla proprietà e sull’imposta fondiaria:  Innanzitutto dal 1871 al 1873 venne formulata una nuova legislazione fiscale unificata a livello nazionale;  Abolito il divieto di compravendita della terra = proprietà privata = tassabile;  Verifica della terra e rilascio dei titoli di proprietà a coloro che avevano posseduto la terra durante il periodo di Edo (Stima della terra in base al valore di mercato);  Sistema di tassazione facile da esigere e difficile da evadere e diverso da quello precedente perché non teneva più conto delle fluttuazioni del raccolto;  Importo valutato secondo il valore della terra con il 3% del valore legale e niente riduzioni in caso di cattive annate produttive. Inoltre, non era più il villaggio stesso a pagare la quota ai daimyō, ma i singoli cittadini dovevano versare il contributo allo Stato; in più si ebbe il passaggio da una tassazione in natura a un’imposta in denaro, che portò a rendere ancora più precaria la situazione dei piccoli proprietari terrieri. Nonostante ciò, fu esattamente in questo modo che il governo si assicurò delle entrate stabili, soprattutto perché la terra, in caso di annate poco produttive, poteva essere rivenduta e, conseguentemente, lo Stato vedeva il costante pagamento delle quote. Quindi, il gettito proveniente dall’imposta fondiaria contribuì a formare il capitale necessario per finanziare i costi della modernizzazione e far assumere allo stato il ruolo di guida. Gli investimenti statali: 1) Costruzione di infrastrutture efficienti e creazione di industrie di base, tenendo presente gli obbiettivi del Paese, tra cui anche la difesa e il rafforzamento militare; 2) Investimenti negli armamenti navali che avrebbero portato a numerosi progressi Es. successo della guerra navale vs la Cina (Fine Ottocento); 3) Costruzione di una moderna rete di trasporti + nascita di un moderno sistema postale; 4) Fabbriche su modello occidentale, anche per favorire l’iniziativa di privati; 5) Interessi anche verso i settori metal-meccanico e industria estrattiva. Lo Stato fu anche in grado di acquisire dell’estero la tecnologia necessaria, sia impiegando un gran numero di esperti e consiglieri stranieri, chiamati a trasmettere le loro conoscenze, sia organizzando missioni in Europa e USA. Dunque il Giappone, durante questo periodo, guardò sempre all’Occidente, nonostante gli oligarchi Meiji fossero esponenti jōi, ma l’odio/paura nei confronti dei barbari sembrava essersi affievolita dato che non vi era più il rischio di esserne sopraffatti. Inoltre, lo stesso senso patriottico che li aveva spinti alla chiusura del Paese, era il medesimo che aveva portato la competizione con USA e Europa. La politica estera giapponese (anni ’70 e ’80 dell’Ottocento) Lo scardinamento dell’assetto feudale era l’obbiettivo primario del governo Meiji, tuttavia i rappresentanti al governo avevano idee diverse da seguire per ottenere questo obbiettivo. Per alcuni, però, l’eliminazione della classe samuraica e dei suoi diritti era stato un prezzo troppo alto da pagare. A questo proposito Saigō Takamori e Itagaki Taisuke si convinsero di dover dare una dimostrazione di forza alla Corea, che si rifiutava di riconoscere i mutamenti avvenuti in Giappone dopo il 1868. Questo progetto era, in realtà, un modo per far riversare altrove la rabbia, il risentimento e l’aggressività degli ex samurai. I due fautori, partiti con la missione Iwakura (USA per revisione trattati ineguali), erano disposti a fare tappa in Corea e farsi uccidere sul suolo nemico (Saigō) per poter dare così inizio alle ostilità. Al ritorno dalla missione, avendo visitato l’Occidente, prese piede l’idea che fosse necessario dare priorità al rafforzamento interno, piuttosto che all’aggressione esterna che, inoltre, avrebbe anche potuto portare al coinvolgimento di altre nazioni nello scontro. Nel 1873 venne così definitivamente accantonata l’idea di un attacco alla Corea, che portò però alla fuoriuscita di Saigō dal governo. Tuttavia, la crisi coreana, fece emergere le diverse posizioni sui temi di politica sia interna che esterna: vi erano quindi gli interventisti e gli attendentisti che si distinguevano gli unni dagli altri riguardo i tempi e le modalità per raggiungere l’obbiettivo dell’espansionismo nipponico. Secondo Iwakura e Ōkubo, invece, era necessario, prima di iniziare una simile impresa, ottenere un rapporto paritario con le altre nazioni, arrivando quindi anche al medesimo livello di sviluppo. Risulta opportuno specificare, però, che il rifiuto dell’ipotesi di un’azione militare vs la Corea non fu tanto mosso da una condanna a una politica estera aggressiva verso l’Asia, quanto più da un atteggiamento pragmatico nato da un’analisi attenta sulle condizioni del Paese. Infatti, il timore esistente era sia quello di innescare una reazione di intervento da parte degli occidentali, sia circa le reazioni della popolazione in un momento di transizione per il Paese (= processo di centralizzazione del potere & consolidamento unità nazionale). Proprio a seguito di questa linea di pensiero anche Ōkubo si dichiarò contrario all’idea di un intervento in Corea, anche considerando l’assenza di garanzie circa la neutralità dei paesi stranieri. Nonostante ciò, però, gli uomini rimasti al governo decisero di muovere la flotta verso Taiwan nel 1874, forzando l’apertura coreana con metodi simili a quelli degli europei in Giappone stesso; il 1879 segnò la fine del regno delle Ryūkyū, annesso con lo status di “provincia di Okinawa”. I dimissionari del governo continuarono a mantenere il loro dissenso percorrendo strade che andavano dalla ribellione militare all’impegno politico in movimenti democratici e liberali. E, proprio in questo clima di difficili decisioni, rientra anche la situazione degli ex-samurai:  Concessi loro anticipi in denaro da investire in attività agricole o commerciali;  Favorita la loro migrazione verso l’Hokkaidō, sottoposto a una politica di forte e rapida colonizzazione;  Dal 1873 venne offerta ai samurai la possibilità di essere liquidati con una somma pari a 4/6 annualità (la cui metà era denaro vero e proprio e l’altra erano titoli di stato) = capitale da investire. il capitalismo giapponese era quasi privo di capitale. Proprio la scarsità di fondi mise l’imperialismo in una posizione di fragilità rispetto a quelli occidentali. La politica espansionistica era fondamentale sia per la coesione della società, sia per la difesa degli interessi del grande capitale:  Guerra vs l’Impero Cinese (1894-1895) vittoria del Giappone + conseguente > riconoscimento dello Stato in Asia e modello per la liberazione coloniale. L’obbiettivo giapponese, però, non era la sconfitta della Cina, ma la conquista della Corea. Nonostante ciò, però, la guerra si concluse con il trattato di Shimonoseki che, rifacendosi proprio ai trattati ineguali, impose pesanti condizioni di pace a Pechino, tra le quali anche: 1) Giappone= nazione più favorita; 2) Cessione di Taiwan (Formosa) + isole Pescadores + penisola Liandong; 3) Risarcimento bellico. Il secondo punto scatenò però un triplice intervento= Russia, Francia e Germania si opposero al tentativo di conquista di Liandong, dato che avrebbe causato ingenti danni economici alla Cina, e, soltanto con la mediazioni americana si arrivò a concordare un aumento del risarcimento bellico in cambio della rinuncia alla penisola. La Cina, però, per poter sanare il suo debito con il Giappone fu costretta a chiedere un prestito internazionale, garantito dai dazi doganali G.B., indebitandosi così il modo praticamente doppio rispetto a ciò che avrebbe dovuto restituire al governo Meiji. A seguito di ciò, a inizio Novecento, in Cina si scatenò il movimento xenofobo dei Boxers, che assediò il quartiere delle legazioni straniere. La corte cinese non intervenne, data la sua debolezza, ma anche le sue simpatie nei confronti del movimento, e la liberazione del quartiere avvenne per iniziativa delle potenze Occidentali, a cui partecipò anche il Giappone. Ciò valse a Tokyo il definitivo riconoscimento da parte degli europei.  Guerra vs Russia nei primi decenni del Novecento le relazioni internazionali del Giappone si inserirono nella scacchiera asiatica e occidentale delle grandi potenze. In particolare tra Inghilterra e Russia; la seconda cercava di contrastare l’egemonia della prima in Asia estendendo il proprio dominio in Afghanistan e, dall’altra parte la Russia, che non aveva partecipato alla liberazione di Pechino, aveva inviato contingenti militari in Manciuria che, però, erano lentamente state ritirate dopo che la rivolta era stata sedata. Quindi, da un lato vi era l’Inghilterra che voleva proteggere l’India dalla minaccia russa, dall’altro vi era Tokyo che considerava l’invasione della Manciuria come un vero e proprio attacco, nonché ostacolo per la conquista della Corea. Il 30 gennaio 1902 venne stipulato un trattato G.B.-Giappone in una coalizione anti-russa per proteggere gli interessi in Cina e Corea ma, soprattutto vi era la promessa di neutralità in caso di guerra contro un solo stato e l’intervento a favore nel caso in cui la guerra fosse contro due o più altri stati. La firma del trattato fu un grande successo diplomatico per il Giappone sia perché divenne l’alleato privilegiato in Asia della > potenza al mondo e, sia, perché così il governo avrebbe potuto porre la questione dei trattati ineguali, dato che era quasi considerato al pari con le altre nazioni europee. Infatti, nel corso del primo decennio del Novecento i trattati vennero revocati da tutti gli stati europei e, in primis, proprio dall’Inghilterra. Alleanza inglese diede una nuova spinta all’espansione del Paese, mentre però all’interno dello stato vi erano due posizioni ben distinte: 1) alti ufficiali esercito= che premevano per conquiste sul continente asiatico & 2) ammiragliato= premeva invece per espansione verso sud con conquista Australia e isole del Pacifico MA la politica del Giappone venne orientata verso il primo punto sia per le esigenze di contrastare la Russia che per la paura della presenza degli USA in Africa (e Filippine) e, dunque, di un loro intervento. La Russia, invece, risultava essere il nemico più facilmente attaccabile anche per il fatto che l’impero zarista avesse fatto parte del triplice intervento in favore della Cina. Così nel febbraio del 1904, dopo un attacco alle postazioni russe del Liandong, Tokyo dichiarò guerra alla Russia; sia la marina che l’esercito giapponese vinsero numerose battaglie importanti (Es. conquista terra Port Arthur e la battaglia marittima di Tsushima). Nella battaglia di Tsushima fu di rilevante importanza il tempestivo intervento dell’Inghilterra: il porto di Vladivostok era bloccato, così Nicola II inviò la flotta nel Baltico che, però, avendo sia lo stretto di Gibilterra che il canale di Suez sotto il controllo inglese, si vide costretta a circumnavigare l’Africa, giungendo in Asia stremata, venne facilmente annientata dalle forze di Togo Heihachiro. Nonostante la vittoria, gli sforzi economici e militari costrinsero il Giappone ad accelerare la fine delle ostilità, trovando così l’accordo con una Russia in subbuglio per la rivoluzione menscevica; il trattato di pace venne siglato con la mediazione USA a Portsmouth il 5 settembre 1905: 1) Riconoscimento interessi militari, politici ed economici del Giappone in Corea; 2) Annessione della Corea nel 1910; 3) Trasferimento al Giappone della ferrovia sud-manciuriana; 4) Concessione al Giappone della metà sud dell’isola di Sakhalin MA non viene accordato il risarcimento bellico. Questa fu la 1^ vittoria su uno stato europeo ottenuta da una nazione non europea e ciò portò all’innalzamento del Giappone come guida verso l’indipendenza dal colonialismo europeo. Le battaglie, inoltre, ebbero anche eco popolare, mentre la narrazione di esse divenne sempre più approssimativa con venature esotiche. In Giappone, però, vennero considerate troppo insoddisfacenti dal movimento nazionalista, la cui ideologia assunse il concetto di razza giapponese come sinonimo di una società armoniosa e senza conflitti, come affermato dal Neoconfucianesimo. Nonostante ciò, però, la frustrazione nazionalistica circa l’insoddisfazione della pace con la Russia, diede luogo alla rivolta di Hibiya (Parco di Tokyo), durante la quale i manifestanti sfuggirono al controllo degli organizzatori e incendiarono veri edifici pubblici. La rivolta venne poi sedata due giorni dopo, mentre la legge marziale venne revocata mesi dopo, proprio a causa di questi disordini. Partiti politici e politica interna mentre da un lato l’incidente di Hibiya mise in luce la presenza di conflitti e tensioni in Giappone, dall’altro si notò la brutalità della repressione del governo nei confronti di ogni forma di dissenso + anche filosofia coercitiva dei rapporti tra le forze sociali. I diritti civili e politici, inoltre, nonostante fossero previsti dalla Costituzione, furono limitati sempre di più, fino alle Legge di Polizia per l’ordine pubblico (1900) = polizia e magistratura possibilità di reprimere il dissenso verso il regime (avevano iniziato a prendere piede ideologie contrastanti con quella dominante). Con questa nuova legge vennero sciolti numerosi partiti o associazioni di stampo socialista, anche a poche ore dalla loro fondazione. Visibile la difficoltà dei partiti a trovare linee d’azione condivise ai turni elettorali successivi non si evidenziò una netta differenza tra i partiti popolari e quelli burocratici e anche le alleanze parlamentari rimasero instabili durante tutti il primo decennio del novecento. Debolezza del sistema economico > esportazione manufatti giapponesi e i prodotti tessili divennero la base dell’economia; ma il problema restavano i salari bassi, il sovrappopolamento delle campagne, la fragilità economica e l’impossibilità di assumere per le piccole imprese e, ciò, rese il mercato interno molto ristretto. Cap. 7  La 1^ Guerra Mondiale e il primo dopoguerra: Durante la Prima Guerra Mondiale venne superata la lenta crescita economica, la quale, fece compiere enormi progressi al Paese, completando anche la “2^ rivoluzione industriale”; in questo modo acquisirono > peso il settore metalmeccanico e quello dell’industria pesante, rispetto a quello tessile. Le conseguenze della 1^ G.M. per il Giappone l’alleanza con gli stati dell’Intesa consentì l’occupazione dei territori cinesi nel Pacifico e delle isole sotto la dominazione tedesca (isole Marianne, Caroline e Marshall), ma anche la penisola di Shandong (grazie al Patto di Versailles). Nel corso della guerra i prodotti giapponesi penetrarono nei mercati sia asiatici che internazionali degli alleati, favorendo un ampio sviluppo economico e provocando profonde trasformazioni sociali ed economiche. Inoltre, gli alleati, si concentrarono maggiormente sulla produzione bellica, abbandonando del tutti i flussi di merci verso i mercati asiatici e, ciò, andò proprio a vantaggio dei manufatti giapponesi; cotono e seta prodotti in Giappone iniziarono a essere venduti e richiesti in tutta Europa. Con il protrarsi del conflitto, in più, la penetrazione economica giapponese divenne sempre più ampia, al punto che anche macchinari e armi iniziarono ad essere spediti all’Intesa in Europa. Anche l’industria pesante (acciaio) e i trasporti marittimi subirono una forte impennata.  Modifiche nella struttura economica giapponese che riuscì, grazie all’Intesa, a ridurre il divario con le potenze industriali industrializzate. Mutamenti sociali e antagonismi importante e rapido sviluppo economico portò a enormi conseguenze sul piano sociale= espansione del settore terziario che, per la prima volta, vide coinvolto un numero maggiore di uomini rispetto alle donne (tessile con ex contadine e samurai); uomini però più propensi ad assecondare valori conflittuali nei confronti della classe dominante, al contrario delle donne, che evitavano di esprimere contrasti o antagonismi con i datori di lavoro. Agli inizi degli anni ’20 del ‘900 si assistette a una forte migrazione che, dalle campagne, fece riversare i giapponesi nelle 6 città maggiori (Tokyo, Kyoto, Kobe, Nagoya, Osaka e Yokohama), le quali videro la loro popolazione praticamente raddoppiata. Con la crescita del settore terziario si consolidò la media borghesia urbana, guidata da idee liberali, prese dai paesi alleati durante il conflitto mondiale. Nonostante la partecipazione giapponese alla guerra fosse stata quasi marginale, ciò portò a cambiamenti sociali ed economici rilevanti: 1) Circolazione di idee leggermente meno controllata, in particolare per quelle più progressiste e rivoluzionarie; 2) I partiti, però, non riuscirono a diventare organizzazioni politiche in grado di cogliere le aspirazioni dei ceti sociali e delle classi; 3) Sulla legittimazione dei partiti pesò innanzitutto la polizia e la magistratura che, sulle basi delle leggi esistenti perseguitarono i raggruppamenti di ispirazione socialista tra il 1901 e il 1903 vennero sciolti anche il “Partito proletario giapponese”, l’associazione proletaria e il “Partito degli operai e dei contadini”. Nonostante ciò, però, la masse si trovavano ancora in una situazione di povertà e le loro difficoltà economiche portarono a una protesta inaspettata nell’estate 1918 con i kome sōdō (Moti del riso) nata dell’innalzamento dei prezzi del riso, imposto dagli zaibatsu. Il realtà, alla base della rivolta vi era anche la continua contrazione dei salari dei lavoratori industriali e le condizioni di sussistenza dei coltivatori che pagavano affitti pari circa la metà del raccolto. La rivolta venne anche appoggiata dai quotidiani, che ne seguivano gli sviluppi ma, ben presto, la censura da parte del governo impedì la diffusione delle notizie. Le proteste durarono due mesi, con un bilancio imprecisato di morti e feriti, oltre agli arrestati e ai condannati a pene detentive. La dura repressione dei moti del riso portò alla fine politica dell’allora 1^ ministro Terauchi Masatake che venne sostituito da Hara Takashi nel settembre 1918. Alla caduta del ministro Terauchi contribuì anche la consapevolezza della burocrazia civile del fatto che sia lo spargimento di sangue che il continuo emergere di antagonismi nella società fossero inconciliabili con l’armonia sociale ricercata dal governo stesso. La nomina di Hara fu patrocinata da Yamagata Aritomo e Saionji Kinmochi seguì il classico iter dei ministri giapponesi, ovvero senza coinvolgere il Parlamento. Hara, che in precedenza era stato sia ministro delle comunicazioni che degli interni, fu il 1^ uomo di partito, non appartenente all’oligarchia che aveva diretto la trasformazione capitalistica o ai suoi delfini, a ottenere la carica di Primo Ministro. Ciò avvenne perché Hara era a capo del partito di maggioranza alla Camera bassa; di conseguenza, però, il Governo non era più sotto il controllo dell’oligarchia e vi era la presenza di numerosi funzionari civili e militari conservatori. Nonostante ciò, però, Hara dimostrò un’infinita miopia politica perché non assecondò la aspirazioni dei ceti urbani, seguaci del liberalismo, che chiedevano una riforma della costituzione e l’introduzione del suffragio universale. A causa di questa scelta, i partiti politici mantennero una posizione subalterna nei confronti del blocco di potere dominante.
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